PARROCCHIA DI MONTANARA - QUARESIMA 2013
S AL DI nella
FEDE
aggrappati al moschettone - della Parola - della preghiera - dell esame di coscienza - della gioia della riconciliazione - del perdono - della speranza - della memoria
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2013 Credere nella carità suscita carità «Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16) Cari fratelli e sorelle, la celebrazione della Quaresima, nel contesto dell’Anno della fede, ci offre una preziosa occasione per meditare sul rapporto tra fede e carità: tra il credere in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, e l’amore, che è frutto dell’azione dello Spirito Santo e ci guida in un cammino di dedizione verso Dio e verso gli altri. 1. La fede come risposta all'amore di Dio. Già nella mia prima Enciclica ho offerto qualche elemento per cogliere lo stretto legame tra queste due virtù teologali, la fede e la carità. Partendo dalla fondamentale affermazione dell’apostolo Giovanni: «Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16), ricordavo che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva... Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un ”comandamento”, ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro» (Deus caritas est, 1). La fede costituisce quella personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell'amore gratuito e «appassionato» che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cristo. L’incontro con Dio Amore che chiama in causa non solo il cuore, ma anche l’intelletto: «Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai “concluso” e completato» (ibid., 17). Da qui deriva per tutti i cristiani e, in particolare, per gli «operatori della carità», la necessità della fede, di quell'«incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro, così che per loro l'amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall'esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell'amore» (ibid., 31a). Il cristiano è una persona conquistata dall’amore di Cristo e perciò, mosso da questo amore «caritas Christi urget nos» (2 Cor 5,14) –, è aperto in modo profondo e concreto all'amore per il prossimo (cfr ibid., 33). Tale atteggiamento nasce anzitutto dalla coscienza di essere amati, perdonati, addirittura serviti dal Signore, che si china a lavare i piedi degli Apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l’umanità nell’amore di Dio. «La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! ... La fede, che prende coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l'amore. Esso è la luce – in fondo l'unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» (ibid., 39). Tutto ciò ci fa capire come il principale atteggiamento distintivo dei cristiani sia proprio «l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato» (ibid., 7). 2. La carità come vita nella fede Tutta la vita cristiana è un rispondere all'amore di Dio. La prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il «sì» della fede segna l’inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr Gal 2,20). Quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede diventa veramente «operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12). La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); la carità è «camminare» nella verità (cfr Ef 4,15). Con la fede si entra nell'amicizia con il Signore; con la carità si vive e si coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22). La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttificare (cfr Mt 25,14-30). 3. L'indissolubile intreccio tra fede e carità Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato, infatti, è limitante l'atteggiamento di chi mette in modo così forte l'accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo.
Dall’altro, però, è altrettanto limitante sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall'attivismo moralista. L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra Scrittura vediamo come lo zelo degli Apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cfr At 6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrarsi (cfr Lc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr Catechesi all’Udienza generale del 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine «carità» alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola». Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio, è l'annuncio di Cristo il primo e principale fattore di sviluppo (cfr n. 16). E’ la verità originaria dell’amore di Dio per noi, vissuta e annunciata, che apre la nostra esistenza ad accogliere questo amore e rende possibile lo sviluppo integrale dell’umanità e di ogni uomo (cfr Enc. Caritas in veritate, 8). In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri. A proposito del rapporto tra fede e opere di carità, un’espressione della Lettera di san Paolo agli Efesini riassume forse nel modo migliore la loro correlazione: «Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (2, 8-10). Si percepisce qui che tutta l'iniziativa salvifica viene da Dio, dalla sua Grazia, dal suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della carità. Queste non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fede senza opere è come un albero senza frutti: queste due virtù si implicano reciprocamente. La Quaresima ci invita proprio, con le tradizionali indicazioni per la vita cristiana, ad alimentare la fede attraverso un ascolto più attento e prolungato della Parola di Dio e la partecipazione ai Sacramenti, e, nello stesso tempo, a crescere nella carità, nell’amore verso Dio e verso il prossimo, anche attraverso le indicazioni concrete del digiuno, della penitenza e dell’elemosina. 4. Priorità della fede, primato della carità Come ogni dono di Dio, fede e carità riconducono all'azione dell'unico e medesimo Spirito Santo (cfr 1 Cor 13), quello Spirito che in noi grida «Abbà! Padre» (Gal 4,6), e che ci fa dire: «Gesù è il Signore!» (1 Cor 12,3) e «Maranatha!» (1 Cor 16,22; Ap 22,20). La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l'unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell'amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr Rm 5,5). Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della fede («il sapersi amati da Dio»), ma deve giungere alla verità della carità («il saper amare Dio e il prossimo»), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù (cfr 1 Cor 13,13). Carissimi fratelli e sorelle, in questo tempo di Quaresima, in cui ci prepariamo a celebrare l’evento della Croce e della Risurrezione, nel quale l’Amore di Dio ha redento il mondo e illuminato la storia, auguro a tutti voi di vivere questo tempo prezioso ravvivando la fede in Gesù Cristo, per entrare nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo nella nostra vita. Per questo elevo la mia preghiera a Dio, mentre invoco su ciascuno e su ogni comunità la Benedizione del Signore! Dal Vaticano, 15 ottobre 2012
Mercoledì delle Ceneri Inizio del tempo di Quaresima GLI APPUNTAMENTI DELLA PREGHIERA COMUNITARIA E DELLE CELEBRAZIONI OGNI DOMENICA DI QUARESIMA ore 9! ! Santa Messa, in oratorio ore 10:30 ! Santa Messa, in oratorio ore 19 ! Celebrazione del Vespro, in chiesa OGNI LUNEDI’ DI QUARESIMA’ ore 9! ! Celebrazione delle Lodi, in chiesa ore 16! ! Santa Messa, a Eremo (via Raffaello Sanzio) ore 19! ! Celebrazione del Vespro, in chiesa OGNI MARTEDI’ DI QUARESIMA ore 9! ! Celebrazione delle Lodi ! ! e Santa Messa, in chiesa ore 9:30-10:30 Adorazione eucaristica, in chiesa ore 19! ! Celebrazione del Vespro, in chiesa ore 19:15-20 Adorazione eucaristica, in chiesa OGNI MERCOLEDI’ DI QUARESIMA ore 9! ! Celebrazione delle Lodi ! ! e Santa Messa, in chiesa ore 19! ! Celebrazione del Vespro, in chiesa OGNI GIOVEDI’ DI QUARESIMA ore 9! ! Celebrazione delle Lodi ! ! e Santa Messa, in chiesa ore 19! ! Celebrazione del Vespro, in chiesa ! ! Lectio divina, approfondimento delle letture ! ! della domenica successiva OGNI VENERDI’ DI QUARESIMA ore 9! ! Celebrazione delle Lodi ore 9:30! Santa Messa, all’UGR a Eremo ore 15! ! Via Crucis, in chiesa e a Eremo ore 19! ! Celebrazione del Vespro, in chiesa ore 20:45! Stazione quaresimale ! ! 15 febbraio, a Montanara, in chiesa ! ! 22 febbraio, a Levata, in chiesa ! ! 1 marzo, a San Silvestro, in chiesa ! ! 8 marzo, a Buscoldo, in chiesa ! ! 15 marzo, a Eremo, itinerante in via Mantegna ! ! 22 marzo, a Grazie, nel santuario OGNI SABATO DI QUARESIMA ore 9! ! Celebrazione delle Lodi, in chiesa ore 9:15-11 ! Tempo per le confessioni ore 18! ! Santa Messa, in oratorio ore 19 ! Celebrazione del Vespro, in chiesa
CARITA’ IN QUARESIMA Tutte le nostre parrocchie dell’Unità pastorale raccoglieranno nelle domeniche di quaresima generi alimentari per le famiglie in difficoltà del nostro comune e per San Simone; le offerte del mercoledì delle ceneri e del giovedì santo andranno alle parrocchie terremotate della bassa mantovana
LA LITURGIA DELLE ORE Iniziamo in questa quaresima a introdurre sempre la Liturgia delle Ore, cioè la preghiera ufficiale della chiesa nel tempo della vita, ispirata alla preghiera di Gesù (attraverso i salmi) e alla tradizione della chiesa. Ogni giorno le Lodi alle ore 9 e il Vespro alle 19. In questo modo ci educhiamo a pregare insieme in comunione con tutta la chiesa: chiediamo pertanto che qualcuno possa garantire la presenza almeno a qualche momento in modo che la preghiera sia costante
LECTIO DIVINA Ogni giovedì, alle ore 19, leggiamo, approfondiamo, preghiamo il Vangelo della domenica successiva per arrivare a celebrare più preparati la domenica e per innamorarci sempre più della Parola di Dio
STAZIONI QUARESIMALI Sono celebrazioni della Via Crucis vissute nelle diverse parrocchie e frazioni dell’unità pastorale, nelle quali giovani, famiglie, operatori della carità, musicisti e cantori esprimono la loro esperienza della passione di Gesù. Ogni venerdì di quaresima, alle ore 20:45, secondo il calendario riportato a fianco. L’ultimo appuntamento sarà anche celebrazione comunitaria della penitenza, con la possibilità di confessarsi
DIGIUNO Gli adulti sono tenuto al digiuno il mercoledì delle Ceneri e il venerdì santo (saltando un pasto o una pietanza nei due pasti della giornata) e all’astinenza dalla carne (e comunque un mangiare sobrio) ogni venerdì di quaresima. Minorenni e anziani sono tenuti solo all’astinenza dalla carne. Il senso di questo “sacrificio” è per disciplinare il nostro corpo, i nostri istinti e desideri, orientandoci alla carità verso gli altri
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Parrocchia di Montanara Prima settimana di Quaresima - 17 febbraio 2013
Saldi di fronte alla tentazione
il Vangelo La certezza del cristiano: la Parola che sostiene la fede
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Dal Vangelo secondo Luca 4,1-13
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
aggrappati al moschettone della Parola Gesù rimane saldo nella sua fede di fronte alla tentazione del diavolo attraverso la Parola di Dio. I quaranta giorni di deserto vissuti da Gesù, i trent’anni di silenzio della sua vita, non sono stati altro che un lento allenamento nell’ascolto del Padre, un continuo discernimento della volontà di suo Padre, un perseverante confronto con la Parola scritta nella Bibbia e con la parola scritta nella vita delle persone e nella loro testimonianza di fede. L’impegno di questa settimana può essere quello di riprendere in mano la Parola di Dio, il Vangelo, di leggerlo, di confrontarci con la parola di Gesù. Non sempre, nelle scelte che dobbiamo affrontare quotidianamente, ci chiediamo cosa ne pensi Dio, cosa ha da dirci, cosa suggerisce la sua Parola. Non sempre chiediamo di essere illuminati dalla sua Parola. Ci affidiamo più al buon senso, che è cosa buona, purché il nostro buon senso sia sempre più orientato dalla Parola del Signore. Se vogliamo, ogni giovedì di quaresima, alle ore 19, in chiesa viene vissuta la Lectio divina, cioè leggiamo il Vangelo della domenica successiva e lo approfondiamo.
Le tre tentazioni di Gesù nel deserto, sono le tentazioni dell'uomo di sempre. «Le grandi tentazioni non sono quelle di cui è preoccupato un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle, ad esempio, che riguardano il comportamento sessuale, ma quelle che vanno a demolire la fede» (O. Clément). C'è un crescendo nelle tre prove: vanno da me, agli altri, a Dio. La prima tentazione: pietre o pane? Una piccola alternativa che Gesù apre, spalanca. Né di pietre né di solo pane vive l'uomo. Siamo fatti per cose più grandi; il pane è buono, è nel Padre Nostro, è indispensabile, ma più importanti ancora sono altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni. È l'invito a non accontentarsi, a non ridurre i nostri sogni a denaro. Non di solo pane vive l'uomo! Il pane è buono, il pane dà vita, ma più vita viene dalla Parola di Dio. Poi il tentatore alza la posta. Da me agli altri: io so come conquistare il potere! Tu ascoltami e ti darò il potere su tutto... È >>>
>>> come se il diavolo dicesse a Gesù: Vuoi cambiare il mondo? Allora usa il potere, la forza, occupa i posti chiave. Vuoi salvare il mondo con niente, con l'amore, addirittura con la croce? Sei un illuso! Cosa se ne fa il mondo di un crocifisso in più? Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli pane, autorità, spettacolo, allora ti seguiranno! Ma Gesù vuole liberare, non impossessarsi dell'uomo, lui sa che il potere non ha mai liberato nessuno. Il male del mondo non sarà vinto da altro male, ma per una insurrezione dei cuori buoni e giusti. Il diavolo chiede ubbidienza e offre potere. Fa un commercio, un mercato con l'uomo. Esattamente il contrario di come agisce Dio, che non fa mercato dei suoi doni, ma offre per primo, dà in perdita, senza niente in cambio... L'ultimo gradino è una sfida aperta a Dio, demolisce la fede facendone l'imitazione: «Chiedi a Dio un miracolo». E ciò che sembra essere il massimo della fede, ne è invece la caricatura: non fiducia in Dio ma ricerca del proprio vantaggio, non amore di Dio ma amore di sé, fino alla sfida. Buttati verranno gli angeli. Gesù risponde «no»: «Io so che Dio è presente, ma a modo suo, non a modo mio. Dio è già in me forza della mia forza». E gli angeli mi sono attorno con occhi di luce. Dio è presente, è vicino, intreccia il suo respiro con il mio. Forse non risponde a tutto ciò che io chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve. Interviene, ma non con un volo di angeli, bensì con tanta forza quanta ne basta al primo passo. Padre Ermes Ronchi
la prima lettura La certezza della fede ebraica: ti racconto Dio nella mia storia Dal libro del Deuteronòmio 26,4-10 Mosè parlò al popolo e disse: «Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».
Avere una storia è una dimensione essenziale dell'uomo, poterla conoscere e orientare è una componente non secondaria della sua riuscita. Anche la nostra fede ci parla di una storia, la storia della salvezza. Per di più questa fede proviene da una catena di generazioni che ce l'hanno trasmessa e pretende di condizionare, in meglio, la vicenda personale di ciascuno e quella sociale di tutti. Quanto sia importante la storia per per la fede del popolo ebraico l'abbiamo ascoltato nella professione: "Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto... Gli Egiziani ci maltrattarono... Allora gridammo al Signore... il Signore ci fece uscire dall'Egitto... e ci diede questa terra... Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato!" L'Aramèo errante, nomade attraverso le steppe dell'Oriente, cioè Abramo, è suo padre e non solo un suo lontano progenitore. Il fedele si sente in immediato contatto con lui. È stato lui con la sua fede iniziale a permettergli di godere anche per quell'anno dei frutti della terra, dono di Dio. È importante che l'ebreo ricordi la sua storia e la reciti davanti al sacerdote per rinforzare la sua identità e il rapporto che lo lega al Signore, ma per la conoscenza dei fatti il suo racconto non è fondamentale. La cronaca degli avvenimenti sarebbe nota lo stesso anche se senza che tutti la ripetessero ogni volta. Infatti riguarda episodi pubblici. La cronaca delle tentazioni di Gesù invece nel Vangelo appartiene alla sfera privata. Nessuno avrebbe potuto non solo dettagliarla ma nemmeno congetturarla, se Gesù non avesse parlato lui personalmente ai suoi apostoli rivelando un episodio nascosto della sua esistenza terrena. Un po' come quella volta nell'Orto degli Ulivi quando i suoi soli tre accompagnatori erano caduti addormentati. Solo da una informazione diretta uscita dalla bocca del Signore risorto i suoi Apostoli hanno potuto conoscere il dettaglio di quei momenti di angoscia. Significativamente si tratta del momento iniziale e di quello finale della vita pubblica del Signore. Dunque ci furono delle tentazioni subito dopo il Battesimo per il Signore, come ci fu una prova per Adamo; con una differenza, Adamo barcollò e cadde e invece Gesù rimane saldo in piedi e vince. Per quanto pensiamo di avere tutti i fatti sotto controllo c'è una parte della realtà che ci sfugge ed è quella che si consuma nel segreto della coscienza di ogni persona. Esiste un'area segreta nella vita di ciascuno che è il santuario della coscienza, inaccessibile e inviolabile dall'esterno dove ciascuno decide del destino proprio ed esistono occasioni eccezionali in cui si prendono decisioni capaci di condizionare tutto il resto della propria esistenza. Diceva uno scrittore francese: "La vita intera di un uomo dipende da due o tre sì e da due o tre no detti tra i sedici e i vent'anni." Tutto il percorso seguente di una persona procede da poche decisioni enumerabili sulla dita di una mano assunte nella propria adolescenza. La storia civile per lungo tempo è stata raccontata facendo perno sulle guerre, qualcuno nel millesettecento ha proposto di scandirla secondo le scoperte scientifiche. Poi è venuta la bomba atomica, e adesso siamo più consapevoli che una giusta ripartizione delle epoche storiche deve considerare le tappe del progresso morale dell'umanità cioè delle buone pratiche apprese e delle cattive condotte lasciate. don Daniele Muraro
LA PREGHIERA DEL MATTINO
Resta con noi, Signore, nell’ora della prova dal Salmo 90 Chi abita al riparo dell’Altissimo passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente. Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido».
PREGHIERE IN ... PILLOLE! Spirito Santo, che riempi l’universo, in un soffio di silenzio dici a ciascuno di noi: “Non avere paura, in profondo, dentro di te, c’è la presenza di Dio; cerca e troverai”. Dio di compassione, ti preghiamo per quelli che sono nella prova. Ispira i cuori di chi cerca la pace tanto indispensabile per tutta la famiglia umana.
LA PREGHIERA DELLA SERA
NEL DESERTO, CERCARE IN PROFONDITA’ PER ATTINGERE ALLA “POZZO” DELLA PAROLA Un ricchissimo sceicco volle trasformare un pezzo di deserto, tua sabbia, in un’oasi verdeggiante. Ingaggiò validi ingegneri e molti operai, che incominciarono subito a lavorare. Fecero strade, stradine, canali, ponti, case ... ma non cambiava nulla: rimaneva tuo deserto. Finché un giorno, un uomo semplice ma saggio, passando di lì disse a quei tecnici: “Ma non ve ne siete accorti? Qui manca l’acqua! Smeetela di lavorare in superficie, cominciate a scavare in profondità. Cercate l’acqua. Fate un pozzo! La fecondità di quest’oasi non dipende dai canali fai, dalle strade, dalle case ... ma da quel pozzo. Se sgorgherà l’acqua dalle profondità della terra tuo prenderà vita ... se no ... niente”.
Non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie. Sulle mani essi ti porteranno, perché il tuo piede non inciampi nella pietra. Calpesterai leoni e vipere, schiaccerai leoncelli e draghi. «Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e io gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso».
Tu, Signore, sei la mia difesa dal Salmo 3 Signore, quanti sono i miei oppressori! Molti contro di me insorgono. Molti di me vanno dicendo: "Neppure Dio lo salva!" Ma tu, Signore, sei mia difesa, tu sei mia gloria e sollevi il mio capo. Al Signore innalzo la mia voce E mi risponde dal suo monte santo. Io mi corico e mi addormento, mi sveglio perché il Signore mi sostiene. Non temo la moltitudine di genti Che contro di me si accampano. Sorgi, Signore, salvami, Dio mio. Del Signore è la salvezza: sul tuo popolo la tua benedizione.
SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 4) Dio non permetterà che io cada, lui è il mio custode, non si distrae. Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode di tutti i popoli della terra. Il Signore è il mio custode, il Signore è per te. come la tua ombra ed è vicino a me, sempre. Il Signore mi custodirà da ogni male; egli custodirà la mia vita.
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Parrocchia di Montanara Seconda settimana di Quaresima - 24 febbraio 2013
Saldi nella bellezza
il Vangelo La certezza del cristiano: l’incontro con Gesù fa uscire il meglio di noi
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Dal Vangelo secondo Luca 9,28-36
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
aggrappati al moschettone della preghiera Gesù rimane saldo nella sua fede perché vive con intensità l’esperienza della preghiera. Il Vangelo inizia infatti con l’indicazione che “salì sul monte a pregare”. La preghiera è esperienza di “trasfigurazione”, ci fa vedere la realtà con gli occhi di Dio, ci fa entrare nel mondo di Dio, nella sua logica di pensare e giudicare gli avvenimenti, nella sua logica di vedere la realtà. E per Gesù la preghiera è esperienza di bellezza, di scoperta di un cammino glorioso anche se attraverso un “esodo” di sofferenza. La preghiera non cambia Dio, ma cambia noi, cambia il nostro modo di pensare, di scegliere, di affrontare le cose, di vedere noi stessi e gli altri. L’impegno di questa settimana può essere quello di vivere con intensità la preghiera personale e magari anche in famiglia. In parrocchia è possibile partecipare ogni giorno alla preghiera delle Lodi mattutine alle ore 9 e alla preghiera del Vespro alle ore 19, nonché alla via Crucis il venerdì, ma anche la messa feriale. La preghiera, come per Gesù e i discepoli con lui, non è una “evasione” dalla realtà, ma un modo per interpretare e affrontare la realtà in tutta la sua potenzialità di bellezza.
Chi ascolta Gesù viene trasformato La trasfigurazione è la festa del volto bello di Cristo. Il volto è la grafia dell'anima, la scrittura del cuore: Dio ha un cuore di luce. Il volto di Gesù è il volto alto dell'uomo. Noi tutti siamo come un'icona incompiuta, dipinta però su di un fondo d'oro, luminoso e prezioso che è il nostro essere creati a immagine e somiglianza di Dio. L'intera vita altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce e la bellezza che Dio ha deposto in noi: «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Teilhard de Chardin). Il volto della trasfigurazione trasmette bellezza: è bello stare qui, altrove siamo sempre di passaggio, qui possiamo sostare, come fossimo finalmente a casa. È bello stare qui, su questa terra che è gravida
di luce, dentro questa umanità che si va trasfigurando. È bello essere uomini: voi siete luce non colpa, siete di Dio non della tenebra. La Trasfigurazione inizia già in questa vita (conosciamo tutti delle persone luminose, volti di anziani bellissimi, nelle cui rughe si è come impigliato un sole) e il Vangelo indica alcune strade: - la prima strada è la preghiera (e mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto) che rende più limpido il volto, ti rende più te stesso, perché ti mette in contatto con quella parte di divino che compone la tua identità umana; - è necessario poi conquistare lo sguardo di Gesù che in Simone vede la roccia, nella donna dei sette demoni vede la discepola, in Zaccheo vede il generoso...; allenare cioè gli occhi a vedere la luce delle cose e delle persone, non le ombre o il negativo. Se ti guardo cercando le tue ombre, io già ti condanno. Io devo confermare l'altro che ha luce in sé,
allora lui camminerà avanti; - terza strada è nel verbo che è il vertice conclusivo del racconto: ascoltatelo. Chi ascolta Gesù, diventa come lui. Ascoltarlo significa essere trasformati. Il salmo 66 augura: Il Signore ti benedica con la luce del suo volto. La benedizione di Dio non è ricchezza, salute o fortuna, ma semplicemente la luce: luce interiore, luce per camminare e scegliere, luce da gustare. Dio ti benedice ponendoti accanto persone dal volto e dal cuore di luce, che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Dio benedice con persone cui poter dire, come Pietro sul monte: è bello essere con te! Mi basta questo per sapere che Dio c'è, che Dio è luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce. padre Ermes Ronchi
rispondere: "Sì, è proprio così e sono felice che sia così". Oppure: "Tu non assomigli a nessuno!": "Ho lavorato tanto perché non accada!". Oppure: "Ma perché non fai come tutti?": "Perché io Dal libro della Gènesi 15,5-8 sono unico!". E se il gruppo ci dirà: "Non ci In quei giorni, Dio condusse fuori Abram piaci così perché non sei come e gli disse: «Guarda in cielo e conta le noi (vorremmo o facciamo)", stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: dobbiamo aver la forza di anche la loro «Tale sarà la tua discendenza». Egli sostenere disapprovazione o esclusione credette al Signore, che glielo accreditò perché altrimenti saremo sempre come giustizia. in loro balia e non potremo seguire la nostra strada. Il grande modello rimane Gesù che fu davvero unico, diverso da tutti, "fuori" Gli ostacoli e le sfide da tutti gli schemi: chi segue Dio non segue nessun altro. plasmano ciò che sei La seconda cosa che Gesù capisce nell’episodio della trasfigurazione è la Gesù delude le aspettative della gente e missione speciale che gli viene dei discepoli: non è come volevano che Lui fosse. Gesù non è il Messia affidata(con la forza di Mosè e l'ardore di Elia). E come si può sentire un uomo trionfale e forte; Gesù è il Messia sofferente e debole. Gesù non sarà che sa "cosa deve fare"? Quanto dev'essere felice? Quanto dev'essere come Mosè e non sarà come Elia: Gesù sicuro, forte, deciso, ancorato? Sa ciò sarà solo se stesso, come Gesù! Gesù non ha paura di esser se stesso anche se per cui c'è, sa ciò che deve fare, sa che la sua chiamata viene da Dio. ne conosce bene i costi: l'impopolarità. Il beneficio però è l'autenticità, l'essere La forza viene dalla consapevolezza di saper cosa si deve fare e dal farlo. felici di ciò che si è, la forza di vivere Allora il tempo passa ma c'è un il proprio destino dovunque porti, perché questo si è. Essere se stessi, obiettivo; allora si vive ma c'è un senso; allora le tue fatiche, le tue lotte, viversi, dà una vitalità e una forza impagabili. Questo per me è un grande hanno un senso; allora non ti disperdi più ma ti concentri in ciò che è la tua compito. Come Gesù: "Sii te stesso, meta; allora senti che il tuo esserci è vivi il tuo destino e la tua missione". Un criterio di realizzazione personale è una benedizione per te e per il mondo, che è bene che tu ci sia, non perché sia vivere la propria originalità. Io sono unico: è per questo che ci sono. Se non accettato da tutti ma perché la Vita ha bisogno di te. fosse così non ci sarei perché non Il compito di Gesù è annunciare avrebbe senso il mio esserci. Le fotocopie in natura non esistono; Dio fa l'amore infinito e incondizionato del Padre. Lui viene per questo. nascere solo pezzi unici, il resto non serve. Di fronte ad un compito noi possiamo porci in tanti modi. Il primo: "Ma Se sono me stesso è ovvio, normale, perché a me? Ma che sfortuna! Ma vitale, che io non assomigli a nessuno. Perché se sono come gli altri è chiaro proprio a me? Ma cos'ho fatto di male io?". Lo rifiuto. che non sono come me. Essere come tutti vuol dire aver fallito la propria Oppure: "Cosa devo imparare? Cosa mi vuol dire la Vita?". E' già una buona unicità. Quando ci dicono: "Tu caro, domanda, perché nulla è senza senso e sei proprio diverso" (e la cosa ci fa sentire un po' in colpa), dovremo
La certezza della fede ebraica: essere l’”unico” popolo
senza significato; tutto è un messaggio per me. Ma ci aiuta di più chiederci: "Ma questa prova, questa sfida, questo ostacolo, quale dote, quale talento, quale risorsa, di me vuole plasmare, vuole far uscire, vuole far vivere?". Perché allora la vita non è più questione di fortuna o di sfortuna, ma tutto ciò che succede è un modo con cui la vita cerca di aiutarmi e con cui mi allena a tirar fuori le mie capacità e ciò che sono. Avete presente un allenatore? Per sviluppare le doti fisiche del suo "campione" lo deve far soffrire, non perché gli vuole male ma perché l'impegno, lo sforzo, la lotta, gli permette di far uscire le sue qualità. Ecco noi siamo dei "campioni" e le situazioni che accadano ci servono per plasmare le nostre qualità. Gandhi da piccolo aveva paura di tutto: ma questo fu un "allenamento" per sviluppare la sua (grande) anima. Alex Zanardi perde "le sue gambe". Questo diventa un "allenamento" per la sua missione: la voglia di vivere. Etty Hillesum finisce ad Auschwitz. Questo diventa "l'allenamento" per la sua missione: essere un balsamo per le ferite e per i cuori degli uomini. Soffrire l'ingiustizia diventa "un allenamento" per sviluppare la verità. Soffrire l'oppressione diventa un "allenamento" per sviluppare la libertà. Soffrire per la maldicenza e il giudizio diventa un "allenamento" per sviluppare l'autonomia. Soffrire di solitudine diventa un "allenamento" per sviluppare la comunione e l'amore di gruppo. Soffrire la vergogna diventa un "allenamento" per sviluppare la stima di sé. Soffrire di paura diventa un "allenamento" per sviluppare la fede in Dio, l'abbandono e il non controllo. L'odio gratuito e ingiustificato di cui Gesù fu oggetto per tutta la vita gli permise di sviluppare quella sensibilità profondissima per ogni creatura (nessuno merita odio ma tutti abbiamo bisogno d'amore) e quella fiducia sconsiderata nel Padre suo. continua alla pagina seguente
Facciamo un gioco: vi fermate un attimo, chiudete i vostri occhi e guardate cosa visualizzate (è un attimo) di fronte alla parola "Vita" (fatelo e dopo continuate a leggere) Ciò che avete visto è l'immagine che voi avete di vita. Se avete visto una strada in salita o una parete di settimo grado, come potrete vivere felici? Se avete visto tutti i lavori da fare in casa, come potrete godervi la vita? Cioè: se noi associamo alla parola "vita" un'immagine negativa, la nostra vita sarà così, dura e dolorosa. La maggior parte delle persone non crede di poter essere felici: crede che le cose, che le possibilità, che l'avere, che il raggiungere dia un'ebbrezza di gioia, ma non crede di poter essere felici. Alcune persone si sentono addirittura in colpa nell'essere felici: "Con tutta la sofferenza che c'è in giro!". Altre, pur non sapendolo, sabotano la loro vita e devono sempre trovare qualcosa che non va. Ma noi abbiamo il diritto e il dovere di essere felici. Ma cos'è la felicità? La trasfigurazione è una visione che Gesù ha di sé: Gesù vede dentro di sé (e vede Mosé ed Elia). La felicità è tutta qui: vedere dentro, vedere la vera faccia delle cose, non tanto la figura esterna (la figurazione, l'immagine) ma quella interna (la tras-figurazione, l'essenza). Trasfigurazione è quando percepisci al di là dei tuoi limiti e della tua debolezza chi sei tu e cos'è la vita. E' andare all'essenza, al centro delle cose; è la visione della realtà. La nube, la quotidianità, la forma, la materia, la nasconde: ma a volte uno sguardo di
DOMENICA Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Mamma, papà, perché oggi mi avete chiamato per pregare? e perché in cucina attorno alla tavola? Perché oggi nella preghiera vogliamo ringraziare Dio per il dono della famiglia, della vita, dell’amore, e la cucina è il luogo in cui condividiamo. Cosa vuol dire condividere? Significa mettere insieme le nostre cose perché siano di tutti. Ma quali cose sono da mettere insieme? Sia le cose materiali, come il cibo che mangiamo, come i giochi, ma anche le cose spirituali come i nostri pensieri, le nostre gioie, le nostre tristezze, le nostre preghiere. Che cosa possiamo mettere in comune oggi attorno a questa tavola? Da cosa cominciamo? Cominciamo dalla preghiera. Ognuno può esprimerla e condividerla con gli altri ....
luce la penetra e tu vedi l'essenza della vita. La vita è lavoro e durezza ma in certi giorni ti vien da dire: "Potrei anche morire, tanto sono pieno", sappi che questa è trasfigurazione, felicità. Un fiore, un tramonto, il volo degli uccelli, non è niente di particolare: ma se tu "guardi", entri dentro e allora puoi emozionarti per ciò che vedi. Non sei matto, infantile o una femminuccia: è trasfigurazione. Se ti capita di piangere a dirotto senza parole perché colmo quando qualcuno ti ha detto: "Ti amo!", oppure: "Mi sposi", oppure: "Sono incinta, aspettiamo un figlio", sappi che questa è trasfigurazione. Se ti è capitato di prendere in braccio tuo figlio appena nato e di guardarlo e di chiederti: "Ma viene da me? Ma l'ho fatto io?" e di essere incredulo e di non volerti staccare da lui, sappi che questa è trasfigurazione. Se ti è capitato di piangere solo perché eri felice e per nessun altro motivo, sappi che questa è trasfigurazione. Se ti è capitato di innamorarti, di perdere la testa per qualcuno, di provare l'emozione che fa battere il cuore, sappi che questa è trasfigurazione. Se ti è capitato di appassionarti per la musica, per la poesia, per la verità e di voler vivere solo per lei, sappi che il mondo dirà che sei "matto, scemo, fuori di testa", ma tu conoscerai la felicità. Se ti è capitato di essere in mezzo alla confusione totale o di non poter far più nulla per chi di caro sta morendo e di
LUNEDI’ Perché oggi mi avete chiamato a pregare? e perché davanti alla finestra? Perché oggi nella preghiera ringraziamo e lodiamo Dio per la bellezza del creato ... MARTEDI’ Perché oggi mi avete chiamato a pregare? e perché nel letto con voi? Perché oggi nella preghiera ringraziamo Dio per la bellezza della nostra famiglia e della possibilità di poter stare insieme ... ricordandoci di tutti quelli che non hanno questa possibilità MERCOLEDI’ Perché oggi mi avete chiamato a pregare? e perché davanti alla televisione? Perché oggi nella preghiera ci interessiamo di quello che accade nel mondo, chiedendo aiuto al Signore per coloro che sono nella necessità e domandando che ci sia un mondo più bello e più giusto ...
sentire di essere nelle mani di Dio e della Vita, sappi che questa è la felicità del cuore. Se ti è capitato un fatto che ti ha cambiato la vita, che ti ha salvato, per cui tu non sei più stato e non hai più potuto essere quello di prima perché intimamente toccato, sappi che questa è trasfigurazione. Se ti è capitato di essere attaccato e di soffrire per ciò che credi e per le tue idee ma di non essere sceso a compromessi, di non aver patteggiato, rimanendo autentico, sappi che questa è trasfigurazione. Allora puoi guardarti allo specchio con la dignità di un uomo e il coraggio di un guerriero. Se ti è capitato qualche volta di sentirti parte di un'unità più grande dove tutto è unito e collegato, dove nulla è diviso e diverso, fratello e sorella di tutto ciò che vive ed esiste, sappi che questa è mistica, felicità. Il monte della Trasfigurazione è il Tabor. Tabor vuol dire ombelico, centro: lì viene comunicato l'essenziale. L'essenziale è: 1. Abbiamo il diritto e il dovere di essere felici. 2. Felicità non è avere, ma è far vivere la luce, la missione, la vita, le doti, che sono dentro di noi. Dio è in noi e chiede di essere manifestato. 3. La felicità è poter scorgere la luce e il divino che risiedono in ogni cosa. Noi siamo in Dio e non c'è nulla da temere perché siamo al sicuro. Un giorno un ciliegio disse ad un mandorlo: "Parlami di Dio!". E il mandorlo fiorì!... trasfigurazione! don Marco Pedron
GIOVEDI’ Perché oggi mi avete chiamato a pregare? e perché seduti sul divano? Perché oggi nella preghiera ringraziamo Dio per la possibilità di ascoltarci e di dialogare: con calma ci diremo ciò che ci sta a cuore e poi apriremo il Vangelo per ascoltarLo VENERDI’ Perché oggi mi avete chiamato a pregare? e perché andiamo in chiesa o davanti ad una immagine sacra? Perché oggi ricordiamo la morte di Gesù, il dono della sua vita per noi, il suo amore per noi, e lo ringraziamo. SABATO Perché oggi mi avete chiamato a pregare? e perché davanti al ripostiglio? Perché oggi dobbiamo fare le pulizie di casa, mettere in ordine, prepararci alla domenica, e nella preghiera chiediamo perdono di quanto non va e dobbiamo buttare via e chiediamo aiuto per mettere in ordine ciò che c’è dentro di noi ...
LA PREGHIERA DEL MATTINO
Il Signore è mia luce e mia salvezza dal Salmo 26 Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura?
PREGHIERE IN ... PILLOLE!
Dio di tutta l’eternità vorremmo cercarti nel silenzio della preghiera e vivere della speranza scoperta nel Vangelo.
Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi! Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». Il tuo volto, Signore, io cerco.
Spirito Santo quando il nostro cuore conosce l’inquietudine per ciascuno di noi tu apri una via: quella di consegnare a Dio tutta la nostra vita.
LA PREGHIERA DELLA SERA
Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. Signore, fa’ splendere su di noi la luce del tuo volto dal Salmo 66 Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto;
OCCHI FELICI Un giorno un fotografo avvicinò Madre Teresa di Calcua per fotografarle gli occhi. Prima di fare gli scai, le disse: “Madre, mi permea un’impertinenza! Lei ha il viso così profondamente segnato dallo scorrere del tempo, però ha gli occhi più felici che io abbia mai incontrato! Come mai?” Madre Teresa sorrise e rispose: “I miei occhi sono felici perché le mie mani hanno asciugato tante lacrime”.
LA FELICITA’ E’ UNA SCELTA Il pessimista comincia con ciò che manca, l'oimista con ciò che c'è. Il pessimista alla sera: "Adesso comincia a far buio", l'oimista: "Adesso comincio a vedere le stelle". Il pessimista descrive l'oscurità che lo circonda, l'oimista accende la luce. Il pessimista in un paese di scalzi dice: "Nessuna possibilità di vendere scarpe, nessuno le porta". L'oimista: "Enormi possibilità, nessuno ha le scarpe". Il pessimista dice. "Domani è lunedì", l'oimista: "Oggi è domenica". Il pessimista vede passare la storia, l'oimista la costruisce.
perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti. Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra. Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. La terra ha dato il suo frutto. Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.
SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 139) Sei tu, o Dio, che mi hai creato: io ti ringrazio, hai fatto di me una meraviglia stupenda! I tuoi occhi mi hanno visto quando ancora non ero nato; tutti i giorni della mia vita erano scritti nel tuo libro prima che cominciassi a vivere.
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Parrocchia di Montanara Terza settimana di Quaresima - 3 marzo 2013
Saldi di fronte all imprevisto aggrappati
il Vangelo La certezza del cristiano: la pazienza e la fiducia di Dio
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Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
al moschettone dell esame di coscienza Gesù rimane saldo nella sua fede di fronte alla tentazione del diavolo attraverso la Parola di Dio. I quaranta giorni di deserto vissuti da Gesù, i trent’anni di silenzio della sua vita, non sono stati altro che un lento allenamento nell’ascolto del Padre, un continuo discernimento della volontà di suo Padre, un perseverante confronto con la Parola scritta nella Bibbia e con la parola scritta nella vita delle persone e nella loro testimonianza di fede. L’impegno di questa settimana può essere quello di riprendere in mano la Parola di Dio, il Vangelo, di leggerlo, di confrontarci con la parola di Gesù. Non sempre, nelle scelte che dobbiamo affrontare quotidianamente, ci chiediamo cosa ne pensi Dio, cosa ha da dirci, cosa suggerisce la sua Parola. Non sempre chiediamo di essere illuminati dalla sua Parola. Ci affidiamo più al buon senso, che è cosa buona, purché il nostro buon senso sia sempre più orientato dalla Parola del Signore.
Racconti di morte, nel Vangelo, e grandi domande. Che colpa avevano quei diciotto uccisi dalla caduta della torre di Siloe? È Dio che manda il terremoto? Per castigare qualcuno distrugge una città? Gesù prende le difese di Dio e degli uccisi: la mano di Dio non produce morte; l'asse attorno al quale gira la storia non è il peccato. Chi soffre si chiede: che cosa ho fatto di male per meritarmi questo castigo? Gesù risponde: niente, non hai fatto niente. Dio è amore e l'amore non conosce altro castigo che castigare se stesso. Smettila di pensare che l'esistenza si svolga nell'aula di un tribunale, Dio non spreca la sua eternità in condanne, o in vendette. La gente interroga Gesù su fatti di cronaca, ed è chiamata a guardarsi dentro.
Se non vi convertirete, perirete tutti. Due torri gemelle sono crollate, un 11 settembre di anni fa, ma vi abbiamo letto solo un fatto di cronaca, non un richiamo alla conversione. Se l'uomo non cambia, se non imbocca altre strade, se non si converte in costruttore di pace e giustizia, questa terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza e dell'ingiustizia. Gesù l'ha messo come comando che riassume tutto: amatevi, altrimenti vi distruggerete tutti. Il Vangelo è tutto qui. Amatevi, altrimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili. Nella parabola del fico sterile chi rappresenta Dio non è il padrone esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fiducioso: «voglio lavorare ancora un anno attorno a questo fico e forse porterà frutto». Ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest'albero è buono, darà frutto! Tu sei buono,
Troppo tardi Il vangelo di questa domenica ci presenta due situazioni del tempo, che pur non essendo ricordate nelle fonti storiche, sono molto probabili. Le raccontano a Gesù per lo sdegno, l'amarezza (la prima) e il dubbio (la seconda) che avevano lasciato nella popolazione. Gesù, però, non commenta i fatti ma li usa per la sua predicazione. Il primo episodio ("quei Galilei, il cui sangue, Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici" 13,1) avvenne durante la Pasqua. Pilato e i suoi predecessori erano conosciuti per i loro eccidi e la loro crudeltà. Pilato, in uno dei vari eccidi, uccise più di mille e cinquecento persone (per quel tempo una cifra enorme!). Poiché nella festa di Pasqua molti pellegrini andavano a Gerusalemme, Pilato, per prevenire qualche tumulto, ordinò un'esecuzione esemplare compiuta durante il sacrificio al tempio. Il secondo episodio (13,4), invece, riguarda un altro fatto di cronaca: la caduta di una torre situata nella zona di Siloe, che aveva provocato diciotto morti. Gesù spezza la mentalità del tempo, quando si credeva che il male, le disgrazie fisiche, gli infortuni, capitassero a causa del peccato dell'uomo. Gesù invece dice: "Quelli che sono morti non sono più colpevoli di voi!" (13,2.4). Cioè: "Non sono morti per espiare le colpe personali e non crediate di essere meno colpevoli di loro". Non vale la regola: tu fai il male e Dio ti punisce. E su questo iniziamo tutti ad essere d'accordo. Dico "iniziamo" perché fino a qualche anno fa (e tuttora negli strati profondi della psiche) alcune persone credevano che se avevano qualcosa di male era perché se l'erano meritato, perché Dio li aveva puniti.
darai frutto! Dio, come un contadino, si prende cura come nessuno di questa vite, di questo campo seminato, di questo piccolo orto che io sono, mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno. «Forse, l'anno prossimo porterà frutto». In questo forse c'è il miracolo della pietà divina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante sono sufficienti a Dio per attendere e sperare. Si accontenta di un forse, si aggrappa a un fragile forse. Per lui il bene possibile domani conta più della sterilità di ieri. Convertirsi è credere a questo Dio contadino, simbolo di speranza e serietà, affaticato attorno alla zolla di terra del mio cuore. Salvezza è portare frutto, non solo per sé, ma per altri. Come il fico che per essere autentico deve dare frutto, per la fame e la gioia d'altri, così per star bene l'uomo deve dare. È la legge della vita. padre Ermes Ronchi
L'equazione era: sei stato punito perché hai disobbedito. Ricordo un anziano con un tremolio ad una mano persistente. Mi aveva confidato che era stato perché una volta con quella mano aveva tirato un pugno a sua moglie ed era finita in ospedale: "Vede, Dio mi ha punito, occhio per occhio, mano per mano". Molte persone dicono: "Dio mi ha castigato; me lo sono meritato". Ma anche l'espressione: "Cos'ho fatto di male per meritarmi tutto ciò" sottende la mentalità che se fai il male, Dio ti punisce. La punizione non insegna niente: insegna solo la paura. Non fai più quella cosa non perché l'hai imparata, ma perché ne hai paura. La punizione e la violenza terrorizzano l'altro. Gli incutono una paura folle, per cui sarà un adattato, uno che vivrà obbedendo a tutto (è l'antica paura di prenderle) oppure una rabbia feroce (l'antica rabbia verso chi lo puniva) che lo farà sempre un irrequieto. La punizione fisica non è mai educativa; stabilisce solo che io sono più forte e che tu mi dovrai obbedire perché altrimenti "te le prenderai". Ma, invece, è vero il contrario: "Chi castiga non ama". Chi ama non vuole mai il dolore, la sofferenza, l'umiliazione dell'altro. Con le parole di oggi Gesù spezza l'associazione: "Sbagli, quindi paghi". "Pensate che fossero più peccatori di voi?" (13,2), "no vi dico". E fin qui tutti d'accordo. Il problema è che Gesù poi, però, sembra dire il contrario di quello che ha appena detto: "Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo" (13,3.5). Cioè: morirete proprio così, se non cambierete vita. Se non cambiate vita farete la fine di quei Galilei. Cosa vuol dire questa frase? E' una frase intimidatoria? Se non cambiamo Dio ci punisce?
No, non vuol dire questo. Dio non punisce, mai. Vuol semplicemente dire: "Tutto quello che fai ha delle conseguenze e delle ripercussioni". "Se tu fai questo... avrai quello: sappilo". Se non cambi ti accadrà questo: non è una condanna è una conseguenza. Un giovanissimo della mia parrocchia era spericolato con la moto. Tutti gli dicevano: "Stai attento perché se corri sempre così, prima o poi finirai male". In effetti successe proprio così; fece un incidente e rimase zoppo ad una gamba. "Ma che sfortuna! Proprio a me! Ma cos'ho fatto di male!". Se agisci in un certo modo, avrai delle conseguenze. Un giorno il maestro disse ai suoi discepoli: "Vi darò due notizie, una buona e l'altra cattiva. Quella cattiva è: se fate delle cose mortali, morirete". E quella buona, dissero i discepoli: "Che adesso lo sapete". La vita è nelle nostre mani e nelle nostre scelte. E, anche se non ci piace, molto di quello che ci succede, c'è successo perché noi lo abbiamo voluto. Non mi devo colpevolizzare (non mi serve) né devo fuggire questa verità così dura ("Non è vero! E' stato solo un caso!"); devo solo imparare perché non si ripeta. Convertirsi vuol dire cambiare direzione (shub in ebraico indica proprio un cambio radicale di rotta): tu stai andando in una direzione, ti accorgi che è sbagliata e cambi strada (ti converti). Molti dei nostri comportamenti ci portano a morire dentro... alla superficialità... ad allontanarci sempre di più dal nostro cuore e da noi stessi. Il fatto è che non ce ne accorgiamo. Quando poi succede il "colpaccio" o quando la distanza tra il partner è troppa o quando il comportamento si ritorce contro di noi diciamo: "Ma com'è stato possibile? Ma perché mi è successo questo?". Ti è successo per un motivo ben preciso, è che tu non l'hai visto o non l'hai voluto vedere. Finché sei in
tempo, allora convertiti, svegliati, accorgiti, perché verrà un giorno in cui sarà troppo tardi. Responsabilità (respondeo, rispondere, risposta) vuol dire che noi rispondiamo in prima persona della nostra vita, che non deleghiamo, che non scarichiamo le colpe della nostra vita alla società, agli altri, al passato, al mondo che è cattivo e che ce l'ha con noi. Responsabilità vuol dire che accettiamo che noi siamo al comando dell'auto della nostra vita e che questa va nella direzione che noi le diamo. La parabola del fico completa ciò che Gesù sta dicendo. Nei vigneti della Palestina si piantano anche alberi da frutto. Si lascia crescere l'albero per tre anni e poi l'albero inizia a portare i primi frutti. L'albero della parabola, invece, ha già sei anni e non ha portato ancora frutto. Il fico non richiede cure particolari, non ne ha bisogno in genere. Ecco perché il vignaiolo chiede di fare ciò che normalmente non si fa', tenta insomma un'ultima possibilità. Spesso in passato si è detto in riferimento a questa parabola: "Che cattivo Gesù! Perché non ha ancora pazienza! Perché è così duro?". In
realtà la parabola vuol dire: tu sei quel fico. Tu puoi portare frutto; tu puoi vivere in maniera feconda, puoi essere felice, puoi svilupparti e realizzarti. Questo tu lo puoi: come il fico tu puoi portare frutto. La vita inoltre ti dà delle occasioni speciali, particolari, ti fa incrociare delle situazioni uniche affinché questo avvenga. Nella parabola il vignaiolo si prende cura in maniera speciale di questo fico. La vita, in modi diversi, in certi momenti dà a tutti la possibilità di portare frutto. Tutti noi abbiamo avuto degli incontri che ci portavano in una certa direzione. Tutti noi abbiamo incontrato delle persone che ci facevano respirare un'altra aria. Tutti noi abbiamo incrociato qualcuno che ci diceva: "Vieni di qua; provaci; dai che ce la puoi fare!". Tutti noi abbiamo vissuto delle situazioni (morte di un amico, di un caro; un momento difficile di vita; una sofferenza interiore; una malattia, ecc) che ci chiamavano a vivere diversamente. Cos'abbiamo fatto in quelle situazioni? Perché rinuncia oggi e rinuncia domani, posticipa, rimanda, tralascia, abbandona, evita, rifuggi
oggi e rifuggi domani, verrà un giorno in cui non sarà più possibile "fare domani". Ecco che l'albero verrà tagliato: non c'è più niente da fare. Il fico viene tagliato perché dentro è morto, non c'è altro da fare. È così: se tu rifiuti certe proposte della vita, verrà un momento in cui sarai così vuoto, così distaccato da te, così morto nell'anima, così incapace di guardarti dentro, che sarà troppo tardi. Non è un giudizio o una condanna di Gesù, è solamente una conseguenza delle nostre scelte: troppo tardi. Un gatto era salito alto alto su di un albero. Nevicava molto e un uccellino gli diceva: "E' meglio che scendi perché io, se il ramo si spezza, posso volare via, mentre tu non farai in tempo a scappare". "Ma cosa vuoi che sia! Un fiocco di neve è nulla". L'uccellino continuava a dirgli: "E' meglio che scendi..." e il gatto continuava a rispondergli: "Un fiocco di neve in più non fa la differenza!". E così continuava a contare i fiocchi di neve che cadevano. 3.751.957... 3.751.958...3.751.959..., il ramo si spezzò e il gatto non poté che cadere rovinosamente a terra. Troppo tardi! don Marco Pedron
La certezza della fede ebraica: il nome di Dio, colui che “c’è” Dal libro dell’Èsodo 3,1-8.13-15 In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».
Nel deserto, un roveto arde senza consumarsi. Attratto dall'insolito spettacolo, Mosè decide d'avvicinarsi per vedere, quand'ecco si rivela a lui il Dio di suo padre, "il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Una teofania che manifesta a Mosé la sua vocazione a servizio del popolo d'Israele schiavo in Egitto: "Dirai agli Israeliti: Io-sono mi ha mandato a voi". Per la prima volta il racconto elohista del Pentateuco introduce il nome di Jahvé, che deriva dal verbo ebraico hàjah (=essere). A differenza degli equivalenti nei linguaggi occidentali, hàjah non esprime il puro essere ed esistere, ma piuttosto l'attività e l'efficacia dell'essere ?in azioné, diametralmente opposta alla sterilità muta del non-essere che qualifica gli idoli. Accogliere Dio come "Colui che è" significa dunque credere alla sua presenza nella storia, una presenza attuale, operante ed efficace. In altre parole, il suo nome ci dice che il nostro Dio è fedele alle sue promesse ed impegna la sua potenza per liberare continuamente in noi quelle energie di bene che ci sottraggono dalla schiavitù dell'ego e c'introducono, come Israele, in quella terra dell'interiorità feconda dove scorre "latte e miele", segno, per gli Ebrei ma in genere anche per tutti gli orientali, di fertilità e di abbondanza. Oggi, concedendomi un tempo più prolungato di quiete contemplativa, visualizzerò con occhi stupiti e grati il meraviglioso spettacolo del roveto che arde ma non si consuma. E dinanzi a Gesù-eucaristia, consegnando a Lui le catene delle mie piccole e grandi schiavitù, ripeterò nel ritmo del respiro: "Tu sei Colui che è". Grazie, Signore! Grazie perché il Tuo essere è perenne fecondità d'amore che mi rigenera continuamente prospettandomi orizzonti infiniti di libertà vera e duratura (Eremo di San Biago) L'apparizione di Dio a Mosè nel roveto ardente sull'Oreb è un momento chiave nella storia della salvezza. Segna il passaggio dalla fase dei patriarchi a quella di Israele come popolo: il movimento che questa teofania genera porterà alla liberazione dall'Egitto e all'ingresso nella terra promessa (che leggeremo domenica prossima). In questo episodio Dio rivela al tempo stesso la sua attenzione vigile per il popolo (ho visto, ho udito, conosco), la volontà di salvarlo (sono sceso per liberarlo), e il suo Nome. Le tre cose sono alla fine una sola. "Io-sono", questo il Nome che Dio rivela a Mosè, è un nome enigmatico e probabilmente dal significato polivalente. Tuttavia è certamente da leggere nel contesto della teofania, e prende senso alla sua luce. Si potrebbe dire: Io-cisono, Io-sono-con-te/voi, Io-sono-per-te/voi. Dio si "definisce", o meglio si fa conoscere, in ciò che fa per Israele; in questo caso: la sua liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Per capire chi è Dio, guardiamo cosa ha fatto e cosa fa: Dio si rivela nella storia; e si rivela appunto come colui che è attento e si prende cura, che libera e salva dall'oppressione di ogni tipo. Dunque, quando gli Israeliti chiederanno: "chi è questo Dio?", Mosè risponderà: "Lo vedrete da quello che egli compirà tra voi". L'espressione ricorre nei fatti dell'Esodo: "saprete che io sono il Signore" (cf. Es 6,7; 10,2; 16,6.12). In tal modo tutta la storia dell'Esodo, e più oltre, tutta la storia di Israele, diventa spiegazione del Nome rivelato nel roveto ardente. Possiamo aggiungere: tutta la storia umana nel suo complesso, e la storia della Chiesa, è esegesi del Nome di Dio; e anche la nostra storia personale. Dio non deve - e non può - essere rinchiuso in definizioni statiche: egli si rivela continuamente e nuovamente a chi sa guardare le sue opere. (don Marco Pratesi)
LA PREGHIERA DEL MATTINO
Il Signore ha pietà del suo popolo dal Salmo 102
PREGHIERE IN ... PILLOLE!
Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici.
Spirito Santo, mistero di una presenza, a ciascuno di noi dici: “Perché ti preoccupi? Una sola cosa è necessaria: un cuore in ascolto per comprendere che Dio ti ama e ti perdona sempre”
Gesù Cristo, vogliamo vivere delle tue parole: “Vi lascio la mia pace, non sia turbato il vostro cuore”.
LA PREGHIERA DELLA SERA
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. Il Signore compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi. Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d’Israele. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza dal Salmo 12 Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
O Dio dell’imprevisto fa’ che io non tema mai l’imprevisto, l’inconsueto, l’impensato poiché proprio Tu fosti tutto ciò, e feristi il cuore degli uomini con la tua assoluta Novità. Scioglimi il cuore, perché anch’io sappia sorprendermi e sorprendere per diversità di pensiero novità di vita fantasia d’amore prontezza di fronte al male. Fa’ che un pochino almeno ti assomigli o Dio dell’imprevisto, che nel tuo Figlio desti un giro ad un mondo rappreso e senza senso. Fa’ che io diventi immagine e strumento della tua Buona Novità. (Léon Bloy, ferroviere e saggista 1846-1920)
Fino a quando nell'anima mia proverò affanni, tristezza nel cuore ogni momento? Fino a quando su di me trionferà il nemico? Guarda, rispondimi, Signore mio Dio, conserva la luce ai miei occhi, perché non mi sorprenda il sonno della morte, perché il mio nemico non dica: “L'ho vinto!” e non esultino i miei avversari quando vacillo. Nella tua misericordia ho confidato. Gioisca il mio cuore nella tua salvezza e canti al Signore, che mi ha beneficato. Un uomo grida la sua sventura dabanti a Dio; è un grido di disperazione. D'un tratto il tono cambia; una fiducia illimitata invade il cuore di quest'uomo che canta la sua gioia e il suo grazie. Forse un fatto imprevisto ha rovesciato la situazione; una parola d'incoraggiamento, meglio ancora, un incontro con Dio nel segreto della preghiera. Sfiducia e fiducia sono il duplice movimento dei salmi di supplica, dei quali questo è un modello..
SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 139) I cieli narrano la grandezza di Dio, il firmamento annuncia le opere delle sue mani. Ogni giorno ne affida il racconto al giorno seguente e la notte ne trasmette notizia alla notte successiva. Non hanno bisogno di parole, non si sente la loro voce eppure per tutta la terra si diffonde la bella notizia e ai confini del mondo il messaggio che Dio è immenso.
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Parrocchia di Montanara Quarta settimana di Quaresima - 10 marzo 2013
Saldi di fronte al rischio di perdersi
il Vangelo La certezza del cristiano: un Padre che rimane
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Dal Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto,
aggrappati al moschettone della gioia della riconciliazione Gesù rimane saldo nella sua consapevolezza di essere figlio amato. Tutto gli può essere tolto, ma non il suo essere figlio, ma non il rapporto con il Padre. L’impegno di questa settimana può essere quello di curare le nostre relazioni con gli altri e con Dio, credendo nella possibilità di cambiamento di ciascuno.
portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Questo è un vangelo nel vangelo. Dietro a queste righe c'è veramente un universo per tutti noi. Questo brano è la storia di Dio che accoglie ogni figlio smarrito, che lo aspetta a braccia aperte. E' la storia di Gesù Cristo che ha dovuto lasciare la sua casa (Dio) per discendere sulla terra, finire nel più basso della terra (porci) per ritornare alla casa del Padre. E' la storia di tutti gli adolescenti del mondo che, per vivere, devono rompere con la casa e con il padre, per poter trovare se stessi, la propria vita, la propria missione e il proprio posto in questo mondo. E' la storia di come, a volte, si hanno le cose ma non ce ne rendiamo conto: per questo è fondamentale fare esperienza, capire, percepire, la ricchezza che si ha. E finché la si ha non ce se ne rende conto! Ci sono cose che non possono essere imparate nei libri ma solo "uscendo", facendo esperienza, vivendo, sbagliando e provando. E se ci si vuole proteggere dalla possibilità di perdersi e di sbagliare non le si imparerà. E' la storia di come si possono fare tanti errori nella vita, ma non è mai troppo tardi. Si può finire con i porci o si può condurre una vita depravata ma c'è sempre la possibilità di redimersi, di recuperare la propria vita e soprattutto la propria dignità. E' la storia dell'amore che rimane: quel padre rimane al di là di tutto, al di là dell'evidenza, al di là del dolore, al di là del rifiuto che ha ricevuto da suo figlio. E' la storia di chi ha paura di crescere, di cambiare: se ne sta in casa, con le sue solite idee, con il suo solito lavoro, nel suo solito mondo e muore. Muore perché la vita è andare, crescere, cambiare. Così il figlio maggiore che crede morto, depravato, l'altro fratello, non si accorge che sta parlando di sé. E' lui che è un morto in casa, è lui che è corroso e paralizzato dalla paura. E cosa fa? Giudica! Giudica perché non riesce a vivere la sua vita e lo infastidisce da morire che suo fratello invece lo faccia. Il giudizio è sempre la voce della morte: attacco te perché io non sono capace di vivere. E' la storia di come non sia possibile nessun viaggio se non si rientra in sé (15,17): se tu non ti ascolti, se tu non ti guardi dentro, se tu continui a vivere proiettato fuori, pensando che siano le cose a farti felice (soldi) o le persone che devono farti felice (padre, donne) tu deleghi la tua felicità agli altri. E' solo quando accetti l'impegnativo e responsabilizzante compito (ma anche affascinante e inebriante) che nessuno può fare questo per te, se non che te, che diventi adulto e che puoi accedere alla felicità della vita. Sono tutte possibili letture di questo vangelo. Questo vangelo è la storia, descrive, mostra come le relazioni cambiano nella vita. Guardate cosa succede.
C'è un padre con due figli. Essendoci tre persone ci sono tre relazioni: il padre e il minore; il padre e il maggiore, e i due fratelli, il minore e il maggiore. Per entrambi i figli il padre è colui che dà. Il figlio minore infatti gli dice: "Dammi la parte di eredità che mi spetta" (15,12). Sentite!? "Dammi": è chiaro come lui vede suo padre. Suo padre è colui che gli dà. Tutti i figli vedono così il loro padre e la loro madre: il latte, il cibo, i vestiti, una casa, i soldi per i libri, la possibilità di mangiare la pizza, di uscire con gli amici. I genitori sono coloro che danno ai figli. Guai se non fosse così: se il genitore non desse sostentamento e nutrimento, il piccolo morirebbe. E' la funzione del genitore nei primi anni di vita: dare (nutrire, proteggere, difendere dai pericoli, far crescere, sostenere, iniziare alla vita, ecc). E' lì per quello. Anche il figlio maggiore lo vede così; infatti gli dice: "E tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con gli amici" (15,29). Anche per lui il padre è colui che dà. E i due fratelli? Osservate i due fratelli non si rivolgono mai la parola. Non si diranno mai niente. I due fratelli non s'incontreranno mai! E perché non s'incontreranno mai? E' semplice: perché non vogliono incontrarsi, perché c'è un conflitto che li divide. Sono in conflitto per il padre: vince il maggiore (il prescelto), perde il minore che se ne deve andare. Capiamo allora perché il minore si rivolga in maniera così dura e perentoria al padre: "Dammi la parte del patrimonio che mi spetta" (15,12). Si rivolge così non a caso, non perché ha un caratteraccio, non perché è un depravato. Si rivolge così perché il padre ha scelto il maggiore (com'era normale e ovvio a quel tempo e in ogni tempo, per certi aspetti) e lui si sente rifiutato (ma lo è per davvero). Lui non è il preferito, il padre ha scelto l'altro e quanto fa male non essere scelti, non essere i primi! Questo vuol dire che non c'è relazione fra i fratelli? No, no, la relazione c'è eccome. Infatti si dice che è il figlio minore che chiede di andarsene. E' una relazione di odio, di competizione, di conflitto. Non si dicono niente ma si odiano "a sangue" (ed esploderà più avanti quando il maggiore gli dirà: "Ma ora che questi tuo figlio - non dice neppure "mio fratello", non lo riconosce neanche; per lui è un estraneo, uno solo da odiare - che ha divorato i tuoi averi con le prostitute..." 15,30). A quel tempo il figlio maggiore ereditava il patrimonio (i 2/3) alla morte del padre. Al minore spettava, invece (1/3). In genere, però, riceveva molto meno. Il figlio maggiore, come normale a quel tempo, è il preferito del padre, il prescelto, colui al quale passerà il suo patrimonio. Ecco perché vi erano quattro milioni di ebrei che vivevano fuori dalla Palestina (solo mezzo milione in Palestina). Ai minori non rimaneva altro
che andarsene. Il patrimonio non era solamente una questione economica (il maggiore ha di più) ma una questione affettiva: io (maggiore) sono di più. Le persone, i fratelli, non si fanno mai la guerra per i soldi, ma per l'amore! Avere più soldi rispetto all'altro vuol dire simbolicamente essere amati di più! Il maggiore si sente forte: è l'erede legittimo e il minore, geloso di questo legame speciale fra i due ma sconfitto nella competizione con il fratello, non può che andarsene. Quello che fa non è cattivo, è semplicemente normale. I due fratelli non sono alla pari, non sono uguali. Mai i fratelli sono uguali. E' un romanticismo della nostra mente pensare che i fratelli siano uguali, sullo stesso piano. Non è così. Pensateci un attimo. Il primogenito è il primo figlio, quello aspettato (quando è aspettato ovviamente!), quello desiderato, quello cercato e voluto. Ha tutto l'amore e la sollecitudine dei genitori. Li ha tutti per lui. Il secondo non sarà più il primo perché mancherà quella parte di novità e di investimento del primo. Il primo, poi, rispetto al secondo, è sempre più avanti. Tu che sei secondo hai uno che è più bravo a correre, a scrivere, a leggere, a fare le cose; ha più responsabilità da parte della mamma che gli da qualche piccolo incarico e lo ritiene più bravo di te (ed è vero che è più bravo di te: per forza!, è più grande di te!). A volte deve badare anche a te. E' ovvio che lui - pensa il bambino - è il preferito; è ovvio che lui è più bravo di me (lo è per davvero ai suoi occhi!). Vedere uno che è sempre "più" di te fa certamente arrabbiare. D'altra parte il primo non può essere che infuriato con l'ultimo arrivato: è venuto a sottrargli una parte della torta (l'amore). Prima era tutta sua (l'amore della mamma e del papà) e adesso deve condividerla. Vi siete mai chiesti perché, ad es., i secondi vanno sempre a "rompere" ai più grandi finché leggono, fanno i compiti, guardano la tv? E la mamma deve sempre intervenire: "Ma lascialo studiare; ma perché fai così, non ti fa nulla di male!; cos'ha fatto a te?". E' il suo modo per manifestare quanto lo odi, non lo sopporti e gli stia antipatico. Quando mio fratello, che ha sette anni meno di me, è arrivato in casa mia madre mi ha detto: "Ti piace il fratellino?". "Sì, sì", ho detto (per compiacere lei). Dopo trenta secondi però ho aggiunto: "Se non lo butti fuori tu dalla finestra, lo butto io". Vi siete mai chiesti perché accadono gli incidenti tra fratelli? "Oh, scusa mamma, per sbaglio l'ho spinto e si è fatto male!". ("Per sbaglio?: no, no, lo volevo proprio e sono anche contento!"). Il secondo ha uno che è sempre più di lui, per cui deve sempre dimostrare qualcosa perché l'altro sa di più, è capace di più, è meglio in, ecc. D'altra parte nella mente dei genitori, nessuno è come il primo. Ma perché è così! Il primo è il primo. Il primo grande amore
non si scorda mai. Tutte le prime volte hanno un'emozione che le altre (pur belle e intense) non hanno avuto. Pensate al primo amore, al primo appuntamento, al primo bacio, al primo giorno di scuola (magari è stato tremendo, ma lo si ricorda), alla "prima volta", ecc. Quello che il vangelo riporta è nient'altro che questo. Il maggiore sa di essere il primo e il minore sa di essere il secondo. Questo era all'inizio ma poi c'è stato un distacco, una lontananza. Il minore si è dovuto staccare dal padre, cioè dall'immagine che lui aveva di suo padre (la sua immagine era: "il padre è colui che dà il patrimonio. Se è così, mio padre allora preferisce mio fratello a me") e per questo ha dovuto andarsene. Finché stava lì non poteva cambiare quest'immagine. Per questo ha dovuto fare un viaggio, che è chiaramente un viaggio dentro di sé (15,17: "Rientrò in se stesso"). Anche il padre ha dovuto fare il suo viaggio, e infatti al ritorno del figlio minore lo troviamo fuori di casa ad aspettarlo. Si è dovuto distaccare dall'immagine: "Mio figlio ce l'ha con me. Cosa gli ho fatto io? Con tutto quello che fai per i figli, questa è poi la ricompensa! Manco ti telefonano! Ti usano solo!". E' l'idea di un padre che ha delle rivendicazione verso suo figlio: io ti do qualcosa (soldi, nome, ti ho dato la vita) e tu mi devi qualcosa (telefonare, seguirmi, prenderti cura di me, farmi felice, non lasciarmi, ecc). Il maggiore, invece, non ha fatto nessun viaggio. Suo padre è sempre quello che dà (dirà alla fine: "Non mi hai mai dato...", 15,29) e suo fratello è sempre quello inferiore e depravato. Vedete perché giudica: gli fa rabbia che suo fratello, quello minore, quello meno di lui, sia accolto in casa con la stessa dignità sua, al suo pari. Per questo ha bisogno di distruggere la sua immagine, di infangarla, di screditarla. Gli fa rabbia aver perso la sua superiorità. Il problema del maggiore è che è sempre rimasto in casa; non è mai uscito. Quanta gente sempre "in casa", con le sue solite quattro ideucce, i soliti pensieri, la solita gente, il solito modo di pensare, le stesse cose e tradizioni da sempre. Uscire è conoscere; uscire è mettersi in discussione; uscire è scoprire cose incredibili; uscire è rendersi conto che il mondo e la vita sono infinitamente più grandi della nostra piccola e sclerotizzata testa. Ma uscire fa paura: per questo è meglio rimanere in casa. Se il minore è un uomo che ha trovato la vita perché è uscito, ha fatto esperienza, si è giocato in prima persona, il maggiore è un uomo morto, trincerato nei suoi vecchi schemi e pregiudizi. Il vangelo non dice come finirà, ma noi sappiamo come finirà il maggiore. E' un uomo morto e, se non cambierà, lo rimarrà per sempre.
Quando il minore ritorna sia il minore che il padre sono diversi. Il padre non è più colui che dà e il minore non è più colui che prende. Hanno fatto la loro strada. Il padre prima aveva dato ma adesso esce fuori e va a ricevere (gli va incontro, gli si getta al collo e lo fa entrare in casa). Quel figlio non è più il figlio che prende ma il figlio che dà. Cosa dà il figlio al padre? Gli dà la paternità: quell'uomo adesso sente che essere padre non è più questione di soldi (patrimonio) ma di amore, affetto, presenza (paternità). Guardate i verbi: vide ancora lontano, commosso, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò (15,20): sono i verbi del cuore, dell'amore. Il padre riceve la paternità. Dal patrimonio (ti do le mie cose, quello che ho) alla paternità (l'amore). Il padre impara e riceve la paternità: essere padri non è dare cose, posizioni, status sociale; paternità è dare qualcosa di sé, è poter essere una casa che rimane ogni volta che si vorrà venire. E il far festa con il vitello grasso non è altro che una conseguenza dell'amore. Il maggiore invece sarà ancora lì a discutere di capretti, vitelli grassi, soldi risparmiati e soldi scialacquati: non ha ancora capito, non è ancora passato, non ha fatto nessun viaggio, non ha cambiato padre (immagine). Ma anche per il figlio minore quel padre non è più il padre dell'inizio. All'inizio la funzione di suo padre era prendere, ricevere. Il padre gli doveva delle cose. Ma dopo il viaggio, il padre non gli deve più niente, infatti dentro di sé pensa: "Gli dirò: Trattami come uno dei tuoi garzoni" (15,19), e si sa che ai garzoni non si deve niente, non possono accampare pretese. Suo padre adesso è un uomo al pari suo (infatti lui pensa che abbia il diritto di trattarlo come un servo: "Ho sbagliato, mi prendo le mie responsabilità, è giusto che lui mi tratti così"). Per lui suo padre prima era colui che lo rifiutava ("Me ne vado perché non mi vuoi, perché preferisci mio fratello maggiore!"); ma adesso è colui che lo accoglie. Per il maggiore, invece il padre è e sarà sempre lo stesso: per questo si sente rifiutato. Per lui il padre è cambiato ("ama mio fratello quanto come me") e si scontra con la sua immagine interna ("io non sono più il suo preferito"). Per questo lo rifiuta e lo attacca. I rapporti cambiano; se non cambiano muoiono o finiscono (che è la stessa cosa). In questo vangelo, come sempre nella vita, chi viaggia vive e chi rimane fermo muore. Padre e figlio minore si possono incontrare a livelli profondi solo perché entrambi sono usciti dalle loro posizioni e hanno viaggiato. Il maggiore è sempre rimasto lì, non è andato da nessuna parte: è morto! All'inizio il loro discorso verte solo sul patrimonio (figlio) e sul dividere i beni (padre). Ma quando si rincontrano tutto questo non conta assolutamente più:
l'unica cosa che fanno è di chiedere perdono (figlio) e di commuoversi, abbracciare e baciare (padre). La relazione, dopo una crisi così forte, è diventata profonda, intima, su di un livello diverso. Le relazioni non finiscono perché manca l'amore. Le relazioni finiscono perché non vogliamo cambiare. Conosciamo qualcuno, stiamo con qualcuno e gli attacchiamo un'etichetta: "Tu sei questo". E' un bisogno dell'uomo definire le cose. L'altro è "questo" ma anche molto di più. Così quando l'altro cambia o la relazione chiede di cambiare diciamo: "No, tu non sei questo; non ti riconosco più". E' proprio questo il punto(!): si tratta di vedere cose che prima non si vedevano. Le relazioni cambiano perché noi cambiamo. Questo vale anche per noi con noi stessi. Se noi non abbiamo il coraggio di cambiare le nostre maschere (le immagini che noi abbiamo di noi) ci condanniamo a vivere una vita mortale. Il padre è l'uomo per bene: non fa ingiustizia (per quel tempo), da a ciascuno anche quanto non gli spetta (solo dopo la morte si riceveva il patrimonio!), non protesta e non dice nulla. E' l'uomo perbene quello che non fa male a nessuno, onesto, non alza la voce, va sempre in chiesa ed è rispettato da tutti. Ma quando il figlio tornerà se ne infischierà dell'immagine dell'"uomo dabbene" e farà quello che nessun padre a quel tempo avrebbe fatto in quella società: corre, piange, abbraccia, bacia. Non gli interessa più sostenere l'immagine di bravo uomo: ha fatto un viaggio e ha capito che l'amore è più importante. Ha saputo "perdere" l'immagine di rispettato da tutti e di padre perfetto. Non è più un padre perfetto adesso; adesso è un padre che ama. Il minore è l'uomo: "Con i soldi si fa tutto". La gente dice che i soldi non sono importanti; ma per i soldi la gente si fa le guerre, si tradiscono i fratelli, si denigra i colleghi, ci si accapiglia anche per tre metri quadrati di terra, si rompono legami forti. Il minore crede di poter far tutto ma poi scopre che non è così. Se tu impronti la tua vita solo sui soldi non finirai che come dice il vangelo: tra i porci! Il minore deve perdere l'immagine di sé "io posso tutto" e accettare che lui, proprio lui si è sbagliato e ha fallito. Quanta gente è ostinata: "E' così e non si discute; non ho sbagliato; voglio avere quella cosa". E' il bambino che si impunta e che vuole l'impossibile, vuole quella cosa anche se gli fa male. E' il bambino che non accetta il dolore del fallimento e diventa cocciuto. Il maggiore è l'uomo: "Io sono in regola". Non beve, non fuma, non va a donne (così almeno si presenta) e non fa feste e baldorie con gli amici (mai un capretto). E' sempre in casa, sempre disponibile, dice sempre di sì e non si è
mai rivoltato contro a suo padre. Un figlio, meglio di così!!! In realtà non ha mai trasgredito per non perdere l'immagine di bravo e perfetto figlio. E quando si accorge che suo padre ama anche i non perfetti, allora il suo odio esplode. Ha bisogno di vedersi perfetto, cioè più di suo fratello e degli altri. Non può non vedersi così. Ma dentro cova odio e risentimento (come tutti i perfetti). E non riesce fare il passaggio dalla perfezione all'umanità; lui non fa nessun viaggio; lui non cambia. Per questo, come tutti i perfetti, è spietato.
Il padre "esce di casa", perde le sue sicurezze e la sua faccia (era disonorevole fare ciò che ha fatto). Il minore "perde tutto" nella sua uscita. "Quando esci di casa", quando inizi a camminare ti accorgi che Dio (quello che tu chiamavi Dio) non è Dio; che tu non sei tu: pensavi di essere libero e di conoscerti ma dicevi di conoscerti solo perché dormivi. Ti accorgi che stai ancora dormendo o che sei ancora dentro al pancione della mamma: e ti ritenevi libero! Ti accorgi che le cose non stanno come pensavi, che tutto quello a cui credevi prima adesso viene messo in discussione, che non ci si può
La certezza della fede ebraica: entrare nella terra Dal libro di Giosuè 5,9.12 In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan. Quando finisce la manna? Quando Israele finalmente, dopo il suo lungo viaggio nel deserto accompagnato dalla premura di Dio, entra nella terra che gli è stata promessa, entra nella "sua" terra. Lì, in quel momento, nello stesso istante in cui i suoi piedi calpestano Canaan, la terra che ormai è sua, la manna scompare. Scompare il dono è stato fatto ad Israele senza una sua partecipazione, un pane che egli non ha contribuito a lavorare, frutto di un grano che egli non ha piantato, di una farina che non ha macinato, di una pasta nella quale non è stato lui ad inserire il lievito. La manna finisce quando Israele entra in una nuova fase della sua vita, diventa, per così dire, adulto, e il dono di Dio è ormai la sua stessa responsabilità, capace di procacciarsi da solo il pane. Certo, anche nel deserto il dono di Dio era diventato cammino responsabile, e i passi in quel lungo itinerario aveva dovuto metterli Israele. Anche allora c'era uno spazio per la libera iniziativa del popolo, e l'amore di Dio per lui aveva allestito uno spazio davanti ai suoi piedi, uno spazio da riempire autonomamente. Ma in quella "infanzia" del popolo, Dio era intervenuto con tanti doni, aveva fatto uscire dalle sue mani pane e acqua per nutrire la mancanza di fede, aveva soffiato sul popolo in cammino una nube per testimoniare la sua premura, al fine di sostenerne la direzione e l'orientamento. Lo aveva condotto per mano. Ad un certo punto, però, basta! Basta perché un padre desidera sempre che il proprio figlio cresca, e allora fa un passo indietro e gli permette di procacciarsi il pane da solo. Desidera che il proprio figlio impari a vivere nell'autonomia e smette di risolvergli tutti i problemi, a costo di vederlo sbagliare e cadere. Ecco, la manna finisce, nella nostra vita, quando Dio, che ci ama, ci lascia andare per la nostra strada, ad osare la nostra individualità, a cercare la figura della nostra personalità, a rischio di percorrere strade che ci portano lontano da lui.
attaccare più a nulla, che non c'è più niente di certo. Alternativa: il fratello maggiore che brontola e giudica tutti (sia il padre - "io ti servo, non ho mai trasgredito e tu non mi hai dato mai" - che il fratello - "tuo figlio... con le prostitute") perché ha paura di uscire. Uscire, rischiare di perdersi e vivere; oppure rimanere per paura, giudicare gli altri e prendersela con il mondo? La gente che ha sempre da dire è perché ha paura di vivere e di uscire, e così, per giustificarsi, brontola. Ognuno faccia la sua scelta. Ognuno è costretto a scegliere: uscire o rimanere. Ognuno sarà ciò che sceglierà.
LA PREGHIERA DEL MATTINO
Gustate e vedete com’è buono il Signore dal Salmo 33 Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino.
PREGHIERE IN ... PILLOLE!
Sia benedetto il nome del Signore, in ogni momento della giornata e per sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore. Il Signore è impareggiabile la sua grandezza supera il cielo.
LA PREGHIERA DELLA SERA
Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce.
Rendimi la gioia di essere salvato dal Salmo 51 Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre. Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza. Aspergimi con rami d'issòpo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia: esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza: la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode. Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. Nella tua bontà fa' grazia a Sion, ricostruisci le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici legittimi, l'olocausto e l'intera oblazione; allora immoleranno vittime sopra il tuo altare. 3
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L’ESAME DI COSCIENZA
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1. Sono “figlio”: comincio a riconoscere il dono della vita oggi ricevuto, le esperienze belle vissute, il mio essere unico e amato, i doni ricevuti, le persone che mi vogliono bene ... e ringrazio Dio mio Padre 2. Sono “fratello”: nella mia giornata ho incontrato tante persone: le ho amate, le ho rispeate, le ho ascoltate, le ho ringraziate, le ho aiutate, le ho perdonate, le ho servite ... se sì lodo Dio mio Padre, se no chiedo perdono a Dio mio Padre 3. Sono “padre”-”madre”: come ho vissuto oggi la mia responsabilità verso coloro che mi sono stati affidati? ho saputo aver pazienza come Dio nostro Padre verso di noi? verso chi vivo un fallimento o difficoltà di rapporto? Chiedo aiuto a Dio mio Padre per ...
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SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 36) Il tuo amore, o Dio, è preziosissimo! Si rifugiano gli uomini in te come un bambino tra le braccia di suo papà; vivendo nella tua casa si sfamano con abbondanza: tu li disseti al torrente delle cose belle che doni loro. Tu sei la sorgente della vita, tu sei la luce che consente di vedere bello tutto il mondo.
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Parrocchia di Montanara Quinta settimana di Quaresima - 17 marzo 2013
Saldi di fronte al peccato aggrappati
il Vangelo La certezza del cristiano: poter essere differente
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Dal Vangelo secondo Giovanni
8,1-11 In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col d i t o p e r t e r r a . Tu t t a v i a , p o i c h é insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
al moschettone del perdono Il Vangelo di Luca è attento in modo particolare alla misericordia di Dio. L’episodio di questa domenica è raccontato solo nel terzo vangelo, come la conversione di Zaccheo, come il ladrone crocifisso insieme a Gesù che viene perdonato. Il volto di Dio che Gesù ci svela è anzitutto di misericordia. Noi possiamo essere differenti, non siamo solo il nostro peccato, non siamo condannati ad essere sempre quelli. L’impegno di questa settimana può essere la partecipazione alla celebrazione penitenziale a Grazie per vivere il sacramento della confessione, o durante la settimana del perdono.
Credi in ciò che non sei ma che puoi essere Gesù si trova nel tempio. Ciò che avviene è sconcertante: siamo nella casa di Dio e gli esperti di Dio vogliono uccidere una donna. Gli scribi e i farisei entrano insieme nel tempio e gli conducono questa donna (8,3). Hanno già le pietre in mano perché (era l'usanza ebraica) spettava ai primi testimoni la prima pietra. La donna è accusata di adulterio. La parola "adulterio" si usava a quel tempo per una donna sposata. Il fatto che Gesù la chiami "donna" conferma il suo stato matrimoniale. Per l'adulterio era prevista la pena di morte. Forse è già stata processata e la stanno conducendo fuori per lapidarla. Gesù, quindi, le salva la vita. Poco dopo si dirà la stessa cosa di Gesù: "Raccolsero pietre per scagliarle contro di lui" (8,59). Quando salvi qualcuno sappi che ti tirerai addosso le ire che erano dirette verso di lui!
Se le cose andranno come da programma, ciascuno scaglierà la sua pietra. Nessuno avrà ucciso, però alla fine la donna sarà morta. Nessuno si sentirà colpevole dell'assassinio, eppure sarà avvenuto. Di chi è la colpa dell'inquinamento dei mari e dell'aria, del buco dell'ozono, della deforestazione? E di chi muore per mancanza d'acqua o di cibo o delle più elementari medicine? Io? Tu? Lui? Nessuno! Eppure la gente muore... Anche quella donna sarebbe morta. Osservate: scribi e farisei vanno da Gesù in gruppo, in massa. Gesù, invece è solo. La massa ha un potere enorme, ma è incapace di prendersi le proprie responsabilità. E quando Gesù metterà i farisei e gli scribi di fronte alle proprie responsabilità, a rispondere in prima persona, ognuno se ne andrà in silenzio (8,9). Nessuno tirerà la pietra. Non permettere mai a nessuno di "condurti", di dirigerti, di decidere o scegliere per te, neanche se (dici tu) lo fai per amore. Non potrai mai dire: "Me l'ha detto lui! L'ho fatto per lui!". Sei responsabile di tutte le tue scelte, le tue azioni e le tue parole. Quello che fai fallo per te e per nessun altro. Ai farisei e agli scribi in realtà non interessa la donna: è Gesù il loro vero obiettivo (8,6). Se Gesù infatti si schiererà a favore della donna si porrà contro la legge. Lui che si dichiara il Messia non può porsi contro la legge dei Padri. Se si schiererà contro la donna si contraddirà, condannandola a morte. E solo i Romani, peraltro molto liberali in materia sessuale, potevano condannare a morte. Quindi avrebbero avuto dei pretesti per accusarlo di fronte all'autorità. Perché nessuno si è chiesto: che cosa ha spinto questa donna a fare questo? Cosa cercava? Forse il marito la picchiava; forse il marito la respingeva; forse il marito la umiliava; forse il marito la teneva come una schiava; forse il marito aveva un'altra. Nessuno si è fermato a riflettere sul perché è successo tutto questo. E' successo, quindi, uccidiamola! Perché nessuno si è chiesto: "E l'uomo dov'e? Perché non prendiamo anche l'uomo? Perché dev'essere colpevole solo la donna? Perché qui c'è solo una persona?". I farisei si rifanno alla Legge di Mosé, a ciò che è scritto nei codici e nei manuali di teologia (8,5). I farisei non hanno cuore, sono dei semplici esecutori, formalisti.
Il criterio è la legge: "Il catechismo dice così; la legge comanda questo; la legge lo permette!". "La legge non giustifica", dice san Paolo. E' troppo semplice rifarsi alla legge, all'esterno. E' il bambino che dice: "Lo dice la mamma! Il papà mi ha detto che si fa così!". Ma quando sei grande non devi più fare le cose perché te le ha dette qualcuno. Devi prenderti le tue responsabilità e farle perché tu ci credi o non ci credi. "Ma gli altri fanno così; ma tutti fan così; ma la legge diceva questo; ma si poteva fare": non ti puoi più giustificare. Tu sei responsabile di tutto. "Ma mia madre e mio padre facevano così... Ma io ho imparato questo... Ma la chiesa diceva così!". Nessuna giustificazione: "Tu non avevi la tua coscienza, il tuo cuore? Che ne hai fatto?". Gesù rimetterà tutti di fronte alle proprie responsabilità: "Scagli per primo la pietra contro di lei chi è senza peccato!" (8,7). E nessuno lo fa', non perché non si ritenessero giusti (non lo erano, ma loro lo credevano!), ma perché non sono in grado di prendersi le proprie responsabilità. "Hai detto questa cosa? Prenditene le responsabilità!". "Ma no... sai... io volevo...". Prima di parlare la prossima volta pensaci. La gente parla di nascosto, dietro le spalle, getta fango, insinua, maligna: non c'è personalità. Ascolto solo chi parla non "per sentito dire" ma perché sa e ha visto; ascolto solo chi si prende la responsabilità di ciò che dice e me lo dice in faccia; ascolto solo chi è capace di ascoltarmi perché responsabilità è dire ciò che si pensa e ascoltare ciò che pensa l'altro. Sentite come i farisei chiacchierano, spettegolano, malignano, accusano, insinuano e svergognano la donna. I farisei non vedono l'ora di mettere in piazza il peccato, l'errore, lo sbaglio. Definiscono subito il peccato e non vedono l'ora di nominarlo e di diffonderlo: "Flagrante adulterio" (8,4). I farisei la trattano come un oggetto. Per loro quella donna è nessuno. Non la chiamano neppure "donna" (8,5: letteralmente tradotto è: "Mosé ci ha comandato di lapidare queste"). Neppure si rendono conto che lì dietro c'è una storia, un volto, una vicenda, una persona con i suoi sentimenti, con le sue difficoltà, con i suoi problemi, con la sua dignità. Ma i farisei insistono nell'interrogarlo (8,7). Vogliono risposte chiare,
soluzioni, leggi forti: così eseguiranno e così potranno dire: "Noi siamo a posto, abbiamo fatto com'era scritto!". Gesù, invece, scrive per terra (8,7). Il profeta Geremia (17,13ss) diceva: "Quanti si allontanano da te saranno iscritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte d'acqua viva". Prima di questo vangelo, infatti, Gesù aveva parlato dell'acqua viva (7,37-39). Cioè: chi non crede si secca e diventa crudele e duro di cuore. Giudichi perché dentro di te sei diventato un sasso, perché non conosci più nessun sentimento. Critichi perché dentro di te sei pieno di rabbia che non riesci a sfogare, ad esprimere. Attacchi perché dentro di te ti sei sentito ferito, ma non ammetti di esserlo stato. Ti diverti a malignare degli altri perché non sai vivere e ti dà fastidio la felicità degli altri. Finché Gesù scrive prende tempo. Loro vogliono una risposta immediata e lui non gliela dà. Gesù pieno di rabbia, scarica scrivendo la sua rabbia e questo gli permette di essere obiettivo, di non perdere la lucidità per rispondere. Quando si è arrabbiati bisogna trovare un modo per scaricarsi. Perché altrimenti ci si graffia e ci si ferisce all'inverosimile. Prendiamo cinque minuti; andiamo in un'altra stanza; facciamo un lavoro; andiamo a farci un giro fuori e poi, quando rientriamo scaricati, possiamo parlare con lucidità della cosa. I farisei dicono: "Guarda cos'ha fatto quella donna lì?". Ai farisei e agli scribi Gesù risponde: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra" (8,7). L'usanza ebraica partiva dal presupposto che il testimone contro un altro uomo dovesse lui stesso essere esente da peccati. Allora Gesù dice: "Sei proprio sicuro che non ti riguardi? Ne sei proprio certo? Pensaci bene!". Quando tu punti l'indice verso qualcuno, se un dito è rivolto verso di lui, tre sono rivolti verso di te. Quello che attacchi in quella donna non ti riguarda? Pensaci bene! Gesù non giustifica la donna e non le dice: "Brava, hai fatto bene!". Le dice: "Và e d'ora in poi non peccare più" (8,11). "Forse hai sbagliato e forse hai fatto qualcosa di cui neppure tu sei contenta adesso. E' successo, ma adesso non condannarti più. Adesso lascia stare, perdonati e sappi che tu puoi essere diversa e nuova". Questo è meraviglioso: Gesù fa leva sulle forze nascoste e profonde della donna. Questo è l'amore.
Gesù non sottolinea il peccato, che probabilmente c'era e che era vero. Gesù sottolinea la possibilità della donna di uscirne fuori, le sue risorse per costruirsi una vita migliore e per essere diversa. Gesù le dice: "Tu puoi". "Non è vero che sei così e che sarai sempre così: non crederci". "Tu puoi essere diversa; tu puoi essere migliore; tu puoi cambiare: io lo so, io ci credo". Gesù non sottolinea l'errore. Anche lei sapeva di aver sbagliato! Gesù sottolinea il positivo. Fede è semplicemente aver fiducia nell'altro. Ma non si può fingere: bisogna crederci! E' credere che lui ce la possa fare; che lui ha delle altre forze dentro di sé; che lui possa essere migliore. Gesù ama la donna perché le dice: "Sì
avrai anche sbagliato, ma io credo in te". E' il positivo che ci fa credere in noi. Quando tu mi dici che ho sbagliato, che non dovevo farlo, che faccio schifo, che ho fatto un errore grosso, (lo so anch'io che è così!) non fai che rafforzarmi la sfiducia in me stesso. Non mi aiuti e mi affossi ancor di più. L'insuccesso, l'errore, lo sbaglio, è già un fallimento. Se mi rimproveri non fai che amplificarlo. Perché le persone guariscono in certi percorsi? Cos'è che le fa guarire o cambiare o diventare se stesse? La competenza di chi li tiene? No! Il percorso che è fatto bene? No! Ciò che li fa guarire è che trovano qualcuno
La certezza della fede ebraica: vedere sempre una nuova possibilità Dal libro del profeta Isaìa 43,18-21 Così dice il Signor: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Il profeta Isaia ci parla di un Dio che si converte, cambia... si parla della prima esperienza che fa il popolo d'Israele, un'esperienza legata alla liberazione dall'Egitto e al passaggio del mar Rosso. Una esperienza che ci è parsa, per così dire, di violenza: "Dio reprime le acque e gli egiziani, che spegne come un lucignolo" Allora Dio chiede di non ricordare le prime cose, perché il futuro, nei suoi desideri, contiene una novità... ed è su questa novità che siamo chiamati a concentrare la nostra attenzione per capire che il presente nel quale Dio parla e il futuro per il quale Dio promette, sono meglio del passato. Si parla di un nuovo esodo, ma se prima Dio metteva terra asciutta nelle acque ora cambia e l'acqua irrigherà e farà fiorire il deserto.
che crede in loro e che ha fiducia in ciò che loro possono essere. Frasi del tipo: "Lo puoi; ma sì che ci riesci; io credo che tu ce la possa fare; tu puoi; osa; prova; sperimenta; dai!; ce la farai; puoi essere migliore; così come sei va bene, ecc", dovrebbero far parte nel nostro vocabolario. L'amore ti fa vedere per quello che non sei ma che puoi essere e che se ci credi diventerai. Pensiero della Settimana Se tu credi in me, anch'io crederò in me. E se io crederò in me potrò amarmi. E se potrò amarmi potrò anche amarti
don Marco Pedron
LA PREGHIERA DEL MATTINO
PREGHIERE IN ... PILLOLE!
Dio di consolazione, ti fai carico di ciò che ci appesantisce così noi possiamo in qualsiasi momento avanzare dall’inquietudine vero la fiducia, dalle tenebre verso la luce. Spirito Santo, in te ci viene offerto di scoprire questa realtà sorprendente: Dio non vuole né la sofferenza né lo sconforto umani, non ha creato in noi né paura né angoscia. Dio non può che amarci.
LA PREGHIERA DELLA SERA
Grandi cose ha fatto il Signore per noi dal Salmo 125 Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.
Beato l’uomo a cui è perdonato il peccato. dal Salmo 31 Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato.
Ricevi, o Signore le nostre paure e trasformale in fiducia. Ricevi la nostra sofferenza e trasformala in crescita. Ricevi la nostra crisi e trasformala in maturità. Ricevi le nostre lacrime e trasformale in preghiera. Ricevi il nostro scoraggiamento e trasformalo in fede. Ricevi le nostre aese e trasformale in speranza. Mi hai chiamato, Dio dei miei padri, ad uscire dalla palude del peccato perché volevi che io provassi la gioia luminosa di una prateria ove è possibile giocare, cantare, correre e cantare. Mi hai strappato dalla schiavitù del male per farmi vivere nella libertà. Ad ogni passo devo scegliere tra il bene e il male, tra il peccato e la grazia, tra la tua parola e quella del maligno, tra le stelle e il fango della terra. Tu intanto stai in silenzio a guardare e sostenere la mia libertà.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno. Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno. Giorno e notte pesava su di me la tua mano, come per arsura d’estate inaridiva il mio vigore. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto: «Confesserò al Signore le mie colpe» e tu hai rimesso la malizia del mio peccato.
SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 23) Il Signore è il mio pastore, non mi manca nulla. Su prati erbosi mi fa riposare mi conduce ad acque tranquille. Rassicura la mia anima, mi guida per la strada giusta perché ho fiducia nella forza del suo nome. Anche se devo affrontare qualche pericolo, non ho paura, perché so che Tu, o Dio, sei con me. Sei tu la mia sicurezza.
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Parrocchia di Montanara Domenica delle Palme e Settimana Santa - 24 marzo 2013
Saldi di fronte alla morte aggrappati
il Vangelo La certezza del cristiano: Gesù ha vinto la morte
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Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.
al moschettone della speranza La certezza della fede di Gesù è quel Padre a cui affida tutta la sua vita. La certezza di Gesù è che la morte non è l’ultima parola, ma più forte è sempre la misericordia di Dio, il suo amore. Allora, la nostra speranza, non è senza fondamento, ma si “aggrappa” all’esperienza di Gesù e alla sua fede. L’impegno di questa settimana sarà la partecipazione alle celebrazioni del giovedì santo, del venerdì santo e della Veglia Pasquale, sapendo vegliare con Gesù nell’adorazione e nel silenzio, cogliendo ogni piccolo particolare dell’amore di Dio per noi. Come non saldare la nostra speranza in Colui che ha dato la vita per noi?
La passione secondo il vangelo di san Luca Il racconto della passione presentato dal terzo vangelo è molto vicino alla versione di san Marco (considerato il testo base della tradizione), ma presenta pure delle varianti molto personali, sia nello stile che negli episodi narrati. Le omissioni del terzo vangelo rispetto al vangelo di Marco sono piuttosto numerose e riguardano: - l'unzione di Betania da parte di Maria, prima dell'ultima cena; - la fuga dei discepoli e alcuni particolari della preghiera nel Getsemani; - l'accusa da parte di falsi testimoni e il silenzio di Gesù durante il processo;
- le offese da parte dei soldati romani e dei passanti sotto la croce; - il grido di abbandono sulla croce e il riferimento ad Elia; - la reazione di Pilato alla notizia della morte di Gesù.
La certezza della fede ebraica: il Signore Dio mi assiste
Episodi propri di san Luca sono invece: - alcune parti del discorso di Gesù durante l'ultima cena (22,15-17.24-30.31-33.35-38); - l'angelo che lo consola nel Getsemani (22,43-44); - l'incontro con Erode durante il processo (23,6-12); - le dichiarazioni di Pilato circa l'innocenza di Gesù (23.4.13-16); - il lamento delle donne sulla via della croce (23,27-31); - il dialogo fra Gesù e i due malfattori crocifissi con lui (23,39-43); - come le altre parole di Gesù in croce (23,34.46). Segnaliamo anche che il terzo vangelo è il solo in cui Gesù compie un miracolo durante la passione (cfr. 22,50), gesto che sottolinea ancora una volta la misericordia di Gesù e l'attenzione dell'evangelista medico a questo particolare. Il racconto della passione in san Luca è come la tappa conclusiva del cammino di Gesù (vedi 9,51) che attraversando la Galilea lo ha portato sino a Gerusalemme (cfr. anche 9,31; 13,32) e più profondamente la fine della sua vita terrena e della sua missione e insieme il passaggio verso la gloria, la resurrezione. Questa strada comporta la sofferenza e la croce, sentite come necessarie (vedi 17,25; 24,26), un percorso che Gesù ha percorso per primo, come modello per i cristiani. Essa è pure l'ultimo acerbo confronto con il demonio che apparentemente più forte (22,53), verrà sconfitto. Lo stile del racconto lucano è quello dell'insegnamento e dell'esortazione dove Gesù, Maestro e Signore, è caratterizzato con i tratti del giusto che soffre con pazienza, perdonando, diventando il modello del soffrire innocente. Gli altri personaggi attorno a lui rivestono ruoli diversi, spesso positivi (le donne, il popolo, gli apostoli, i romani) altre volte negativi (le guide di Israele); al centro c'è sempre Gesù che rimane padrone della situazione anche nei momenti più tragici, attraversando la prova con serenità perché consapevole che essa fa parte del disegno divino (22,42.53s). Luca evita di proposito i toni forti e non riporta gli episodi più violenti e infamanti per Gesù (omette le accuse dei falsi testimoni, cfr. Mc 14,55-61, le offese da parte dei soldati romani e dei passanti sotto la croce, cfr. Mc 15,16-20.29-30; e prima ancora non dice esplicitamente che Giuda bacia il maestro, Lc 22,47-48, e che gli apostoli fuggono, cfr. Mc 14,50). Al contrario ricorda il lamento pietoso delle donne (23,27-31). Nello stesso modo dalla croce Gesù pronuncia solo parole di perdono e confidenza, omettendo il grido di Gesù (cfr. Mc 15,34-35). Nel racconto della passione emerge anche una considerazione positiva dei romani, visti più come strumenti nelle mani dei sommi sacerdoti che hanno l'iniziativa nella condanna di Gesù. In questa benevolenza verso i pagani è presente anche un elemento apologetico, prezioso per le prime generazioni cristiane: il cristianesimo non è una religione pericolosa per l'ordine costituito. Ma anche per i giudei, certo più colpevoli per la loro conoscenza del piano divino nelle Scritture, resta aperta la via della conversione (23,34) offerta nella Chiesa. Luca vuole dirci che con il suo comportamento Gesù ha aperto una via salvifica per ogni uomo, la sua passione costituisce inoltre un invito alla conversione per tutti (23,47-48). La fede che salva è legata al Risorto, ma per nascere deve passare attraverso l'accoglienza del Crocifisso. La croce è la porta che conduce alla resurrezione, l'evento decisivo che apre al tempo della Chiesa. In san Luca la passione perde il suo carattere crudo, di scandalo e ignominia e appare una via, certo dolorosa, ma indispensabile, da percorrere con serenità e fiducia, sull'esempio di Gesù stesso.
Dal libro del profeta Isaìa 50,4-7 Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. In questo carme il Servo è descritto come una figura di profeta che annunzia il piano di Dio per Israele. Egli si presenta come un uomo totalmente immerso in Dio, dal quale riceve il messaggio che egli comunica al popolo. Nel suo comportamento è assente tutto quello che potrebbe anche solo sembrare un progetto umano, perseguito a scopi di successo personale o nazionale. Al primo posto il Servo mette Dio e la sua decisione di liberare Israele. Così facendo egli si oppone a ogni tentativo di considerare il ritorno nella terra promessa come occasione per una ricerca di potere da parte di un individuo o di un gruppo nei confronti del popolo, o anche come una rivalsa del popolo nei confronto dei propri oppressori. Il servo ha dovuto pagare di persona perché il primato di Dio apparisse veramente convincente. Egli non è andato semplicemente incontro all’insuccesso, come appare nei carmi precedenti, ma ha suscitato un’inspiegabile persecuzione; di fronte ad essa però è rimasto fedele al compito ricevuto e ha continuato ad annunziare con fermezza il decreto divino senza abbandonare il metodo non violento adottato fin dall’inizio. Il rifiuto della violenza appare così come l’unico mezzo capace di assicurare non solo il successo, ma anche una piena partecipazione di tutti alla libertà acquistata. Se la libertà fosse acquistata per mezzo della violenza facilmente lascerebbe il posto a una nuova violenza nei confronti degli stati più poveri e indifesi della popolazione. Forse è proprio il fatto di essersi rivolto a tutto il popolo che ha suscitato l’opposizione delle classi dirigenti, le quali avrebbero voluto gestire il ritorno nella terra promessa a proprio vantaggio.
giovedì 21 marzo ore 14:30-19 a Sezano RITIRO-PELLEGRINAGGIO PER ADULTI E ANZIANI presso l’antico monastero Olivetano di Sezano (a 7 km dal centro di Verona) venerdì 22 marzo ore 20:45 nel Santuario delle Grazie STAZIONE QUARESIMALE con la possibilità delle confessioni individuali Inizio settimana del Perdono sabato 23 marzo ore 9-12, chiesa parrocchiale Tempo per le confessioni ore 14-18, Palabam Incontro del Vescovo con i cresimandi ore 18, oratorio S. Messa domenica delle Palme 24 marzo ore 9, oratorio Santa Messa ore 10, parcheggio comune nuovo BENEDIZIONE ULIVO E PROCESSIONE ore 10:30, oratorio SANTA MESSA ore 15 - 18, chiesa parrocchiale Adorazione (QUARANTORE) e confessioni * ore 15 PROPOSTA DI RITIRO PER ADULTI ore19, chiesa parrocchiale Celebrazione del Vespro e benedizione lunedì santo 25 marzo (chiesa parrocchiale) ore 9 Lodi mattutine e Santa Messa ore 9:15 - 12 Adorazione e confessioni ore 16 - 19 Adorazione e confessioni ore 19 Celebrazione del Vespro * ore 16 preghiera guidata e confessioni per i bambini delle elementari * ore 18:30 prime confessioni martedì santo 26 marzo (chiesa parrocchiale)
ore 9 Lodi mattutine e Santa Messa ore 9:15 - 12 Adorazione e confessioni ore 16 - 19 Adorazione e confessioni ore 19 Celebrazione del Vespro * ore 16 preghiera guidata e confessioni per i ragazzi delle medie mercoledì santo 27 marzo (chiesa parrocchiale)
ore 9 Lodi mattutine e Santa Messa ore 9:15 - 12 Adorazione e confessioni ore 15 - 19 Adorazione e confessioni ore 19 Celebrazione del Vespro * ore 19 pregheira guidata e confessioni per i ragazzi delle superiori (con cena)
PROGRAMMA SETTIMANA SANTA 2013 giovedì santo 28 marzo ore 9 Lodi mattutine ore 16 - 19 Confessioni ore 19 Celebrazione del Vespro ore 20:45 S. Messa dell’Ultima Cena di Gesù ! ! con il rito della lavanda dei piedi venerdì santo 29 marzo ore 9 Lodi mattutine ore 15 Celebrazione della Passione di Gesù per i bambini ore 16 - 19 Confessioni ore 19 Celebrazione del Vespro ore 20:45 Celebrazione della Passione di Gesù con la processione in via dei Toscani sabato santo 30 marzo ore 9 Lodi mattutine ore 9:15 - 12 Confessioni ore 15 - 19 Confessioni ore 21:30 Veglia Pasquale (Liturgia della Luce, della Parola, del Battesimo, dell’Eucarestia) domencia di Pasqua 31 marzo ore 9 Santa Messa ore 10:30 Santa Messa ore 18 Santa Messa a Grazie lunedì di Pasqua 1 aprile ore 9:30 Santa Messa all’UGR ore 10:30 Santa Messa in chiesa parrocchiale ore 16 Santa Messa nella cappella a Eremo domenica 7 e 14 aprile, alla Messa delle ore 10:30 celebreremo il sacramento della Cresima
LA PREGHIERA DEL MATTINO
PREGHIERE IN ... PILLOLE!
Gesù Cristo, come i tuoi discepoli nel giorno delle Palme abbiamo bisogno di gioia per prepararci a portare insieme a Te la nostra croce. E Tu dici a ciascuno di noi: “Non aver paura, corri il rischio di seguirmi ora e per sempre”.
Dio di tutta l’eternità, anche quando in noi tutto è silenzio il nostro cuore ti parla, ti prega e noi ci abbandoniamo a Te. LA PREGHIERA DELLA SERA
Lo spettacolo della Croce E' uno spettacolo, dice Luca nel suo Vangelo. Sì, lo spettacolo dell'amore. Quello vero. Quello che lascia senza fiato. L'unico per il quale si può morire. O morirne. E' la spettacolo della passione, quella di Gesù per me, per te. Sì, caro amico, Gesù è appassionato di te. Tu sei la Sua passione. E' lo spettacolo del Figlio di Dio che svela nella sua nudità crocifissa il vero volto di Dio. Nessun effetto speciale, nessuna flotta di angeli soccorritori, nessuna controfigura. Lui nudo, straziato, scarnificato è la trascrizione più vera del volto di Dio. Quell'uomo appeso alla croce, abbandonato e tradito è il nostro Dio. Prima di andare avanti, mi chiedo e ti chiedo, se davvero lo vogliamo un Dio così. Un Dio senza bacchetta magica, che si china sui piedi sporchi dei suoi discepoli e li lava con cura, un Dio che consegna la sua memoria nel fragile gesto del pane spezzato, che non toglie il dolore ma lo condivide, che non ci salva dalla morte ma nella morte, che perdona e persino giustifica i suoi assassini, che muore abbandonato da tutti i suoi amici, che nella solitudine più totale e straziante non maledice ma consegna il suo spirito al Padre. Sicuri, cari amici? Lo vogliamo un davvero un Dio così? don Roberto Seregni
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? dal Salmo 21 Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!». Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele.
In te, Signore, ho trovato rifugio dal Salmo 7 Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio: salvami da chi mi perseguita e liberami, perché non mi sbrani come un leone, dilaniandomi senza che alcuno mi liberi. Signore, mio Dio, se così ho agito, se c’è ingiustizia nelle mie mani, se ho ripagato il mio amico con il male, se ho spogliato i miei avversari senza motivo, il nemico mi insegua e mi raggiunga, calpesti a terra la mia vita e getti nella polvere il mio onore. Sorgi, Signore, nella tua ira, àlzati contro la furia dei miei avversari, svégliati, mio Dio, emetti un giudizio! L’assemblea dei popoli ti circonda: ritorna dall’alto a dominarla! Il Signore giudica i popoli. Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia, secondo l’innocenza che è in me. Cessi la cattiveria dei malvagi. Rendi saldo il giusto, tu che scruti mente e cuore, o Dio giusto. Il mio scudo è in Dio: egli salva i retti di cuore.
SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 4) Il Signore fa cose molto belle per chi crede in lui; il Signore ci ascolta quando lo invochiamo. Sono sereno quando vado a dormire e in pace subito mi addormento, perché so che con te, o Signore, non ho più paura di niente.
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Parrocchia di Montanara Domenica di Resurrezione - 31 marzo 2013
Saldi nella fede
il Vangelo La certezza del cristiano: un Dio vivente!
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aggrappati al moschettone della memoria
Dal Vangelo secondo Luca 24,1-12
Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.
“Ricordatevi!” E’ caratteristico del Vangelo di Luca questo invito dell’angelo della resurrezione. Senza memoria non si sa da dove si viene né dove si sta andando. Il Vangelo dice che le donne “si ricordarono e, tornate dal sepolcro, annunciarono”. Non si tratta di ricordare semplicemente un fatto passato, ma un evento che continua nel presente e apre alla speranza. L’impegno di questa settimana sarà fare memoria a noi stessi e agli altri della nostra famiglia o che incontreremo di quanto il Signore sta facendo di grande in noi.
LA PREGHIERA DEL MATTINO
PREGHIERE IN ... PILLOLE!
Gesù Cristo, come ad alcuni dei tuoi discepoli può capitarci di fare fatica nel comprendere la tua presenza di Risorto. Ma attraverso lo Spirito Santo tu abiti in noi e dici a ciascuno: “Vieni e seguimi, ho aperto per te una via di vita”.
LA PREGHIERA DELLA SERA
Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo dal Salmo 117 Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Dica Israele: «Il suo amore è per sempre». La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze. Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi.
Lodate, cantate: forte è il suo amore! Salmo 117 Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti, cantate la sua lode, perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura per sempre. Alleluia.
SALMO DELLA BUONANOTTE (Salmo 148) Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell’alto dei cieli. Lodatelo voi tutte sue creature, lodatelo voi tutti suoi angeli. Lodatelo sole e luna, lodatelo voi tutte stelle scintillanti. Lodalo, cielo immenso. Anch’io desidero lodare il Signore.
BUONA PASQUA!