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I webinar di Mondo Digitale Rodrigo Russo
from Maggio 2022
by pay50epiu
VIVI INTERNET, AL MEGLIO.
A LEZIONE CON MONDO DIGITALE E 50&PIÙ
Attraverso “spazio50.org” è possibile partecipare a una serie di webinar dedicati agli over 50, dove imparare le basi per orientarsi tra i tanti strumenti tecnologici
di Rodrigo Russo Straordinario e complesso allo stesso tempo. Il web è così. Permette l’accesso a miliardi di informazioni, amplia le nostre conoscenze, consente il contatto con milioni di persone nel mondo. D’altro canto, realtà quotidiana e internet sono ormai due mondi sempre più uniti. Sono solo apparentemente separati e quello che si fa online può avere lo stesso peso di ciò che si fa offline. Diventa quindi piuttosto difficile instaurare un rapporto equilibrato. Non sempre il web può migliorarci la vita, talvolta può distrarci da ciò che è davvero importante. Per tutte queste ragioni Google ha pensato di realizzare il programma Vivi Internet, al meglio. Promosso in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale, oltre che con la Polizia di Stato e altre realtà vicine ai consumatori, il suo obiettivo è aiutare tutti, giovani e meno giovani, a vivere il web in modo responsabile. Apprendere infatti i principi di base della cittadinanza digitale può aiutare in tanti modi. A cominciare dallo sviluppo di una maggiore capacità nel distinguere il vero dal falso o nel custodire le proprie informazioni personali. Già dal mese di aprile, Mondo Digitale ha proposto al pubblico di 50&Più un ciclo di webinar legati al progetto Vivi Internet, al meglio. Sino ad ora sono stati due gli appuntamenti: il 19 aprile con “Fake news e truffe” e il 29 aprile con “Dati personali e privacy”. Su spazio50.org, nella sezione “Zoom-I Webinar di Spazio50”, sarà possibile trovare gli altri appuntamenti a cui iscriversi prossimamente e partecipare. Il 3 maggio infatti è la volta del webinar intitolato “Storytelling”, per imparare a raccontarsi nel mondo digitale in modo empatico: verranno esposte le tecniche per comunicare efficacemente anche quando siamo online, ovvero quando non possiamo usare espressioni del viso e gestualità ma dobbiamo raccontarci usando “solo” le parole. Il 12 maggio con il webinar “I social media” sarà possibile conoscere un ambiente molto stimolante e pieno di opportunità ovvero quello dei social network, ma verremo messi in guardia anche dai rischi e dai pericoli ad essi collegati. Il 16 maggio, ultimo appuntamento con uno sguardo alle “App che migliorano la vita”. Spesso comunichiamo tramite WhatsApp, alla Posta un App ci aiuta a fare prima mentre con lo Spid possiamo interagire con la Pubblica Amministrazione: le applicazioni possono aiutarci nella vita quotidiana, facendoci accedere a servizi utili e immediati. Ma siamo sicuri di conoscerne tutte le potenzialità? Nel corso di questo webinar sarà possibile chiarire ogni dubbio e testare persino le App con il consiglio di un esperto.
Quest’anno ricorre il trentennale dalla scomparsa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi rispettivamente il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Due simboli di giustizia e di lotta alla mafia che hanno segnato per sempre la storia del nostro Paese
Ci sono due bambini che corrono in Piazza della Magione, a Palermo. Abitano nel quartiere della Kalsa e giocano nel caldo delle giornate siciliane. La sera, quando è ora di tornare, devono percorrere solo quei duecento metri che dividono le loro case. Si chiamano Giovanni e Paolo e le loro vite sono destinate a intrecciarsi. Qualche anno dopo, infatti, si iscrivono al liceo classico e dopo la maturità optano per gli studi in Legge. Entrambi si laureano a pieni voti e cominciano la loro carriera da magistrati: il primo a Trapani e il secondo a Mazara del Vallo. È quello, forse, il vero primo passo che traccia il cammino su cui lavoreranno - separatamente e insieme - Falcone e Borsellino, perseguendo l’ideale di un mondo più giusto e di un Paese
libero da affari malavitosi. Negli anni in cui i due iniziano le loro carriere da magistrati, infatti, Cosa Nostra agisce quasi in maniera indisturbata, mentre l’Italia fronteggia il terrorismo di Piazza Fontana, Piazza della Loggia e dell’uccisione di Aldo Moro. Negli Anni ’80, poi, il capoluogo siciliano è palcoscenico di una guerra tra gruppi malavitosi, con lo scopo di ottenere il controllo dell’organizzazione. A perdere la vita, in quei mesi, sono centinaia di persone, tra cui alcune figure dello Stato come Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Rocco Chinnici.
IL POOL ANTIMAFIA E IL MAXI PROCESSO
Lo stesso Chinnici che poco prima aveva riunito le vite dei giovani magistrati palermitani, costituendo il primo pool antimafia e chiamando accanto a sé proprio Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Da quel momento passano sei anni e il 10 febbraio del 1986 inizia il maxiprocesso a Cosa Nostra. Un’operazione nata grazie alla straordinaria abilità di Falcone, il primo a ottenere la testimonianza di un pentito grazie alla quale scoprire relazioni, gerarchie, affari e movimenti che permetteranno l’emissione di più di 350 mandati di cattura. Negli anni seguenti, mentre i gradi di appello del processo si susseguono, a Falcone viene affidata la carica di Direttore agli Affari Penali al Ministero della Giustizia ed è qui che decide di organizzare la lotta alla criminalità organizzata a livello nazionale e istituisce la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) e la DNA (Direzione Nazionale Antimafia).
23 MAGGIO, LA TERRA TREMA A CAPACI
Si arriva, così, al 1992, l’anno in cui scoppia l’inchiesta “Mani Pulite” e Francesco Cossiga si dimette da Presidente della Repubblica. È in questo clima che arriva la sentenza definitiva del maxiprocesso e la Cassazione conferma la validità delle testimonianze dei pentiti. La mafia a quel punto, colpita duramente, reagisce. Lo fa in un giorno di maggio sul tratto dell’autostrada A29 che collega Palermo a Mazzara del Vallo. All’altezza dello svincolo per Capaci, infatti, passa un tunnel di scolo per l’acqua e al suo interno vengono posizionati 400 chilogrammi di miscela esplosiva. Su alcune colline poco lontano, qualcuno attende il passaggio di tre Fiat Croma proprio in quel punto. All’interno delle auto ci sono Giovanni Falcone e la moglie, insieme alla scorta che li accompagna. Sono le 17.58 quando il dito di uno degli attentatori preme il detonatore. La prima Croma bianca in testa al corteo viene sbalzata di 60 metri e i tre agenti della scorta al suo interno (Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro) perdono la vita sul colpo. La seconda auto, su cui si trovano Falcone, la moglie Francesca Morvillo e Giuseppe Costanza, impatta contro il muro d’asfalto sollevato dalla deflagrazione dell’ordigno. Nell’ultima vettura, gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo rimangono feriti, ma vivi. Nelle ore che seguono lo sgomento fa spazio alla paura, alla rabbia e soprattutto al dolore, quando Giovanni Falcone si spegne all’ospedale tra le braccia dell’amico Paolo Borsellino, e con lui la moglie Francesca.
QUEL 19 LUGLIO IN VIA D’AMELIO
Due giorni dopo, ai funerali del magistrato, della moglie e degli agenti della scorta, la chiesa di San Domenico è gremita di palermitani che chiedono giustizia. Tra loro c’è un uomo, però, che sa di essere ancora in pericolo, ma sa anche di non volersi fermare. Nemmeno due mesi più tardi, Paolo Borsellino è nel quartiere di Monte Pellegrino, in via Mariano D’Amelio 21. Lì è dove vive la madre e dove ogni domenica lui si reca a farle visita. Alle 16.59 del 19 luglio, Borsellino sta scendendo dall’auto per entrare nel palazzo, quando una Fiat 126 verde salta in aria con 90 chili di esplosivo. È una bomba che danneggia le facciate dei palazzi, distrugge alcune macchine e spegne la vita del magistrato. Con lui perdono la vita anche cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
UN RICORDO INDELEBILE, TRENT’ANNI DOPO
Un capitolo nero della storia italiana che deve essere ricordato e raccontato. Per questo, in occasione del trentennale dalla morte dei due magistrati, simbolo della lotta alla mafia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha deciso di coniare tre milioni di monete da 2 euro che raffigurano l’iconica foto di Falcone e Borsellino intenti a chiacchierare sorridenti a un convegno, poco prima delle due stragi che costarono loro la vita. Il disegno è stato composto dall’artista incisore Valerio De Seta ed è basato sulla famosa fotografia di Tony Gentile, scattata proprio nel 1992. Per la stessa ragione, dal mese di marzo, una teca con i resti della Quarto Savona Quindici, l’auto della scorta di Giovanni Falcone su cui persero la vita Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, è comparsa in varie piazze d’Italia: da Milano a Pistoia, passando per Trieste, Bologna, Ravenna, Pescara e molte altre. Un vero e proprio memoriale itinerante che sembra dar voce alle celebri parole pronunciate da Falcone: «Gli uomini passano, ma le idee restano. Restano le tensioni morali che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini». Un inno che, dopo trent’anni, muove ancora gli ideali di chi si batte per la giustizia.
PER COMBATTERE LA MAFIA BISOGNA CONOSCERE LA SUA STORIA
Secondo il professor Enzo Ciconte, sono tante le organizzazioni criminali che pur di farsi strada utilizzano più i social network anziché i tradizionali metodi violenti. Anche per questo dobbiamo imparare a riconoscerle subito
di Ilaria Romano
«G iovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno lasciato in eredità un grande insegnamento: la professionalità e l’impegno, nel rispetto delle regole e delle persone, con una dedizione totale al proprio lavoro». Così Enzo Ciconte, docente di Storia delle mafie all’Università di Pavia, fra i massimi esperti di criminalità organizzata, nonché consulente presso la Commissione parlamentare antimafia dal 1997 al 2010, ricorda i due magistrati.
Da allora la mafia è cambiata molto: qual è stata la sua evoluzione?
Fino a quarant’anni fa la mafia non esisteva nel codice penale, eppure era presente almeno dall’Unità d’Italia. Ci sono voluti gli omicidi di Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e tanti altri per arrivare alla legge, nel 1982 (Legge 646/82 Rognoni-La Torre), e grazie ad essa all’avvio del maxiprocesso, nel 1986. Sei anni dopo, la Cassazione conferma l’impianto accusatorio e per la prima volta vengono condannati dei capimafia. In questi trent’anni i corleonesi, cioè coloro che fecero in modo di uccidere tutti gli uomini eccellenti - compresi Falcone e Borsellino - hanno visto restringersi lo spazio di manovra perché i loro rappresentanti sono finiti in carcere al 41bis oppure sono morti, come Riina e Provenzano. Questo non significa che la mafia sia stata sconfitta, ma da allora gli altri gruppi mafiosi sono stati costretti a lavorare sulla difensiva, e non hanno più avuto quella rete di protezione di cui godevano i mafiosi corleonesi. L’organizzazione che invece è cresciuta è stata la ’ndrangheta calabrese, che ha cominciato ad espandersi al Nord e all’estero mentre, dal 1992 in poi, lo Stato guardava a Cosa Nostra. La camorra, dopo il disfacimento dei Casalesi, non è stata più la stessa, anche se nel napoletano restano frange criminali che si contendono il territorio. La Sacra Corona Unita ha chiuso la sua stagione di sviluppo, anche se resta in piedi la mafia foggiana, ancora oggi molto violenta.
In questo panorama qual è stato l’atteggiamento della politica?
La politica ha attraversato periodi in cui è stata più sensibile alla lotta alla mafia, altri in cui è stata coinvolta nella mafia attraverso alcuni suoi rappresentanti. Il mio timore è che oggi, siccome i mafiosi non sparano più come prima, possa riprendere piede l’antico rapporto con la mafia, considerato che non ha più lo stigma sociale di un tempo per il drastico calo dei fatti di sangue. Ma i mafiosi non spariscono anche in assenza di comportamenti violenti, e bisogna ricordarlo.
Insegnando all’università, quale risposta trova nei giovani rispetto al tema della lotta alla mafia?
Ci sono giovani entusiasti che scelgono questo insegnamento (Storia delle mafie, n.d.r.), ed è fondamentale portare avanti una battaglia culturale, perché se pensiamo di affrontare il problema solo in termini di repressione e anni di carcere, non andiamo da nessuna parte. Anche i mafiosi oggi comunicano attraverso i social e gli stessi strumenti di tutti, offrendo i loro modelli. Dunque è fondamentale proporre sempre un’alternativa basata sulla cultura del rispetto.
Anniversari
UNA VOCE CONTRO LA MAFIA. IL RICORDO DI PEPPINO IMPASTATO
di Anna Grazia Concilio
9maggio 1978. Non è solo la data del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Quel giorno traccia anche una linea di separazione tra la mafia e l’antimafia. Quarantaquattro anni fa veniva ucciso Peppino Impastato. Era un giornalista, un attivista, ma prima di tutto un giovane siciliano che voleva combattere la criminalità organizzata nella sua terra, Cinisi, provincia di Palermo, in quella Sicilia così bella e dannata. Per farlo, si era ribellato prima al padre mafioso che lo ha messo alla porta, poi fondando il giornalino L’idea socialista, il gruppo “Musica e cultura” e, nel 1977, “Radio Aut”, libera e autofinanziata. Lo aveva fatto per denunciare gli affari dei mafiosi del Paese e di Gaetano Badalamenti, boss di Cosa nostra. La sua casa distava da quella di Badalamenti solo 100 passi: da qui è nato il film I cento passi di Marco Tullio Giordana, che racconta la storia del giornalista ucciso dalla mafia. Nell’anno della sua morte, Peppino era candidato al Comune con “Democrazia proletaria”. Non riuscì a vedere il giorno delle elezioni: il suo corpo venne ritrovato prima, lungo i binari della ferrovia, sotto una carica di tritolo. In tanti decisero di scrivere ugualmente il nome di Impastato
Giornalista, attivista, ma soprattutto un ragazzo come tanti, Impastato è stato uno dei pochi a denunciare i loschi affari della mafia locale. Un coraggio pagato a caro prezzo
sulla scheda elettorale e venne eletto consigliere. Le indagini sulla scomparsa sono state lente e difficili: da attentatore a vittima di mafia. Poi, nella figura di Badalamenti fu individuato il mandante dell’omicidio. La lotta alla mafia avviata da Impastato è andata avanti grazie a sua madre Felicia (scomparsa nel 2004) e suo fratello Giovanni. Per ricordare il suo impegno - pagato con un prezzo altissimo -, la famiglia ha fondato “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” nel luogo dove hanno vissuto. A tenere le redini della onlus è la nipote Luisa, nata 9 anni dopo l’omicidio. «La storia di Peppino ha sempre fatto parte della mia vita, ha influenzato le mie scelte. A parlarmi di lui è stata mia nonna Felicia, più di tutti, non solo come giovane impegnato nelle lotte sociali, anche come figlio. Lei ha voluto che la casa rimanesse aperta, per far conoscere a tutti la sua storia», ci ha raccontato. L’associazione - che vanta numerosi referenti nazionali - da anni organizza iniziative a Cinisi e in Italia, per diffondere i valori che hanno animato la vita di Impastato: «Ha due anime - ha spiegato Luisa -. Gestisce la casa per chi viene a trovarci e a conoscere Peppino, e ha anche lo scopo di tramandare questa testimonianza. Abbiamo ricevuto migliaia di visitatori, soprattutto studenti». Tanto è stato fatto per combattere la mafia ma tanto c’è da fare. Luisa lo ha sottolineato: «La magistratura e i movimenti hanno fatto passi avanti, ma è rischioso considerare la mafia un fenomeno non prioritario perché esiste, con altra forma». Dopo due anni di assenza, il 9 maggio la manifestazione in memoria del giornalista torna tra le vie del Paese, con il corteo storico da Terrasini a Cinisi, per percorrere la stessa strada che Peppino avrebbe percorso quell’ultima volta di 44 anni fa.
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Antonella Clerici: testimone di speranza
di Giovanna Dall’Ongaro
L’amatissima Signora della televisione nostrana è fermamente convinta che scienza e prevenzione ci aiuteranno a cancellare la definizione “male incurabile”
Buongiorno Antonella, la chia-
mo per l’intervista che avevamo concordato. Parleremo del suo impegno per Airc, dell’importanza della ricerca, di prevenzione, di…
«Certo, certo!», interviene Antonella Clerici, dal 2008 ambasciatrice della Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, precipitandosi a confermare la sua disponibilità come se non vedesse l’ora di iniziare a rispondere alle domande. Perché, lo capiamo subito dal tono entusiasta della voce, i temi che stiamo per affrontare le stanno a cuore per davvero. Da oltre 13 anni, infatti, Antonella fa molto di più che prestare il volto, il nome e la grande popolarità: si informa sui progetti avviati grazie alle campagne di raccolta fondi, segue i progressi della scienza, si mantiene aggiornata sulle nuove terapie e crede fortemente nell’importanza della ricerca. Tanto da aver ricevuto dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel 2008 il Premio Airc “Credere nella Ricerca”, per “la sua convinta adesione ai valori della ricerca oncologica”.
Da tanti anni guida la squadra Rai in occasione dei Giorni della Ricerca, partecipa alle campagne “Le Arance della Salute”, “L’Azalea della Ricerca” e “I Cioccolatini della Ricerca”. Come è nata questa collaborazione?
Il mio rapporto con la Fondazione è iniziato ufficialmente durante una puntata di Domenica In condotta da Pippo Baudo. Era il 2008, io ero incinta di Maelle e ho ricevuto il testimone di madrina della ricerca da Sandra Mondaini, che è stata un grande simbolo e un punto di riferimento della battaglia contro il cancro, e storica testimonial di Airc per oltre trent’anni. Con la solita ironia
che la contraddistingueva, Sandra mi ha fatto capire di non essere particolarmente contenta di cedere il suo ruolo e che, non fidandosi poi così tanto, sarebbe rimasta a lungo a farmi da supervisore. In realtà, però, la mia vicinanza ad Airc risale a molto prima. Ho una foto in cui tengo in mano l’azalea della ricerca che risale a quando, forse, non avevo neanche trent’anni. Sono sempre stata molto sensibile ai temi della salute femminile e poi ammetto anche di avere una passione proprio per l’azalea, soprattutto quella rosa, che trovo così dolce ed elegante.
“L’Azalea della Ricerca” è la campagna di raccolta fondi a sostegno della ricerca nel campo dei tumori femminili. In questo ambito, in particolare, sono stati fatti enormi progressi nelle terapie. Lei che ha voluto visitare di persona i laboratori dove si studiano le nuove cure, che impressione ha avuto del mondo della ricerca?
Mi ha colpito la grande dedizione con cui gli scienziati si impegnano nel loro lavoro, con la speranza di scoprire terapie sempre più efficaci e meglio tollerate. Grazie a quella dedizione sono stati fatti tantissimi passi avanti e per alcuni tipi di tumore si è riuscito a trovare il modo di curare la malattia o perlomeno di cronicizzarla, permettendo di conviverci. Oggi l’espressione “male incurabile” non è più attuale. Molti tumori, come quelli del seno o dell’utero, se presi in tempo sono curabili. Se continuiamo a sostenere la ricerca, si troveranno soluzioni sempre più efficaci per altri tipi di tumore.
Negli ultimi anni, grazie ai progressi della ricerca e all’avvento dell’immunoterapia, la sopravvivenza per alcuni tipi di tumore è aumentata notevolmente. Pensiamo per esempio al melanoma…
È il tumore che ha ucciso mia madre ad appena 56 anni. Nel 1995, quando lei si ammalò di una forma particolarmente aggressiva, non c’era alcuna possibilità di cura. In pochi mesi se ne è andata. Forse oggi, grazie alle nuove terapie, mia madre sarebbe potuta vivere più a lungo. O forse, data la maggiore importanza che ora si dà alla prevenzione, avrebbe avuto una diagnosi più precoce e una terapia più tempestiva.
Come è cambiato il suo rapporto con la salute dopo la morte di sua mamma?
Indubbiamente ho acquisito una maggiore consapevolezza sui rischi e sul modo di evitarli. Sono molto attenta alla prevenzione e invito anche le persone a cui voglio bene a sottoporsi ai controlli. L’ho fatto con una mia amica che aveva un neo dall’aspetto anomalo. L’ho convinta a farsi visitare e fortunatamente si è tutto risolto per il meglio. La prevenzione con gli screening o con il vaccino contro il papillomavirus per le ragazze, per esempio, è fondamentale. E lo dico da mamma di una ragazza di 13 anni.
Nei 18 anni alla conduzione de La prova del cuoco sarà diventata un’esperta di alimentazione. Sappiamo che i tumori si prevengono anche a tavola. Che rapporto ha con il cibo?
Io mangio un po’ di tutto stando molto attenta alla qualità. Trovo che sia logico dedicare alla scelta degli alimenti lo stesso impegno che dedichiamo all’acquisto di uno smartphone. In quest’ultimo caso, ci informiamo sui vari modelli per individuare il migliore. Così dovremmo fare per il cibo: leggere le etichette per conoscere gli ingredienti e la provenienza dei prodotti. Io mi oriento sugli alimenti a chilometro zero, compro la carne dagli allevamenti che conosco, faccio il pane in casa scegliendo farine di qualità, compro la frutta e la verdura dove so che è più fresca. Insomma, scelgo il cibo buono e nutriente.
Sua figlia apprezza le sue scelte a tavola?
Non sono ancora riuscita a farle mangiare le verdure. Ma, senza impormi, cerco di proporle alternative più sane rispetto a quelle che lei, come tutti gli adolescenti, preferisce. Ai sapori nuovi bisogna abituarsi gradualmente. Per esempio, mischio la salsa di pomodoro fatta in casa che è un po’ acidula con quella industriale che è più dolce. Sono convinta che crescendo saprà fare le scelte giuste, più salutari.
a cura di Fondazione Umberto Veronesi
CAMBIAMENTO CLIMATICO: GLI EFFETTI (SERI) SULLA NOSTRA SALUTE
Ce n’è voluto di tempo (perso, in gran parte), ma oggi siamo finalmente consapevoli che il cambiamento climatico in atto è una crisi di portata epocale, che investe il pianeta intero e tutte le forme di vita che lo popolano. Noi compresi.
COSA DICE LA SCIENZA
Il mondo scientifico è da anni unanime: l’aumento delle temperature medie e la perdita di biodiversità comportano gravi danni anche alla salute. L’OMS prevede che il cambiamento climatico provocherà, ogni anno, oltre 250.000 decessi in più fra il 2030 e il 2050, per malnutrizione, diarrea, colpi di calore, malaria. Il tutto con un costo stimato fra i due e i quattro miliardi di dollari l’anno entro il 2030.
GLI EFFETTI PER LA SALUTE
Fra le conseguenze pericolose dell’au-
IL FENOMENO “ISOLA DI CALORE” IN CITTÀ
Sapete cos’è un’ “isola di calore urbana”? È un fenomeno dovuto a un mix di fattori: superfici coperte di asfalto ed edifici che ostacolano la traspirazione e la dispersione notturna del calore accumulato durante il giorno, poca ventilazione che riduce lo scambio termico, polveri sottili e ozono. La soluzione? Il verde. Come ricorda il Ministero della Salute, infatti, “un solo albero può raffreddare per una potenza di 2030KW e un’area verde urbana di 1500 mq raffredda in media 1,5°C e a mezzogiorno 3°C e diffonde i suoi effetti a 100 metri di distanza”. mento di temperatura medio ci sono disidratazione, insufficienza renale, tumori cutanei, infezioni tropicali, problemi mentali, complicanze nella gravidanza, allergie, patologie respiratorie e cardiovascolari. I più colpiti sono malati, bambini e anziani, soprattutto nelle comunità più povere o nei gruppi di minoranze etniche.
CAMBIANO FAUNA, PIANTE E POLLINI
Già da decenni molte specie animali e vegetali hanno cambiato aree geografiche e attività stagionali a causa del clima; questo facilita l’aumento delle allergie e di malattie trasmesse da insetti o altri vettori di infezione. Un esempio? L’estensione a Nord delle zecche, portatrici di malattia di Lyme e di encefaliti.
LE RISORSE ALIMENTARI
Per le principali colture il potenzia-
le produttivo globale si è ridotto anche del 5% negli ultimi 40 anni. Nel mentre, la popolazione da sfamare e dissetare aumenta e gli eventi meteorologici estremi complicano ulteriormente le cose. Il calo di biodiversità di specie animali e vegetali, e dei loro habitat, aumenta l’insicurezza alimentare, i conflitti per le risorse e le malattie derivanti da zoonosi. Problemi dei “poveri”? Niente affatto, problemi di tutti. Come per la pandemia di Covid-19, globalmente siamo tutti forti come il più debole di noi.
LE PROSPETTIVE IN EUROPA
L’ufficio europeo dell’OMS distingue fra un impatto diretto (progressivo aumento delle temperature, ondate di calore, tempeste, incendi, alluvioni o siccità) e uno indiretto, che include i danni all’ecosistema, all’agricoltura, alla qualità e alla quantità di cibo, acqua e aria. A questo vanno aggiunti gli elementi geopolitici, come i flussi migratori e i conflitti legati al controllo delle risorse, che impattano sui determinanti sociali ed economici della nostra salute.
FARE LA DIFFERENZA
Le previsioni cambiano a seconda degli scenari, ovvero dai modelli più o meno ottimisti sulla capacità di frenare le emissioni responsabili del riscaldamento e di mitigarne gli effetti. Alcuni modelli elaborati su 43 Paesi dell’Unione europea hanno stimato che fra cinquant’anni ci sarà un eccesso di morti dovuti all’aumento delle temperature: fra i 47.000 e i 117.000 l’anno, prevalentemente nei Paesi mediterranei.
CHE FARE?
Se si centrassero i punti previsti dagli accordi di Parigi, si limitassero le emissioni in modo da contenere il riscaldamento globale entro i 2°C e ci si impegnasse per restare a 1,5° C, nel 2030 si eviterebbero 74.000 decessi in Europa. Inoltre, migliorerebbe la qualità dell’aria, e il risparmio - in termini di costi sanitari - rappresenterebbe una quota fra lo 0,4 e l’1,5% del Pil in questi Paesi. Secondo molti osservatori, la qualità dell’aria da sola potrebbe realizzare, in termini di salute, benefici che compensano il costo globale della riduzione delle emissioni.
ANCHE LA DIETA CONTA
Le diete troppo ricche di alimenti ultraprocessati e di carne hanno effetti negativi sulle persone, ma anche sull’ambiente. E modificarle sarebbe una doppia strategia vincente: diminuire i consumi di prodotti animali, ad esempio, ridurrebbe le emissioni inquinanti, migliorerebbe la qualità della nutrizione e conterrebbe il peso delle malattie cardiovascolari (nel solo Regno Unito, se si tagliasse di un terzo il consumo di grassi saturi di origine animale, si risparmierebbe il 15% delle patologie cardiache).
MUOVERSI NEL VERDE
Nelle aree urbane, promuovere gli spostamenti a piedi o in bicicletta riduce le emissioni e migliora la salute, limitando obesità, diabete, malattie coronariche, infarti (l’OMS, in Europa, stima un milione di vite risparmiate ogni anno); aumentare le aree verdi nelle zone urbane migliorerebbe la qualità dell’aria e ridurrebbe l’impatto del calore. Morale? Ciò che fa bene al pianeta, fa bene anche a noi.
ATTENTI A QUEI DUE
CALORE E INQUINAMENTO
Sempre più spesso, chi vive in città è esposto a ondate di calore combinate a picchi di inquinamento dell’aria. Di seguito, le raccomandazioni del Ministero della Salute. • Informarsi sui livelli di inquinamento. • Pulire il filtro del condizionatore. • Durante i picchi, tenere le finestre chiuse. • Ridurre in casa polveri, fumo, candele o incensi. • In auto utilizzare il climatizzatore con filtro antiparticolato pulito. • Bambini, anziani, donne in gravidanza: limitare il tempo all’aria aperta, meglio lontano dal traffico intenso. • Con malattie cardiovascolari: monitorare la pressione, evitare di uscire durante i picchi; seguire le terapie. • Con malattie respiratorie: evitare sforzi fisici prolungati all’aperto, monitorare tosse, dispnea, irritazione di occhi e cute; seguire le terapie. • Lavoratori all’aperto: evitare sforzi intensi, specie in caso di patologia respiratoria, allergica o cardiovascolare; usare i dispositivi di protezione individuale.
di Alessandro Mascia QUANDO LA BIOTIPOLOGIA CONDIZIONA LO STATO DI SALUTE
Ectomorfo Mesomorfo Endomorfo
“Dimmi la tua attitudine posturale e ti dirò verso quali disturbi muscolo-scheletrici sei predisposto”. Non è un anatema ma, al contrario, la possibilità di migliorare la postura per prevenire disturbi del sistema muscolare, fasciale e scheletrico
La “biotipologia” è l’analisi e classificazione dei tipi di costituzione degli individui. Nello specifico, prende in considerazione le caratteristiche morfologiche e funzionali di macro famiglie di esseri umani, mettendole in relazione con gli stati patologici verso i quali ogni biotipo è predisposto. In terapia manuale il biotipo costituisce un prezioso strumento di indagine per identificare l’origine e la possibile evoluzione delle patologie manifestate dal paziente. Le tre macro famiglie delle biotipologie sono l’ectomorfo (o tipo anteriore), il mesomorfo (o tipo misto), e l’endomorfo (o tipo posteriore). Tale suddivisione fa riferimento alla “linea centrale gravitaria” data dalla verticale del baricentro del corpo rispetto alla base di appoggio (rappresentato dal poligono di appoggio dei piedi). L’eventuale spostamento della linea gravitaria identifica a quale famiglia ognuno appartenga. Mentre il tipo anteriore ha il baricentro sbilanciato in avanti, nel tipo posteriore la caduta del centro di gravità, e di conseguenza l’equilibrio, risultano spostati indietro. L’ectomorfo (ossia il biotipo anteriore) è caratterizzato da un atteggiamento posturale con una struttura muscolare piuttosto tonica (più tipico dell’estroverso e dello sportivo). È costituito dalla prevalenza di schemi posturali di estensione. Presenta la colonna vertebrale verticalizzata, il torace in atteggiamento di inspirazione, il muscolo diaframma particolarmente contratto, il pavimento pelvico ipertonico. Tutte le grandi articolazioni sono atteggiate in apertura (ossia in rotazione esterna). Per questi soggetti il trattamento di terapia manuale dovrà essere orientato verso mobilizzazioni prevalentemente nel senso della rotazione interna dei fulcri principali (spalle e anche) e secondari (ginocchia, piedi, gomiti e polsi), volti a diminuire lo stress muscolare e fasciale cui sono soggetti. L’endomorfo, invece, è caratterizzato da un atteggiamento posturale prevalente di tipo femminile. Ha un orientamento in flessione e chiusura
(caratteristico dell’introverso e di chi passa molto tempo seduto alla scrivania), con accentuazione delle curve della colonna. Il dorso è curvo, la colonna cervicale in flessione anteriore, il capo e le spalle sono in avanti. Il diaframma può, anche in questo caso, risultare contratto ed il pavimento pelvico tende ad essere ipotonico. Per questa biotipologia il trattamento di terapia manuale si sviluppa prevalentemente in manovre di apertura, ossia di estensione della colonna vertebrale e di rotazione esterna delle articolazioni degli arti. Il mesomorfo rappresenta, come già anticipato, un biotipo intermedio nel quale si evidenzia una più armonica distribuzione delle curve fisiologiche della colonna vertebrale, della tensione muscolare e fasciale delle grandi e piccole articolazioni. Il piano di lavoro generale e la progressione del trattamento osteopatico (come, ad esempio, per il Trattamento Generale Osteopatico), come anche per il trattamento Rieducazione Posturale o per qualsiasi altro di terapia manuale, deve sempre tenere conto dell’attitudine posturale del paziente. La valutazione del paziente è necessaria per impostare il piano di lavoro. Deve ricostruire i legami esistenti tra la zona del dolore e gli altri distretti del corpo con i quali è collegato nel tempo e nello spazio. Nel “tempo” in quanto un trauma può fissare dei legami patologici a distanza evidenziandone gli effetti anche dopo anni, solo e soltanto quando il corpo non ha più possibilità adattative. Per quanto riguarda invece il concetto di “spazio”, il cammino dei compensi segue le grandi e piccole catene muscolari e fasciali distribuite in tutto il corpo, determinando effetti locali e a distanza. LE CATENE LESIONALI ASCENDENTI E DISCENDENTI
La fascia è un tessuto fibroso connettivo non elastico che avvolge e riveste tutti i muscoli e gli organi interni. Lungo il corpo sono legati tra loro dei sistemi, in continuità fasciale, che in caso di patologia trasmettono la limitazione del movimento. Questi sistemi possono essere definiti “catene lesionali” perché possono essere causa di dolori a distanza, proprio per effetto della loro continuità lungo tutto il corpo. Le catene lesionali possono essere “discendenti” oppure “ascendenti”, a partite dalla prima zona rigida che trasmette i suoi effetti dall’alto verso il basso o viceversa. Ad esempio, dalla testa può estendersi una tensione verso la spalla e da questa verso il braccio o verso il torace. Dal torace la linea di tensione può continuare verso la colonna lombare, verso il bacino o anche verso il pavimento pelvico. Dal bacino può proseguire verso l’anca, scendere al ginocchio od anche fino alla caviglia, determinando una zona di tensione locale e dando inizio ad un dolore “apparentemente” senza causa. È raro vedere un sistema lesionale partire dalla testa per arrivare all’arto inferiore, ma nel percorso opposto, per le catene ascendenti, i meccanismi lesionali possono presentarsi con maggiore frequenza e con effetti molto più evidenti.
L’esame baropodometrico è molto utile per valutare con estrema precisione il punto di caduta del baricentro all’interno della base di appoggio dei piedi.