Mensile Valori n. 93 2011

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Anno 11 numero 93. Ottobre 2011. € 4,00

valori STRINGER SHANGHAI / REUTERS

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Dossier > Nuovi equilibri geopolitici con lo shale gas. E l’ambiente paga pegno

In gas we trust Finanza > Usa o Europa, le politiche di intervento post crisi non funzionano Economia solidale > Gruppi di acquisto solidale pronti a difendere il territorio Internazionale > Argentina al voto, 35 anni dopo la fine della dittatura militare Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.


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L’AUTORE Alessandro Volpi, è docente di Storia contemporanea e di Geografia politica ed economica alla facoltà di Scienze politiche dell’università di Pisa. È autore di Mappamondo postglobale (Terre di mezzo editore) e assessore al Bilancio come indipendente nell’amministrazione di centro-sinistra del Comune di Massa Carrara.

hanno assunto negli ultimi trent’anni un rilievo in termini geopolitici ancora più marcato che in passato. Un aspetto alimentato dall’emergere di nuovi consumatori – innanzitutto la Cina, interessata da una fulminea trasformazione da Paese agricolo a potenza industriale – che hanno catalizzato flussi prima destinati soprattutto all’Europa e hanno determinato un cambiamento degli equilibri. Oggi il mercato dipende in larga misura proprio dalle dinamiche di domanda e offerta provenienti da tali soggetti, che trasferiscono sul piano dell’energia il loro peso geopolitico. Se affrontiamo il tema del gas, non si può trascurare il nodo dei gasdotti e la costruzione di grandi condutture per l’approvvigionamento dell’Europa e delle aree di nuovo fabbisogno: sappiamo, infatti, quanto sia rilevante la dipendenza da alcuni Paesi, spesso molto ingombranti sul piano politico. E bisogna considerare anche l’elemento del “monopolio” delle forniture, connesso alle caratteristiche dei Paesi esportatori e condizionato dal peso delle grandi compagnie di Stato che dettano la politica del gas nei territori. Esemplari la vicenda di Gazprom e la crisi tra Ucraina e Russia (2006 e 2009), con importanti ripercussioni sui Paesi importatori. Ma questo scenario si sta in parte disarticolando, anche a causa dell’avvento del gas da scisti (shale gas), che solleva una serie di inediti problemi ambientali e riaccende questioni controverse per quanto riguarda la proprietà e lo sfruttamento delle riserve naturali, presentando molte analogie con il tema della corsa all’Artico; questioni per anni trascurate perché considerate marginali e mai risolte dal diritto internazionale, ma oggi di rinnovata importanza strategica. In particolare gli Stati Uniti – ma non solo – possono oggi far ricorso al proprio shale gas e rivenderlo sul mercato internazionale, provocando una tendenza all’abbassamento dei prezzi – data la sovrabbondanza di tale risorsa – che libererebbe grosse partite di gas liquefatto. Ciò rimette in discussione la logica e il ruolo dei gasdotti, tanto più se, come avviene, diverse regioni tendono a diventare autosufficienti nell’approvvigionamento di gas. Certo, la reale importanza dello shale gas è da verificare – e comunque la domanda di petrolio rimane molto alta, soprattutto da parte di Cina e Paesi emergenti – ma, se la sua dimensione globale fosse quella delle previsioni, si indebolirà la forza di condizionamento dei grandi produttori. E ciò vale anche in relazione alla natura “finanziarizzata” dei prezzi del petrolio (cui quello del gas è di fatto legato): se il gas fosse maggiormente concentrato in aree meno instabili politicamente, la speculazione avrebbe forse meno peso e il prezzo finanziario potrebbe riallinearsi al prezzo reale. Con conseguenze anche politiche laddove, come in Russia, Algeria o Iran, le compagnie di Stato sono state fondamento della tenuta di interi sistemi attraverso oligarchie e oligopoli legati alla centralità del gas. Riguardo l’Europa, invece, non è ancora chiara la capacità complessiva dei suoi bacini di shale gas. E sul fronte ambientale restano molti dubbi: le tecniche estrattive producono un impatto non sempre sostenibile, soprattutto in Paesi dove la tutela dell’ecosistema è tema importante (di fronte ad elevati rischi per le falde acquifere). La Polonia, sul cui territorio sarebbero concentrate le principali riserve di gas da scisti del Vecchio Continente, investe molto in questa direzione e il suo ruolo potrebbe incidere sulle dinamiche europee, per ridurre la dipendenza da Paesi come la Russia. Di sicuro il cambiamento di approvigionamento energetico negli Usa sarà fondamentale; e quei Paesi che hanno costruito il proprio sistema sull’esportazione del gas incontreranno problemi. C’è poi da chiedersi per quanto tempo ancora il prezzo del gas rimarrà legato a quello del petrolio. E FONTI ENERGETICHE

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anno 11 numero 93 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005

Nel più grande giacimento di shale gas al mondo in Cina, nella provincia di Sichuan, è in corso un’esercitazione per simulare eventuali perdite di solfito di idrogeno, possibili durante l’estrazione di gas da scisti. La foto è stata scattata il primo marzo 2011.

globalvision

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fotonotizie

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dossier Shale gas Gas da scisti, l’asso nella manica dei potenti Urbano: «Stravolgerà il mercato dell’energia» Shopping per Eni. Ma la convenienza è da verificare Azionisti critici in campo contro lo shale gas Un mostro più inquinante del carbone

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finanzaetica Usa. Date una possibilità a Roubini... Montesi: «Tutto questo non ha senso!». L’estate più delirante di Piazza Affari Cara Commissione europea, le banche etiche sono diverse Mediterraneo. L’arte incontra la finanza etica

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Francesco Camagna, Simona Corvaia (info@mokadesign.org)

islamfinanzasocietà + euronote

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fotografie e illustrazioni

inumeridellaterra

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economiasolidale Nuove sfide per i Gruppi di acquisto solidale. Agricoltura per difendere il territorio Biologico garantito in modo partecipato Made in Italy a rischio/8. Nel Paese del vino la birra scorre a fiumi Di golpe in golpe la legalità democratica sparisce Lotta alle mafie, si riparte dalla Puglia

internazionale Argentina. L’altra faccia dell’America Spagna/Indignados. La partecipazione senza rappresentanza E se il Sudafrica nazionalizzasse le banche? Crisi archiviata per i ricchi del Pianeta

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Cause e soluzioni

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Banconote come se piovesse

per vedere

quello che altri non vedono di Alberto Berrini

indebitamento dell’economia mondiale. Da qui la cosiddetta “crisi subprime”, che è stata la prima fase della tempesta economica ancora in corso. Paradossalmente la cura prescritta per rilanciare l’economia internazionale ha avuto il suo fulcro nella politica monetaria. In sostanza si è ipotizzato che “pompando” liquidità nel sistema tutti i problemi sarebbero stati risolti. Non a caso Ben Bernanke, il Governatore della Fed, la banca centrale americana, è stato soprannominato “Elicopter Ben”. Tale appellativo deriva dalla famosa immagine di Milton Friedman, che, per spiegare il concetto di “creazione di moneta” da parte della Banca centrale, immagina un elicottero che lancia banconote su tutto il

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Anno 11 numero 93. Ottobre 2011. € 4,00

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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

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Anno 11 numero 92. Settembre 2011. € 4,00

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Dossier > Cloud computing, l’informazione in Rete rivoluziona l’economia e la cultura

Stragi a contratto

La nuvola condivisa

Finanza > Comprare terre in Africa. La nuova frontiera della speculazione Economia solidale > Gruppi di acquisto: saranno sempre piccoli e puri? Internazionale > La Grecia fallisce e fa saltare i nervi a un’Europa senza guida Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.

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Dossier > 10 anni dall’11 settembre 2001. Da quel giorno la guerra è diventata SpA

Finanza > Da Bob Geldof alla Carlyle. La finanza riscopre il mal d’Africa Economia solidale > Aiuti alle rinnovabili gonfiano le bollette, ma sgonfiano i prezzi Internazionale > Dalla diga delle Tre Gole: grandi opere che distruggono l’ambiente Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.

Dossier > Nuovi equilibri geopolitici con lo shale gas. E l’ambiente paga pegno

In gas we trust Finanza > Usa o Europa, le politiche di intervento post crisi non funzionano Economia solidale > Gruppi di acquisto solidale pronti a difendere il territorio Internazionale > Argentina al voto, 35 anni dopo la fine della dittatura militare Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.

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LL’ORIGINE DELL’ATTUALE CRISI C’È L’ECCESSIVO

obbligazioni private (corporate), ma di titoli di Stato. Tale strategia di business è una presa d’atto della fase di “contrazione” che stiamo vivendo: non è quindi più ipotizzabile un modello di business basato sull’aumento dell’indebitamento, che aveva caratterizzato gli anni precedenti lo scoppio della “crisi subprime”. Si tratta piuttosto di alzare il prezzo del debito, ossia il premio al rischio pagato dagli operatori, e, specificatamente, in questo caso, dagli Stati. “Lo shock sul mercato è solo strumentale: serve a mutare la percezione del rischio, per ricevere interessi più alti al momento del rinnovo dei titoli in portafoglio e spuntare un prezzo più elevato a cui vendere i Cds su tutti i titoli in circolazione. Dopo la crisi finanziaria l’obiettivo della speculazione è quello di estrarre interessi quanto più alti possibili”. (G. Salerno Aletta, La speculazione non mira al default, Milano Finanza 13 luglio 2011). Alla base del nuovo modello di business delle istituzioni finanziarie c’è dunque il riconoscimento di essere immersi in una fase di contrazione, paradossalmente proprio ciò che non ha compreso la politica economica di matrice liberista. A questo punto non è retorico chiedersi per quanto tempo ancora il settore finanziario potrà tenere sostanzialmente sotto ricatto in questo modo contribuenti e governi. TOMASO MARCOLLA

territorio nazionale (Usa). Dunque si è concretizzato il paradosso che una crisi originata da un eccesso di liquidità è stata affrontata con una nuova iniezione di liquidità. E, infatti, tale terapia è miseramente fallita. Per uscire da un eccessivo indebitamento è necessaria una fase di contrazione che implica una distruzione di ricchezza finanziaria (ossia lo sgonfiamento della bolla) non più sostenuta da ulteriori iniezioni di liquidità. All’opposto le scelte fondamentali della policy (politica economica) internazionale hanno mirato alla salvaguardia della “ricchezza finanziaria”, proprio perché condizionate dalla difesa degli interessi dei mercati finanziari. Questi ultimi hanno subito approfittato della situazione, ancora una volta a loro favore, ma adeguando il loro modello di business al contesto economico corrente. Il modello odierno si caratterizza per l’evestitori di assicurarsi contro il fallimento di stensione ai debiti sovrani della copertura qualunque emittente di obbligazioni). del rischio di default. Proprio per questo lo La novità è che tali prodotti finanziari sostrumento finanziario “più di moda”, nonno messi a copertura (detto più concretaché il termometro principale per misurare le mente sono utilizzati per speculare!) non di turbolenze finanziarie, sono i Cds (Credit Default Swap, della La crisi è stata generata famiglia dei “derivati del credida un eccesso di liquidità to”. Sono una specie di polizza e di indebitamento. Allora perché assicurativa che permette agli ininondiamo il sistema di denaro?

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Se prima a scommettere sull’energia solare erano i soliti ambientalisti, magari pure pacifisti, ora ci si è messo l’esercito più potente del mondo, per motivi economici e militari. Era il 2006 quando, in pieno conflitto iracheno, il direttore delle operazioni Usa nell’ovest del Paese Richard Zilmer scriveva ai superiori di Washington la sua preoccupazione per i continui attacchi ai convogli di trasporto carburante. È il 2010 quando, nella provincia di Helmand, in Afghanistan meridionale, i marines si preparano a trasformare la loro base in un centro autosufficiente sotto il profilo energetico installando pannelli solari. Una scelta isolata? Nient’affatto. Nel 2009 la Marina aveva già varato la sua prima portaelicotteri d’assalto “ibrida” che combina i motori a combustione con quelli elettrici ed entro il 2011 l’intera flotta area militare potrà alimentarsi indifferentemente con i carburanti tradizionali o i biofuels. Ma non è finita qui. Il progetto SolarStrong, sul quale il dipartimento dell’energia statunitense ha deciso di investire 344 milioni di dollari, installerà nei prossimi 5 anni sui tetti di 124 basi militari americane 160 mila pannelli fotovoltaici: secondo le stime, l’Us Army potrà così contare su 371 megawatt di potenza in più e il pianeta su 250 mila tonnellate di anidride carbonica in meno l’anno. Piccole consolazioni pensando che, in fondo, anche l’energia atomica era nata con le migliori intenzioni… E sapendo che il sole servirà anche per rendere più efficienti le squadre di esplosivi sempre della Marina americana (Explosive ordnance disposal training and evaluation unit) che, per alleggerire di 50 libbre il peso delle attrezzature portatili, stanno testando un kit di alimentazione a celle solari (Soldier power manager) sviluppato ad hoc nell’ambito del programma denominato TechSolutions. Nella foto, pannelli solari e pale eoliche nel centro di addestramento di Fort Irwin, in California (luglio 2008). [C.F.] | 8 | valori |

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FRED PROUSER / REUTERS

United Solar Army Se gli eserciti scoprono la green economy

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La casa automobilistica Bmw e il gruppo Sgl, tra i più importanti produttori di materiali a base di carbonio del mondo, hanno completato nei mesi scorsi la costruzione di un nuovo stabilimento a Moses Lake, negli Stati Uniti. Dalla fabbrica usciranno tremila tonnellate all’anno di fibre di carbonio destinate (insieme a componenti in alluminio) ad alleggerire le strutture delle ultime nate dell’industria tedesca, le “Classe i”: una city car e una sportiva (nella foto alla presentazione al salone di Francoforte, con il presidente della Bmw Norbert Reithofer), entrambe a motore elettrico. La casa bavarese utilizzerà in esclusiva i prodotti in arrivo da Moses Lake. Un sistema che consentirà di snellire le auto di 250-350 chili, a vantaggio dei consumi e, quindi, dell’ecologia. La Bmw non è l’unica casa che sembra voler puntare sulle vetture sostenibili. A guardare le proposte presentate all’edizione 2011 del Salone di Francoforte, il futuro della mobilità sembrerebbe infatti improntato al rispetto dell’ambiente. Il condizionale è d’obbligo, però, perché l’industria automobilistica da tempo ci ha abituati a tante promesse seguite da scarse azioni concrete. In ogni caso, la quantità di modelli proposti è impressionante. Si va dalla Evos, concept car della Ford a motore ibrido, alla due posti Opel, vettura elettrica che sfrutta un peso ridotto per fare 100 km con un euro. La Volkswagen propone invece la Nils, progettata con il sostegno del governo tedesco. È un’utilitaria, pesa solo 460 kg, ha un motore elettrico con un'autonomia di 65 km e batterie ricaricabili in sole due ore. La Audi, inoltre, punta sulla Concept A2, anch’essa elettrica. Mentre Renault propone il Frendzy, multivan lungo poco più di 4 metri e alimentato dal motore elettrico già utilizzato sulla Kangoo. Ancora più grande il Tubik di Citroen: nove posti e motorizzazione innovativa ibrida elettrico/diesel. [A.BAR.] | 10 | valori |

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RALPH ORLOWSKI / REUTERS

Auto elettriche La Bmw si fa più leggera grazie al carbonio

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Una delle rare foto scattate dall’interno dello stabilimento di Fukushima, immortalato mentre gli operai tentano di decontaminarlo. Merito – se così si può dire – proprio di questo disastro, se il Paese, che oggi ospita 54 reattori, 19 ancora attivi, ha approvato una legge pro-rinnovabili la cui chiave di volta sarà una tariffa cosiddetta feed-in (che prevede un compenso pagato ai proprietari di sistemi di energie rinnovabili quando la loro energia viene venduta al servizio pubblico) in vigore dal luglio 2012. Una legge fortemente voluta dal premier dimissionario Naoto Kan e sostenuta da obblighi di acquisto di energia da rinnovabili per le società di servizio. In un Paese che fino a ieri riceveva il 30% della propria energia dall’atomo significherà – secondo le prime stime – moltiplicare di 6 volte il contributo da solare fotovoltaico (990 MW nel 2010), per arrivare nel 2020 a soddisfare il 20% del fabbisogno grazie alle rinnovabili. Ma per un mercato che si chiude un altro si apre pericolosamente. L’autorità turca regolatrice del mercato dell’energia (Emra) ha infatti pubblicato le linee guida per (facilitare) la realizzazione dei propri impianti atomici. Il testo funge da viatico per la prossima costruzione di una centrale di tipo WWER con tecnologia russa MPP2006, con quattro reattori e una potenza di 1,2 gigawatt, ad Akkuyu, nella provincia meridionale di Mersin, la realizzazione della quale è affidata alla compagnia di Stato russa per l’energia nucleare (Rosatom). Il testo rilasciato dall’Emra segna peraltro la strategia futura del Paese poiché riduce la percentuale di capitale sociale obbligatoria rispetto agli investimenti nel nucleare (5% contro il 20% per chi costruisca centrali elettriche a carbone o gas naturale). Ciò mentre l’Europa è appena sobbalzata per l’incidente – fortunatamente circoscritto – avvenuto nella centrale nucleare francese di Marcoule. [C.F.]

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TOKYO ELECTRIC POWER CO. / REUTERS

Nucleare Le scelte opposte di Giappone e Turchia

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dossier ACQUA La soluzione usata presenta anche agenti tossici e cancerogeni.

TRIVELLE Per recuperare il gas è necessario trivellare a non meno di 1,5 chilometri di profondità.

VAPORE La soluzione acquosa viene fatta evaporare, insieme agli agenti chimici, in attesa di essere rimossa.

CAMION Per azionare le trivelle servono grandi quantitativi di carburante.

CONTAMINAZIONI Negli Usa sono stati già documentati mille casi di acque contaminate.

WWW.GASLANDTHEMOVIE.COM /WHATS-FRACKING

a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Corrado Fontana, Mauro Meggiolaro, Valentina Neri, Federico Simonelli

Gas da scisti, l’asso nella manica dei potenti >16 Urbano: «Stravolgerà il mercato dell’energia» >18 Shopping per Eni. Ma la convenienza è da verificare >20 Azionisti critici in campo contro lo shale gas >22 Un mostro più inquinante del carbone >23 Non dimentichiamo le rinnovabili >24

CENTRI ABITATI Talvolta le aree sottoposte a trivellazione sono vicine alle città. È il caso di New York.

TERRENO A RISCHIO ACQUA A RISCHIO

ACQUA A RISCHIO

DEPOSITI Agenti nocivi possono fuoriuscire anche dai “condensate tanks”.

RAFFINERIE L’Energy Bill americano ha esentato in numerosi casi l’industria nazionale del gas dall’osservare le norme in materia di tutela dell’ambiente e della salute.

LE TECNICHE DI TRIVELLAZIONE ALLA RICERCA DEL GAS INTRAPPOLATO NELLE ROCCE

ACQUA POTABILE Le acque che normalmente vengono utilizzate dalle abitazioni rischiano di essere contaminate da componenti riconducibili alle attività di fratturazione delle rocce.

Shale gas Spariglia le carte Alcune grandi potenze hanno nel sottosuolo quantitativi enormi di gas da scisti. Se estratto modificherebbe gli equilibri geopolitici. Le tecniche per sfruttarli, però, rischiano di provocare danni ambientali. E sul fronte economico la convenienza non è scontata | 14 | valori |

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sul tavolo degli equilibri globali |

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Gas da scisti, l’asso nella manica dei potenti

di Andrea Barolini e Paola Baiocchi

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er alcuni è la nuova frontiera del mercato energetico globale, per altri l’ultima grande minaccia per l’ambiente. Per

certi Paesi potrebbe costituire una gigantesca risorsa, per altri l’inizio di una fase di declino. Da qualunque punto di vista lo si osservi, un fatto è certo: dallo sfruttamento dello shale gas potrebbero dipendere gli equilibri geo-economici planetari. Non si tratta di una scoperta nuova, eppure di questo gas non si parla molto. Solo negli ultimi anni, infatti, e quasi unicamente negli Usa, ci si è impegnati per sfruttarlo. Lo shale gas (o gas da scisti) è intrappolato in profondità nelle rocce: la sua estrazione comporta l’utilizzo di tecniche complesse e costose. Tanto da renderne lo sfruttamento vantaggioso solo in presenza di determinate condizioni di mercato. Va detto che, come spiegato da Amy Myers Jaffe della Rice University americana sul Wall Steet Journal, “il costo per l’estrazione di un milione di Btu (British Thermal Unit, un’unità di misura dell’energia usata negli Usa e in Uk) negli ultimi anni è sceso in alcuni siti a 3 dollari, contro i 5 di vent’anni fa. E potremmo arrivare a 2 dollari entro i prossimi 5 anni”. Ma agli attuali prezzi europei di vendita del gas (sui 10-12 dollari per Mbtu, un milione di Btu), secondo Riccardo Galletta del centro di ricerche Ref, «non è detto che la sostenibilità economica sia garantita». Anche perché l’estrazione sul territorio europeo “potrebbe costare due o tre volte di più rispetto a quello americano”, per ragioni geologiche e logistiche, secondo un’analisi dell’università di Oxford.

IL FILM GASLAND di Josh Fox Premio speciale della giuria, per il miglior documentario, al Sundance film festival del 2010 Il documentario, visto lo scorso anno al Festival internazionale di Roma, racconta che, come ai tempi della corsa al petrolio negli Stati Uniti, le multinazionali sono disposte ad acquistare terreni apparentemente senza valore a prezzi fuori mercato. Perché? Sperano di poterne estrarre gas naturale, con uno dei procedimenti di trivellazione più invasivi e violenti mai sperimentati. Impressionante la sequenza in cui l’acqua che esce da un rubinetto va in fiamme avvicinandoci un accendino. Le conseguenze per l’ambiente – e soprattutto per le falde acquifere – sono devastanti: non immaginiamo quanto.

La Cina e gli Stati Uniti sono i Paesi che ne conservano le riserve più ingenti: difficile che rinuncino a sfruttarle | 16 | valori |

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E anche nel caso americano, dove il gas costa molto meno (circa 5 dollari per Mbtu), la convenienza dipende dall’andamento del mercato. Più possibilista Federico Pontoni, ricercatore Iefe Bocconi, che ricorda come «fin quando il petrolio costava 20 dollari al barile non poteva dirsi commercialmente fattibile». Oggi la situazione è diversa, ma occorre valutare la convenienza da giacimento a giacimento. A ciò vanno aggiunti poi grandi dubbi dal punto di vista ambientale. Le tecniche estrattive basate sulla fratturazione delle rocce tramite getti di soluzione acquosa presentano aspetti preoccupanti: «A cominciare dagli elementi chimici inquinanti utilizzati», spiega Giuseppe Onufrio di Greenpeace. «È possibile inoltre – aggiunge Pontoni – che si arrivi a far pagare di più l’acqua sia per usi domestici che industriali».

La Russia potrebbe vedere crollare il suo mercato Perciò, se la sostenibilità economica è da verificare e sussistono notevoli dubbi ambientali, perché si punta sullo shale gas? Una risposta può arrivare osservando la collocazione delle riserve di tale fonte. Secondo l’Energy Information Administration (Eia) gli Stati Uniti ne conservano ben 24.400 miliardi di metri cubi: «Gli Usa potrebbero diventare addirittura esportatori», osserva Pontoni. Più ricca degli States c’è solo la Cina, che vanta 36.100 miliardi di metri cubi. Seguono Argentina (21.900 miliardi), Sudafrica (13.700), Australia (11.200) e Canada (11 mila).

GLOSSARIO ROCCE DA SCISTI Sono rocce metamorfiche, risultato della trasformazione di argilla sottoposta ad alte pressioni e temperature

CARTA D’IDENTITÀ* NOME: shale gas o gas da scisti LUOGO: è imprigionato in profondità, in strati geologici che non permettono una facile estrazione. In genere si tratta di scisti (shale) porosi, come negli Stati Uniti, ma possono essere anche strati di carbone, come nel caso del coal bed methane australiano, o ancora arenacee nel caso del tight gas.

GAS NON CONVENZIONALE Classificata in tre categorie diverse, questa preziosa risorsa naturale potrebbe ribaltare gli scenari energetici globali

L’ESTRAZIONE: la tecnologia di base per estrarre lo shale gas dalle rocce è la “perforazione orizzontale”. In genere il gas viene estratto con perforazioni verticali: si scende con una trivella, si incontra il giacimento e, grazie alla pressione, il gas sale verso l’alto. Nel caso dello shale gas la perforazione verticale non basta e deve essere integrata con una perforazione orizzontale, perché il gas è imprigionato in strati di rocce. Ma anche la perforazione orizzontale non basta. Per riuscire a estrarre il gas dalle rocce si devono iniettare acqua e altre sostanze chimiche ad altissima pressione. Lo shale gas viene estratto con la forza, grazie a tecniche di hydrocracking: lo spaccamento delle rocce con l’acqua.

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I RISCHI/1. TRIVELLE MULTIPLE: per l’estrazione non basta una sola trivella, come per i giacimenti convenzionali di gas o di petrolio, ma servono molte trivelle a distanza ravvicinata, perché il gas è diffuso orizzontalmente e non vuole uscire. L’estrazione è possibile solo in zone scarsamente abitate perché è rumorosa, occupa un ampio spazio e può provocare piccole scosse sismiche.

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I RISCHI/2. L’ACQUA: per estrarre shale gas si usa moltissima acqua per l’hydrocracking. Ma una volta usata dove va a finire? Come viene smaltita l’acqua mista a sostanze chimiche? Le sostanze chimiche sono cancerogene? È possibile che, con tecniche di estrazione così violente e invasive, si liberi nel sottosuolo radon radioattivo? Sono interrogativi a cui stanno cercando di rispondere numerosi istituti di ricerca, come l’EPA, Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti o il Dipartimento di Conservazione Ambientale dello Stato di New York.

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SHALE GAS Estratto da rocce scistose (da solo rappresenterebbe la metà delle risorse mondiali di gas non convenzionale) COALBED METHANE Ovvero metano estratto da strati carboniferi superficiali TIGHT GAS Estratto da formazioni arenacee

27 al 13% entro il 2040. Mentre la Cina potrebbe garantirI RISCHI/3. GAS SERRA: il gas naturale è considerato “pulito” perché la sua combustione si un’autonomia fino ad oggi produce molta meno CO2 rispetto a quella di petrolio o carbone. Ma bisogna considerare tutto insperata. il ciclo di vita: dall’estrazione al consumo finale. Spesso nell’estrazione di shale gas si disperde Lo shale gas, dunque, pometano nell’ambiente. Se non viene bruciato e si libera nell’atmosfera è uno dei più pericolosi trebbe modificare la politica gas serra che esistano, con conseguenze per il riscaldamento climatico 25 volte superiori economica globale. Ma non a quelle della CO2. cambierebbe in senso ecosostenibile il nostro Pianeta ulI RISCHI/4. DISPERSIONE. Non è ancora possibile dirlo, ma alcuni studi hanno accertato tra-energivoro: «Non è quele dispersioni. Se non le controlliamo c’è il rischio che l’impatto molto limitato sul clima prodotto sta la rivoluzione energetica. dalla combustione di shale gas (alla fine del ciclo di vita) sia più che compensato Anzi, si rischia di rallentare la dalla dispersione di gas in atmosfera nella fase di estrazione (all’inizio del ciclo di vita). transizione verso le fonti rinnovabili», aggiunge Onufrio. * Realizzata grazie alle imformazioni fornite da Antonio Urbano, esperto di mercati energetici. Anche per questo in Francia è già sorto un movimento di ambientalisti che si batte per bloccare la riIl gas da scisti, insomma, costituisce una dipendenza dalle importazioni dal 17% al cerca di gas da scisti. E il Parlamento d’Ol“carta” strategica che numerosi governi vo- 6%. L’Europa, similmente, immagina un fugliono provare a giocare. Washington vorturo meno legato al gas della Russia. Proprio tralpe ha approvato una legge presentata dall’Ump, il partito di Sarkozy, che impone uno rebbe svincolarsi dal difficile rapporto con i quest’ultima, secondo uno studio dell’istitumaggiori esportatori globali di energia: l’Eia to James A. Baker III di Houston, potrebbe ve- stop alla fratturazione idraulica. Ma per il governo lo scopo è la difesa del nucleare. afferma che gli Usa potrebbero diminuire la dere scendere la propria quota di mercato dal

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Urbano: «Lo shale gas stravolgerà il mercato dell’energia» Secondo l’a.d. di Puraction, con l’energia da scisti potrebbe essere la Cina a rafforzarsi più degli altri.

HE IMPATTO AVRÀ

Perché, nonostante le tecniche di estrazione fossero note da tempo, lo shale gas è tornato alla ribalta solo negli ultimi anni? Negli ultimi cinque anni c’è stata una corsa allo shale gas, soprattutto negli Stati Uniti. Prima di tutto a causa del prezzo del petrolio, che è salito a livelli molto elevati e ha reso relativamente meno cara l’estrazione di gas da scisti. Il secondo motivo è legato alla grande enfasi che è stata posta dagli Stati Uniti sull’autonomia energetica dopo l’11 settembre. Grazie allo shale gas oggi il 60% del gas consumato negli Usa è estratto all’interno dei confini americani.

NEL SOTTOSUOLO PER RAGGIUNGERE LO SHALE GAS AUTOCISTERNE PER L’ACQUA

ACQUA DA DEPURARE

GASDOTTO FALDA ACQUIFERA

ACQUA, SOSTANZE CHIMICHE, E SABBIA POMPATE NEL POZZO

CARICHE ESPLOSIVE

SABBIA AD ALTA PRESSIONE

FUGHE DI GAS

SCISTI (SHALE)

mediato la riduzione dei consumi di gas. L’eccesso di offerta ha portato a un abbassamento dei prezzi e ha reso meno convenienti i contratti take or pay (prendi o paga) che le compagnie hanno con i paesi produttori. Poi i mercati sono stati salvati da Fukushima.

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L’IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, ha parlato di una futura età dell’oro del gas naturale... È vero. Si prevede una crescita fortissima delle estrazioni da qui al 2035, grazie soprattutto ai nuovi giacimenti di shale gas. Per ora gli unici che lo stanno estraendo su larga scala sono gli Stati Uniti. Gli altri Paesi stanno cominciando adesso, in particolare la Cina, che ha un potenziale grandissimo per lo shale gas.

47,5 na

NORVEGIA

CANADA POLONIA 0,2 5,3

FRANCIA

STATI UNITI

UCRAINA

7,7 24,4

CINA 3,0 36.1

IRAN LIBIA MESSICO NIGERIA

QUATAR 25,4 na

INDONESIA

PAPUA NUOVA GUINEA

VENEZUELA

Dove compravano il gas gli Stati Uniti prima dello sfruttamento dello shale gas? Fukushima ha salvato il mercato del gas? Buona parte del gas veniva acquistato da altri Paesi attraverso la rigassificazione del gas naDopo il terremoto di Fukushima il Giappone turale liquefatto, portato dalle navi proveha fermato la produzione di energia in nunienti dai Paesi Arabi, dalla Nigeria e da altre merose centrali nucleari di vecchia generaregioni. Grazie allo shale gas gli Stati Uniti hanzione ed è tornato a importare gas in grande no comprato quantità sempre più ridotte di stile. Le navi metaniere si sono spostate di gas liquefatto di importazione e le navi metanuovo: dall’Europa all’Asia. In Giappone, niere sono state dirottate verso l'Europa ma anche in Indonesia e India che hanno bi. sogno di gas per alimentare una crescita sempre più sostenuta. Che però non aveva bisogno di gas... Non in quelle quantità. In Europa si è subito verificato un eccesDopo Fukushima il Giappone so di offerta, reso ancora più graè tornato ad importare gas. ve dalla recessione economica, E la domanda è in crescita che ha avuto come effetto imanche in India e in Indonesia

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RUSSIA

Lo shale gas renderà la Cina ancora più forte? Il gas da scisti potrebbe rivoluzionare il mix energetico cinese e la Cina diverrebbe in larga parte autosufficiente per quanto riguarda il gas. In più potrebbe sostituire gradualmente il carbone, su cui si basa ancora in larga parte il fabbisogno energetico cinese, con una fonte pulita come il gas. E potrebbe usare meno petrolio, acquistato in gran parte dalla Russia. Quali altri Paesi potranno contare sul gas da scisti? Sicuramente Australia, Canada e Polonia, che ha i maggiori giacimenti europei di shale gas, anche se non è stato ancora quantificato con certezza il loro reale volume. La Polonia è anche il Paese europeo che spinge di più sullo shale perché potrebbe portare finalmente all’indipendenza dalla Russia: una svolta storica. Come si sta muovendo l’Unione Europea? In Europa manca una normativa comune sullo shale gas e ogni Paese decide per sé. La Polonia investe in grande stile, la Francia lo blocca, la Gran Bretagna lo sospende. La Commissione Europea sta studiando tutte le opportunità e i rischi per l’ambiente. Alla fine dello studio potrebbe essere emanata una direttiva specifica. È possibile che alla fine in

AUSTRALIA PAESI CON MAGGIORI RISERVE DI SHALE GAS PAESI CON MAGGIORI RISERVE DI GAS CONVENZIONALE RISERVE DI GAS TM METRI CUBI 2011 O L’ULTIMO DISPONIBILE 0,0 RISERVE DI GAS CONVENZIONALE 0,0 RISORSE SHALE GAS

SUD AFRICA ARGENTINA 0,4 21,9

Europa i paletti allo shale gas siano così forti da limitare in modo significativo lo sviluppo di questa nuova fonte energetica. C’è quindi un rischio di regolamentazione? Sicuramente. Oggi sia in Europa sia, soprattutto, negli Stati Uniti gli operatori del mercato energetico conoscono il grandissimo potenziale dello shale gas, ma sono anche consapevoli dei rischi. Per esempio una decisione dell’EPA americana (Agenzia per la Protezione dell’Ambiente) potrebbe portare a una forte restrizione delle estrazioni. Uno scenario di cui potrebbe avvantaggiarsi la Cina.

RISERVE DI GAS CONVENZIONALE E SHALE GAS PER MACROAREE [ IN MIGLIAIA DI MLD DI METRI CUBI ] CONVENZIONALE

SHALE GAS

Est Europa e Eurasia

136

Medioriente

116

14

Asia/Pacifico

33

51

Nord America (Ocse)

45

55

America Latina

23

35

Africa

28

29

Europa (Ocse) Mondo

22

16

404

204

me restrittive, la Cina molto probabilmente non applicherà alcuna regolamentazione. Ma le estrazioni cinesi, come quelle di altri Paesi, potrebbero portare a pesanti impatti sull’ambiente anche a livello globale.

Perché la Cina? Perché ha numerosi giacimenti e prospettive più rosee dal punto di vista della regolamentazione. Mentre In Europa manca una normativa Stati Uniti e Europa cercherancomune: la Polonia ci investe, no di minimizzare i rischi per il Regno Unito lo sospende, l’ambiente introducendo normentre la Francia lo blocca

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na 13,7

TOTALE NEL MONDO 187,1 na

na 13,7

FONTE: IEA, WORLD ANNUAL OUTLOOK 2011

lo shale gas sulla geopolitica dell’energia nei prossimi anni? Quali rischi e opportunità sono associati alla sua estrazione? Valori l’ha chiesto ad Antonio Urbano, amministratore delegato di Puraction (società specializzata nel trading di certificati CO2) ed esperto di mercati energetici.

C

I GIACIMENTI DI SHALE GAS NEL MONDO

1.8 11.0

di Mauro Meggiolaro

FONTE: US ENERGY INFORMATION ADMINISTRATION; THE ECONOMIST

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Con la recessione, l’eccesso di offerta di gas e il crollo dei prezzi negli Usa è ancora conveniente estrarre shale gas? Lo è sempre di meno, soprattutto negli Usa. Grazie allo shale gas i prezzi del gas negli Stati Uniti sono crollati e c’è chi ritiene che questo crollo costituirà uno dei principali elementi di ripensamento per nuovi progetti di estrazione. Se in Europa il gas costa attorno ai 10-12 dollari per ogni milione di Btu (British Thermal Unit) e in Estremo oriente costa 14-16 dollari, negli Usa il costo è sceso sotto i 5 dollari! Prima della corsa al gas da scisti i prezzi statunitensi erano paragonabili a quelli europei. Al momento negli Stati Uniti c’è un eccesso di produzione, che non può essere esportata perché manca un numero sufficiente di terminali di liquefazione. Come si esce dall’impasse? Gli Stati Uniti dovranno investire nella costruzione di terminali di liquefazione, in mo-

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parati in tempo a diventare esportatori di gas.

do da poter caricare sulle navi il surplus di gas. È un processo che durerà anni e richiederà notevoli risorse. I porti statunitensi ospitano numerosi terminali di rigassificazione, che però ora non servono più, perché gli Stati Uniti non importano più gas con le navi, ma lo devono esportare. Nel giro di cinque anni il processo si è invertito e gli Usa non si sono pre-

Quindi nei prossimi anni possiamo aspettarci un rallentamento delle estrazioni negli Stati Uniti? Sì. Anche perché sotto i 10 $/Mbtu l’estrazione di shale gas non è conveniente. Con nuovi terminali di liquefazione gli Usa potrebbe-

COMPAGNIE PETROLIFERE IN CORSA IN EUROPA

BG GROUP

3LEGS

RAG LNG

FINAVREA BG GROUP MARATHON

WINTERSHALL

BG GROUP

PETRONAS MARATHON EUR ENERGY

SORGENA

MARATHON

FX ENERGY REALM

BG GROUP NEXEN

CONOCO PHILLIPS

GDF SVEZ EXON MOBIL

ENI

TALISMAN

EXON MOBIL EURO GAS

EGL RWE

AURELIAN

EUR ENERGY SCHUEPBACH

OMV MOL

EGL

ASCENT

ASCENT

EUR ENERGY CHEVRON

SHELL JKX

TOTAL MARATHON RAG AURELIAN

MOL

FALCON

AURELIAN

TOTAL CHEVRON

EGL

TOTAL GDF SVEZ

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UCRAINA LA SHELL INVESTE MAPPA ESTRATTA DALLA PRESENTAZIONE DI KATARZYNA KACPERCZYK, DEL MINISTERO DEGLI ESTERI DELLA POLONIA, DURANTE IL CONVEGNO “IMPATTO GEOSTRATEGICO DELLO SVILUPPO DELLO SHALE GAS. LA PROSPETTIVA POLACCA”, ORGANIZZATO A ROMA IL 14 APRILE SCORSO

BNK

SHELL

SCHUEPBACH

ro continuare a investire, il prezzo salirebbe sopra i 10 dollari e l’estrazione interna tornerebbe a essere conveniente. Ora però gli investimenti stanno rallentando. In questa fase si continua con quelli già programmati, fino ad esaurimento. Eventuali nuovi investimenti potranno essere lanciati con prezzi superiori ai 10 dollari.

CHEVRON SCHUEPBACH

LA COMPAGNIA ANGLO-OLANDESE Shell ha firmato alla fine di agosto un accordo con il governo ucraino, che prevede un investimento potenziale di 554 milioni di euro per l’esplorazione e la produzione di gas da scisti. L’ex repubblica sovietica afferma, infatti, di conservare nel suo sottosuolo le più grosse riserve europee (fino a 1.500 miliardi di metri cubi, secondo alcune stime). Soprattutto, Kiev sarebbe felicissima di svincolarsi dalla dipendenza dal gas russo. Insieme alla Shell sarà presente anche la Ukrgazvydobouvannia, divisione della compagnia pubblica Naftogaz, che ha precisato in un comunicato che la sola esplorazione prevederà costi pari a 138 milioni di euro. A. B.

CHAMPAGNE A VARSAVIA EUFORIA A VARSAVIA da quando sono stati individuati tre enormi bacini di shale gas sul territorio polacco: si parla di un potenziale estrattivo tra 1.400 e 5.300 miliardi di metri cubi, a fronte di un consumo annuo di 14 miliardi di metri cubi. Sotto esame da parte di multinazionali come Chevron, Halliburton, Exxon, tali riserve prefigurano addirittura l’autosufficienza nel rifornimento di gas per un Paese che oggi, secondo dati Eia, dipende dalla Russia per due terzi del suo consumo di gas e la cui produzione di energia deriva per il 92% dal carbone e per un misero 2% dal gas. Il ministero dell’Ambiente ha già rilasciato 86 concessioni per l’esplorazione da metà 2011, con perforazioni che giungono fino ai 4.500 metri di profondità, concentrate nel Nord del Paese. Vista la ribalta dello shale gas e le proprie prospettive, la Polonia sta ora cercando di sfruttare il semestre di presidenza al Consiglio dell’Unione europea per porre al centro dell’agenda energetica l’estrazione di gas non convenzionale. Non a caso nell’aprile 2011 l’ambasciata polacca in Italia ha organizzato a Roma un convegno dal titolo Impatto dello “shale gas” sul mercato globale: sicurezza energetica in Europa. Nell’invito si ringraziano l’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma, Eni ed Exxon Mobil per il contributo alla realizzazione dell’evento. C. F.

Shopping per Eni Ma la convenienza è da verificare L’azienda italiana è nel vivo della partita-shale: dall’Algeria, alla Cina, dalla Polonia al Sudafrica. Ma i costi sono alti. Così come i rischi. l’intesa di giugno con PetroSa, l’azienda spera di trovare gas da scisti. «Anche se bisognerà rassicurare i sudafricani sul fronte ambientale». Parola di Paolo Scaroni. Quindi c’è la Polonia, dove nel 2010 è stata acquistata Minsk Energy Resources, titolare di tre licenze esplorative nel Baltico: l’inizio delle perforazioni è previsto in questi mesi. Prezzo della transazione: sconosciuto. Fin qui la ricerca. Poi ci sono i progetti operativi, come quello avviato negli Usa nel 2009 con l’acquisto da Quicksilver Resources di un pacchetto di assets in Texas settentrionale, in una zona dove sono presenti ri-

di Federico Simonelli

ETROLIO DI PROFONDITÀ, sabbie bituminose e ora lo shale gas. L’asticella delle risorse “non convenzionali” e potenzialmente devastanti per l’ambiente che suscitano gli appetiti delle aziende si alza sempre più. In prima fila in Italia, come di consueto, c’è Eni, che già da un paio d’anni è entrato nel vivo della partita shale e ha cominciato a stringere accordi in giro per il mondo. L’ultimo in ordine di tempo è quello annunciato con l’algerina Sonatrach, per la ricerca di shale nel Paese nordafricano. Ma ci sono anche la Cina, dove Eni ha siNegli Stati Uniti la compagnia glato due memorandum of unè già operativa. Ma la sostenibiltà dertsanding con Petrochina e Sieconomica è legata a filo doppio nopec, e il Sudafrica, dove, dopo alle condizioni del mercato

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serve di shale. Prezzo: 280 milioni di dollari. La società sperava di arrivare a una produzione di 10 mila boe/giorno nel 2011, giudicata conveniente, ma ha dovuto ricredersi e spostare l’obiettivo al 2012.

È davvero un affare? Insomma è una stagione di grande fermento a San Donato. Ma lo shale gas, lasciando per un momento da parte le preoccupazioni ambientali (che un costo lo hanno eccome) conviene economicamente? Valori ha provato a girare la domanda a Eni, ripetutamente, ma la società ha deciso di non rispondere. Di certo c’è che i costi sono alti e che, secondo alcune stime, serve un prezzo del gas compreso tra i 13 centesimi di euro al metro cubo e i 16 cent/mc per ripagare gli investimenti. «Lo shale gas, improvvisa manna dal sottosuolo,

è ancora imprevedibile come sviluppo e potenzialità. Più che un fuoco eterno, potrebbe essere una fiammata, che si esaurirà nel giro di una decina di anni», scriveva a fine 2010 Stefano Casertano, docente di politica energetica all’università di Potsdam. Analizzando il mercato americano – più avanzato di quello europeo – nel 2010 Riccardo Galletta e Claudia Checchi del Ref in uno studio notavano come “l’incessante opera di estrazione di shale gas, anche a condizioni economiche non convenienti, sia da ricercare in questioni finanziarie. La grande quantità di capitale investito nel leasing spiega perché i produttori continuino a perforare e produrre dalle terre in concessione anche quando i prezzi del gas scendono sotto il punto di pareggio: devono continuare a estrarre e vendere per recuperare l’upfront bonus pagato

I soliti noti della lobby dell’energia Il gas da scisti porterà un’era d’oro? Prima liberiamoci dei manovratori. di Paola Baiocchi

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ICORRONO DIVERSI NOMI NOTI

nell’area di interesse nata attorno allo shale gas, che sta spingendo perché si dia avvio “all’età d’oro del gas” dopo quella del petrolio. Nomi in cui si ritrovano i padroni dell’oro nero, a fianco di quelli del comparto industriale legato alle guerre. La premessa che possiamo fare, quindi, è quella tradizionalmente legata alla questione dell’energia: l’energia può essere diversa ma, se il suo controllo resta nelle mani dei soliti privati, il risultato non sarà diverso. Perché, sostituendo la fonte, dovrebbero cambiare le valenze negative già sperimentate con il petrolio - non negativo in sé, ma per l’uso del potere che genera il suo controllo - se i manovratori non cambiano? E soprattutto se non riusciamo a trasformare l’energia da ago della bilancia degli equilibri mondiali di guerra a generatore di salute e progresso. A riconoscere, insomma, l’energia come un bene sociale universale.

The Halliburton Loophole Tra i nomi noti c’è quello della Halliburton, il potente gruppo texano di cui Dick Cheney è stato direttore dal 1995 al 2000, prima di diventare vicepresidente degli Stati Uniti con George W. Bush dal 2000 al 2008. Porta il nome della società che ha concluso i suoi migliori affari con la guerra in Iraq, una legge ad personam (o meglio ad industriam) d’oltreoceano, chiamata scappatoia Halliburton. Nel 2005 l’amministrazione Bush-Cheney esenta le trivellazioni dal rispondere al Safe Drinking Water Act, l’ordinamento legislativo del 1974, approvato per garantire acqua potabile libera da contaminanti naturali e artificiali. L’estrazione di gas da scisti prevede l’utilizzo massiccio di acqua, che viene sparata a pressione negli strati profondi della Terra, addizionata a una miscela di 596 sostanze chimiche, molte delle quali sottoposte a bre-

vetti. Grazie alla “scappatoia Halliburton” al momento l’industria non è obbligata a dichiarare i prodotti che utilizza, ma che sono in parte conosciuti: solventi come benzene, toluene, etilbenzene e xilene. Una campagna di pressione di cui si è fatto portatore il documentario Gasland, di Josh Fox, sta spingendo negli Stati Uniti per introdurre il Frac Act (Fracturing responsibility and awareness to chemical act). Una nuova legge che disciplini e renda trasparente l’uso dei prodotti chimici durante l’estrazione del gas da scisti.

L’importanza della conchiglia Shell è un altro dei nomi saldamente a cavalcioni dello shale gas. Ne parla l’Economist nel suo documentato articolo del 6 agosto, Coming soon to a terminal near you, sottotitolo: “Come il gas shale dovrebbe rendere il mondo un posto più pulito e sicuro”. L’attenzione della Shell è stata attirata dalle riserve più grandi del Continente africano, quelle del Sudafrica, nel bacino del Karoo. Shell ha anche portato la sua esperienza nelle prospezioni (indagini nel terreno pre-trivellazioni) in Cina, in collaborazione con le aziende statali cinesi: know how in cambio di concessioni per lo sfruttamento. Una pratica che i cinesi conoscono molto bene, attuandola diffusamente in Africa. Non si può parlare della società dall’evocativa conchiglia (che Tony Curtis mostrava nel film A qualcuno piace caldo, per fare colpo su Marylin Monroe) senza ricordare che fa parte della galassia delle proprietà di una delle famiglie più potenti del mondo, i Rothschild, che sono anche azionisti dell’Economist, oltre che “Manovratori” con l’iniziale maiuscola. La ricerca, lo sfruttamento e la propaganda su questa nuova fonte di energia mostrano di essere parte del contesto e dei padroni dell’era del petrolio. E se continuerà a mancare un solido controllo popolare e universale, non possiamo aspettarci un’età dell’oro.

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sul fronte unconventional e proseguono le acquisizioni di licenze».

guria. In Europa - ha spiegato recentemente questa risorsa avrà una crescita più lenta e non potrà compensare il calo della produzione di gas». Vero è che Enel ha deciso di investire in una “nuova” risorsa: il carbone. Chi invece, a sorpresa, sta puntando sullo shale è Sorgenia la compagnia di De Benedetti che del rispetto dell’ambiente ha fatto una sua bandiera. Tempo fa ha comprato il 26,8% di Saponis Investment, con cui ha completato la perforazione di un primo pozzo in Polonia, a una profondità di 3.580 metri. Con buona pace dei dubbi sollevati dagli ambientalisti.

Cauta Enel, entusiasta Sorgenia Chi invece in Italia sul fronte shale gas è piuttosto cauto è Enel, che pure avrebbe le potenzialità per interessarsi alla risorsa. Secondo Marco Arcelli, a capo della divisione Upstream gas del gruppo, lo shale gas è quasi una moda. «Ma per produrne sei-sette miliardi di metri cubi occorre una quantità d’acqua pari al consumo di una città di 300 mila abitanti e un’area per le perforazioni grande quanto metà Li-

L’IMPATTO AMBIENTALE DELLO SHALE GAS A 20 E 100 ANNI

15

0 STIMA BASSA

STIMA ALTA

SHALE GAS

STIMA BASSA

STIMA ALTA

GAS CONVENZIONALE

SCAVATO IN SUPERFICE SCAVATO IN PROFONDITA CARBONE

DIESEL

Azionisti critici in campo contro lo shale gas Secondo gli attivisti americani le aziende non monitorano a sufficienza i rischi ambientali. di Mauro Meggiolaro ESTRAZIONE DI SHALE GAS è potenzialmente pericolosa per l’ambiente, ma le grandi compagnie del settore energetico non si attivano per monitorarne i rischi. È l’accusa mossa unanimente dalle organizzazioni di azionisti critici americani. Nel 2011 hanno presentato un numero record di mozioni alle assemblee dei colossi del gas, chiedendo di pubblicare nero su bianco i loro piani per “prevenire l’inquinamento delle falde acquifere, l’uso di sostanze chimiche e altri rischi associati con l’hydrocracking, la tecnologia usata per estrarre il gas da scisti”. Nove le imprese nel mirino, tra cui Che-

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vron ed ExxonMobil. “Le mozioni sui rischi dello shale gas hanno ottenuto un sostegno senza precedenti dagli azionisti di minoranza”, spiega l’associazione As You Sow nel suo rapporto annuale sull’azionariato attivo negli Usa. “Gli azionisti, dopo l’incidente di BP nel golfo del Messico, sono sempre più preoccupati per gli impatti negativi dei rischi ambientali sui bilanci delle imprese”. La mozione sui rischi dello shale gas, presentata agli azionisti di tutte e nove le imprese, ha ottenuto voti a favore per il 40,5% nell’assemblea di Chevron, il 49,5% da Energen Corporation, il 28,2% da ExxonMobil e il 41,7% da Ultra Petroleum: il doppio rispetto all’anno scorso. «In media il 40% di voti favorevoli alla mozione, oltre il 10% in più del

2010», spiega Andrew Behar, Ceo di As You Sow. «Era il primo anno che presentavamo mozioni sullo shale gas alle assemblee di Exxon e Ultra Petroleum. In genere le mozioni su temi ambientali la prima volta ottengono dal 5% al 7% dei voti. È un risultato straordinario». Anche se non hanno ottenuto il 51% dei consensi, le mozioni degli azionisti attivi sullo shale gas stanno stimolando la risposta delle imprese. Exxon ha annunciato che pubblicherà la lista delle sostanze chimiche usate nei processi di hydrocracking. «Peccato che, nonostante l’annuncio, Exxon continui a finanziare attività di lobbying per impedire che siano approvate norme che rendano obbligatoria la rendicontazione trasparente sui processi di hydrocracking».

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FONTE: “METHANE AND GREENHOUSE-GAS FOOTPRINT OF NATURAL GAS FROM SHALEFORMATIONS” CORNELL UNIVERSITY 2011

30

20

60

45

CO2 DIRETTA

20

CO2 INDIRETTA

20 100

SEBBENE SPESSO LE COMPAGNIE non rivelino quali composti chimici utilizzino per rendere l’acqua più “perforante”, alcuni studi citati dall’Unione europea sottolineano come in una lista di 260 sostanze che vengono usate per estrarre lo shale gas (fornita dallo Stato di New York), almeno 58 sono considerate “preoccupanti”. Sono presenti, infatti, composti come l’acrilamide, il benzene o il benzetilene. Altre sostanze risultano ad oggi sotto indagine, 17 sono classificate come tossiche per gli organismi acquatici, 38 sono notoriamente dannose per la salute umana, 8 sono riconosciute come agenti cancerogeni (altre 6 sono sospettate di esserlo), 7 sono classificate come agenti mutageni e altre 5 possono colpire gli apparati riproduttivi.

GRAMMI DI CO2 PER MEGA JOULE DI ENERGIA PRODOTTA

METANO

100 20 100 20 100 20 100

NON SOLO ACQUA PER FRATTURARE LE ROCCE

USA, I PRIMI DISASTRI

PERICOLI INVISIBILI

LO SFRUTTAMENTO DELLO SHALE GAS ha già prodotto numerosi incidenti ambientali. Ecco alcuni degli episodi citati nel rapporto Impacts of shale gas and shale oil extraction on the environment and on human health del Parlamento europeo. OTTOBRE 2009, la Range Resources è stata multata per la dispersione di 250 barili di liquido necessario per fratturare le rocce. AGOSTO 2010: la Talisman Energy è stata multata per una fuoriuscita di 4.200 galloni di acqua contaminata nel corso della fratturazione di rocce in Pennsylvania. 2010: la Fortune Energy ha inquinato il terreno circostante con l’acqua da fratturazione nell’area di Troy, in Pennsylvania. GENNAIO 2010: la Atlas Resources è stata multata per violazione delle leggi che difendono l’ambiente. Accusata di erosioni improprie, perdite nell’ambiente di carburante diesel e di liquidi utilizzati per fratturare le rocce. GIUGNO 2010: un rapporto accusa la Tapo Energy di aver disperso nell’ambiente «materiale a base di petrolio», nel corso dell’attività di trivellaggio nella Buckeye Creek.

«GLI IDROCARBURI CONVENZIONALI sono situati in mezzi porosi e sono tappati. Quelli non convenzionali stanno in mezzi non porosi che vengono resi porosi, togliendo il “tappo”». Descrive così la situazione dello shale gas Paolo Scandone, ordinario di Geologia strutturale all’università di Pisa.

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100 20 100

al momento dell’acquisizione della licenza”. Per quanto riguarda gli investimenti italiani, spiega Galletta a Valori, «i tempi sono probabilmente ancora acerbi, bisognerà valutare sul medio termine». Ma nei corridoi di Eni, a scapito del grande entusiasmo mostrato pubblicamente che cosa si dice? «Per il momento – spiega a Valori una fonte interna all’azienda – l’impressione è che non ci siano ancora le condizioni per uno sviluppo intenso di queste risorse, nonostante si tratti di giacimenti molto grandi. In attesa di una fluttuazione vantaggiosa del prezzo del gas, sono al vaglio varie alternative

L’estrazione del gas da scisti può provocare danni all’ambiente? Per rendere gli scisti porosi bisogna entrarci dentro in perforazione, possibilmente orizzontale, e fare la fratturazione idraulica. In altre parole bisogna sparare aria e acqua a pressione. Un oggetto che prima era impermeabile e magari sorreggeva una falda, diventa così permeabile. Quindi si sta mutando drasticamente la geometria degli abissi e nessuno garantisce che l’acquifero non venga profondamente inquinato da metano o da altro.

Un mostro più inquinante del carbone

Ci sono rischi per la falda acquifera? Possono non sussistere rischi, se non c’è una falda, oppure se siamo a profondità elevate. Ma ho i miei dubbi, perché magari tra 50 anni può servirci attingere acqua da falde strategiche più profonde. A chi dice che non ci sarebbero problemi per la falda con perforazioni molto profonde, a 2.000 metri, faccio notare che il sistema acquifero verrebbe fortemente modificato.

Uno studio universitario punta il dito contro le emissioni di metano. Un’impronta pesante

di Andrea Barolini

Secondo Robert W. Howarth, Renee Santoro e Anthony Ingraffe, ricercatori della Cornell University americana, il carbone, a confronto dello shale gas, è più pulito perfino nel breve termine. Nel rapporto Methane and the Greenhouse-Gas Footprint of Natural Gas from Shale Formations gli esperti spiegano che, tenendo conto dell’intero procedimento di sfruttamento di gas da scisti, una notevole quota di metano si libera nell’aria, in gran parte durante l’estrazione: dal 3,6 al 7,9%. Il doppio rispetto al gas convenzionale: un dato preoccupante, dal momento che il metano è un gas a effetto serra ben più potente del biossido di carbonio. La CO2, infatti, ha un potere “climalterante” 33 volte inferiore a quello del metano nel lungo periodo (100 anni) e ben 105 volte inferiore nel breve periodo (20 anni). Howarth e il suo staff hanno quindi calcolato “l’impronta” in termini di effetto serra: sui venti anni lo shale gas è dal 22 al 43% più inquinante del gas convenzionale (1419% sui 100 anni). Rispetto al petrolio l’impatto è dal 50 al 250% più negativo e del 35% sui 100 anni. Confrontato col carI danni in termini di effetto serra bone lo shale gas presenta un’impronta ambientale del 20 al 100% dello shale gas sono stati più ampia sui venti anni, dopo giudicati perfino peggiori di quelli delle fonti più inquinanti un secolo i dati tra le due fonti

da equivoci: lo shale gas non è una fonte di energia pulita. Certamente bisogna considerare l’apporto energetico che potrebbe garantire e valutare l’impatto ambientale di tutta la filiera produttiva, confrontandola con le altre fonti energetiche (dal carbone al petrolio, dal nucleare alle rinnovabili), ma non c’è da illudersi: i pochi studi esistenti sono concordi nell’affermare che scendere sottoterra per cercare l’energia di cui abbiamo bisogno è una pratica dannosa per l’ambiente. Due autorevoli rapporti – stilati da un’università americana e dalla Direzione generale per le Politiche interne del Parlamento europeo - sebbene con conclusioni parzialmente diverse fra di loro, indicano entrambi che l’inquinamento generato dall’estrazione e dall’utilizzo dello shale gas è paragonabile a quello dei combustibili fossili più inquinanti.

S

GOMBRIAMO

IL

CAMPO

Quindi è una tecnica estrattiva da evitare? Io non demonizzo, per principio, ho fiducia nella scienza: presumo che, con molta attenzione e con molta ricerca è possibile che non si crei nessun problema. La mia perplessità, però, è che questi scisti non abbiano una resa economica come gli idrocarburi tradizionali. Quindi, mi domando, chi garantisce che dietro queste estrazioni ci sia una lunga e costosa ricerca? Il mio timore è che si possa andare allo sfruttamento selvaggio, senza nessuna attenzione per l'ambiente. Pa. Bai.

2011 TIGH & SHALE GAS SUMMIT TRASFERIMENTO DI STRATEGIE NORD AMERICANE AL MERCATO EUROPEO Budapest (Ungheria) 19 - 20 ottobre Importante convegno sui gas legati a serbatoi non porosi, che richiedono fratturazione. A Budapest le strategie americane che si stanno trapiantando nel mercato europeo.

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La Germania primeggia In futuro non mancheranno le sorprese: come il Brasile, «che gode di condizioni ambientali talmente favorevoli da non aver bisogno di incentivi per ottenere un importante sviluppo dell’eolico». O il Giappone che – travolto dall’effetto-Fukushima – ha scelto di cambiare rotta in favore delle fonti green. Anche gli Stati dell’Europa dell’Est dovranno recuperare terreno: l’Unione impone obiettivi vincolanti per il 2020 e promette pesanti sanzioni a chi non li rispetta.

2,3 ml di litri

31/44,7 GW 4 GW 0,9 GW

2,5 GW

FONTE: REN21 - RENEWABLES GLOBAL STATUS REPORT 2011 - WWW.REN21.NET

INDONESIA

AUSTRALIA

1,9 gwth

1,0 ml di litri

TAILANDIA

1,9 GW

40,2 GW 0,54 GW 3,6 GW 4 gwth

8,4 gwth 2,8 gwth 13,2 GW 2,2 gwth

FILIPPINE

1,19 GW 0,8 ml di litri

BRASILE

7,8 GW 2,8 gwth 30,3 ml di litri

INDIA

ARGENTINA

102 gwth

27,2 GW 4,9 GW 17,3 GW 8,4 gwth 4,4 ml di litri

2,1 GW 1,1 GW 0,7 ml di litri

ISRAELE

GRECIA

2,3 ml di litri

L’

lEnergia. «La Cina è il numero uno al mondo nella produzione di tecnologie dell'eolico e del fotovoltaico e, per quanto riguarda l’eolico, anche in termini di potenza installata. Da quest'anno sta accelerando anche il mercato interno sul solare».

1 GW 2,6 gwth

GIAPPONE

Nello scenario attuale delle energie pulite a mancare sono proprio gli Usa: il Paese del Green New Deal.

vo equilibrio globale “disegnato” da un piana parte della geopolitica gloneta alimentato da energie rinnovabili? bale. Il petrolio ha reso ricchi C’è chi scommette su uno scenario ben e influenti i Paesi del Medioriente. Il gas na- più “democratico” rispetto a quello attuale, turale ha fatto della Russia un interlocutore dominato da poche potenze. Ma occorrono privilegiato dell’Europa e non investimenti e precise scelte posolo. E ancora oggi l’autonomia litiche e strategiche: e senza energetica è un obiettivo prioridubbio certi governi scommettario delle grandi potenze, Usa tono sulle energie pulite più di in testa. Ma la caratteristica di altri. A cominciare ancora una ciascuna delle fonti fino ad oggi volta dal gigante asiatico, come maggiormente sfruttate è quella spiega il professor Gianni Silvedi essere frutto di riserve confistrini, direttore scientifico del Gianni Silvestrini. nate in aree circoscritte. Sole, Kyoto Club e della rivista Quavento e maree, a differenza di gas o petrolio, invece, sono La Cina è il principale attore ovunque. E non sono di proglobale in termini di produzione prietà di Stati o industrie. Quale tecnologica. Il Brasile sfrutterà sarebbe, perciò, l’ipotetico nuofortemente l’energia eolica

CINA

1,2 GW 2,9 gwth

ITALIA

di Valentina Neri

REPUBBLICA CECA

TURCHIA

PORTOGALLO

Non dimentichiamo le rinnovabili ENERGIA, DI FATTO, governa buo-

2,2 GW

AUSTRIA

5,8 GW 0,84 GW 3,5 GW 1,4 gwth 0,9 ml di litri

USA

SPAGNA

POLONIA

20,2 GW 3,8 GW 1,7 ml di litri

FRANCIA

OLANDA

SVEZIA

GERMANIA

5,7 GW 1 GW 3,1 ml di litri

IRLANDA

DANIMARCA

1,4 GW

REGNO UNITO

5,3 GW 0,7 ml di litri

LA MAPPA DELLE FONTI RINNOVABILI

3,7 GW

.

CANADA

40,2 GW 10,4 GW 3,9 GW 2,5 GW 1,9 gwth 50,2 ml di litri

sono sostanzialmente identici. Anche il Parlamento europeo Il rapporto Usa è stato avvaparla di “pesante impatto”. lorato dal National Research E sottolinea il rischio Council statunitense, che pochi di inquinare le falde acquifere anni fa, aveva avvertito: le emissioni derivanti dallo shale gas potrebbero esvironment and on human health, 2011 - arriva sere maggiori rispetto a quelle prodotte dai a conclusioni meno catastrofiche rispetto algas convenzionali (Hidden costs of energy, la Cornell University, ma – sempre conside2009). Punto di vista confermato da un ulterando tutte le fasi, dall’impatto delle trivelriore rapporto dell’Agenzia di protezione lazioni al trasporto dei macchinari, ambientale Usa nel 2010. Per questo il Coundall’equipaggiamento alla lavorazione del cil of Scientific Society Presidents ha inviato gas stesso – conferma come le emissioni di lo scorso anno una lettera al presidente Obametano derivanti dalla fratturazione idraulima, mettendolo in guardia: sull’estrazione di ca delle rocce possa comportare “un pesantale gas non sono state effettuate ancora sufte impatto in termini di effetto serra”. ficienti analisi. Eppure, secondo le previsioni Lo studio si concentra poi sull’eventuadel Dipartimento di Energia di Washington, lità di incidenti. C’è da considerare, infatti, i gas non convenzionali rappresenteranno il rischio di inquinamento delle falde e del circa il 75% della produzione americana nel terreno: la soluzione “sparata” sulle rocce 2035 (Eia, Annual energy outlook 2011). contiene anche elementi chimici. “Alcuni dei quali tossici, mutageni e cancerogeni”, sottolinea il parlamento Ue (vedi BOX ). Rischio incidenti Ogni “errore”, insomma, non si risolve soIl rapporto del Parlamento europeo - Impacts of shale gas and shale oil extraction on the en- lamente in un enorme spreco di acqua.

3,8 GW

| dossier | shale gas |

20 GW 1,6 ml di litri

| dossier | shale gas |

Nella mappa sono stati inseriti solo i Paesi con una potenza installata da fonti rinnovabili superiore a 1 GW, per almeno una delle fonti energetiche considerate EOLICO

BIOMASSE

GEOTERMICO

Ma il vero protagonista, afferma con sicurezza Silvestrini, è la Germania. Non solo domina il settore del fotovoltaico (nel 2010 ha installato impianti per 7,4 GW, vale a dire più di quanto avessero fatto nel 2009 tutti gli altri Paesi messi insieme) e nell’eolico è seconda solo a Cina e Usa, ma soprattutto «è l’unico Paese ad avere obiettivi a lungo termine: ovvero il 50% di energia da fonti rinnovabili nel 2030 e almeno l’80% nel 2050. Ha una politica intelligente sia sul versante della domanda (e quindi

FOTOVOLTAICO

SOLARE TERMICO 2009

degli incentivi) sia su quello dell’offerta, con la creazione di un’industria che dà lavoro a 370 mila persone». Ne è la prova il fatto che nel 2010 abbia investito in energia pulita 11 miliardi di dollari in più rispetto agli Stati Uniti, il cui Pil è cinque volte quello tedesco. D’altra parte, nello scenario delle rinnovabili, gli Usa «sono ancora un “attore mancato”. Finora – prosegue Silvestrini – non hanno avviato un meccanismo di incentivazione paragonabile a quello euro-

BIOCARBURANTI

peo, quindi la situazione è rimasta frammentata. Per recuperare il tempo perduto negli anni di Bush si investe molto nella ricerca, che darà risultati fra quattro-cinque anni». Un nuovo corso che, secondo il professore, non deve temere l’ascesa dello shale gas: «Stiamo evolvendo verso una situazione in cui, a discapito del carbone, in molti Paesi il futuro sarà una combinazione di gas e rinnovabili: e queste ultime ricopriranno un ruolo sempre più preponderante».

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finanzaetica

«Tutto questo non ha senso!» L’estate più delirante di Piazza Affari >30 Cara Commissione europea, le banche etiche sono diverse >33 Mediterraneo. L’arte incontra la finanza etica >35

| speculazioni |

Usa

La disperazione di un agente di Borsa alle prese con i crolli di Wall Street lo scorso agosto.

Date una possibilità a Roubini... I rischi di una nuova recessione americana, i profitti degli speculatori e l’aumento dei disoccupati. Negli Usa (e in Europa) le politiche di intervento post crisi non funzionano. Servono

nuove soluzioni. di Matteo Cavallito ER QUANTO (FORSE) INCAPACE di misurare la felicità, il Pil resta tuttora il principale indicatore della potenza economica di un’area, sia essa una nazione, una regione o anche un continente. Il mondo, dicono le statistiche, ha prodotto nell’ultimo anno ricchezza per circa 74 trilioni di dollari. 74 mila miliardi di biglietti verdi. Gli Usa, da soli, hanno contribuito per circa un quinto della cifra, più o meno come l’Unione europea. Se alle due macroaree aggiungiamo la Cina, otteniamo, trilione più trilione meno, oltre la metà della ricchezza del Pianeta. L’Africa nel suo complesso ha prodotto circa 1/25. I 1.384 abitanti dell’arcipelago sovrano di Tokelau, circa 12 kmq di terre emerse a metà strada tra le isole Hawaii e la Nuova Zelanda, contribuiscono al Pil globale per lo 0,000002%. Domanda: che cosa c’entra tutto questo con la crisi? C’entra, c’entra. Nell’agosto di quest’anno il Governe-

BRENDAN MCDERMID / REUTERS

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Le banche non salvano l’economia Il senso delle comparazioni iniziali è più o meno tutto qua: definire il valore reale di un intervento che ha fatto gridare allo scandalo, ma che, al tempo stesso, è stato difeso a spada tratta dai suoi promotori nella convinzione che, per garantire un futuro all’economia reale (quella misurata dal Pil), era necessario assicurarlo prima alla sua impalcatura finanziaria (quella tecnicamente uccisa dalla crisi). Un teorema a lungo accettato. Ma oggi a dir poco vacillante. Alla fine del secondo semestre 2011 la disoccupazione negli Usa sfiora ormai il 10%, evidenziando un netto peggioramento rispetto a inizio anno. Nel secondo trimestre il Pil è cresciuto dell’1% (vedi GRAFICO ), con un miglioramento della performance rispetto ai tre mesi precedenti, ma anche con un sostanziale rallentamento nel confronto con l’anno passato. Nel mese di giugno il prezzo medio delle abitazioni – su cui pesa l’eccesso di offerta causato dai pignoramenti – ha registrato una diminuzione dello 0,9%, portando il saldo semestrale a quota -5,9%, il dato peggiore dal 2009. Lo spettro di una nuova recessione (il famoso double dip) torna insomma a fare paura.

Karl Marx was right

CHI HA INTASCATO 16 MILA MILIARDI? I PRINCIPALI BENEFICIARI DEL MAXI PRESTITO FED BANCA PAESE PRESTITO* Citigroup Usa 2.500 Morgan Stanley Usa 2.040 Merrill Lynch Usa 1.949 Bank of America Usa 1.344 Barclays Uk 868 Bear Sterns Usa 853 Goldman Sachs Usa 814 Royal Bank of Scotland Uk 541 JP Morgan Chase Usa 391 Deutsche Bank Germania 354 UBS Svizzera 287 Credit Suisse Svizzera 262 Lehman Brothers Usa 183 Bank of Scotland Uk 181 BNP Paribas Francia 175 *dati in miliardi di dollari

nity globale. “Karl Marx aveva ragione”, ha sentenziato Roubini in un’intervista culto al Wall Street Journal. “Ad un certo punto il capitalismo può autodistruggersi dal momento che non si riescono più a trasferire i profitti dal lavoro al capitale senza avere un eccesso di capacità produttiva e una mancanza di una domanda adeguata. Pensavamo che i mercati funzionassero. Non è così”. La “provocazione” è stata ripresa anche dall’alto dirigente di Ubs George Magnus in un editoriale, pubblicato su Bloomberg, dal titolo più che mai emblematico: Give Karl Marx a chance to save the world economy. In estrema sintesi: le imprese cercano i profitti tagliando i costi del lavoro, la ricchezza si concentra e le diseguaglianze aumentano. In pratica, i profitti delle compagnie crescono, ma i livelli occupazionali non si aggiustano di conseguenza. Un fenomeno tuttora in atto (vedi GRAFICO ). “La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza – ha scritto Magnus – è oggi ai livelli più alti dagli anni Venti. Prima del 2008 questa disparità è stata mascherata da alcuni fattori come la facilità del ricorso al credito che ha permesso ai poveri di mantenere uno stile di vita più abbiente. Ma adesso il problema è riemerso”. Il guaio, nota Roubini, è che allo stato attuale i livelli di indebitamento sono troppo elevati, ergo le imprese risparmiano, i consumatori anche, e l’economia

Una spiegazione ha provato a fornirla niente meno che “Dr. Doom” in persona, quel Nouriel Roubini capace nel 2007 di intuire in anticipo il collasso subprime e la sua potenziale portata, una preveggenza che lo ha trasforDal 2008 a oggi la Fed mato probabilmente nel guru ha erogato alle banche 16 mila più richiesto e corteggiato dalmiliardi di dollari. Una ricchezza la cosiddetta business commusuperiore al Pil statunitense | 28 | valori |

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ristagna. Il paradosso del risparmio keynesiano spiegato in chiave marxiana. Affascinante, vero?

GLOSSARIO EURO STOXX 50: l’indice azionario composto dalle 50 principali corporation europee, ovvero dalle 50 società con maggiore capitalizzazione tra quelle quotate sui mercati del continente.

Speculatori di tutto il mondo unitevi Un po’ di fascino, forse, potrebbe aver fatto presa sul governatore della Fed Ben Bernanke che, alla fine di agosto, ha deluso Wall Street dicendo no a un nuovo quantitative easing (sarebbe stato il terzo). I motivi della scelta non sono stati espressi con chiarezza, ma gli analisti non hanno avuto troppi dubbi nell’avanzare un’interpretazione. L’impressione è che Bernanke abbia imparato la lezione di un mercato gonfio di liquidità e più propenso agli effetti collaterali che alla cura. Fin dalla prima manovra di alleggerimento gli operatori si sono ritrovati, infatti, nell’invidiabile condizione di poter prendere a prestito denaro a costo zero per reinvestirlo in un mercato fortemente ribassato come quello azionario o, meglio ancora, nel sempre promettente comparto delle valute. I risultati sono stati un preoccupante rigonfiamento delle Borse (all’inizio del 2010 l’Economist ha valutato che Wall Street fosse sopravvalutata del 50%), un aumento della speculazione sulle materie prime (metalli, petrolio, commodities alimentari), una nuova primavera del carry trade e, da ultimo, un clamoroso attacco speculativo condotto tra luglio e agosto all’Europa e all’Italia. «La Fed ha prestato una valanga di soldi alle banche, ma non si è preoccupata di come questi sarebbero stati usati», spiega Filippo Montesi Righetti, consigliere di Banca Ifigest e veterano della Borsa italiana (vedi INTERVISTA ). Nell’estate nera delle Borse (in Europa, ma anche a Wall Street), gli operatori dell’high frequency trading hanno potuto operare senza ostacoli nelle sempre più popolari dark pools (vedi BOX ) incassando profitti sui ribassi dei titoli. Alla fine del 2011, sostiene il Wall Street Journal, i guadagni complessivi sulle speculazioni “veloci” americane dovrebbero attestarsi alla quota record di 7,2 miliardi di dollari, più del doppio rispetto a due anni fa. L’economia, nel frattempo, si dirige pericolosamente verso la stagnazione. Tranquilli. Il capitalismo, spiega Rou-

SPREAD: la differenza di rendimento tra due titoli, tipicamente due obbligazioni. Nel caso Btp/bund, lo spread è dato dall’interesse garantito dall’obbligazione italiana (il Btp decennale) meno quello offerto da quella tedesca (il bund, sempre a 10 anni). Siccome l’interesse è proporzionale alla probabilità di insolvenza, l’allargamento dello spread tra un’obbligazione ritenuta sicura (quella tedesca) e un’altra giudicata meno affidabile (quella italiana) diviene un indicatore dell’aumento del rischio associato a quest’ultima.

RICHARD KALVAR / CONTRASTO

ment Accountability Office (Gao) degli Stati Uniti, praticamente la corte dei conti locale, ha reso note per la prima volta le cifre complessive dei prestiti (a tasso zero) erogati dal 2008 a oggi dalla Federal Reserve (Fed) americana alle banche travolte dalla tempesta (vedi TABELLA ). Il risultato finale della somma si scrive così: 16.000.000.000.000. 16 trilioni di dollari. Se fosse la misura di un’economia nazionale, avremmo a che fare con il Paese più ricco del mondo.

FONTE: GAO, U.S. GOVERNEMENT ACCOUNTABILITY OFFICE, WWW.GAO.GOV

| finanzaetica |

SHORT SELLING: detta anche “vendita allo scoperto”, è un’operazione speculativa che consente all’operatore di ottenere un profitto a seguito del ribasso sul valore di un titolo. Nel dettaglio (le cifre sono del tutto teoriche): un investitore, che chiamiamo A, prende in prestito una quantità n del titolo x per un controvalore pari a 10 da un altro investitore B, impegnandosi a restituirla in seguito e pagando per questo un interesse (pari ad esempio a 1). Una volta entrato in possesso di x, B cede il suddetto sul mercato nella convinzione che questo si deprezzerà (scendendo ad esempio a 8). A quel punto A riacquista il titolo sul mercato e lo restituisce a B pagando l’interesse. Il suo profitto sarà dato dal valore iniziale del titolo (10) meno il valore del riacquisto (8) e dell’interesse (1). In questo caso A avrà ottenuto un profitto pari a 10-8-1=1, ovvero del 10% sull’investimento effettuato. In questo genere di operazioni quella dello speculatore (nel nostro caso A) viene definita “posizione ribassista” o “posizione corta”.

Nouriel Roubini, economista turco, professore di economia alla New York University. In tempi non sospetti aveva previsto la crisi. Purtroppo molte delle sue teorie si sono avverate.

bini, sopravvivrà. Ma il rischio è che il prezzo da pagare sia una lunga depressione economica sul modello di quella già sperimentata negli anni Trenta. Tutto questo, s’intende, a meno che i governi non operino quella che secondo il do-

cente della NY University resta l’unica scelta davvero percorribile: una ristrutturazione del debito, spiega Roubini, che riduca la necessità di risparmio rilanciando i consumi. Chissà se questa volta gli daranno retta in anticipo.

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L’ESTATE NERA DI PIAZZA AFFARI /1 15.670,82

INTESA SANPAOLO UNICREDIT FTSE MIB 20.516,99

0,95 XXX

L’ESTATE NERA DI PIAZZA AFFARI /2 4,00

389,45

3,50 3,00

332,21 302,60

301,12

287,18 286,09 289,75

2,50

267,11 SPREAD BTP-BUND (SETTIMANALE)

2,00 189,21 1,50 183,29

1,54 XXX

1,00 2LUG 9LUG 16LUG 23LUG 30LUG 6AGO 13AGO 20AGO 27AGO

2LUG 9LUG 16LUG 23LUG 30LUG 6AGO 13AGO 20AGO 27AGO

FONTE: US BUREAU. OF ECONOMIC ANALYSIS (WWW.BEA.GOV), US BUREAU OF LABOR STATISTICS (WWW.BLS.GOV), SETTEMBRE 2011

| finanzaetica | BLOOMBERG (WWW.BLOOMBERG.COM)

FONTE: FAO, FOOD PRICE INDEX LUGLIO 2011, WWW.FAO.ORG

| finanzaetica | USA I PROFITTI CRESCONO, IL LAVORO NO PROFITTI NETTI IMPRESE (IN MLD DI DOLLARI) TASSO DI DISOCCUPAZIONE %

1.500

1.452

1.389

1.400

1.386

1.514 1.454

1.402

1.300 12%

ERA PARI AL 7,8% AL 1 GENNAIO 2009

1.200 9,9%

[-0,2%]

[0,1%]

[-0,2%]

[-0,2%]

9,2% 10 8

[-0,6%]

1.100 ERANO PARI A 939,4 MILIARDI ALLA FINE DEL 2008

1.089

1.000 TRIM

1°-4°

6 1°

2010

2009

GLOSSARIO

DARK POOLS: LA FINANZA NEL POZZO

2011

NEL CORSO DEGLI ULTIMI DUE ANNI E MEZZO I PROFITTI DELLE IMPRESE USA SONO CRESCIUTI NOTEVOLMENTE, SPESSO CON PERCENTUALI A DOPPIA CIFRA. NONOSTANTE QUESTO, PERÒ, I LIVELLI DI DISOCCUPAZIONE SONO AUMENTATI CONSIDEREVOLMENTE NEL CORSO DEL 2009 PER POI MANTENERSI SOSTANZIALMENTE COSTANTI

«Tutto questo non ha senso!» Luglio-agosto 2011, l’estate più delirante di Piazza Affari

POSIZIONE LUNGA/CORTA: nel linguaggio di Borsa un investitore che specula, sfruttando le oscillazioni dei prezzi, assume per definizione una “posizione corta”, dal momento che, tipicamente, effettuando numerose transazioni, può trovarsi a possedere un titolo per un periodo molto breve. L’investitore che cerca il rialzo su un orizzonte temporale più ampio (ad esempio un fondo di investimento non speculativo), realizzando un numero molto minore di operazioni di compravendita, assume, al contrario, una “posizione lunga”.

SPESSO VENGONO DEFINITE genericamente “Borse alternative” o Multilateral trading facilities (Mtf’s). Ma non di rado, al tempo stesso, finiscono per meritarsi un nome decisamente più evocativo: dark pools. Borse fuori dalla Borse, che esulano dai circuiti ufficiali (Wall Street, London Stock Exchange, Piazza Affari) e dalle autorità di controllo (Sec, Fsa, Consob). Hanno nomi come Turquoise, RiverCross, CrossStream, Baikal e sono frutto di massicci investimenti realizzati dalle grandi banche per garantire un’offerta più “efficace” dei titoli. E già, perché sulle dark pools, vengono scambiati gli stessi titoli che passano per i circuiti consolidati, solo che spesso le contrattazioni avvengono a prezzi migliori. Da quando nel 2007 la modifica della normativa europea ha abolito l’obbligo di concentrazione delle negoziazioni nei mercati regolamentati, le “pozze scure” hanno potuto proliferare anche al di qua dell’Atlantico. Creata da un consorzio di nove banche (Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley e UBS) Chi-X, la principale Borsa alternativa europea, tratta il 17,14% degli scambi sulle imprese del Mib 40 italiano e il 24,62% dell’indice Ftse 250 di Londra. Le principali critiche nei confronti di questi circuiti alternativi si focalizzano sulla loro propensione alla manipolazione dei prezzi. Un fenomeno favorito dallo sviluppo degli scambi ad alta velocità (High frequency trading), operazioni realizzate da programmi informatici che agiscono nello spazio di millisecondi sfruttando le oscillazioni sul prezzo dei titoli. Di recente un rapporto Consob ha osservato una correlazione tra lo sviluppo di questo tipo di trading e il crescente peso delle Mtf’s. All’inizio del 2008 la quota degli scambi conclusi sulle multilateral europee per i primi 600 titoli del Vecchio continente, osserva la Consob, stava praticamente a zero. Nel febbraio 2011 si è ormai arrivati al 18%. Negli Usa la quota di mercato delle piazze tradizionali si è ridotta dal 64% al 45% tra il gennaio 2008 l’inizio del 2011.

BUYBACK: l’operazione attraverso la quale gli azionisti di una società quotata acquistano ulteriori titoli della stessa sul mercato allo scopo di sostenerne la domanda e di innalzare, di conseguenza, il valore azionario. Può configurarsi tipicamente come una forma di autodifesa di fronte alla speculazione al ribasso.

Viaggio nel disastro della Borsa italiana. Dalle vendite allo scoperto all’assenza di reazione. Ecco le ragioni di un tracollo storico, spiegate da un veterano della piazza milanese. di Matteo Cavallito

«Q

UESTA VOLTA NO, que-

sta volta non ha avuto alcun senso». Il consigliere di Banca Ifigest Filippo Montesi Righetti è quel che si dice un trader di lungo corso. Una carriera lunghissima, un veterano di Piazza Affari. Le giornate “nere” le ha vissute tutte. E ogni volta

ha saputo darsi una spiegazione razionale. «Il collasso di Lehman, una bolla che scoppia, il panico», insomma una ragione valida. Ma questa estate, spiega, è stata tutta un’altra storia. Una storia folle, un attacco speculativo senza precedenti. Montesi, luglio e agosto sono stati mesi caldissimi. Anzi, bollenti. Avete capito cosa è successo?

IL PIL STATUNITENSE DAL 2008 AL 2011 4%

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FONTE: US BUREAU OF ECONOMIC ANALYSIS (WWW.BEA.GOV), SETTEMBRE 2011

2%

I guai sono iniziati a fine maggio quando una serie di valutazioni – la crisi dei debiti europei, il timore di una nuova recessione, le conseguenze del terremoto giapponese – hanno spinto i grandi fondi di investimento, quelli che detenevano le posizioni lunghe, a vendere i titoli in loro possesso. A quel punto sono intervenuti gli speculatori, le grandi banche americane in primis, che prima hanno venduto i derivati per proteggersi dalla depressione del mercato, poi si sono messi a giocare direttamente al ribasso con le vendite allo scoperto. A quel punto, siamo a luglio, è scattato il panico. L’effetto valanga: tutti vendono, nessuno ha più fiducia. Collasso. Si sarebbe potuto evitare? Sì, certo, il collasso dei mercati può essere sempre evitato se solo le autorità agiscono prima. Peccato, però, che dall’Europa non siano mai arrivate reazioni convincenti, dichiarazioni serie. Quando le vendite allo scoperto sono state finalmente bloccate la situazione è andata stabilizzandosi. Ma ormai era tardi, il danno era stato fatto. La Consob aveva imposto da subito l’obbligo di comunicazione sulle posizioni corte…

Un bicchier d’acqua per gli speculatori. Lei provi a immaginare un fondo di investimento registrato nel Delaware, o a Hong Kong, pensa forse che i suoi gestori rispetteranno l’obbligo? E comunque se non lo faranno la Consob non è in grado di multarli. Guardi le Borse europee sono davvero impreparate a frenare la speculazione a ribasso, la nostra poi… In che senso? Piazza Affari ha dimensioni minime, la sua capitalizzazione vale il 20% del Pil italiano, è troppo poco. Ma non è solo questo, la verità è che gli europei non hanno ancora capito quanto sia necessario proteggere le proprie piazze finanziarie e la loro integrità. Se le Borse scendono, si deprimono anche i consumi perché la gente che ha investito si trova con meno soldi da spendere. Ma questo, purtroppo, lo capiscono solo gli americani. Sarebbe servito forse uno come Dominique Strauss-Kahn… Un leader determinato con profonda conoscenza dei mercati. Ma è stato messo fuori gioco dalla vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto negli Stati Uniti. Non c’è sta-

ta una forte presa di posizione dal Fmi e dalla Bce. Il silenzio delle autorità è come benzina sull’incendio della speculazione.

QUANTITATIVE EASING: altrimenti detto “alleggerimento quantitativo”, è quell’operazione di politica monetaria attraverso la quale la banca centrale crea (stampando moneta) e immette nuova liquidità nel sistema per favorire gli investimenti e la concessione di credito.

A patire gli attacchi peggiori sono state le banche italiane, perché? Dubbi sulla loro liquidità? No, la liquidità non c’entra. La verità è che vendere i titoli delle banche italiane è facilissimo. Quando Unicredit e Intesa hanno iniziato a perdere sul mercato azionario, gli operatori hanno capito in anticipo che queste avrebbero perso così tanta capitalizzazione da uscire dall’Euro Stoxx 50, cosa che alla fine è realmente successa. Il bello è che Unicredit ha chiuso il primo semestre con 2,7 miliardi di utile e dovrebbe concludere l’anno a quota 4 miliardi. E nonostante questo il mercato ha continuato a vendere.

LEVA: l’operazione attraverso la quale un operatore investe molto più denaro di quanto possieda raccogliendo il capitale attraverso l’indebitamento. Con un rapporto di leva di 10 a 1, ad esempio, una banca può investire 100 utilizzando 10 di capitale proprio e prendendo a prestito 90, restituendo successivamente la somma con gli interessi. Va da sé che, in caso di successo dell’investimento, i guadagni sono moltiplicati, in caso di fallimento, al contrario, ad essere moltiplicate sono le perdite.

Ma perché, se i conti erano a posto? Perché non c’è stata reazione. In sei mesi non ho praticamente visto nessuna operazione di buyback da parte di banche come

di quest’estate ‘‘ Il collasso poteva essere evitato. Ma il silenzio di Bce e Fmi è stato come benzina sul fuoco ’’ |

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| finanzaetica |

| botta e risposta | finanzaetica |

UniCredit e Intesa. QuanLa Fed ha prestato una valanga do il mercato ti colpisce di soldi alle banche, nonostante i tuoi conti ma non si è preoccupata siano ok devi reagire metdi come sarebbero stati usati tendo mano alla tua liquidità per ricomprare le tue azioni e sostenequesto si è sviluppata la speculare il titolo. Così arriva il segnale per la zione? spinta al rialzo. Ma questo ovviamente Il problema è che la Fed ha prestato una vanon è stato fatto. E sa perché? langa di soldi alle banche, ma non si è preoccupata di come questi sarebbero stati usati. L’esatto opposto di quanto fatto dalla Banca Perché? d’Inghilterra che ha nazionalizzato di fatto Perché nessuno vuole impegnare i profitti gli istituti in difficoltà come Lloyds e Rbs, è intaccando così i dividendi. In particolar modo chi è controllato da fondazioni ban- diventata azionista di maggioranza e ne ha carie che sui dividendi ci campano. Solo che assunto il controllo. così ha perso tutto il mercato. È questo che intendo quando dico che questa speculazioPare che a Wall Street gli operatori ne non ha senso. Non ha senso uno spread dell’high frequency trading stiano Btp/Bund che sale di 150 punti in tre sedufacendo profitti da record. Si tratta te, non ha senso il titolo Unicredit scambiadi una pratica speculativa controto sotto quota 1 euro, non ha ragione di esiversa, favorita anche dall’esistenza stere un titolo come Fiat che perde il 50% di Borse alternative fuori dal condel suo valore in 7 mesi. Non ci sono i pretrollo delle autorità di vigilanza. La supposti per vendere in questo modo. Ma Consob ha osservato una crescita certo la speculazione agisce quando può. E impressionante dei volumi degli se nessuno glielo impedisce… scambi su queste multilateral. È un problema… Il mercato Usa è stato inondato di Sì, ma il vero problema nella speculazione liquidità ma questa è finita nella fiodierna è il massiccio ricorso alla leva. È quenanza, non nell’economia reale. Per sto che sta massacrando i mercati. Per ven-

‘‘

’’

dere allo scoperto 150 mila euro di titoli mi è sufficiente depositare un margine di garanzia di 12.800 euro. Capisce? Non ha senso. Soprattutto pensando che chi investe “lungo” deve mettere sul piatto l’intera cifra. Allora mi chiedo, perché non abolire la leva? Perché non bloccare i derivati? Scommettiamo che così facendo la speculazione muore? Nel frattempo però il clima è poco incoraggiante. Il governo italiano non ha più alcuna credibilità e i mercati rischiano di punirci ancora. Crede sia possibile un pareggio di bilancio entro il 2013? Il nostro esecutivo è molto ondivago, ma sul rientro dei conti ho fiducia. Un po’ perché i tagli alla spesa avranno comunque effetto, un po’ perché la crescita del debito sarà frenata dalla Bce che, sicuramente, sarà costretta a ridurre i tassi riportandoli dall’1,5% allo 0,5% in un anno. Credo che l’impegno dei Paesi Ue per raggiungere il pareggio di bilancio porterà a dei risultati. I debiti si ridurranno e la liquidità risparmiata finirà negli investimenti. Certo, però, bisogna attendere un po’, direi almeno fino al giugno 2012. Prima, per i mercati, sarà indubbiamente dura.

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Cara Commissione europea, le Banche etiche sono diverse

Un’interrogazione parlamentare chiede alla Commissione europea un trattamento speciale per le banche etiche. La risposta arriva: per il momento nessuna apertura, ma il dialogo è stato avviato. di Elisabetta Tramonto sono diverse dagli altri istituti di credito e, quindi, meritano un trattamento diverso. È questo in poche parole il contenuto dell’interrogazione parlamentare depositata sul tavolo della Commissione europea lo scorso 8 giugno. Firmata da Luigi De Magistris, ex europarlamentare e oggi sindaco di Napoli, e Philippe Lamberts, europarlamentare belga del partito dei Verdi. La risposta è arrivata un mese e mezzo dopo, da Michel Barnier, commissario per il Mercato interno e i Servizi finanziari. Una risposta che, da un lato, non concede deroghe alle banche etiche rispetto alle regole generali per gli istituti di credito, ma, dall’altro, sottolinea l’interessamento della Commissione per l’economia solidale, per le imprese sociali e per i servizi finanziari destinati a queste realtà.

L

E BANCHE ETICHE

Un “premio” per le banche impermeabili alla crisi Nella loro interrogazione (dal titolo emblematico: “Riconosci-mento della specificità delle banche etiche europee”), De Magistris e Lamberts cercano

I DOCUMENTI SUL SITO di Valori www.valori.it troverete i documenti ufficiali citati nell’articolo: l’interrogazione al Parlamento europeo degli europarlamentari De Magistris e Lamberts; la risposta del commissario Barnier e la consultazione pubblica lanciata dallo stesso sui fondi di investimento per l’imprenditoria sociale.

di spiegare alla Commissione europea cosa renda queste banche così diverse e perché dovrebbero meritare un trattamento speciale: finanziano “…progetti che comportano una plusvalenza di natura sociale, culturale o ambientale”. E ancora: “Il modello commerciale perseguito, che si limita alla raccolta dei depositi e alla concessione di crediti a favore dell’economia reale, si è rivelato non solo sostenibile, ma anche solido rispetto agli shock di portata sistemica. Dall’inizio della crisi finanziaria

Riconoscere la funzione sociale di questi istituti e inserire la sostenibilità nei modelli di calcolo dei rischi di credito |

del 2007, infatti, nessuna banca etica è stata interessata da alcun piano specifico di ricapitalizzazione, né sono state richieste garanzie pubbliche da parte degli Stati europei. Molte di queste banche, anzi, hanno fatto registrare un importante incremento delle richieste di apertura di conti correnti, a testimonianza della maggiore fiducia che i risparmiatori nutrono nei confronti della finanza etica e degli obiettivi da essa perseguiti”. I due europarlamentari avanzano quindi delle richieste, per “promuovere un ventaglio di politiche pubbliche tese a incentivare lo sviluppo del modello di gestione sul quale si basano le banche etiche”. Chiedono alla Commissione di “elaborare una normativa specifica per le banche etiche, al fine di riconoscerne l’essenziale funzione sociale all’interno della società europea”; “…un sistema di incentivi fiscali e di garanzie pubbliche” e, infine, di “…inserire dei criteri di sostenibilità nei modelli di calcolo dei rischi di credito e di mercato delle banche”. «Sarebbe importante per le banche etiche europee ricevere un riconoscimento da parte della Commissione», spiega Fabio Salviato, presidente di Febea (Federazione euANNO 11 N.93

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LE RELAZIONI FANNO BENE ALLE IMPRESE SOCIALI

APPUNTAMENTO

LA QUINTA EDIZIONE dell’Osservatorio Isnet sulle imprese sociali (promosso e realizzato da Isnet con il supporto scientifico di Aiccon - Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit), presentato in anteprima a Riva del Garda al Workshop sull’impresa sociale di Iris Network (che si è svolto il 15 e 16 settembre), dipinge un quadro difficile per questo comparto, specchio della crisi che continua a colpire le imprese italiane (e non solo). Dal 2007 – data della prima rilevazione dell’Osservatorio Isnet – a oggi le organizzazioni che lamentano difficoltà sono aumentate del 23,7% (dal 15,3% al 39%), mentre quelle che dichiarano un andamento in crescita sono diminuite di 19 punti percentuali (44% contro 25%). Ritardo dei pagamenti da parte degli enti pubblici, crisi dei mercati e minori progetti di partnership da parte delle aziende profit, hanno segnato la performance delle imprese sociali. L’osservatorio rileva, però, una correlazione diretta tra dinamismo relazionale e performance economica delle imprese sociali. Cioè chi mantiene più relazioni riesce ad affrontare meglio la crisi (pur con una difficoltà crescente) e dimostra anche una maggiore propensione all’innovazione. E sono le organizzazioni più giovani (con meno di 10 anni di attività) a presentare la migliore capacità relazionale, i migliori indici di innovazione, andamento e sentiment. www.impresasociale.net www.aiccon.it www.irisnetwork.it

SI PARLERÀ anche di imprese sociali all’undicesima edizione delle Giornate di Bertinoro, il 14 e il 15 ottobre presso il Centro universitario di Bertinoro (FC). Tema di quest’anno “Federalismo fiscale e disuguaglianze territoriali: il ruolo dell’Economia Civile”. www.legiornatedibertinoro.it

ropea delle banche etiche e alternative). «Permetterebbe di richiedere sgravi fiscali per quanto riguarda la raccolta, i certificati di deposito e le obbligazioni e di cercare di ottenere parametri diversi dalle altre banche per Basilea 3. Quelli attuali sono insostenibili per una banca etica».

Finanza al servizio della società Nella sua risposta Michel Barnier esordisce in modo tranchant: “Le cosiddette banche etiche sono disciplinate dalla regolamentazione bancaria europea e devono rispettare lo stesso quadro regolamentare delle altre banche”. Nessuna speranza, quindi, che venga riconosciuto la “diversità” di queste banche? Non è detto, perché il prosieguo della risposta diventa più incoraggiante. “L’Atto per il mercato unico ha dato avvio ad un ampio dibattito su come i servizi finanziari possono servire meglio l’economia reale e la crescita sosteni-

bile”. E ancora: “…i mercati finanziari dovrebbero essere al servizio delle persone e più in generale - della società, non viceversa”. Definizioni che calzano a pennello per le banche etiche, anche se per il momento Barnier non sembra riconoscerlo. «Questo è solo il primo passo. Con l’interrogazione lanciata da De Magistris e Lamberts è iniziato un dialogo con la Commissione. Siamo fiduciosi», commenta Fabio Salviato.

La priorità: finanziare le imprese sociali La preoccupazione principale dell’eurocommissario, per il momento, sembrano essere le imprese sociali, che, si legge, “aiutano a rafforzare l’economia reale” e per le quali Barnier si ripropone di risolvere il problema dei finanziamenti. “La Commissione si è impegnata ad intervenire per agevolare, incentivare e ricompensare l’imprenditoria sociale” e per questo autunno “è prevista la pubblicazione

di una comunicazione (…) sulle misure intese a garantire che le imprese sociali abbiano un buon accesso ai finanziamenti privati, al di là dei canali esistenti per il capitale filantropico. Tra queste misure figura anche un regime europeo per i fondi di investimento solidale, oltre al ruolo del settore bancario in senso più esteso e all’esame di possibilità intese ad incoraggiare la creazione di banche di investimento solidale o banche etiche”. Il commissario Barnier ha anche lanciato una consultazione pubblica intitolata “Iniziative per l’imprenditoria sociale: promuovere fondi di investimento sociale” (vedi BOX in basso). Una quindicina di pagine per spiegare l’importanza attribuita dalla Commissione europea al social business e per chiedere alla società civile che vive attorno all’imprenditoria sociale quali siano i loro bisogni finanziari da soddisfare. «Purtroppo – commenta Salviato – questa iniziativa della Commissione non fa distinzione in base all’istituto che concede il finanziamento alle imprese sociali. Può trattarsi di banche etiche o di fondi di investimento, che in alcuni casi non sono affatto interessati alla questione etica, ma che hanno visto nel sociale un business su cui puntare. Le banche etiche dovrebbero riuscire a difendere la propria diversità e i valori su cui si fondano».

FINANZIARE L’IMPRESA SOCIALE LA COMMISSIONE EUROPEA CONSULTA LA SOCIETÀ CIVILE COS’È UN’IMPRESA SOCIALE? Può distribuire utili? Ha difficoltà nell’accesso al credito? Se lo è chiesto la Commissione europea, anzi ha rivolto queste e altre domande alla società civile europea con una consultazione pubblica, lanciata lo scorso 13 luglio, intitolata The social business initiative: promoting social investment funds, Iniziativa per l’imprenditoria sociale: promuovere fondi di investimento sociali. Destinatari della consultazione: chiunque operi nel campo dell’imprenditoria sociale. Obiettivo finale: individuare possibili misure da parte dell’Ue per agevolare investimenti privati a sostegno dell’imprenditoria sociale. La scadenza per consegnare le risposte era il 14 settembre. Dall’Italia hanno partecipato la Fondazione culturale di Banca Etica e Avanzi, società di consulenza per la sostenibilità d’impresa. «Qualsiasi intervento decida l’Ue, il primo obiettivo è definire i confini del concetto di “imprese sociali”, cosa non facile», commenta Davide Dal Maso di Avanzi. Per la Commissione sono realtà aventi “finalità sociali, etiche o di tutela dell’ambiente”, in cui “gli utili non vengono distribuiti, ma reinvestiti”. Nella sua risposta la Fondazione precisa che l’aspetto sociale non deve riguardare solo lo scopo finale, ma anche la gestione del progetto. Avanzi invece obietta che “una volta raggiunta la stabilità finanziaria non c’è motivo di vietare la distribuzione dei profitti”. Sul fronte dell’accesso al credito la Fondazione e Avanzi sono concordi: è il problema principale per un’impresa sociale. Molte altre le proposte e i commenti arrivati. Ne parleremo sul prossimo numero di Valori, scoprendo anche le risposte arrivate da tutta l’Europa. E. T.

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Alcuni momenti dell’Horcynus festival, che si è tenuto a Messina dal 20 al 28 agosto.

Mediterraneo L’arte incontra la finanza etica Convegni di finanza etica e microfinanza alternati a proiezioni di film, teatro, musica e fotografia nella splendida cornice dello Stretto. di Elisabetta Tramonto N FESTIVAL DI ARTI VISIVE , cinema e letteratura delle diverse culture affacciate sul Mediterraneo. E una serie di convegni di finanza etica e microfinanza. Due ambiti apparentemente lontani, che hanno trovato uno scenario comune all’Horcynus Festival, appuntamento che si ripete ogni anno ad agosto a Messina, nel parco della Fondazione Horcynus - organizzatrice del festival - a due passi dallo Stretto. Tra la proiezione di un film e uno spettacolo teatrale (vedi BOX ) si è parlato di economia, di finanza etica e di microcredito, confrontando i punti di vista di economisti delle due sponde del Mediterraneo. Ed è stato lanciato un nuovo strumento finanziario per il sostegno di progetti di sviluppo nei Paesi mediterranei.

U

Coopmed, non solo credito

ciali, culturali e ambientali sulle due sponde del Mediterraneo, attraverso il sostegno a una decina di organizzazioni di microfinanza. Quindi credito, ma non solo. «Inizialmente pensavamo di proporre un prodotto simile a quello che da tre anni abbiamo sviluppato nell’Est europeo, Coopest, attraverso cui abbiamo aperto linee di credito con diverse banche per ogni Paese coinvolto», spiega Fabio Salviato, presidente di Febea. «Ma, confrontandoci con le organizzazioni di microfinanza nordafricane, ci siamo resi conto che non avevano bisogno solo di credito, ma anche di

Si chiama Coopmed lo strumento finanziario promosso da Febea (Federazione europea delle banche etiche e alternative) e messo in cantiere da Sefea (Società europea di finanza etica e alternativa) che è Lanciato un nuovo strumento stato presentato durante l’Horcyper finanziare progetti sulle due nus Festival. Avrà lo scopo di fisponde del Mediterraneo. nanziare progetti economici, soCredito, ma anche consulenza

UN FESTIVAL DAI MILLE VOLTI HORCYNUS ORCA è un romanzo di Stefano D’Arrigo che narra un ritorno faticoso fino alla terra di Cariddi. A pochi passi dallo stretto di Messina sorge l’omonimo parco, sede della Fondazione che ogni anno ravviva l’agosto siciliano con un connubio di teatro, musica e cinema. “Desideri, utopie e libertà”, è il leitmotiv dell’edizione 2011. Un cinema che viaggia su un doppio filone, arabo e occidentale: We want sex, Sophie Scholl, Cairo Exit, Kurdistan-Iraq Il Paese dei corvi. Premiata la casa di produzione italiana ZaLab, con i laboratori di video partecipativo. Protagonista della rassegna teatrale (dedicata alle MigrAzioni fra terra e mare) Peppino Mazzotta con Radio Argo. La scelta musicale si è concentrata sul filone etnico. E non è mancata la fotografia con le Voci dal nulla di Germano Cucinotta e Mauro Mondello: istantanee scattate al confine tra Libia e Tunisia.

servizi, di assistenza, insomma di un’agenzia di sviluppo. Quello che stiamo lanciando è una società finanziaria, con sede a Bruxelles e uffici a Padova, Marsiglia, Messina e Gerusalemme. Che lavorerà con un’agenzia di sviluppo. Si occuperà di finanziamenti, ma anche di consulenza e assistenza tecnica a queste realtà, di accompagnarle in processo sviluppo a carattere locale», conclude Salviato. «I partner di Coopmed saranno le organizzazioni di microfinanza che già operano nella parte Sud del Mediterraneo. Un aspetto importante di questo strumento è che soggetti diversi della sponda Nord e Sud del Mediterraneo lavoreranno insieme per un obiettivo comune, per uno stesso sogno: ridare speranza alla gente», ha affermato durante l’Horcynus festival l’economista tunisino Slah Kooli.

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| islamfinanzasocietà |

| euronote |

Crisi del debito

Libia

La soluzione dell’Ue: un rimedio peggiore del male?

Un trionfo imperfetto di Federica Miglietta*

L

A DEFINIZIONE DI “trionfo imperfetto” è il titolo di un editoriale del Wa-

dall’ombelico dell’Europa Roberto Ferrigno

shington Post che analizza lo stato delle rivolte dei Paesi arabi e della Libia, in particolare, dopo i 42 anni di dittatura. Il dittatore che minaccia e impreca, pensando di fare ancora paura è sparito, fuggito non si sa dove (Niger, Burkina Faso?) con automezzi blindati pieni di diamanti e oro. Sembra di leggere il romanzo Sahara di Clive Cussler e invece è tutto vero: fugge depredando ancora, forse svuotando le casse della Banca Centrale libica e rifugiandosi in un Paese “amico”, portando con sé soldi non suoi. Molti hanno visto questi convogli e sono pronti a testimoniare che ci fosse proprio lui nei veicoli blindati. La notizia mi sconcerta. Come hanno fatto i ribelli a farsi sfuggire un convoglio di decine di mezzi? E gli aerei dell’Alleanza cosa facevano, nel frattempo? Hanno risposto che non possono uccidere, solo aiutare i ribelli (a uccidere), ma pare una scusa risibile. Se davvero il convoglio era pieno di oro e diamanti, non valeva la pena provare a bloccare le frontiere? Non importa quanto abbia portato via: gli hanno permesso di sottrarre risorse a un Paese allo stremo. Dopo mesi di battaglie, come è stato possibile farlo fuggire? In un momento devastante per i budget, per le Borse e per i debiti pubblici mondiali, chi pagherà la ricostruzione libica? Non l’Italia, dove mancano anche le seggioline nelle scuole elementari. Non gli Usa dove Obama arranca. Non la Francia, dove Sarkozy deve affrontare il downgrade delle sue maggiori banche. Non la Germania, che non voleva neppure partecipare alle battaglie. Il Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) è davvero capace di esprimere le varie anime (laiche, tuareg, islamiche) in modo equilibrato? Alcuni editoriali di esperti mediorientali sono allarmanti: anche il Cnt sarebbe in mano a fronde oltranziste islamiche che si erano tenute nell’ombra, ma che ora rivendicano attenzione e potere. Il regime di Gheddafi, da questo punto di vista, era solo folcloristicamente islamico (e socialista), la religione era usata solo a fini di propaganda e come anestetico per governare una popolazione varia nelle origini, nelle abitudini, nelle credenze. Oggi, invece, il generale capo delle milizie è davvero oltranzista e islamico; si è formato alla scuola della Jihad afghana, crede che la battaglia sia un modello di vita che rispecchia il vero islam, ha assegnato il comando ad altri militari di fede islamica. E allora gli Alleati non possono fermarsi: non possono credere che gli obiettivi siano veramente (e solo) il controllo di gas e petrolio e il rispetto dei trattati di amicizia e dei contratti. La Libia è fondamentale nel Mediterraneo. Se i nostri politici e strateghi non saranno in grado di assicurarle un futuro, l’Europa avrà un grave problema in più, meno governabile dei deficit e dei downgrade.

L

O SCORSO 15 SETTEMBRE il Parlamen-

to europeo ha finalmente raggiunto un accordo su un pacchetto di ben sei proposte legislative della Commissione che dovrebbero evitare il ripetersi delle crisi economico-finanziarie che stanno attraversando Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna. Si tratterebbe di adottare una strategia “europea” di governo economico e finanziario, superando l’attuale approccio nazionale, mettendo Commissione e Parlamento saldamente alla guida. Le misure impongono audizioni regolari dei ministri delle Finanze, una maggiore sorveglianza degli strumenti macroeconomici e dei budget nazionali, in modo da imporre l’obbligo di riduzione del debito pubblico. Si prevedono sanzioni per quei governi che non si dovessero sottomettere alle regole del Patto di stabilità. La sola possibilità di obiettare alle misure imposte dalla Commissione è quella di formare una maggioranza di nove Paesi sui diciassette dell’Eurozona. Il Parlamento europeo quindi fa propria la ricetta tedesca per curare quei Paesi Ue che hanno “peccato” non adeguandosi al modello economico costruito da Berlino a partire dalla nascita dell’euro. Il tutto mentre la Grecia annuncia una contrazione del 5% del proprio Pil, in conseguenza delle misure di austerità imposte dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. Purtroppo il crollo del Pil e delle relative entrati fiscali rischia di far precipitare sempre più il Paese verso la bancarotta. Molte delle scelte imposte alla Grecia sono comprese nel pacchetto approvato dal Parlamento, che afferma entusiasticamente di aver imposto “più Europa” nel futuro economico e finanziario dell’Ue. Peccato che in pochi si chiedano “quale Europa” sia quella promossa dal “six-pack” appena deciso e chi, alla fine, ne pagherà il conto.

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* Ricercatrice di Economia degli intermediari finanziari presso la facoltà di Economia all’Università di Bari e presso l’Università Bocconi di Milano |

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| sviluppo demografico |

Una crescita senza fine

FONTE: INED, TOUT LES PAYS DU MONDE, POPULATION & SOCIÉTÉ, LUG-AGO 2011. ILLUSTRAZIONE CARTINA: DAVIDE VIGANÒ

| mappe | i numeri della terra |

NORD EUROPA

100 118 +18% EUROPA ORIENTALE

AMERICA DEL NORD

295

ASIA ORIENTALE

346 EUROPA OCCIDENTALE E DEL SUD

1.795 ASIA OCCIDENTALE

ASIA SUD - EST

602

238 –12%

NUMERO DI ABITANTI IN MLIONI NEL 2011 2050

402

348 +36%

CARAIBI

NORD AFRICA

42 48

di Andrea Barolini A CRESCITA DEMOGRAFICA GLOBALE su-

birà una brusca accelerazione nei prossimi decenni. Secondo l’Istituto Nazionale di Studi Demografici francese (Ined), l’attuale livello di 6,98 miliardi di esseri umani potrebbe raggiungere una cifra compresa tra i 9 ed i 10 miliardi entro il 2050 (già nel 2025 saremo 8 miliardi). «In soli due secoli l’umanità è passata da 1 a 7 miliardi», ha constatato Gilles Pison, ricercatore dell’INED. Tra chi è cresciuto smisuratamente c’è l’India, che contava 350 milioni di abitanti nel 1950 ed ora è arrivata a 1,24 miliardi. Ma è l’Africa che modificherà gli equilibri demografici globali: mentre oggi un abitante del Pianeta su sette viene dal Continente Nero, il rapporto sarà di uno su quattro nel 2050. Basti pensare che la Nigeria diventerà il terzo Paese più popoloso al mondo, con 433 milioni di abitanti. Una dinamica che impone ai governi del Pianeta scelte lungimiranti. A livello alimentare, economico, energetico, sanitario e sociale. Sin da oggi.

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259

345

470

L

1.581

ASIA CENTRALE E DEL SUD

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AMERICA CENTRALE

+14%

1.512 2.574

796

213 AFRICA CENTRALE

+1%

+69%

131 323

158

AFRICA ORIENTALE

291

–4%

336 +32%

211

AMERICA DEL SUD

396

+52% +122%

826

AFRICA DELL’OVEST

+34%

+43%

313 487 792

AFRICA AUSTRALE

OCEANIA

58

37

68

62

+17%

+23%

+153%

+146%

+68%

A partire da questo mese Valori propone ai suoi lettori un nuovo appuntamento fisso: i Numeri della Terra. Un modo per mantenere uno sguardo aperto sul Pianeta attraverso cifre e statistiche. Per capirne le dinamiche attuali e gli sviluppi futuri. In ogni numero ci concentreremo su un tema diverso: cominciamo con l’evoluzione demografica che ci attende, e che ci porterà ad essere più di 9 miliardi di persone entro il 2050. |

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| economiasolidale |

economiasolidale

| economiasolidale Biologico garantito. In modo partecipato >44 Made in Italy a rischio/8 Nel Paese del vino la birra scorre a fiumi >46 Ingroia. Di Golpe in golpe. La legalità democratica sparisce >51

| non solo gruppi d’acquisto |

Nuove sfide per i Gas Agricoltura L’esposizione dei produttori agricoli a L’Isola che c’è 2011, l’ottava edizione della Fiera provinciale delle relazioni e delle economie solidali, organizzata il 17 e 18 settembre scorsi a Villa Guardia (Como).

per difendere il territorio

Continuiamo con il nostro spazio dedicato alle nuove sfide dei Gruppi di acquisto solidale. Parliamo di agricoltura, che diventa strumento politico di cambiamento

del territorio. di Elisabetta Tramonto OTREMMO RIBATTEZZARLI Gruppi di difesa del territorio. È questa la nuova sfida che si prospetta per i Gruppi di acquisto solidale: non più “solo” consumatori responsabili, oggi i Gas (non tutti, naturalmente: coesistono diversi gradi di “maturità”) chiedono di essere veri attori politici, intendendo per “politico” la capacità di esercitare un cambiamento, nel caso specifico un cambiamento del territorio. Lo strumento per raggiungere questo scopo è l’agricoltura. Fondamentale per questo salto in avanti: una collaborazio-

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ELISABETTA TRAMONTO

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| economiasolidale |

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RIPESS EUROPA PER ORA SENZA GAS

AAA CERCASI STRUMENTI FINANZIARI PER SOSTENERE IL DIRITTO ALLA TERRA

NASCE RIPESS EUROPE, la base europea della Rete intercontinentale per la promozione dell’economia sociale e solidale. Il Congresso fondativo si è tenuto a Barcellona dall’8 al 10 settembre. L’Italia è presente con due realtà: Solidaiurs Italia e Urgency. La rete dell’economia solidale italiana e dei Gas ha deciso di non partecipare, se non come osservatori esterni. “Per le specifiche caratteristiche del nostro percorso e per le sue fragilità organizzative il Tavolo Res ha deciso di non aderire alla forma costitutiva di Ripess Europa”, si legge nella lettera inviata a Ripess. «Vogliamo continuare a seguire le sue attività», spiega Davide Biolghini del Tavolo Res. «Ma abbiamo bisogno di tempo per condividere la scelta con l’intera rete dei Gas italiani». Lo avevamo anticipato sull’ultimo numero di Valori: la rappresentanza è un problema aperto nel mondo dei Gas italiani. E. T.

È STATO LANCIATO da un insieme di soggetti del mondo della finanza etica ed è rivolto a laureati in giurisprudenza, agraria, economia e urbanistica il bando per la creazione di nuovi strumenti finanziari per sostenere un’agricoltura sana e integrata con il territorio. In particolare quello che cercano i promotori del bando – la Fondazione culturale di Banca Etica in collaborazione con Aiab (Associazione italiana per l’agricoltura biologica), Banca Popolare Etica, la mutua per’auto-gestione Mag 2, Sefea (Società europea finanza etica ed alternativa) e Scret (organizzazione di Supporto e connessione reti territoriali) – sono strumenti finanziari dedicati alla raccolta di denaro per l’acquisto di terreni da affidare ad agricoltori, singoli o organizzati, che intendano inequivocabilmente e durevolmente produrre cibo, in modo sano (agricoltura biologica) e connesso con il sistema di consumo vicinale, mantenendo la proprietà indivisa e vincolata nel tempo all’uso spiccatamente agricolo. Il bando è nato per tentare di riprodurre in Italia l’esperienza esemplare della francese Terre Des Liens (di cui Valori ha scritto sul numero di settembre 2010), un’associazione creata nel 2003 e attiva in tutta la Francia, che, grazie a strumenti di finanza solidale, raccoglie risparmi tra i cittadini e li usa per acquistare terreni da affittare a canoni agevolati ad agricoltori per coltivare con metodi biologici. La normativa italiana non permette di riproporre esattamente gli stessi strumenti. Da qui l’idea del bando, per trovare il modo di seguire questo buon esempio. «In Italia non esiste alcuno strumento di finanziamento o iniziativa centrata sul recupero del diritto alla terra come bene primario e necessario per la produzione di cibo», spiega Mariateresa Ruggiero, direttrice della Fondazione culturale di Banca Etica. L’assegno di ricerca ammonta a 4 mila euro e il progetto dovrà essere realizzato in sei mesi. Il vincitore dovrà presentare una proposta tecnico-operativa, concretamente praticabile, compatibile con il quadro normativo nazionale e internazionale, e accessibile al piccolo risparmio. Il bando è scaricabile dal sito: www.fcre.it E. T.

ELISABETTA TRAMONTO

180 espositori, dibattiti e tavole rotonde, laboratori, degustazioni, musica, bio-ristoro a km0, Agri-griglia autogestita alla fiera L’isola che c’è il 17 e 18 settembre.

ne stretta tra consumatori e produttori agricoli e, quindi, la nascita di comunità territoriali composte dai Gruppi di acquisto insieme alle reti contadine.

Motore del cambiamento

dal fallimento dall’alleanza tra Gas e Mag2. O al progetto Spiga e madia (Valori luglio 2007 e luglio 2011), che ha permesso, grazie a una trentina di Gruppi di acquisto della Brianza, di ridare vita alla filiera del pane, ormai estinta in quella zona. Filiera corta e prezzo giusto, perché anche il prezzo è uno strumento di cambiamento se viene sottratto alle logiche di mercato e deciso sulla base di una equa e trasparente remunerazione di tutte le fasi. I Gas possono essere attori politici e di cambiamento anche mobilitandosi contro gli interventi di cementificazione che mettono a rischio suolo e territorio agricolo, come hanno fatto i gruppi della Brianza contro il progetto della tangenziale Est di

Cambiamento significa salvare le piccole aziende agricole del proprio territorio, che chiudono i battenti una dopo l’altra sotto i colpi della concorrenza dell’agroindustria, dei prezzi stracciati pagati dalla Grande distribuzione per i prodotti ortofrutticoli, della cementificazione selvaggia e della competizione del biogas (vedi BOX ). «L’esperienza dei Gas in questi anni ha dimostrato che il loro supporto può anche determinare la sopravvivenza di un produttore e la salvezza di un territorio», spiega Giuseppe De Santis del Des Brianza. Creare coordinamenti regionali Basta pensare all’ormai fatra Gas e reti contadine per moso caso Tomasoni (Valori, luaffermare il ruolo dell’agricoltura glio 2009), il caseificio salvato nella difesa del territorio | 42 | valori |

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Milano che rischia di distruggere proprio il progetto Spiga e madia. Ma produrre un cambiamento può anche significare “violare” le regole di selezione dei fornitori stabilite dai Gas pur di salvaguardare un pezzo di territorio. «È necessario – spiega Davide Biolghini, del Tavolo Res, Reti di economia solidale – che i Gas comprendano il ruolo che può giocare l’agricoltura per il cambiamento del territorio. Non ci si può più limitare ai “vecchi” discorsi secondo cui si acquistavano prodotti da piccoli agricoltori ovunque essi fossero, purché biologici. In Lombardia abbiamo la concentrazione maggiore di Gruppi di acquisto e la più bassa di agricoltori biologici. Per cui ci si rivolge a produttori di altre regioni, dicendo addio alla filiera corta e al proprio ruolo di attori del cambiamento del territorio. Nel Parco agricolo Sud Milano siamo partiti tre anni fa con produttori agricoli che non erano né bio, né solidali e neanche di alta qua-

lità. Dopo numerosi incontri, oggi abbiamo 15 agricoltori che hanno effettuato un percorso di trasformazione della propria produzione e che soddisfano gli standard richiesti dai Gas. Questo significa prendersi carico del proprio territorio».

Produttori e consumatori «Perché le scelte di consumo dei Gas abbiano un peso politico è necessario costruire un’alleanza con i produttori», aggiunge Giuseppe De Santis. Un’idea che si sta rafforzando tra i Gas: “lavorare” insieme, consumatori e agricoltori, per affermare un nuovo modello di agricoltura. «A Kuminda (a Milano dal 14 al 16 ottobre, vedi BOX , ndr) si inaugurerà il primo Comitato di coordinamento per la terra e per il cibo a livello lombardo», spiega Davide Biolghini, del Tavolo Res. «Uno strumento di coordinamento tra consumatori e contadini responsabili affinché il tema delle nuove for-

me di agricoltura e quello della sovranità alimentare possano essere affrontati in modo più organico». «È fondamentale che i taKUMINDA: CIBO E DIRITTI IN FESTA! SI PARLERÀ ANCHE di Gruppi di acquisto solidale, anzi di un nuovo coordinamento lombardo per la terra e per il cibo, a Kuminda, il festival del diritto al cibo organizzato da Terre di Mezzo, che torna a Milano dal 14 al 16 ottobre. Teatro della manifestazione, anche quest’anno, la Cascina Cuccagna, luogo simbolo della Milano sostenibile. Tre giorni di iniziative dedicate al cibo in tutte le sue sfaccettature: incontri con esperti e produttori, degustazioni di pietanze da tutto il mondo, ma anche giochi, corsi, laboratori di cucina. Il 17 e 18 ottobre Kuminda proseguirà all’Anteo spazio Cinema con una selezione di corto e lungometraggi dal Festival delle Terre. www.kuminda.org

voli di lavoro abbiano un carattere locale e coinvolgano tutti gli attori di quel territorio – precisa Roberto Schellino, agricoltore, tra i coordinatori della campagna nazionale dell’agricoltura contadina – perché ogni zona ha esigenze e caratteristiche diverse». E fondamentale è il ruolo delle reti contadine per raccogliere le istanze degli agricoltori. In Italia ne esistono diverse: Ari, Asci, Civiltà contadina Aiab. Una necessità di collaborazione tra produttori e consumatori che ha portato l’Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) a coinvolgere i Gas nei propri processi decisionali. «Abbiamo sempre pensato al biologico – spiega Andrea Ferrante, presidente di Aiab – come un modello attraverso cui il produttore cambia il rapporto con la terra e il modo di produrre. Ma non basta, è necessario anche che il consumatore cambi modello di consumo. Ed è fondamentale il rapporto tra produttori e consumatori».

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Bio garantito In modo partecipato La certificazione biologica non è fatta per i piccoli agricoltori. Diffusi da oltre vent’anni in America Latina, arrivano anche in Italia i Sistemi di garanzia partecipata. Un controllo dal basso (gratuito) con le stesse regole del bio ufficiale. di Elisabetta Tramonto

A

Dal Brasile all’Italia

L POSTO DI UN ENTE ESTERNO,

pagato per certificare che un agricoltore sia davvero bio, una squadra di “controllori” formata da contadini e consumatori, che, come l’ente certificatore (ma gratuitamente), esamina i metodi utilizzati e “garantisce” il rispetto dei principi dell’agricoltura biologica. Si chiamano Sistemi di garanzia partecipata (Pgs, Participatory guarantee system), forse l’esempio più evoluto di collaborazione tra agricoltori e consumatori. Non un sostituto della certificazione bio, ma un’alternativa più adatta ai produttori di piccole dimensioni, che, pur rispettando le regole del bio, non possono permettersi il bollino ufficiale.

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In America Latina esistono da oltre vent’anni. Il primo a introdurli è stato il Brasile (nel 1985), dove oggi ci sono oltre quattromila SLOW FOOD PENSA A UN GAS DEL FORMAGGIO SI CHIAMA “Resistenza casearia” il Gruppo di acquisto solidale lanciato da Slow Food, dedicato alla tutela dei piccoli produttori di formaggi. Un mestiere difficile per chi sceglie di restare sul proprio territorio e fuori dalla grande distribuzione. Da qui l’idea di proporre tre volte all’anno una selezione di formaggi e predisporre un paniere di prodotti, stabilendo prezzi che retribuiscano equamente i venditori. Per chi voglia partecipare www.slowfood.it

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agricoltori certificati. Si sono poi diffusi in Perù, con un migliaio di contadini garantiti, e in Uruguay, Paraguay, Bolivia e Cile. In India sono già 4.500 gli agricoltori coinvolti. A portare in Italia i Sistemi di garanzia partecipata (per il momento solo alcune sperimentazioni) ci ha pensato un soggetto che credevamo strettamente ancorato alla certificazione ufficiale: l’Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica), che, dopo aver testato il metodo in piccoli gruppi a Genova e a Roma, nel 2009 ne ha redatto le linee guida. «Fino a tre anni fa la certificazione era un argomento tabù – spiega Andrea Ferrante, presidente di Aiab – non poteva essere messa in discussione. Poi abbiamo ca-

DEIANA E GAZZANIGA

Un momento dell’edizione 2010 di Kuminda. Quest’anno andrà in scena a Milano dal 14 al 16 ottobre.

GAS CONTRO BIOGAS: UCCIDONO L’AGRICOLTURA

UNA RAGNATELA PER DIFENDERE LA TERRA

LA DENUNCIA ARRIVA da alcuni Gruppi d’acquisto solidale lombardi: la green economy rischia di condannare a morte numerose aziende agricole. Quello che è un apparente controsenso è invece il frutto delle leggi del mercato e degli incentivi per la produzione di energia da biomasse. Ecco cosa succede: «I produttori di biogas – spiega Dario Olivero della Cascina Isola Maria del Parco Agricolo Sud Milano – ricevono incentivi per fare energia pulita. Stanno quindi cercando terreni agricoli da usare per coltivazioni di mais da trasformare poi in biomassa». I problemi di questo fenomeno sono almeno due: così facendo si sottrae suolo agli usi alimentari. E, proprio grazie agli incentivi, i produttori di biogas possono offrire ai proprietari dei terreni canoni di affitto doppi o tripli rispetto a quanto possono permettersi gli agricoltori. Questi ultimi sono danneggiati perché non si vedono rinnovare i contratti e comunque i nuovi contratti di affitto tendono a essere assai più brevi (5 anni rispetto ai 20-30 anni del passato). «Il prezzo dell’affitto – prosegue Olivero – è una componente cruciale della produzione agricola. Se, per qualche motivo, tale costo dovesse crescere troppo, l’esistenza stessa delle aziende zootecniche sarebbe messa a repentaglio». Nei prossimi numeri di Valori renderemo conto di quale sia la portata del fenomeno e le possibili soluzioni (ne anticipiamo una: e se gli incentivi fossero riservati al biogas prodotto solo dagli scarti delle lavorazioni agricole?). I gasisti, come spesso succede, hanno però preso subito a cuore la vicenda di alcune aziende agricole dell’hinterland milanese. Come la Cascina dei Lassi di Cerro al Lambro, in favore della quale hanno lanciato una campagna per il preacquisto dei prodotti e per sostenere la sua trasformazione in senso biologico. «In questo modo – spiega Vincenzo Vasciaveo del Gas di Baggio – speriamo di rafforzare la sua situazione economica e di rendere più difficile non riaffittare il terreno agli attuali Em. Is. inquilini una volta che il contratto andrà in scadenza».

I CONSUMATORI RESPONSABILI si organizzano, nei Gruppi di acquisto solidale. I piccoli agricoltori non sono da meno. «Esistono reti contadine in Italia organizzate meglio dei Gas», racconta Giuseppe De Santis del Distretto di economia solidale della Brianza. Da esperienze decennali, come Campi aperti a Bologna o Terra Terra a Roma, alle più recenti ma altrettanto creative, come la Ragnatela a Napoli. «Più che un collettivo siamo un connettivo», spiega Giovanni Di Genua, uno dei fondatori della Ragnatela, una sorta di piattaforma informale, un movimento auto-organizzato, nato tre anni fa in Campania, che raccoglie un centinaio tra agricoltori, artigiani, trasformatori di prodotti alimentari, ma anche realtà che si occupano di problematiche sociali. E naturalmente consumatori, che tavolta diventano coproduttori. «Capita che ci diano un terreno di loro proprietà ormai abbandonato, per poterlo coltivare», racconta Di Genua. Il momento centrale delle attività della Ragnatela è il mercato, organizzano tutte le domeniche a Napoli. Tra agricoltori si scambiano prodotti, con il baratto, e lavoro. E organizzano laboratori «per diffondere una diversa cultura del rapporto con la terra – racconta Di Genua – e per insegnare a riappropriarsi delle attività basilari di produzione del cibo. Dalla raccolta delle arance alla coltivazione dell’orto». Naturale la collaborazione con i Gas, «anche se – precisa Di Genua – avere a che fare con i singoli gruppi è molto impegnativo per un piccolo agricoltore. Preferiamo collaborare con i Des. E abbiamo aperto un punto vendita a Napoli, che useremo come piattaforma per relazionarci con Gas». La Ragnatela è inserita in reti nazionali come la Campagna per l’agricoltura contadina e Genuino Clandestino, nate per difendere l’agricoltura contadina. Genuino Clandestino è diventato anche un film, uscito a luglio e realizzato dal collettivo di mediattivisti InsuTv. Il trailer su http://www.vimeo.com/25883231. Le date delle prossime E.T. proiezioni su: genuinoclandestino.noblogs.org

il regolamento ufficiale del biologico: i produttori certificati con Pgs rispettano i requisiti per la certificazione bio e di solito hanno standard superiori».

SEMINIAMO INSIEME CONTRO GLI OGM APPUNTAMENTO domenica 16 ottobre per seminare il nostro futuro. Si chiama così, “Seminare il futuro”, l’evento, giunto alla sesta edizione, che si svolge contemporaneamente in 13 Paesi al mondo: una semina collettiva per dire no agli Ogm e a sostegno della sovranità alimentare. Per la prima volta la manifestazione arriva anche in Italia grazie a EcorNaturaSì, con il patrocinio di Demeter Italia e dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica. www.seminareilfuturo.it

Con i Gas una marcia in più

pito che, seppure centrale, non può essere trollo esercitato dagli attori sociali della coaccettata sic et simpliciter come proposta dalmunità. Anche applicando le stesse regole l’Ue. In Italia esistono diverse agricolture, della certificazione del bio tradizionale». che hanno bisogno di modelli di riferimen«Ogni Paese ha regole diverse – spiega to differenti, anche per il biologico: il conEva Torremocha, responsabile dell’Ifoam tadino con due ettari di terra che si appogper i Pgs – che tengano conto delle diversità gia solo alla vendita diretta non può del territorio. Compito dell’Ifoam è stabilire rientrare in sistemi pensati per le grandi una soglia minima. In Europa coincide con aziende. Dobbiamo comunque dare delle garanzie di qualità del I Pgs sono strumenti per prodotto e del processo, ma non costruire patti territoriali. Luoghi tramite un ente di certificazione di apprendimento reciproco, pagato. È più efficace un contra consumatori e agricoltori |

«Nell’introduzione di questo metodo di certificazione dal basso – spiega Eva Torremocha – l’Italia è avvantaggiata grazie all’esperienza partecipativa dei Gruppi di acquisto solidale». Proprio nel mondo dei Gas sta nascendo una sperimentazione sui Pgs, grazie a un Bando della Fondazione Cariplo. Capofila è il Des Como, insieme ai Des Brianza e Varese e all’Aiab. «I Pgs sono strumenti per costruire patti territoriali perché consumatori e produttori in rete si attivino per garantire la qualità del prodotto», spiega Guseppe Vergani del Des Brianza. «E sono strumenti di apprendimento reciproco – continua Giuseppe De Santis, anch’egli del Des Brianza – soprattutto per i consumatori, che possono recuperare quella conoscenza delle pratiche contadine che si è persa».

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| economiasolidale | made in italy a rischio | ottava puntata |

| economiasolidale | ACCISE MEDIE PER ETTOLITRO DI BIRRA

Sorpresa: il settore brassicolo se la passa meglio di molti altri. Vale oltre 2.5 miliardi e l’export è quadruplicato in dieci anni. Nessun problema? Non proprio. Da tenere sotto controllo: burocrazia, oscillazioni delle materie prime e concorrenza estera. di Emanuele Isonio co di cancri che rischiano di decretare la che morte di un sistema produttivo. Anche se pochi conoscono: le birre itanon mancano gli ostacoli da rimuovere per liane sono le più importate in non frenare le opportunità di crescita. Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Ovvero, due dei Paesi a più radicata cultura “birrofila” (gli Usa sono il primo consumatore Una torta mondiale). È probabilmente questo l’aspetda 2 miliardi e mezzo to più interessante dei tanti flash che aiuta«Il dato sull’export verso i Paesi anglosassono a fotografare lo stato della filiera della ni dimostra una cosa: gli Italiani la birra la birra in Italia. Un settore che – sorpresa delsanno fare, eccome», commenta Filippo le sorprese – nel Paese che contende alla Terzaghi, direttore di Assobirra, l’associaFrancia il primato mondiale dei vini più apzione di categoria che riunisce le aziende reprezzati, sta resistendo agli schiaffi della crisi molto meglio L’Italia è il decimo produttore Ue di molte altre filiere alimentari, e ha ormai superato gli Stati più nonostante non si tratti certo di “birrofili”, come Danimarca e un bene di prima necessità. Una Irlanda. I consumi però volta tanto, nessun lungo elenrimangono i più bassi d’Europa

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ARTIAMO CON UNA NOTIZIA

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sponsabili del 97% della produzione italiana. Una tesi suffragata da molti dati: la produzione 2010 si è attestata su 12,8 milioni di ettolitri (il picco produttivo del 2007 è lontano ancora 650 mila ettolitri ma il trend è in crescita dopo due anni di lieve flessione, vedi TABELLA di pag. 48). Il settore vale ormai 2,55 miliardi, nei 350 stabilimenti lavorano quattromila persone, cifra simile all’Austria e non lontana dai 5.600 addetti del Belgio. E considerando l’indotto (filiera produttiva, fornitura di beni e servizi, promozione, somministrazione) il numero sale a 144 mila persone. Dati che garantiscono all’Italia il decimo posto fra i produttori Ue, scavalcando Paesi in cui la birra è bevanda nazionale come Danimarca (gruppi Carlsberg e Ceres) e Irlanda (patria della ne-

C’È UNA BIRRA IN NERO che rappresenta una seria minaccia per il settore della birra italiano. Nulla a che vedere (purtroppo) con la mitica Guinness e con la sua pastosità proverbiale. Ma è altrettanto amara. La “sporca guerra” nel mondo delle birre si gioca lungo le frontiere con gli altri Stati europei. O meglio, è proprio l’assenza di frontiere a rendere possibile questo gioco sleale. Alla base di tutto ci sono carichi di birra prodotti in altri Stati Ue che arrivano in Italia in modo clandestino, per soddisfare la richiesta di ristoratori disonesti che, così facendo, non devono pagare né Iva né accise (nel caso della birra, le accise si applicano, infatti, al momento del consumo) e possono contare su profitti maggiori. «Il fenomeno – denuncia Leonardo Di Vincenzo, titolare del birrificio reatino Birra del Borgo – è molto più diffuso di quanto si pensi. Molti acquistano birra in nero, soprattutto nei piccoli centri. Alle frontiere i controlli sono prossimi allo zero. E anche nei ristoranti e nei pub latitano». Accanto a questo meccanismo di vera frode fiscale, c’è poi il problema dell’armonizzazione dei parametri usati nei vari Paesi europei per poter definire birra una bevanda. Nulla di illegale in questo caso. Ma certo il paradosso c’è. Ecco come nasce: «in Italia – spiega Filippo Terzaghi, direttore di Assobirra – si può chiamare birra una bevanda con livello di “grado plato” pari a 10.5». I gradi plato indicano la quantità di zuccheri disciolti nella birra. Il problema nasce perché in altri Stati Ue quella soglia è più bassa (arriva anche a 6-7 gradi plato). «Ma gli accordi Ue stabiliscono che una bevanda che, nel suo Paese, rispetta i parametri minimi, può chiamarsi “birra” anche negli altri Stati». Tradotto: in Italia si vendono birre che, se prodotte nel nostro Paese, non potrebbero definirsi tali. «Questo è un vantaggio per i produttori esteri – prosegue Terzaghi – perché usare meno zuccheri riduce i costi di produzione e permette di vendere a prezzi inferiori». Tra l’altro in Italia le tasse si paghino sulla quantità di zuccheri presenti nella birra. Il che peggiora le cose: «in Europa la tassazione si applica sul grado alcolico e quindi è uguale per tutti», spiega Di Vincenzo. «Da noi, no. Si calcola sui gradi plato». Chi usa meno zucchero, alla fine, ci guadagna due volte.

ra Guinness e di altre birre “satellite”). Non altrettanto bene i consumi interni, che continuano a essere i più bassi d’Europa (28,6 litri pro capite, ma erano 13 nel 1975 e 25 nel 1990), ben lontani dai record di 134 litri fatti registrare dai Cechi, 107 dei Tedeschi e 106 degli Austriaci. Ma è significativo che abbiano raggiunto l’anno scorso i 17,2 milioni di ettolitri (+2,1% rispetto al 2009) e che il trend prosegua anche nei primi 5 mesi del 2011 (+1,7 rispetto allo stesso periodo del 2010). Una dinamica comunque anticiclica rispetto al resto della Ue, dove, dagli 80 litri a testa del 2007 si è scesi sotto i 70. «Non credo che l’Italia arriverà mai ai livelli di consumo europei», osserva Luca Giaccone, autore della “Guida alle Birre d’Italia”, pubblicata ogni anno da Slow Food. «Va però considerato che le birre nazionali coprono i 2/3 dei consumi. E quindi c’è la possibilità di conquistare fette di mercato a scapito dei concorrenti esteri». Di tutt’altro tenore il capitolo esportazioni, passate in dieci anni da 428 mila ettolitri a 1,8 milioni e dirette in Paesi di grande tradizione brassicola (Regno Unito e Usa, insieme, assorbono il 65% del nostro ex-

port). Non a caso, sono le birre di maggiore qualità a risultare più appetibili. Un vero e proprio boom per le birre nazionali, un toccasana per le casse dei nostri birrifici. E un bacino che mostra ulteriori margini di espansione nei prossimi anni.

Retrogusto amaro E allora, con dati sostanzialmente positivi, dove sono i rischi per la filiera della birra italiana? Si potrebbe evidenziare che la produzione italiana è monopolizzata da 4-5 gruppi industriali (vedi GRAFICO ). I rappresentanti della categoria preferiscono denunciare i costi di produzione. «Per le birre in bottiglia, la FONTE: ASSOBIRRA ANNUAL REPORT 2011

Nel Paese del vino la birra scorre a fiumi

FONTE: ASSOBIRRA ANNUAL REPORT 2011

LA CONCORRENZA SPORCA SI GIOCA ALLE FRONTIERE

I COLOSSI DEL SETTORE AZIENDE BIRRARIE

MIGLIAIA DI ETTOLITRI

Heineken Italia Peroni Carlsberg Italia Forst Menabrea Castello Hausbrant Trieste InBev Altri (comprese microbirrerie) Importazioni

5151 3258 989 611 162 889 25 1279 425 4460

%

29,9 18,9 5,7 3,5 0,9 5,2 0,1 7,4 2,5 25,9

|

Norvegia Finlandia 124,8 Regno Unito 95,8 Svezia 78,2 Irlanda 75,4 Slovenia 48 MEDIA UE 39 Danimarca 32,8 Olanda 32,6 Grecia 31,2 Italia 28,2 Ungheria 27,7 Estonia 26,1 Austria 24 Cipro 22,9 Polonia 22 Belgio 20,5 Slovacchia 19,8 Svizzera 18,9 Malta 18 Portogallo 17,8 Repubblica Ceca 15,7 Lettonia 14,8 Francia 13 Lituania 11,8 Spagna 10 Lussemburgo 9,5 Germania 9,4 Bulgaria 9,2 Romania 9

240

prima voce di costo è proprio il vetro, che può incidere fino al 25% del costo finale», spiega Terzaghi. «Subito dopo c’è il livello delle tasse, che incidono per un altro 20% e penalizzano le nostre aziende rispetto ai concorrenti esteri». Ma non tutti si sentono di sposare questa analisi. «Non credo che il problema principale siano le tasse troppo alte. Basta dare un’occhiata alle accise negli altri Stati Ue per capire che l’Italia non è certo il Paese più tartassato», osserva Giaccone. In effetti, l’accisa media per ettolitro nella Ue sfiora i 39 euro, 11 in più dell’Italia, con picchi di 96 euro in Gran Bretagna, 125 in Finlandia e addirittura 240 in Norvegia (vedi GRAFICO ). «Più che il livello delle accise, è allucinante la gestione della tassazione. Burocrazia inutile, registri e comunicazioni obbligatorie, calendari della produzione, controlli noiosi portati avanti spesso con meri intenti vessatori». Come nel caso di un birrificio abruzzese, multato perché sull’etichetta aveva scritto “birra artigianale” anziché “birra prodotta in birrificio artigianale”. Su altri punti, invece, il parere degli addetti ai lavori è unanime: le materie prime, ANNO 11 N.93

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SE IL PRIMATO MONDIALE VOLA VERSO ORIENTE

Guida alle birre d'Italia 2011 Slow Food Editore, 2011

LA LOCOMOTIVA TEDESCA si è fermata. Ciò che non vale per il resto dell’economia teutonica, sembra una triste realtà per il settore birrario. Le aziende nazionali sono state superate, nella produzione, da quelle asiatiche (Cina e India in testa), protagoniste di un +5.5% rispetto al 2009. Un quadro pessimo per il settore simbolo dell’agroalimentare tedesco, leader incontrastato negli ultimi 35 anni. Completato dalla notizia che alcuni marchi storici come Paulaner e Holstein sono stati acquisiti dai due colossi Heineken (Olanda) e Carlsberg (Danimarca).

soprattutto per i piccoli birrifici, rappresentano una voce assai rilevante (fino al 3035% dei costi totali): «Le oscillazioni annuali – spiega Leonardo Di Vincenzo, del comitato direttivo di Assobirra e titolare del birrificio Birra del Borgo – sono ingenti. Nel 2009, pagavo un quintale di malto 40 euro. Ora lo pago 75». La produzione italiana (66 mila tonnellate nel 2010) anche se in cresci-

IL MERCATO DELLA BIRRA IN ITALIA PRODUZIONE

LA FILIERA IDROVORA ESPORTAZIONE

CONSUMO

2000

12.575

IMPORTAZIONE

4.142

428

16.289

2001

12.782

4.414

502

16.694

2002

12.592

4.437

689

16.340

2003

13.673

4.664

884

17.453

2004

13.170

4.873

849

17.194

2005

12.798

5.-258

716

17.340

2006

12.818*

5.814

781

17.851

2007

13.462*

6.119

1.068

18.513

2008

13.343*

5.996

1.503

17.836

2009

12.776 *

5.822

1.743

16.855

2010

12.814*

6.304

1.869

17.249

SE I MICRO BIRRIFICI riescono spesso a soddisfare i palati più esigenti, sul fronte ambientale le cose non vanno altrettanto bene. Il settore brassicolo è uno dei più impattanti. Per l’elevato consumo di acqua, per l’energia necessaria nel processo produttivo, per l’anidride carbonica derivante dalla fermentazione. Problemi ai quali l’industria è riuscita a dare risposta più dei piccoli produttori: negli impianti industriali bastano 4-5 litri d’acqua per ogni litro di birra prodotta (erano 10-14 negli anni ’80). Nei birrifici artigianali, questi numeri raddoppiano. Discorso analogo per il consumo di energia elettrica (che si è dimezzato dai 13 Kw/h del 1980 ai 7 del 2010). I nuovi impianti, inoltre, permettono di recuperare la CO2 emessa e prevedono la possibilità di trattare i lieviti esausti. Accorgimenti possibili solo grazie a forti investimenti. Inevitabile, quindi, che ne rimangano escluse le aziende che producono pochi ettolitri.

* Compresi microbirrifici / dati in migliaia di ettolitri

ta (+13% rispetto al 2009) è inferiore alle necessità: lo scorso anno sono state quindi importate dall’estero 101 mila tonnellate. A questo si aggiungono altri due fattori: la piaga della concorrenza estera sleale, basata su meccanismi di elusione fiscale (vedi BOX ). E una possibilità di accesso al credito che molti birrai giudicano inadeguata: «Qualunque impresa in Italia ha questo pro-

blema», denuncia Terzaghi. «Nel nostro campo, le uniche al riparo sono le aziende appartenenti a grandi gruppi internazionali. Per gli altri, è un grosso ostacolo. Che accentua il monopolio dei marchi maggiori sul settore». Ma nonostante tutto, il mondo dei micro birrifici è in grande fermento (vedi ARTICOLO ). E i consumatori sembrano apprezzare sempre più i loro prodotti.

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Val d’Aosta

Il genio italico applicato alla pinta

Trentino A.A.

65

32

Lombardia

18

Friuli V.G.

Veneto

51

Piemonte

Italia

33

17

13

32

I micro birrifici italiani fanno boom: dai 4 del 1996 ai 385 dell’aprile scorso. Sono ormai una filiera

Toscana

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Marche

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Umbria

a sé stante. Con l’obiettivo della qualità e dell’originalità delle produzioni. Ma con il problema dell’accesso al credito. di Emanuele Isonio ESINE, CORTECCE, AGHI DI PINO. Chi

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do lo schema Pefc, che garantisce una gestione boschiva sostenibile. «Una scelta che crea curiosità fra i clienti, aumenta la volontà di assaggiare i prodotti e di verificarne le qualità». Come il microbirrificio di Forni di Cadore, in Italia ne esistono centinaia (si distinguono per produzioni inferiori ai diecimila ettolitri). Anzi, negli ultimi anni si sta assistendo a un vero birra-boom: erano quattro nel 1996, 40 nel 2000, sono saliti a 300 nel 2009, sono 385 all’ultimo censimento di aprile scorso. E il fenomeno inizia a coinvolgere anche il Meridione (vedi MAPPA ).

ama (e frequenta) la montagna è abituato a vederle mentre affronta qualche sentiero, magari pregando che gli diano la forza di arrivare in vetta. C’è chi, però, se li gusta bevendoli. L’idea è venuta al birrificio Foglie d’erba di Forni di Sopra, ai confini tra Friuli e Alto Adige, a pochi chilometri dalle celebri Tre Cime di Lavaredo. Un’area che conta più di 3.300 piante officinali. «I prodotti che uso sono rigorosamente legati a questo territorio», racconta il titolare, Gino Perissutti. «Ma, con le mie birre, volevo anche dimostra- Aromi del territorio re che produzioni di qualità, attenzione alBirre con farina di castagne, alla rosa, al miel’ambiente e sensibilità sociale possono andare di pari passo». I birrai artigianali rappresentano Da qui la decisione di utilizzare piil 2,5% del settore, aiutati da una no mugo e pino silvestre cresciumaggiore curiosità degli Italiani to in due foreste certificate seconper i prodotti di nicchia

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le, al peperoncino, con radici di genziana, liquirizia e zenzero, fermentate con pasta madre e con fichi secchi, unite al mosto cotto di uve Primitivo. Il genio italico applicato alla birra. «Stiamo assistendo – osserva Luca Giaccone, curatore della Guida alle Birre d’Italia Slow Food – a un vero rinascimento degli artigiani birrai. Con i loro prodotti, assai apprezzati dagli addetti ai lavori, soprattutto esteri, stanno dimostrando che una bottiglia da 8-10 euro ha un suo mercato». Tutti insieme hanno un unico obiettivo: sottrarre consumatori ai colossi industriali che monopolizzano le vendite. Per ora la birra artigianale rappresenta il 2,5% del settore. Ma l’unione – si sa – fa la forza. E si nota un buon affiatamento, parlando con i “birrartigiani”. Non si preoccupano, ad esempio, della concorrenza (estera o italiana che sia): «È un problema meno sentito che nell’industria. Hanno tutto l’interesse ad aiutarsi per

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Liguria

FONTE: MICROBIRRIFICI.ORG

LIBRI

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Abruzzo

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diffondere i consumi di prodotti di qualità», spiega Simone Monetti di Unionbirrai. «C’è molta solidarietà tra noi produttori – conferma Marco Rubelli, titolare del birrificio brianzolo Menaresta – e ci sponsorizziamo a vicenda». «L’importante è ampliare la gamma di prodotti da offrire ai consumatori, rendendo più facile conoscerci e apprezzare il nostro lavoro», aggiunge Agostino Arioli, fondatore del comasco Birrificio Italiano. Ovviamente, il settore sconta i limiti di una filiera tutto sommato giovane: «Non è ve-

ro che tutta la birra artigianale è di qualità», spiega Giaccone. «Alcuni produttori sono molto preparati. Altri si improvvisano e commercializzano birre imbarazzanti. E il mercato, inevitabilmente, li espunge».

Un prodotto, due filiere Comuni a tutti sono però i problemi a cui vanno incontro. E che sono diversi da quelli della filiera mainstream. Tanto che molti preferiscono parlare di due filiere distinte: una industriale, l’altra artigianale. Se il pro|

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Calabria

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Sicilia

blema delle accise, del costo degli imballaggi, della complessa normativa da rispettare sono questioni comuni a tutte le aziende, «i birrifici artigianali – spiega Giaccone - devono fare i conti con pratiche distributive assai diverse, con costi fissi più alti (le economie di scala contano moltissimo in questo settore), con un numero di dipendenti per ettolitro che è di 16 a 1 rispetto all’industria e con problemi di approvvigionamento delle materie prime più alti rispetto all’industria che ha il potere di chiudere contratti ANNO 11 N.93

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| intervista | economiasolidale | tuo, le banche non ti aiutano o non ti coprono adeguatamente». Non è quindi un caso che, nelle regioni in cui le istituzioni pubbliche intervengono con sostegni al credito, il settore ha un’espansione immediata. È il LINK UTILI www.birrificio.it www.birrificiofogliederba.it www.birrificiomenaresta.com www.birrificiovalsenio.it

caso della Puglia, in cui da un paio d’anni è stata approvata una legge ad hoc. Risultato: in 18 mesi i micro birrifici regionali sono passati da due a quindici. Ma il futuro, comunque, rimane alquanto roseo: «La grande sfida – pronostica Monetti – sarà di condurre il settore alla maturità senza snaturarlo. Servirà lungimiranza, unità e bisognerà scardinare nei consumatori e nei baristi l’idea che la birra sia solo quella chiara, da consumare ghiacciata e con tanta schiuma».

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Antonio Ingroia, procuratore aggiunto della procura distrettuale antimafia di Palermo. La foto è stata scattata a Roma, il 12 maggio 2010, al Convegno “Intercettazioni: legalità e diritti”, organizzato dalla Silp-Cgil.

“Fidati e solvibili” Microbirrai pazzi per i Gas Assonanza di valori e garanzia di pagamento: i due pilastri di un toccasana per la diffusione degli

artigiani della birra. I gasisti permettono di far conoscere i propri prodotti e possono essere una base sicura per gli investimenti. l’altro, i rapporti con i Gas assicurano anche una base economica sicura per gli investimenti aziendali».

di Emanuele Isonio

A UN LATO, I PICCOLI produttori e la loro speranza di creare birre originali e, possibilClienti da manuale mente, di alta qualità. Dall’altro, gruppi di In effetti tutti i produttori che hanno conconsumatori con il pallino dell’alimenta- tatti ormai avviati con i gasisti riconoscono zione sana e con la voglia di affrancare i questo vantaggio e ne tessono le lodi: «La propri acquisti dalle logiche commerciali loro presenza è essenziale per la garanzia di tradizionali. Il matrimonio tra birrai artipagamento», racconta Marco Rubelli, titogianali e Gruppi d’acquisto solidale s’ha da lare del birrificio Menabrea di Carate Brianfare. E pare abbia tutto ciò che serve per duza (50-60 mila litri l’anno). «Il vero problerare nel tempo. ma non è tanto quello di trovare clienti, Almeno, di questo sono unanimemenquanto farsi pagare. Ristoranti, bar e pub rite convinti gli addetti ai lavori: «Il loro inmangono spesso molto indietro con i patervento è estremamente utile e vari birrai gamenti. I Gas invece no: sono puntualishanno sposato questa strada. Per i prodotsimi, fino all’eccesso. Ti vengono a cercare ti come il nostro è una delle vie migliori per loro per saldare i debiti. In più, ritirando loraggiungere i consumatori», spiega Simone ro stessi la merce permettono un taglio dei Monetti, direttore operativo di Unionbircosti di distribuzione. E noi li possiamo rai, associazione che riunisce sotto di sé sia gratificare con uno sconto più alto». i produttori sia gli appassionati della birra «I vantaggi economici ci sono per ene organizza ogni anno il più autorevole tra trambi», aggiunge invece Davide Finoia, i concorsi per le migliori birre italiane. del birrificio Valsenio (località formalmen«È un fenomeno interessante – aggiunte in provincia di Ravenna, ma in realtà ad ge Luca Giaccone, degustatore Slow Food appena sei chilometri dalla Toscana, sul– perché assicura una buona base di clienl’Appennino). La sua azienda – che produti ad aziende spesso molto piccole e che hanno difficoltà a Rispetto a bar e locali i Gruppi far conoscere i propri prodotti d’acquisto solidale pagano fuori dell’ambito del proprio subito i loro ordini. E le aziende comune d’appartenenza. Tra li premiano con forti sconti

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ce appena 30 mila litri all’anno – ne serve cinque: due a Ravenna, uno ciascuno a Forlì, Imola, Valpolicella ed è in trattative con il Gas di Faenza. «I ribassi che possiamo offrire loro raggiungono il 40% ed è un prezzo più che giusto: se il Gas è ampio riesce a fare numeri interessanti, simili a quelli di un ristorante. In più ti pagano subito. E quindi non ho rischi di insoluto».

Non solo vantaggi economici Ma un matrimonio, si sa, per durare non può basarsi solo sugli interessi. Serve anche una buona comunanza di valori. E anche da questo punto di vista, pare che artigiani della birra e gasisti di punti in comune ne abbiano a sufficienza: «Credo molto nel rapporto diretto tra persone. E mi sento accomunato a loro dalla volontà di produrre in modo naturale, usando solo acqua, malto e luppolo, meglio se biologico», commenta Finoia. «È un piacere servire persone con cui si condividono gli stessi valori» aggiunge Rubelli. «In una filiera come la nostra che, per la scarsità di materie prime nazionali, non può essere corta, lavorare con i Gas garantisce un legame diretto tra consumatori e produttori. Provo orgoglio a essere cercato e considerato da queste realtà che per noi hanno un grande significato». Se non è amore questo.

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Di golpe in golpe la legalità democratica sparisce Ad agosto il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo “Codice antimafia”. Per Antonio Ingroia «un’occasione mancata» e «un lucido progetto istituzionale per accentrare tutto il potere nelle mani di pochi». di Paola Baiocchi HIAMATO CON UNA certa enfasi sti all’estero. Viene considerata vessatoria – e Nuovo codice antimafia, è stanon garantista – la norma che revoca un beto approvato dal Consiglio dei ne confiscato e già assegnato e inaccettabili ministri ai primi di agosto, in via definitiva, molti altri punti introdotti. il Decreto legge che raccoglie in un Testo Sull’efficacia e la portata di questo Testo unico la legislazione antimafia. Dopo molte abbiamo parlato con Antonio Ingroia, proprese di posizione provenienti dal mondo curatore aggiunto della procura distrettuale dell’antimafia, dalla magistratura più impe- antimafia di Palermo, sua città natale dove – gnata sul fronte della malavita organizzata a giovanissimo – ha cominciato a lavorare a settori della politica, ma anche dalla società fianco del giudice Paolo Borsellino. civile e dall’associazionismo, sono state introdotte alcune modifiche al testo originale. Ci sono state alcune modifiche riMa restano forti le critiche sul limite temspetto al testo originale. Hanno apporale: troppo pochi due anni e mezzo al massimo tra il sequestro Oggi la mafia è soprattutto e la confisca dei beni dei mafiosi, finanziaria. Ma nel nuovo trattandosi di accertamenti comCodice non si attaccano plessi su patrimoni spesso nascole relazioni con la finanza

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portato sostanziali miglioramenti? Alcune parti sono state stralciate e rinviate a un ipotetico futuro Disegno di legge (chissà se mai vedrà la luce come esito di un confronto parlamentare) e sono state modificate alcune parti del testo. Non c’è più qualche norma esageratamente deleteria, ma il mio giudizio personale rimane negativo: siamo di fronte a un’occasione mancata, perché, invece di “assemblare” varie leggi, si poteva adeguarle, coordinarle e avviare un testo organico che fosse il riflesso di una volontà politico-legislativa di colpire al cuore il sistema di potere mafioso. Invece si è scelto di non fare un passo avanti: in questo momento la mafia è soprattutto mafia finanziaria, mafia dei colletti bianchi. Quindi gli interventi che bisoANNO 11 N.93

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pluriennali, mettendoli al riparo dall’oscillazione dei prezzi». E c’è poi il problema del credito: molti impianti, a dire il vero, partono sottodimensionati (meno di cinque ettolitri), «troppo piccoli per sostenere i costi fissi» dice Giaccone. E vanno quindi in sofferenza dopo meno di un anno. Ma i finanziamenti spesso non vengono concessi nemmeno a iniziative estremamente interessanti. «La realtà è che se non hai le spalle coperte di


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L’ANTIMAFIA IN DIGESTO 213.297 CARATTERI, 31.668 parole, il Decreto legge definitivamente approvato dal Consiglio dei ministri il 3 agosto scorso ed entrato in vigore il 7 settembre, è più breve del testo con il quale Flaubert ha illustrato le passioni di Madame Bovary. Se fosse impaginato in una buona edizione con caratteri ben leggibili e buona interlinea, sarebbe un libretto di 120 pagine. Numeri piccoli per essere veramente un codice, certo più abbondanti della legge del marchese del Grillo (“Io so’ io e voi non siete un c...”) ma non innovativi. Franco La Torre, figlio del politico comunista ucciso dalla mafia nel 1982, si è espresso molto criticamente nei confronti del Decreto legge, perché depotenzia la confisca dei patrimoni mafiosi, uno dei provvedimenti più incisivi introdotti dalla legge Rognoni-La Torre: «Porre un termine perentorio di due anni e sei mesi nei quali definire in primo e secondo grado i giudizi sul sequestro e sulla confisca dei beni, vuol dire che ti prepari a ridare indietro i beni confiscati». Verificare l’effettiva provenienza illecita dei patrimoni, infatti, comporta rogatorie internazionali, indagini bancarie, perizie contabili, audizioni di decine di collaboratori di giustizia in località protette. Per questo le associazioni antimafia hanno definito questa norma contenuta nel “nuovo codice” un regalo alle mafie. Il testo è leggibile all'indirizzo http://www.altalex.com/index.php?idnot=53421

gna privilegiare sono quelli di un’aggressione alle relazioni tra mafia e politica, tra mafia e finanza. In questo cosiddetto “Codice antimafia” non c’è assolutamente nulla che vada in questa direzione.

ze, in base al principio di reciprocità, diversi Paesi si sono rifiutati di eseguire provvedimenti di confisca emanati dalla magistratura italiana nei confronti di organizzazioni operanti sui loro territori.

Si era parlato della necessità di moNei fatti diventiamo una specie di dificare l’articolo 416 ter, che punipiattaforma off shore... sce il voto di scambio, ma solo se il La legge Rognoni-La Torre, che nel 1982 politico offre danaro al mafioso, praaveva introdotto il reato di associazione tica poco diffusa, mentre abbiamo vimafiosa, in particolare con l’articolo 416 sto il diffondersi di concessioni di fibis, ha dato una svolta alla legislazione annanziamenti pubblici, di appalti, di timafia in Italia ed è stata un termine di riassunzioni. Manca ancora il reato di ferimento e di paragone per le legislazioni autoriclaggio, con cui punire chi reindi altri Paesi. Quindi, dopo aver avuto un veste il danaro proveniente dagli ilruolo di laboratorio di nuove prassi giudileciti che ha commesso... ziarie, investigative e legislative dell’antimafia, l'Italia sta diventando una luogo di Non c'è nulla di tutto questo, né il concorretroguardia. Fronteggiamo la so esterno in associazione maLIBRI mafia militare con professionafiosa è stato riconfigurato in lità e competenza paragonabili reato autonomo, cosa che potea quelle delle agenzie di altre va rappresentare un riferimento nazioni. Ma siamo arretrati nel importante anche per le legislacombattere la mafia nelle sue zioni internazionali. Sull’autoriforme più moderne. ciclaggio siamo perfino più indietro di tanti altri Paesi. Così Antonio Ingroia come non si è ancora recepita la L’Associazione nazionale dei Nel labirinto direttiva comunitaria che dofunzionari di polizia segnala che degli dèi vrebbe imporre a ciascuno Stato vengono cancellate le norme Saggiatore, 2010 membro di eseguire dentro il che regolano l'ingresso nella Diproprio territorio nazionale i provvedimenti di confisca emaL’Italia era un riferimento nati da un altro Paese membro. Il nella legislazione antimafia, risultato del non recepimento itaoggi è arretrata contro liano è che in parecchie circostanla mafia più moderna

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rezione investigativa antimafia per concorso e merito. Anche questo intervento su reclutamento e progressione in carriera all’interno delle forze di polizia non è un provvedimento "stravagante”, ma rientra in una riscrittura del sistema di accesso ai vari gangli istituzionali, operato sia all’interno del potere esecutivo (grazie al sistema elettorale maggioritario) che all’interno di quello legislativo. Con una verticalizzazione nel controllo del potere verso i vertici gerarchici. Tutto alla fine risponde a un unico centro decisionale, che si concentra nel potere esecutivo. Se colleghiamo tutto questo con il progetto di riforma della Giustizia – che tende a sottrarre potere a un potere diffuso come quello della magistratura, diviso in tanti Pubblici ministeri autonomi e indipendenti sul territorio, e accentrarlo e centralizzato, dando esclusivamente alle forze di polizia (questo prevede il progetto di riforma della Giustizia) il potere di iniziativa delle indagini e quindi di avvio dei procedimenti penali – si capisce come le due cose si leghino e abbiano come obiettivo la centralizzazione nelle mani del potere esecutivo di tutto, compreso l’esercizio del potere giudiziario. Perché se un Pubblico ministero non può iniziare un’indagine se non c’è una denuncia da parte delle forze di polizia e se nel contempo si riformano le forze di polizia centralizzandone l’ascesa in carriera sempre nelle mani del governo, si capisce come questo nasconde un lucido progetto istituzionale di accentramento di tutto il potere nelle mani di pochi. Come possiamo richiamare l'attenzione dei cittadini sul fatto che molte regole siano saltate e molti diritti vengano compressi nel silenzio e nell’indifferenza generale? La raccolta di firme per la modifica del sistema elettorale può servire? Non compete a un magistrato esprimere delle valutazioni con implicazioni di tipo politico. Però non c’è dubbio che il senso – come è stato spiegato dai promotori del referendum – è quello di attendersi dai cittadini un segnale di insofferenza verso questo reclutamento dall’alto, funzionale all’accentramento di potere nelle mani del solo governo.

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Lotta alle mafie Si riparte dalla Puglia La rete criminale trae forza dal suo intersecarsi con il sistema legale. A Otranto si cercano strumenti per la legalità. Baranes:

Alcuni momenti dell’Otranto legality experience, il festival della legalità andato in scena dal 5 all’11 settembre in Puglia, tra Otranto e Lecce. Curatore culturale, Vittorio Agnoletto.

«Soluzioni tecniche esistono, spesso manca la volontà politica». di Valentina Neri etori abbiano l’impressione di avere le mani merso in questi giorni pulite». È il caso, appunto, delle mafie che gedi lavoro è che la vastiscono lo smaltimento illegale dei rifiuti: stità della zona grigia (della finanza, ndr) è pauna rete globale che coinvolge aziende e fonri a quella della zona lecita. Esiste tuttavia uno di d’investimento, arrivando addirittura a inspazio di intervento per la finanza etica: per tascare i fondi europei per poi stornarli sul questo la società civile deve spingere sulla pomercato del narcotraffico. La rete criminale, in litica e sulle istituzioni internazionali». È quesintesi, trae forza proprio dal suo intersecarsi sto il bilancio tracciato da Vittorio Agnoletto, col sistema legale. A offrire uno sguardo su curatore culturale di Otranto Legality Expequesta realtà è proprio Toxic Europe, co-prorience, che dal 5 all’11 settembre ha portato in dotto da Flare, il network internazionale di Puglia centinaia di studenti, cittadini attivi ed Ong che – insieme a Libera, Comuni di Otranesponenti di spicco del mondo economico, to e Lecce, Regione Puglia e Commissione eupolitico e accademico per discutere il tema ropea – figura fra i promotori di Otranto Ledelle infiltrazioni della criminalità organizzagality Experience. ta in una finanza globalizzata e, in quanto taUn’esperienza che si distingue da un le, transnazionale e difficile da regolamentare. “semplice” convegno per la sua struttura pe«La mafia – ha spiegato Cecilia Anesi, auculiare, che affianca il Public Forum (le confetrice del documentario Toxic EuSOLDI BUONI, SOLDI CATTIVI rope, presentato nel corso della manifestazione – è molto diversa DAL 13 OTTOBRE AL 10 NOVEMBRE A SAVONA dall’immaginario di coppola e luCinque incontri (cinque giovedì) per discutere di mercati finanziari, riciglaggio, mafie ed economia, organizzati para. È la mafia dei colletti bianda Libera Savona, con la Fiba Cisl, il Git di Banca Etica chi, che, per entrare in contatto di Savona-Imperia, altre associazioni locali e l’Arci. Partner ufficiale: il Comune di Savona. con l’imprenditoria legale, mette www.associazionedondiana.it in campo una serie di intermeinfo@associazionedondiana.it diari, per far sì che gli imprendi-

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ELEMENTO PRINCIPALE

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renze vere e proprie) al Summer Camp, in cui duecento giovani hanno elaborato proposte innovative da sottoporre alle istituzioni dell’Unione europea. Perché «le soluzioni tecniche – spiega Andrea Baranes, responsabile della Campagna per la riforma della Banca mondiale – già esistono: spesso a mancare è la volontà politica di metterle in pratica». Bisognerebbe, ad esempio, trovare un coordinamento fra gli apparati giudiziari dei diversi Stati; oppure appianare le enormi differenze tra i sistemi di tassazione, che consentono l’esistenza di paradisi fiscali che accolgono enormi flussi di capitali di provenienza illecita; o ancora, potenziare la possibilità di riuso sociale dei beni confiscati alle mafie, che troppo spesso rimangono bloccati dalle ipoteche bancarie e non vengono, di fatto, restituiti alla popolazione. In questa direzione insiste don Luigi Ciotti, presidente di Libera: «Assumendo un dato molto prudente ma veritiero, gli introiti in senso stretto di mafie, corruzione pubblica, riciclaggio, lavoro nero ed evasione ammontano a 560 miliardi di euro. Si dice che non ci sono i soldi per le politiche sociali, per le fasce deboli, per i servizi? È lì che bisogna andarli a prendere».

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internazionale

Spagna/Indignados. La partecipazione senza rappresentanza >58 E se il Sudafrica nazionalizzasse le banche? >60 Crisi archiviata per i ricchi del Pianeta >62

| ispano-America |

Parque de la memoria a Buenos Aires: in una grande area nei pressi della città universitaria, è appena stato realizzato un parco della memoria al quale hanno contribuito decine di artisti che hanno donato le loro opere. Sullo sfondo il mare dove sono stati gettati durante i “voli della morte” migliaia di oppositori al regime miitare.

L’altra

faccia

dell’America

di Luca Parenti

Sembra scontata la vittoria di Cristina Fernández Kirchner alle presidenziali del 23 ottobre. A 35 anni dalla fine della dittatura militare l’Argentina guarda avanti, ma continua a fare i conti con il suo passato in cui anche la tortura e i desaparecidos sono stati utilizzati per trasformare economicamente il Paese, secondo i dettami della scuola di Chicago.

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MILIONI di argenti-

ni si recheranno alle urne il 23 ottobre per le elezioni presidenziali. La presidente uscente, Cristina Fernández Kirchner del Partido justicialista peronista, candidata nella coalizione Fruente para la victoria, è avviata alla riconferma dopo aver ottenuto il 50,24% delle preferenze alle primarie di agosto (le prime della storia argentina) mentre i restanti sei candidati insieme non hanno raggiunto il 46%. Gli scandali dell’ultimo periodo, principalmente quello dei finanziamenti pubblici fatti sparire dall’amministratore delle Madri di Plaza de Mayo, l’influente associazione che ha appoggiato sia la presidenza di Néstor che di Cristina Kirchner, non hanno scalfito il consenso nei confronti della politica di governo che ha recuperato molte delle imprese e dei servizi pubblici che erano stati svenduti o smantellati, seguendo i dettami della dottrina economica della scuola di Chicago, costruendo grandi diseguaglianze sociali, a partire dagli anni della dittatura militare (1976-1983) fino al default del 2002.

UGO PANELLA

Il saccheggio dell’Argentina

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La Ley de Reforma del Estado del 18 agosto 1989 autorizzava l’allora presidente Carlos Menem a privatizzare le imprese di Stato. Con la giustificazione di un Paese sull’orlo della bancarotta a causa del debito estero salito a 63 miliardi di dollari, questa legge diede il via alla “rivoluzione produttiva”, che portò in otto anni più di 150 imprese statali e provinciali a essere cedute al capitale privato, nel 57% dei

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| internazionale | casi straniero. In quegli anni hanNella “privatizzazione” delle no cambiato proprietà televisioimprese statali l’Argentina ha ni, radio, canali navigabili, porti, perso più di 30 miliardi di dollari. autostrade, servizi telefonici, idriLicenziati 150 mila lavoratori ci, elettrici, postali, di trasporto ferroviario e aereo. E, naturalmente, le perle chner non ha ripreso la vecchia azienda pedel sistema nazionale economico argentino: trolifera di Stato, oggi nelle mani di Repsol, la compagnia petrolifera e quella del gas. e ha promosso la nascita di Enarsa, che dal Nella svendita delle imprese statali l’Ar2005, in collaborazione con la Pdvsa del Vegentina ha perso più di 30 miliardi di dollari. nezuela e altre compagnie sudamericane, Il processo fu tanto rapido che non venne partecipa ad attività esplorative off-shore, nemmeno redatto un inventario, non furono con l’obiettivo di creare una compagnia socertificati gli introiti delle imprese, mentre lo vranazionale. Le telecomunicazioni rimanStato se ne accollava i debiti. Gli investimengono nelle mani di Telefónica e Telecom, ti delle compagnie straniere, che avrebbero anche se resta da vedere cosa accadrà quandovuto sostituire quelli di uno Stato senza rido (e se) entrerà in funzione la nuova legge sorse, rimasero solo sulla carta, ma 150 mila sui servizi di comunicazione audiovisiva che lavoratori furono licenziati per “razionalizzaridimensiona il peso dei grandi gruppi imre” e rendere “efficienti” le aziende. prenditoriali e amplia gli spazi e le frequenze delle organizzazioni comunitarie.

Energia e telecomunicazioni I governi di Néstor Kirchner e Cristina Fernández si sono mossi conseguendo successi nel restituire allo Stato un ruolo centrale, senza però ricorrere automaticamente alla nazionalizzazione delle imprese svendute e spesso spogliate dalle multinazionali. Nel caso di Ypf, ad esempio, il governo Kir-

Imprese recuperate Tra le imprese recuperate, invece, vi sono le poste, i servizi idrici, lo spazio radioelettrico, una parte delle ferrovie, la compagnia di volo. Il servizio postale, venduto nel 1997 al gruppo Macri dell’attuale governatore di Buenos Aires Mauricio Macri, è stato recupe-

rato nel 2003 dallo Stato a causa dei disservizi e dei mancati pagamenti del canone. Nel 2006 la gestione dei servizi idrici è passata all’impresa statale AySA, dopo la fallimentare gestione, cominciata nel 1993 da parte di Aguas Argentinas, consorzio gestito dalla francese Suez e dalla spagnola Aguas de Barcelona, che avevano aumentato le tariffe dell’88% senza migliorare ed espandere i servizi. Una delle statalizzazioni simbolo del nuovo corso è stata infine quella di Aerolíneas Argentinas, recuperata da Cristina Fernández nel 2008, al prezzo di un dollaro. Era stata svenduta alla spagnola Iberia nel 1990, quando rappresentava una delle migliori compagnie al mondo, libera da debiti e con una redditività di 90 milioni di dollari l’anno. Dopo un drastico taglio del personale e dopo averla riempita di debiti, Iberia l’aveva ceduta al gruppo Marsans che aveva continuato lo spoglio dell’azienda. Al momento della sua rinazionalizzazione, i tribunali avevano stabilito per Aerolíneas Argentinas un valore negativo di 622 milioni di dollari, senza contare quasi un miliardo di dollari di debiti accumulati dalla compagnia spagnola.

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UGO PANELLA

La militanza della memoria

IN RETE

Sono almeno 30 mila i desaparecidos uccisi tra il 1976 e il 1983. di Gianpiero Magnani

recidos argentini ha reso drammaticamente attuale quello che sembrava non potesse più accadere dopo Auschwitz, ma che è accaduto di nuovo, trent’anni dopo: la ricomparsa dei campi di concentramento e lo sterminio di migliaia di innocenti. I numeri della vicenda, oscurata durante tutta la dittatura militare argentina, dal 1976 al 1983, sono impressionanti: almeno 30 mila morti in sette anni, in massima parte uccisi con i “voli della morte”, cioè buttati in mare aperto da aerei in volo notturno ad alta quota, in modo che nessuna salma potesse più essere ritrovata; un genocidio re-

so possibile da un’organizzazione militare parallela alle istituzioni ufficiali che riuscì ad organizzare qualcosa come 520 centri clandestini nel Paese, di cui oltre 300 veri e propri campi di concentramento, il più importante dei quali, l’Esma (in cui vennero detenute e torturate cinquemila persone) ubicato in pieno centro a Buenos Aires! Di quei 30 mila morti si stima che almeno 500 fossero giovani madri, sequestrate in stato di gravidanza, costrette a partorire nei campi di concentramento prima di essere uccise, mentre i loro figli furono rapiti e adottati illegalmente; di questi figli, meno di un centinaio furono ritrovati, grazie all’esame del Dna, negli

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A SPAVENTOSA VICENDA dei desapa-

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J. Ithurburu, C. Colombi (a cura) Vite senza corpi. Memoria, verità e giustizia sui desaparecidos italiani all’ESMA Edizioni Gorée, 2011

Foto realizzate nel museo del Parque de la memoria: locandina che richiede il processo dei giudici complici dei militari. Accanto: i desaparecidos in una video installazione e una manifestazione delle Madres de Plaza de Mayo.

anni successivi alla fine della dittatura. Su un totale di 30 mila morti, si stima che non più di duemila fossero oppositori del regime. Tutti gli altri erano solo giovani, in gran parte studenti delle scuole superiori e dell’università, con l’unico delitto di essersi impegnati in attività sociali, sindacali o politiche, e quindi di essere considerati “nemici oggettivi” dalle autorità militari.

I processi italiani Si pensa anche che diverse migliaia di vittime fossero di origine italiana e alcune con cittadinanza solo italiana, cosa che permise a un piccolo gruppo di nostri penalisti, guidati dall’avvocato milanese Marcello Gentili, di intentare processi penali nel nostro Paese in cui i familiari italiani delle vittime erano parti lese. Questi processi, che si con-

clusero con le condanne definitive all’ergastolo per crimini contro l’umanità di esponenti di primo piano della dittatura, permisero la riapertura dei processi in Argentina, dopo che amnistie e indulti avevano coperto per anni ogni responsabilità, concedendo la “grazia preventiva” a tutti i criminali. Il libro “Vite senza Corpi”, pubblicato a maggio di quest’anno dalla casa editrice |

Gorée di Siena, affronta, grazie a diversi interventi scritti dai protagonisti italiani di quei processi, gli aspetti non solo legali e storici, ma anche morali e psicologici, di quello che è stato il più grave genocidio che l’Occidente abbia vissuto dopo l’olocausto nazista e che, purtroppo, ha riproposto con drammatica attualità l’affermazione di Primo Levi: “Ciò che è accaduto una volta può ripetersi”. Il libro invita a una costante attività di “militanza per la memoria”, esemplarmente descritta nell’intervento di Vera Vigevani Jarach, rifugiatasi in Argentina nel 1939 per sfuggire alle leggi razziali, che ebbe prima il nonno deportato e ucciso ad Auschwitz, poi la figlia Franca sequestrata nel 1976, portata all’Esma e anche lei uccisa in una tragica ripetizione della stessa identica crudeltà umana. Militanza della memoria, dunque, che diventa indispensabile perché storie come queste non abbiano davvero mai più a ripetersi.

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| internazionale | UGO PANELLA

| internazionale | A sinistra: l’entrata del Garage Olimpo, ultima destinazione prima dell’Esma. Dall’alto in basso: una delle mamme di Plaza de Mayo. Dora Salas, giornalista che è stata detenuta e seviziata al Club Atletico. Una delle abuelas (nonne) impegnate ora nella ricerca dei nipoti.

LA BELLA STAGIONE DELLA PROTESTA IN CILE DOPO TRE MESI DI MANIFESTAZIONI e scioperi che hanno bloccato scuole e università, dopo le dimissioni del ministro dell’Istruzione, dopo la morte di un giovane ucciso da un carabiniere durante un corteo e quasi duemila arresti, alla fine di agosto il presidente Sebastián Piñera, ai minimi storici come percentuali di gradimento, ha incontrato gli studenti. Il movimento ha ottenuto che la trattativa si svolgesse sulla base di tre punti: fine della repressione, trasparenza nelle negoziazioni e nessun progetto di riforma senza prima la consultazione con i rappresentanti degli studenti. Gli obiettivi degli studenti sono alti e non riguardano solo la riforma dell’educazione che vogliono gratuita e pubblica, ma consistono anche nella riscrittura della Costituzione nata dalla dittatura pinochettista e un maggior ruolo del pubblico nell’economia soprattutto nel settore minerario, i cui profitti sono saliti dopo l’impennata dei prezzi del rame. La protesta deve molto del rilevo mediatico internazionale al bel volto di Camila Vallejo, comunista neoeletta presidente della Federazione degli studenti (FeCh). Tuttavia non è l’aspetto fisico quello che affascina e letteralmente buca lo schermo durante le trasmissioni, ma la lucidità dei contenuti e la determinazione con i quali Camila li esprime; la denuncia delle infiltrazioni di carabineros tra i manifestanti e, quindi, delle responsabilità del ministro degli Interni; la sua puntualizzazione continua di fronte alla personalizzazione della politica sulla quale i media spingono, essere l’espressione di un collettivo e di un movimento che è maturato in sei anni e ha mostrato un’inedita capacità di organizzarsi e di collegarsi a sindacati, lavoratori e organizzazioni di volontariato, anche religiose. Dopo tre golpe militari – nel 1924, nel 1932 e nel 1973 – finalmente una bella Paola Baiocchi stagione in Cile.

VIDEO 250mila persone in piazza a Santiago il 30 giugno www.youtube.com/watch?v=K4NaAJbsYZs&feature=youtube_gdata grave repressione degli studenti www.youtube.com/watch?v=yLH62PasNCc&feature=related carabineros infiltrados www.youtube.com/watch?v=ezsgFh4uX5A&feature=related

IL SERVIZIO FOTOGRAFICO DI UGO PANELLA

Spagna/Indignados La partecipazione senza rappresentanza

LE FOTO PUBBLICATE IN QUESTE PAGINE sono state realizzate dal fotografo italiano Ugo Panella, che si è recato in Argentina per il 35mo anniversario della caduta del regime militare, avvenuto in conseguenza della sconfitta della guerra per il controllo delle isole Malvinas con la Gran Bretagna. Per l’Argentina è stata un’occasione di confronto con il suo passato. Quelli dal 1976 al 1983 furono gli anni della guerra sucia (la guerra sporca) un programma di repressione violenta, attuato con lo scopo di stroncare qualunque forma di protesta nel Paese, organizzato e condotto dalla giunta militare argentina, capeggiata da Jorge Rafael Videla e dai suoi successori Roberto Viola, Leopoldo Galtieri e Reynaldo Bignone. Fu un piano strategico di più ampio respiro che coinvolse negli stessi anni Cile, Perù, Brasile, Bolivia, El Salvador, Guatemala, i quali aderirono al Piano Condor, che prevedeva alleanza e sostegno militare da parte degli Stati Uniti alle dittature militari del Sud e Centro America, per contrastare e debellare il pericolo di una diffusione, in quell’area geografica, delle ideologie marxiste.

Il Psoe al governo in Spagna è crollato nelle amministrative di maggio, dopo le proteste degli indignados e per l’inadeguatezza delle sue risposte alla crisi. Nelle elezioni parlamentari di novembre la protesta sarà rappresentata? di Paola Baiocchi I SVOLGERANNO il 20 novembre le elezioni per il rinnovo del Parlamento spagnolo, anticipate rispetto alla scadenza di marzo 2012. In molti hanno fatto notare che il 20 novembre è il 36mo anniversario della morte di Francisco Franco, ma il primo ministro socialista Zapatero, ha fatto sapere che la coincidenza è casuale. Zapatero ha scelto di non ricandidarsi, uscendo di scena per evitare l’azzeramento del Psoe dopo il disastroso risultato alle am-

ministrative del 22 maggio: sul suo operato, oltre che sul suo partito (definito misma mierda rispetto all’oppositore Pp), si sono centralizzate molte delle critiche espresse dagli indignados a partire dal 15 fino al 21 maggio, quando hanno occupato decine di piazze, a

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VIDEO ON LINE #SPANISHREVOLUTION vimeo.com/24395865 www.italianrevolution.org www.democraciarealya.es

cominciare da Plaça del Sol a Barcellona, prima di essere sgomberati a manganellate. I giovani spagnoli hanno fatto irruzione nella vita politica iberica occupando le piazze con una scelta dei tempi che offre spunti di riflessione: mettere tra le principali rivendicazioni la modifica del sistema elettorale, proprio la settimana prima delle elezioni, è stato intempestivo e ha consegnato il Paese all’opposizione. Ma la loro protesta organizzata, poetica e colorata, il loro rivendicare un ruolo e un fu-

turo, ha trovato l’entusiastico appoggio dell’80% degli spagnoli. L’appoggio al movimento 15-M (15 Maggio, ndr) è arrivato dai nonni che hanno lottato contro il franchismo, è arrivato da chi non è giovane, ma guarda a loro con attesa per cambiare un panorama politico bloccato dal bipolarismo, che, dalla caduta del regime di Franco, ha visto alternarsi Partito Popolare (Pp) e Partito Socialista, con l’esclusione dei partiti minori, che escono penalizzati da un sistema elettorale con le preferenze bloccate e con la ripar-

tizione dei seggi in base al metodo d’Hondt. «Il 15-M si definisce una rivoluzione etica», spiega Cristina Artoni, giornalista italiana che lavora a Barcellona «e potremmo aggiungere che è ormai una corrente di pensiero che attraversa tutto il Paese. È un movimento per una nuova cittadinanza e non si limita alle giovani generazioni. Si sta muovendo con attenzione – aggiunge la Artoni – lo dimostra il fatto che, dopo lunghe assemblee in cui è stato dato spazio alle diverse posizioni, hanno deciso di non indire inizia|

tive di contestazione alla visita del Papa». Il movimento spagnolo, intanto, ha lanciato una giornata di mobilitazione internazionale per il 15 ottobre, alla quale stanno aderendo anche partiti e molte sigle del sindacalismo di base italiani ed europei. Grandi attese, quindi, e grande volontà di partecipazione, che a novembre dovranno fare i conti con la mancanza di rappresentanza e con la mancanza di tempo per organizzarne una: al momento si prevede, infatti, un trionfo del Pp.

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| internazionale | proposte |

| internazionale | SIPHIWE SIBEKO / REUTERS

E se il Sudafrica nazionalizzasse le banche? La proposta di nazionalizzare le banche sudafricane ha il sapore della provocazione, visto che a lanciarla è Julius Malema, discusso leader giovanile dell’Anc. L’obiettivo successivo alla nazionalizzazione delle banche dovrebbe essere rendere pubbliche le miniere, principale risorsa del Paese.

UN PAESE CHE CRESCE TRA MILLE CONTRADDIZIONI

di Andrea Barolini

N

Obiettivo miniere

scorse settimane che la manovra non dovrebbe riguardare attori secondari della finanza locale, bensì comprenderne i principali protagonisti: da Standard Bank Group, a Nedbank, a First National Bank. Il trentenne numero uno della Youth League ha precisato, infatti, che «non sarà possibile rendere pubbliche le miniere senza prendere prima il controllo delle banche. Per questo siamo chiamati a combattere affinché le risorse del Paese siano finalmente nelle nostre mani e non in quelle del settore finanziario». Se lo Stato fosse in grado di controllare i giacimenti, in effetti, potrebbe gestire direttamente i business legati a quelle che sono le più grandi e ricche miniere al mondo di metalli come platino, cromo e manganese. Un “margine” (economico e politico) che consentirebbe - almeno sulla carta - di fornire risposte ad alcuni dei problemi più pressanti in Sudafrica: la disoccupazione giovanile, la povertà che caratterizza ancora vaste sacche della popolazione e le disuguaglianze che negli ultimi anni si sono inasprite. In ogni caso si tratterebbe di un’occasione. E allora come mai Zuma si mostra così contrario? La lobby finanziaria locale si è già fatta senti-

Malema - nonostante la reazione freddissima del primo ministro Jacob Zuma, che si è affrettato a dichiarare che la proposta non è all’ordine del Disoccupazione al 24%, vaste giorno - sembra intenzionato a sacche di povertà e forti tirare dritto. E, anzi, ha perfino diseguaglianze caratterizzano rilanciato, sottolineando nelle il Paese africano | 60 | valori |

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IL PAESE IN CIFRE Prodotto interno lordo (in $) 524 mld (2010), +2,8% 509,8 mld (2009), -1,7% 518,5 mld (2008), +3,6% Settori produttivi (peso sul Pil nel 2010) Agricoltura: 3% Industria: 31.2% Servizi: 65.8% Disoccupazione 23.3% (2010) 24% (2009)

re? O si teme una “rappresaglia” da parte dei potentati internazionali?

Un’economia in stallo Difficile dirlo. Più facile è tracciare i contorni di quella che è un’economia ancora in enorme difficoltà. I sostenitori di una nazionalizzazione bancaria generalizzata, infatti, ricordano come il tasso di disoccupazione nel Paese africano sia ancora al 24% (sebbene in leggera discesa). E che il prodotto interno lordo, seppur in crescita, è trainato fortemente dalle esportazioni e non dall’apporto domestico. Non a caso, il comparto manifatturiero ha creato 70 mila posti di lavoro nell’ultimo trimestre del 2010, mentre quello finanziario ha segnato

Popolazione sotto la soglia di povertà 50% (2000) Debito pubblico (in rapporto al Pil) 33,2% (2010) 29,7% (2009) Tasso di inflazione 4,5% (2010) 7,2% (2009)

FONTE: CIA - THE WORLD FACTBOOK

AZIONALIZZARE LE BANCHE. In un Paese occidentale una proposta del genere sarebbe presa per una boutade, o per una provocazione. In Sudafrica no. Julius Malema, giovane leader anti-capitalista e anti-occidentale del principale partito del Congresso nazionale, la Youth League, la Lega dei giovani, ripete da mesi la sua ricetta per riformare il sistema economico del suo Paese: «Occorre un ampio piano di nazionalizzazione del sistema bancario». Ma, attenzione: il problema, in questo caso, non ha nulla a che vedere con le difficoltà incontrate negli ultimi anni dagli istituti di credito del Nord del mondo. In Europa e negli Stati Uniti a convincere i governi a entrare nel capitale delle banche sono state le stesse condizioni del settore, colpito in pieno dalla bolla-subprime. Nella prima economia africana, invece, l’obiettivo è un altro: prendere il controllo dei capitali e delle strutture finanziarie nazionali per procedere a una seconda maxi-acquisizione: quella delle miniere sparse sul territorio nazionale.

IL SUDAFRICA è la prima economia del Continente africano; è uno dei pochi Paesi a poter vantare un buono sviluppo finanziario, energetico e nei settori dei trasporti e delle comunicazioni. Una buona stabilità macroeconomica ha garantito inoltre una crescita robusta tra il 2004 e il 2007. Successivamente, insieme alla crisi finanziaria internazionale, il Sudafrica ha dovuto fronteggiare gravi problemi energetici dovuti all’età di alcuni impianti della compagnia elettrica statale Eskom, che hanno provocato difficoltà nell’erogazione del servizio. Ciò nonostante, nel 2008 il prodotto interno lordo è cresciuto del 3,6%, per poi subire una contrazione dell‘1,7% nell’anno successivo e riprendersi nel 2010 (+2,8%). A rimanere molto alta è la disoccupazione: quasi un quarto dei cittadini è in cerca di un impiego. E solo poco più di dieci anni fa metà della popolazione figurava al di sotto della soglia di povertà. Oggi oltre il 25% dei cittadini riceve sussidi sociali da parte dello Stato.

una perdita di 31 mila posti. Il che indica, da un lato, la dipendenza dall’andamento della domanda globale (a forte rischio, viste le difficoltà del mondo occidentale). Dall’altro la mancata creazione di un mercato interno sufficientemente solido. Fattori sui quali Malema ha fatto leva: «La sua tattica è di proporsi come il difensore dei diritti dei poveri», ha spiegato all’Afp la politologa Susan Booysen, dell’università di Witwatersrand. E così il leader politico è diventato un idolo per milioni di giovani neri senza lavoro. Ma a qualcuno la sua popolarità dev’essere risultata indigesta: e così alla fine di agosto Malema è stato rinviato al giudizio della commissione disciplinare interna al partito. «Troppo indisciplinato e pro-

vocatore», hanno spiegato i dirigenti, che puntano il dito senza remore proprio sulle proposte legate alle banche e alle miniere. Da parte sua, inoltre, il mondo finanziario non sta con le mani in mano e prepara la controffensiva. I mercati si sono detti preoccupati dall’accelerazione chiesta dal primo partito sudafricano e potrebbero fare quadrato in difesa dei propri business. Lo sa bene il governo, che si è affrettato a ribadire in più di un’occasione come la proposta di nazionalizzare il sistema bancario non sia all’ordine del giorno. Eppure i giovani militanti del partito si sono riversati di fronte al palazzo sede del “processo” a Malema. Bruciando magliette con l’effige del presidente Zuma.

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Julius Malema, presidente della Lega dei giovani dell’African National Congress, saluta i suoi sostenitori all’uscita dalla Corte di Johannesburg. Malema è stato riconosciuto colpevole di istigazione all’odio per aver cantato “Shoot the Boer” (Spara al Boero, ndr) nel corso di una manifestazione pubblica. Secondo il leader giovanile dell’Anc la decisione del tribunale è sbagliata e frutto del dominio dei bianchi, che non è ancora stato eliminato.

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Nel mondo ci sono quasi 11 milioni di persone con un patrimonio finanziario superiore a un milione di dollari. In Italia sono 170 mila. E se su questi capitali si applicasse una tassa patrimoniale? di Elisabetta Tramonto

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A CRISI È FINITA. Una frase senza

senso se si pensa agli allarmi di default per Grecia, Spagna, Italia e Portogallo; ai dati negativi su crescita e disoccupazione in molti Paesi europei o alle frequenti sedute in caduta libera delle Borse negli ultimi mesi. Eppure i ricchi del Pianeta stanno tirando un respiro di sollievo: per loro la crisi è finita. Lo dimostrano i dati contenuti nel consueto rapporto di Merrill Lynch Wealth Management e Cap Gemini sulla ricchezza nel mondo. Dalla quindicesima edizione del World wealth report emerge che nel 2010, dopo tre anni, il

numero di ricchi nel mondo è tornato ai livelli pre-crisi. Intendendo per “ricco” (Hnwi, high net worth individuals, individui dall’elevato valore netto) chi ha un patrimonio investibile immobiliare e finanziario (esclusi la casa in cui abita e i beni di consumo, durevoli e non) superiore a un milione di dollari, circa 730 mila euro. Questi Paperon de Paperoni alla fine del 2010 erano 10,9 milioni, l’8,3% in più rispetto al 2009. Complessivamente hanno tra le mani un patrimonio di 42.700 miliardi di dollari (circa 31.000 miliardi di euro), oltre metà del Prodotto interno lordo mondiale (circa 74

ITALIA INIQUA RICCHI PIÙ RICCHI E POVERI PIÙ POVERI IL DIVARIO TRA RICCHI E POVERI CRESCE e l’Italia è uno dei Paesi dove questa tendenza è più evidente: nell’Ocse siamo al quinto posto per livello di disuguaglianza complessiva, dietro a Usa e Gran Bretagna, ma davanti a Francia e Germania. Lo rivela il rapporto Growing income inequality in Oecd countries: what drives it and how can policy tackle it?, pubblicato dall’Ocse a maggio. Gli economisti di Parigi hanno dimostrato come negli ultimi vent’anni, nella maggior parte dei Paesi membri, i redditi più elevati siano cresciuti a ritmi maggiori rispetto a quelli più bassi. In Italia il coefficiente Gini (0 significa perfetta uguaglianza dei redditi, 1 indica che tutto il reddito va a una persona) è passato dallo 0,31 di metà anni Ottanta allo 0,35 di tre anni fa. Un dato tra i peggiori di Europa, che mostra come stiano aumentando le disuguaglianze economiche, ma anche sociali e culturali.

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mila miliardi di dollari nel 2010, a parità di potere d’acquisto, secondo il dati della Cia). E dove sarebbero tutti questi milionari? Più della metà (53%) sono concentrati tra Stati Uniti (3,1 milioni), Giappone (1,7 milioni) e Germania (924 mila), che restano i Paesi con la più alta concentrazione di ricchezza al mondo, seppure in netto calo. La ricchezza, infatti, sta crescendo soprattutto nei Paesi emergenti, in particolare, nell’area dell’Asia e del Pacifico, che per la prima volta ha superato l’Europa. L’India con i suoi 153 mila ricchi è entrata per la prima volta nella rosa dei 12 Paesi con il maggior numero di ricchi.

Il tesoro italiano I ricconi italiani (sempre con un patrimonio superiore 730 mila euro) nel 2010 erano 170 mila e quattrocento. Il nostro Paese viaggia controcorrente, perché i milionari, dopo essere aumentati del 9,2% nel 2009, l’anno scorso sono diminuiti del 4,7%. Ma siamo ancora tra i primi dieci Paesi al mondo per numero di ricchi. Un dato su cui riflettere quando si pensa all’attuale situazio-

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10,1 MILIONI 0,1

HNWIs (MILIONI)

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8,6 MILIONI 0,1

10,9 MILIONI 0,1

10 MILIONI 0,1

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VARIAZIONE 2009-2010 +11,1% +10,4% +6,2% +6,3%

AFRICA MEDIORIENTE AMERICA LATINA EUROPA ASIA E PACIFICO

+9,7%

NORD AMERICA

+8,6%

di Elisabetta Tramonto

POSIZIONE ‘09 1 CRESCITA HNWI 8,3% (%) 2009-2010

127 153

147 155

INDIA

ITALIA

BRASILE

179 170

174 139 AUSTRALIA

222 243 SVIZZERA

251 282 CANADA

383 396

448 454 REGNO UNITO

FRANCIA

477 535 CINA

862 924

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2009 2010

IL 53% DEL TOTALE DEI RICCHI DEL MONDO (53,5% NEL 2009)

GERMANIA

6.501 739 GIAPPONE

STATI UNITI

2.866 3.104

1980 2008 2009 2010 DOVE VIVONO I RICCHI OLTRE LA METÀ È CONCENTRATA TRA USA, GIAPPONE E GERMANIA 4.000 3.000 2.000 1.000 0

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4,7%

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20,8%

L’ITALIA E SCESA IN DECIMA POSIZIONE, SUPERATA DALL’AUSTRALIA. MENTRE L’INDIA HA FATTO LA SUA COMPARSA PER LA PRIMA VOLTA TRA I PRIMI 12, SOSTITUENDO LA SPAGNA, SCESA AL 14° POSTO.

LA VOLATILITÀ DEI MERCATI I PICCHI DURANTE LE CRISI FINANZIARIE INTERNAZIONALI CRISI FINANZIARIA MONDIALE 2008-09

3 CRISI DEL DEBITO ASIATICO CRISI RUSSA 11 SETTEMBRE 2001

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CRISI DEI DEBITI SOVRANI UE

SCOPPIO DELLA BOLLA HI-TECH

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ne di crisi che sta attraversando l’Italia. L’idea di introdurre tasse dedicate solo ai ricchi è tornata più volte durante l’estate appena finita: nelle parole del miliardario Warren Buffet, che, ha chiesto di aumentare l’imposizione fiscale ai più facoltosi. Nella proposta di Barack Obama di introdurre una “tassa sui milionari”: il 35% per chi guadagna oltre un milione di dollari all’anno. E nella Finanziaria 2011 italiana, dove è stato inserito un “contributo di solidarietà” del 3% sui redditi superiori a 300 mila euro l’anno. E se, invece, fossero tassati i patrimoni dei ricchi? L’idea di una patrimoniale è stata accantonata dal governo e secondo alcuni non sarebbe neanche così efficace: i patrimoni spesso sono immobilizzati (in case, partecipazioni di società, titoli). E in più una simile imposta favorirebbe “giochi” elusivi (i ricchi sarebbero indotti a spostare i propri capitali all’estero). Ma 170 mila persone con un patrimonio superiore a 730 mila euro sono un bel tesoretto. Una patrimoniale una tantum con un aliquota del 10 per mille significherebbe portare nelle casse dello Stato almeno 1 miliardo e 200 milioni di euro.

Tasse ai ricchi E i capitali svaniscono Quale equità dalle imposte? Risponde . Alessandro Santoro

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HNWIs (migliaia)

FONTE: CAPGEMINI LORENZ CURVE ANALYSIS, 2011

I RICCHI NEL MONDO PER LA PRIMA VOLTA DAL 2007 SUPERATI I LIVELLI PRE-CRISI

VOLATILITÀ GIORNALIERA DEL DJ WORLD INDEX (%)

Kensington Palace Gardens, uno dei quartieri più esclusivi di Londra, forse uno dei più costosi al mondo. A lungo è stata chiamata “Billionaires Row”, la via dei miliardari, a causa della ricchezza dei suoi abitanti.

FONTE: CAPGEMINI ANALYSIS, 2011, DOW JONES WORLD (W1) INDEX -DAILY CLOSE VALUES FROM JANUARY 1, 1997 TO DECEMBER 31, 2010

Crisi archiviata per i ricchi del Pianeta

JAMES VEYSEY / CAMERA PRESS

FONTE: CAPGEMINI LORENZ CURVE ANALYSIS, 2011

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E TASSE SONO UNO STRUMENTO

(forse l’unico) per ristabilire equità nella distribuzione della ricchezza. Almeno in teoria. «Finché esistono, da un lato, la libera circolazione dei capitali e, dall’altro, paradisi fiscali o Paesi a bassa fiscalità, lo strumento del prelievo fiscale è assolutamente depotenziato», spiega Alessandro Santoro, docente di Scienza delle finanze all’università Milano Bicocca. Insomma introdurre una tassa sui ricchi non servirebbe a nulla se non a spingerli a spostare la propria ricchezza in un Paese dove non viene tassata o viene tassata pochissimo. Qual è, dunque, la via d’uscita? Come riuscire a “colpire” i patrimoni dei ricchi? O si riescono a chiudere i paradisi fiscali oppure si torna sui propri passi, annullando la libera circolazione dei capitali. La prima strada è già stata percorsa, spesso con misure solo di facciata. La seconda al momento non mi pare praticabile. C’è poi una terza strada, percorsa ultimamente da alcuni governi europei, che hanno trovato un accordo con Paesi a bassa imposizione per far rientrare parte dei capitali evasi, garantendo l’anonimato dell’evasore. Lo hanno fatto Gran Bretagna e Germania, e pare anche la Francia, che hanno siglato un accordo con la Svizzera. Ma questa è una rinuncia definitiva allo scambio di informazioni sugli evasori, una resa che non può piacere dal punto di vista etico. Ma, consi-

accordo con i Paesi ‘‘ Un a bassa imposizione fiscale . per far rientare i capitali ’’ |

derando la drammaticità del momento che stiamo attraversando, forse è l’unica via, almeno per i patrimoni finanziari. Quando i mercati si saranno calmati, si potrà pensare alla sostituzione di un’imposta sulla rendita finanziaria con un’imposta sul patrimonio finanziario, come in Olanda. Non per produrre maggior gettito, semplicemente per stabilizzare il gettito, oggi molto volatile con rischio a carico dello Stato. E i patrimoni immobiliari? Sono due gli interventi possibili: reintrodurre l’Ici per la prima casa e tassare i patrimoni immobiliari ai valori di mercato, non a rendite catastali irrisorie e falsate. Quello immobiliare è un mercato dove si cristallizzano enormi ricchezze che provengono dal nero e che alimentano il nero. Per capire le dimensioni del fenomeno, il valore di mercato delle abitazioni è superiore di 3-4 volte a quello catastale. Tassando il primo integralmente si otterrebbero, in via puramente teorica, oltre 60 miliardi di maggior gettito. E sul fronte normativo? Abbiamo una tale deregolamentazione che aggirare una norma è facilissimo. Servirebbero norme antiabuso, che sanciscano un principio e non un caso specifico. Per esempio il divieto di attività il cui unico scopo è il risparmio fiscale. Basta imporre l’obbligo di dimostrare il senso economico dell’operazione effettuata. Infine si potrebbero aumentare i poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, applicando le norme antiriciclaggio anche all’evasione fiscale.

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Parole in crisi

La proposta

E se ripudiassimo il debito?

Noi siamo austeri Voi fate i seri

di Francesco Gesualdi*

di Paola Baiocchi

mentre a Roma stanno demolendo servizi, sicurezza sociale e beni comuni in nome del debito pubblico. La mia opinione è che se proprio dobbiamo andare verso il pareggio di bilancio dobbiamo farlo tassando i redditi alti, organizzando seriamente la lotta all’evasione fiscale, impedendo la fuga dei capitali nei paradisi fiscali, riducendo le spese militari, ritirandoci dalle missioni colonialistiche, riducendo gli stipendi degli eletti, eliminando gli sprechi di palazzo. Dotarsi di un sistema fiscale equo, eliminare i privilegi ed evitare lo spreco di denaro pubblico è un dovere che abbiamo indipendentemente dal debito pubblico ed è sbagliato parlarne solo quando c’è un attacco speculativo contro lo Stato. Anzi, quello è proprio il momento in cui non dobbiamo parlarne, perché altre sono le risposte da dare a banche, assicurazioni e fondi di investimento che vogliono approfittare delle difficoltà degli Stati per arricchirsi per sé. Quando questi signori, genericamente definiti mercati, pretendono di prendere gli Stati alla gola, vanno rimessi al loro posto, ricordando loro due cose: 1) la sovranità non appartiene ai mercati, ma al popolo; 2) l’interesse collettivo è preminente rispetto agli interessi individuali e se lo Stato è in difficoltà deve uscirne salvaguardando i diritti di tutti e i beni comuni. Ecco perché penso che l’unica risposta da dare alla speculazione è il congelamento del debito, ossia la sospensione del pagamento degli interessi e della restituzione del capitale in attesa che una commissione nazionale definisca qual è la parte di debito che è legittimo pagare e a chi. Una scelta sostenuta da tre considerazioni: 1) oltre l'80% del debito pubblico è detenuto da banche, assicurazioni e fondi in gran parte esteri; 2) il debito pubblico si è formato anche grazie ai contributi dati a banche e imprese per tirarle fuori dal fallimento; 3) l’ammontare degli interessi (80 miliardi di euro all’anno pari al 20% delle entrate tributarie) ha già ripagato abbondantemente il capitale prestato originariamente, pertanto si tratta di una rendita pura. Sollecito tutti ad esprimersi rispetto a questa presa di posizione, perché non è giusto finire come i polli spennati e perché non va bene che in nome dei guadagni di pochi seghiamo il ramo della democrazia su cui sediamo. Se non ci svegliamo torniamo indietro di secoli rispetto a valori come equità, solidarietà, diritti.

N VINO AUSTERO OGGI, come per i greci e per i latini, è corposo e poco vellutato. Per gli antenati poi era austero chi seguiva una rigida e severa norma di vita. Qui finisce l’etimologia e comincia la fregatura perché ormai con austerità si identificano solo le misure di taglio allo stato sociale attuate in nome della crisi globale. Dagli Stati Uniti all’Italia austerity vuol dire meno istruzione pubblica, meno assistenza ai non autosufficienti, in pensione più tardi e con meno. Insomma non più sobrietà, ma meno giustizia e più darwinismo sociale. Penso che ci abbiano “consumato” un pezzetto di territorio mentale con questa traslazione del senso di austero, a partire dal 1973, che ha visto l’11 settembre il golpe in Cile e a ottobre la guerra arabo israeliana, per cui il barile sale da 3 a 12 dollari e l’Italia si inventa l’austerity con la chiusura anticipata dei cinema, la tv senza programmi dopo le 22 e le domeniche senza auto. Misure da inquadrarsi più nella “strategia della tensione” cominciata con Piazza Fontana che per ridurre i consumi di petrolio. Parla di austerità all’Eliseo nel ’77 Enrico Berlinguer, segretario del partito comunista, ma è tutt’altra cosa e indica come uscire dalla crisi capitalistica: “[...] Una trasformazione rivoluzionaria può essere avviata nelle condizioni attuali solo se sa affrontare i problemi nuovi posti all’Occidente dal moto di liberazione dei popoli del Terzo mondo. E ciò, secondo noi comunisti, comporta per l'Occidente, e soprattutto per il nostro Paese, due conseguenze fondamentali: aprirsi ad una piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi Paesi e instaurare con essi una politica di cooperazione su basi di uguaglianza; abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario”.

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* Centro Nuovo Modello di Sviluppo

Per rispondere alla speculazione si potrebbe scegliere di congelare il debito, in attesa di decidere quale parte sia giusto rimborsare

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USA, VERSO LO STOP AL SALMONE OGM

VERSAILLES IN SALSA CINESE IL LATO CAFONE DI BIG PHARMA Gheddafi si è fatto “tanare” un bunker con piscine multistrato, troni con i grifoni intarsiati e un maxisofà dorato a forma di sirena. Saddam Hussein aveva uno yacht di 82 metri. La ridicola sovrabbondanza Jean Bedél Bokassa se l’era fatta scolpire anche nel titolo (“Imperatore del Centro Africa per volere del Popolo Centro Africano, unito nel seno del partito politico nazionale”). A qualcuno (malelingue) potrebbe venire in mente il berlusconiano mausoleo di Villa San Martino, col suo cerchio dell’amicizia che agognava – non corrisposto – la salma di Montanelli (“Domine, non sum dignus”). Per la serie: il lato cafone del potere. Che, in periodi di crisi degli Stati, intacca anche i nuovi potentati economici. Quello raffigurato nella foto è un salone di palazzo di Harbin di proprietà della Sixth Pharmaceutical. Cinese. E statale. Costruito con l’obiettivo di evocare i fasti di Versailles e della Corte dei Re francesi (a proposito: il designer saprà che fine hanno fatto?!?). La costruzione (con fondi pubblici) ha scatenato le ire di cittadini e blogger. La replica dell’azienda: “Abbiamo speso molto per progetti di tutela ambientale. E comunque abbiamo avuto grossi guadagni”. Se era uno spot sull’immoralità dei profitti è perfettamente riuscito. [EM.IS] | 66 | valori |

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EL SALVADOR, ECCO CHI UCCISE (31 ANNI FA) ÓSCAR ROMERO

ROGO NELLA BIDONVILLE DI SINAI IN KENYA

«Vi supplico, vi prego, ve lo ordino nel nome di Dio, fermate la repressione!». Bastarono queste parole, pronunciate il 23 marzo 1980 durante una storica omelia, a far convergere l’attenzione del mondo sull’arcivescovo Óscar Arnulfo Romero, autorevole voce dell’opposizione non violenta all’allora regime militare di El Salvador. Il giorno dopo Romero fu freddato nel corso di una messa per mano di un killer rimasto anonimo per oltre 31 anni. A rivelarne finalmente l’identità è stato, lo scorso 9 di settembre, il quotidiano Diario Co Latino, citando fonti vicine agli ex squadroni della morte del maggiore Roberto D’Aubuisson. L’assassino sarebbe l’ex membro della Guardia Nazionale Marino Samayoa Acosta, che avrebbe ricevuto l’ordine da Mario Molina, il figlio dell’allora presidente Arturo Armando Molina. [M.CAV.]

Una fuga di benzina da un deposito di carburanti, poi l’esplosione e l’incendio che si diffonde sul canale che attraversa la bidonville di Sinai, alla periferia di Nairobi, capitale del Kenia. È successo il 12 settembre scorso: almeno 120 i corpi recuperati, ma il bilancio è destinato ad aumentare. Inoltre il riconoscimento dei morti è difficoltoso perché il fuoco ha raggiunto velocemente le abitazioni e i corpi sono stati spesso scoperti a gruppi. Secondo la stampa locale una fuga di benzina da un deposito della Kenya Pipeline Company, si sarebbe riversata in un canale a cielo aperto. Mentre la popolazione si affollava cercando di recuperare la benzina, ci sarebbe stata l’esplosione. A questa ha fatto seguito l’incendio che si è propagato in un’area di circa mezzo ettaro, raggiungendo anche una scuola situata nel sobborgo abitato da poveri. [P. BAI.]

Un pesce in grado di raggiungere in soli sedici mesi (invece che in tre anni) le dimensioni adatte a essere messo in commercio, abbattendo i costi per gli allevatori. Del salmone Ogm, sviluppato dall’azienda biotecnologica AquaBounty Technology, si è parlato molto: e circa un anno fa la Food and Drug Administration statunitense sembrava a un passo dal via libera per la vendita. Ma le pressioni del Congresso si intensificano sempre di più, guidate dalla rappresentanza dello Stato dell’Alaska che è riuscita a bloccare i finanziamenti. E sembra proprio che questo animale non debba finire sulle nostre tavole. Almeno, non nell’immediato futuro. D’altronde, i dubbi sono tanti. Uno studio canadese ha già lanciato l’allarme: non esistono allevamenti che impediscano del tutto ai pesci di diffondersi nell’ambiente esterno. E, nel caso del cosiddetto “supersalmone”, ciò rischierebbe di “contaminare” il ceppo genetico dei pesci presenti in natura, comprometterne l’habitat e portare a squilibri nella catena alimentare, visto che gli esemplari Ogm si nutrono in misura molto maggiore rispetto agli altri. E i rischi per la salute umana sono ancora un enorme punto interrogativo. [V.N.]

DEBITI E SPERANZE, L’IRLANDA TORNA IN PISTA Mentre la Grecia affonda, il Portogallo soffre e Italia e Spagna navigano a vista, l’Irlanda torna a dare segnali di ripresa. Sprofondata in una crisi apparentemente irreversibile, l’ex “tigre celtica” ha ripreso se non a correre almeno a muoversi in controtendenza. Lo confermano i dati sulle prospettive di crescita che, sebbene piuttosto variabili tra di loro, concordano su un aspetto essenziale: per la prima volta dal 2007 il Pil irlandese tornerà ad espandersi. Secondo Davy Stockbrokers, si centrerà un +1,1% nel 2011, ed un +1,7% nel 2012. Più caute, ricorda il quotidiano Irish Examiner, le stime dell’istituto privato Bank of Ireland (+0,5% nel 2011 e +0,9 nel 2012) così come quelle espresse dalla Banca centrale, che ipotizza un +0,8% quest’anno. Alla fine del 2010, l’Irlanda ha accettato l’aiuto del Fmi avviando una forte politica di austerità. Ma non ha rinunciato alla bassa pressione fiscale (il 12,5% dei profitti) sulle imprese. Da luglio a oggi, i costi di finanziamento dello Stato sui mercati sono crollati. Le obbligazioni sovrane biennali irlandesi rendono ora meno del 9,5% contro il record storico del 23,2% registrato meno di tre mesi fa. [M.CAV.]

news

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RAPPORTO COOP DEA BENDATA, FACCI USCIRE DALLA CRISI

FREE ITALIA WI-FI: OTTO RETI SI UNISCONO

Se lo stile di vita di una famiglia si vede dal carrello della spesa, guardando quello degli italiani c’è di che preoccuparsi. È sempre meno carico di mobili, elettrodomestici, accessori elettronici (che non fa così male), ma anche di alimenti. Ed è sempre più pieno di gratta e vinci, biglietti della lotteria e slot machine. È quanto rivela il Rapporto Coop 2011 “Consumi e distribuzione”. Alla fine di quest’anno la Dea bendata avrà incassato oltre 73 miliardi di euro, quasi il 20% in più dell’anno scorso. Per tentare la sorte gli italiani spendono più che per abbigliamento e calzature, circa il 60% dei consumi alimentari. Un dato preoccupante, da un punto di vista psicologico ancor più che economico. Lo scenario generale è quello di consumi in netto calo, nel Meridione molto più che nel Nord Italia. “Il reddito delle famiglie è tornato indietro di un decennio”, si legge nel Rapporto. Le famiglie “attingono sempre di più ai propri risparmi per finanziare il consumo corrente”. Una nota positiva: la crisi fa aumentare l’attenzione agli sprechi. Al supermercato gli italiani scelgono confezioni più piccole, riempiono meno il frigo di cibi freschi (meno carne, pesce, frutta e verdura) e acquistano meno acqua minerale in bottiglia, detersivi e stoviglie di plastica. [E.T.]

Roma, Sardegna, Venezia, Prato, Grosseto, Genova, Torino, Gorizia: otto aree territoriali, un’unica grande rete wi-fi. Una notizia del genere potrebbe essere scontata altrove. Non nel Paese in cui attuare un’idea semplice è tutt’altro che semplice. Le otto amministrazioni locali hanno inaugurato Free Italia WiFi: ognuna aveva già offerto ai propri cittadini la possibilità di collegarsi gratuitamente agli hot spot sparsi nel proprio territorio. Ora, grazie al nuovo sistema integrato d’identificazione promosso dalla Provincia di Roma col supporto del consorzio interuniversitario Caspur, gli utenti registrati in una delle otto località potranno accedere alle altre reti federate, sempre gratis, senza doversi registrare di nuovo. 1.109 hot spot per 215 mila utenti. Tutte le amministrazioni si sono, tra l’altro, impegnate a garantire agli utenti delle reti federate almeno 300 MB di traffico e/o due ore di navigazione giornaliere gratuite. E a Free Italy WiFi aderiranno ben presto altre città, dopo aver superato i passaggi amministrativi e tecnici necessari all’interconnessione. Sulla rampa di lancio: Bra (Cuneo), Cesena, Cosenza, Montevago (Agrigento), Pesaro Urbino, Pistoia, Potenza, Saronno (Varese), Tortorici (Messina) e Trapani. [EM. IS]

CARO GEORGE, IL PARADISO PUÒ ATTENDERE... IL FAIR TRADE NO George Clooney esce soddisfatto dal solito Nespresso store, scruta il cielo e si arresta all’improvviso. Un pesante pianoforte si schianta al suolo, ma il divo si è fermato in tempo senza farsi nemmeno un graffio. Peccato però che una volta ripreso il cammino l’insegna della celebre multinazionale si stacchi dalla facciata, dapprima travolgendo l’attore e poi, di rimbalzo, colpendolo a tradimento nel basso ventre. Tranquilli, la vittima in questione non è la nota stella hollywoodiana bensì un sosia ingaggiato per l’occasione da Solidar Suisse, una Ong impegnata a denunciare gli ingiusti profitti della Nestlé attraverso una parodia del leggendario spot delle capsule. «Il Nespresso è uno dei caffè più costosi in commercio, ma di certo non è ancora soggetto al fair trade», recita la voce fuori campo tra i gemiti del povero alter ego, «ma George Clooney può cambiare tutto questo». Già impegnato in campo umanitario (celebre la sua campagna in Darfur), l’attore è invitato a boicottare l’azienda elvetica in attesa che questa si adegui agli standard di un commercio equo, retribuendo adeguatamente i produttori da cui si rifornisce. Il video è su youtube. Per firmare la petizione: www.solidar.ch. [M.CAV.] |

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A CURA DI MICHELE MANCINO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT

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LA TERRA NON HA PIÙ RISORSE MEGLIO PREPARARSI

UNA SCUOLA DEMOCRATICA AIUTA IL PAESE

PERCHÉ L’INDUSTRIA NON PUÒ CONTARE SULLA FINANZA

CHICAGO, TRE VITE RITROVANO UN SENSO

Oggi gli svantaggi del nostro modo di vivere iniziano a superare i vantaggi. Se non si agisce in tempi rapidi, la nostra qualità della vita potrebbe cominciare forzatamente a decrescere in tempi brevi. La ragione di questa inversione è dovuta all’abuso e allo spreco di risorse del Pianeta, all’accumulo di scorie. I consumi svuotano le miniere e riempiono le discariche e la cattiva distribuzione della ricchezza crea squilibri: c’è chi mangia troppo, con problemi legati all’eccessiva alimentazione, e chi non ha nulla da mettere insieme per il pranzo e per la cena. Troppe le automobili, troppe le case, troppo di tutto. Gli esseri umani vivono al di sopra delle possibilità del Pianeta che inizia a rimandare segnali inquietanti: cambiamenti climatici, esaurimento degli stock ittici negli oceani, desertificazioni. La soluzione esiste e non è un ritorno al passato, ma usare ciò che di buono ci offre la modernità.

È possibile imparare senza essere obbligati e senza essere sottoposti alla minaccia della bocciatura? Insomma, esiste una scuola democratica e libertaria? La memoria va subito alla scuola di Don Lorenzo Milani e alla critica feroce che il priore di Barbiana negli anni Sessanta faceva alla scuola pubblica, incapace di risollevare gli “ultimi” dal loro destino di analfabeti. Oggi le esperienze di scuola democratica e libertaria in Italia e nel mondo sono tante, sono sparse in più di 200 Paesi, dall’Austria al Brasile, e coinvolgono più di 40 mila studenti. Una caratteristica è la valutazione: si registrano i risultati senza determinare valori misurabili, perché prevale la convinzione che i bambini imparino spontaneamente e volontariamente, senza che sia richiesta una valutazione competitiva. «Le molte parole, il rigore, la severità non servono più; vengono sostituite da una vigile saggezza, dall’attenzione a ogni individuo della comunità scolastica», diceva Maria Montessori.

Spesso il sottotitolo di un libro dice molto più del titolo. Che una delle ragioni del malessere dell’economia sia di attribuire “al divorzio tra finanza e industria” è ormai una verità. La spregiudicatezza di una certa finanza, che per lungo tempo ha pensato (e in parte continua ancora oggi a pensare) di poter operare indipendentemente dall’economia reale, trova la sua sponda ideale nell’assenza di regole del mercato, spesso annunciate e mai realizzate. L’Italia, prima, dopo e durante la crisi, non si è fatta mancare nulla: dallo scudo fiscale ai patti di sindacato, dalle privatizzazioni discutibili ai salvataggi a spese dei contribuenti. L’autore però non si limita ad analizzare ciò che non funziona, ma dà anche una serie di suggerimenti per il rilancio realedell’economia, assegnando un ruolo fondamentale alle regole del mercato con le quali costruire una finanza aziendale sottratta al conseguimento di obiettivi di ritorno a brevissimo termine e all’equazione che crescita aziendale sia comunque e sempre creazione di valore.

Jasper ha trentun anni e ha deciso di trasferirsi a Chicago. Ha in tasca un biglietto da visita di un colosso della finanza internazionale e sulla scrivania un portafoglio di speculazioni, prezioso lascito di un collega fatto fuori nel giro di mezz’ora. Meike ha più o meno la stessa età e vuole mollare tutto, compagno, casa, amici e trovare un buon ritiro dove passare il tempo a tradurre le opere di Henry LaMarck, il celebre scrittore americano. Henry ha quasi il doppio dell’età di Jasper e Meike e convive con l’incubo della vecchiaia. Per i suoi sessant’anni la casa editrice gli ha organizzato un party con sorpresa: l’annuncio del secondo Pulitzer vinto dallo scrittore. Tre vite che sono destinate a incontrarsi nella metropoli americana, dove Jasper si è infilato nella manovra speculativa che può dargli il definitivo successo oppure mandare in rovina sia lui sia la banca; dove Meike insegue Henry, la sua fonte di reddito svanita nel nulla, e dove Henry vaga nei bar alla ricerca di una qualche ispirazione.

LUCA MERCALLI PREPARIAMOCI

Chiarelettere, 2011

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SOMMERSO, CORRUZIONE E PARADISI FISCALI L’ECONOMIA ILLEGALE AFFONDA L’ITALIA Ogni anno in Italia abbiamo 120 miliardi di euro di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione e 350 miliardi di economia sommersa, pari ormai a quasi il 20% della ricchezza nazionale. Altri 500 miliardi “riposano” nei paradisi fiscali, sottratti a ogni forma di tassazione. I conti sono presto fatti: «Sessanta miliardi di corruzione e 120 di evasione fanno 180 miliardi l’anno. In 10 anni sarebbero 1.800 miliardi: esattamente quanto l’intero stock del debito pubblico. Si potrebbe azzerarlo e vivere felici». L’autrice raccoglie e classifica tutte le forme d’illegalità economica, che affogano il Belpaese. Una cifra spaventosa sottratta allo Stato, mentre gli italiani devono subire tagli alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, ai servizi essenziali. Se questa situazione fosse risolta toglierebbe l’Italia dallo stallo economico, metterebbe in pari bilanci da sempre in rosso, ridarebbe ossigeno alla produttività e agli investimenti. NUNZIA PENELOPE SOLDI RUBATI

Ponte alle Grazie, 2011

FRANCESCO CODELLO E IRENE STELLA LIBERI DI IMPARARE

BORGHESI ARNALDO GUASTI DEL LIBERO MERCATO

Terra Nuova Edizioni, 2011

Egea, 2011

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PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT

AMORE E MORTE NELLA PAMPA ARGENTINA Dopo oltre due lustri, Ricardo Piglia, scrittore argentino, torna al romanzo. Tony Durán, dandy mulatto nato a Porto Rico e cresciuto nel New Jersey, all’inizio degli Anni Settanta arriva in uno sperduto paese della pampa argentina, insieme alle due sorelle Ada e Sofía, figlie di una delle più importanti famiglie del luogo. Durán, dopo pochi mesi dal suo arrivo, viene trovato morto ammazzato nella sua stanza d’albergo in circostanze misteriose. Entrano in scena il commissario Croce, dotato di grande intuito investigativo, ed Emilio Renzi, inviato speciale di un quotidiano e vecchia conoscenza dei libri di Piglia. Dietro quella misteriosa morte c’è una storia di affari legati a fabbriche costrette a chiudere e a interessi immobiliari. Dietro l’orizzonte piatto e impassibile della pampa si nasconde un paesaggio umano tutt’altro che immobile.

RICARDO PIGLIA BERSAGLIO NOTTURNO

Feltrinelli, 2011

narrativa

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L’ANGELO CADUTO SULLA VITA DI MORFEO

SCRITTORE SENZATETTO SONO RINATO GRAZIE ALLA BICI In questo libro c’è tutto. La tragedia, la comicità, l’inutilità, l’amore, la disperazione, la speranza e soprattutto il caso. La storia di Stefano Bruccoleri, cicloturista con la passione per la scrittura, ha dell’incredibile. Il tutto inizia in un dormitorio pubblico, dove finisce per uno sfratto esecutivo che in un colpo solo gli fa perdere casa e lavoro (aveva il laboratorio di restauratore proprio sotto casa). Da senzatetto a scrittore è un passaggio quasi obbligato. «Ho iniziato a scrivere perché sennò impazzivo, ho iniziato a scrivere le storie di chi mi stava intorno. Gli extracomunitari, ma anche chi era ancora integrato: ce n’era uno che aveva perso la casa e lavorava alla Telecom, ogni mattina usciva dal dormitorio in giacca, cravatta e 24 ore». La scrittura di Bruccoleri è ironica, schietta, quasi mai scontata come non lo è stata fino adesso la sua vita. Racconta ciò che gli è capitato con il gusto di chi non è prigioniero della cultura da ostentare e delle frasi fatte. Insomma, è uno vero, difficile da clonare nei vari laboratori di scrittura. Niente male per uno che «ha preso la terza media a vent’anni, dopo due fallimentari tentativi con le 150 ore». STEFANO BRUCCOLERI VIA DELLA CASA COMUNALE 1

Ediciclo Editore, 2011

È Natale. Una famiglia è riunita intorno all’albero addobbato. Sulla cima un puntale con l’effige di un angelo che il piccolo Morfeo fissa incantato. Il bambino si allontana, si rannicchia vicino una finestra, quando una persiana si stacca piombandogli sul capo. Il trauma lo lascia per giorni nell’incoscienza, sospeso tra la vita e la morte. Ciò che segue è il tempo di Morfeo, da quel disgraziato incidente agli anni futuri. Ma ciò che segue è un lungo delirio, un sogno oppure un racconto di verità alterato da un dolore che c’è sempre, nascosto nelle pieghe della vita, e che periodicamente mostra la smorfia. Morfeo cresce, diventa scrittore, incontra il mondo e i suoi curiosi abitanti: ha amici, passioni, e un amatissimo figlio. Ma tutto il suo cammino è segnato dalla malattia, forse eredità di quella ferita, forse no, che lo rende diverso e non mette d’accordo i medici, tantomeno l’industria delle cure.

STEFANO BENNI LA TRACCIA DELL’ANGELO

Sellerio, 2011

KRISTOF MAGNUSSON NON SONO STATO IO

Neri Pozza, 2011

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terrafutura

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A CURA DI VALENTINA NERI | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A NERI@VALORI.IT

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Controinsurrezione

Guerre (da manuale) che non finiscono mai

CITTADINI RESPONSABILI CHE SI METTONO IN COMUNITÀ

GLI ANTICHI MESTIERI PER LA LANA MADE IN ITALY Passione personale, curiosità verso gli antichi mestieri e interesse per la situazione della lana nel nostro Paese, che attualmente, parole sue, «non è affatto buona». Sono stati questi i fattori che hanno spinto Gaia Di Stefano a dedicarsi a tempo pieno alla lavorazione della lana e del feltro. «Il 95% della lana italiana viene buttato via – spiega – perché qualitativamente è un buon prodotto, ma a livello di prezzi non può competere con quella che proviene dagli allevamenti intensivi in Australia e Nuova Zelanda e viene lavorata in Cina». Per questo motivo i piccoli allevamenti familiari della provincia di Biella – che non manca mai di visitare, per verificare il modo in cui vivono gli animali – le forniscono materia prima più che sufficiente per il suo laboratorio “Gaia Di Lana”, che ne ricava pantofole, borse, pannolini, thermos e molti altri prodotti interamente biologici. E chi li vuole acquistare ha l’imbarazzo della scelta: dal sito Internet, a fiere e mercati della zona, alla rete dei Gas.

“Utopie concrete” non è un semplice gioco di parole, ma un modo per verificare come si realizzi nei fatti quella sostenibilità che è entrata nell’agenda globale da vent’anni, vale a dire dalla prima Conferenza di Rio. È questa la filosofia della Fiera delle Utopie Concrete, fondata nel 1988 da Alexander Langer, che si tiene a Città di Castello (Perugia) dal 20 al 22 ottobre. Ospiti, dibattiti e diverse iniziative di ampio respiro. È il caso delle Pagine verdi della sostenibilità: una sorta di atlante regionale di tutte le realtà (dagli allevatori biodinamici alle aziende a basso impatto ambientale) che facilitano uno stile di vita rispettoso degli altri e dell’ambiente. Perché – come suggerisce il nome della manifestazione – quelli che possono sembrare obiettivi distanti e ambiziosi si conquistano tramite le piccole scelte quotidiane. «Tante persone – spiega il coordinatore, il sociologo Karl-Ludwig Schibel – già adottano comportamenti responsabili, quasi senza rendersene conto. Noi vogliamo aiutarli a trasformarsi in una comunità, in modo che queste esperienze non restino isolate e, anzi, vengano portate all’attenzione della politica e dell’amministrazione».

www.utopieconcrete.it www.paginegreen.eu

www.gaiadilana.com

DOLCEZZA EQUOSOLIDALE A CASTIGLIONE DEL LAGO

FOTO DI QUALITÀ PER RAFFIGURARE IL BELLO DELLA COOPERAZIONE Le Ong internazionali non hanno solo bisogno di trovare sostegno economico e istituzionale. Serve anche qualcuno che renda giustizia al loro operato, documentandolo in modo fedele e non banale. A quest’esigenza cerca di dare una risposta Photoaid, un’agenzia fotografica specializzata, nata nel 2008 dall’iniziativa di Michele Cazzani, Andrea Micheli e Nicola Demolli Crivelli. Si tratta di un ente non profit a tutti gli effetti, proprio come le realtà con cui collabora: e applica un tariffario studiato appositamente per le Ong, che hanno budget per la comunicazione ben diversi da quelli delle grandi aziende. E non mancano le iniziative: proprio in questi giorni si conclude la seconda edizione del Photoaid contest, il cui vincitore parteciperà a un reportage su un progetto di cooperazione in Kenya di Arché, che nel 2011 festeggia i suoi 25 anni. Il tutto affiancando un fotografo di Photoaid, che proporrà la propria filosofia operativa: vale a dire, spiega Michele Cazzani, «la ricerca di immagini che non si limitino al pietismo e alla rappresentazione della sofferenza. Anche in situazioni critiche cerchiamo di cogliere le occasioni in cui le Ong cambiano in meglio la vita delle persone. Per fare un esempio, all’immagine-shock di un bambino denutrito preferiamo il sorriso del bambino che ha appena ricevuto un pasto da un operatore umanitario». www.photoaid.eu

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Chiudere gli occhi assaporando il cioccolato che si scioglie in bocca è uno di quei piaceri che quasi nessun palato disdegna. Figuratevi se foste anche consapevoli che il cacao, lo zucchero e il lavoro di chi ha amalgamato gli ingredienti si sono mescolati grazie al circuito del commercio equo e solidale, che garantisce la qualità di materie prime provenienti dal Sud del mondo (e non solo) e il pagamento ai produttori di un prezzo giusto e condiviso attraverso le buone prassi della democrazia partecipativa. Tutto questo è Altrocioccolato, fiera-evento in programma dal 14 al 16 ottobre a Castiglione del Lago (Perugia). Una kermesse dedicata al cacao e al consumo consapevole, organizzata dall’associazione Umbria EquoSolidale in collaborazione con il comune e con il consorzio Ctm Altromercato e in concomitanza con le Giornate Regionali del Commercio Equo promosse dalla Regione Umbria. Ma oltre che un saporitissimo appuntamento, Altrocioccolato è un’occasione unica per riflettere insieme sul futuro del settore.

di Enzo R. Laforgia

2006 IL MANUALE SULLA GUERRA di controinsurrezione, Counterinsurgency, firmato dai generali americani David H. Petraeus e James F. Amos per i soldati e i marines impegnati a combattere gli insorti in Afghanistan e in Iraq. La strategia di Counterinsurgency è quella che ha ispirato il “nuovo corso” (the new way forward) annunciato da George W. Bush nel gennaio del 2007 per garantire la sicurezza a Baghdad e alla provincia di Al Anbar, in Iraq. Questo stesso manuale fa bella mostra di sé sulla scrivania del tenente colonnello Ralph Kauzlarich nella base americana di Rustamiyya, nella zona est di Baghdad. Qui, dal gennaio 2007 all’aprile 2008, è stato impegnato il 2° battaglione, 16° reggimento di fanteria americano e la cronaca di quei quindici mesi è stata raccontata dall’inviato

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ISALE AL DICEMBRE DEL

del Washington Post David Finkel nel libro I bravi soldati, pubblicato negli Usa nel 2009 ed uscito ora in Italia per Mondadori. Il manuale dei generali Petraeus e Amos viene consultato dagli ufficiali; le loro iniziative sono modellate sulla tabella Successful and unsuccessful counterinsurgency operational practices (il testo completo è facilmente reperibile nel web). Perché questa volta il successo o l’insuccesso della guerra sembra dipendere dalla capacità di “stringere mani”, di avvicinare la popolazione e interpretarne i bisogni. Insomma, la nuova strategia sembra una versione aggiornata del pensiero di Mao Zedong (peraltro ripetutamente citato nel manuale americano) a proposito del “pesce” della guerriglia, per eliminare il quale - scriveva il padre della rivoluzione cinese - è sufficiente prosciugare l’acqua in cui nuota. Ma il tenente colonnello Kauzlarich (rico esercito degli Stati Uniti d’America non battezzato dai suoi uomini Lost Kauz, “causa potrà ritenersi al sicuro nemmeno nella propersa”) non potrà limitarsi a stringere mani, pria base iper-protetta, su cui, periodicamenregalare palloni da calcio ai bambini e prote, vengono scagliate le lop bombs, anche quegettare infrastrutture. Sempre più spesso, inste artigianali, che proiettano schegge e sfere fatti, i soldati del 2-16 dovranno vedersela di acciaio in un raggio di centinaia di metri. con gli ordigni artigianali dal costo di pochi Il tenente colonnello Kauzlarich è uno a spiccioli e in grado di mettere fuori uso i pocui piace il film di Randall Wallace We were soltenti Humvee, i mezzi di trasporto americani da 150 mila dollari. Un libro ha ispirato il “nuovo La guerra americana in Iraq si imcorso” vagheggiato da Bush pantanerà facilmente nel “merper rendere sicura Baghdad. daio” iracheno e l’iper-tecnologiMa in Iraq non è servito a molto |

diers, dedicato alla campagna nella valle del fiume Ia Drang nel novembre 1965 e ispirato al volume ormai classico di Hal G. Moore e Joseph L. Galloway, We were soldiers once...and young (pubblicato in Italia dalle Edizioni Piemme). Ma si accorgerà presto che la guerra che sta combattendo, qualunque sia la formula usata per descriverla, è una guerra diversa da tutte le altre: «In altre guerre il fronte era letteralmente una linea verso cui avanzare, da attraversare»; in Iraq, invece, «il nemico si trovava dappertutto, poteva essere ovunque al di fuori del perimetro della base, da qualunque parte: quell’edificio, quella città, quella provincia, l’intero paese, a 360 gradi». Kauzlarich scoprirà presto che, al di là delle regole dettate da un manuale di strategia, “non c’erano certezze su cui basarsi, solo precauzioni da adottare”. Perché alla fine anche questa, come tutte le guerre, si riduce al triste ed infinito elenco di morti, feriti, profughi e case distrutte; si riduce alla macabra rappresentazione di corpi straziati, di arti amputati, di teste esplose, di visceri esposti. Alla fine, anche questa guerra si riduce alla deprimente galleria di vite interrotte. Come quelle dei soldati degenti presso il Bamc, Broke army medical center, in Texas, dove Kauzlarich si troverà di fronte a ciò che rimane del soldato Duncan Crookston, a cui “mancavano così tante parti che non sembrava reale”. In fondo, una caratteristica nuova sembrano averla le guerre di controinsurrezione: non finiscono mai. TOMASO MARCOLLA

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ANNO 11 N.93

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OTTOBRE 2011

| valori | 71 |


| bancor |

Deregulation

Dai piccioni viaggiatori al computer-trading

Dal cuore della city Luca Martino

I

L MITO VUOLE CHE SIA STATO UN PICCIONE VIAGGIATORE a recapitare per primo a Londra la noti-

a catena di ordini e contrordini, entrambi gli indici persero dapprima il 3% e poi, per via della crisi di liquidità che non consentiva più lo scambio degli ordini entro certi valori, un altro 2% in soli 15 secondi, finché i sistemi non vennero spenti con perdite intorno al 10%. Purtroppo non si tratta solo di casi limite: gli investitori/speculatori ritengono ormai più sicuro e redditizio detenere un’azione per pochi secondi piuttosto che per anni e pensano oggi addirittura a un’operatività in nanosecondi oltre che a un’ulteriore deregulation. Fino a poco tempo fa, invece, si operava lentamente, ma in modo trasparente; i sistemi erano regionali e centralizzati e veniva adottata una precisa logica di tipo prezzo-tempo: oggi si può operare praticamente sempre e ovunque, anche in incognito e con svariati incentivi rispetto alla dimensione e all’aggressività degli ordini - a questo servono i cosiddetti flash-order, le piattaforme maker-taker o le dark pools - con rischi evidenti di destabilizzazione dei prezzi. Perché si è acconsentito a tale frammentazione del sistema? Si dice per creare maggior liquidità e favorire un accesso ai mercati da parte di più persone migliorandone l’efficienza. Quale sia il senso economico di tutto ciò appare tuttavia ancora un mistero.

Leggenda, preistoria dirà qualcuno. Oggi tutti abbiamo immediato accesso agli stessi dati grazie a internet. In realtà non è proprio così, basti pensare alle cosiddette dark pools. In questi mercati paralleli - piattaforme di fatto non regolamentate, ma utilizzate con sempre maggior frequenza dagli investitori istituzionali - ordini ingenti di acquisto e vendita vengono incrociati anonimamente da banche d’affari e altri operatori finanziari. A transazione avvenuta, al pubblico mercato viene comunicato il solo prezzo di scambio: in molti casi, dati i volumi significativi, questo può determinare inneschi limite nei sistemi automatizzati di trading ormai in uso praticamente ovunque, un po’ come avvenne il 6 maggio del 2010. Alle 2.32 del pomeriggio, in una giornata già turbolenta alla Borsa di New York a causa della crisi del debito sovrano greco, si registrò un ordine di vendita di 75 mila conputerizzato, che iniziarono a loro volta a imtratti future sull’indice S&P 500 per un conmettere ordini di copertura sul mercato pritrovalore di circa 4 miliardi di dollari con un mario, che poi ribilanciarono con ulteriori obiettivo minimo di volume di scambio, ma vendite del contratto future. In tale reazione senza limiti di tempo o prezzo: gli ordini furono scambiati in Oggi gli operatori ritengono meno di 20 minuti dai cosiddetpiù utile detenere un titolo per ti high frequency traders, operatopochi secondi piuttosto che ri ad alta frequenza di tipo comper anni. E i rischi si moltiplicano |

TOMASO MARCOLLA

zia della vittoria degli anglo-prussiani contro Napoleone nella celebre battaglia di Waterloo. Informato con un giorno di anticipo sui messaggeri di corte, l’astuto banchiere Nathan Rotschild iniziò a vendere a prezzi stracciati i suoi consol war bond. Gli altri operatori sospettarono che questi fosse venuto a conoscenza di una clamorosa sconfitta di Wellington e iniziarono anch’essi a svendere i loro titoli. A tarda sera quasi nessuno aveva più buoni del tesoro inglese, tutti finiti nelle mani degli operatori del clan di Nathan per pochi scellini. Il giorno dopo, la notizia della vittoria di Wellington fece volare il prezzo di quei bond e immenso fu il profitto che Rotschild realizzò grazie a quel piccione viaggiatore e al suo azzardo.

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todebate@gmail.com ANNO 11 N.93

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OTTOBRE 2011

| valori | 73 |


| action! |

L’AZIONE IN VETRINA NEWS CORPORATION 31 MAR 2011

NW SA 17,58

Il rendimento in borsa di News Corp negli ultimi dodici mesi (+21,71%) confrontato con l’indice Nasdaq (in arancione, +10,25%)

^IXIC 2781,07

30% 25% 20% 15% 10% 5% 0 -5%

2010

Nov

Dic

2011

Feb

Mar

Apr

Mag

Giu

Lug

Ago

Set

C

HRISTIAN BROTHERS. Una congrega-

zione di origine irlandese, dedita all’evangelizzazione dei giovani. E alla finanza. A New York ha istituito una società di gestione propria, Christian Brothers Investment Services, che gestisce circa 4 miliardi di dollari per conto di oltre 1.000 istituzioni cattoliche in tutto il mondo: diocesi, istituti religiosi, ospedali e scuole. Dagli investimenti di CBIS sono escluse le società coinvolte nella produzione di contraccettivi, pillole abortive, armi, tabacco. Mentre le imprese che passano l’esame sono continuamente monitorate e oggetto di campagne di azionariato attivo. Come quella lanciata in luglio all’assemblea di NewsCorp, il colosso dei media controllato da Rupert Murdoch, subito dopo lo scandalo che ha colpito il quotidiano News of the World. CBIS, assieme a una decina di azionisti religiosi e con il sostegno di Calpers, il più grande fondo pensione degli Stati Uniti, ha presentato una mozione per chiedere maggiore trasparenza nella governance della società. Il primo passo per riguadagnare la fiducia del pubblico e degli azionisti dopo un’estate disastrosa. Anche per i rendimenti in Borsa.

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| 74 | valori |

ANNO 11 N.93

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OTTOBRE 2011

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Cbis [Christian Brothers Investment Services] Sede

www.asyousow.org

New York - Usa

Tipo di società Leader mondiale nell’investimento socialmente responsabile di matrice cattolica. Gestisce i patrimoni di oltre 1.000 istituzioni cattoliche in tutto il mondo: diocesi, istituti religiosi, ospedali, ecc.. Patrimonio gestito Circa 4 miliardi di dollari L’azione su NewsCorp CBIS ha presentato una mozione all’assemblea di News Corp, colosso dei media controllato da Rupert Murdoch, chiedendo alla società di separare la figura dell’amministratore delegato da quella del presidente, per “iniziare a ricostruire l’immagine di News Corp e riguadagnare la fiducia del pubblico dopo il grave scandalo legato alle intercettazioni e a fenomeni di corruzione”. Altre iniziative Sempre nel luglio del 2011 il fondo pensione californiano Calpers ha attaccato duramente la struttura societaria di News Corp, che permette alla famiglia Murdoch di “controllare il 40% dei diritti di voto con appena il 12% del capitale”.

UN’IMPRESA AL MESE

a cura di Mauro Meggiolaro

L’AZIONISTA DEL MESE

I Fratelli Cristiani all’attacco di Murdoch

News Corporation Sede

New York - Usa

www.newscorp.com Borsa NYSE - New York Stock Exchange

Rendimento negli ultimi 12 mesi +21,71% Attività

News Corp è uno dei primi quattro colossi dei media degli Stati Uniti e del mondo; in Italia, dove detiene il 100% di Sky, è il secondo gruppo privato nel settore media dopo Mediaset.

Azionisti principali Famiglia Murdoch (40% dei diritti di voto), Kingdom Holdings del principe al-Walid bin Talal Bin ’Abd al-’Aziz (7%). Perché interessa agli azionisti responsabili? NewsCorp è stato coinvolto in un grave scandalo in Gran Bretagna nel luglio del 2011. La storica testata News of the World, controllata da NewsCorp, è stata chiusa con l’accusa di aver intercettato per anni linee telefoniche, caselle vocali, dati bancari di uomini politici e di spettacolo inglesi. Numeri Ricavi (miliardi di dollari) Utile (miliardi di dollari) Numero dipendenti

2010 32,78 2,54 51.000

I valori, quando si fondano sulla fiducia e sulla credibilità di chi li possiede e li coltiva, si possono riassumere in una parola, in un segno, in un colore. Dire è comunicazione d’intenti e di progettualità, trasmissione di idee, di conoscenza, d’esperienza. Fare è la sintesi dell’attività, energia verso nuove imprese, capacità di ascolto e di offrire risposte. Ai nostri clienti e a quelli che lo diventeranno è dedicato il nostro lavoro quotidiano: un lavoro dove il dire e il fare sono tutt’uno e sintesi di una filosofia dell’operare.


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