PARROCCHIA DI MONTANARA TEMPO DI PASQUA 2013
il meglio ... deve ancora venire!
Pasqua 2013
SECONDA DOMENICA DI PASQUA - 7 APRILE
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
il perdono + Dal Vangelo secondo Giovanni, 20,19-31 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
La vita scorre solo nel perdono. Giovanni descrive una situazione difficile. I discepoli dopo ciò che è successo si sono rinchiusi per la paura (20,19). Dicono: ciò che è successo forse succederà anche a noi. E' chiaro che sono pieni di tristezza per la scomparsa ma anche di rabbia per ciò che è accaduto: hanno ucciso il loro maestro, il loro idolo e l'hanno ucciso ingiustamente, in maniera pretestuosa e falsa. E, infatti, quando Gesù appare deve dire: "Pace a voi" (20,19.26) perché il mare del loro cuore era nella tempesta della rabbia e dell'odio. Allora Gesù deve dire: "Perdonate, lasciate andare (rimettere afiemi in greco è lasciar andare, lasciar la presa). Giovanni riporta probabilmente una formula sacramentale, già costituita quando lui scrive il vangelo. Ma il senso di Gesù è molto semplice: "Perdona, lascia andare". Perdonare vuol dire: esprimo tutti i sentimenti che ho dentro, li libero (odio, rabbia, dolore, vergogna, ecc.), e li esprimo con tutta l'intensità che ho dentro. Non trattengo niente dentro e accetto la realtà che è, com'è. Tua madre preferiva tuo fratello e tu odi questo fratello. Vuoi vivere così tutta la vita? Perdona! Tuo padre ti ha abbandonato e tu avevi tre anni. Vuoi accusarlo per tutta la vita? A che ti serve? A che ti serve vivere nel risentimento e nel rancore? Perdonalo! Ognuno fa quello che può. Ti sei sposato con chi non avresti voluto? Vuoi torturarti per sempre perché non dovevi farlo? Perdonati! Ti dici sempre: "Non dovevo farlo!". Ormai è fatto, basta, perdonati. La Vita ti ha tolto chi amavi e tu hai smesso di vivere per ciò che è successo. Vuoi vivere sempre così? Il tuo collega di lavoro ti ha sottratto dei soldi: perdona! Fai giustizia (perdonare non è lasciar perdere, ma lasciar andare!) ma poi lascia andare. Se non perdoni rimani ancorato tutti i giorni a quella ferita e tutti i giorni ti risenti tradito. Non perdonare è trattenere: allora la vita non scorre più. Avete presente una diga: trattiene l'acqua. Così se noi tratteniamo le emozioni, la rabbia e l'odio, la vitalità non può più scorrere dentro di noi. Diventiamo aridi, secchi e avvelenati. E' per questo che molta gente è infuriata, arrabbiata, nervosa: perché non perdona, trattiene tutto. Gesù diceva agli apostoli: "Se entrate in una città e non vi accolgono, vi rifiutano, vi giudicano, non fatene una questione personale. Scuotete la polvere dei vostri sandali e andatevene
tranquillamente" (Lc 10,11). Cosa vuol dire? Vuol dire: "Perdona!". Non farne una questione personale: ti hanno rifiutato, ti hanno detto di no, esprimi il tuo dolore, la tua rabbia ma lascia quel dolore lì, non portartelo dietro. Lascia andare.
L'amore nasce dalla vulnerabilità, dall'incontro con le nostre ferite. La prima volta che Gesù appare non c'è Tommaso (20,24). Tommaso, in greco Didimo=gemello: c'è una parte di noi che crede come gli apostoli e una parte di noi che non crede, Tommaso; in ciascuno di noi ci sono le due persone. Tommaso non crede e per credere dovrà toccare le ferite (20,27): mani e costato. Cosa vuol dire Giovanni in questo vangelo? Che per incontrare il Risorto bisogna incontrare le nostre ferite. Cosa fa la gente? Ha paura: cerca di non sentirla. Ha dei bisogni: cerca di non ascoltarli. Ha subito un trauma: meglio lasciarlo lì. C'è qualcosa da affrontare: meglio non farlo perché poi succedono dei "casini". Ma Giovanni dice: "Bisogna toccare le ferite, bisogna mettere il dito sulla piaga, perché finché una ferita è viva sanguina, ci fa urlare e ci impedisce di vivere e di amare". Le ferite ci fanno vulnerabili (vulnus, infatti vuol dire ferita). Nessuno di noi vuole scoprirsi, nessuno di noi accetta di essere stato e di essere ferito, finché non scopriamo un amore più grande. C'è un uomo la cui moglie e i figli se ne sono andati di casa. E' disperato. Quando lui pensa a sé dice: "Per me ormai la vita è finita", ma ha solo cinquant'anni. Venire a fare la comunione è la forza che lo spinge ad andare avanti, a non uccidersi. C'è una donna il cui padre sta morendo. E' una grande ferita, è un dolore forte. Fa male? Eccome! Eppure entrare nelle nostre ferite ci guarisce, ci fa più vulnerabili e più nel cuore della vita. Io vengo in chiesa con il mio cuore ferito: chi di noi non ha ferite nell'amore? Chi di noi non ha ferito? Io vengo in chiesa con le mie mani ferite: le mie mani sono state legate e paralizzate; le mie mani hanno colpito, umiliato e ferito. Allora io vengo qui e vado a prendere Gesù (la comunione) perché venga nella mia mano e la guarisca. E poi lo mangio perché vada fino al mio cuore e lo guarisca e lo risani. Per tante persone la comunione è proprio questo incontro che dà la forza di guardare a ciò che fa male, a ciò che non va, a ciò che non ci piace, che metteremo in un angolo, che non vorremmo vedere. L'eucarestia, come per Tommaso, ti dice: "Dai un nome a ciò che ti fa male; mettici mano; tira fuori; tocca, esprimi e incontra il tuo dolore; prenditi cura della tua sofferenza; apriti in ciò che ti fa male". L'eucarestia mi dà la forza per toccare le mie ferite, per metterci mano, per guardarle. In questo senso l'eucarestia è terapeutica, risanatrice, curativa, lenitiva, trasformativa. Giovanni vuol dire che l'eucarestia dev'essere così: un incontro che ci salva e che ci guarisce. Ci sono tante allusioni all'eucarestia. Il giorno "il primo dopo il sabato" (20,19), la domenica, è il giorno del Signore, dell'eucarestia. "Pace a voi" (20,19.26), è il saluto di Gesù e il saluto delle prime comunità cristiane che si ritrovavano. Il toccare (20,27) è il segno del toccare/ricevere il corpo di Cristo di ogni domenica. "Mio Signore e mio Dio" (20,28) è ciò che deve succedere in ogni eucarestia: un'esperienza, un incontro vivo. Tommaso non rappresenta colui che dubita ma colui che deve far esperienza per poter credere. Ma vale per tutti noi: non si
può credere in qualcosa che non si è conosciuto, sentito, visto, toccato, percepito. "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (20,29): esperienza, dalla morte di Gesù, non sarà più vederlo fisicamente ma vederlo e sentirlo interiormente (eucarestia, ad esempio, ma non solo). L'eucarestia, dice Giovanni, dev'essere così: in ogni messa noi dobbiamo far esperienza del Risorto, toccarlo, sentirlo, in modo da poter dire anche noi: "Mio Signore e mio Dio". Allora attenzione: non confondere il fine con i mezzi. I mezzi, il canto, le letture, la celebrazione, le parole, il rito, la liturgia, mi serve per arrivare ad incontrarlo (fine). Ma se la messa non è un'esperienza, se non esco dalla messa con la sensazione chiara, netta, definita, di averlo sentito vivo in me e in quella comunità, bisogna porsi delle domande. Perché l'eucarestia è rendere vivo un Vivo non un morto. L'eucarestia non è un ricordo ma l'esperienza del Risorto oggi. L'eucarestia è un'esperienza sanante, guaritrice, un incontro con Colui che è la Vita e che mi fa vivere. E se un incontro c'è, si vede, si sente, ti cambia. Altrimenti non c'è incontro, ovvio. Bisogna aver il coraggio di farsi anche le domande dure per non raccontarsela: le nostre eucarestie sono esperienze di vita, del Signore Risorto? Chi esce, ne esce trasformato? Parlano al cuore, lo fanno vivere, vibrare? E quando io vado all'eucarestia cosa cerco? Un'esperienza, la Vita o un anestetico, un calmante? Posso dire dopo un'eucarestia: "Sì, io l'ho visto, l'ho taccato, l'ho incontrato e Lui ha parlato al mio cuore?". Il vangelo chiude con una frase meravigliosa: tutto questo è scritto perché crediate che Gesù è il Cristo cioè che abbiate la vita (20,30-31). Tutto ciò che avviene in chiesa, durante un'eucarestia, accresce la mia vita? Mi fa vivere di più? Lui è la Vita, incontrarlo è vivere di più. don Marco Prandi
Vieni Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. ! Vieni padre dei poveri, ! vieni datore dei doni, ! vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima dolcissimo sollievo. ! Nella fatica riposo, ! nel calore riparo, ! nel pianto conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. ! Senza la tua forza, ! nulla c’è nell’uomo, ! nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. ! Piega ciò che è rigido, ! scalda ciò che è gelido, ! drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano, i tuoi santi doni. ! Dona virtù e premio ! dona morte santa, ! dona eterna gioia. ! Amen. Alleluja.
PREGHIAMO
TERZA DOMENICA DI PASQUA - 14 APRILE
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
il cambiamento + Dal Vangelo secondo Giovanni 21,1-19 In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Le tre domande di Gesù a Pietro: così Dio abita il cuore dell'uomo Gesù e Pietro, uno dei dialoghi più affascinanti di tutta la letteratura. Tre domande, come nella sera dei tradimenti, at torno al fuoco nel cortile di Caifa', quando Cefa', la Roccia, ebbe paura di una serva. E da parte di Pietro tre dichiarazioni d'amore a ricomporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice dai tre rinnegamenti. Gesù non rimprovera, non accusa, non chiede spiegazioni, non ricatta emotivamente; non gli interessa giudicare e neppure assolvere, per lui nessun uomo è il suo peccato, ognuno vale quanto vale il suo cuore: Pietro, mi ami tu, adesso? La nostra santità non consiste nel non avere mai tradito, ma nel rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo. Le tre domande di Gesù sono sempre diverse, è lui che si pone in ascolto di Pietro. La prima domanda: Mi ami più di tutti? E Pietro risponde dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura con gli altri, ma non rimane neppure nei termini esatti della questione: infatti mentre Gesù usa un verbo raro, quello dell'agàpe, il verbo sublime dell'amore assoluto, Pietro risponde con il verbo umile, quotidiano, quello dell'amicizia e dell'affetto: ti voglio bene. Ed ecco la seconda domanda: Simone figlio di Giovanni, mi ami? Gesù ha capito la fatica di Pietro, e chiede di meno: non più il confronto con gli altri, ma rimane la richiesta dell'amore assoluto. Pietro risponde ancora di sì, ma lo fa come se non avesse capito bene, usando ancora il suo verbo, quello più rassicurante, così umano, così nostro: io ti sono amico, lo sai, ti voglio bene. Non osa parlare di amore, si aggrappa all'amicizia, all'affetto. Nella terza domanda, è Gesù a cambiare il verbo, abbassa quella esigenza alla quale Pietro non riesce a rispondere, si avvicina al suo cuore incerto, ne accetta il limite e adotta il suo verbo: Pietro, mi vuoi bene? Gli domanda l'affetto se l'amore è troppo; l'amicizia almeno, se l'amore mette paura; semplicemente un po' di bene. Gesù dimostra il suo amore abbassando per tre volte l'esigenza dell'amore, rallentando il suo passo sulla misura del discepolo, fino a che le esigenze di Pietro, la sua misura d'affetto, il ritmo del suo cuore diventano più importanti delle esigenze stesse di Gesù. L'umiltà di Dio. Solo così l'amore è vero. Padre Ermes Ronchi
Pietro Gesù è risorto. Bene, Viva. Io no, sono ancora tutto nel sepolcro. Travolto dal dolore, come se l'anima si fosse indurita, senza emozioni, senza desideri, senza sussulti. Come se la resurrezione riguardasse altri, come se non fosse davvero per me. Ne conosco molte di persone che vivono così la Pasqua. Ancora in questi giorni, da questo angolo di Chiesa che è il mio portatile, ho ascoltato le pacate sofferenze di chi, travolto dagli eventi, o dal proprio limite, o dal dolore fisico o spirituale, hanno vissuto una Pasqua solo di fede, solo di ostinata volontà, solo di sforzo. Travolti, come se la resurrezione, in cui credono, e fermamente, non fosse per loro. Proprio come è accaduto a Pietro. Il fattaccio Pietro arriva a quel giorno con un macigno nel cuore. La sua storia, la conosciamo tutti: Simone il pescatore chiamato a diventare discepolo del falegname di Nazareth, i tre anni di entusiasmante sequela con un crescendo di fama e di popolarità, la promessa fatta a Simone (a lui!) di essere il referente del gruppo, il custode della fede, le gaffes incredibili di Pietro che non riesce a moderare il suo temperamento troppo impulsivo e sanguigno e, infine, la catastrofe della croce. Pietro, nel cortile del Sinedrio, aveva negato di conoscere l'uomo che credeva di amare e di servire fedelmente, senza incrinature, l'uomo e il Messia per cui - diceva avrebbe dato la vita. Era bastata la domanda di una serva, di una pettegola, per far crollare le fragili certezze del principe degli apostoli. Poi l'arresto, il processo sommario, l'uccisione. Anche Pietro, come tutti, era fuggito. Riusciamo solo vagamente a capire quanto dolore, quanta desolazione, quanto strazio aveva scosso la vita degli apostoli. Pietro, sanguinante per la morte del Maestro e per la propria morte di discepolo, era stato travolto dal suo peccato. No, grazie Gesù era risorto. Ed era apparso agli apostoli: Pietro, insieme a Giovanni, era stato il primo a correre alla tomba, era presente al Cenacolo alla sera di Pasqua, diversamente da Tommaso, Luca accenna anche ad una apparizione privata a Pietro che non lasciò traccia. Pietro, insomma, era stato il più presente alle apparizioni del Risorto. Ma niente, nulla, deserto, il suo cuore era rimasto duro e arido. Gesù era vivo certo, ma non per lui. Gesù era risorto e glorioso, vivo, ma lui, Pietro, era rimasto in quel cortile. Pietro credeva, certo. Ma la sua fede non riusciva a smuovere il suo dolore. Come succede a molti di noi. L'inizio del vangelo di oggi, è uno dei più tristi momenti del cristianesimo: Pietro torna a pescare. L'ultima volta che era andato a pescare, tre anni prima, aveva incontrato sulla riva quel perdigiorno che parlava del Regno di Dio. Torna a pescare: fine dell'avventura, della parentesi mistica, si torna alla dura realtà. Gli altri apostoli - teneri! - lo accompagnano sperando di risollevare il suo morale. E invece nulla, pesca infruttuosa: il sordo dolore di Pietro allontana anche i pesci. Ma Gesù, come spesso accade, aspettava Pietro alla fine della sua notte. Camperisti Il clima è pesante. Nessuno fiata. Solo quel rompiscatole si avvicina per attaccare bottone e chiede notizie sulla pesca. Nessuno ha voglia di parlare, sono tutti affaccendati a riordinare le reti, la schiena curva, il capo chino, il cuore asciutto e sanguinante. «Riprendete il largo e gettate le reti» Tutti si fermano. Andrea guarda Giovanni che guarda Tommaso che guarda Pietro. Come scusa? Cos'ha detto? Cosa? Nessuno fiata, riprendono il largo, gettano le reti dalla parte debole e accade. È lui. Paolo Curtaz
PREGHIAMO Vieni, o santo Spirito, nell’anima mia e riempila dei tuoi sette doni, rendendola semplice e docile alle tue ispirazioni. Donami soprattutto luce, forza e amore per procedere sicuro e coraggioso sulla strada che Dio mi ha assegnata e per poter essere sempre più unito a lui. ! Illumina la mia mente ! con la tua luce divina ! affinché ogni dubbio e incertezza ! spariscano dall’anima mia: ! possa io comprendere chiaramente ! la volontà di Dio ! e capire sempre più le verità eterne. Insegnami ciò che devo fare e ciò che devo dire, affinché in ogni cosa possa piacere a Dio e ogni mia azione abbia il solo scopo di farlo conoscere e amare. ! Rinforza il mio debole corpo ! perché, superando con il tuo aiuto ! ogni stanchezza e desiderio di riposo, ! ogni mollezza e soddisfazione dei sensi, ! possa continuare senza tregua ! la mia battaglia quotiana ! nel servizio di Dio. Riempi il mio cuore del fuoco dell’amore affinché tutto bruci e, bruciando, consumi nelle sue famme l’orgoglio, l’attaccamento alle cose terrene, le mie miserie e le mie infermità. ! Purifica l’anima mia, ! liberandola da ogni struttura ! e da tutte le scorie che la deturpano, ! riscalda la sua freddezza, ! indirizzandola verso la santità. Sii, o Spirito di Dio, l’unico ispiratore dei miei pensieri e dei miei sentimenti. Fa’ che l’ignoranza non m’induca in errore, che la superbia non ostacoli la carità, che l’amore di me stesso non rallenti o diminuisca l’aiuto ai fratelli bisognosi. ! Concedimi che la mia giornata ! tutta la mia vita siano un inno ! di amore e di adorazione ! alla Santissima Trinità ! e che possa un giorno venire ad amarla ! adorarla e lodarla ! senza più ostacoli e limitazioni ! per tutti i secoli dei secoli. ! Amen.! ! ! (Leone Haberstroh)
QUARTA DOMENICA DI PASQUA - 21 APRILE 2013
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
la sicurezza + Dal Vangelo secondo Giovanni 10,27-30 In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
"Le mie pecore non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano" Arpazo vuol dire rapire, strappare via, prendere, rubare: siamo tutti percorsi da questa paura di essere strappati via. E' la paura e l'angoscia di perdere la propria vita e quella dei cari; di essere uccisi per strada, in treno, alla stazione o in aereo; la paura di uscire di casa e la paura che qualcuno entri in casa; la paura che qualche malintenzionato rapisca i nostri figli; la paura di perdere la faccia, la fama, il prestigio o i soldi. In certi giorni ho paura perfino di quello che potrà dire il vescovo, il mio capo, la gente, gli altri. In certi giorni ho paura di essere pazzo, matto, di aver sbagliato tutto. Ma se io mi ancoro in Lui, cosa mi può fare paura? Se tu ti ancori nei soldi, ti possono essere sottratti e lo saranno. Se tu ti ancori nell'amore del coniuge o del figlio, stai attento perché lo sai già: di certo ti sarà sottratto. Se tu ti ancori in quello che gli altri possono dire di te, ti costringi a vivere nell'ansia, a controllare ogni tuo movimento, a chiederti sempre: "Andrà bene? Piacerà?", e comunque avrai sempre nemici. Se tu ti ancori sulla salute, sul fatto che oggi non hai bisogno di nessuno, stai attento perché verrà il giorno in cui tu non basterai più a te stesso. Se tu ti ancori sulla tua vita, sappi che certamente ti verrà strappata da una signora chiamata "morte". Di quale cosa puoi dire: "E' mia"? Pensa a qualunque cosa e prova a dirle: "Tu sei mia". E poi chiediti: "Ma è proprio vero?". E fallo con qualunque persona. Di quale persona puoi dire: "Questa mi appartiene, questa nessuno me la può rubare"? Dov'è che puoi ancorarti in profondità? Dov'è che puoi trovare un terreno che terrà, che non ti scivolerà via da sotto i piedi lasciandoti cadere nel buio e nel vuoto? Dio non vuole la morte dell'uomo, ma permette che ci sia perché possiamo imparare che l'unica certezza è Lui. E siccome l'unica cosa sicura è Dio, la morte (che ha un senso per Dio) ci insegnerà ciò che non vogliamo imparare né fare in vita: abbandonarci a Lui. Quello che dobbiamo imparare, in un modo o nell'altro, lo impareremo. Verrà un giorno in cui, ci piaccia o no, dovremo lasciare tutto e abbandonarci a Lui, dovremo semplicemente fidarci di Lui. Verrà un giorno in cui non potremo più contare più su di noi, in cui non potremo più controllare tutto e tenere tutto sotto il nostro controllo, ma dovremo solo stendere le nostre mani e rimetterci nelle Sue mani. Per molti di noi quel giorno è la morte. La morte è un'esperienza che dobbiamo fare non solo perché ci toccherà, ma perché è un'esperienza religiosa: "Non ho più nulla, se non Te. Mi fido e mi lascio andare". Mi rendo conto che per trovare la felicità, la vita vera, devo rinunciare al tentativo di trattenere qualcosa per me, perché tutto mi sarà strappato: perderò tutto, ma proprio tutto. Seguire Gesù è accettare che si frantumi l'illusione di poter avere o possedere qualcosa. Nulla è mio, ma io sono di Dio. Mi fa male, mi lacera accettare questa verità; mi lacera perché in me c'è l'illusione di avere potere su qualcosa. E, invece, non ho potere su nulla.
Guardo alle cose: "Vi uso, ma non siete mie. Che stupido sarebbe attaccarmi a voi!". Guardo al mio compagno e gli dico: "Ti amo, ma non sei mio". Guardo a mio figlio e gli dico: "Ti amo visceralmente, ma non sei mio". Guardo alla mia vita: "Ti amo, voglio vivere intensamente e per molto tempo, ma non sei mia". Questa verità all'inizio mi brucia, e più sono un uomo attaccato, possessivo, dipendente da tutto ma non da Lui e più mi fa soffrire. Ma essa è la fonte della libertà; è la fonte della verità e dell'amore. Perché piano piano questa verità togliendomi tutto ciò in cui confidavo e che mi illudeva mi dona l'unica realtà che esiste, che esisterà per sempre e che terrà: Dio. "Io sono di Dio"; "tu sei di Dio"; "mia moglie, mio figlio, il mio amore sono di Dio". Allora io mi sento nel palmo della mano di Dio e lì sono al sicuro, perché sento che è l'unico posto dove mi posso riposare e fidare, dove non ho nulla da temere, nulla di cui aver paura. A me non appartiene niente, ma io appartengo a Lui, e questo basta. Io vorrei alzarmi la mattina con questa luce: "Siccome non possiedo nulla, nulla mi può essere sottratto. Siccome non possiedo nulla, ma appartengo a Dio, nulla mi fa paura". Quando mi alzo la mattina e mi ripeto le parole della Sapienza (11,24): "Se avessi odiato qualcosa - dice Dio non l'avrei neppure creata", sento che una profonda pace e fiducia scende in me. Sento che tutte le paure svaniscono,
Vieni, o Spirito del cielo, manda un raggio di tua luce, manda un fuoco creatore. Misterioso cuor del mondo, o bellezza salvatrice, vieni, dono della vita.
PREGHIAMO
Tu sei il vento sugli abissi, tu il respiro al primo Adamo, ornamento a tutto il cielo. Vieni, luce della luce, delle cose tu rivela la segreta loro essenza. Concezione germinale della terra e di ogni uomo, gloria intatta della Vergine. Tu sei il fuoco del roveto, sei la voce dei profeti, sei parola del futuro. Vieni a fare della terra una nuova creazione del Signore un solo tempio. (David Maria Turoldo)
sento che non ho più paura di vivere, sento che posso vivere. Chi ha paura di vivere è perché ha paura di morire; e chi ha paura di morire ha paura di vivere. Chi ha paura di vivere è perché è attaccato a qualcosa e teme di perderla; chi ha paura di morire è perché non conosce ancora Dio e non ha ancora capito chi è Lui. Questa era l'esperienza del Risorto, l'esperienza dei primi cristiani. I primi cristiani dicevano: "Ci potete uccidere; potete fustigarci; potete deriderci, considerarci pazzi, prenderci in giro e umiliarci ma non ci potete togliere la vera vita, la vita eterna, Dio. Potete sottrarci la libertà, ogni possedimento, la faccia sociale, la reputazione, ma non potete toglierci la nostra dignità: noi siamo Suoi. Nessuno ci può strappare dalla Sua mano". Chi vive così, vive davvero. Chi vive così, cosa può temere? Chi vive così non teme, perché per quanto una situazione sia drammatica, dura e sofferente, egli è in quella mano, nel palmo della mano di Dio. E mi accorgo che se ho paura è perché non mi fido poi così tanto di Dio. E mi accorgo che se vivo nell'ansia è perché, in fondo in fondo, Lui non è il mio Pastore. E mi accorgo con quale libertà potrei vivere se solo mi fidessi di più di Lui. Sulla tomba di Ayrton Senna (il famoso pilota di Formula 1) c'è scritta una frase di S. Paolo: "Nulla mi può separare dall'amore di Dio". don Marco Pedron
Spirito Santo rendici certi ... ... che è beato chi medita giorno e notte la legge del Signore (Salmo 1,2) ... che è beato chi trova in dio la propria forza e decide nel suo cuore di seguirlo (Salmo 83,6) ... che è beato chi ha timor di Dio e prova grande gioia nei suoi comandamenti (Salmo 111,1) ... che è meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti (Salmo 117,8-9) ... che chi confida nel Signore è come il monte Sio, non vacilla, è stabile per sempre (Salmo 124,1) ... che se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttore (Salmo 126,1) ... che se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode (Salmo 126,1) ... che il Signore darà sostegno a chi getta su di lui il proprio affanno (Salmo 54, 23) ... che solo in Dio riposa l’anima dell’uomo e da lui riceve salvezza (Salmo 61,1) ... che l’uomo è come polvere e i suoi giorni sono come l’erba (Salmo 102,15)
QUINTA DOMENICA DI PASQUA - 28 APRILE 2013
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
l’amore + Dal Vangelo secondo Giovanni Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
MESE DI MAGGIO 2013
PREGHIAMO CON MARIA INVOCANDO IL DONO DELLO SPIRITO Preghiera del Rosario a - Montanara, in chiesa, ore 20:30 Mercoledì 1 maggio 2013 - a Eremo, nella cappella, ore 20:30 Giovedì 2 maggio 2013 - a S. Lorenzo, in chiesa, ore 20:30 Venerdì 3 maggio 2013 - a Grazie, in santuario, ore 20:30 Sabato 4 maggio 2013 - a Curtatone, corte Angelo Custode, ore 20:30 Domenica 5 maggio 2013
Lasciarsi amare per capire la verità Amatevi, come io vi ho amato. Lo specifico del cristiano non è amare (lo fanno molti, dovunque, sempre, e alcuni in un modo che dà luce al mondo) ma amare come Cristo. Con il suo modo unico di iniziare dagli ultimi, di lasciare le novantanove pecore al sicuro, di arrivare fino ai nemici. La prima caratteristica dell'amore evangelico: amare come Cristo. Non: quanto Cristo, impresa impossibile all'uomo, il confronto ci schiaccerebbe. Nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile. Con quel suo amore creativo, che non chiude mai in un verdetto, che non guarda mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione. Amore che ti fa debole eppure fortissimo: debole verso colui che ami, ma in guerra contro tutto ciò che fa male. La seconda caratteristica: «Come io ho amato voi». L'amore cristiano è anzitutto un amore ricevuto, accolto. Come un'anfora che si riempie fino all'orlo e poi tracima, che diventa sorgente. L'amore non nasce da uno sforzo di volontà, riservato ai più bravi; l'amore viene da Dio, non dalla mia bravura: amare comincia con il lasciarsi amare. Non siamo più bravi degli altri, siamo più ricchi. Ricchi di Dio. È un amore che perdona ma non giustifica ogni sbaglio. Giustifica la fragilità, lo stoppino smorto, la canna incrinata, ma non l'ipocrisia dei pii e dei potenti. Ama il giovane ricco ma attacca l'idolo del denaro. Se il male aggredisce un piccolo, Gesù evoca immagini potenti e dure come una macina al collo. Amore guerriero e lottatore. Ma se il male è contro di Lui allora è agnello mite che non apre bocca. Terza caratteristica «Amatevi gli uni gli altri»: tutti, nessuno escluso; guai se ci fosse un aggettivo a qualificare chi merita il mio amore e chi no. È l'uomo. Ogni uomo, perfino l'inamabile. Gli uni gli altri significa inoltre reciprocità. Non siamo chiamati solo a spenderci per gli altri, ma anche a lasciarci amare: è nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della vita. Amore è intelligenza e rivelazione; amare è capire più a fondo: Dio, se stessi e il cuore dell'essere. Come Gesù quando fa emer gere la verità profonda di Pietro: «Mi ami tu, adesso?». E non gli importa di quando nel cortile di Caifa', Cefa', la Roccia, ha avuto paura di una serva. Amore che legge l'oggi, ma intuisce già il domani del cuore. E ripete a Pietro e a me: il tuo desiderio di a more è già amore.
Come io ho amato voi "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Sta in queste parole, pronunciate da Gesù durante l'ultima cena, il centro del vangelo odierno, che definisce una delle due facce dell'unico comandamento da lui lasciato ai suoi fedeli. In precedenza, quando qualcuno dalla folla che lo ascoltava gli aveva chiesto quale fosse il comandamento principale, egli aveva risposto: "Ama Dio con tutto il cuore, e il prossimo tuo come te stesso". L'unico comandamento, di cui i dieci che conosciamo sono solo una specificazione, è quello di amare Dio, amando il prossimo. In altri termini: ci si può facilmente illudere di amare Dio; occorre verificarlo, e lui stesso ci dice come: amando coloro che ama lui, vale a dire tutti gli uomini. Succede anche tra noi: non posso illudermi che una persona creda al mio amore per lei, se le do dispiacere maltrattando quanti le sono cari. Sull'amore, aveva anche detto Gesù, saremo misurati per avere accesso alla vita eterna: "Venite, benedetti dal Padre mio, perché avevo fame, e mi avete dato da mangiare; ero nudo, e mi avete vestito; ero malato, e mi avete assistito; ero forestiero, e mi avete accolto" eccetera. Conta dunque la pratica, contano i fatti. Ma ci si può chiedere: sino a che punto questo comandamento ci impegna? Si legge nel vangelo che neppure un bicchier d'acqua dato a chi ha sete resterà senza ricompensa; dunque è sufficiente un gesto gentile ogni tanto, magari compiuto più per educazione che per convinzione? E non basta l'amore cui la stessa natura ci spinge, verso i familiari, gli amici, le persone simpatiche, la squadra del cuore? La risposta sta nelle parole con cui Gesù ha chiarito il comandamento di amarci gli uni gli altri: "Come io ho amato voi". La misura dell'amore è lui: e lui, in primo luogo ha amato sempre e tutti; in secondo luogo ha amato non per convenienza, calcolando di averne un vantaggio; terzo, ha amato con tutto se stesso, sino a dare la vita. In questo, il suo comandamento è "nuovo". Anche prima di lui gli uomini sapevano amare, anche senza di lui si può esserne capaci; ma di suo l'uomo, quand'anche ama, lo fa sempre con qualche riserva: amo tizio ma non caio, amo se non mi costa, amo quando ne ho voglia... La novità di Gesù sta invece nell'abolire ogni riserva, nell'intendere e praticare l'amore come dono totale di sé. Non è facile, certo, per chi ogni giorno deve fare i conti con la propria fragile umanità; ma proprio per questo egli ha voluto lasciarci i suoi aiuti: la sua parola, i sacramenti, l'esempio suo e dei tanti che hanno saputo imitarlo. "Tutto posso, con Colui che me ne dà la forza", scrive San Paolo. Uno stimolo a vivere concretamente il comandamento nuovo viene dalla prospettiva aperta a chi lo pratica: la vita eterna. E viene anche dalla consapevolezza che così, solo così, ogni singolo cristiano può compiere un'impresa per cui merita l'universale considerazione. La storia considera benefattori dell'umanità, artefici del suo progresso, gli scienziati, i filosofi, gli artisti e così via, ignorando i più, ritenuti spesso una massa inerte da smuovere con fatica. Nella sua infinita giustizia, Dio non considera le masse ma i singoli, non discrimina nessuno, e a tutti, proprio a tutti, dona la possibilità di concorrere a migliorare il mondo. Ogni singolo uomo può farlo, appunto vivendo il comandamento nuovo, che trasforma i rapporti umani; ogni singolo uomo, non importa se illetterato o privo di mezzi, può amare di vero amore, ed essere così quel lievito di cui parla Gesù, quella cosa quantitativamente minima, ma tanto efficace da far fermentare tutta la massa in cui è inserita. mons. Roberto Brunelli
La Gloria Il vangelo usa molte volte il termine "gloria" (doxa). Per noi è incomprensibile questa parola. Quando noi pensiamo a gloria pensiamo ai personaggi famosi, a quelli che hanno fama, potere e riconoscimento. "Gloria" è vincere il Campionato del mondo di calcio o apparire in tv; gloria è fare qualcosa per cui si sarà ricordati per sempre e non si sarà mai dimenticati; gloria è essere conosciuti da tutti; gloria è essere ammirati da tutti; gloria è arrivare in alto. Ma "gloria", docheo, vuol dire lett. "mostrarsi, farsi vedere". La gloria è quando Dio si fa e si da a vedere nella tua vita. Dio non si può vedere, ma si può mostrare, si può far vedere, lo si può riconoscere. Tu vivi le tue giornate, ma in certe situazioni Dio si mostra: questa è "gloria". Tu vivi le tue giornate, ma in certe tue parole, in certi tuoi comportamenti, in certe tue scelte, Dio si dà a vedere. Gesù è la "gloria di Dio" perché in lui Dio si è fatto massimamente vedere. Gesù "glorifica" Dio perché la sua vita è stata trasparenza dove Dio si è reso visibile. L'uomo è "gloria" di Dio quando nella sua vita autentica Dio emerge. Di tanto in tanto succede nella vita di tutti i giorni che si apre una finestra sull'invisibile, sulla luce vera del mondo e i raggi dello spirito entrano nella vita materiale. Allora accade che l'Oltre si fa presente in maniera indelebile nella tua vita e lascia un segno che non si può più cancellare. Giovanni Pascoli, ritornando a casa una sera, vedendo il tramonto (quante volte lo aveva visto!) disse: "Mi sentii una stella del Tutto. Lui c'era, era lì e io ero con Lui". Nulla fu più lo stesso. Tagore stava camminando quando gli fu "chiaro che tutto era solamente una meravigliosa musica" di cui lui non era che una nota e Dio il musicista. Un padre, razionale e ipercritico verso ogni spiritualità, il giorno dell'ecografia della moglie (aspettavano il primo figlio) fu così sconvolto dentro e pieno di "qualcosa di così grande da non poter essere contenuto" che gli cambiò la vita. Quel giorno sperimentò qualcosa di Dio e da quel giorno non ebbe più dubbi. Antonio, un uomo quarantenne depresso e insoddisfatto della sua esistenza, ha raccontato che, portato a messa da un amico (lui era dalla Cresima che non metteva piede in chiesa!), ad un certo punto sentì chiara e forte la voce: "Antonio vivi! Antonio esci! Antonio, te lo ordino: vivi!". La cosa, totalmente inaspettata, lo fece rabbrividire e si convertì a questa nuova vita. Questa è gloria: sentire anche solo per un attimo la Voce e vedere anche per solo un istante la Luce. La gloria dell'uomo è sentirsi Dio, divino, potente, immortale. Ma questa non è gloria, è idolatria. La vera gloria non è sentirsi Dio, ma sentire Dio, vederlo, percepirlo, riconoscerlo. Ti entra qualcosa che non potrà mai più uscire e che non ti lascerà mai più. don Marco
O Spirito Santo, amore paziente e premuroso, insegnaci ad amare. O Spirito Santo, amore non geloso né superbo o orgoglioso, insegnaci ad amare.
PREGHIAMO
O Spirito Santo, amore rispettoso, gratuito, dimentico del male ricevuto, insegnaci ad amare. O Spirito Santo, amore senza ira e senza pensieri cattivi, insegnaci ad amare. O Spirito Santo, amore felice della verità e della giustizia, insegnaci ad amare. O Spirito Santo, amore misericordioso, fiducioso di tutti, paziente in tutto, mai disperato, insegnaci ad amare. O Spirito Santo, amore intramontabile, insegnaci ad amare.
SESTA DOMENICA DI PASQUA - 5 MAGGIO 2013
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
la pace + D a l Va n g e l o s e c o n d o G i ova n n i 14,23-29 In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
MESE DI MAGGIO 2013
PREGHIAMO CON MARIA INVOCANDO IL DONO DELLO SPIRITO Preghiera del Rosario a -Strada Morante, cappella corte Lovato, ore 20:30 Lunedì 6 maggio - cappella Madonna del Melograno, sulla provinciale per Mantova ore 20:30 Martedì 7 maggio 2013
Dimora di Dio, dimora dell'uomo Parto dalla domanda che Giuda (non l'Iscariota) fa a proposito della manifestazione di Gesà al mondo: per quale motivo ti manifesterai a noi e non al mondo? Provo a tradurre: per quale motivo ti manifesterai ad un gruppetto sparuto di persone e non alle moltitudini? Non sarebbe meglio raggiungere subito le folle, il maggior numero di persone possibile dimostrando che sei Dio? Sarebbe tutto più credibile, tutto più convincente... in questo mi pare di capire che Giuda mostra tutta la sua preoccupazione: se continua così, sulla linea della semplicità, dell'umiltà, della povertà, chi mai potrà aggiungersi a noi? E poi la tradizione dei nostri padri, che ci parla di una manifestazione pubblica, con potenza e gloria e qui continuamente ci viene raccomandata la discrezione, il nascondimento... Se al testo del vangelo di oggi poniamo la domanda: dove avviene la manifestazione di Gesù? La risposta, in continuità con il vangelo già ascoltato domenica scorsa è: nell'amore... l'amore è il luogo della presenza di Dio. Ancora una volta, di fronte alla richiesta di un agire che sia poderoso e forte, Gesù risponde con la necessità della relazione, ed una relazione che non sia di dominio, di comando, nella quale invece di forzare, convincere, ci si consegna. Credo che le parole di Gesù sulla pace, (vi lascio la pace vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi) vadano in questa direzione... gli uomini, mai considerano la pace come un dono di Dio, ma come un apporto che determinate civiltà possono dare ad altre e per portare la pace usano la scorciatoia della guerra. Per ricordarmi, ogni volta che celebro la messa, che la pace di Gesù nasce in un modo radicalmente opposto, mentre dico le parole: La pace del Signore sia sempre con voi, alzo l'ostia consacrata e il calice e li mostro all'assemblea (E' un gesto che ho imparato in un monastero cistercense... mi sono detto che se ha parlato a me che sono duro di comprendonio, certamente può aiutare tanti a capire meglio e quindi mi è piaciuto farlo mio)... la pace di Gesù nasce da lì, da quel corpo consegnato e da quel sangue versato, dall'Agnello immolato che la seconda lettura di oggi ci dice essere la lampada dalla quale la gloria di Dio illumina il Regno. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello. Tornando al luogo della manifestazione... l'amore, se è possibile, è qualcosa di più del luogo della manifestazione, fa nascere in Dio il desiderio di fare casa con l'uomo. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui... tutto questo mi fa sentire ancora più vicino Dio perché mi fa venire in mente quando, bambino delle elementari non vedevo l'ora che Gabriele, (un compagno di classe con il quale mi trovavo particolarmente bene e mi divertivo un sacco), mi chiedesse: vieni a casa mia oggi? Crediamo in un Dio al quale piace condividere l'intimità della casa, della dimora. Gli abitanti di Cuba, quando ti accolgono, dicono: Padre, aquí tiene su casa... mi ha fatto pensare tanto questa frase in questi giorni di ascolto del vangelo domenicale, perché non è scontato, almeno per me, rivolgermi a Dio e offrirgli la mia vita come casa, come dimora. don Maurizio Prandi
Pacificati
La Forza è dentro
"Vi do la mia pace, non come la dà il mondo": il confine del male e del bene è nel nostro cuore, il nemico è dentro di noi, non fuori, e la prima autentica pacificazione deve avvenire nel nostro intimo con noi stessi e la nostra violenza e la nostra rabbia, la parte oscura che i discepoli chiamano "peccato". I cristiani, spesso, quando parlano di pace... pensano al cimitero! Una scorretta e parziale visione di fede, là dove il cristianesimo è fiacca e svogliata appartenenza ad una serie di credenze e di gesti rituali, parla di pace il primo novembre, pensando ai nostri defunti che riposano "in pace" (e che devono fare, ballare la samba?). La pace, secondo la Parola di Gesù, è il primo dono che egli fa', risorto, apparendo agli impauriti discepoli. Un cuore pacificato è un cuore saldo, irremovibile, che ha colto il suo posto nel mondo, che non si spaventa nelle avversità, non si dispera nel dolore, non si scoraggia nella fatica. La scoperta di Dio, nella propria vita, l'incontro gioioso con lui, la percezione della sua bellezza, la conversione al Signore Gesù riconosciuto come Dio, suscita nel cuore delle persone una gioia profonda, sconosciuta, diversa da ogni altra gioia. È la gioia del sapersi conosciuti, amati, preziosi. E la scoperta dell'amore di Dio mi apre a scenari nuovi, inattesi: il mondo ha un destino di bene, un amorevole disegno che, malgrado la fatica della storia e dell'umanità, confluisce verso Dio. E in questo progetto io, se voglio, ho un ruolo determinante. Sono una tessera di un mosaico immenso, grandioso, luminoso, sono parte di un tutto che realizzo amando e lasciandomi amare. Scoprire il proprio destino, la propria chiamata intima, la propria vocazione, mi mette le ali, mi cambia l'umore. Malgrado i miei limiti, le mie fragilità, le mie paure, posso amare e, amando, cambia il mondo intorno a me. Ecco, questa è la pace: sapersi nel cuore di una volontà benefica e salvifica, scoprirsi dentro il mistero nascosto del mondo. Credere in questo, adesione alla fede quasi sempre tormentata e sofferta, non immediata e leggera, dona la pace del cuore. Io sono amato, tu, amico lettore, sei amato. Insieme a Dio, se vuoi, possiamo cambiare il mondo. Questa pace è pace profonda, pace salda, pace irremovibile, ben diversa dalla pace del mondo, pace che viene venduta come assenza di guerra o, peggio guerra che viene ritenuta necessaria per imporre la pace. Pace del sapersi amati che permette di affrontare con serenità anche le paure. Paura del futuro, della malattia, del lavoro precario, del non sapersi amati, paura. La pace del cuore, dono e conquista, fiamma da alimentare continuamente alla fiamma del risorto, aiuta ad affrontare la paura con fiducia, a non avere il cuore turbato. Alla fine di questi splendidi giorni di Pasqua, invochiamo il Consolatore, donato dal Padre, per affrontare la nostra quotidianità con la certezza della presenza del Signore, giorno dopo giorno, passo dopo passo. Paolo Curtaz
Siamo nell'ultima cena (Gv 13-17) dopo la lavanda dei piedi, dopo che Giuda se n'è andato per compiere il suo tradimento. Gesù fa un lungo discorso e prepara i suoi amici alla sua partenza:"Vado e tornerò a voi... vi rallegrereste che vado al Padre... ve l'ho detto adesso, prima che avvenga". Non lo vedranno più. L'Amico Gesù, colui con il quale condividevano le giornate, le gioie e gli entusiasmi, le incomprensioni del mondo e l'odio, l'amore e i miracoli, le fatiche e le preghiere, se ne sta per andare. Gesù con queste parole aiuta i suoi amici a passare dal cenacolo, dal santuario esteriore, al cenacolo e al santuario interno. Lì, in quel cenacolo, non lo troveranno più. Se lo vorranno trovare dovranno cercare in un altro cenacolo: nel proprio cuore, nella propria anima. Gesù fisicamente non ci sarà più: questo causa turbamento, angoscia, terrore: "Che faremo senza di lui? Come potrà andare avanti la vita senza la nostra Vita? Chi ci aiuterà? Chi ci sosterrà? Come faremo a vivere senza di lui? Avrà ancora senso la vita?". Sono domande inquietanti che si pongono gli apostoli dal profondo della tempesta che si agita nel loro animo. In fondo in fondo gli apostoli nutrivano l'illusione che Gesù avrebbe instaurato il regno dei cieli qui sulla terra; speravano che qualcosa di diverso sarebbe successo; un po' ci credevano in un intervento del Padre in favore di suo Figlio. E invece no! Allora tutte le loro sicurezze, tutte le loro certezze sono svanite, si sono dissolte come il fumo nel vento. La terra ha iniziato a crollargli sotto i piedi e tutto è crollato. "Ma cosa rimane?". Sembrava tutto finito. C'era un discepolo che tutti i giorni da tanti anni andava dal suo maestro. Il suo maestro gli spiegava i segreti della natura, le leggi che sottendono a tutto ciò che vive a tutto ciò che esiste. Gli aveva insegnato a leggere i cuori degli uomini, a capirne le intenzioni, a prevederne le reazioni. Ogni mattina il discepolo arrivava, poneva delle domande al maestro e questo rispondeva alle sue domande. Il discepolo aveva imparato molte cose e ogni volta che non era sicuro, chiedeva al maestro. Una mattina andò come tutte le mattine dal maestro. Come arrivò il maestro gli disse: "Questa mattina sarà l'ultima mattina che verrai qui da me!". "Ma perché maestro? Ti ho deluso? Ho fatto qualcosa che non dovevo fare? Non ti ho obbedito? Non ti ho rispettato? Dimmi, maestro in cosa non ti ho ascoltato e io lo farò!", disse il discepolo. "Finché tu vieni da me, io sarò sempre il maestro e tu sempre il discepolo. Ma adesso devi imparare l'ultima lezione: io sono maestro e tu anche. Da domani non chiederai più a me ma a te stesso", disse il maestro. Ci sono tanti modi per amare: posso ogni giorno darti un pesce da mangiare ma posso insegnarti anche a pescare, e allora sarai diventato tu stesso un altro pescatore. Molte persone hanno trent'anni, quaranta, ma sono ancora attaccate alla tetta della mamma. Ma viene un tempo in cui il latte bisogna prenderselo da soli. Basta con il rimanere bambini. Dio ci ha fatto un regalo incredibile, enorme. Dio non ha voluto che gli ubbidissimo sempre, che ci riferissimo a Lui per ogni cosa, che dovessimo sempre consultarlo per sapere in ogni istante cosa fare. Dio non ci ha creati schiavi del suo volere. Dopo averci educati e insegnato un po', ci ha detto: "Io sono il Maestro e tu il discepolo. Ma da adesso tu sei il maestro". Gesù non ci chiama tanto a venerarlo, a pregarlo, ad adorarlo. Gesù ci chiama ad essere noi stessi degli altri Gesù. Tutt'oggi la maggior parte delle persone chiede risposte: "Cosa devo fare in questa situazione? Cosa dice il Catechismo della chiesa cattolica? Cosa dice il Papa? Cosa è giusto fare? Cosa bisogna fare?". E' il bambino che chiede tutto alla mamma perché non sa ancora cosa vuole e cosa non vuole, perché ha paura di fare delle scelte e di sbagliare. Ma l'adulto non chiede più all'esterno, chiede all'interno, chiede al Dio dentro di sé. Noi dobbiamo prendere sul serio il fatto che Dio ci abita, che lo Spirito è dentro di noi. Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità che pochi sono disposti ad accettare. La gente che chiede troppe risposte agli altri è perché non vuole prendersi la responsabilità e il carico di vivere la propria vita e la propria fede in prima persona. E' sempre più comodo farsi portare in carrozzina o in passeggino piuttosto che camminare con le proprie gambe. Dio è dentro di te; il Maestro unico e vero è lì in te a portata di mano: perché chiedi a me? Perché chiedi in giro? Lo Spirito ci ricorda una verità enorme: Dio è dentro di te. Tu lo devi conoscere, tu lo devi cercare, tu devi darti le tue risposte e ti devi prendere le tue responsabilità.
Il vangelo di oggi ci ributta dentro di noi. La tua forza è dentro: lì c'è lo Spirito, il Dio in te. La forza di un albero non sta in quello che si vede, nelle foglie, nei rami o nel tronco. La sua forza sta nelle sue radici, in ciò che non si vede, in ciò che ha dentro. Nessun albero è più alto delle sue radici. La forza di un uomo è in ciò che ha dentro. Se amiamo veramente i nostri giovani dobbiamo insegnargli dov'è la loro vera forza. A che serve farli belli, grandi, grossi, laureati, quando poi non hanno la forza di vivere, di reggere e di sostenere la loro vita? Tutta la società è preoccupata di svilupparsi fuori: più belli, più ricchi, più acclamati, più degli altri. E' un'illusione che avvelena la vita di milioni di persone. La vera forza, infatti, sta dentro. La forza di un uomo è la capacità si resistere al dolore del rifiuto e dell'abbandono, senza evitarlo. Per la società è "forte" chi non prova nulla, chi non sente la paura, chi non soffre mai. La forza di un uomo è l'intensità del suo sguardo, la profondità e la vibrazione del suo tocco. Per la società è "forte" chi è ammirato e chi ha tutti ai suoi piedi. La forza di un uomo è la capacità di ascoltarsi, di conoscersi, di seguire cosa accade dentro di sé. Per la società è "forte" chi è intelligente, chi te la sa raccontare, chi "te la incarta sempre". Per la società è "forte" chi viaggia e va dappertutto: ma se non sai compiere il viaggio dentro di te...
PREGHIAMO
La forza di un uomo è non vergognarsi di niente di ciò che gli accade dentro e di avere il coraggio di riconoscere e di chiamare per nome ogni cosa. Per la società è "forte" chi fa sempre il furbo, chi se la cava sempre, chi sa mascherare e mascherarsi. La forza è nell'intensità dei suoi sentimenti e nel seguire la sua coscienza anche se lo porta controcorrente. Per la società è "forte" chi ha potere, chi può permettersi, chi ha soldi. La forza di un uomo è inchinarsi e chiedere perdono quando sbaglia ma non inchinarsi a nessuno e a nessun compromesso se ne va della propria dignità e integrità. Per la società è "forte" chi come il camaleonte si adatta a tutto e ne viene sempre fuori bene. La forza di un uomo è far emergere la Forza divina che lo abita e non vivere al di sotto delle sue possibilità. E' ciò che hai dentro che ti sostiene (che ti tiene su). Quando guardi un albero dici: "Ma che belle foglie; e com'è alto! E che fiori! E che frutti meravigliosi!". Ma in realtà devi dire: "Le sue radici sono profonde e radicate; la linfa scorre senza ostacoli e senza barriere; dentro è vivo e pino di vita che emerge ed esce". E adesso guarda la tua vita. Ciò che vedi fuori è la conseguenza di ciò che hai dentro. E se non ti piace il fuori devi cambiare il dentro. don Marco Pedron
O Spirito Santo, se tu non ci plasmi interiormente e non ricorriamo spesso a Te può darsi che camminiamo al passo di Gesù Cristo ma non con il suo cuore. Tu solo ci rendi conformi nell’intimo, al Vangelo di Gesù, e ci rendi capaci di annunciarlo con la vita. Prendi possesso della nostra vita per agire in essa liberamente. Penetra la scorza che ancora sfugge al tuo dominio. Fa’ decantare i nostri pensieri da ciò che in essi è meno limpido; passa al vaglio in anticipo le nostre parole e condiscile con il tuo sale e il tuo olio; plasma in noi un cuore nuovo, appassionato, che contagia l’amore. Tu che sei infaticabile e insaziabile nell’agire, non vieni in noi per riposarti! Scendi su di noi, o Spirito, e imprimi ai nostri atti il dinamismo che ti è proprio. Aiutaci a consegnarti tutte le azioni della giornata per lasciarle trasformare da te: allora , in ciascuna di esse, sarà riconoscibile il tuo sapore, il balsamo del tuo amore. Impediscici di essere infedeli alla tua fedele ispirazione. ! (Madeleine Delbrel)
Spirito Santo, splendore di bellezza, luce che scaturisci dal seno della Luce, vieni! Spirito Santo, candore di innocenza, infanzia divina che rinnovi il mondo, vieni! Spirito Santo forza creatrice d’infinito Amore, dolce ospite dei cuori, vieni! Spirito Santo, divino consolatore, balsamo che risana ogni ferita, vieni! Spirito Santo, cresima celeste, che divinizza l’umana creatura, vieni! Spirito Santo, divino orante che dal cuore dei figli sempre grida “Padre”, vieni! Spirito Santo, canto d’allegrezza nel cuore della Chiesa, Sposa sempre ringiovanita dalla grazia, vieni!
SETTIMA DOMENICA DI PASQUA - 12 MAGGIO 2013 SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
la gioia + Dal Vangelo secondo Luca 24,46-53 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
MESE DI MAGGIO 2013
PREGHIAMO CON MARIA INVOCANDO IL DONO DELLO SPIRITO Preghiera del Rosario a - Eremo, giardini via Francia, ore 20:30 Lunedì 13 maggio 2013 - a Eremo, Sede AVC in via Europa, ore 20:30 Mercoledì 15 maggio 2013 - a Eremo, via XXIV maggio, ore 20:30 Giovedì 16 maggio 2013
Il vangelo dice che gli apostoli erano pieni di gioia (charà). Gioia viene da charis, l'amore, la carità. Si è nella gioia solo quando ci si sente amati, voluti, protetti, benedetti, preziosi, ricercati. La gioia non si può produrre: è solo una conseguenza di qualcos'altro. Per questo gli apostoli erano "nella gioia": erano amati ogni giorno dal Signore. All'inizio del vangelo (1,14) l'angelo Gabriele annuncia una "gioia" grande a Zaccaria: avrà un figlio. Zaccaria, che è vecchio e sua moglie è avanti nell'età, non ci crede. Non permette a Dio di amarlo, di dargli una gioia grande. Zaccaria guarda a sé e dice: "Come è possibile? Ma dai, Gabriele, guardami bene, non scherzare, ma come vuoi che faccia!". E diventa muto. Amarsi è credere alla nostra grandezza, è permettere a Dio che ci faccia grandi, che ci destini per qualcosa di enorme; è credere al nostro valore, alla nostra bellezza, al mistero e alla forza che risiede nella nostra vita. Maria credette all'annuncio dell'angelo e credette alla sua grandezza. Infatti cantò in un'esplosione di gioia e di meraviglia, il Magnificat (1,46-55). Così gli apostoli credettero che a loro, proprio a loro, Gesù aveva affidato il suo messaggio. Quando la madre ama il bambino, se lo coccola, se lo bacia, lo fa ridere, gli fa un sacco di smorfie (che a ben pensarci sono tiri da deficiente) e di sorrisi (incomprensibili con tutto il dannare, la mancanza di sonno, i problemi e le preoccupazioni che un bambino comporta). Allora il bambino si sente importante, bello, voluto. Sente il suo valore, sente che la madre lo ama, sente che è importante per lei, ed è felice. Si fanno tanti discorsi sui bambini ma la verità è semplice: se un bambino non è felice, non esprime gioia, non è un vulcano di creatività, di iniziativa, di movimento, di gioco, lo è perché non si sente amato. Perché l'amore produce la gioia. Non vi ricordate più di quando eravate innamorati? Come vi sentivate? Non vi sembrava il mondo tutto un paradiso? Perfino il vostro nemico non era così cattivo! Perfino il lavoro era piacevole con il pensiero dell'amata nel cuore e nella mente! L'amore produce gioia. Il non amore produce tristezza. Gli apostoli sono felici perché si sentono amati. Sentono che Gesù si fida di loro. Sentono di avere valore ai suoi occhi. Si sentono veramente importanti e grandi. "Proprio a me Gesù dai il compito di continuare la tua missione?". "Sì, proprio a te!". Vuoi essere felice, fai come loro: "Dovunque mi chiamerai, io andrò!". E basta con il dire: "Io? Io non sono in grado! Io? Ma cosa vuoi che sia capace di fare io? Io? Ma se non ho studiato, se non so niente? Ma non posso... ma ho paura... e se poi...". Vuoi essere felice, credi a Lui: "Tu sei grande! Sì, proprio te!". Se vuoi essere felice credi a questo e vai. don Marco Pedron
Tocca a me Tommaso e il suo dolore, Pietro e il suo senso di colpa, Gesù pastore bello che tiene strette al suo petto le pecore, Giuda che è salvato dal suo male, la comunità dei discepoli che osservano la Parola e dimorano nell'amore. Abbiamo volato alto quest'anno, che dite? Forse anche voi, come i dodici, vi sentite un po' risorti, forse anche voi ? un poco, almeno! ? avete abbandonato in fretta il sepolcro. Tutto troppo bello per essere vero, no? Infatti. Siete seduti? Gesù se ne va (e questa è già dura da digerire) e ? terribile ? ci lascia la Chiesa. Scambio sfavorevole Scambio sfavorevole, che dite? Non siamo tutti, come gli apostoli, un po' delusi da questa scelta? Ma come, proprio adesso che le cose funzionavano, Gesù ci molla? Torna al Padre e noi qui a tribolare? Il cammino di conversione alla gioia, che abbiamo portato avanti in queste settimane, subisce uno stop, un tonfo improvviso. Vedo già la vostra faccia amici lettori, compagni internauti, stiamo faticosamente recuperando il volto di Dio, passando da quello sgorbio di Dio che abbiamo in testa al Dio di Gesù, ed ecco che tiriamo fuori il tema antipaticissimo della Chiesa. Siamo schietti: a me che Gesù risorto sia tornato al Padre, proprio non piace, e non ci trovo proprio un bel niente da festeggiare. Invece di incontrare il volto radioso e sereno del Maestro, mi trovo davanti il volto rugoso e scuro dei cristiani... E se, invece Ma se, invece, Gesù avesse voluto dirci qualcosa di nuovo? Di inatteso? Se davvero nei progetti di Dio ci fossimo noi? Se, mettete il caso, davvero Gesù abbia (follemente) affidato l'annuncio del Regno alla Chiesa, peggio: a questa Chiesa? Sì, amici, l'ascensione (di nuovo!) cambia la nostra idea di Dio. Non più un Dio "pappa fatta" che regna sovrano e ripiana i problemi, supera le difficoltà. Il nostro non è un Dio manager amministratore di una multinazionale del sacro che dirama le direttive e un numero verde per le emergenze, con gentili angeli che non danno mai risposte utili, no. Il Dio presente, il Dio in cui crediamo è il Dio che affida, che accompagna, certo, ma che affida il cammino del vangelo alla fragilità della sua Chiesa. Il Regno sperato dagli apostoli occorre costruirlo, la nuova dimensione voluta dal Signore per restare nel mondo, non è magica, ma pazientemente intessuta da ognuno di noi. Siamo noi, ahimè, il volto di Gesù per le persone che incontriamo sulla nostra strada... Tu che leggi, fratello, sei lo sguardo di Dio per le persone che incontreremo. Così il nostro Dio originale e spiazzante ha deciso. E così davvero accade. Il tempo della Chiesa L'ascensione segna la fine di un momento, il momento della presenza fisica di Dio, dell'annuncio del vero volto del Padre da parte di Gesù, che professiamo Signore e Dio, con la rassicurazione, da parte di Dio stesso della sua bontà e della sua vicinanza nello sguardo di noi discepoli. Ora è il tempo di costruire relazioni e rapporti a partire dal sogno di Dio che è la Chiesa: comunità di fratelli e sorelle radunati nella tenerezza e nella franchezza nel Vangelo. Accogliamo allora l'invito degli angeli nel vangelo di Matteo: smettiamola di guardare tra le nuvole cercando il barlume della gloria di Dio e ? piuttosto ? vediamo questa gloria disseminata nella quotidianità di ciò che siamo e viviamo. Restiamo in città, non fuggiamo la disperante banalità dell'oggi, perché è lì che Gesù sceglie di abitare: nell'oggi, nel delirio confuso della mia città. Cerchiamo Dio, ora, nella gloria del Tempio che è l'uomo, tempio del Dio vivente, smettiamola di guardare le nuvole, se Dio è nel volto povero e teso del fratello che incrocio. Il Signore ci dice che è possibile qui e ora costruire il suo Regno. L'ascensione segna l'inizio della Chiesa, l'avvio di una nuova avventura che vede noi protagonisti. E se la Chiesa ci ha masticato, offeso, provato, combattiamo con più forza, imitiamo i santi che convertirono la Chiesa a partire da loro stessi. Paolo Curtaz
Spirito di verità, che scruti le profondità di Dio, memoria e profezia della Chiesa, conduci l’umanità a riconoscere in Gesù di Nazareth il Signore della gloria, il Salvatore del mondo, il supremo compimento della storia. Vieni, Spirito di amore e di pace! Spirito creatore, arcano artefice del regno, con la forza dei tuoi santi doni, guida la Chiesa a varcare con coraggio la soglia del nuovo millennio, per portare alle generazioni che verranno la luce della Parola che salva. Vieni, Spirito di amore e di pace! Spirito di santità, soffio divino che muove il cosmo, vieni e rinnova il volto della terra. Suscita nei cristiani il desiderio dell’unità piena per essere efficacemente nel mondo segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. Vieni, Spirito di amore e di pace! Spirito di comunione, anima e sostegno della Chiesa, fa’ che la ricchezza di carismi e ministeri contribuisca all’unità del cropo di Cristo: fa’ che laici, consacrati e ministri ordinati concorrano insieme ad edificare l’unico regno di Dio. Vieni, Spirito di amore e di pace! Spirito di consolazione, sorgente inesauribile di gioia e di pace, suscita solidarietà verso chi è nel bisogno, provvedi agli infermi il necessario conforto, infondi in chi è provato fiducia e speranza, ravviva in tutti l’impegno per un futuro migliore. Vieni, Spirito di amore e di pace! Spirito di sapienza, che tocchi le menti e i cuori, orienta il cammino della scienza e della tecnica al servizio della vita, della giustizia e della pace, rendi fecondo il dialogo con chi appartiene ad altre religioni, fa’ che le diverse culture si aprano ai valori del Vangelo. Vieni Spirito di amore e di pace! il Verbo si è fatto carne nel seno della Vergine, donna del silenzio e dell’ascolto, rendici docili ai suggerimenti del tuo amore, e pronti sempre ad accogliere i segni dei tempi che tu poni sulle vie della storia. Vieni Spirito di amore e di pace! A te, Spirito d’amore, con il Padre onnipotente e il Figlio unigenito sia lode, onore e gloria nei secoli senza fine. Amen.
PREGHIAMO
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Giovanni Paolo II
SOLENNITA’ DI PENTECOSTE - 19 MAGGIO 2013
ESPERIENZA DI RESURREZIONE:
lo Spirito vi ricorderà MESE DI MAGGIO 2013
PREGHIAMO CON MARIA INVOCANDO IL DONO DELLO SPIRITO Preghiera del Rosario a - Eremo, quartiere via Goito, ore 20:30 Domenica 19 maggio 2013 - a Eremo, presso UGR, ore 20:30 Lunedì 20 maggio 2013 - a Montanara, presso Comune nuovo, ore 20:30 Martedì 21 maggio 2013 - a Montanara, presso Parco Pognani in via Roda, ore 20:30 Mercoledì 22 maggio - a Montanara, presso giardini di via Modigliani e via Fattori, ore 20:30 Giovedì 23 maggio - a Montanara, presso parcheggio di Via Segantini, ore 20:30 Venerdì 24 maggio - a Montanara, presso via Mozart, ore 20:30 Lunedì 27 maggio 2013 - a Montanara, presso l’area di via Tazio Nuvolari, ore 20:30 Martedì 28 maggio
CORPUS DOMINI a EREMO giovedì 30 maggio 2013 ore 21 SANTA MESSA presso la cappella di Eremo in via Raffaello (all’aperto, o al chiuso in palestra in caso di brutto tempo) segue!PROCESSIONE con il Santissimo Sacramento per via Mantegna! !
+ Dal Vangelo secondo Giovanni 14,15-16.23-26 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Sant'Agostino diceva: Io vi parlo dall'esterno, e tutti sentono la stessa mia parola, ma è lo Spirito che fa intendere ad ognuno ciò di cui ha bisogno. Di fronte ad una cultura tanto difficile da interpretare.. crediamo all'azione dello Spirito, e con coraggio proclamiamo le opere di Dio con la fiducia di chi sa di essere semplicemente portavoce di colui che conosce tutte le lingue del mondo e che sa farsi capire da "ciascuno secondo la propria lingua nativa".
PELLEGRINAGGIO A PIEDI AL SANTUARIO DELLE GRAZIE sabato 25 maggio 2013 ore 18 ! ritrovo presso la Chiesa di ! ! Montanara e partenza del ! ! PELLEGRINAGGIO A PIEDI ore 19:30! in Santuario, SANTA MESSA ore 20:30 ! sul sagrato del Santuario, ! ! CENA DI FESTA! ! ! ! preparata dalla parrocchia in ! ! collaborazione con gli abitanti ! ! di Grazie, aperta a tutti * alle 19 parte dalla Chiesa di Montanara un bus navetta che ritorna alle ore 22:30 * in caso di brutto tempo, il tutto viene rimandato al giorno successivo
Pellegrinaggio a WEINGARTEN
Pellegrinaggio in TERRA SANTA guidato da don Sandro Barbieri insieme al nostro Vescovo Roberto
22 - 29 agosto 2013 in occasione dell’anno della fede 1 giorno: partenza da Bergamo (Orio al Serio) per Tel Aviv; Santa Messa di inizio pellegrinaggio con tutti i gruppi e il Vescovo a Emmaus; trasferimento a Nazareth 2 giorno: visita di Nazareth, Sefforis, Cana, Monte Tabor
città che custodisce una parte della reliquia dei Sacri Vasi di Mantova
3 giorno: visita dei luoghi sul lago di Galilea: Cafarnao, Monte delle Beatitudini, luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Korazin, Betzaida, Kursi, navigazione sul lago con battello, pranzo in un kibbuz
8-11 maggio 2013
4 giorno: trasferimento in Giudea lungo la valle del Giordano; visita di Masada, Kumran, Gerico, deserto di Giuda
in occasione della festa dell’Ascensione
5 giorno: visita di Betlemme e di Ein Karen e San Giovanni nel deserto
mercoledì 8 maggio: partenza alle ore 7 da Montanara in pullman per l’abbazia di San Gallo (in Svizzera); pranzo al sacco; nel pomeriggio visita all’abbazia di Reichenau sul lago di Costanza; trasferimento in hotel a Ravensburg per cena e pernottamento giovedì 9 maggio: in mattinata visita a Ravensburg; nel pomeriggio visita guidata a Weingarten e partecipazione, dopo cena, alla processione notturna verso il Kreuzberg (monte della croce); rientro a Ravensburg per il pernottamento venerdì 10 maggio: in mattinata partecipiamo alla Cavalcata del Sangue a Weingarten (con la reliquia dei Sacri Vasi) e alla solenne Santa Messa; dopo pranzo, visita a Uberlinger sul lago di Costanza; cena e pernottamento a Ravensburg sabato 11 maggio: in mattinata si prende la via del ritorno con visita e pranzo a Bellinzona e al lago di Lugano; arrivo a Montanara in serata Informazioni presso la segreteria della parrocchia (037649107) Iscrizioni entro domenica 14 aprile Organizzazione con OK Viaggi Mantova
6 giorno: visita di Gerusalemme (muro del pianto, spianata del tempio (oggi delle moschee, cenacolo, Santo Sepolcro) 7 giorno: visita di Gerusalemme (Getzemani, monte degli ulivi, quartieri della città 8 giorno: ritorno a Tel Aviv e volo per l’Italia Informazioni e programma dettagliato presso la segreteria della parrocchia (037649107)
Iscrizioni entro la fine di aprile Organizzazione con BREVIVET - Mantova Quota iscrizione: 1350 €
GREST 2013 “everybody” da domenica 9 a domenica 30 giugno iscrizioni 1-31 maggio 2013, quota 30€ presentazione del Grest ai genitori, DOMENICA 28 APRILE, ore 11:30, in oratorio a Montanara
CAMPI ESTIVI SCOUT E PARROCCHIALI Vacanze di Branco: 5 - 11 agosto 2013 Campo di Reparto: 27 luglio - 4 agosto 2013 Route di Noviziato: 22 - 28 luglio 2013 Route di Clan: 5 -11 agosto 2013 Campi estivi parrocchiali a Loreto: dal 18 al 22 agosto, per i ragazzi di 1 e 2 media dal 31 agosto al 3 settembre, per i ragazzi di 3 media e di 1-2-3 superiore