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IlCongoeilfuturodell’Africa
from Luglio Agosto 2021
by pay50epiu
La Repubblica Democratica del Congo nasce nel 1997 ed è lo Stato più grande e popoloso dell’Africa centrale. Vi convivono almeno 250 gruppi etnici con una varietà di culture e società differenti. Purtroppo non ha mai vissuto un periodo di pace stabile e duraturo, la corruzione a livello governativo imperversa
DAL CONGO PASSA IL FUTURO DELL’AFRICA
di Leonardo Guzzo

LA TRAGICA UCCISIONE DELL’AMBASCIATORE ITALIANO LUCA ATTANASIO, LO SCORSO 22 FEBBRAIO, ha attirato gli occhi del mondo su un Paese tanto grande quanto sconosciuto, nel cuore del pezzo più povero e inquieto della terra. Autentico baricentro dell’Africa, il Congo è una realtà variegata. Cento milioni di persone abitano un territorio ampio quanto l’Europa occidentale, con picchi di popolazione a est, nella provincia del Katanga e intorno alla capitale Kinshasa e aree praticamente disabitate, che tuttavia contribuiscono a fare del Paese il “secondo polmone verde del mondo” dopo l’Amazzonia. L’età media della popolazione è di circa 17 anni: un’enorme massa di giovani si agita in preda all’incertezza, costretta a vivere per lo più di espe-
+IL 22 FEBBRAIO SCORSO, L’AMBASCIATORE ITALIANO IN CONGO, LUCA ATTANASIO, È RIMASTO VITTIMA DI UN AGGUATO NELL’EST DEL PAESE. INSIEME A LUI SONO MORTI L’AUTISTA MUSTAPHA MILAMBO E IL CARABINIERE VITTORIO IACOVACCI
L

dienti e avida di cambiamento politico e sociale. L’economia si basa, dall’epoca del colonialismo, sull’esportazione di materie prime. All’inizio del Novecento il Congo fu definito uno “scandalo geologico” per la sua straordinaria disponibilità di risorse: dal rame al coltan, dall’oro ai diamanti, dal petrolio al gas naturale. Le élite al potere, interessate alle esportazioni e agli accordi col grande capitale internazionale, hanno finora penalizzato l’agricoltura e la produzione di energia idroelettrica da fiumi e laghi: le più concrete speranze di riscatto per un Paese che occupa stabilmente gli ultimi posti nelle classifiche relative allo sviluppo umano e al benessere materiale. «La storia del Congo spiega la professoressa Maria Stella Rognoni, docente di Storia dell’Africa all’Università di Firenze - è paradigmatica di quella dell’Africa contemporanea. Possedimento personale del re Leopoldo II di Belgio dal 1885 al 1908, il Paese fu teatro di un autentico genocidio perpetrato attraverso lo sfruttamento disumano della popolazione indigena nella raccolta del caucciù. Dal 1908 al 1960 il Congo fu poi colonia belga, soggetta a un regime paternalistico in cui avevano gran peso gli interessi del capitale straniero. La Chiesa cattolica, pure braccio della corona belga, promosse peraltro un’opera di capillare istruzione primaria della popolazione, che ancora oggi contraddistingue il Paese. L’indipendenza dal Belgio fu proclamata il 30 giugno del 1960 e aprì, dentro un quadro di formale democrazia, una fase molto tumultuosa. Nel luglio del 1960 la ricca regione mineraria del Katanga annunciò la secessione, l’ONU intervenne con una missione di pace ma il Paese sprofondò in una spirale di sangue che condusse all’assassinio del primo ministro Patrice Lumumba e alla morte dello stesso segretario delle Nazioni Unite Dag Hammarskjold. Rientrata nel 1963 la secessione del Katanga, il potere fu assunto nel 1965 dal generale Mobutu, che lo ha conservato fino al 1997. Per oltre trent’anni, sfruttando le logiche della Guerra Fredda, Mobutu si presentò come il garante degli interessi occidentali nell’Africa “utile” e ottenne l’appoggio in particolare della Francia e degli Stati Uniti. Nel 1994 avvenne una nuova svolta: dopo la crisi del vicino Ruanda, centinaia di migliaia di profughi si riversarono nell’est del Congo, alterando l’equilibrio etnico e politico creato dal regime di Mobutu. »
Il dittatore si schierò in favore dei responsabili del genocidio ruandese contro il Fronte Patriottico di Paul Kagame, ma i forti eserciti di Ruanda e Uganda animarono in Congo una ribellione che nel 1997 portò al crollo del regime. Alla guida del Paese passarono Laurent Kabila e, dopo l’assassinio di quest’ultimo nel 2001, il figlio Joseph, confermato alla presidenza fino al 2018». La ripetuta esperienza di lunghi governi, di fatto dittatoriali, ha creato una ristretta classe dirigente che sfrutta per scopi personali le risorse del Paese senza curarsi dei bisogni della popolazione. A lungo lo Stato non ha assolto ai propri compiti e le forze armate si sono macchiate di gravi prevaricazioni. Due guerre (tra il 1996 e il 1997 e poi dal 1998 al 2003) hanno prodotto, specie nelle regioni dell’est, uno stato di precarietà esistenziale sfociato nella costituzione di bande armate che imperversano sul territorio vessando la popolazione e compiendo sequestri e saccheggi. L’uso delle armi è diventato un sistema di vita e si inserisce nel quadro di una struttura sociale molto fragile, priva di regole certe sulla proprietà della terra. «L’uccisione di Luca Attanasio - analizza la professoressa Rognoni - è figlia di un clima di violenza ormai fuori controllo nell’est del Paese. Fatte salve le risultanze dell’inchiesta, non è detto che l’imboscata al convoglio dell’ambasciatore sia stata compiuta a scopo di estorsione ed è improbabile che fosse dettata da motivi politici. Certo qualcosa è andato storto:
La Repubblica
Democratica del Congo è il secondo Paese africano per estensione e il quarto per popolazione. È indipendente dal 1960, dopo essere stato colonia belga.
Il Congo
è al 175° posto nella più recente classifica degli Stati mondiali per indice di sviluppo umano, stilata dall’ONU su dati del 2019.
Dal 1965
al 1997 il Congo
ha subìto la dittatura del generale Mobutu. Dal 2001 al 2018 Joseph Kabila ne è stato il presidente “democratico”, poi succeduto da Felix Tshisekedi (nella foto), leader dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale. stupisce la mancanza di protezione in un territorio che operatori internazionali e collaboratori locali conoscono bene. Resta, generale, il problema della precarietà, a cui si oppongono purtroppo soluzioni esclusivamente militari. Nel 1999 è iniziata una nuova missione dell’ONU che, nata con l’intento di pacificare il Paese, ha esteso le sue prerogative fino all’uso indiscriminato della forza per sopprimere ogni minaccia alla sicurezza della popolazione, degli umanitari e dei caschi blu. Un diritto senza precedenti che ha alienato alla missione (la più lunga e costosa della storia delle Nazioni Unite) le simpatie di una parte dell’opinione pubblica congolese. Anche il governo nazionale insiste sull’opzione militare: la crisi seguita alla morte di Luca Attanasio ha indotto il presidente Felix Tshisekedi a proclamare lo stato di emergenza in alcune aree dell’est, affidandone il controllo all’esercito. Misura dal forte impatto mediatico, che rischia però di accrescere le tensioni». Eppure il governo di Tshisekedi, scaturito dalle elezioni del 2018, sembra aver impresso una svolta in politica interna ed estera. Il nuovo presidente ha cambiato la maggioranza parlamentare e la composizione della corte costituzionale, avvicinandosi nel frattempo al Ruanda, al Kenya, al Sudafrica e inducendo gli Stati Uniti ad alleggerire le sanzioni imposte al precedente regime. La professoressa Rognoni riassume ostacoli e opportunità dell’immediato futuro. «Presidente di turno dell’Unione Africana, Tshisekedi lavora per la pacificazione regionale e per garantire al Congo un ruolo politico più consono alle sue potenzialità economiche e alla sua posizione geografica. Perché possa aver successo, è necessario che realizzi un piano di redistribuzione della ricchezza, di intervento sui bisogni primari della popolazione e sulle rivendicazioni politiche dell’opinione pubblica; serve inoltre che l’ONU, l’Unione Europea e le organizzazioni non governative presenti nel Paese (più di trenta solo quelle italiane) continuino a garantire una sorveglianza intelligente e una collaborazione attiva. Il Congo può essere il fulcro di un nuovo equilibrio per l’Africa».

