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Una tutela che parte dalle fondamenta

Cari Lettori, non si sa più quale sia la reale portata dell’esito di certe gare per opere fondamentali, nell’orizzonte infrastrutturale del Paese. Vi confidiamo che siamo invasi da un senso generale di opaca perplessità, di fronte ad eventi che ci appaiono in aperta contraddizione - come è accaduto di recente con la posa della prima pietra della nuova Diga Foranea di Genova e il contemporaneo accoglimento del ricorso presentato dal gruppo Eteria. Dell’Ati (Associazione temporanea di imprese), con Gavio e Caltagirone alla guida, fanno parte specialisti di primo piano come la spagnola Acciona e la salernitana Rcm, eccellenza nazionale delle fondazioni speciali. Il paradosso dell’”annullamento insussistente” di una gara cruciale per il futuro del sistema portuale e marittimo italiano, vede la prosecuzione imperturbata dei lavori, in virtù delle clausole di salvaguardia previste dal PNRR a vantaggio del vincitore dell’appalto Webuild-Fincantieri. Quello che stupisce, in primis, è il punto di contesa accolto dai giudici: la valutazione sulla capacità tecnica di eseguire l’opera. In buona sostanza, l’appaltatore non avrebbe fornito prova “significativa della capacità di realizzare” la stessa diga foranea, dal momento che l’elenco delle opere pregresse realizzate comprendeva infrastrutture non direttamente attribuibili alla competenza specifica dell’impresa aggiudicante. Prima che la patata bollente passi al Consiglio di Stato - con il conseguente, inesausto strascico di polemiche e richieste risarcitorie milionarie - consentiteci una semplice considerazione. L’esclusione di una parte operativa estremamente competente in opere marittime come Rcm Costruzioni (con numerosi e importanti cantieri all’attivo e in corso d’opera, come quello del Ravenna Port Hub, di cui si parla in questo numero di Perforare) a che cosa potrebbe attribuirsi? Alla convenienza di un offerta economicamente più vantaggiosa, forse? Noi ci auguriamo proprio di no, dal momento che questa voga ha portato al disastro la nostra industria delle fondazioni speciali. Ricordiamoci degli anni Novanta, quando la formulazione di una nuova legge sui Lavori Pubblici (la cosiddetta legge Merloni) disseccò alla radice ogni possibilità di ulteriore sviluppo del settore, segnando l’inizio di un rapido declino tecnico, proprio a seguito degli appalti basati esclusivamente sul massimo ribasso. Parliamo di realtà virtuose che da almeno un decennio praticavano l’avanguardia del jet-grouting e di altre tecnologie avanzate per la miscelazione, attuando per prime il preconsolidamento sistematico dello scavo in galleria, la metodologia basata sull’idrofresa per lo scavo di paratie a profondità elevatissime, le centrali d’iniezione ad automazione integrale. A questi valori d’impresa, anni dopo, il governo rispose con un blocco dei cantieri biennale che servì a ridurre il deficit corrente per ottenere l’ingresso - udite udite! - nell’imprescindibile Unione europea, con la rovina conseguente di molte medie-imprese dall’inestimabile patrimonio tecnico e sociale. Ora, non vorremmo che la politica di casa nostra, con l’alibi dell’urgenza intimata dal PNRR, scegliesse - più che l’efficienza dal bagaglio tecnico competente - la sponda comoda del consociativismo ammorbante di scuola dorotea. Saremmo sul bordo di un argine cedevole che affonda nel mare del compromesso. Senza regole né certezze e, certamente, senza virtù alcuna per un settore nazionale che scommette - da sempre e ancora oggi, credeteci - sulla qualità incorruttibile delle proprie fondamenta.

Buona lettura!

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