PRESENTAZIONE: TEATRI ABITANTI. ARCHITETTURA PER I BENI COMUNI - 25 giovani architetti e 6 tutors hanno vissuto sei giorni insieme agli occupanti del Teatro Valle e del Nuovo Cinema Palazzo, traducendo le pratiche di trasformazione in forme di spazio. La residenza di progetto, promossa da ICSplat_camping of permanent research, ha vissuto l’esperienza all’interno del Teatro Valle Occupato come occasione per ripensare gli strumenti del progetto architettonico per i beni comuni. Questo incontro è sembrato urgente e necessario per spostare l’attenzione dell’architettura su una dinamica sociale che da un anno a questa parte sta producendo un’innovativa riflessione politica e culturale strettamente legata ad una pratica di vita, gestione e condivisione di un luogo. Il giornale raccoglie i materiali prodotti nei sei giorni conservandone il carattere orizzontale e istantaneo. Marco Navarra_ICSplat PREAMBOLO DELLO STATUTO DELLA FONDAZIONE TEATRO VALLE BENE COMUNE - Noi che in comune, dal 14 giugno del 2011, giorno successivo alla vittoria referendaria che sancisce il pieno riconoscimento dei beni comuni oltre le logiche mercantili e stataliste, occupiamo, ci riappropriamo e restituiamo apertamente e pubblicamente il Teatro Valle di Roma alla comunità, intendiamo con il presente atto intraprendere un percorso costituente per il pieno riconoscimento giuridico del Teatro Valle di Roma come Bene Comune. Noi abbiamo riconosciuto e fatto vivere il Teatro Valle non solo per difenderlo nell’interesse di tutti, ma anche per intraprendere un processo costituente della cultura come bene comune capace di diffondersi e contaminare ogni spazio pubblico, innescando una trasformazione profonda del modo di agire e di pensare. Noi riconosciamo che il diritto vivo sgorga dalle lotte per l’emancipazione e l’autodeterminazione dei popoli e dei soggetti. Il bene comune non è dato, si manifesta attraverso l’agire condiviso, è il frutto di relazioni sociali tra pari e fonte inesauribile di innovazioni e creatività. Il bene comune nasce dal basso e dalla partecipazione attiva e diretta della cittadinanza. Il bene comune si autorganizza per definizione e difende la propria autonomia sia dall’interesse proprietario privato sia dalle istituzioni pubbliche che governano con logiche privatistiche e autoritarie i beni pubblici. Noi siamo idealmente collegati a tutte le altre comunità in lotta per la difesa dei beni comuni, ovunque queste si trovino. Immaginiamo, per un mondo nuovo, istituzioni nuove, partecipate, ecologiche, autorevoli, rispettose della creatività di tutti, che siano capaci finalmente di opporsi all’interesse privato e all’accumulo senza fine. Noi sappiamo che i beni comuni costituiscono un genere giuri-
dico nuovo, indipendente rispetto al titolo di appartenenza, direttamente legati all’attuazione di valori promessi nella Costituzione italiana nata dalla Resistenza. Noi proclamiamo che i beni comuni vanno posti fuori commercio perché appartengono a tutti, ossia all’umanità nella sua interezza. I beni comuni sono imprescindibili per l’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. Noi vogliamo dimostrare, cominciando dal Valle, che un ente pubblico che cerca di privatizzare beni comuni tradisce il proprio mandato costituzionale e per questo sol fatto li abbandona alla libera occupabilità
OCCU e riappropriazione giustificata direttamente dalla Costituzione. Noi perciò proclamiamo con il presente atto di autonomia privata che un antico ed unico spazio fisico come il Teatro Valle è a pieno titolo un bene comune. Esso è inscindibilmente collegato con la cultura, bisogno e diritto fondamentale di ogni persona, e come tale deve far parte di un ampio progetto che coinvolga i lavoratori della cultura e i cittadini tutti per il pieno riconoscimento del loro fondamentale ruolo economico, politico e culturale di resistenza nei confronti della mercificazione e della decadenza sociale.
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PATO S-PIEGO GIORNALE Questa successione di 32 pagine racconta uno scoircio di vita al Teatro Valle;i dibattiti e le conferenze che coinvolgono alla partecipazione politica, gli eventi culturali, le permanenze degli artisti e le esperienze di vita quotidiana dei ragazzi che lo occupano. Il giornale è il risultato di una settimana vissuta al teatro,durante la quale ci si è calati in una realtà poliedrica. Per descrivere questa entità complessa si è pensato ad un oggetto che la potesse contenere. Il giornale e/è il manifesto. Gli 8 fogli che lo costituiscono sono delle guide in cui si inseriscono testi politici, narrativi e di esperienze artistiche. Le pagine possono essere smembrate ed assemblate per coppie di numeri, diventando un manifesto, che è proprio il simbolo dell’occupazione. Valeria Cassarino Claudia Cosentino
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COMMISSIONE RODOTÀ | ESTRATTI - Elaborazione dei principi e criteri direttivi per la novellazione del Codice Civile (14 giugno 2007) - Le linee generali della riforma proposta Dal punto di vista dei fondamenti, la riforma si propone di operare un’inversione concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche del passato. Invece del percorso classico che va “dai regimi ai beni”, l’indirizzo della Commissione procede all’inverso, ovvero “dai beni ai regimi”. La Commissione ha scelto di classificare i beni in base alle utilità prodotte collegando le utilità dei beni
alla tutela dei diritti della persona e di interessi pubblici essenziali. Preliminarmente, si è proposto di innovare la stessa definizione di bene, ora contenuta nell’art. 810 Codice civile, ricomprendendovi anche le cose immateriali, le cui utilità possono essere oggetto di diritti: si pensi ai beni finanziari, o allo spettro delle frequenze. Si è poi delineata la classificazione sostanziale dei beni. Si è prevista, anzitutto, una nuova fondamentale categoria, quella dei beni comuni, che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientrano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali. Sono beni che soffrono di una situazione altamente critica, per assoluta insufficienza delle garanzie giuridiche. Per tali ragioni, si è ritenuto di prevedere una disciplina particolarmente garantistica di tali beni, idonea a nobilitarli, con l’esigenza prioritaria della loro preservazione a vantaggio delle generazioni future. In particolare, la possibilità di loro concessione a privati è limitata. Si è proposto di distinguere i beni pubblici, in tre categorie: beni ad appartenenza pubblica necessaria; beni pubblici sociali; beni fruttiferi. I beni ad appartenenza pubblica necessaria si sono definiti come beni che soddisfano interessi generali fondamentali, quali, ad esempio, la sicurezza, l’ordine pubblico, la libera circolazione. I beni pubblici sociali soddisfano esigenze della persona particolarmente rilevanti nella società dei servizi, cioè le esigenze corrispondenti ai diritti civili e sociali. Ne fanno parte, fra l’altro, le case dell’edilizia residenziale pubblica, gli ospedali, gli edifici pubblici adibiti a istituti di istruzione, le reti locali di pubblico servizio. La terza categoria, dei beni pubblici fruttiferi, tenta di rispondere ai problemi a più riprese emersi in questi ultimi tempi, che sottolineano la necessità di utilizzare in modo più efficiente il patrimonio pubblico, con benefici per l’erario. Spesso i beni pubblici non vengono neppure percepiti come potenziali fonti di ricchezza da parte delle amministrazioni pubbliche interessate. Si sono individuati, infine, criteri per garantire al meglio la gestione e la valorizzazione dei beni pubblici. 4
HO LA PROPRIETÀ DI DANZARE - La mia proprietà è che qualsiasi pezzo di dance araba voi mettiate io la ballo come se l’avessi sempre ballata. Siore e Siori. elevata attrattività / in pochi la sanno / e hanno questa proprietà / è come un qualcosa che non puoi controllare / ce l’hai di tuo / e fa bene all’umore / la mostri se vuoi / se fai il mestiere / la mia è belly / e danza con piacere / danzo il ventre / con l’arab dance / alle tablas non resisto / appena c’è il battito / a scuotere insisto / il ritmo, la terra mi fanno un effetto / il corpo si muove con grande talento / senza mostrare alcun difetto / è ancestrale non casuale / ogni mossa sembra studiata / si tratta soltanto di pura danzata / questa Siori è la mia proprietà / che danzo all’impronta con grande maestà / se posso dire il mio concetto / a questo mi rimetto / non riconosco il possedimento / ma solo il danzare a piacimento / un potere unico /attribuito / che ha il valore / e l’effetto di un rimedio / in pochi ce l’hanno. Simona
I NUMERI DEL VALLE OCCUPATO - 275 serate / 70.000 spettatori (calcolati a circa 250 di media) / 1750 artisti / 16 permanenze artistiche / 1020 ore di formazione / 25.000 firme a sostegno dell’occupazione/30.000 contatti facebook / 3200 soci fondatori / 100.000 euro raccolti in tre mesi per la fondazione COSA ABBIAMO IMPARATO DAL TEATRO VALLE OCCUPATO? - Che i beni comuni appartengono più al campo delle pratiche che a quello delle norme / Che i limiti delle tipologie edilizie, come ad esempio il teatro all’italiana, sono spesso solo apparenti. Le attività continue al Teatro Valle Occupato stanno dimostrando la possibilità di attività molteplici / Che spesso le rigidità spaziali sono solo apparenti e appartengono più al pensiero che ai limiti fisici / Che tutti i cittadini potrebbero entrare e stare in un teatro non soltanto per assistere ad uno spettacolo ma anche per partecipare in maniera attiva alla produzione culturale contemporanea / Che il progetto, nascendo dall’intensità con cui è vissuto, dovrà essere relazionale / Che la Comunità è un “progetto” in grado di realizzare relazioni sociali più vere / Che a fare l’architettura non sono gli edifici, ma le relazioni. / Che la città non è il luogo in cui si dispongono gli edifici, ma in cui gli edifici sono abitati dalle comunità. / Che il risultato progettuale è parte del processo e ne costituisce una tappa significativa / Che il teatro viene riportato nelle piazze perdendo i suo limiti, assumendo una nuova pelle. Diventa un luogo di attrazione aprendosi a comportamenti spontanei / Che è necessario spingere la riflessione architettonica su temi emergenti sul piano sociale, culturale e ambientale / Che i luoghi sono tali in virtù in quanto vissuti dalle pratiche dell’abitare / Che è possibile ripensare gli spazi appartenenti al patrimonio storico artistico nel rispetto del loro valore, ripensando i limiti derivanti da una norma rigida e desueta / Che il progetto architettonico deve dedurre le sue specificità dallo spazio e dai processi in esso svolti / Che il Teatro Valle Occupato e il Nuovo Cinema Palazzo sono l’occasione per ripensare il patrimonio immobiliare italiano ed europeo dismesso come risorsa / Che l’abitare si realizza tramite un confronto quotidiano tra le persone e i gruppi / Che è sempre più urgente in questo momento fare un progetto site-specific / Che gli spazi fisici sono il risultato degli usi che sono il frutto di una intelligenza collettiva / Che lo spettacolo non va solo visto ma va anche prodoto costruito e diffuso come un bene comune. /Che la forza dell’occupazione nasce dalla commistione dei saperi e dalla capacità di mettere in discussione le pratiche del vissuto che siamo soliti conoscere / Che il Teatro Valle Occupato adotta una strategia del contagio attraversando i suoi limiti fisici e invade la strada per diventare il luogo della condivisione e della diffusione del sapere / Che lo spazio comune è un frutto sociale fatto da noi / Che lo spazio comune non è un recinto. Definirne i confini in modo netto significa trasfigurarlo e ridurlo a mera risorsa / Che le tecniche da utilizzare sono le più semplici e dirette. /Che un semplice ricalco a volte è meglio di una grande invenzione / Che al Teatro Valle l’architettura non esercita l’esclusione. Ripensare una soglia di attraversamento flessibile vuol dire invece potenziarlo e renderlo un nodo attrattore per la produzione culturale e la circolazione dei saperi. ICSplat – Camping of permanent reserch 5
“Qualcuno ha detto che con la cultura non si mangia mai o si mangia molto poco. Questo potrĂ anche essere vero. Ma con la cultura si impara a difendere i propri diritti. ... e se uno sa difendere i propri diritti qualcosa da mangiare la rimedia sempreâ€?. Paolo Rossi
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COSTITUZIONE ITALIANA - ART. 43 - A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
STRADA - È una via stretta che congiunge due slarghi assolati, come ce ne sono tante nel centro di Roma. È bella, c’è un teatro, tavolini, botteghe, ma è opprimente. I palazzi si succedono guardandosi da pochi metri di distanza. Il sole, nonostante si veda sempre alzando gli occhi, non riesce a infilarsi nella profondità di questa fessura tra i tetti, per più di un paio d’ore al giorno. È dietro al Senato italiano. È una delle quattro vie che portano a Palazzo Madama. È zona a traffico limitato. Esercenti, equipaggi di auto blu, turisti. Poi il teatro si è svegliato. I tavolini sul lato sinistro della strada sono da allora sempre occupati; Sant’Ivo alla Sapienza con la sua magnifica cupola spiraliforme ha riconquistato gli sguardi. Lo spazio del teatro ha conquistato la strada. Prima di tutto con il suono. Le onde vibranti si sono propagate in tutta la lunghezza della via; il luogo ha preteso prepotente l’attenzione dei suoi simili. E i suoi simili hanno risposto, le finestre si sono aperte curiose, le saracinesche si sono chiuse un attimo dopo. La musica è risuonata chiara ovunque e le sue variazioni hanno modificato lo spazio. Le proiezioni dalle vetrate del foyer hanno toccato la facciata antistante, l’asfalto. Così lo spazio chiuso di queste vecchie stalle ha accarezzato il terreno su cui poggia il viso del suo vicino. Così è cominciata la sua trasformazione senza esito, ancora in divenire. Maria Edgarda
INDICE presentazione 1 preambolo statuto 1 commissione Rodotà 4 proprietà 5
numeri del valle 5
istruzioni per l’uso 3
cosa abbiamo imparato dal teatro 5 costituzione 7
teatro garibaldi 8 dare voce 9 lettera Mnouchkine 11
portatevi le sedie da casa 16
resistenza 12 spazio dentro spazio fuori 13 intervista Celestini 13
cinema altro 17 cucina 18
dismissione culturale 14 casa teatro 15 divano 15
io non dormo 19 intervista Ugo Mattei 20 spazi intermedi 21 urgenza 22
inchiesta lavoratori spettacolo 22 nuovo cinema palazzo 24 teatro interrotto 23 palpito 27
a più voci 28 possibile costituito 29 diamo corpo al comune 30
totaltheater in stato di eccezione 32
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strada 7
TEATRO GARIBALDI - “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. Scolpita sul frontone del terzo teatro d’Europa, il Teatro Massimo di Palermo, e di cui nessuno è ancora oggi riuscito a riconoscerne la paternità, questa frase sembra profetica. Non tanto della realtà dei fatti, che sembrano oggi più che mai voler svilire l’intero apparato culturale italiano, quanto però di un certo scalpitio, fremito, risveglio, o come lo si vuole chiamare, di tutte quelle coscienze (tante) che oggi più che mai si trovano accumunate da un unico solo desiderio: riscatto. Riconoscere all’unanimità il valore della parola cultura come fonte da cui tutto prende forma, sembra essere divenuto, d’un tratto, l’obiettivo di un numero sempre maggiore di persone: uomini, donne, ragazzi, anziani e anziane, mole che così eterogenea non si era mai vista, unita nella sua diversità proprio da questo fermento interiore. Quando il 14 giugno un gruppo di lavoratori della cultura decidono di occuparsi di un teatro di fine ‘700, un monumento, che stava per diventare privato, occupandolo e aprendolo alla città, sperimentando un nuovo modo di vivere la storia, la storia stessa è cambiata, ha preso un certo percorso, e ha mutato il significato della parola cultura. Quando il 15 giugno Andrea Camilleri decide di salire su un palco occupato, legittimando in un certo senso un’azione illegale, anche il significato della parola legalità ha cambiato forma. Quando lo stesso Camilleri pronuncia la parola contagio, augurando che l’azione di occupare un teatro per restituirne la sua funzione ad una città anestetizzata dalla politica, ha cambiato il senso della parola occupazione, accendendo una miccia che si è fatta fuoco, divampando, nel giro di quasi un anno, nel resto di tutto quanto il paese. “Un popolo che rinuncia alla sua cultura è un popolo che piscia sulla proprie radici per farle essiccare quando si perde la propria cultura si perde la propria identità”, ha detto ancora Camilleri. Dormire in un teatro carico di storia come il Teatro Valle di Roma, la prima notte e poi le notti seguenti, ha cambiato il significato della parola appartenenza. Prendere parte alla vita del paese cercando di cambiare ciò che lo rende peggiore, un giorno d’estate e poi nei mesi successivi, ha cambiato me. Oggi mi sono svegliata da un intorpidimento che mi rendeva connivente di un sistema malato che non capivo come poter intaccare, ma che non mi faceva dormire la notte. Oggi ho imparato il vero e profondo significato delle parole politica, mala politica, legittimo, assemblea, decisione, legale, illegale, pubblico, privato, criticità, emozione, rivoluzione, manifestazione, bene comune, cultura. Oggi ho fatto distinzione, per la prima volta in modo radicale, tra coraggio e fatalismo. Oggi ho capito davvero com’è triste la prudenza. Oggi ho contagiato la mia città, Palermo, e l’ho aiutata a riprendersi ciò che era suo da prima di saperlo. Oggi che ho davvero capito che l’unica possibilità di resistenza alla frana da cui stavo per essere travolta è rappresentata dalla rivolta spontanea e che è la cultura che fa di ognuno di noi quello che siamo, oggi io vivo. Il figlio dell’architetto palermitano Giovan Battista Filippo Basile, che progettò e costruì il Teatro, detto Massimo per vastità e bellezza, a seguito delle polemiche che la costruzione del suddetto teatro ebbe, scrisse: “dai teatri ogni idea di utile è esclusa, ogni pensiero di utilità pratica bandito; essi sono eretti a puro scopo di ricreazione pubblica; e se dietro il diletto v’ha poi l’insegnamento e un fine istruttivo e morale, questo si palesa secondario”. Si dovette ricredere lui, ci stiamo ricredendo tutti noi dopo più di un secolo. Si può cambiare il senso delle cose, come si può cambiare idea. L’unica cosa che non si può cambiare è il cambiamento stesso. Quello è irreversibile. Claudia 8
APPUNTI SU DARE VOCE|LABORATORIO DI RICERCA VOCALE - CLIMA - Qualsiasi spazio ha una identità, lo spazio scenico, lo spazio, l’emozione dello spazio sia esso teatrale o pre-esistente. La natura del paesaggio, condividere, in essenza trovare la pulsazione il profumo profondo di un luogo, genius loci. Sono attratta dalla geografia dei luoghi. Lo spazio interiore del personaggio. SUONO - Il suono come architettura. Architettura del personaggio. Tutto si fonda su un progetto, dall’idea che sottende il progetto. Lavorare sull’idea essenziale. DOCUMENTARE - Lo-Fi: documentare a bassa definizone restituisce spazio all’immaginazione di ricomporre un clima. IN GENERALE - Mi interessa avvertire la personalità dei luoghi, architetture, ad esempio sul progetto Dido che tratta il tema dell’abbandono, abbiamo individuato negli step di ricerca una serie di luoghi “abbandonati”, reperti architettonici e di paesaggio...”fragili”. NicoNote
ACQUA Come l’acqua, come l’aria, riprendiamoci la cultura. L’acqua nella sua forma mutevole. L’acqua che veicola una lotta di riappropriazione. La cultura tra gli elementi fondamentali ai corpi. E come l’acqua come l’aria, questo teatro, con le porte aperte a chi lo voglia vivere e animare, è necessario. La mancanza si è fatta occasione. Il teatro, l’arte, la cultura sono per noi inalienabili strumenti di lettura del nostro tempo. Se non si è narratori del proprio percorso non ne si è gli effettivi protagonisti, lo si subisce e non lo si compie. Questo nostro spazio, come liquido, si presta ad assumere qualunque forma necessaria alla narrazione autentica a cui miriamo. CONTAGIO Cinema Palazzo|Teatro Valle|Teatro Marinoni|Teatro Coppola|Pac|Asilo della Creatività|Teatro Garibaldi. Roma|Venezia|Cata nia|Milano|Napoli|Palermo. La diffusione di un idea può avvenire in molte forme. Contagiare vuol dire venire in contatto. Teatro Valle continuo ricettacolo virale, che si contamina di ogni soggettività che lo attraversa. A settembre, invitati alla Mostra internazionale del cinema, siamo andati a Lido di Venezia per seminare, allargare e arricchire la nostra esperienza. Con il Sale Docks abbiamo occupato il Ricreatorio Marinoni, unico teatro del Lido, abbandonato da vent’anni. Insieme lo abbiamo restituito ad una cittadina in cui il picco dell’offerta culturale è un festival che oltre lo scintillio del red carpet lascia intrevedere ben poco se non le macerie nel cratere del fantomatico Palazzo del cinema e i 37 milioni di euro che vi giacciono. A Milano con i Lavoratori dell’arte abbiamo occupato il PAC, lasciato il libero ingresso alla mostra in corso, strutturato una giornata di confronto assembleare sulla condizione del lavoratori dell’arte visiva, coinvolgendo curatori, giornalisti, artisti e allargando la discussione al settore culturale sul territorio. E ancora l’Asilo della Creatività a Napoli, il Teatro Garibaldi a Palermo. In ognuno di questi casi il contagio è avvenuto in maniera capillare senza lasciarsi alle spalle una somma di unicità coinvolte, ma generando una moltiplicazione continua, collegata, ma indipendente rispetto all’accadimento. Il contagio si moltiplica esso stesso nelle sue forme. Così dagli animi si contaminano le arti i saperi che tornano ed essere patrimonio vivo e vissuto. 9
“Ogni spazio di aggregazione, di socialità e di comunità è uno spazio sottratto alle organizzazioni criminali: loro vivono di silenzi e noi dobbiamo vivere di parole, loro vivono di omertà e noi dobbiamo vivere di indignazione, di urla, di costruzione di culture che espungano dalla pancia della società i valori di cui questi criminali si sono nutriti. I cinema e i teatri sono diventati luoghi di grande speculazione: le slot machine sono straordinari strumenti di riciclaggio del denaro, fino a 5000 euro al giorno. È anche una forma per imporre il pizzo. Le mafie non chiedono più il pizzo, ma installano le macchinette. La lotta alla mafia è un’idea di società, non è una questione solo giudiziaria e penale. La lotta alla mafia siamo noi. Nel vostro caso è la riappropriazione e la difesa dello spazio pubblico. Non dobbiamo accontentarci della legalità, e se la legalità attraverso leggi, decisioni assunte formalmente, attraverso delibere ci espropria di spazi pubblici e di comunità, noi dobbiamo ribellarci, come fate voi del Cinema Palazzo. Ci sono leggi che hanno potenzialità criminogene”. Francesco Forgione (ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia) 10
“scateniamo tempeste ma ci piace il sole “ Ostia muro
LETTERA AL TEATRO VALLE OCCUPATO Caro Teatro Valle Occupato, cari amici che non conosco ancora ma di cui capisco cosi bene i sogni, cioè progetti coraggiosi e concreti. L’occupazione del Teatro Valle è fertile, esemplare, e fonte d’ispirazione. Fa vedere che una società migliore e veramente umana è possibile. Qui e ora. Quest’oggi. Questa notte. Ci chiama a un’audace e studiosa impazienza. Ci richiama al nostro dovere di condivisione. Di silenzio e d’ascolto. Di parole precise, esatte, positive. D’azione. D’intelligenza. Di comprensione del mondo. Il Teatro Valle e i suoi abitanti sognatori, forse dovrei dire i suoi profetici cittadini, ci richiamano al nostro dovere di verità, di pratica della verità, e naturalmente al dovere di dare forma a questa verità. Il nostro dovere, il nostro lavoro. L’Arte. So che Duccio non vede l’ora che tutti noi del Theatre du Soleil si possa raggiungervi e passare un momento insieme. Lo faremo non appena possibile con gioia e con orgoglio. Grazie. Grazie di alimentare con le vostre forze il braciere comune delle nostre speranze. Vi abbraccio, Ariane
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RESISTENZA - Mi chiamo Andrea Gropplero e dal 14 giugno 2011 sono un occupante del Teatro Valle. Sono il figlio di Gianandrea Gropplero, detto “Freccia”, Medaglia d’oro della Resistenza. Mio padre in punto di morte ha voluto affidare a me la sua medaglia d’oro, forse perchè pensava che, essendo il più giovane della famiglia e quello più attento alla politica e ai diritti, fossi il più adatto a ricevere il testimone e portarlo con me nell’attualità delle lotte. Naturalmente non ho mai usato questa medaglia, non l’ho mai indossata per qualche celebrazione della Resistenza. Lo farò oggi. Lo farò dopo quasi un anno di occupazione partigiana del Teatro Valle. Lo farò perché “Freccia” non mi perdonerebbe se non lo facessi. Lui oggi indosserebbe questa medaglia per essere con noi nella lotta. Per invitarci a credere che questa lotta è nei fatti un momento costituente dell’Italia che costruiremo, del mondo che costruiremo. Le lotte per i Beni Comuni, dai Teatri e cinema occupati, alla val di Susa, Fino alle lotte degli Asili per l’infanzia Bene Comune, sono intimamente legate ai valori della guerra di liberazione partigiana. Dobbiamo oggi nelle lotte andare avanti e non indietreggiare nemmeno per prendere la rincorsa, dobbiamo affermare con forza la centralità dei diritti, l’attualità dell’articolo 4 e dell’articolo 43 della costituzione. Dobbiamo immaginare una nuova costituente democratica che li applichi. Il diritto al lavoro e alla dignità, come il diritto di una comunità di lavoratori ed utenti di riappropriarsi dei beni pubblici e privati, lasciati alla derelizione, sono diritti inalienabili. È il diritto alla bellezza, alla democrazia diffusa, alla cittadinanza, alla redistribuzione della ricchezza, quello che oggi vogliamo affermare con la forza delle lotte per i Beni Comuni. La libertà oggi come sempre va conquistata, con i corpi, prendendoci consapevolmente in mano il peso del nostro destino, liberando spazio dopo spazio, rendendoci conto che o ci liberiamo da soli o nessuno lo farà per noi. È per questo che da oggi al 25 aprile indosserò questa medaglia, come monito per me e per chiunque incontri a mettere al centro della propria esistenza i diritti e la dignità. I diritti comportano anche dei doveri. E noi non ci troveremo fra qualche anno a chiederci dove eri quando nel più antico teatro di Roma si combatteva una battaglia decisiva per la democrazia nel nostro paese. Dov’eri quando tre generazioni affermavano che la bellezza non può attendere. Dov’eri quando in tutto il mondo la moltitudine del 99% con i corpi lottava per una equa redistribuzione della ricchezza? Non ce lo chiederemo per una sola ragione, perché avremo vinto. W la Repubblica Partigiana del Valle. Ora e sempre resistenza. Andrea 12
SPAZIO DENTRO|SPAZIO FUORI - CORPO1|soggettivo / Questo è il mio confine, / la mia pelle la superficie con cui t’incontro e mi separo / la mia mappa interna solo puoi intuire di fluidi spazi e umori / quando si affacciano allo sguardo. / Per prima cosa mettiamo l’aria in comune / Quella che passa tra me e te / Poi possiamo pensare il gesto. CORPO2|collettivo / Eravamo un corpo di mercurio fatto unico per quella circostanza / Pronto a separarsi in mille sfere impazzite / avremmo potuto scontrarci contro il muro d’ingresso e dirci subito addio. / Invece il portone si è aperto e siamo rotolati dentro stupefatti. / Divenire nello SPAZIO / Dove siamo cominciati insieme era un marciapiede / Con facce ancora sconosciute ci siamo guardati / La forza e il pudore di chi non sa se riuscirà / Poi ci siamo fatti dentro / Forzando il confine siamo diventati altri / Solo dopo cominciammo ad abitare. SPAZIO1|il dentro/io / Lo Spazio che mi abita / Si dilata e si contrae / Racconta ogni giorno una nuova geografia di umori / Io sono fatta del vuoto che c’è dentro / Riempito Dalla storia che si dispiega / Lo spazio occupato dal mio corpo cavo / È mobile Disegna traiettorie nell’aria / si fa traccia / del mio passaggio, del mio andare via / comincia a intrecciare il mio discorso col mondo. SPAZIO2|il dentro/noi / Di voci pieno e del canto dissonante della nostra rabbia / È nostro quello spazio che occupiamo insieme / È nostro nella lite furiosa che imperversa / E nella bellezza che produciamo in questo stare. SPAZIO3|dentro/fuori / Non noi abbiamo fabbricato queste mura / Noi noi abbiamo scelto il colore e i tessuti che ci avvolgono / nelle giornate e alla notte / Scale antincendio camerini logge palchetti corridoi / Non noi li possediamo / Noi entriamo / Noi apriamo / E da qui ci sporgiamo sul fuori / Da qui chiamiamo a gran voce o sussurrando / Da qui puntiamo il nostro sguardo e da qui partiamo per tornare / Nè rocca nè forsconfinamento che sfida il pudore e la proprietà. Tania
“Spero che il Cinema Palazzo resti un’occupazione. Perché abbiamo bisogno di spazi che siano alternativi. È molto più interessante quello accade fuori dalle istituzioni di quello che avviene dentro. Le istituzioni facciano bene il loro lavoro ma… È proprio attraverso questi spazi fuori dalle istituzioni che capiamo quanto un territorio è docile o non è docile. I territori docili sono quelli che vengono attraversati da una serie di imposizioni fasciste che si chiamano alta velocità, centrale turbo-gas, rigassificatore, discarica, caserma in posti che hanno un nome e una geografia che si chiama Val di Susa, Abano, Aprilia, Vicenza… Mostrare che un territorio non è docile significa salvaguardarlo”. Ascanio Celestini
“Ma non ce l’avete ‘na casa?” Antonio, l’ex-custode, invita il pubblico ritardatario ad uscir
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DISMISSIONE CULTURALE - Il caso specifico del Teatro Valle rappresenta lo specchio di una condizione diffusa in Italia, di dismissione del patrimonio di teatri, cinema, musei, riconducibile alla condizione di crisi, alla carenza di finanziamenti, alla programmazione obsoleta. Infatti nonostante la continua richiesta di spazi per la cultura, da Nord a Sud non c’è città che non abbia il suo teatro abbandonato, il suo cinema chiuso da anni, il suo museo trasformato in deposito. Nonostante l’urgenza e la rilevanza del fenomeno, manca una documentazione ufficiale completa in cui rintracciare dati e ricercare meccanismi di dismissione, suggerendo una prima ricognizione del fenomeno attraverso la costruzione di una documentazione che ha provato ad attingere a tutte le fonti a disposizione e a incrociare le informazioni. La ricognizione quantitativa si sintetizza nella costruzione di un atlante italiano degli edifici per la cultura dismessi, evidenziando la concentrazione del fenomeno nelle metropoli ma anche una crescente presenza sporadica nei piccoli centri soprattutto del Sud Italia. Parallelamente emerge anche una prima forma di attivazione di questo patrimonio attraverso diverse modalità di occupazione, riappropriazione e restituzione alla collettività di alcuni teatri: il Valle e il Cinema Palazzo a Roma, il Marinoni a Venezia, il PAC a Milano, il Filangieri a Napoli, il Coppola a Catania, il Garibaldi a Palermo, che nell’insieme disegnano un network italiano di permanenze propositive. È un primo tentativo di documentare un fenomeno complesso, senza avere la pretesa di dati assoluti e definitivi, cercando di cogliere e restituire l’esistenza e la rilevanza della dismissione degli edifici per la cultura in Italia, offrendo la possibilità di intercettare dei meccanismi di dismissione e di evidenziare un patrimonio a disposizione per inedite strategie culturali e di progetto, prendendo spunto dalle forme di permanenza in corso. Vincenza Santangelo 14
CASA TEATRO - Il progetto sperimenta nuove forme di abitazione per il teatro. In questo processo di appropriazione dello spazio sono coinvolti protagonisti diversi che pongono la questione dello straniero come condizione contemporanea di vita comunitaria. La
DIVANO - Il 15 giugno 2011 secondo giorno di occupazione. Trovo un divano blu libero in un camerino e mentre passo a casa a prendere un cambio al volo prendo anche delle lenzuola di lino grosse che mi fanno sentire bene. Con le lenzuola fodero il divano, e già il luogo dove dormirò mi accoglie di più. Prendersi cura degli spazi fa star bene e così come ci prendiamo cura quotidianamente del teatro e degli spazi pubblici mettiamo un po’ di cura per i nostri spazi trovati e creati qui al Valle. In un’altra camera, dove ho dormito per del tempo, che originariamente era un grande antibagno con mattonella anni 70 e finestra, cercavo sempre di avere dei fiori freschi e di tenere pulito, avevo poche cose quelle essenziali ma c’era un buon odore entrando e dopo delle giornate frenetiche e piene, dormire dove ti senti bene, aiuta. Rosa
con-di-visione culturale degli abitanti intreccia vite personali in reti di relazioni complesse. Questo sistema relazionale rende il Teatro permeabile ed attraversato da una geografia di corpi, informazioni e culture. La loro azione, il loro passaggio, la loro condizione di incerta temporaneità, costruisce forme di un abitare che modificano i modi di vivere e di costruire gli spazi del teatro. L’insieme di queste pratiche pone la questione dell’Abitare Comune. Il progetto raccoglie l’insieme di queste condizioni per rielaborarle nella costruzione di un microspazio come cellula elementare dell’alloggio temporaneo. Questa modificazione dello spazio interno dei palchetti è il tentativo di offrire un’occasione di esperienza spaziale intima Pierangelo Scravaglieri
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PORTA TETEVI LE SEDIE DA CASA - Questo era il brief: ‘cercate di trovare un modo per rendere seminale l’esperienza di teatro Valle occupato. Che già quando ti poni con un atteggiamento del genere sembra che le cose non vadano e che tu sei chiamato lì ad avere qualche intuizione per metterle a posto. Comunque – aderenti alle disposizioni - abbiamo iniziato a guardare meglio lo spazio attorno al teatro. Che è veramente un fiorire di altre occupazioni. Di suolo pubblico però. Sembra che la voce principale di spesa per gli spazi pubblici vada in dissuasori, recinzioni, offendicoli, transenne più o meno in stile da ristorante. E i posti che frequenti ti cambiano attorno tagliati da queste forme di privato che aggrediscono velocemente lo spazio. Sempre dal foyer del teatro potevamo dare una occhiata al lavoro progettuale degli altri gruppi. Che anche per loro era inevitabile iniziare a definire i loro progetti segnandoli a terra. Mettiamo da parte queste osservazioni veloci che torneranno dopo. Il fatto è che se ti chiamano a teatro Valle occupato per rendere quella esperienza seminale, hai un problema: li trovi che sono finanziariamente a buon punto nel percorso verso la nascita della fondazione, trovi che l’evidente attenzione a mantenersi nell’ambito del bene comune è riuscita a produrre dispositivi giuridici che li hanno salvaguardati anche in caso di occupazioni di edifici privati (Cinema Palazzo), trovi che tutta la città sa dell’esperienza in corso e – per finire - sono praticamente diventati una specie di brand sociale che sta per indipendenza e coraggio. E tutti – compresi noi – ne vorrebbero il franchasing cercando di metterci un piede.Allora se ti chiamano a teatro Valle occupato per rendere quella esperienza seminale, hai un problema perché è già - seminale. Comunque proseguiamo con la parte due del brief: ‘fatevi un giro dal teatro al cinema Palazzo, per vedere se esce fuori qualche altra situazione in cui si potrebbe esportare il modello...’ Allora eccoci proprio a metà strada tra Teatro Valle e cinema Palazzo che capitiamo in un posto che sembra la fiera della recinzione urbana di cui sopra, con situazioni e percorsi obbligati davvero paradossali. Tra l’altro – e forse per questo fiorire di barriere – si tratta dell’unico posto con un tasso di aggressività ambientale davvero alto nel centro della città. Mettendo assieme questi segni a terra che servono a proteggersi ma che poi hanno l’effetto opposto ci è venuto in mente un altro sistema di segni a terra, quello delle palestre e degli spiazzi dove puoi giocare sport diversi perchè trovi già belle sovrapposte le linee di tutti i diversi campi da gioco. Che poi la caratteristica davvero evidente di teatro Valle è la capacità di modificare in pochi secondi lo spazio interno trasformandolo in dispositivi capaci di ospitare situazioni anche radicalmente differenti da un minuto all’altro. Ecco un progetto allora per portare all’esterno questa capacità. Un solo elemento formale, un tavolo. E la possibilità di sistemarli a seconda di decine di esigenze usando le differenti configurazioni segnate a terra e sovrapposte l’una all’altra. Portandosi la sedia da casa e mettendosi in scena. Luca Diffuse 16
IL CINEMA A LT RO D E L VA L L E OCCUPATO - “Io l’ho visto un altro mondo, a volte penso solo di avero immaginato” Terrence Malick. Non dovrebbero essere fatti cosi i film? Uno vede questa cosa e dice: “ ecco cosi dovrebbero essere fatti i film, in questa maniera, con questa sensazione” e poi la cosa più bella: spesso il cinema nelle ultime stagioni si è convinto che la forza stia nel rappresentare con la maggiore fedeltà possibile l’orrore del mondo. Io non sono né cattolico, né religioso o ne niente, ma la forza liberatoria di pensare un posto che somigli al paradiso, un posto in cui la gente è felice, l’idea di poter filmare la felicità, con uno stato vero, profondo, continuo. Prima vi detto che la forza del cinema di Malick di farci vedere in ogni inquadratura la meraviglia dell’esistenza del mondo, qua anche la forza contraria, cioè la capacità di filmare qualcosa di completamente diverso a quello che c’è in giro. Non è questa la forza dell’arte? Non è questa la forza dei racconti? Non è questa la forza della narrazione? La forza di farci vedere qualcosa che non c’è in giro, perché forse chi l’ha pensata l’ha desidera cosi tanto. E poi è cosi complicato fare un film, fare un film in questa maniera, trovare i soldi necessari, e poi all’improvvisamente la scelta di quell’immagine, di quei suoni e quel richiamo cosi strano, perché questa voce ci sembra cosi interessante se poi non si cura affatto se noi la ascoltiamo o meno, sembra parlare solo a sè stessa, non è un’altra caratteristica del cinema di Malick, sembra risuonare solo nello spazio, isolato in una coscienza, naturalmente grazie al narratore che è quello che sa tutto. Mario sesti – corso di critica cinematografica 17
CUCINA - davide Gli architetti che vogliono che gli scrivo qualcosa su come si vivono gli spazi al Valle. marco Cioè? / davide Cioè vogliono sapere come abbiamo trasformato le varie zone del teatro, la cucina, dove dormiamo, il foyer che cambia in continuazione durante il giorno... queste cose qua... Gli interessa sapere più che altro tutto quello che in un teatro qualunque non succederebbe mai. / marco Quindi il dormire, il cucinare, gente che ci vive insomma, questo? / davide Sì, esatto... che palle... / marco Non ti va? / davide Per niente... / marco Va be’ gli dici dove dormi, glielo descrivi, gli dice che ti svegli con il naso pieno di polvere la mattina e hai fatto. / davide Sì ma deve essere una cosa un po’ seria, va su questo giornale che vogliono fare loro, free press si chiama tipo... / marco Dove dormi e come vivi in un teatro è una cosa seria. / davide Sì lo so... ma non riesco a raccontare scrivendo quello che si vive qui dentro... in una paginetta poi... Non lo so, succedono talmente tante cose. Poi in questi giorni hanno dormito nei palchetti anche loro, hanno visto come funziona la vita qui... non lo possono scrivere loro? / marco Va be’ stanno facendo la permanenza, dobbiamo essere carini con loro, se ci chiedono una mano gliela dobbiamo dare. / davide Lo puoi fare tu? / marco Cosa, scrivere queste cose? / davide Sì. / marco Non ci penso proprio. / davide Dai, fallo tu... / marco No Davide, ho da fare, non posso. / davide (Sbuffa) Che palle... / marco Scrivi un dialogo su questo, no? / davide Su cosa? / marco Scrivi un dialogo dove ci sono due occupanti che parlano e uno dice all’altro che non sa che scrivere per questo lavoro degli architetti. / davide No Marco, devo parlare di come si vive qui dentro, della cucina in particolare. / marco Quello lo infili in una battuta sul finale. A un certo punto fai dire a uno dei due personaggi che cuciniamo con le piastre elettriche in un vecchio cesso che noi abbiamo adibito a cucina. Questo vogliono sapere alla fine, sono architetti. Se gli dici che cucini nel bagno si emozionano. Aliosha
“Siete il frutto di una catastrofe antropologica” Sottosotto segretario Girogiro
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“Io mi entusiasmo dove nasce un filone di resistenza ai poteri, alle speculazioni edilizie, finanziarie, mafiose. Tornare al Cinema Palazzo dopo un anno... sono commosso. Qui vedo che ormai c’è attività, una vera socializzazione. Sono luoghi dove dove può iniziare la democrazia, perché i fascisti di tutti i partiti ce la vogliono uccidere. Abbiamo una democrazia che si sta squagliando, a meno che non ci siano queste resistenze. Il mio messaggio è questo: nessuno si libera da solo, nessuno libera un altro, come quando arriva il dittatore di turno, ma ci si libera tutti insieme. Attraverso il cammino di socializzazione, di partecipazione dal basso, di cultura, musica, arte…” Don Gallo
IO NON DORMO - Dormire dormire dove dormire come dormire ma soprattutto serve dormire? Ore buttate da stare svegli o ore vitali anche se morto? Il problema non si pone, io al Valle non dormo svengo, crollo, mi arrendo. Dormire è il tempo che passa tra la sparata alcolizzata notturna e la cruda realtà del giorno. È un ponte un bastone una freccia. Io non dormo ma soprattutto io non mi riposo, di giorno la Bosnia di notte il Vietnam. Io non stacco, non posso staccare, stacca stacca stacca ma non riesco. Dormo. Sto dormendo ma dove sto dormendo? Cambio, mi sposto, mi convinco di essere a posto e mi sveglio sempre rotto. Primi tempi palchetti, primi tempi dove capita con chi capita, no no no, io voglio dormire con lei, ma lei vuole dormire con me? E allora dormo da solo, dormo da solo da più di trecento giorni dormo da solo bello brutto brutto bello del dormir da soli non so io non dormo crollo, svengo, mi arrendo no no non mi arrendo neanche di notte, col cazzo che mi arrendo proprio di notte. Nel sonno mi prendono mi stanno addosso sono tanti eccoli bastardi infami schifosi eccoli sento il fiato la mano. Sveglio salvo vivo. Foyer oggi ah sì stanotte ho dormito nel foyer. Se arrivano arrivano da qua. Difendere il territorio ma quelli quando arrivano arrivano, sono vent’anni che non mandano il fax prima di arrivare, anche l’altro giorno a Palermo hai visto? Sono arrivati in un attimo e in un attimo erano quanti noi più di noi. No non sono più di noi, noi siamo un corpo solo. Sollevaci adesso, coglione. Palermo che storia. Un blindato ad ogni porta del Teatro Garibaldi aperto e noi dentro ma che cazzo c’avete nel cervello? Camerini occupati, divani occupati, tutti sistemati io no, tutti piazzati io no, e che cazzo. Rimedio trovo una stanza sopra ma il materassino si buca subito e ogni notte a gonfiarlo e ogni notte alle cinque puntuali si sgonfia e mi ritrovo a terra. Non c’è pace nel mio dormire. Il mio obbiettivo adesso è uno due tre caffè, il santo oki o l’eroe aulin, ma anche un normale mentadol o una effervescente aspirina vanno benissimo. Io e la chimica che storia bellissima. Tra mezz’ora sono pronto, dai tra mezz’ora riesplode l’inferno che abbiamo creato, assembleee, incontri, bisogna decidere quella cosa là, bisogna contattare quello là, bisogna rispondere a quelli là. Non bisogna niente, vogliamo tutto questo e ci piace tutto questo. Stanotte dove dormo? Ma io non dormo svengo, crollo, giro con la coperta e mi butto, randagio, nomade, abitante del mondo, di questo mondo. Non reggo più, stanco stanco stanco, perdo lucidità, basta devo trovare un letto, rete+materasso, ricordi? Basta devo trovare una casa, con i miei libri, i miei vestiti, il mio mondo privato, ho bisogno di una casa, la mia l’ho lasciata, basta affitti, basta ricatti, ma adesso ho ribisogno di una casa. Dormo. Mi sveglio. Facce sorrisi belle facce stupendi sorrisi. Caffè ciao ciao ciao sigaretta? Come va? Bene. C’è un botto di cose da fare. Lo so. Bar, un altro caffe, un’altra sigaretta e si comincia? Va bene. Questa è la mia casa, questo è il mio mondo privato, condiviso, mescolato, messo in comune con gli altri ed è la casa/cosa più bella che mi potesse capitare. Fulvio 19
INTERVISTA - Tu puoi privatizzare certi luoghi, puoi toglierli dall’accesso comune che è tipicamente un accesso indisciplinato: un luogo accessibile liberamente da molte persone è un luogo in cui ciascuno, in un certo senso, fa quello che vuole. Architettura, diritto, economia
servono tradizionalmente come dispositivi d’esclusione. Puoi costruire spazi escludenti, alzare muri. Ma questo processo di esclusione passa anche attraverso strutture giuridiche. La proprietà ad esempio è dispositivo di esclusione per eccellenza: «Questo è mio e tu non entri!». Credo che ci sia nella storia dell’architettura una forte idea di esclusione degli spazi. Sono modi di segnare un territorio: cosa c’è dentro e cosa c’è fuori, cosa può stare lì e cosa non può. E questo modo di segnare spazi del dentro e spazi del fuori spesso utilizza strumenti giuridici; la sanzione tipicamente. I beni comuni partono dal presupposto che questo modello di esclusione non sia legato alla proprietà privata intesa come dominio, ma anche alla proprietà pubblica, alla proprietà statale. Ugo Mattei
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Tra banca e partito si intesse una danza / Devota al vangelo di donna finanza / Se basta una crisi a oscurar le coscienze / Il bene comune è una lotta di utenze / che ispira un’ipotesi, lo spettatore / è più cittadino che consumatore. Bera È l’occupazione la splendida musa / Che è stata catene, che è stata medusa / Che nasce parola e che libera sia / Danzando la pratica dell’utopi / Insegna stupisce attraversa ed infiamma / Che sia per le strade o sul pentagramma. Bera lo spazio è riaperto, il sigillo è violato / quel giorno di giugno, riaperto il teatro / sembrò che arlecchino ci stesse per dire / che a volte dignità è disobbedire. Bera “Avete una pomata anti acaro?” Occupante
SPAZI INTERMEDI - Una nuova rete dà sovrapposizioni sull’esistente, una trama di connessioni trasversali per la rigenerazione di parti, per rimettere a sistema frammenti di un tessuto lesionato. Bisogna approfittare della velocità d’esecuzione del progetto, ponendosi degli obiettivi multidimensionali e imprecisi, in cui le azioni si sostengono le une con le altre nel corso della loro evoluzione; influenzate dalle conseguenze dell’interazione tra persone e organizzazioni. Le nostre intenzioni sono inesatte e sfaccettate, cambiano mentre le rincorriamo, ispirandoci alle occasioni, accogliendo il paradosso, sentendoci radicati e insieme liberi, legati e poi affrancati da ogni vincolo, accettando i limiti e superandoli. L’incertezza davanti all’accidente di una previsione che si è trasformata in prevenzione, se non in semplice precauzione, non può costruire una ragione sufficiente. Solo una valutazione isommaria potrebbe portare alla necessità di una meteorologia che non s’interessa più esclusivamente agli elementi del tempo (precipitazioni, temperatura, venti), ma ai misteri, agli enigmi dello spazio-tempo di una dromosfera d’accelerazione che sfugge alle nostre stime. Dario Felice 21
URGENZA - Sono quasi le 23:00 e la consegna di questo pezzo è probabile che non avverrà mai. In 24 ore avrei dovuto scriverlo e seguire il laboratorio di un’artista, verificare i gruppi intenti a reinventare spazi, sensibilizzare chiunque varcasse la soglia del teatro sulla Fondazione, controllare che nei bagni ci fosse carta igienica, organizzarmi per ritirare la free press che avete tra le mani e soprattutto “produrre senso” rispetto a questa “confusione che è l’indicazione migliore per spiegare questo momento”. Momento in cui il mio orologio segna le 22:37, seduta in platea rassegnata perchè il tempo stava scadendo. Momento seguente al momento in cui in teatro le parole di Sylvia Plath scorrevano su uno schermo. Che in un momento hanno ribaltato la realtà e riorientato il pensiero: “questo spirito sintetizzante che io desidero”. Sono le 22:47. Ancora una volta l’urgenza, la necessità e la poesia hanno avuto la meglio. Camilla
INCHIESTA SUI LAVORATORI DELLO SPETTACOLO IN ITALIA - Dal questionario promosso da C.Re.S.Co. (marzo 2011) Un mondo artistico-culturale-produttivo i cui protagonisti sono giovani, con una forte presenza femminile, laureati per 57%, (la media italiana dati eurostat è dell’11%) che lavora in questo settore da 10 anni, con un inserimento nel mondo del lavoro in controtendenza rispetto a quello che succede per altri settori lavorativi in italia. L’età media d’inizio è 24 anni, mentre una statistica del Centro Studi Datagiovane ci mette al penultimo posto nella graduatoria Ocse per quanto riguarda l’inserimento degli under 25 nel mondo del lavoro. Una comunità di lavoratori che per il 70% sta al di sotto della soglia di povertà (il 51% guadagna mediamente tra i 4/5mila euro annui), che dichiara di lavorare un 20% al nero, e che è costretta a dedicare un terzo della sua attività lavorativa al fuori di quella artistica (fa altri lavori, molti dei quali al nero o comunque fuori dalle tutele). Una comunità che solo per il 18% dichiara di usufruire di ammortizzatori sociali, e sapendo a quanto ammonta mediamente un sussidio di disoccupazione a requisiti ridotti, viene da piangere. Una comunità che dichiara che nel 78% dei casi di infortunio non viene indennizzata. Che vive in un mercato del lavoro chiuso, artigianale, dove le informazioni sono legate a rapporti pregressi e dove la possibilità di lavoro è legata ad rapporto di carattere fiduciario. Con contratti soprattutto a tempo determinato e ritenuta d’acconto, e una presenza forte dell’uso di Partita Iva, spesso imposta dai teatri stabili come condizione necessaria per la stipulazione del contratto. Una generazione di lavoratori che continua il percorso formativo anche dopo l’inserimento nel mondo del lavoro. Che ritiene la formazione importante, ma che è consapevole che questa non attiva automaticamente possibilità concrete di lavoro. Una generazione viva, intraprendente, produttiva - che però dopo i 39 anni comincia ad abbandonare la professione, trovandosi ad affrontare estreme difficoltà di reinserimento, con l’aggravante di non vedersi riconosciuto a livello pensionistico tutto il lavoro svolto. Condizione ormai comune a tutti i lavoratori e le lavoratrici di questo paese. 22
TEATRO VALLE INTERROTTO - Il teatro Valle è un teatro perfetto. L’ordine dei palchetti stretto a ferro di cavallo sul profondo palcoscenico coronato da un’alta torre scenica ne fanno un modello esemplare di teatro all’italiana. Ma il Teatro Valle è un teatro interrotto. Un teatro incompleto. La perfezione della macchina scenica e dell’anello di visione si affianca ad un’amputazione preventiva: Il Teatro Valle non ha davanti alla sala un foyer come la perfezione dell’impianto tipologico lascerebbe pensare. L’intensità della vita in questi mesi ha rilevato con più evidenza questa mancanza questo vuoto. Con maggiore evidenza, in questi giorni di residenza, aprendo tutte le porte che dai corridoi portano direttamente fuori, è apparso con chiarezza come il Teatro Valle sia un teatro di strada o meglio un teatro per strada. Muovendosi davanti alla sua facciata dalle porte si vede il tamburo convesso della sala lì a pochi metri. Aprendo porte e finestre la luce invade il teatro in profondità – in quegli spazi solitamente non illuminati - e la strada appare finalmente per quello che veramente è: il foyer del teatro. Questa condizione suggerisce una strategia per sviluppare, attraverso una serie di calibrati microinterventi, una radicale porosità capace di invertire i rapporti tra interno ed esterno, e tra spazi dell’esclusione e spazi dell’inclusione. Queste ambiguità dilatano lo spazio del teatro e generano una serie di piccoli spazi porosi e indipendenti che acquistano una loro autonomia senza perdere il loro ruolo di servizio alla sala principale. Il lavoro di questa settimana, attraverso la possibilità di abitare il teatro trasformandolo in una casa, ha permesso di esplorare luoghi e spazi invisibili ma evidenti, permettendo di portare alla luce un loro nuovo ruolo come agenti di fluidificazione e rottura delle rigidità appartenenti alla tipologia edilizia originaria. Le modalità di attivazione di nuove forme di spazio si intrecciano a quelli consolidati dell’architettura e si sperimentano durante inseguimenti e stupori, variazioni di programma e riconfigurazioni, movimenti di sguardi attenti e contatti ravvicinati, esperienze di contaminazione e tentativi di isolamento. La strategia che si propone trasforma l’interruzione e la mancanza in un obiettivo, che utilizza la tecnica della sottrazione e degli innesti per definire un nuovo stato di grezzo avanzato: una nuova condizione in cui non è l’interruzione a lasciare un opera non finita ma la riduzione all’essenziale che riapre nuove possibilità per accogliere forme di vita e inattese configurazioni spaziali. Marco Navarra_ICSplat 23
“Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere.” B. Brecht
Nuovo Cinema Palazzo - COME NASCIAMO L’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo il 15 aprile 2011 è il risultato di un percorso di oltre un anno durante il quale i residenti e le realtà attive nel quartiere si sono incontrati per combattere il degrado culturale e sociale del quartiere. Il Cinema Palazzo è un luogo di proprietà privata ma con una forte valenza nella memoria collettiva del quartiere. Un tempo cinema e teatro, qui recitarono Totò e Petrolini. Luogo simbolo per i cittadini di San Lorenzo, fu adibito a sala Biliardo, poi a sala Bingo e infine chiuso per lungo tempo. L’occupazione ha impedito l’apertura del Casinò e creato da subito uno spazio di partecipazione, grazie al supporto attivo della cittadinanza, del mondo dello spettacolo e di numerose istituzioni. Dall’idea iniziale di un’occupazione-lampo simbolica ci si è confrontati con l’urgenza di restare. La pratica quotidiana del bene comune. A un anno dalla “liberazione” del Cinema Palazzo, moltissime cose sono accadute e molte sono cambiate. Uno
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S’inaugura un capitolo che porta ad una visione estremamente dialettica tra il dentro e il fuori, dove il dentro non è riferito al dentro di una istituzione chiusa, ma al dentro di noi; e il fuori al fuori di noi. Franco Basaglia (da “introduzione generale al corso di aggiornamento”, Trieste ,1974.)
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spazio destinato alla cultura, all’incontro, alla formazione è stato restituito al quartiere e a tutta la città, ha preso a vivere ogni giorno. Anche noi siamo cambiati, questa storia ha ridisegnato la vita di ognuno di noi, cambiandone i ritmi, gli itinerari, le prospettive. Oggi, attraverso questa trama densa e fitta di un anno di lavoro incessante, è nato il Nuovo Cinema Palazzo: un processo costituente che si radica nella pratica quotidiana del bene comune. Quando uno spazio è pubblico? Quando è tale il suo statuto giuridico o quando esso è vissuto, rivendicato e appropriato in modo collettivo e per un interesse generale? Quest’esperienza mostra quanto i cittadini in forme organizzate possano giocare un ruolo centrale nei processi di significazione dei luoghi. La pratica del bene comune offre la possibilità di tracciare percorsi alternativi alla dicotomia pubblico-privato che insedino forme di sovranità diretta negli spazi urbani. E
Se ti han detto resta a casa / Vola basso non scocciare / Se disprezzi puoi comprare / Se vale tutto niente vale / Se non sai più se sei un uomo / Se hai paura di sbagliare / Se hai solo voglia di pensare / Che fra poco è primavera / Adesso fa qualcosa che serva / Che è anche per te se il tuo paese è una merda. Afterhours se il movimento critico globale al neoliberismo offre puntelli e orizzonti di confronto, sono le specificità locali che formulano chiavi, producono modelli e regole di gestione, praticano il comune nei singoli processi, nelle diverse formule di responsabilità e accessibilità, nelle diverse storie di resistenza, socialità e creatività come la nostra. NUOVE FORME DI SAPERI E DI LEGALITA’. Numerosi i fronti su cui i cittadini organizzati si sono mossi. Oltre alla programmazione artistica e culturale, il gruppo che occupa il Nuovo Cinema Palazzo ha compiuto una serie di ricerche sull’imminente apertura del casinò e l’incongruenza delle nuove concessioni. Ne è scaturita una contro-perizia di tipo collettivo che ha costituito una forma di produzione di conoscenza corale. Si è prodotto il rovesciamento del senso di occupazione, spesso percepito solo come atto di rottura e di illegalità. Senza perdere la potenza di atto di ribellione collettiva esso ha acquisito il senso ulteriore di atto di resistenza a un fatto illegittimo e si è qualificato come atto di legittima illegalità. La sentenza civile che a febbraio 2012 ha assolto chi di noi era perseguito per spoglio del bene a danno della Camene - società locatrice e promotrice del progetto del Casinò - ha riconosciuto il valore costituente dell’occupazione. La sentenza sottolinea la natura non patrimoniale della presa di possesso dello spazio. Chiarisce oltre ogni dubbio che l’occupazione del Cinema Palazzo non nasce da un atto violento e clandestino, ma sostiene e trasforma in pratica quotidiana di resistenza l’atto d’indignazione di una “moltitudine” di cittadini e cittadine che sono entrati pacificamente nello stabile per una ragione di “natura politica non patrimoniale o egoistica [...]contrastando” la destinazione come Casinò e “rivendicando la conservazione della tradizionale vocazione “culturale” dell’Ex Cinema Palazzo”. A un anno e un giorno dall’inizio dell’occupazione sappiamo di poterci ritenere possessori qualificati del bene. A sancire questo principio è l’art.1170 del Codice Civile. Consapevoli della tutela legale che abbiamo conquistato, sappiamo che i fautori del progetto Casinò rinunciano, ormai, a rivendicare il possesso del Cinema Palazzo. Sappiamo di avere diritto, da oggi, al godimento del bene che abbiamo preservato e che attraverso la nostra attività quotidiana, pacifica e aperta, esercita ora un’utilità pubblica e una riconosciuta funzione sociale. DA GRANDI SAREMO. Il Nuovo Cinema Palazzo é in continua crescita come spazio comune per la ricerca nel campo delle arti. Sostiene gli artisti e le loro attività, lasciandosi abitare come spazio di studio, di allestimento, di residenza. Nella progressiva contrazione di spazi dedicati alla sperimentazione si fa culla per la creatività. DA GRANDI / SAREMO TEATRO: CANTIERE DI AUTOCOSTRUZIONE / SAREMO AGORA’ / SAREMO AULA / SAREMO CAMPO… A giugno il Nuovo Cinema Palazzo aprirà un cantiere di autocostruzione per reinventare gli spazi. Per questo sentiamo di produrre un modello che nell’arte e nella cultura trova la sua pratica, nella formazione la sua possibilità emancipativo-trasformativa e nella socialità la spinta quotidiana e l’orizzonte collettivo cui tendere. 26
PALPITO - Un sorriso all’ultimo estraneo di passaggio e due chiacchiere ristoratrici dopo troppa cerebralità. Chiudiamo le porte, spegniamo le luci e precipito nel silenzio della platea. Mi siedo, i piedi stanchi. Ascolto il nulla denso dello spazio e nelle membra. Chissà se questi luoghi avranno memoria di me. Nell’ultima settimana ho sentito la verità che ho detto distorta da altri, vissuto il mio sturm und drang su una prepotente musica d’archi. Sopportato la morale qualunquista di una zia vecchia e acida; le spinte sui mezzi pubblici per chi deve scendere o salire e tutti quei discorsi assurdi su come non si può più vivere. Ho apprezzato i sorrisi di alcuni camerieri eroi d’una vita di mance. L’abbandono in quelle luci gialle e tristi degli ascensori. La gente che la guardo e non capisco, la gente che la guardo e non capisce e lo intuisco. Demolisco e poi ricostruisco, metto in scena melodrammi. Si compie la vendetta d’una mano mortale. Raccogliere, registrare la realtà e l’invisibile per introiettarli, prendersene cura e trasmetterli. OCCUPAZIONE, RIAPPROPRIAZIONE, RESTITUZIONE. Se la mia penna fosse un’arma vincente, / se la mia paura esplodesse nelle piazze, / coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola, / se l’esserci conosciuti diventasse la nostra forza. LA SCRITTURA COME MOMENTO SOLITARIO EROICO. Saperi incarnati, non neutri. / L’errore e l’imprevisto come forze generative. Non solo grida e furore narcisistico ma audace e studiosa impazienza. Dovere di silenzio e ascolto, di parole precise, esatte. Di comprensione. Venendo dalla performance mi è connaturato vivere l’arte come incongruenza, travaglio, tensione creativa, correre il rischio mettendo me stessa: persone vive per persone vive. Ha ancora più senso farlo in uno spazio non neutro come questo teatro, luogo storicamente d’autorappresentazione di una classe, di una categoria, della borghesia. Ne modificheremo la drammaturgia scenica e sociale. Vi eserciteremo subgiurisdizione attraversando la dimensione sperimentale della potenza: se non provi non sai quello che puoi. Costruiamo un diritto che emoziona perchè sa riflettere. Tra i più poeticamente coinvolti nella lotta, le dedicherò, finchè mi sarà possibile, risorse materiali e intellettuali sempre crescenti. La rivoluzione non è né qualcosa di legato all’ideologia nè la moda di una particolare decade ma un processo perpetuo insito nell’essere umano. Politicamente abbiamo avuto dimostrazione nel quarto di secolo passato che la deregulation e la privatizzazione non sono sinonimo d’efficienza, modernizzazione, competitività. Quelle forze di mercato che erano state celebrate come portatrici di soluzioni durature a tutti i problemi dell’economia si sono rivelate fallimenti clamorosi e distruzione di valore. La coercizione del potere e l’educazione al risultato finale ci hanno negato il viaggio. Occupando diamo corpo ad una diversa idea della politica e delle sue forme capace di dar voce alle persone, costruire soggettività politiche, redistribuire i poteri. Il Teatro Valle Occupato è un fuori, non è mai stato un dentro, è un crocevia d’incontro: l’atto più coraggioso. Quel che sappiamo dei luoghi è l’aver coinciso con essi per un dato tempo nello spazio che sono. Il luogo era lì, è comparsa la persona, poi la persona è partita, il luogo è continuato, il luogo aveva fatto la persona, la persona aveva trasformato il luogo. “Chi protesta con tutta la sua forza, anche sentimentale, contro il regresso e la degradazione, vuol dire che ama quegli uomini in carne ed ossa. Amore che io ho la disgrazia di sentire e che spero di comunicare a te. “ Valeria 27
A PIÙ VOCI. CINEMA PALAZZO - “Voi per me siete come una primavera”. (Erri De Luca) “Ci siamo resi conto, e tutti quelli che entravano ce lo ricordavano, che il quartiere aveva bisogno di uno spazio come questo”. (Ciro) “Io voglio vedere i film qui. Non farmi prendere da mia figlia qui a San Lorenzo per andare in un cinema dall’altra parte della città, a me non mi va di
andarci. Ce l’ho sotto casa il Cinema Palazzo. Poi avrò pure il diritto. L’ho pulito… L’hai vista la foto mia? Era il 19 luglio del ’43 avevo 10 anni quando pulivo questo Cinema. Non sapevo che era tornato il Fascio un’altra volta. Io me lo ricordo bene che cos’è il Fascio”. (Adele) “Eravamo contro il casinò, eravamo contro l’apertura… Eravamo contro la morte e la distruzione e siamo diventati artefici di vita”. (Lorenzo) “Non credevamo da subito che quest’avventura si sarebbe trasformata, poi invece ci siamo resi conto che quell’atto aveva avuto un valore fortissimo per la gente: aveva rimesso in moto il senso della possibilità. Per questo dovevamo resistere insieme… e da quello partire per immaginare una città diversa”. (Daniela) “Quando siamo entrati siamo rimasti senza fiato, a quel punto abbiamo capito che era necessario tutelare questo spazio dalla speculazione”. (Simona) “Il Cinema Palazzo ha rappresentato la possibilità di risvegliare quelle persone che desiderano e che sognano”. (Giulia) “C’è un tentativo di inventare e mettere in pratica strumenti nuovi e di fare cultura in maniera diversa”. (Emma) “Quella volta che sono arrivate le guardie ero qua, poi non li hanno messi i sigilli, non l’hanno più sgomberato… C’era troppa gente qui che non voleva e che l’ha impedito”. (Anna) 28
POSSIBILE COSTITUITO - “Il possibile è già interamente costituito, ma rimane nel limbo. Si realizzerà senza cambiare nulla della sua determinazione e della sua natura; è un reale fantasmatico, latente. Il possibile è esattamente come il reale: gli manca solo l’esistenza.” (Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, 1968) / L’osservazione dei movimenti lungo lo spazio compresso tra la curva della sezione del teatro e il muro esterno dell’edificio, ha rivelato inattese riattivazioni di luoghi per attività e attraversamenti diversi. L’operazione di smaterializzare le aperture sulla strada veicola la conquista dello spazio esterno come nuovo foyer.
Sospetti e indizi spingono a indagare sulla contraddizione tra le superfici interne del foyer e le bucature del prospetto nella corte di Palazzo Capranica. La sottrazione di alcune superfici dall’interno disvela gli antichi affacci restituendo un’interfaccia corrugata e porosa. Il foyer accoglie incontri spontanei di soggetti, movimenti rapidi e lunghe permanenze; convivono il desiderio di intrecciare relazioni intime tra pochi e possibilità di accogliere e comunicare a molti. Un dispositivo leggero costruito da una pellicola di bolle d’aria segna il limite tra spazio inclusivo possibilità di temporanee esclusioni. Antonio Rizzo
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OCCU DIAMO CORPO AL COMUNE. PER UN’ISTITUZIONE DELL’IMPRUDENZA - Proprio questa è la differenza tra l’istituzione e la legge: quest’ultima è una limitazione delle azioni, mentre la prima è un modello positivo di azione. Gilles Deleuze, Istinti e istituzioni 1955 Un filo rosso lega le lotte che in questi mesi hanno attraversato diversi continenti, intessendo le maglie di un potenziale movimento transnazionale: dalle piazze spagnole a quelle arabe, da #occupywallstreet alla primavera italiana dei referendum, le mobilitazioni scavalcano la dimensione della protesta ed esprimono una forte tensione costituente. Nascono forme di democrazia diretta ed esperienze di autogoverno che evocano la prospettiva di un’alternativa reale. Al Teatro Valle si respira lo stesso anelito, si muove il medesimo impulso. In sette mesi di occupazione stiamo immaginando e sperimentando un modello di produzione culturale che superi al tempo stesso governance amministrativa e logica del profitto privato. Si apre ora una fase ulteriore, delicata e appassionante: la costruzione dal basso di un’istituzione che garantisca alla lotta una prospettiva di permanenza. Dal 13 gennaio il Valle occupato lancia una campagna di azionariato diffuso: una raccolta fondi per il capitale sociale che permetterà di realizzare la Fondazione Bene Comune. Un esperimento unico e suscettibile di fallimento - ci sarà bisogno del contributo di tutti: degli artisti e dei lavoratori della conoscenza, dei singoli cittadini, delle reti che in questi mesi hanno sostenuto la pratica dei beni comuni. Il tipo di istituzione che stiamo delineando assomiglia più ad un organismo vivente che ad un dipartimentimento amministrativo, una trama elastica di relazioni, vivente, trasformativa e che al contempo si lascia trasformare - vorremmo che le forme che ingegneristicamente elaboriamo con gli strumenti del diritto siano sostenibili dalle forme di vita umane, le potenzino e non le avviliscano. Il modello che abbiamo in mente si articola su diversi piani: artistico, giuridico ed economico. Da un un punto di vista della proposta artistica e culturale l’occupazione lascia intravedere un radicale cambio di destinazione. Il teatro non può essere solo il luogo dove assistere a spettacoli serali: vogliamo un cantiere aperto tutto il giorno, dedicato alla condivisione di esperienze, alla trasmissione dei saperi tra generazioni diverse. Teatro come agorà - piazza di una comunità che si raccoglie, snodo di incontri e relazioni, un luogo di 30
produzione sociale condivisa e di cooperazione. Diventa centrale l’idea di una formazione permanente, perché in una società avanzata la possibilità di accedere alla formazione, allo studio, alla ricerca non può interrompersi con la fine del ciclo di studi, ma deve essere continua e disponibile per tutti. Da un punto di vista dei linguaggi e della produzione artistica, l’urgenza è riaprire un processo di narrazione del presente, indagando le diverse forme di scrittura scenica e favorendone la contaminazione. Lo Sta-
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tuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune trascrive in termini giuridici le rivendicazioni della lotta declinandole all’interno della categoria dei beni comuni. Presenta due elementi radicalmente innovativi: la gestione partecipata della cittadinanza e l’autogoverno delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo. È un modello di partecipazione fortemente inclusivo, il cui organo sovrano è l’assemblea, che esprime un consiglio di dodici con funzioni esecutive e un continuo turn over. La direzione artistica non è nominata ma assegnata su progetto a partire da un call pubblico, a cui possono rispondere singoli artisti, compagnie o ensemble. Nessun cda e nessuna ingerenza partitica, secondo il principio “una testa un voto”. Non è solo un ipotesi di riforma di gestione – è il tentativo di governare un’istituzione culturale a partire da un modello di democrazia diretta alternativo all’esistente. Ne consegue che il modello economico dovrà indicare una via oltre il pubblico e il privato – è l’ipotesi di un finanziamento integrato tra azionariato diffuso e utilizzo di risorse pubbliche, riconvertendo il sistema basato sui consumi in un modello di gestione ecologico. La Fondazione Teatro Valle Bene Comune dovrà misurarsi con la capacità di mettere in crisi il sistema di produzione culturale, cambiando tempi e modi del lavoro creativo: quale forma dovrà assumere il lavoro affinché sia liberato e non esposto al ricatto della precarietà? Come produrre un prototipo di reddito sociale e superare la misura quantitativa del salario? Come tutelare l’autonomia creativa e destrutturare le gerarchie tra saperi tecnici e saperi artistici? È questo il piano di discorso pubblico che vorremmo aprire e condividere nei prossimi mesi. In un clima di pacificazione sociale, l’eleganza formale del governo Monti sembra mitigare la cruda sostanza degli interessi dei mercati finanziari. Al piano di liberalizzazioni, alle retoriche dell’austerity e dei sacrifici, ai ricatti del declassamento dobbiamo saper contrapporre pratiche diffuse di riappropriazione che partendo dai beni comuni costruiscano nuovi dispositivi politici e modelli economici alternativi. Il Teatro Valle non è che un teatro. Ma, se ci riusciamo, sarebbe il primo caso di un’istituzione storica di rilevanza europea ad essere gestita secondo un principio di autogoverno del comune. Un prototipo riproducibile in settori diversi, un esperimento rischioso e imprudente, un laboratorio politico per tutti. 31
TOTALTHEATER IN STATO DI ECCEZIONE - L’occupazione del Teatro Valle è una scoperta di spazi. Spazi per secoli disciplinati dal codice del non-incontro sul palco: platea e palcoscenico divisi e contrapposti. La struttura neoclassica fissa questo stato in un impianto simmetrico e lo riproduce in facciata, sulla strada. Riformando la città preesistente, il suo disegno sostituiva i vicoli esistenti con i servizi e le scale di accesso a palchi e loggione.L’isolato in cui sorge il teatro, intreccio di miseria e nobiltà, conserva però traccia della complessità esistente e la persegue nei privilegi concessi ad alcuni e nei misteri di altri, nascosti degli anfratti di servizio. Ecco così che il primo effetto dell’occupazione è stato quello di rivelare l’inconscio delle stratificazioni materiali. Abitando quotidianamente il teatro, “oltre il palco” non si scoprivano solo le macchine necessarie agli spettacoli (e il piccolo “esercito necessario” di chi li manovra e li fa funzionare), ma tutte quelle invenzioni che consentono di abitare un antico corallo. Avendo compreso questi spazi come nessuno,
coloro che occupano il teatro osano dire: “Il futuro di questo teatro, di tutto il teatro, sia quello di un punto d’incontro. Un punto nel quale interpretare il teatro contemporaneo e far capire al pubblico in cosa esso consista. Non un semplice contenitore culturale, ma un teatro gestito dalla cittadinanza e dalle lavoratrici e lavoratori dello spettacolo. Un luogo aperto il giorno e la notte e diretto alla formazione in senso ampio, nel quale la produzione non sia indirizzata allo spettacolo finito, ma illustri e insegni come un evento o una performance sia prodotta, da chi sia prodotta e dove sia prodotta. Un teatro di professionisti e per professionisti dove mettere in valore la loro identità e la loro professionalità”. Con lo spirito di Fregoli, che qui ebbe il suo più clamoroso successo, a loro rispondiamo: “Trasformiamoci… Ceci n’est pas un bar!” RZ