Mensile Valori n.34 2005

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Anno 5 numero 34. Novembre 2005. â‚Ź 3,00

Mensile di economia sociale e finanza etica

GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

Fotoreportage > Lavoro

Dossier > Assenza di politiche industriali e finanza da rapina

Il declino italiano Lavanderia > Dietro la fortuna di Ricucci Finanza etica > Banche con la testa al nord e poco credito al Sud Terzo settore > Case di mattoni per rom e sinti Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento


| editoriale |

Scorribande e miopia

le cause del declino

di Andrea Di Stefano

L DECLINO ITALIANO. FRUTTO DELLA MANCANZA DI RICERCA E INNOVAZIONE. Delle difficoltà nel costruire gestioni finanziarie solide. Della competitività serrata dei paesi in via di sviluppo. Tutto vero. Ma assolutamente insufficiente a giustificare quello che è accaduto negli ultimi decenni in alcuni settori economici, dove il Paese avrebbe potuto svolgere un ruolo e invece ha assistito alla progressiva e sistematica distruzione di un patrimonio umano, scientifico e industriale. Le storie che Valori vi racconta nel Dossier di questo numero sono emblematiche del presente e del recente passato. Capitani d’avventura, veri e propri banditi impegnati a truffare centinaia di miliardi hanno attraversato, e letteralmente depredato, l’industria elettronica, informatica e agroalimentare del nostro paese: dietro di loro hanno lasciato solo macerie, migliaia di posti di lavoro distrutti, danni pesantissimi al sistema economico e finanziario, lunghi, e troppo spesso inconcludenti, procedimenti giudiziari. Certo non è sempre andata così. Ma senza un consistente sforzo di ricostruzione e memoria del passato e presente di queste vicende difficilmente si possono gettare le basi per un futuro. La società civile, i cittadini, le organizzazioni dei lavoratori hanno bisogno di tenere viva la memoria di quanto accaduto negli ultimi decenni in tanti settori industriali del nostro paese dove, anche con l’ausilio di ingenti finanziamenti pubblici, sono stati costruite, consumate e distrutte ingenti fortune economiche. Anche perché alle scorribande dei finanzieri d’assalto si sommano le incapacità del sistema Paese di sostenere la sua innovazione. Per miopia, timore, difficoltà nell’assumersi un sano fattore di rischio e spesso per la totale assenza di politiche industriali pubbliche, negli ultimi due decenni l’Italia ha perso grandi opportunità di crescita. Basti pensare alla telefonia mobile e all’agroindustria. Omnitel aveva tutte le carte in regola per diventare quella che oggi è Vodafone, leader mondiale della telefonia mobile partita da un paese come la Gran Bretagna dove la diffusione dei cellulari era inferiore a quella italiana, ma dove il sistema finanziario ha creduto nella scommessa della nuova era delle telecomunicazioni permettendo alla società di espandersi in tutto il mondo. Ma l’Italia aveva anche di più perché ad un nuova realtà come quella di Omnitel associava una leadership riconosciuta, tecnologica e marketing, della Tim, la società di telefonia mobile creata dall’ex monopolista Telecom Italia. Tarpata nelle sue prospettive di crescita dalle logiche finanziarie dei nuovi “padroni”, Colaninno prima e Tronchetti Provera dopo, impegnati a scaricare all’interno delle società acquisite i debiti contratti per effettuare le operazioni di acquisto. Questa dinamica ha portato con sé un impoverimento nella ricerca e un mancato raccordo con l’unico competitor europeo nel campo dei semiconduttori, la franco-italiana StMicroelectronics. Esempi concreti di quello che va oggi evitato nelle poche nicchie dove esistono opportunità di rilancio e che non possono né devono avere a che fare con gli investimenti negli strumenti di morte come le fregate della Marina Militare per le quali tutti si stracciano le vesti.

I POSTE L’AUTORE Andrea Di Stefano

giornalista, appassionato di nuove tecnologie e ambiente, è collaboratore di Repubblica e di Radio Popolare di Milano. Si occupa di temi di economia, finanza e mondo del lavoro dall’inizio della sua carriera giornalistica, nel 1987, quando a Radio Popolare di Milano curava la rubrica Corrispondenze Operaie. Negli ultimi anni ha lavorato per La Nuova Ecologia, Provincia Pavese, l’Agl (Agenzia Giornali Locali del gruppo L’Espresso), la Rtsi (Radio televisione della svizzera italiana) e collaborato con diverse testate periodiche. Dal 1995 collabora alle relazioni esterne e istituzionali di Novamont, azienda italiana leader nella produzione di bioplastiche da fonte rinnovabile di origine agricola.

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novembre 2005 mensile www.valori.it

anno 5 numero 34 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore

Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica soci

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana

Operai presso il porto. Lo scalo ligure è sempre stato uno dei luoghi di lavoro a maggiore incidenza di infortuni.

Genova, 1988

bandabassotti

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fotoreportage. Lavoro

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dossier. Declino italiano Affondato il grande polo elettronico italiano Il capitalismo alternativo di Adriano Olivetti Il Bel Paese saccheggiato dalla finanza di rapina: il caso Federconsorzi

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Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone

lavanderia

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direttore editoriale

finanzaetica Testa al Nord per le banche meridionali. E al Sud le tasche restano vuote «Il Sud paga ancora il rischio criminalità» [INTERVISTA A PAOLO COCCORESE ] La relazione irrisolta tra banche e meridione [INTERVISTA A GIUSEPPE GALLO ] Anche l’etica di esporta. A Bilbao

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bruttiecattivi

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internazionale Angola. Bancarelle fai da te per un economia di sussistenza Summit sulla società dell’informazione. Un altra occasione perduta?

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macroscopio

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economiasolidale Un tetto. Delle mura. Una casa. Una vita normale anche per i nomadi «Per questa società sono tutti criminali» [INTERVISTA A DON VIRGILIO COLMEGNA ] Dimmi la tua certificazione e ti dirò chi sei e qual’è la tua rispettabilità La sfida di Ecor: esplicitare il giusto prezzo dei prodotti bio

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altrevoci

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padridell’economia

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consiglio di amministrazione

Sabina Siniscalchi, Sergio Slavazza, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it) collegio dei sindaci

MASTER

GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

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Gianni Berengo Gardin (Contrasto), Antonio Maragno stampa

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Alitalia

L’incredibile“stipendio” di Davide Venezia

A STORIA È SEMPRE LA STESSA. UN’AZIENDA IN CRISI PERMANENTE. Che non riesce a risollevarsi sia per le pessime congiunture dovute al caro petrolio sia per alcuni drammatici errori compiuti in passato. Alitalia è una delle vittime più vistose delle politiche nordiste rivendicate dalla Lega Nord: l’apertura dell’hub di Malpensa si è rivelato un flop, insostenibile dal punto di vista industriale perché un paese come l’Italia non può permettersi due hub, cioè due poli di navigazione aerea, uno a Roma e uno a Milano. Nessun altra nazione europea, anche più popolata della nostra come la Germania, può permettersi due strutture di queste dimensioni. E la vocazione naturale per l’Italia era, e probabilmente rimane, quella dell’hub a Roma come porta verso il sud del Mondo. Nonostante questi elementi oggettivi e per i puri interessi territoriali della Lega Nord e del presidente della Giunta regionale Roberto Formigoni Alitalia è stata costretta a investire ingenti capitali e risorse umane sulla Malpensa che, peraltro, è stata anche una disavventura impiantistica con pesantissimi ritardi realizzativi. La compagnia di bandiera ha avuto negli ultimi anni diversi manager che hanno cercato, più o meno, di stringere accordi internazionali e dare una prospettiva di sopravvivenza all’Alitalia. Oggi le sorte della compagnia sono rette da Giancarlo Cimoli, già amministratore delle Ferrovie dello Stato. I conti continuano ad essere pessimi. I posti di lavoro perennemente in forse. E l’ultima trovata Da solo Giancarlo Cimoli dell’amministratore delegato è stata quella di vendersi gli aeromobili riceve una somma pari per poi riaffittarli in leasing: un po’ come la vendita delle sedi a quella dei tre dei ministeri e della pubblica amministrazione. Nonostante amministratori delegati delle principali compagnie questa situazione drammatica e i continui rischi di fallimento della compagnia l’amministratore delegato dell’Alitalia risulta, aeree europee in assoluto, il manager più pagato nel suo settore. Dati ufficiali, iscritti a bilancio, dicono che Giancarlo Cimoli dal 6 maggio al 31 dicembre 2004 ha ricevuto un compenso di 1.522.996,00 euro, pari a una remunerazione mensile di 190.375 euro contro i 29.583 euro del numero uno di Air France, Jean Cyrill Spinetta, i 45.143 euro del ceo di KLM, Van Wijk, e i 64.727 euro mensili percepiti da Rod Eddington, amministratore delegato di British Airways. Alitalia – come ha denunciato il sindacato Sult – perde tanto, più di quanto gli altri in Europa guadagnano. Però, l’amministratore delegato della compagnia, da solo, guadagna tre volte di più dei suoi colleghi europei. Durante la crisi post bolla Internet il ceo della Cisco, John Chambers, azienda che produce apparati per la comunicazione con la Rete, si era autoridotto lo stipendio ad un dollaro simbolico per dare il segnale della condivisione delle difficoltà attraversate dall’azienda, che stava anche procedendo ad una riduzione dell’occupazione attraverso dimissioni incentivate. Da Cimoli ci si potrebbe aspettare un piccolo segnale nello stesso senso invece di un compenso che da solo è pari a quello degli amministratori delegati delle tre principali compagnie aeree europee, peraltro con conti economici decisamente diversi da quelli dell’Alitalia. Ma dubitiamo che l’amministratore delegato possa essere sensibile all’invito che gli è stato rivolto dal sindacato.

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ETICA SGR BPM

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La strana storia del signor Carlo Fulchir >18 Barilla, la crisi di un simbolo >19 Il capitalismo alternativo di Adriano Olivetti >20 La finanza di rapina e il Bel Paese >23

a cura di Piero Bosio, Andrea Di Stefano e Francesca Paola Rampinelli

GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

dossier

La produzione industriale vede l’Italia al settimo posto, dietro Stati Uniti, Giappone, Cina, Germania, Regni Unito e Francia. Il potere di acquisto vede invece l’Italia al ventiduesimo posto. I paesi con maggiore crescita industriale sono la Guinea Equatoriale (44,7%), Bosnia (19%), Cambogia (15,7%), Mozambico (15,1%), Eritea (13%), Irlanda (12%) e la Cina (11,9%).

Genova, 1960

Industria

Il declino italiano

Finanza di rapina. Assenza di politiche industriali. Le cause della crisi del sistema economico non sono da ricercare solo nella carenza di ricerca.

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Affondato il grande polo industriale dell’elettronica di Andrea Di Stefano

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na società che esercita attività di perforazione e ricerca di diamanti

L’AUTHORITY A PARMA L’ITALIA ESULTA, PARMA ESULTA: l’Authority europea per la sicurezza alimentare, l’Efsa (European food security agency) avrà sede nella cittadina emiliana. In Italia, d’altra parte, l'industria alimentare costituisce il secondo settore produttivo dopo quello metalmeccanico ed inoltre il nostro Paese in Europa detiene il primato di ben 132 prodotti italiani (il 20% del totale comunitario) con il marchio a denominazione di origine (Dop, Dopg o Igp). Parma inoltre può vantare 8 mila imprese dedite all'agricoltura e un fatturato che, per il settore alimentare, si aggira intorno ai 5,5 miliardi di euro. L’Authority ha competenza, in primo luogo, sul controllo della qualità degli alimenti umani e animali. Svolge indagini su temi che vanno dalla protezione delle piante agli organismi geneticamente modificati, dai prodotti dietetici alle allergie, dal rischio biologico alle contaminazioni nella catena alimentare e alla salute degli animali. L’ente è gestito da un consiglio d'amministrazione, da un direttore esecutivo e dal suo staff, da un forum di consiglieri e da un comitato scientifico affiancato da 8 gruppi scientifici. Pareri e decisioni vanno trasmessi alla Commissione Europea, cui spetta comunque l’ultima parola. È previsto un budget annuo di 40 milioni di euro con 330 persone stabilmente occupate. L'Efa avrà una propria personalità giuridica, sarà finanziata dai fondi comunitari ma agirà in maniera indipendente.

in Brasile con il conto corrente bloccato per sequestro conservativo

Il caso Magneti Marelli: un portage?

e una segnalazione da parte dell’Ufficio italiano cambi per esercizio di attività finanziaria senza autorizzazione. Molte fiduciarie sparse tra il Lussemburgo, l’Isola di Man e l’Inghilterra. Diversi conti correnti aperti in banche elvetiche. È qui che gli inquirenti probabilmente potranno trovare le tracce delle decine di

LA CRISI DI BARILLA

milioni di euro scomparsi nell’incredibile e emblematica storia dell’impero Finmek creato dall’imprenditore friulano Carlo Fulchir. Oggi, dalle ceneri di questo vero e proprio castello di carte fatto di contratti di compravendita, fusioni,

L’incredibile storia di Carlo Fulchir, presunto uomo della svolta per l’informatica in crisi. Oggi è indagato per bancarotta e aggiotaggio. Migliaia di lavoratori sono senza stipendio da mesi. Casse della società svuotate e un bond da 150 milioni di euro bruciato in poche ore | 18 | valori |

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cessioni di ramo d’azienda, finanziamenti che vanno e vengono, prestiti obbligazionari andati in default, rimangono oltre tremila lavoratori senza stipendio da mesi. Picchiati dalla Polizia davanti a Palazzo Chigi. Al limite della sopportazione per l’ignavia del ministero delle attività produttive e della Presidenza del consiglio che non assumono alcuna decisione rispetto al piano di cessioni e rilancio messo a punto dall’amministratore straordinario. Sulla voragine finanziaria da oltre 150 milioni di euro creata in soli tre anni c’è ora un’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Padova, che nel maggio di quest’anno ha iscritto nel registro degli indagati per bancarotta e aggiotaggio quattordici persone tra le quali figurano l’ex presidente Roberto Tronchetti Provera, fratello del presidente e amministratore delegato della Telecom, Marco Tronchetti Provera. Artefice di una vicenda contrassegnata da 450 mila scritture contabili Carlo Fulchir, un imprenditore partito da Gemona del Friuli dove montava schede elettroniche in un piccolo laboratorio che a un certo punto diventa il “salvatore” di diversi gruppi di elet-

tronica nazionali e internazionali. Ericsson, Italtel, Telit, Olivetti per arrivare sino alla Magneti Marelli: alcune delle grandi imprese del settore si sono rivolte sempre a Fulchir per “rilanciare” poli industriali, spesso costruiti con i fondi pubblici, utilizzati al meglio e abbandonati nelle mani della Finmek quando non erano più galline dalle uova d’oro. Come in tanti altri casi Fulchir, con l’appoggio di soci forti e i favori degli istituti di credito, è così diventato l’uomo dell’elettronica italiana. In realtà l’imprenditore friulano e i suoi amici più che di schede madri per decoder e telefonini erano dei maestri nelle operazioni finanziarie. Valori ha potuto leggere la relazione svolta per conto dell’amministrazione straordinaria: un incredibile risiko finanziario che sta costando centinaia di milioni di euro allo stato italiano, ai lavoratori e ai creditori del gruppo Finmek. Di Carlo Fulchir si sono perse le tracce salvo l’autorevole presenza nella società editrice del Domenicale di Marcello Dell’Utri, dove l’imprenditore friulano siede insieme ad un altro autorevole indagato della procura di Padova per il fallimento del gruppo Finmek, il coordinatore milanese di Forza Italia Riccardo Pugnalin.

«IL PIANO DI BARILLA DARÀ UN COLPO ALL’ECONOMIA DEL SUD e soprattutto della Basilicata»: Lorenzo Rossi Doria, portavoce della Flai Cgil spiega così perchè ogi dismissione rappresenta un forte colpo ad un simbolo industriale, visto che in Basilicata l’industria è rappresentata proprio da Fiat e Barilla. «La chiusura dello stabilimento del gruppo emiliano a Matera (120 persone) insieme alla vendita del mulino di Termoli (22 persone) e alla dismissione della linea di produzione delle fette biscottate di Caserta viene vissuta come un tradimento da parte della società. Il piano industriale del 2003 prevedeva 500 milioni di euro di investimenti. Quello del 2004 ha stravolto tutto programmando la chiusura del centro di ricerche Corial e degli impianti al sud». I sindacati sono scesi sul terreno di guerra rompendo una tradizione di pace interna all’azienda, da sempre motivo d’orgoglio per Barilla, e all’inizio di novembre negli stabilimenti di Pedrignano e di Rubbiano ci sono stati due partecipati giorni di sciopero. Secondo il segretario della Flai Cgil di Parma, Antonio Mattioli «con questa ristrutturazione si vuole fare pagare ai lavoratori i costi sostenuti per inopportuni investimenti all’estero». Barilla ha intensificato negli ultimi anni le acquisizioni in Italia con l’annessione di Pavesi, TreMarie e Sanson e in Europa con Wasa, Kamps e Harry’s, trasformandosi nella prima multinazionale italiana dell’agroalimentare, con oltre 2,3 miliardi di euro investiti dal 1994 in acquisizioni e nello sviluppo. L’esperienza di molti gruppi del settore agroalimentare, a partire da Parmalat, pone molti interrogativi sulla posizione dei vertici della società, che lamentano una contrazione del mercato della pasta: in realtà la causa ultima di questo piano di ristrutturazione sembra risalire solo ad una gestione finanziaria decisamente non brillante.

Nel marzo del 2002, nel pieno della crisi del gruppo Fiat, la Magneti Marelli Sistemi Elettronici viene ceduta alla Finmek. Dopo meno di due anni la società è stata riacquistata dal Lingotto. Perché i manager del gruppo automobilistico hanno venduto e ricomprato la società di elettronica? A chi favevano capo la Starven Ltd che ha ricevuto 660 mila euro per l’intermediazione finanziaria su un conto corrente acceso presso la UBS di Ginevra e facente capo alla società di gestione patrimoniale Crame & Cie? E di chi era la AD Line che utilizzava lo stesso conto corrente dell’UBS per pagamenti assolutamente dubbi? Il 2 settembre 2002 l’holding a capo del castello, la Mekfin ha emesso due fatture alla Finmek Magenti Marelli Sistemi Elettronici da 12 milioni di euro ciascuna per servizi di consulenza strategica\commerciale nel settore automotive. La società pagava le due fatture e con un ennesimo incredibile giro di danaro in un solo giorno i 24 milioni di euro venivano utilizzato per pareggiare precedenti linee di finanziamento incrociato costituito tra la holding e alcune controllate. Ogni passaggio di proprietà è contraddistinto dal pagamento di advisory per società estere o srl intestate a Carlo Fulchir e alla moglie Doris Nicoloso. Quando Finmek Automotive vende a Ixfin della famiglia Pugliese viene addebitato al compratore una fattura da 500 mila euro emessa dalla F.Invest Srl, società detenuta al 100% da Carlo Fulchir e dalla consorte. Che l’operazione di cessione e riacquisto della Magneti Marelli possa configurarsi come un operazione di portage è confermato dalle incredibili clausole contrattuali: tutto il potere decisionale rimane nelle mani dell’am-

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ministratore delegato, nominato in precedenza dal gruppo torinese, e durante il periodo nel quale la società di componentistica è rimasta fuori dal consolidato Fiat i “compratori” avevano l’obbligo di portare a termine un piano di ristrutturazione rendicontando il Lingotto dell’andamento trimestrale delle vendite.

La vicenda Telit Se possibile ancora più misteriosa si presenta l’acquisizione da parte di Mekfin e successivamente Finmek Telit della Telit Mobile Terminals, società produttrice di telefonini. L’intraprendente e fantasioso Fulchir non solo fa intervenire nelle fasi di acquisto nuove società che non rientrano nel perimetro del gruppo Finmek, ma viene di fatto svuotata con la vendita di un ramo d’azienda a una terza società appositamente costituita da due dipendenti. Anche in questo caso sorgono pesanti interrogativi sul ruolo del venditore, in particolare le Assicurazioni Generali che detenevano una quota dell’originale Telit. L’acquisizione mostra, infatti, una grave incongruenza a livello di prezzi pagati: per il 60,31% la neo costituita Space Sat Sa sottoscrive un aumento di capitale grazie ad una linea di finanziamento concessa da Generali Worldwide pari a 25,8

milioni di euro mentre per il restante 39,69% rilevato dalla Panoupalous Sa (controllante di Space Sat) il corrispettivo pattuito è di 2 euro. La società acquirente ha ricevuto una dotazione finanziaria pari a 70 milioni di euro garantiti dai precedenti soci, tra i quali figurano Marconi Mobile, Banca del Gottardo, Sade Finanziaria, Fidia, Belgica Insurance e Banca di Roma oltre alle già citate Assicurazioni Generali. Dove sono finiti questi ingenti flussi di danaro? Qualche evidenza esiste perché Finmek nel corso del 2002 ha ricevuto disponibilità per 63 milioni di euro da Telit Mobile Terminals che peraltro aveva registrato sia nell’esercizio chiuso al 30 aprile 2002 sia in quello precedente ingenti perdite pari a 122 e 220,7 milioni di euro rispettivamente. Anche in questo caso l’operazione non ha dunque apportato alcun chè di industriale all’interno del Gruppo Finmek dato che alla conclusione delle complesse operazioni di ingegneria finanziaria e societaria le attività produttive Terminals e Moduli e Subsystem venivano date in affitto a Dai Telecom ma il canone veniva pagato a Finmek Telit nel frattempo ceduta a una certa Tamairnd Holding Sa. E di chi era la Tamarind Holding Sa? In un documento ufficiale fornito all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si può leggere: «il 99% del capitale

della Tamarind è detenuto dal sig. Carlo Fulchir». Altra chicca: il 25 settembre 2002 Ad Line Sa fatturava a Mekfin “fornitura di tecnologia rekativa a modulo ricetrasmettitore GSM dual band, modulo GSM/GPRS e modulo Gps” al prezzo di 11,350 milioni di euro. Presso la sede di Finmek è stata successivamente ritrovata una presentazione intitolata “Sistemi di localizzazione GSmGPS” del tutto identica nel titolo, nei contenuti e nella forma alla presentazione di Ad Line Sa a supporto della fattura da 11,350 milioni di euro. L’unica differenza è data dal logo sulla copia trovata nella sede Finmek: al posto di quello di Ad Line in origine c’era quello di Telital Automotive. La misteriosa Ad Line, con sede a Ginevra in Rue de Candolle 9 e conto corrente coincidente con quello della Starven Ltd amministratore dalla società di gestione patrimoniale Cramer & Cie, ha intrattenuto frequenti e numerosi rapporti d’affari con il gruppo Finmek: società e marchi che venivano comprate e cedute in continuazione. Al momento dell’entrata in amministrazione straordinaria dalle casse del Gruppo Finmek sono usciti verso Starven e Ad Line, e quindi finite nelle gestioni patrimoniali di Cramer & Cie almeno una dozzina di milioni di euro.

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GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

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Una fabbrica siderurgica nell’immagine di Berengo Gardin.

Piombino, 1984

Per l’acquisizione della Telit Mobile Terminals si investono 25,8 milioni di euro per il 60,31% della società, mentre il restante 39,66% viene ceduto a soli 2 euro

Il capitalismo alternativo alla Fiat di Adriano Olivetti La prima esperienza di azienda responsabile nata ad Ivrea nel recinto dell’azienda informatica. Un’impresa non solo

«A

DRIANO OLIVETTI DI CAMILLO, ebreo, nato a Ivrea l’11

aprile 1901. Classifica: sovversivo». C’era scritto questo nell’intestazione del dossier redatto dalla questura di Aosta nel 1931. Non di Piero Bosio a torto. Olivetti, dopo la caduta del fascismo, avvisò gli Stati Uniti di non fidarsi del generale Badoglio e per questo venne successivamente arrestato. Tornato libero entrò in clandestinità. Poi l’esilio in Svizzera, nel 1944, durante il quale collaborò con la Resistenza e frequentò Altiero Spinelli, teorico dell’unità europea. Nel 1953 si candidò alle elezioni nella lista di Unità Popolare di Ferruccio Parri e Piero Calamandrei. Adriano Olivetti era un “sovversivo” a tutto tondo: innovatore del fare impresa, attento ai bisogni della forza lavoro, alla cultura, all’urbanistica e all’ambiente. «Era un capitalista - ricorda lo studioso Marco Revelli - alternativo alla Fiat e alla sua cultura dominante e repressiva. Olivetti aveva formato un collettivo creativo, motivato con un forte progetto industriale –sociale. Con la sua morte finisce un sogno». A 23 anni entrò nella fabbrica del padre dove fece la gavetta lavorando come operaio apprendista, un’esperienza che trasporrà nel suo lavoro: «bisogna capire l’umore nero di un operaio al lunedì, altrimenti non

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si può fare il manager». Erano i primi embrioni della filosofia imprenditoriale di Adriano Olivetti che entrò nel 1924 nella fabbrica del padre che produceva 4000 macchine da scrivere all’anno con circa 400 dipendenti. La porterà a 36 mila lavoratori con 5 sedi in Italia e altrettante all’estero. Facciamo un passo indietro, al 1925. Olivetti andò negli Stati Uniti per studiare il Fordismo, visitò un centinaio di fabbriche e comprese che la produttività delle aziende americane era dovuta all’applicazione rigorosa di metodi scientifici nell’organizzazione del lavoro. Tornato a Ivrea iniziò a sperimentare il Taylorismo, l’organizzazione del lavoro industriale, adattando quel modello al contesto italiano incrementando la produttività pur mantenendo il rispetto delle esigenze operaie. Assunse una nuova generazione di ingegneri e tecnici puntando sui giovani e sostenendo i ricercatori. Un tema che oggi in Italia si ripropone in tutta la sua urgenza per rilanciare un’industria imballata. Negli ultimi decenni i governi che si sono succeduti nel nostro paese hanno investito molto poco per la ricerca. Olivetti guardava invece lontano, pronto a accettare la sfida della competizione internazionale e punterà su un personaggio chiave: un giovane ingengere elettronico italo-cinese, Mario Tchou.

economica distrutta dalle logiche finanziarie e dall’assenza di qualsiasi politica industriale. La svolta nella produzione. L’operaio allenatore L’istituzione dell’ufficio Tempi e Metodi rappresenterà la svolta. Prevedeva un sistema con due figure centrali: l’operaio “allenatore” e il cronometrista. L’’allenatore doveva collaborare con il cronometrista della produzione studiando il lavoro, testando i cambiamenti, suggerendo migliorie, ottenendo così risultati ottimali con un giusto equilibrio tra i tempi di produzione e le condizioni di lavoro dei dipendenti. Il progetto di Adriano Olivetti era però più ampio. inizio quindi a occuparsi dell’urbanistica, dell’architettura, della cultura, complice l’educazione ricevuta dal padre Camillo, da cui aveva ereditato il senso della giustizia e dell’uguaglianza. Progettò a Ivrea nuovi edifici industriali, mense, case per i dipendenti, colonie e asili per i loro figli. «Noi della Fiat eravamo invidiosi per come erano trattati i lavoratori dell’Olivetti, le loro famiglie, i loro figli», racconta Marco Frola, ex tornitore nel gruppo torinese. Nel 1948 nelle fabbriche Olivetti venne istituito il Consiglio di Gestione, per molti anni unico esempio di organismo paritetico nella gestione dei finanziamenti sociali e delle mense. Un’organizzazione del lavoro scientifica, una rete commerciale solida, il coinvolgimento dei

dipendenti producevano intanto i primi risultati con profitti consistenti. L’Olivetti portò sul mercato prodotti come la macchina da scrivere Lexikon e la portatile Lettera 22. Qualche anno piu tardi arrivò la calcolatrice Divisumma, inventata dall’operaio Natale Cappellaro, che per le sue capacità venne nominato ingegnere honoris causa, a conferma dell’attenzione che Olivetti aveva per i suoi dipendenti. Lexikon e Lettera 22 erano ottime macchine da un punto di vista meccanico con un eccellente design che fece scuola a livello internazionale. Siamo agli anni ‘50. L’industria informatica mondiale muoveva i primi passi con la nascita nel ’51 di Univac, il primo calcolatore su scala industriale seguito subito dopo da IBM, Remington.

La sfida. Il passaggio dalla meccanica all’elettronica Per Olivetti iniziò la più grande sfida: il passaggio dalla meccanica ed elettro-meccanica all’elettronica. L’allora amministratore delegato intuì che il principale obiettivo doveva essere la progettazione di calcolatori per applicazioni industriali e commerciali. Parlava dell’importanza dell’elettronica già negli ’40: «L’elettronica è il nostro futuro», diceva agli operai. Lo diceva convinto ma «con quel suo tono mite e

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gentile, con un sorriso appena abbozzato», ricorda il sociologo Luciano Gallino, assunto personalmente dall’imprenditore di Ivrea. Ritorniamo a Mario Tchou, il giovane ingegnere italo-cinese. Tchou era un genio dell’elettronica, nel 1955 accettò di lavorare con Adriano Olivetti organizzando una squadra di giovani ingegneri e tecnici che iniziò a collaborare con l’università di Pisa. Bruciarono i tempi. In due anni la sua equipe realizzò la Macchina Zero, che diventò poi Elea 9003. Elea non fu un nome scelto a caso, è quello di un’antica città greca sede della scuola di filosofia, scienza e matematica. L’Elea fu un calcolatore all’avanguardia che entrò in un mercato dominato dall’Ibm con il vantaggio di essere il primo calcolatore al mondo interamente transistorizzato, con consistenti risparmi di costi e di energia. L’Olivetti scelse definitivamente di puntare sull’elettronica, ma i media (escluso Paese Sera e pochi altri) e soprattutto il governo italiano non sostennero quel progetto. Negli stessi anni Usa e Gran Bretagna stanziarono ingenti somme per le ricerche elettroniche. Olivetti comprese intanto che la sua rete commerciale non era più sufficiente, per questo acquistò negli Stati Uniti la Underwood mentre iniziava l’esplorazione dei mercati dell’Europa dell’Est e della Cina. Fece anche degli errori, tra cui sottovalutare le metodologie finanziarie, ostacolando così il formarsi di un assetto di capitale solido della società. I bilanci fotografano un gruppo sempre sottocapitalizzato. «In quel periodo di espansione - dice Luciano Gallino - contò troppo sull’autofinanziamento e sul sostegno della famiglia, divisa al suo interno». Intanto continuava nel suo impegno politico, venendo prima eletto sindaco di Ivrea e successivamente alle elezioni nazionali del 1958 con il Movimento Comunità da lui fondato.

Il viaggio, la morte. L’addio a un sogno Era un uomo pieno di idee, di progetti quando in una mattina fredda di fine febbraio del 1960 salì sul treno direttissimo Milano-Losanna. Non sapeva che la morte era dietro l’angolo, una trombosi celebrale

fulminante lo colpì. Se ne andò così, a soli 59 anni, Adriano Olivetti. Padrone illuminato, alternativo, paternalista, innovatore... il modo di fare impresa di Adriano Olivetti è ancora oggi oggetto di attenzioni; volle mettere l’uomo al centro della produzione e non la fabbrica, osteggiato sia dal Pci (che lo considerava un imprenditore paternalista) che da ampi settori della Dc. Adriano Olivetti fu soprattutto un capitalista che non smise mai di chiedersi perché, come durante l’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli nel 1955: «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi fini semplicemente nell’indice dei profitti? O non vi è qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica». Il contributo di intellettuali, architetti, urbanisti, arricchì l’Olivetti e favorì la nascita di discipline che nei decenni successivi divennero importanti filoni accademici come l’economia di impresa (con Franco Momigliano), la sociologia industriale (Luciano Gallino), la psicologia del lavoro (Cesare Musatti). Un anno dopo la morte di Adriano Olivetti anche Mario Tchou morì in un misterioso incidente stradale. La scomparsa di Tchou fu un altro duro colpo per la società di Ivrea: la visione strategica, capacità tecniche e di ricerca dell’ingegnere italo-cinese erano fondamentali per lo sviluppo della società. In quella situazione di emergenza un altro componente della famiglia, Roberto Olivetti, assunse immediatamente la guida della divisione elettronica.

La crisi finanziaria e l’inettitudine dei Governi L’azienda entrò poi in una profonda crisi finanziaria per le divisioni interne alla famiglia e le difficoltà a sottoscrivere aumenti di capitale. Nerio Nesi era allora direttore finanziario dell’Olivetti e ricorda: «Il Governo non capì che rinunciare ai grandi calcolatori sarebbe stata una sconfitta per l’Italia, per l’Europa». Nel ‘64 l’Olivetti passò sotto il controllo di Fiat, Pirelli, Mediobanca e Imi. Enrico Cuccia annunciò la cessione della divisione elettroni-

ca Olivetti alla General Electric. «Il Governo e gli industriali - sostiene Luciano Gallino - non furono lungimiranti nel vendere la divisione elettronica dell’Olivetti e fecero anche un grave errore cedendola alla General Electric,una società che aveva dato pessimi risultati nell’elettronica. Non escludo che ci siano state anche pressioni dagli Usa sul Governo italiano per evitare che Olivetti diventasse un competitore delle fabbriche statunitensi». Olivetti mantenne il diritto di proseguire nella piccola elettronica. Nel 1965 lanciò la calcolatrice Programma 101, considerato il primo personal computer della storia.

L’arrivo di De Benedetti. Rilancio e fine di Olivetti Nel 1978 Carlo De Benedetti rileva una azienda “tecnicamente fallita”. L’Ingegnere riuscì a trasformarla, rendendola in tre anni nuovamente competitiva, Nel 1982 l’Olivetti inizia a fabbricare personal computer in Europa mentre molte aziende informatiche lasciavano il campo tra cui Siemens, Philips, Bull, Nokia informatica e Ericsson informatica. Omnitel (telefonia mobile) e Infostrada (telefonia fissa) portano la società nelle telecomunicazioni. Per l’Ingegnere l’elettronica non era più strategica. Roberto Colaninno, subentrato a De Benedetti, utilizzò Olivetti come contenitore finanziario per “ la madre di tutte le scalate”, quella a Telecom Italia. Nel 1999 a quattro mesi dal successo dell’Opa (offerta pubblica di acquisto) su Telecom, Colaninno disse: «è brutto licenziare, ma è ancora più brutto far perdere denaro a chi te lo ha affidato confidando che lo avresti fatto rendere». Infine arrivò Marco Tronchetti Provera. Con Telecom il marchio Olivetti venne addirittura cancellato dal registro delle società quotate in Borsa. Poi il ripensamento e il tentativo di rilanciare il marchio di Ivrea con l’annuncio, nel maggio del 2005, di voler investire 200 milioni di euro in tre anni, di cui la metà per la ricerca e lo sviluppo in particolare di una linea di prodotti “ink jet” con due nuove stampanti realizzate da designer internazionali come James Irvin e Alberto Meda.

Ma dopo le grandi promesse è arrivata la doccia fredda per i lavoratori e i sindacati. Telecom, a maggio 2005, ha annunciato di voler smantellare le produzioni di stampanti bancarie e registratori di cassa dello stabilimento di Agliè in Piemonte dove la ex Olivetti Tecnost ha 400 dipendenti. Le produzioni dovrebbero essere trasferite in Malesia.

Il deserto a Ivrea. Anche la storica mensa chiude Di Olivetti restano un migliaio di dipendenti sparsi tra Ivrea, Scarmagno, la Valle D’Aosta e Milano. La grande Olivetti appare ormai lontanissima e anche uno dei suoi ultimi simboli, la storica mensa Ico di Ivrea, se ne è andato a fine 2004. La mensa, a forma esagonale, sorge sulla collina di Monte Navale, vicino agli stabilimenti, e fu voluta da Adriano Olivetti su progetto dall’architetto Ignazio Gardella.

Il capitalismo finanziario e l’ultimo sovversivo Si chiude così una delle pagine più tristi per il capitalismo italiano, che ha sancito lo smantellamento dell’informatica, dell’elettronica nel nostro paese. Una conclusione determinata dalla scarsa lungimiranza dei Governi, di interi settori del capitalismo che hanno privilegiato le logiche finanziarie e la rendita a scapito dell’innovazione e della ricerca, realizzando grandi plusvalenze, scarsi profitti e distruggendo un pezzo dell’industria e dell’economia nazionale. Resta l’esperienza di Adriano Olivetti che George Gilder, esperto di comunicazione e tecnologie, descrisse con toni enfatici ma in parte veritieri: «Olivetti fu un imprenditore che non ebbe nessun rapporto di mera dipendenza con il capitale, la terra, il lavoro ma che che creò capitale, conferì valore alla terra e al lavoro. Non fu strumento dei mercati ma creatore di mercati, non un ottimizzatore di risorse ma un inventore di risorse». In fondo anche ai giorni nostri Olivetti sarebbe stato probabilmente un imprenditore “sovversivo.

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Il Bel Paese saccheggiato dalla finanza di rapina L’industria agroalimentare italiana è la prima filiera economica italiana ma, salvo i successi di qualità, i uno dei punti di forza del nostro Paese, la tradizione culinaria italiana è la più famosa e diffusa del pianeta (in eterna concorrenza con quella francese), il clima e la natura geografica della Penisola garantiscodi Francesca Paola Rampinelli no la produzione di materie prime di eccellente qualità e in tutto il mondo i nostri prodotti alimentari sono pregiatissimi. D’altra parte basta guardare ai numeri per trovare conferma a tutto ciò. Infatti, secondo l’indagine “Scenari 2005-2015 della filiera alimentare” realizzata da Federalimentare in collaborazione con il Centro studi Confindustria, l’Ismea e le Università di Bologna, del Molise e di Verona, con 264 mila dipendenti e 6700 azienL CIBO È STORICAMENTE SEMPRE STATO

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de, con 105 miliardi di euro di fatturato nel 2004 (+1,9%), l’industria alimentare è il secondo settore produttivo del Paese dopo quello metalmeccanico; trasforma oltre il 70% del prodotto agricolo nazionale e circa il 76% dell’export di settore è costituito da prodotti di marca. L’’industria alimentare costituisce la prima filiera economica d’Italia insieme ad agricoltura, indotto e distribuzione. La ricerca si conclude con la nota di pessimismo: nel 2004, per la prima volta dal dopoguerra, la produzione è calata (-0,2% sull’anno precedente), mentre i consumi alimentari sono scesi del -2%. Anche per quanto riguarda l’export, pur cresciuto del 3,5% a quota 14,6 miliardi, la visione non è rosea e nettamente inferiore alla media euro-

produttori agricoli annaspano, la produzione e i consumi calano. pea. Le non brillanti prospettive di mercato si aggiungono alla recente storia industriale del settore agroalimentare in Italia, contrassegnata da una serie di avventure imprenditoriali caratterizzate da gestioni al limite del lecito e da personaggi degni di un racconto d’appendice. Raul Gardini ebbe la geniale intuizione di un impero che unisse chimica e agricoltura ed ha pagato in prima persona le sue scorribande; Sergio Cragnotti, partito proprio dalla Ferruzzi per passare al fallimento del gruppo Federconsorzi, da cui rilevò la Fedital, arriva ai giorni nostri al disastro della Cirio; l’ex “re del grano”, Franco Ambrosio, arrivò a trattare con la Italgrani oltre il 60% del grano duro mondiale, fatturando alla fine degli anni ‘80 quasi due-

mila miliardi di lire. Ambrosio, cassiere di Paolo Cirino Pomicino, nel 2001 finì in carcere per bancarotta fraudolenta. Un pensiero va infine rivolto al fantasiosissimo Calisto Tanzi che ha dilapidato in giochetti finanziari l’azienda alimentare considerata l’orgoglio del Paese riuscendo a superare il record, fino ad allora era detenuto proprio da Federconsorzi, del crack più disastroso d’Italia.

Un settore danneggiato dalla finanza «Il settore agroalimentare in Italia è stato enormemente danneggiato dalla tendenza dei manager e proprietari a buttarsi sulla finanza trascurando l’industria», afferma

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ammontare di 142 miliardi, la seconda per 240, come crediti inesigibili, quando invece si trattava di denaro uscito dalle casse senza alcuna giustificazione». Conclusione logica: «Come si può osservare, a poco a poco la Fedit dal suo ruolo iniziale passò ad assumere anche la funzione di portafoglio per operazioni in nero». Al momento del commissariamento, avvenuto il 17 maggio 1991 (un venerdì 17!), circa un terzo dei beni è in gestione commissariale o in liquidazione coatta amministrativa e l’indebitamento totale dei Consorzi verso la Federconsorzi ammonta a circa 2.200 miliardi di lire mentre i debiti del consorzio hanno superato i 5 mila miliardi di lire.

Assenza controlli e crediti facili Il relatore della Commissione parlamentare cerca di dare un quadro delle responsabilità più evident: «uno scarso controllo da parte della Banca d’Italia sul credito che veniva erogato a favore della Fedit. Dalle audizioni del responsabile della Banca d’Italia non è emerso nulla a questo proposito. Anzi, l’impressione che ne è risultata è che qualcuno se ne fosse lavato le mani nella convinzione che in fondo la Banca d’Italia non avesse il dovere di entrare nel merito e nella sostanza dei crediti, ma dovesse semplicemente limitarsi a verificare la regolarità delle procedure. Personalmente non credo che ciò sia vero, in ogni caso ciò corrisponde a quanto ci hanno riferito. Desidero anche evidenziare -continua Magnalbò- la totale mancanza di controllo da parte del Ministero dell’agricoltura. Il Ministero avrebbe dovuto effettuare una vigilanza continua ed invece sembra che il suddetto Ministero si sia limitato a recepire passivamente i bilanci e la documentazione da parte della Fedit, mentre quest’ultima considerava assolto il proprio compito con la trasmissione degli atti. Quindi è mancata del tutto un’attività di controllo». Appurate le responsabilità dei presunti organi di controllo, entrano in gioco altri soggetti: «Nell’intera vicenda un ruolo fondamentale è stato ricoperto dalle associazioni di categoria. La Coldiretti era certamente il sogLa Commissione getto che maggiormente parterileva «un utilizzo cipava all’attività della Fedit e costante, quotidiano che, attraverso i suoi rappree ordinario alla doppia sentanti, dirigeva più o meno fatturazione» dall’interno questo colosso. La struttura Successivamente si affiancò la Confagricoltura, che didell’occupazione sponeva anch’essa dei suoi uomini, tra cui Gioia, presiin Italia è fortemente legata ai servizi dente della Confagricoltura e vicepresidente Fedit. Nello (63%) con una stesso periodo, anche i rapporti con la Coldiretti erano enpercentuale del 32% di occupazione trati in crisi, perché la Fedit cominciava a "boccheggiare" e industriale. non era più in grado di fare consistenti elargizioni in terGenova, 1992 mini di sponsorizzazioni a favore delle due associazioni». «Le cause del dissesto vanno individuate nella riconosciuta mala gestio, risalente a molti anni prima. Lo stesso

IL RITORNO DI PARMALAT «QUELLO CHE È SUCCESSO È LA PROVA che il problema di Parmalat non era il core business, ma la finanza. Purtroppo me ne sono accorto troppo tardi quando il mondo mi è crollato addosso». Lo ha dichiarato, commosso riferisce il suo avvocato, Calisto Tanzi, quando ha visto che il titolo della “sua” Parmalat, nel primo giorno di quotazione in Borsa dopo 22 mesi dal crack, balzava bruscamente in avanti. Parmalat, infatti, dopo aver esordito con il prezzo teorico di un euro ha chiuso a quota 3,025 euro. Un prezzo che assegna alla Parmalat una capitalizzazione di 4,9 miliardi di euro e che ha visto il passaggio di mano di 281,5 milioni di azioni, pari al 17,5% del capitale della società. Parmalat però non è certo un titolo che può garantire stabilità e per un po’ sarà necessario che gli investitori si abituino a vederlo scattare al rialzo per poi calare bruscamente. Nel secondo giorno in Borsa, infatti, il titolo ha perso il 13,59% a 2,61 euro, portando la capitalizzazione a 4 miliardi Hanno senza dubbio inciso sulla frenata le prese di profitto degli hedge funds insieme alle incertezza circa le richieste di risarcimento danni avviate da Bondi contro le banche. La giornata è stata ancora decisamente intensa visto che se giovedì era passato di mano il 17,5% del capitale, venerdì i volumi hanno interessato l'8,1% delle azioni e sono transitati anche 6,3 milioni di titoli sul mercato dei blocchi. Sulla sorte a Piazza Affari del gruppo di Collecchio ci sono moltissime incognite determinate sulle incertezze oggettive che ancora gravano su Parmalat. Da tempo circolano voci circa una possibile acquisizione da parte di Granarolo , della francese Lactalis e di Nestlé ma si è parlato anche del gigante americano dell’agroindustria Cargill oltre che di una cordata guidata dal commissario della Cirio, Mario Resca. Più chiari, invece, appaiono finalmente i numeri della società che sono stati presentati il 10 ottobre, al termine del cda. Nel primo semestre 2005 il gruppo Parmalat ha realizzato un fatturato netto consolidato di 1.847,8 milioni, in crescita del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2004 (dati pro-forma ricalcolati). Il mol è passato a 141,6 milioni dai 130,4 del 2004, salendo al 7,7% dal 7,2%, mentre il risultato della gestione ordinaria, dopo ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti per 56,2 milioni, è pari a 85,4 milioni (4,6% dei ricavi della gestione caratteristica). L’utile netto pro-forma è di 39,6 milioni. Al risultato netto contribuiscono proventi non ricorrenti per 19,5 milioni, oneri finanziari netti per 46,5 milioni e imposte sul reddito per 16,6 milioni. L'indebitamento finanziario netto al 30 giugno era pari a 585,6 milioni, in aumento di 43,7 milioni.

GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

Alessandro Danovi, condirettore dell’Osservatorio crisi e risanamento dell’Università Bocconi. Per capire bene quanto questo sia vero basta scorrere le avvincenti vicende di Federconsorzi che le cui vicissitudini aprono la strada a tutti i casi a cui si accennava sopra. Fondata nel 1892 come società cooperativa, Federconsorzi diventa, dopo la Seconda guerra mondiale, una delle maggiori organizzazioni economico-sociali italiane. Come sistema di riferimento di centinaia di migliaia di coltivatori diretti e imprenditori agricoli, controlla 74 consorzi locali e oltre 80 aziende che operano nei settori più disparati, tra cui Massalombarda Colombani e Polenghi Lombardo nell’agroalimentare, Siapa (agrochimica), Fata (assicurazioni), e il Credito Agrario di Ferrara oltre ad una quota di minoranza qualificata della Banca Nazionale dell’Agricoltura, pari al 13%. Inoltre fa capo alla Federconsorzi un enorme patrimonio di terreni, allevamenti, magazzini e aziende agrarie oltre ad immobili di prestigio. Il 31 dicembre 2001 l’onorevole Magnalbò fu incaricato di stendere una relazione con la «ricostruzione il più possibile obiettiva di quanto è avvenuto in riferimento alla Federconsorzi, nel periodo che va dal secondo dopoguerra al commissariamento» così riporta alla Commissione parlamentare d’inchiesta: «durante il suo lungo periodo d’attività, la Fedit portò a termine una serie di interventi che andavano ben al di là di quello che era il suo programma di base, quello della sicurezza alimentare; infatti, la Fedit ad un certo punto cominciò a proporsi come ente che aveva la possibilità, attraverso il compendio immobiliare che a mano a mano acquisiva, di indebitarsi e di mettere le mani su vari settori dell’economia. In tal senso ebbe una compartecipazione a tutte le attività dei consorzi agrari italiani (d’altra parte questa era la sua funzione originaria), svolgendo anche il ruolo di sponsor, ma soprattutto di tramite tra i consorzi agrari e gli istituti di credito. Quest’ultima fu una delle grandi funzioni svolte dalla Fedit che in tal modo riuscì a finanziare tutto questo comparto, che era in perdita, attingendo costantemente credito presso le banche.». Il relatore in comissione afferma e che «tali aspetti appaiono con più evidenza ed in termini che definirei "raccapriccianti" nell’analisi stilata dai collaboratori della Commissione che hanno messo in luce una massa di operazioni in cui, oltre al ricorso costante al credito, si rinviene un utilizzo altrettanto costante, ordinario, quotidiano e perpetuo della doppia fatturazione. Ciò sta a significare che moltissime poste venivano fatturate due volte e una stessa fattura per consulenza veniva pagata due volte e questo per centinaia di miliardi». Ma non è finita qui: «Si è inoltre riscontrato che vi erano delle poste che in origine non corrispondevano ad alcuna voce, ma che successivamente, negli anni 1988-8990, vennero iscritte in bilancio, una prima volta per un

ministro Mannino si preoccupò di dire che la Fedit era gestita male». Tutto però continua a procedere tranquillamente fino al 1991 quando viene nominato ministro dell’Agricoltura Giovanni Goria. La situazione si fa ancora una volta misteriosa. Alcune fonti sostengono che Goria si dopo un solo mese al ministero avverte l’incombente disastro e decide di commissariare l’ente minacciando di dimettersi e di fare così cadere il governo in caso di ostacoli. Nel luglio 1991 si ottiene l’ammissione alla procedura fallimentare che appare subito lunga, costosa e complessa; l’intero patrimonio di Federconsorzi rischia di essere liquidato per poche lire visto che il concordato richiederebbe vendite frazionate con conseguenti costi elevatissimi. Viene così chiamato in campo Pellegrino Capaldo, professore universitario ed ex presidente del Banco di Roma. Vanta doti tecniche ed è anche personaggio gradito al Governo, al mondo agricolo, ai sindacati, agli istituti di credito e alla Banca d’Italia. Elabora la Società Gestione Realizzo, composta da 28 grandi creditori che dovrebbe rilevare i beni della Fedit. Una soluzione che «avrebbe consentito di chiudere rapidamente il concordato e vendere i beni con procedure meno farraginose di quelle classiche». Il giudice Ivo Greco autorizza l’operazione e valuta il patrimonio in 2.150 miliardi di lire, cifra che appare assolutamente non corrispondente al valore reale ad un gruppo di ex dipendenti di Fedit che fa partire un’inchiesta presso il tribunale di Perugia. A fine 2001, dalla vendita dei suoi beni, la Sgr aveva complessivamente realizzato 2.371 miliardi di lire e sostenuto costi per 2.293 miliardi, esclusi gli oneri finanziari. Il suo indebitamento ammontava a 106 miliardi. La società, con ulteriori realizzi, aveva previsto un incasso finale compreso tra i 2.650 e i 2.700 miliardi a fronte di costi complessivi compresi tra i 2.630 e i 2.680 miliardi. In un decennio, in pratica, la Sgr avrebbe concluso in pareggio il complesso delle dismissioni se non fosse intervenuto a vanificare i conti il sequestro dei beni, scattato con l’inchiesta di Perugia. In forza a quale fenomeno, mentre è pendente da anni presso il Tribunale di Roma il processo penale contro i dirigenti e gli amministratori di Federconsorzi responsabili di bilanci così fantasiosamente gestiti per anni, Capaldo e Greco (co imputati a Perugia) sono stati invece condannati per bancarotta fraudolenta (a 4 anni il primo e a 4 anni e 6 mesi il secondo) a spron battuto? Qualcuno parla di un’ipotetica, eventuale, ascesa di Capaldo in Mediobanca che sarebbe stata arginata proprio dalla tempestività del procedimento. Nulla avrebbe a che vedere, in questo caso, con l’effettivo interesse al recupero dei crediti vantati oltre che dalle banche da migliaia di coltivatori… Per essere dichiarato innocente Capaldo ha dovuto aspettare, fino al giugno del 2004 quando la Corte d’appello di Perugia ha ribaltato il primo verdetto, scagionandolo dall’accusa perché “il fatto non costituisce reato”.

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Stefano Ricucci

Le origini della holding lussemburghese di Paolo Fusi

HI C’È DIETRO STEFANO RICUCCI? Possibile mai, che l’odontotecnico sia divenuto dapprima immobiliarista

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e poi banchiere solo in virtù della sua somiglianza con Lando Fiorini e l’aggento un bo’ bburino da Frangesgo Pionati? Commuove il fatto che la sua holding lussemburghese, la Magiste International SA, prenda il nome da papà Matteo, mamma Gina e bimbo Stefano – un po’ di “Ultimo Tango a Zagarolo” nella compassata capitale del Granducato. La Magiste non si è sempre chiamata così. All’atto della costituzione, nel giugno 2001, e per i due mesi successivi, si chiamava Red Investment SA. I proprietari della Red Investment alias Magiste International all’atto della fondazione sono due: la Realest Finance SA di Lussemburgo e l’Alpine Strategic Marketing LLC di Washington. Quest’ultima ha sede nell’appartamento 101 di un palazzone della capitale USA, che appartiene alla Global Investors LLC di Trutnov – una fiduciaria d’investimenti di un paesino di minatori della Repubblica Ceca… La Global Investors l’appartamento l’ha preso per gestire in parallelo due società: l’Alpine Strategic Marketing e la Rodeos Investments LLC. La prima fonda nell’ombra società in Lussemburgo. La seconda, invece, è famosissima. Nell’ottobre del 2002, infatti, la Rodeos conclude un contratto con la fabbrica d’armi bulgara Terem e con la holding di Stato bulgara Kintex. Si tratta di una fornitura d’armi alla Siria, ufficialmente. Pochi giorni si scopre che le armi sono state portate in Iraq. La plusvalenza per la Rodeos è di 1,9 milioni di dollari. Si viene a sapere poi che nell’anno precedente la Rodeos ha fatto affari persino più redditizi. La finanziaria intitolata a mammà Il direttore della Rodeos è un tale Mikhail Georgiev, e papà ha due discutibili un trafficante d’armi di Sofia legato a due pesci grossissimi della progenitori: due fiduciarie sospettate di collegamenti scena internazionale, che sono poi coloro che hanno coordinato con il traffico d’armi. E scavando il colpaccio: il siriano Monzer Al-Qassar ed il russo Viktor Bout. si trovano molte altre coincidenze Quest’ultimo, ex ufficiale d’aviazione dell’URSS, è il numero uno al mondo. Con i suoi enormi Antonov è in grado di trasportare ovunque truppe, armi, carri armati: Bout garantisce la fornitura anche tra le montagne dell’Afghanistan, nell’Iraq in fiamme, nei porti semidistrutti della Somalia o all’interno di paesi come gli Stati Uniti – in barba a qualsivoglia controllo dello spazio aereo. È intoccabile, anche se ufficialmente ricercato dalla Polizia di oltre 50 paesi, dato che ha come clienti gli Stati Uniti stessi, l’Arabia Saudita, la Russia, e via dicendo. Prima di Bout, il più grande era Monzer Al-Qassar. Legatissimo all’estremismo islamico, già condannato in Francia per terrorismo, Al-Qassar inventò negli anni ’80 un sistema per vendere armi costose a paesi poverissimi: questi pagavano in droga. Lui forniva armi bulgare (già allora dalla Kintex) e rivendeva la droga ai clan siciliani. I soldi venivano poi riciclati da una società ticinese, la Fimo SA di Chiasso. Una noticina per gli smemorati: la Fimo è al centro di alcuni dei più grandi scandali degli anni ’80 e ’90. Riciclava ad esempio i soldi della droga, le tangenti per l’acquisto di Gianluigi Lentini da parte del Milan, ed altre piacevolezze del genere. Alcuni dirigenti erano membri della World Anti Communist League, che cercava fondi per armare gruppi paramilitari di destra. In cima, per coordinare il tutto, la Fimo aveva una propria banca, la Albis Bank. Che ne è stato di tutto ciò? Ma nulla, ragazzi. La banca c’è ancora, alla testa di cotanto gruppo. Si chiama però BPL Banca Popolare di Lodi (Svizzera) SA Lugano. Ha cambiato il pelo, come la Red Investment di Stefano Ricucci, che ora si chiama Magiste International in onore di mamma e papà. Non c’è da morirne di tenerezza?

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Banche italiane: testa al Nord e tasche vuote al Sud >31 Giuseppe Gallo (Fiba-Cisl): «risolvere l’accesso al credito» >35 Nestlè tra inchieste, proteste e il debutto dei prodotti etici >38

finanzaetica IL MINISTERO AFFIDA TRA LE PROTESTE LA VERIFICA DEI DATI DEL TEST INVALSI A UNA DITTA PRIVATA

UN PROGETTO DI VISIBILITÀ PER IL TURISMO RESPONSABILE

ANCHE LEVI’S PUBBLICA LA LISTA DEI SUOI FORNITORI

USA: MANETTE PER FRODE E NUOVI SCANDALI ALLE PORTE

OPENOFFICE FESTEGGIA IL SUO QUINTO ANNIVERSARIO E RILASCIA LA VERSIONE AGGIORNATA DEL PACCHETTO

EXXON MOBIL COSTRETTA A RIDURRE LE EMISSIONI

Tre milioni novecentomila euro di appalto (iva esclusa) per i test Invalsi nelle scuole, destinati dal Ministero dell’istruzione con concorso indetto con “procedura ristretta accelerata” per questo anno scolastico. Sedici milioni di euro in totale assegnati a privati per il triennio 2005/2008, in un momento in cui alla scuola pubblica non arrivano nemmeno i fondi per pagare le fotocopie o le tasse comunali. L’Invalsi è l’Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione: ha il compito di valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo. Per assolvere il suo compito l’Invalsi ha scelto i test sugli alunni, che si svolgeranno dal 28 novembre al 2 dicembre, nelle classi seconde e quarte delle elementari, prime e terze delle medie. Tre le materie: matematica, scienze e italiano; quiz a risposta multipla da risolvere in tempi prefissati, senza nessun aiuto da parte dell’insegnante, con un mediatore linguistico per matematica, ma non per italiano, con codici a barre di identificazione per ogni alunno e codici “speciali” per i portatori di handicap. Tutte le operazioni, incluse le riletture dei test avverranno presso la sede della ditta scelta (Alfa 81 srl di Roma, per le prove che si sono tenute ad aprile). Ma genitori, insegnanti e sindacati non ci stanno: evidente la violazione della privacy dei minori per cui è stata presentata una segnalazione al Garante. Sia i Cobas che la Cgil sono d’accordo nel dire che nessuna legge prevede l’obbligatorietà dei test. Si sono pronunciati contro anche il coordinamento delle associazioni persone con sindrome di Down che ha chiesto la sopsensione delle prove personalizzate, il Cesp (Centro studi per la scuola pubblica) il movimento Scuola e Costituzione e molti genitori che hanno presentato diffide ai Dirigenti Scolastici affinché non “somministrino” i test ai loro figli.

Il turismo responsabile è uno strumento al servizio della pace e dello sviluppo: lo sostiene anche l’ONU, che nel vertice di Johannesburg lo ha incluso tra gli strumenti per la lotta alla povertà. Ma il turismo potrà prendere questa strada soltanto se sarà la domanda di mercato a cambiare: c’è da puntare allora sull’educazione e di questo compito si sono prese carico diverse Ong. Cogliendo l’occasione offerta dal Progetto di Educazione allo Sviluppo, il Cisv (Comunità impegno servizio volontariato) ha portato avanti il programma “Turismo Equo” con lo scopo di collegare quest’ultimo al commercio equo e solidale da un lato, e ai tour operator tradizionali dall’altro. Con ciò, la speranza di dar visibilità al turismo responsabile anche in fiere di settore. Scopo del progetto è anche quello di dar spazio nel mercato del Nord ad imprese di turismo responsabile nate nel Sud, e di inserire nei corsi di studio sul turismo le tematiche tipiche dell’educazione allo sviluppo. Il Cisv si è anche impegnato a promuovere una politica comune europea in materia: Italia e Francia già collaborano attivamente su questi temi. Il convegno conclusivo del progetto si è tenuto durante il forum annuale dell’AITR, con il quale Cisv ha collaborato strettamente per la trasformazione del sito www.aitr.it in un portale dedicato al turismo responsabile.

Levi Strauss & Co ha pubblicato per la prima volta la lista e gli indirizzi di oltre 750 fabbriche fornitrici dei propri marchi Levi’s, Dockers e Levi Strauss Segnature. Secondo il vicepresidente David Love, citato da rainews.it, «la maggior trasparenza all’interno della catena dei fornitori darà un ulteriore impulso ai nostri sforzi per migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche tessili a livello mondiale. Il nostro auspicio è che questo livello di trasparenza diventi uno standard del settore tessile, favorendo una maggior collaborazione tra marchi che utilizzano le medesime fabbriche. Riteniamo che, se i marchi lavorassero in comune sui temi dell’aderenza ai codici di condotta, il monitoraggio delle fabbriche diventerebbe sicuramente più efficace e meno pesante per i fornitori, consentendo loro di pianificare tempi e risorse per adottare miglioramenti a beneficio dei lavoratori». I principali fornitori di Levi Strauss & Co sono così distribuiti: 189 in Cina, 60 in Giappone, 48 in India, 37 in Turchia, 33 in Messico, 31 nelle Filippine, 26 in Colombia, 24 in Vietnam, 22 in Sud Africa, 20 in Corea del Sud, 19 a Hong Kong e in Portogallo, 18 in Brasile, 17 in Thailandia, 15 in Cambogia, 14 in Indonesia, 12 in Pakistan, 11 negli Stati Uniti, 10 in Bulgaria, Tunisia e a Macau, 9 in Canada, 8 in Bangladesh, Repubblica Domenicana, Giordania ed Egitto.

Le autorità americane hanno arrestato, con l’accusa di frode finanziaria, Phillip Bennett, ex timoniere della matricola di Borsa Refco, il più grande broker di future di materie prime indipendente degli Stati Uniti. L’autorità di controllo del Chicago Mercantile Exchange (Cme) ha chiesto a Goldman Sachs di intervenire. L’accusa che pende sul capo di Bennet è di avere nascosto l’esistenza di prestiti per 430 milioni, garantiti dal broker che guidava una sua società personale. Le transazioni in questione non erano state segnalate nel prospetto di collocamento della società, sbarcata a Wall Street lo scorso agosto. L’esistenza di queste operazion ha provocato le immediate dimissioni di Bennett dal timone della Refco, nonché il crollo del titolo che da circa 28 è sceso a 10 dollari. Intanto, nel tentativo di sbrogliare una situazione diventata sempre più complessa, l’autorità di controllo del Chicago Mercantile Exchange (Cme) ha chiesto a Goldman Sachs e ad altri primari operatori di Wall Street di acquistare la società o di rilevare almeno il core business delle operazioni di trading sui future. L’iniziativa, secondo quanto scrive il Wall Street Journal, potrebbe contribuire a rasserenare i timori di investitori e partner. Qualsiasi acquirente dovrebbe garantire i depositi fino a quando le posizioni della clientela non saranno state chiuse.

Gratuito, funzionale, compatibile con gli altri software e disponibile in moltissime lingue: OpenOffice ha appena festaggiato i suoi primi cinque anni di vita e per l’occasione ha reso disponibile la versione 2. Si tratta di un “pacchetto”, un insieme di programmi per l’ufficio, che si inserisce nella stessa categoria di Microsoft Office ma, a differenza di quest’ultimo è un software libero, con una licenza d’uso che consente a tutti di utilizzarlo, modificarlo, copiarlo e distribuirlo gratuitamente. Un software “open source”, che in pratica significa “democratico”, realizzato dal basso: il codice sorgente è disponibile ed ognuno è dunque libero di apportare modifiche e miglioramenti, a patto poi di restituire alla comunità il programma modificato. All’arricchimento di OpenOffice collaborano singoli volontari, specialisti del settore ed anche aziende come la Sun Microsystems, che non vogliono lasciar alla Microsoft il monopolio del sistema, ed offrire invece agli utenti una – ed infinite – possibilità alternative. È una comunità che lavora per la comunità, e per ogni singolo elemento che ne fa parte: il programma infatti, per essere utilizzabile dal maggior numero di persone, è tradotto in oltre 60 lingue. E sono molte le comunità minoritarie che in tutto il mondo stanno creando le “proprie” versioni di OpenOffice: l’Australia e la Nuova Zelanda ad esempio ne hanno realizzata una per i nativi in lingua Mahori, in Sri Lanka è stata creata una versione in lingua Tamil e si sta traducendo il software in diverse lingue sudafricane: per rendere accessibile il programma anche a chi non può (o non vuole) utilizzare l’inglese. OpenOffice attualmente viene utilizzato da circa 100 milioni di utenti, pari al 10% del mercato, ed è sempre più richiesto sia dai privati che dalle aziende perché oltre ad essere gratuito ed “elastico” risulta sicuro, standardizzato da un consorzio di certificazione internazionale (Oasis) e compatibile con molti altri formati, inclusi quelli di Microsoft Office. E per tutte queste ragioni è fortemente raccomandato dalla Comunità Europea come formato ufficiale dei documenti, soprattutto di quelli delle Pubbliche Amministrazioni dei Paesi membri.

ExxonMobil, il Dipartimento della Giustizia Usa e l’Environmental Protection Agency (EPA) hanno raggiunto un accordo economico per chiudere il contenzioso relativo ad una causa sull’inquinamento atmosferico provocato dalle raffinerie della compagnia petrolifera. Il patteggiamento raggiunto prevede interventi tecnologici innovativi, stimati da ExxonMobil in 571 milioni di dollari, finalizzati a ridurre di 53.000 tonnellate l’anno le emissioni in sette raffinerie di cinque Stati Usa: California, Illinois, Louisiana, Montana e Texas. La riduzione delle emissioni sarà di 11.000 tonnellate di ossidi d’azoto e di 42.000 tonnellate di anidride solforosa. Le sette raffinerie rappresentano circa l’11% della capacità di raffinazione degli Stati Uniti. Il patteggiamento stabilisce anche una multa di 8,7 milioni di dollari, cui si aggiungono 9,7 milioni, che la compagnia dovrà spendere per ulteriori interventi ambientali, a beneficio delle comunità in cui opera. Nel patteggiamento, ExxonMobil, che era accusata di aver violato il Clean Air Act, nega di aver operato in contrasto con leggi o regolamenti. La società statunitense è ritenuta tra le principali finanziatrici di think tank avversi al protocollo di Kyoto, come il Marshall Institute.

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| Banche al sud | finanzaetica | GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

Testa al Nord per le banche meridionali. E al Sud le tasche restano vuote Un viaggio nel mondo del credito del Sud Italia. Per capire perché basta spostarsi di qualche centinaio di chilometri per vedere cambiare le regole del gioco. E per scoprire che molte imprese meridionali sarebbero pronte a pagare di più pur di ottenere un finanziamento. di Elisabetta Tramonto ALERNO, ORE

8,30. Il signor Esposito, titolare di una piccola impresa edile, ha un appuntamento con il direttore di una banca della città. Scopo della visita: chiedere un prestito per acquistare nuovi macchinari. Le probabilità che il signor Esposito esca dalla banca con i soldi in tasca sono molto basse. Se invece dovesse riuscire a convincere il direttore della banca a concedergli un prestito, il tasso di interesse si aggirerebbe intorno al 7,5% annuo. Spostiamoci di circa ottocento chilometri, a Milano. Il titolare di un’altra impresa edile, la Fumagalli & figli, ha lo stesso problema del signor Esposito: ottenere un credito per rinnovare i propri macchinari. Il signor Fumagalli entrerà in una qualsiasi banca con sede a Milano per chiedere un prestito e molto probabilmente uscirà con il sorriso sulle labbra, il finanziamento in tasca e un tasso di interesse annuo inferiore al 6%. Più di un punto e mezzo in meno del signor Esposito.

S Terminal al porto di Genova. Ogni anno in Italia sono circa 1.400 i lavoratori che perdono la vita in incidenti sul lavoro, quasi sempre causati da assenza di tutele.

Nord e Sud, due pesi e due misure

Genova, 2002

> Lavoro

LIBRI

Paola Bongini Giovanni Ferri Il sistema bancario meridionale Editori Laterza

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A seconda che ci si trovi in una regione del Centro-Nord oppure del Sud Italia, variano, e non di poco, i tassi di interesse sul credito e, quel che è peggio, varia la probabilità di ottenere il credito. Ma perché? È giustificata questa differenza di trattamento su basi geografiche? «In parte sì, per quanto riguarda i costi più alti attribuiti dalle banche ai clienti nel Sud Italia. Non è giusto invece che il credito sia razionato. Nelle regioni meridionali, infatti, il rischio che un impresa a cui è stato concesso un prestito non sia più in grado di restituirlo è molto più alto rispetto alle regioni settentrionali. Se c’è un rischio maggiore è giusto che la banca si tuteli ed è giusto che il cliente sopporti costi più alti» spiega Giovanni Ferri, professore di economia politica all’Università di Bari, che insieme a Paola Bongini, professoressa di economia degli intermediari finanziari all’Università Milano-Bicocca, ha da poco pubblicato un libro dedicato proprio al mondo delle banche al Sud: “Il sistema bancario meridionale – crisi, ristrutturazione, politiche”. I tassi di interesse più alti, quindi, servono a compensare i maggiori rischi che

una banca deve sopportare concedendo un prestito a un impresa nel Sud Italia, dove i tassi di fallimento imprenditoriale sono più elevati e i tempi di recupero dei crediti più lunghi. Basta guardare i dati sul rapporto tra sofferenze e impieghi nelle diverse aree della penisola, cioè la percentuale di crediti concessi dalle banche che non vengono restituiti (vedi GRAFICO 3 ). Secondo le rilevazioni della Banca d’Italia nel 2003 il 15% dei crediti concessi nel Sud risultava in sofferenza, cioè le imprese non erano più in grado di restituire la somma ricevuta in prestito dalle banche. Una percentuale altissima e di gran lunga superiore al 3,45% del Nord Italia e al 4,78% della media nazionale. Sono questi i numeri che giustificano i maggiori tassi di interesse sui prestiti richiesti al Sud. Un “premio per il rischio” che costa quasi due punti percentuali. Se infatti al Sud il tasso medio applicato sui prestiti bancari è del 7,50% (dato rilevato dalla Banca d’Italia riferito al 2003), al Nord si passa al 5,69% (vedi GRAFICO 4 ). «Due punti percentuali in più nel costo del credito per compensare un maggiore rischio sono accettabili – precisa il professor Ferri - Diverso è il caso dell’accesso al credito, che non dovrebbe essere concesso con il contagoc|

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ABRUZZO Banca Caripe spa Banca Pop. di Lanciano e Sulmona Carispaq BASILICATA Banca Popolare del Materano CALABRIA Carime Banca Popolare di Crotone CAMPANIA Banca della Campania Isveimer Banco di Napoli

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Credito con il contagocce

SICILIA Banca di Palermo Banca Nuova Banco di Sicilia Credito Siciliano Irfis

GRAFICO 2

BANCHE PIÙ EFFICIENTI

Indicatori di performance aziendale delle banche meridionali e centro-settentrionali (%) COST/INCOME Rapporto tra costi e utili

Centro-Nord Mezzogiorno

80 70

di sulla soddisfazione da parte delle imprese meridionali sui servizi offerti dalle banche, in particolare riguardo l’accesso al credito. Da un’indagine di Capitalia del 2000 è emerso che il 32,2% delle imprese del Sud Italia avrebbe desiderato più credito di quanto abbia ottenuto ai tassi di mercato, contro il 18% delle imprese del Nord. Al Sud cioè un’impresa su tre ha ricevuto una risposta negativa alla propria richiesta di credito o comunque una somma inferiore a quella di cui avrebbe avuto bisogno. Ancora più indicativo un secondo risultato dell’indagine. È stato infatti chiesto agli imprenditori intervistati se, pur di ricevere un prestito, sarebbero stati disposti a pagare tassi di interesse più alti. La risposta è stata un sì per il 9,1% delle imprese, il doppio rispetto al Nord Italia (4,6%). Molte imprese meridionali, quindi, sarebbero pronte a pagare di più per avere la possibilità di ottenere un finanziamento.

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LIBERATERRA. MA NON IL CREDITO Coltivare la terra confiscata alla criminalità? In Sicilia e in Calabria cinque cooperative di giovani ci stanno provando grazie all’impegno di Libera Terra, l’associazione di don Ciotti che nel 1996 è riuscita ad ottenere una legge per il riuso sociale dei terreni che un tempo appartenevano alla mafia. È così che oggi le cooperative Placido Rizzotto, Lavoro e non solo, Noemarginazione, La Valle del Marro e la Casa dei Giovani producono grano, ortaggi, legumi, olio e vino, tutti rigorosamente biologici. Prodotti di qualità venduti localmente, ma anche attraverso la grande distribuzione, il commercio equo e solidale e i gruppi d’acquisto. Non si tratta di un lavoro facile, spesso i campi sono in condizioni disastrose, per incuria o per veri atti vandalici. «Uno dei vigneti che abbiamo ricevuto era stato motosegato», spiega Gianluca Faraone presidente della cooperativa Placido Rizzotto, duecento ettari nella zona di Corleone. Rimettere i terreni in grado di produrre comporta molte spese. Un investimento che i soci non possono permettersi. Allora come si fa? Si va in banca, a chiedere un prestito. Già, ma non sempre si trovano le porte spalancate, nonostante le cooperative godano di buona salute e producano reddito. Paolo Rappa di Noemarginazione, che con gli altri dodici soci coltiva cinque ettari di terreno confiscati ai boss Vitale a Partinico (Palermo), si è visto rifiutare addirittura l’apertura di un conto corrente perché la banca “non era interessata a questo tipo di rapporto”. Come ottenere, allora, i soldi per far funzionare le aziende agricole? Gli undici soci della Onlus calabra Valle del Marro stanno

aspettando i finanziamenti comunitari della Regione e intanto si finanziano con le quote sociali (27.500 euro) e con contributi di solidarietà privata. «Non ci siamo rivolti alle banche», spiega Giacomo Zappia, presidente dell’associazione della piana di Gioia Tauro, «perché i tassi di interesse sono proibitivi e perché non abbiamo nulla da dare in garanzia». Non ha chiesto credito alle banche nemmeno La casa dei giovani che a Castelvetrano, in provincia di Trapani, ha una cinquantina di ettari e un piccolo frantoio a freddo. L’associazione può però contare su un finanziamento a fondo perduto elargito da una fondazione della San Paolo-Imi e su sovvenzioni del comune e della regione. «Aldilà del rischio, la difficoltà ad ottenere credito è legata al fatto che i terreni sono in comodato d’uso gratuito e restano di proprietà del Comune - chiarisce Faraone - non possono, quindi, essere usati come garanzia». La sua cooperativa, infatti, ha stipulato una cambiale agraria col banco di Sicilia per 50mila euro utilizzando garanzie personali. Lavoro e non solo, che a Corleone sulle terre confiscate ai boss mafiosi Marino e Lojacono fa crescere fichi d’India, meloni gialli, mandorli, grano, legumi e pomodori, ha invece ottenuto due mutui chirografari da Banca Etica con la garanzia dell’Arci siciliana. Sempre presso Banca Etica, il Consorzio Sviluppo e Legalità ha da poco istituito un fondo di garanzia per i crediti alle due cooperative di Corleone. E la Placido Rizzotto ha già fatto richiesta di un prestito di 100mila euro per finanziare il reimpianto di diciotto ettari di terreno a vigneto. «Abbiamo ottime possibilità di ottenerlo», conclude fiducioso Faraone. Paola Fiorio

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60 «Parlare della condizione del credito nel Sud Italia è un dialogo tra sordi. 50 Da una parte l’Abi e la Banca d’Italia Se la testa 40 dipingono una situazione tutta rosa è lontana 30 e fiori. Se si ascolta invece la voce del Si parla di banche del Nord e banmondo imprenditoriale emerge una che del Sud. In realtà però oggi più 20 diffusa percezione di razionamento che altro esistono banche a diffudel credito. Le imprese meridionali, sione nazionale con sede al Nord e ROE (RETURN ON EQUITY) Tasso di redditività del capitale investito cioè, non riescono a ottenere credisportelli anche al Sud. Due terzi delto a sufficienza per finanziare i loro le banche che operano nel Mezzo20 progetti. Una percezione che condigiorno appartengono a gruppi 10 ziona le scelte produttive e di inveesterni alla regione (vedi GRAFICO 1 ). 0 stimento e paralizza l’economia del È il risultato del processo di risanaSud Italia - racconta Giovanni Ferri mento del sistema bancario meri-10 Centro-Nord Un indicatore, seppure non del tutdionale che si è concretizzato so-20 Mezzogiorno to esaustivo, della resistenza delle prattutto alla fine degli anni banche a concedere prestiti alle imNovanta, quando le banche del prese meridionali è il rapporto tra impieghi e raccolta, Centro-Nord sono accorse in massa per salvare le cugicioè tra i prestiti concessi da una banca in un’area e le ne del Sud che stavano soccombendo, acquisendole. Un somme che quella banca ha ricevuto dai propri clienti in intervento sollecitato dalla Banca d’Italia che non semquella stessa area (conti correnti, depositi o titoli). Più pre ha raccolto il favore delle banche settentrionali. Ma questo rapporto è vicino a cento, più la banca si sta imè stato un intervento salutare? O invece ha peggiorato pegnando per concedere credito nel territorio dove racla situazione? «Dipende – è la risposta di Giovanni Fercoglie fondi. Nel Sud Italia si trovano percentuali di imri - per le banche è stato un bene, oggi sono più sane ed pieghi/raccolta che vanno dal 62% di San Paolo Imi al efficienti di prima. Lo dimostrano i dati sul rapporto tra 38% di Bpu. Significa che Carime, banca del gruppo Bpu costi e utili e sulla redditività (vedi GRAFICO 2 ). Per le imcon sede in Calabria, per ogni 100 milioni raccolti dai prese invece è cambiato ben poco, anzi, l’allontanapropri clienti nel Sud è disposta a concederne in prestito mento dal territorio dei centri decisionali delle banche solo 38». Negli ultimi anni sono stati condotti diversi stuha peggiorato la situazione». È questa la conclusione a 1990

ABRUZZO Cassa di risparmio provincia di Chieti Cassa di risparmio provincia di Teramo CAMPANIA Banca Capasso Antonio Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio Banca di credito popolare Banca di sconto e conti corrente S. Maria Capua Vetere Banca Popolare Vesuviana Banca Promos Banca Stabiese BP di Sviluppo PUGLIA Banca Apulia Banca Popolare di Bari Banca Popolare Pugliese Banca Popolare di Puglia e Basilicata SICILIA Banca Agricola Popolare di Ragusa Banca Popolare S. Angelo

ce. Se un’attività imprenditoriale è valida, non è un grosso problema pagare tassi di interesse un po’ più alti. Il vero problema è non ottenere il credito, perché senza il finanziamento l’attività non parte».

SARDEGNA Banca CIS Banca di Sassari Banco di Sardegna

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FONTE: BANCA D’ITALIA. ALBO DEI GRUPPI CREDITIZI ITALIANI. SONO ESCLUSE LE BCC

LE BANCHE RIMASTE

PUGLIA Banca 121 Banca Arditi Galati Banca del Monte di Foggia Banca Meridiana

[Banca Popolare di Lodi] [Banca Popolare dell’Emilia Romagna] [Banche Popolari Unite] [San Paolo-Imi] [Monte Paschi Siena] [Banca Sella] [Veneto Banca] [Banca Intesa] [Banca Popolare di Vicenza] [Capitalia] [Credito Valtellinese]

FONTE: FINO AL 2001, PANETTA (2003); ELABORAZIONI FERRI BONGINI SU DATI BANCA D’ITALIA PER GLI ANNI PIÙ RECENTI

FONTE: BANCA D’ITALIA. ALBO DEI GRUPPI CREDITIZI ITALIANI

DOVE SONO FINITE LE BANCHE DEL SUD?

cui ha portato l’analisi di Ferri e Bongini. Una banca con la “testa pensante”, cioè la direzione, il management e le funzioni strategiche, nel territorio in cui opera è più propensa ad aiutare lo sviluppo di quel territorio. Al contrario se una banca che opera al Sud ha la testa al Nord è più probabile che tenda a trascurare le esigenze dell’economia locale, seppure “a fin di bene”, cioè per migliorare l’efficienza della banca. È quanto è successo in molti casi per gli istituti di credito centro-settentrionali che hanno acquisito banche meridionali. «Non è andata sempre così – precisa Giovanni Ferri – Ci sono state fusioni a freddo in cui la banca arrivata dal Centro-Nord ha pensato solo a mettere in ordine i conti dell’istituto meridionale e includerlo nella propria rete, estraniandolo dal contesto locale. È il caso, ad esempio, dell’ex Cariplo che ha acquisito il controllo di 3 banche dissestate: la cassa di risparmio di Puglia, la cassa di risparmio di Calabria e Lucania, e la cassa di risparmio salernitana, che si sono fuse creando Carime. Dal momento dell’acquisizione da parte dell’ex Cariplo, come risulta dai bilanci della banca, Carime ha effettuato scel-

te finalizzate al risanamento di bilancio, ma ha ridotto drasticamente l’erogazione di crediti». Positiva invece, secondo Ferri, l’esperienza delle banche popolari, che hanno sperimentato una “penetrazione soft”, in cui l’acquisizione della banca meridionale è stata gestita cercando di salvaguardare il radicamento locale. «Le banche popolari hanno mantenuto indipendente la banca meridionale acquisita, che ha conservato il proprio marchio e una gestione autonoma, e hanno allontanato gli amministratori locali, che potevano avere avuto legami dubbi con il mondo politico locale, sostituendoli però con soggetti che avessero comunque una profonda conoscenza del territorio. Un modello seguito, ad esempio, dalla Popolare dell’Emilia Romagna. In questi casi le politiche adottate dalle banche, anche nell’erogazione di prestiti, hanno favorito di più l’iniziativa imprenditoriale locale».

Niente politica in banca Che cosa si può fare quindi per migliorare la situazione del credito al Sud, aumentando le possibilità per le |

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| finanzaetica | imprese meridionali di ottenere i finanziamenti necessari per crescere? «Certamente non aprire le porte delle banche ai capitali pubblici». Una sentenza decisa quella del professor Ferri, che fa riferimento esplicito alla Banca del Sud, il progetto caro al ministro Tremonti, sfumato con la Finanziaria dello scorso anno e ricomparso nella manovra del 2006, di un istituto a capitale misto, pubblico e privato, per “sostenere lo sviluppo economico del Sud”. «Creare una banca con soldi pubblici è il presup-

posto per portare di nuovo la politica in banca – continua Ferri - e non c’è niente di peggio dell’ingresso della politica in banca per decretarne la fine. Proprio il controllo del sistema bancario da parte dei politici è stato uno degli ingredienti della crisi che ha colpito il sistema bancario meridionale negli anni Novanta. Bisogna invece pensare a una soluzione di mercato. Bisognerebbe incentivare le banche del Centro-Nord a mantenere la testa al Sud, a favorire lo sviluppo del Mezzogiorno».

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QUANTO LE BANCHE PRENDONO E QUANTO DANNO Evoluzione del rapporto sofferenze impieghi 20

GRAFICO 3 Centro-Nord Mezzogiorno

15 10 5 ’91 ’92 ’93 ’94 ’95 ’96 ’97 ’98 ’99 ’00 ’01 ’02

FONTE: MATTESINI E MESSORI (2004) TRATTO DA IL SISTEMA BANCARIO MERIDIONALE, BONGINI-FERRI

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IL COSTO DEL CREDITO BANCARIO

16

Centro-Nord [SCALA SX] Mezzogiorno [SCALA SX] Differenziale [SCALA DX] 2,0

12

1,5

Differenze nei tassi di interesse sui prestiti per imprese Centro-Nord e Mezzogiorno (%)

8

1,0 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02

«Il Sud Italia paga ancora il rischio criminalità»

La relazione irrisolta tra banche e Meridione

«Nel Sud occorre spezzare i circoli viziosi legati al credito»: intervista al prof. Paolo Coccorese, Università di Salerno.

Intervista a Giuseppe Gallo, segretario generale della Fiba-Cisl (Federazione italiana banche e assicurativi).

e libera circolazione di merci, capitali e persone hanno costretto, a partire dagli anni Novanta, le banche italiane a confrontarsi con le cugine europee. Una competizione difficile per il sistema bancario nazionale caratterizzadi Paola Fiorio to da molti istituti di piccole dimensioni. «L’unica strada percorribile», afferma Paolo Coccorese, docente di Microeconomia all’università di Salerno ed esperto in organizzazione industriale del mercato bancario, «era quella delle fusioni fra banche italiane, al fine di creare istituti nazionali in grado di fronteggiare la concorrenza estera».

M

ERCATO UNICO EUROPEO

Come si presenta oggi il sistema bancario italiano? «Il numero di banche operanti si è ridotto dalle 976 del 1995 alle 778 del 2004. Parallelamente, per controbilanciare la maggiore concentrazione del settore si è resa più semplice l’apertura di nuovi sportelli, il cui numero è dunque passato da 24.040 del 1995 a 30.946 del 2004. Oggi possiamo dire di avere un sistema bancario italiano strutturalmente più vicino a quello medio europeo». Ci sono differenze territoriali nel fenomeno di concentrazione delle banche? «Il numero degli sportelli è cresciuto in modo più o meno omogeneo nelle macroaree del Centro-Nord e del Sud e Isole, rispettivamente del 30,7% e del 22,1% tra il 1995 e il 2004. Il numero delle banche con sede nell’Italia meridionale, invece, si è dimezzato, mentre si è ridotto solo del 9,1% nell’Italia centro-settentrionale. Molte banche con sede al Sud sono state acquisite da quelle del Centro-Nord, indice di una maggiore “forza” del sistema bancario settentrionale». È ancora concorrenziale il sistema bancario italiano? «Banche più grandi riescono a ridurre i costi medi di produzione del servizio con potenziali ricadute positive sulla clientela. Nel complesso, il rapporto tra il risultato lordo di gestione, cioè il profitto derivante da intermediazione creditizia e servizi ai clienti, e i mezzi amministrati è passato dall’1,54% del 1995 all’1,38% del 2003. Dunque, anche se | 34 | valori |

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lieve, vi è un segnale di maggiore concorrenza fra gli istituti». Le banche presenti nel sud Italia sembrano più votate alla raccolta del risparmio che alla concessione di credito. Quali sono, secondo lei, i motivi? «In effetti, i depositi nel Centro-Sud nel 2003 sono stati pari al 20,1% del totale nazionale, mentre i prestiti ammontavano all’11,4%. C’è quindi una quota di fondi raccolti al Sud e impiegati al Nord. Ciò è dovuto al diverso contesto socio-economico». Cioè? «Nell’Italia centro-settentrionale i dati economici sono in media migliori: prodotto interno lordo pro-capite maggiore, minore disoccupazione e meno crediti in sofferenza. Insomma, è più produttivo, e meno rischioso, investire al Nord rispetto al Sud. Inoltre, se il tessuto economico è più vitale, vi è maggiore domanda di fondi per le attività economiche da parte degli imprenditori, e quindi le banche sono sottoposte ad una maggiore competizione per accaparrarsi la clientela, con ricorso pure a un ritocco delle condizioni sui depositi e sugli impieghi». Come influisce la difficoltà di accesso al credito nell’economia del sud Italia? «Le banche sanno che al Sud un prestito ha maggiori probabilità di non essere onorato, che il rendimento degli investimenti delle imprese è minore, che c’è una maggiore presenza della criminalità. Tutto ciò impone un “premio per il rischio” a loro favore, che si traduce in una richiesta di tassi più elevati sui prestiti. Ma ciò contribuisce a scoraggiare progetti e idee pur potenzialmente di successo. Insomma, un circolo vizioso che ostacola ogni tentativo di sviluppo delle aree già disagiate dell’Italia». C’è una soluzione? «Probabilmente lo Stato rappresenta l’unico soggetto in grado di spezzare questa spirale perversa, attraverso idonei interventi nel campo sociale ed economico».

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ltre il 25% delle piccole imprese del sud lamentano la difficoltà di accesso al credito. A segnalare il dato è Giuseppe Gallo, segretario della Fiba-Cisl (Federazione italiana banche e assicurativi). «Il sostegno creditizio, nonostante la crescita codi Paola Fiorio stante dell’ultimo triennio», prosegue Gallo, «è ancora insufficiente, sia sotto il profilo dei volumi, sia sotto quello dei costi».

O

La quota di impieghi degli istituti di credito del Mezzogiorno nel 2004 ha registrato una crescita superiore alla media nazionale. Sta cambiando qualcosa nella politica creditizia delle banche verso il sud? «All’interno della contrazione del credito i prestiti bancari ai residenti nelle regioni del Mezzogiorno sono aumentati costantemente. A dicembre 2004 l’ammontare dei finanziamenti complessivi era cresciuto su base annua del 10,5%, più del doppio dell’incremento registrato nel centro-nord per effetto, soprattutto, della più elevata crescita del credito alle imprese. Ciò significa che la dinamica della contrazione creditizia nel Meridione attraversa una fase di evoluzione positiva». Ma la raccolta delle banche nel Mezzogiorno è ancora superiore agli impieghi? «Il fenomeno è mutato radicalmente negli ultimi anni. La quota di raccolta nel Mezzogiorno restituita all’area sotto forma di crediti è aumentata dal 75,8% del 1996 al 92,7% del 2004. La crescita è stata determinata dalle banche con sede nel centro-nord operanti nel sud del Paese che hanno aumentato il rapporto impieghi/depositi dal 103,4% del 1995 al 125,6% del 2004. Nello stesso periodo le banche con sede legale al sud hanno ridotto il rapporto dall’81,1% al 61,2%. All’interno dei criteri di elevata selettività nella concessione dei crediti, le banche esterne all’area meridionale reinvestono quindi in finanziamenti più di quanto raccolgono come risparmio». Il costo eccessivo del credito nel Meridione è riconducibile solo al tasso di sofferenze?

«Il maggior rischio di credito pesa, certamente, sul differenziale di tasso. Il rapporto tra stock delle sofferenze e totale dei crediti concessi nel Mezzogiorno continua, tuttavia, a diminuire. Nel 2004 è stato pari all’11,2% rispetto all’11,9% del 2003. Il divario rispetto al centro-nord si è ridotto a 7,6 punti percentuali contro gli 8,3 punti del 2003. Sul costo del credito incidono la maggior frammentazione dei rapporti di finanziamento e le diseconomie di scala, nonché i tempi delle procedure di recupero crediti e le procedure esecutive immobiliari i cui tempi sono quasi doppi di quelli registrati nel resto del Paese». Quanto pesano il limitato accesso al credito ed elevato costo del denaro sull’economia locale del Mezzogiorno? «Il rapporto tra sistema bancario ed economia meridionale è una variabile importante di una questione che esige una risposta sistemica: di politica industriale, di investimenti infrastrutturali, di repressione della criminalità organizzata. L’approccio quantitativo non esaurisce il fenomeno. Esiste una dimensione qualitativa che richiede la presenza in loco di funzioni organizzative e gestionali delle aziende di credito dedicate all’analisi, alla valutazione, alla gestione del credito, modulata sulle specificità dell’impresa meridionale». Cosa bisogna fare, allora? «Ripensare, con urgenza, la questione meridionale all’interno di una visione dello sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile e compatibile, ovvero della responsabilità etica, sociale e ambientale come fattore propulsivo e principio sovraordinato dello sviluppo economico. Solo all’interno di queste coordinate sarà possibile riprogettare il modo di creare valore, di distribuire il valore prodotto, orientare sul lungo periodo gli orizzonti temporali, riformare la governance, invertire un retaggio di arretratezza economica e sociale ormai secolare. Per quanto ci riguarda, come organizzazioni sindacali del credito nel 2004 abbiamo sottoscritto con l’Abi il Protocollo per lo sviluppo socialmente ed ambientalmente sostenibile e compatibile del sistema bancario italiano, prevedendo, al suo interno, la costituzione di un Osservatorio paritetico che anche ha il compito di monitorare il rapporto tra banche ed economia meridionale».

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Anche l’etica si esporta. Il progetto di una Banca Etica a Bilbao Fiare, la fondazione che conta 62 soci del Terzo Settore, risponde a due esigenze specifiche: l’esistenza di un tessuto associativo nella regione di Bilbao, la Vizcaya, e la richiesta di un nuovo soggetto che risponda all’insoddisfazione etica rispetto al reticolo finanziario tradizionale. di Angelo Miotto

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NTERNAZIONALIZZAZIONE.

Non solo i grandi gruppi bancari possono giocare sullo scacchiere europeo e mondiale. Banca Popolare Etica lo fa in maniera diversa, ben distante da logiche di pura espansione territoriale e di mercato, con un progetto legato a un’esperienza che nasce nel Terzo Settore basco, a Bilbao. Lì, nel 2003, è nata Fiare, una realtà che attraverso il rigore professionale si propone di rispondere alla domanda crescente di risparmiare e investire secondo criteri etici. Parte dallo specifico basco, ma l’obiettivo finale la Spagna intera. Fiare è una fondazione, conta 62 soci del Terzo Settore e risponde a due esigenze specifiche: l’esistenza di un tessuto associativo nella regione di Bilbao, la Vizcaya, e la richiesta di un nuovo soggetto che risponda all’insoddisfazione etica rispetto al reticolo finanziario tradizionale. In origine, all’atto fondativo, le associazioni sono 52, con uno spettro quanto mai ampio: Organizzazioni non governative per lo sviluppo, imprese o reti di imprese dell’economia solidale, enti di inclusione sociale e organizzazioni che vengono dalla realtà religiosa, la Caritas e gli arcivescovadi. Sono quasi tutte associazioni basche, anche se si contano alcune filiali spagnole. Una volta costituita la fondazione si costruisce il percorso.

La road map Fiare-Banca Etica

PER SAPERNE DI PIÙ www.fiare.org

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Peru Sasia è direttore generale della Fondazione. Un chimico che ha abbandonato una carriera tradizionale per dedicarsi al progetto etico. «Abbiamo costruito una road map che entro il 2010 ci porterà a inaugurare la prima banca etica in tutta la Spagna. Il nostro modello di riferimento è la Banca Popolare Etica, che abbiamo individuato in seguito a uno studio sociologico, che per noi è stato il primo passo di una road map possibile». Quello studio ha indagato sulla predisposizione dei soggetti del Terzo ANNO 5 N.34

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Settore rispetto alla possibilità di poter investire e collaborare con una Banca Etica. I risultati hanno detto chiaramente che non ci si trova di fronte a una sacca di persone escluse dal sistema finanziario, quanto piuttosto a una evidente e conclamata insoddisfazione verso la rete finanziaria tradizionale. Lo studio ha registrato una grande disposizione nel lavorare con una banca come quella immaginata da Fiare. «Il secondo passo – dice Peru Sasia – è stato quello di guardare alle esperienze esistenti in Europa, per capire chi dovessero essere i soci che ci potevano dare una aiuto per la prima fase, quella in cui strutturare un piano di fattibilità per costruire una Banca Etica. Il socio che ci interessava di più per lo stile di funzionamento, per serietà, per scala, e per identificazione con il Terzo Settore è la Banca Popolare etica di Padova e le abbiamo chiesto un piano di fattibilità per la creazione di una banca etica nel Paese Basco». Nel piano elaborato emerge un dato importante: le ipotesi di scala indicavano chiaramente che la Banca di Fiare avrebbe dovuto essere presente in tutto lo stato spagnolo. Il nuovo percorso a tappe fisse si è arricchito, così, di un nuovo passaggio, in cui la nuova entità basca dovrà lavorare, per un primo tempo, secondo le indicazioni fornite da una banca madre. Anche qui viene scelta Banca Etica, mentre si approntano le condizioni operative per coprire diversi scenari: un ufficio di rappresentanza, succursali, agenti finanziari. Oltre a un periodo in cui sviluppare prodotti e dinamiche insieme a Banca Etica per arrivare preparati di fronte all’autorità di vigilanza del Banco de España e quindi sollecitare una licenza per divenire un soggetto autonomo. Per raggiungere i requisiti richiesti dalla legislazione spagnola, Fiare e Banca Etica hanno costituito una società, controllata al 100% dai baschi, che sarà agente per

i prodotti bancari, con una operatività limitata all’erogazione di finanziamenti e alla sottoscrizione di prodotti di risparmio, con contemporanea raccolta di capitale sociale per la costituzione della nuova banca. I clienti spagnoli potranno acquistare prodotti di risparmio e di finanziamento di Banca Popolare Etica rispettando da un lato le normative italiane in tema di trasparenza, formalità contrattuali, antiriciclaggio, e dall’altro la normativa spagnola in tema di società finanziarie. «Questa è la road map – dice Peru Sasia- adesso siamo all’inizio dell’operazione. Da Bilbao stiamo studiando un piano di cinque anni per sviluppare il progetto in tutto lo stato e per raccogliere entro il 2010 finanziamenti per 60 milioni di euro di deposito, 30 milioni di euro di prestiti, e 7 milioni di euro di capitale sociale raccolto. Questo è l’obbiettivo e questo sarebbe la fine dell’inizio».

Paesi Baschi: una realtà particolare Il progetto di Fiare nasce e si inserisce in una realtà territoriale molto particolare per il sistema creditizio: i Paesi Baschi. Casse di risparmio e cooperativisimo sono due delle caratteristiche più storicamente note della realtà socio-economica della regione. Basta fare una veloce indagine per scoprire che proprio in questa realtà territoriale si trovano le migliori condizioni per ottenere un prestito; qui troviamo il fenomeno delle casse di risparmio, nate come risposta a una esigenza di utilità sociale dell’intermediazione finanziaria. Anche oggi, che hanno raggiunto dimensioni più strutturate, mantengono l’impegno di indirizzare le eccedenze verso opere sociali. E sempre qui troviamo uno dei movimenti cooperativi più importanti al mondo, quello di Mondragón, forte di 66.000 persone in 15 nazioni diverse, per un volume d’affari che lo situa al settimo posto fra i gruppi economici più importanti di Spagna. E proprio alle prime battute del progetto, i promotori di Fiare si sono confrontati sia con la BBK, una delle più forti casse di risparmio di Bilbao, sia con la Corporación Cooperativa Mondragón che ha ispirato il futuro modello di governo societario, una cooperativa di credito. Consigli, ma anche appoggi sostanziali e oggettivi dal punto di vista bancario. Resta il tema della concorrenza feroce con gli altri istituti di credito tradizionale, fortemente elettronici. Ma Peru Sasia non è preoccupato per il confronto, insostenibile, anche perchè la nicchia di riferimento è del tutto diversa: «Il nostro campo di battaglia in nessun caso può essere quello dei prodotti e servizi, non solo in termini di prezzo, ma anche di comodità e accessibilità. In questo saremo sempre dietro alla banca elettronica intensiva o alle casse di risparmio che sono già radicate qui. Ma la nostra concorrenza è nella credibilità del progetto. Sono le esperienze della finanza etica o la credibilità che questa ha agli occhi della gente media, che possono spingerci a dire che quello può essere un campo accettabile per la concorrenza al sistema. Rispetto al Terzo

Settore c’è meno concorrenza perché Fiare ha una singolarità: non presta servizi al Terzo Settore. Vi appartiene». Per i singoli cittadini la battaglia sarà quella di sempre: etica ed estetica si rincorrono in un gioco in cui spesso l’uso dell’etica è ridotto a slogan, e quello della solidarietà a mero annuncio. A Bilbao hanno scelto il tam-tam in una strategia di comunicazione che vuole essere partecipativa, correre di bocca in bocca. L’obiettivo primario è generare credibilità e fiducia come entità finanziaria. La gente deve sentire che sta mettendo i suoi soldi in un posto sicuro, con analisi professionali dei prestiti. «Credibilità significa osservare tutti quegli impegni che sono scritti nel manuale di banca etica devono essere la nostra cifra distintiva: trasparenza, identificazione con i valori dei nostri soci e clienti. E la nostra comunicazione non devve essere solo un forte messaggio che da noi parte e va verso tutti, ma anche un messaggio che si passa di bocca in bocca, con la partecipazione».

Promotori e aiuti istituzionali Oltre cinquanta associazioni nel 2003, divenute 62 oggi. I primi a pensare e a lavorare sulla fondazione basca di finanza etica sono state persone e associazioni. Molti erano esponenti della vivace intellettualità basca, molti altri venivano dalla chiesa cattolica. Le associazioni che hanno portato rigore ideologico e di pensiero si contano sulle dita di una mano. Chi inizia a strutturare Fiare sa che il progetto è dispendioso e che l’equilibrio fra i costi e le entrate sarebbe stato un obbiettivo di medio termine. C’era bisogno di liquidità, di denaro. Peru Sasia racconta che la decisione fu quella di chiedere «a tutte le associazioni che partecipavano alla fondazione di versare tremila euro cadauna. Abbiamo così raccolto 156mila euro come capitale di partenza per lo studio sociologico e per i primi contatti. Quando abbiamo visto che sarebbe stato bene sviluppare l’idea e fare da agente finanziario, abbiamo provato a convincere le amministrazioni pubbliche ad appoggiare il nostro progetto. Molte ci hanno aiutato e di partiti molto diversi fra loro. Anche il governo provinciale- la Diputacion Foral - e il governo basco – la Lehendakariza - hanno messo a disposizione aiuti economici diretti». Ma l’intenzione politica di Fiare, adesso, è quella di tornare ad avvicinarsi alle istituzioni non per chiedere finanziamenti, ma per trasmettere la propria filosofa di iniziativa etica di intermediazione finanziaria, per cercare di acquisire proprio settori del pubblico nel portafoglio clienti.

Nei paesi Baschi sono molto diffusi cooperativismo e Casse di Risparmio. Nella foto, il museo Guggenheim a Bilbao progettato da Gehry.

nostra sfida “La al sistema bancario è rappresentata dalla credibilità etica del progetto di Fiare

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Un passo alla volta per scalfire il macigno Nestlé

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Da bersaglio numero uno delle campagne di boicottaggio a commerciante equo-solidale. A volte succede. Soprattutto se la buona azione porta anche un po’ di soldi in tasca. E succede anche che una battaglia condotta dall’interno con un savoir faire svizzero porti a piccoli-grandi risultati. manifestazioni di protesta, campagne di sensibilizzazione. Oppure una battaglia silenziosa ma tenace portata avanti dall’interno, fatta di assemblee, votazioni, risoluzioni proposte da un di Eleonora Gigli azionariato attivo. Come cercare di cambiare le politiche di una delle multinazionali più attaccate, criticate e boicottate? Negli ultimi trent’anni la Nestlé, colosso svizzero del cioccolato e di molto altro, è stata presa di mira su tutti i fronti . Accusata di portare avanti politiche commerciali aggressive costate anche molte vite umane, di non avere alcuna considerazione per la tutela dell’ambiente e per i diritti dei lavoratori, ma anche di una gestione aziendale irresponsabile a discapito degli stessi azionisti.

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N ATTACCO FRONTALE A COLPI DI BOICOTTAGGI,

Più forti se si agisce dall’interno Anche gli azionisti possono far sentire la propria voce e influenzare le decisioni del management. È il cosiddetto azionariato attivo. È la strada seguita da Ethos, una fondazione svizzera per l’investimento sostenibile. Ethos gestisce circa 500 milioni di euro per conto di 90 fondi pensione svizzeri ed è tra gli azionisti della multinazionale elvetica. «Si può tentare di influenzare le scelte di un’impresa dall’interno o dall’esterno - spiega Dominique Biedermann, direttore di Ethos – Gli azionisti sono più forti se combattono insieme dall’interno. È il modo migliore per ottenere dei risultati». È successo quest’anno. All’assemblea generale degli azionisti Nestlé, ad aprile, la fondazione ha presentato tre risoluzioni, la più importante per opporsi alla decisione adottata dalla Nestlè di riunire in un’unica persona, oggi Peter Brabeck, le cariche di presidente e di amministratore delegato, per garantire trasperenza e possibilità di condivisione delle scelte. All’assemblea generale la risoluzione non è passata ma ha ricevuto il 36% dei voti. Ethos è riuscita a raccogliere il consenso di cinque grandi fondi pensione svizzeri. «Raccogliendo i voti di un terzo degli azionisti abbiamo lanciato un segnale forte al management che nei mesi successivi è venuto incontro a numerose nostre richieste. Ad agosto è stato inviato un questionario a tutti i 250 mila azionisti per chiedere il loro un parere su una serie di proposte | 38 | valori |

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di modifica dello statuto. Un’iniziativa impensabile fino ad oggi da parte del consiglio di amministrazione della Nestlé», spiega Biedermann. La battaglia di Ethos aveva come bersaglio la corporate governance, decisioni aziendali giudicate sbagliate. La politica di Nestè in campo sociale e ambientale sarà invece al centro degli interventi del prossimo anno.

Dal latte assassino al caffè solidale La Nestlé è da anni sotto accusa per la massiccia diffusione gratuita nei Paesi del Terzo mondo di latte in polvere per neonati tramite gli ospedali, una pratica censurata da numerosi organismi internazionali. Lo scorso luglio, l’International Labor Rights Fund ha presentato una denuncia contro la Nestlé e altre due compagnie che importano cacao dalle coltivazioni della Costa d’Avorio, accusandole di traffico di bambini, torture e lavoro forzato. In Colombia i sindacati denunciano abusi e aggressioni sui lavoratori della sede locale della Nestlé. Alla fine di ottobre Luciano Enrique Romero Molina, un sindacalista colombiano della Cicolac-Nestlé, licenziato dall’azienda tre anni fa, avrebbe dovuto testimoniare contro la multinazionale svizzera a Berna al tribunale permanente dei popoli. Non si è mai presentato in aula. L’11 settembre è stato assassinato. Il mese scorso poi la “svolta”. La Nestlé è entrata ufficialmente nel mondo del commercio equo e solidale. Il nuovo caffè istantaneo si chiama Partners Blend ed è in vendita dal mese scorso in Gran Bretagna. Arriva direttamente da Etiopia e Salvador. Difficile pensare a un improvviso cambio di rotta della multinazionale svizzera, più realisticamente si tratta di una scelta strategica per conquistare una nuova fetta di mercato: «la scelta di introdurre un’etichetta fair trade è stata guidata dalla volontà di soddisfare la domanda dei clienti per un caffè attento alle fasi di produzione» hanno detto i dirigenti della multinazionale. Secondo il Financial Times inoltre le basse tariffe che da anni sono pagate ai coltivatori di caffè hanno provocato un’impennata della produzione e un crollo generalizzato dei prezzi. Il caffè equo, invece, è pagato a prezzi molto più alti. Entrare in questo mercato quindi - scrive il Financial Times - è un metodo per cercare di stabilizzare i prezzi del caffè.

Anche nei cantieri navali si sono registrati gravi incidenti, spesso dovuti alla mancata cura delle norme di sicurezza e ai turni pressanti, con esiti anche mortali. Vincenzo Viola, delegato sindacale a Palermo, è stato tra le vittime.

Trieste, 1977/Genova, 1980

> Lavoro

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Lobbisti

“Martello” Tom DeLay in odore di mafia di Roberto Festa

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CISL

ON SE L’ASPETTAVA PROPRIO TOM DELAY, DETTO “IL MARTELLO”, capogruppo repubblicano alla Camera, uno

degli uomini più potenti di Washington e d’America. Certo, sapeva che un procuratore texano, Ronnie Earle, stava cercando di incastrarlo per una storia di fondi elettorali. Ma non si aspettava che Ronnie ce la facesse, che un’accusa fosse formalizzata per davvero. DeLay è accusato di aver aggirato la legge elettorale del Texas, che vieta di utilizzare i finanziamenti delle grandi corporation in campagna elettorale. Il capogruppo repubblicano avrebbe aggirato il divieto, versando 190 mila dollari di finanziamenti al National Republican Committee, per poi rimetterseli in tasca dopo il passaggio formale. Un caso classico di riciclaggio per il quale il capogruppo repubblicano rischia fino a vent’anni. Nella furia con cui il vecchio “martello” ha accolto la notizia non c’è soltanto il timore per le proprie sorti politiche o l’orgoglio dell’uomo di potere che improvvisamente si ritrova mortale. C’è anche lo stupore per essere finito nel sacco per qualcosa che non appare così grave. Una rete di favori, legami poco chiari, scambi tra politica e denaro fa di DeLay il membro più chiacchierato del Congresso. «Una macchina di denaro sporco», lo chiamano i colleghi al Congresso. L’anno scorso la Commissione etica della Camera ha dovuto richiamare DeLay tre volte, per aver minacciato deputati rei di non aver votato secondo le sue indicazioni o aver cercato di comprarne il voto con la promessa di fondi elettorali. Il “martello” se ne è andato in missione a Londra con moglie e portaborse grazie a un contributo di 70 Tom DeLay, capogruppo alla Camera mila dollari di una società proprietaria di casinò. L’intervento di DeLay è stato fondamentale qualche del partito del Presidente, mese dopo per affossare un progetto di legge inviso è sotto inchiesta per riciclaggio. Ma le sue disavventure giudiziarie ai casinò. Ancora. Il re dei lobbisti di Washington, portano sino al clan Gambino Jack Abramoff, è per DeLay «l’uomo di cui mi fregio e agli affari della mafia nei casinò di essere amico». Insieme hanno fatto affluire nelle casse repubblicane un fiume di “big money”, il denaro delle grandi imprese. Ad Abramoff è legato il grave incidente giudiziario di DeLay. La storia è quella di Kostantinos “Gus” Bolis, uomo d’affari freddato in una strada di Fort Lauderdale nel febbraio 2001. Per l’omicidio sono stati arrestati lo scorso settembre Anthony Moscatello, Anthony Ferrari e James Fiorillo, tre pesci piccoli del clan di Gambino. Interessanti alcuni dettagli: “Gus” Bolis aveva appena venduto la sua linea di navi casinò alla coppia Adam Kidan e Jack Abramoff – amico del cuore di DeLay –; Kidan aveva assunto come propri “consulenti” Moscatello e Ferrari; e Abramoff aveva usato la sua amicizia con DeLay per ottenere i prestiti necessari all’acquisto della linea da crociera. L’accusa di riciclaggio in Texas rischia di essere per DeLay soltanto la punta dell’iceberg. La sua storia riporta alla mente quella di un altro imprendibile del passato, Al Capone, incastrato solo per reati fiscali. DeLay è del resto in buona compagnia nel partito repubblicano. Bill Frist, capogruppo al Senato, è nei guai per aver venduto azioni di una società poco prima del suo crollo in borsa. E David Safavian, funzionario di primo piano dell’amministrazione Bush, è stato arrestato lo scorso settembre per aver cercato di bloccare una serie di indagini ancora contro l’ineffabile Jack Abramoff. Il potere di questa classe dirigente è messo in discussione dalla magistratura. Il modello di una politica svenduta agli affari è ormai vincente a Washington. Diceva il re degli anchormen, Walter Cronkite, al termine del giornale della sera: “Così va il mondo oggi”.

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Reportage dal mercato di Roque Santeiro in Angola >45 L’occasione perduta del Summit dell’Informazione >48

internazionale DAL MASSACRO DI FALLUJA LA TESTIMONIANZA ONLINE DI UN SOLDATO CHE HA PARTECIPATO ALL’ASSALTO

LE CASE FARMACEUTICHE SOTTO ACCUSA IN UN FILM

NUOVO UFFICIO DELLA CIA PER LE OPERAZIONI ALL’ESTERO

AUSTRALIA OSTILE PER I RICHIEDENTI ASILO

UN TERRITORIO INDIGENO ABBANDONATO CON ESPLOSIVO

GIORNALISTA SI FINGE CLANDESTINO E DENUNCIA ABUSI VERSO GLI STRANIERI NEI CENTRI TEMPORANEI

«Abbiamo ridotto Fallujah a macerie. Abbiamo dichiarato vittoria e detto al mondo che Falluja era sotto il nostro totale controllo. Il nostro esercito ha affermato che le vittime civili erano state minime e invece i ribelli uccisi erano migliaia». La lettera di un soldato delle forze speciali americane è stata pubblicata su www.militaryproject.org ed è stata una delle numerosissime fonti consultate da Osservatorio Iraq e dal settimanale italiano Il Diario per un documentato reportage sul massacro di Falluja in Iraq seguito al lungo assedio della città. Ancora oggi su Falluja non sono stati forniti dati mentre le testimonianze indipendenti sulla violazione del diritto internazionale e dei diritti umani compiute dall’esercito sono state documentate da numerosi media indipendenti. La lettera riferisce il clima e le violenze dell’ingresso nella città irachena: «Ero a Falluja durante gli ultimi due giorni dell’assalto finale. La mia missione era molto diversa da quella dei bravi e stanchi fanti e marines coinvolti nei combattimenti più grossi. Ero in una missione di scorta con il compito di proteggere un alto arrogante ufficiale andato all’ultima battaglia con lo stesso spirito di uno spettatore imparziale che guarda il quarto tempo di una partita di football americano di un liceo. (...) Ancora artiglieria, ancora carri-armati, ancora mitragliatrici, sinistri aerei da combattimento che finiscono interi quartieri alla volta….questa non era una guerra, era un massacro! (...) Quando ripenso ai bombardamenti aerei che sono durati fino alla mattina seguente, non posso che essere impressionato dalla nostra moderna tecnologia ed essere disgustato dai suoi mezzi. (...) Era come se gli iracheni avessero un coltello per combattere contro un carro-armato».

Nel cortile impolverato di una scuola, a Kano, nel nord dell’Algeria, un gruppo di bambini sta giocando a pallone. Un bambino con la faccia triste chiamato Anas sta seduto a guardare. Una malattia alle ginocchia che gli impedisce di correre. Nessuno sa quale sia realmente la causa della malattia di Anas, ma c’è il sospetto che siano coinvolte le multinazionali farmaceutiche. Sei anni fa, Anas venne curato con un nuovo farmaco che rientrava in un programma di sperimentazione condotto da una delle maggiori aziende farmaceutiche mondiali. Un noto effetto collaterale del farmaco chiamato Trovan era il dolore alle articolazioni. Le questioni sollevate dalla storia di Anas sono diventate la sceneggiatura di un importante film britannico. L’industria farmaceutica internazionale si sta preparando ad affrontare un rigido autunno. “The Constant Gardener”, il film tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carré verrà distribuito nelle sale alla fine del corrente anno. Diretto da Fernando Meirelles, il famoso regista di “City of God”, il film è un risoluto attacco all’industria farmaceutica e al modo in qui quest’ultima specula sulle vite di cittadini del terzo mondo per la sperimentazione di medicine che promettono guadagni milionari nei paesi industrializzati. Il tutto vissuto attraverso un thriller e una storia d’amore che dovrebbero garantirgli un adeguato pubblico. Gli uffici comunicazione delle multinazionali sono quindi in agitazione.

National Clandestine Service: è questo il nome dell’agenzia che coordinerà le operazioni dei servizi segreti all’estero. La struttura, sotto controllo della Cia, dovrà gestire tutte le operazioni in cui sono coinvolti agenti e non si occuperà di raccolta di informazioni telematiche. Ad essa faranno capo le operazioni, come i rapimenti in territorio straniero che hanno scatenato polemiche a livello mondiale e che secondo la Cia fanno parte del mandato istituzionale affidatogli dal Congresso per le normative antiterrorismo e la difesa della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Recentemente la pubblicazione di due volumi dell’ex agente della Cia in Medio Oriente, Robert Baer, avevano riacceso le polemiche. La Cia è sotto accusa da quando sono emersi i poco chiari passaggi che hanno accompagnato le segnalazioni sulle attività dei terroristi dell’11 settembre. In particolare la nuova organizzazione dovrà garantire il coordinamento del flusso di informazioni tra le diverse agenzie ed uffici e nel rapporto con la Difesa e la Fbi, il cui potere è molto cresciuto negli ultimi quattro anni seguiti all’attentato alle Torri Gemelle. L’Ncs, questa la sigla del nuovo ufficio, dovrà permettere la riorganizzazione dopo il pensionamento e l’allontanamento di numerosi operativi e l’eccessiva fiducia riposta nei mezzi tecnologici a scapito del rafforzamento dell’intelligence classica.

È stata piantonata giorno e notte, durante il parto e nei primi quattro giorni di allattamento in ospedale. L’incredibile vicenda non è capitata a un serial killer ma ad una donna arrivata in Australia per chiedere asilo politico. Heng Hak Kinag, 35 anni, di origine cinoindonesiana, ha passato due anni al centro di detenzione di Villawood. Incinta del terzo figlio, la Kinag era stata portata all’ospedale di Fairfield, a Sydney, per un taglio cesareo. Ma, secondo l’inflessibile sistema di immigrazione australiano, ha dovuto partorire con una poliziotta del centro detenzione presente in sala, e durante i quattro giorni passati in ospedale ha dovuto avere in camera varie guardie, spesso uomini, giorno e notte. La vicenda, raccontata da The Australian, chiama in causa il ministro dell’immigrazione, Amanda Vanstone, accusata di usare «metodi crudeli» nei confronti dei richiedenti asilo. Nel 2003, come riferisce l’organizzazione “Melting Pot”, il governo Australiano aveva approvato un decreto che elimina dalla propria cartina geograficopolitica circa 4.000 isole che si trovano al largo della costa settentrionale del paese. Questa decisione fa seguito alla volontà di non accogliere alcun possibile richiedente asilo in territorio australiano. Con questa decisione il governo aveva creato una barriera extraterritoriale in cui sospendere i diritti australiani e poter respingere i richiedenti asilo.

Nel cuore della foresta amazzonica dell’Ecuador il territorio indigeno Sarayaku è disseminato di esplosivo. La dinamite è un lascito della Compagnia generale dei combustibili argentina (Cgc), che ha occupato per anni parte del territorio ancestrale indios per crivellarlo ed estrarne petrolio. Dopo aver ignorato per anni la strenua opposizione delle popolazioni che vivono quest’area da sempre e che da millenni rispettano la terra con la stessa sacralità con la quale trattano ogni vita umana, la Cgc ha dovuto cedere e se n’è andata. Ma ha lasciato, qua e là, mucchi di trappole mortali, pronte a esplodere. Peacereporter.net pubblica su questa vicenda una testimonianza. La Corte Interamericana dei diritti umani si era espressa sul tema, condannando la violazione dei diritti del popolo indigeno e ordinando allo Stato ecuadoriano di proteggere “la vita, l’intergità personale e la libera circolazione”. Aveva anche imposto l’immediato ritiro del materiale esplosivo (1.433 chili) sistemato per le esplorazioni geologiche. Secondo la Subsecretaría de protección ambiental del ministero dell’Energia, sono 476 le zone minate di esplosivi dai tre ai cinque chilogrammi l’uno. Il ministero ha chiesto di presentare una mappa del tracciato delle linee esplosive ma la Cgc non ha collaborato.

Per il governo italiano il reportage è frutto di una campagna odiosa della stampa di sinistra ma la magistratura ha aperto una inchiesta mentre Amnesty International ha presentato un articolato dossier, ricco di testimonianze, sulle violazioni dei diritti dei migranti in Italia. Un cronista del settimanale L’espresso, fingendosi clandestino turco, è stato tratto in salvo dalle forze di polizia al largo dell’isola di Lampedusa e quindi sottoposto alla procedura di rito riservata dal Trattato di Schengen ai clandestini. Dopo una sommaria identificazione è stato avviato ad un cpt (centro di permanenza temporanea per stranieri presunti clandestini in attesa di certa identificazione) a Lampedusa. Qui il cronista, celato sotto la falsa identità e fingendo di non capire quanto veniva detto, ha potuto documentare le violazioni della legge compiute dal personale in servizio al cpt. Tra le violazioni riferite nel reportage, numerose intimidazioni verbali e offese razziste, minacce di tortura fisica, violenze fisiche ripetute oltre alla totale assenza del rispetto dei diritti stabiliti dalla legge sul diritto di richiedere asilo. Nelle mense della struttura i pasti, addebitati come si è verificato a lauto costo nel contratto di gestione della struttura, evidenziavano come alcuni alimenti (per esempio le carne) fossero stati sostituiti con prodotti scadenti. Fabrizio Gatti, autore del servizio, è stato denunciato dopo la pubblicazione per aver fornito false generalità alle forze dell’ordine. L’ingresso nei “cpt” è vietato anche a parlamentari e giornalisti e nessuno riesce a documentare quanto avviene all’interno, se non attraverso sporadiche testimonianze o eclatanti azioni di protesta degli ospiti e tentativi di fuga.

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| roque santeiro | internazionale | GIANNI BERENGO GARDIN / CONTRASTO

Bancarelle fai da te per un economia di sussistenza

Il più grande mercato d’Africa. Quattro milioni di angolani ogni anno sopravvivono grazie a questa realtà autogestita che ufficialmente non dovrebbe esistere. EOLINDA HA UN SORRISO IRRESISTIBILE che elargisce generosa a gran parte delle persone che incontra. Ha trent’anni, due figli e le gravidanze non le hanno affatto scalfito il fisico: è snella e asciutta, si muove allegra ancheggiando provocante tra le baracche del mercato attirando le occhiate di tutti gli uomini che le passano intorno. Deolinda dovrebbe essere morta. Lo dicono i dati della Banca Mondiale che assegnano agli abitanti delle baraccopoli di Luanda, la capitale dell’Angola, un prodotto nazionale lordo prodi Raffaele Masto capite di meno di un dollaro al giorno. Somma incompatibile con la vita in una città come la capitale angolana la cui economia è stata drogata da 25 anni di guerra civile. Oggi la guerra civile è finita ma la situazione non è cambiata di molto: una bottiglia di acqua minerale costa poco meno di un dollaro, un litro di latte quasi due, un viaggio in candongeiro, il taxi collettivo, un quarto di dollaro. Luanda è una città surreale: un piccolo e anacronistico centro storico a pochi passi dalla Ihla, la striscia di terra che costituisce la spiaggia cittadina, per il resto è una distesa sterminata di baraccopoli e spazzatura che letteralmente assediano la cittadella delle ambasciate e degli hotel di lusso. Dati incontrollabili, ma attendibili, parlano di almeno quattro milioni di persone ammassate in queste baraccopoli. Ci sono arrivati alla spicciolata quando la guerra civile rendeva pericoloso vivere nei villaggi e praticare l’agricoltura e non se ne sono più andati. Oggi il loro potere d’acquisto non riesce nemmeno a sfiorare il circuito dell’economia ufficiale. Per il massimo organismo economico sovranazionale del pianeta infatti sono morti e invece viUna guerra civile che si è protratta per venticinque anni vono. Deolinda canta. È il suo modo per attirare i clienti alla banha messo in ginocchio l’economia di Luanda. carella di capelli posticci e treccine con la quale si mantiene nel mercato di Roque Santeiro

D Operaie all’interno di un maglificio negli anni settanta e in fabbrica che assembla biro. Lo spostamento delle produzioni nei paesi dell’Est europeo e dell’Asia ha modificato tutti gli scenari.

Perugia, 1970

> Lavoro

FOTO R. MASTO

Roque Santeiro

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Roque Santeiro è il più grande mercato d’Africa. Uno spettacolo. È tanto grande che non sfugge, alla vista, nemmeno atterrando con un aereo di linea. Il colpo d’occhio lascia senza fiato: una distesa marrone di teli, legni, carretti, animali, spazzatura e uomini che si agitano sulla caratteristica terra rossa di questa parte dell’Africa. Ad entrarci dentro si ha un attimo di smarrimento. Prima ancora di lasciare la strada il primo senso ad essere colpito è l’olfatto. Un odore di putridume misto a quello di spezie, di fogna, di olio di palma fritto, di sudore. Poi è la volta dell’udito. Un rumore continuo prodotto dal vociare di decine, centinaia di migliaia di persone e dal grac|

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L’ANGOLA è uno dei paesi del continente africano maggiormente sfruttato nei secoli dalle potenze occidentali perchè ricco di materie prime come i diamanti o il petrolio e per le sue risorse agricole, un esempio per tutti sono le grandi distese di piantagioni di caffè. Il periodo post coloniale, dopo l’indipendenza raggiunta nel 1975, è stato tormentato da una guerra civile lunga 27 anni. Il processo di transizione verso la pacificazione è iniziato solo nel 2002, dopo la morte di Jonas Savimbi, leader della guerriglia dell’Unita (União Nacional para a Independência Total). Le organizzazioni non governative in tutti questi anni sono intervenute in una situazione sociale gravemente degradata dalle violenze che hanno attraversato il paese. Al momento almeno due terzi della popolazione vive sotto la soglia della povertà, mentre un terzo si trova nella fascia dell’“estrema povertà”. L’Angola compare al 161° posto nella classifica dell’economia mondiale su 173 paesi. Uno degli interventi principali delle Ong riguarda quindi lo sviluppo della popolazione, di modo da raggiungere una soddisfacente qualità della vita. La Caritas italiana è impegnata su diversi fronti, tra cui un programma di sviluppo rurale incentrato sul ruolo delle donne nella regione di Negage, in collaborazione con la Congregazione delle “Figlie di Gesù”. Il progetto prevede il coinvolgimento di 200 donne in una settantina di villaggi. Oltre a ricevere una formazione igienica-sanitaria, ma anche informazioni per lo sviluppo agricolo e nozioni sulla dieta alimentare, le donne sono spronate alla gestione dell’economia domestica e all’utilizzo del denaro. Inoltre il programma prevede la nascita di un piccolo consorzio agrario e una associazione di risparmio e credito. Dedicato sempre al ruolo della donna, che può rivelarsi centrale

chiare simultaneo di radio e registratori col volume a palla. Una volta dentro si ha l’impressione di essere sommersi, inghiottiti da una massa informe di materia, un magma che si muove con moto proprio, che pulsa, che annulla la volontà dei singoli. A dispetto della sua estensione Roque Santeiro è un mercato recente. È nato alla fine degli anni Settanta intorno ad un maestoso baobab sotto la cui ombra si riparavano donne, uomini e bambini che andavano a vendere povere mercanzie sui marciapiedi della città. La frescura offerta dalle fronde del baobab erano un ottimo punto di sosta e non era raro riuscire a vendere, o a barattare, i propri prodotti con altri venditori già in quella piazza di sosta. La data di nascita ovviamente, non è conosciuta con precisione, ma è ben collocabile. Roque Santeiro è infatti l’eroe - una sorta di Robin Hood moderno, alle prese con gangster di ogni genere, che ruba ai ricchi per dare ai poveri - di una telenovelas brasiliana trasmessa dalla televisione angolana proprio in quegli anni, gli anni della guerra fredda quando l’Angola gravitava nell’orbita sovietica e questo mercato era destabilizzante, era il regno del libero mercato, dell’estro e del genio individuale, un bubbone insopportabile e inestirpabile nella piattezza dell’economia pianificata. Nell’era delle "magnifiche e progressive" sorti del libero commercio, si è tentato invece di istituzionalizzare il mercato e fornirlo delle infrastrutture necessarie ad accogliere la gran massa di persone | 46 | valori |

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per la ricostruzione del tessuto sociale del paese, anche un altro progetto per lo sviluppo socio-economico in corso a Luanda. La capitale dell’Angola è una città difficile, anche perchè negli ultimi anni ha conosciuto una crescita smisurata, basti pensare che in un paese dove la popolazione conta 13 milioni di abitanti, circa 1/3 risiede a Luanda. Il progetto di sviluppo rivolto alle donne viene svolto in in collaborazione tra Caritas Arcidiocesana e l’associazione cattolica di promozione della donna Pro.m.a.i.ca. Un lavoro a parte, sempre sul territorio riguarda una delle ferite profonde del paese, create dalle divisioni emerse nel corso della lacerante guerra civile. La Caritas italiana segue un programma di riconciliazione, per promuovere una cultura di pace. Inoltre vengono attuati programmi di lingua portoghese a Cazombo, Luau, Negage e Bungo per facilitare l’integrazione tra gli angolani rimasti nel paese e quelli rifugiati all’estero, tra cui Congo-Kinshasa, Zambia e Namibia, nei quasi trent’anni di guerra. Attualmente il paese si trova in piena ricostruzione e i primi effetti sono evidenti. Le città a lungo isolate a causa delle mine dissiminate ovunque, sono ora raggiungibili dopo gli interventi di bonifica e la riapertura di strade di collegamento. Ma resta la dura realtà di moltissimi villaggi rurali ancora parzialmente minati. Oggi più del 60% della popolazione angolana vive in centri urbani, mentre solo 3,3 milioni di "deslocados" (i cosiddetti internal displaced people) in questi due ultimi anni sono ritornati nelle loro aree di origine, prive di infrastrutture sociali.

che ogni giorno vi si riversano: Stime ovviamente non verificabili, ma attendibili, parlano infatti di almeno un milione di acquirentivenditori al giorno. Una agenzia umanitaria internazionale ha pensato allora di costruire a Roque Santeiro delle latrine, ma non è servito a nulla. La natura selvaggia e spontanea di questo mercato le ha subito trasformate in merce. Se ne sono impossessati alcuni boss locali ed ora per usarle bisogna pagare cinque Kwanza, la moneta locale, con il risultato che sono pochissimi quelli che se ne servono. La grande massa dei frequentatori del mercato continua a fare i propri bisogni all’aria aperta. Per anni migliaia di persone ogni giorno hanno orinato sul tronco del maestoso baobab e pare sia stata proprio questa la causa della morte dell’albero centenario simbolo di Roque Santeiro e rifugio per eserciti di formiche e insetti che vivevano sul suo venerabile tronco.

Ciabattine infradito: un businnes Roque Santeiro è un miracolo. Se non ci fosse le autorità angolane dovrebbero inventarlo perchè è attraverso le sue bancarelle che circa quattro milioni di persone non si trasformano in una massa incontrollabile capace di mettere in discussione stabilità sociale e sicurezza del paese. E invece da anni i piani governativi prevedono il suo sgombero. Ogni volta che polizia ed esercito ci hanno provato però hanno dovuto desistere. Roque Santeiro è uno stato

nello stato e resiste. Roque Santeiro è un circuito economico aldi folla che ogni giorno calpesta la terra rossa di Roque Santeiro che ternativo che vive di vita propria che a volte interseca e interagitrasforma in affari anche paure e intraprendenze. Anche per questi sce con l’economia ufficiale e a volte confligge. È un mercato sitimorosi c’è spazio per fare affari, basta fermarsi sulla strada che fencuro per milioni di persone con un potere d’acquisto minimo, de in due il mercato. In pochi secondi si viene circondati da bambinon apprezzabile, capace di aggredire solo prodotti di massima ni vestiti di stracci, sciancati con sgangherate stampelle, intraprenutilità e a prezzi bassissimi. denti ragazzotti che si offrono, per pochi Kwanza, di affrontare per voi il magma pulsante che si stende fino alle banchine È il meccanismo di tutta l’Africa che qui è esasperato dalla del porto. Basta chiedere a loro cosa si vuole acquiguerra e dalla grande concentrazione di popolazione nelle città. stare, attendere qualche minuto e li si vedrà riaffoNon è un caso che il Continente Nero, per l’economia monrare dalla folla con le migliori offerte del prodotto diale, non è quasi nemmeno un mercato ma solo un serbatoio richiesto. Insomma Roque Santeiro non rifiuta nuldi materie prime e di mano d’opera a basso costo con una pola a nessuno, di fatto è l’economia di Luanda. È l’epolazione che in larga parte non ha un potere conomia di sussistenza che supera, ingloba, si mand’acquisto apprezzabile. Quella africana è l’ecoANGOLA IN NUMERI gia e metabolizza quella ufficiale. nomia delle ciabattine infradito: costano pochi Popolazione 11.185.000 (1996) soldi (moltiplicati per centinaia di milioni di perSuperficie 1.246.700 Kmq sone), sono indispensabili, sono fabbricate con Un salto nel futuro Densità 8,5 ab/kmq costi di produzione infimi. Luanda, anno 2020. Deolinda ne ha fatta di straCapitale Luanda da, oltre ai soliti prodotti adesso vende anche Moneta Nuovo Kwanza spazzole, parrucche, cosmetici e si può permetteDiamanti e champagne Lingua Portoghese. re un piccolo magazzino. Ha raggiunto la soglia Non è completamente vero, però, che i circuiti di Vengono parlate dei cinquant’anni, un successo se si calcola la viquesta economia di sussistenza e di quella uffianche Ovimbundu, ta media in questo paese che dai primi anni dueciale sono nettamente separati. A Roque SanteiKimbundu, Kikongo mila non è migliorata. I suoi prodotti sono ben ro, per esempio, si stabilisce, di fatto, il cambio Religione Religioni tradizionali conosciuti dai ragazzi sulla strada, sempre pronti quotidiano tra il kwanza e il dollaro e si può comafricane. a rispondere alle richieste dei clienti che preferiprare di tutto, dai peperoni all’avorio, dalle camiIl 38% cattolici. scono non entrare nel magma del Roque. È arricie al vino rosso brasiliano o sudafricano, da qua15% protestanti. vata la tecnologia e li hanno elencati, come tutti lunque pezzo di ricambio per auto ai televisori a Altre città Huambo, Benguela, quelli degli altri venditori, in un data base conschermo piatto, dai personal computer ai diaLubango, Lobito. sultabile rapidamente. La scena sulla strada è un manti, ci si può far tagliare i capelli e si può aborPresidente Josè Eduardo Dos po’ paradossale. I giovanotti stanno in piedi datire o andare con una prostituta. Così Roque SanFonte: Guida dcl Mondo, EMI 2004 vanti alla tastiera di un computer, si muovono veteiro non è solo un mercato per poveri. Anche i loci, urlano, imprecano con i clienti in fila che atricchi si arricchiscono a Roque Santeiro. Del resto tendono di consultarli. I computer sono infangain quale centro commerciale troverebbero, tutti ti e impolverati, nulla a che fare con l’atmosfera insieme, prodotti come gli abiti o gli occhiali da asettica dei palazzoni dei ministeri economici in sole firmati, i frigoriferi e le paraboliche, le costacentro dove analoghi computer con impeccabili te di manzo e il salmone norvegese, i pneumatiimpiegati seduti di fronte restano ampiamente ci di marca e lo champagne. sottoutilizzati. In quasi vent’anni ne sono camA differenza di un centro commerciale a Robiate di cose. Il presidente è stato rovesciato, al que Santeiro difetta la sicurezza. A Luanda vi nord è ripresa la guerriglia, ma è tornata presto la mettono in guardia dall’andarvi. Circola la voce pace. Sul fronte internazionale i paesi del G-8, con - naturalmente non verificabile - che vi sia un una decisione coraggiosa e dopo un lungo dibatmorto al giorno e che gli stessi abitanti della città tito, hanno deciso di azzerare il debito dei paesi ci vadano senza orologi e oggetti di valore per tiafricani. A Roque Santeiro non se ne sono quasi more di essere derubati e malmenati. Quello che accorti e di conseguenza non sono nemmeno riuè certo è che il businnes di Roque Santeiro è in sciti ad essere grati per questa clamorosa svolta mano alle gang e ai boss locali che, se da una parSecondo la Banca Mondiale nelle relazioni tra cosiddetti paesi ricchi e poveri. te si arricchiscono gestendo un flusso commeri quattro milioni di rifugiati che Non lo hanno fatto per maleducazione perchè alciale pari a quello di una grande multinazionale, popolano la periferia di Luanda registrano un reddito medio tre decisioni, come quella del vertice G-8 di Okidall’altra svolgono le funzioni di polizia, di congiornaliero inferiore a un dollaro. nawa nell’anno duemila, che invitava ad estendetrollo e di organizzazione che dovrebbero garanre al Terzo Mondo l’uso del computer, è stata presto messa in pratitire le autorità statali e cittadine che qui sono assenti. Naturalca come testimoniano gli indaffarati giovanotti sulla strada. mente lo fanno senza badare troppo alla sicurezza dei singoli e non Per il resto Roque Santeiro continua ad essere l’apoteosi dell’inbadando affatto a disincentivare furti e truffe che, in fin dei conti, verosimile di sempre: centinaia di migliaia di persone calpestano la finiscono per fare parte del businnes. sua terra rossa ogni giorno, con le ciabattine infradito. Per questo motivo non tutti si arrischiano a tuffarsi nel magma FOTO: R. MASTO

OBIETTIVO RICONCILIAZIONE

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Summit sulla Società dell’Informazione: un’altra occasione perduta? Non si tratta solo di regolamentare Internet e le reti informatiche ma di definire cosa si intende per lo sviluppo delle comunicazioni, la sorveglianza digitale e proprietà intellettuale. OPO IL FALLIMENTO SOSTANZIALE DELLA CONFERENZA ONU dello scorso settembre sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDGs), adesso tocca all’ultima delle conferenze delle Nazioni Unite, e la meno conosciuta dall’opinione pubblica, il WSIS – o World Summit on the Information Society. Le premesse per la sua conclusione, a Tunisi il 16-18 Novembre (dopo una prima fase a Ginevra nel dicembre 2003 che ha prodotto la Dichiarazione di una Visione comune sulla Società deldi Jason Nardi CRIS Italia (Communication Rights l’Informazione) sono tutt’altro che rosee: su questioni fondamentali ci sono ancora poin the Information Society) sizioni molto diverse e soprattutto, il fatto che il Summit si svolga in Tunisia – paese con un record negativo per i diritti umani e la libertà di informazione – non è di buon auspicio. Tuttavia, le questioni affrontate al WSIS sono di grande rilevanza, in un mondo che sempre più si globalizza attraverso le nuove tecnologie di informazione e comunicazione (altra sigla: TIC o, all’inglese, ICT). Non si tratta solamente di regolamentare Internet e le reti informatiche (ad oggi non esistono convenzioni internazionali in merito), ma di definire cosa si intende per sviluppo delle telecomunicazioni e più in generale, di tutto il settore delle comunicazioni, dai media ai satelliti, passando per la sorveglianza digitale, per la “proprietà intellettuale”, fino all’accesso stesso ai sistemi di informazioni, tanto locali quanto internazionali. Il WSIS, inoltre, avrebbe dovuto risolvere il nuovo divario creato negli ultimi 20 anni dalla rivoluzione digitale, il cosiddetto digital divide. Sul tavolo sono rimaste due questioni irrisolte (più una serie di “problematiche” politiche che RUSSIA CANADA rendono mere parole il piano di azione e di implemenRUSSIA EU tazione finora discussi): il “governo” di Internet e il fiOCEANO USA ATLANTICO CINA nanziamento dello sviluppo delle TIC nei paesi “in via GIAPPONE MESSICO di sviluppo”. Di entrambi parleremo più avanti. Da noOCEANO PACIFICO tare, comunque, che la finalità rimane prevalentemente tecnocratica, mirando a includere le comunità e i BRASILE paesi rimasti “fuori” dall’economia mondiale, attraverAUSTRALIA SUD AFRICA so la creazione di nuove infrastrutture e l’apertura di ARGENTINA “ambienti favorevoli” al Mercato e alla finanza internazionale. Quest’ultima, non a caso, esiste grazie alle La “Global Internet Map” del 2002. L’ampiezza della striscia reti informatiche transnazionali e alla conseguente “diarancione india la capacità della “banda” di supportare gitalizzazione” dei flussi finanziari. E nonostante lo il traffico di dati. Al centro della struttura della Rete vi sono gli Stati Uniti che gestiscono i punti nodali. sforzo della società civile di far pressione sui governi

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A Tunisi si può ancora essere condannati a 13 anni di carcere per avere visitato dei siti Internet

COS’È IL WSIS IL WSIS È L’ULTIMO DI UNA SERIE DI SUMMIT mondiali organizzati dall’ONU, che si sono occupati delle questioni centrali dello sviluppo umano, a partire dal summit di Rio del Janeiro nel 1992. L’informazione e la comunicazione sono sull’agenda dell'ONU per la prima volta, nel tentativo di sviluppare un consenso e una visione comune sulla Società dell’Informazione. La struttura del Summit, divisa in due parti (la prima si è svolta a Ginevra nel dicembre 2003, la seconda sarà a Tunisi, dal 16 al 18 Novembre 2005), è organizzata dall’International Telecommunications Union (ITU) attraverso un Segretariato, che ha anche definito i primi contenuti e temi nel 2001. Nello stesso anno, la campagna CRIS (Communication Rights in the Information Society) ha formulato la prima posizione della società civile nei confronti del Summit. La finalità dichiarata del WSIS è di “offrire un’opportunità unica a tutte le parti in causa (stakeholder) di riunirsi in un incontro ad alto livello per sviluppare una migliore comprensione della rivoluzione digitale e il suo impatto sulla comunità internazionale”. Se questo obiettivo verrà raggiunto è tutto da vedere – rimane comunque un’opportunità importante per le organizzazioni della società civile di impegnarsi criticamente sulle questioni di sviluppo e nuove tecnologie. La seconda fase del WSIS, a Tunisi, affronterà in particolare le questioni “politiche” del governo di Internet e del finanziamento per il superamento del divario digitale, oltre a definire l’implementazione e le modalità di continuazione del processo nel futuro. Diversamente che in altri Summit dell’Onu, la partecipazione di enti non governativi è stata integrata, dando al tempo stesso la possibilità a imprese commerciali del settore di intervenire direttamente per difendere i propri interessi.

perchè vengano affrontate le implicazioni sui diritti umani e le conseguenze di politiche che non tengono conto dei contesti sociali e ambientali, molte questioni “umane” sono rimaste sulla carta.

La stampa, la società civile e la questione Tunisina 100 MLD $ PER LE TELECOMUNICAZIONI La Banca Mondiale ha stimato nel Febbraio 2005 che occorrono più di 100 miliardi di dollari per sviluppare l’infrastruttura delle telecomunicazioni nei paesi in via di sviluppo, tra il 2005 e il 2010. L’UE sosterrà i piani di infrastruttura regionali del NEPAD (New Partnership for African Development).

Forse per la marea di sigle, particolarmente incomprensibili in questo Summit, forse per i temi – spesso considerati troppo tecnici e settoriali –, forse per pura ignoranza, i mass media erano i grandi assenti nella prima fase del WSIS e non sembra che siano molto più interessati per la sua conclusione. Eppure la Società dell’Informazione riguarda in prima persona anche loro, il sistema dei conglomerati mondiali e regionali dell’industria della cultura di massa e dell’infotainment, che con la sua alta concentrazione proprietaria sta minacciando seriamente la libertà di stampa, il pluralismo, l’indipendenza dei media in tutto il mondo. Non a caso, una delle nubi nere più minacciose che rischiano di oscurare il Summit è la situazione dei diritti umani in Tunisia, paese ospite dell’evento. Alcune Ong tunisine

indipendenti e internazionali hanno denunciato i gravi abusi perpretrati dal governo di Zine El Abidine Ben Ali (al potere dal 1987) nei confronti di organizzazioni umanitarie, sindacati di giornalisti, avvocati e magistrati, che abbiano osato criticare il governo. In varie occasioni, missioni internazionali (come quella dell’IFEX – International Freedom of Expression Exchange, http://campaigns.ifex.org/tmg) hanno verificato come la situazione stia peggiorando e sono giunte alla conclusione che partecipare al Summit a queste condizioni è come ammettere che «la libertà di espressione e d’informazione non sono necessarie nella Società dell’Informazione». Il 1° ottobre, una lettera-manifesto di denuncia indirizzata a Kofi Annan è stata presentata da numerose organizzazioni non governative e dalla campagna CRIS (http://www.crisinfo.org). Tuttavia, la società civile che ha firmato l’appello non propone di boicottare il Summit – inclusi i gruppi che si oppongono al regime di Ben Ali - perchè pensa che sia un’occasione per esporre all’opinione pubblica internazionale le enormi difficoltà che la popolazione locale deve affrontare. In un paese che si promuove come moderno “crocevia di culture e tecnologia” (http://www.outsource2tunisia.com/), capita che dei ragazzi vengano condannati a 13 anni di prigione perchè accusati di navigare su siti “pericolosi” (è il caso degli “Internauti di Zarzis” - http://www.zarzis.org).

Attenzione solo sulla governance di Internet Un minimo di attenzione dei media si è avuta sul dibattito sulla “governance” di Internet. Dopo la prima fase del WSIS, dove questo tema rimase sospeso e fu creato un gruppo di lavoro “multistakeholder” (il WGIG - Working Group on Internet Governance) per affrontare la questione, gli USA hanno più volte ribadito la loro ferma posizione per mantenere lo status quo – ovvero il sostanziale controllo, seppure indiretto, del governo degli Stati Uniti sui nodi principali (backbone) e la gestione della Rete. Durante l’ultima riunione preparatoria (Prepcom3, svoltasi a Ginevra lo scorso 28 settembre) a sorpresa la delegazione inglese, in quanto presidenza di turno della UE, ha presentato una proposta innovatrice per creare un nuovo Forum “multistakeholder” che sviluppi la politica pubblica di Internet. La proposta richiede il coinvolgimento di organiz|

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| internazionale | La decisione di tenere il summit a Tunisi ha sollevato numerose proteste da parte delle associazioni non governative che si occupano di libertà di informazione.

Secondo l’Onu sono necessari almeno 50 miliardi di dollari per raggiungere gli Obiettivi del Millennio entro il 2015 zazioni intergovernamentali per l’allocazione degli indirizzi IP e le procedure per il cambiamento delle “root zone file”, per l’inserimento di nuovi domini top-level e dei relativi gestori. La negoziazione continua, però, con l’esclusione della società civile.

Finanziare lo sviluppo della Società dell’Informazione L’ONU stima che siano necessari almeno 50 miliardi di dollari per raggiungere gli Obiettivi del Millennio entro il 2015, oltre ai fondi già promessi con il consenso di Monterrey per la finanza dello sviluppo. «Una parte si-

Dalla violenza alla pienezza

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gnificativa di quei fondi verranno indubbiamente spesi sulle nuove tecnologie, per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi, sostenere il buon governo, dare aiuti ai poveri e permettere lo sviluppo economico. Molti paesi africani, che sono i più lontani dal raggiungere gli obiettivi, hanno bisogno delle nuove tecnologie per aiutarli a stimolare le loro economie e a integrarle nell’economia mondiale». Una delle proposte (dalla Posizione dell’UE per il finanziamento dello sviluppo dell’ICT) invoca la creazione di un’iniziativa denominata: International Finance Facility, un meccanismo per gestire la raccolta dei fondi attraverso agenzie esistenti e un sistema di “bond” sui quali sarebbe possibile richiamare l’investimento a lungo termine dai mercati finanziari (http://www.dfid.gov.uk/pubs/files/International-Finance-Facility2003.pdf) Altra proposta, sostenuta da molti governi del “Sud” e dall’iniziativa di una coalizione di Enti Locali, è quella già avviata di un Fondo di Solidarietà Digitale, con contributi volontari e piccole “tasse” sulla vendita di hardware. Tra i principali oppositori, gli Stati Uniti – ma anche l’UE –, convinti che il finanziamento debba passare attraverso meccanismi esistenti e la liberalizzazione dei mercati, che devono aprirsi all’investimento del settore privato (la politica del cosiddetto “enabling environment”). L’iniziativa contrapposta si chiama “Digital Freedom Initiative” (DFI), un programma dell’amministrazione Bush il cui obiettivo si può leggere sul relativo sito: «Questo approccio abbraccia le forze del mercato, la potenza delle tecnologie, la forza del volontariato americano e della leadership del commercio. L’iniziativa dà alle imprese USA l’opportu-

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nità di investire volontariamente le loro risorse con l’aspettativa che la domanda del mercato salirà nei paesi beneficiari dell’iniziativa DFI». (http://www.dfi.gov)

Oltre il Summit: i diritti di comunicazione La Campagna Internazionale CRIS (Communication Rights in the Information Society-http://www.crisinfo.org) raccoglie l’eredità delle riflessioni e delle proposte sviluppate sulla scena internazionale in materia di diritti di informazione e comunicazione e ha giocato un ruolo particolarmente attivo nel WSIS. Lo ha fatto nel riconoscimento dei fondamentali valori di libertà, dignità, giustizia e rispetto della diversità, promovendo una visione della Società dell’Informazione fondata sul diritto a comunicare, come mezzo per promuovere e proteggere i diritti umani e rafforzare la vita delle persone e delle comunità, da un punto di vista sociale, economico e culturale. In Italia, CRIS ha promosso innumerevoli incontri (alcuni anche a Terra Futura) per riaffermare che informazione e conoscenza sono un’eredità comune, una risorsa fondamentale per la vita di ogni persona e di ogni organizzazione sociale. Questo comporta l’affermazione e la tutela di una serie di diritti da promuovere concretamente sulla scena internazionale così come nel nostro paese: il diritto ad essere informati e ad informare, il diritto alla privacy, il diritto al pluralismo linguistico, mediatico e culturale, il diritto ad associarsi ed esprimersi e il diritto di partecipare alla comunicazione pubblica e alla definizione delle relative politiche. Le parole chiave che accompagnano questa visione sono accesso (poter ricevere informazione) e partecipazione (contribuire alla comunicazione), che sottolineano l’esigenza di pensare al ruolo attivo dei cittadini nella società dell’informazione e della conoscenza e l’esigenza di una maggiore capacità di ascolto e dialogo da parte delle istituzioni. Diritti di comunicazione, dunque, come pre-condizione per la costruzione di società democratiche. A questo si aggiunge l’accountability [render conto] delle istituzioni e strumenti chiari ed efficaci perchè i cittadini possano far render conto del loro operato il governo e gli enti preposti alla promozione, garanzia e concretizzazione di quei diritti. Su questa strada, in salita, c’è ancora moltissimo da fare. A cominciare dalla nostra “anomalia” tutta italiana di conflitti d’interessi tra politica, proprietà dei mezzi di informazione e controllo monopolistico sulle risorse pubblicitarie, alle politiche europee di sorveglianza e “data retention” (conservazione di dati sensibili), fino alle questioni globali come quelle del WSIS. Il denominatore è lo stesso: la comunicazione è un bene comune. Il ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Lucio Stanca ha inaugurato il 6 ottobre a Roma, insieme al-

AL VIA IL DOMINIO .EU LA GUERRA PER LA GESTIONE MONDIALE della rete tra Stati Uniti e il resto dei paesi del pianeta si è consumata negli ultimi cinque anni anche per il varo dei domini Internet. Dopo lunghe trattative Washington, che manteneva il monopolio, ora è stata costretto a venire a patti e accordare all’Unione Europea la possibilità di essere rappresentata attraverso i domini .eu. La svolta è arrivata la primavera scorsa, e in Italia l’effetto è stato immediato. Nella normativa italiana è infatti comparsa nel Codice della proprietà industriale la denominazione dei nomi a dominio, segnalati per la prima volta come segni distintivi della rete contrapposti ai marchi. A rendere difficili i passi avanti sono stati soprattutto i problemi burocratici. Il vecchio continente aveva l’esigenza di appoggiarsi in ciascun singolo paese ad una società di gestione. Una volta individuate, le società devono consentire ai detentori di trademark e alle pubbliche amministrazioni di rivendicare il dominio .eu corrispondente. Nel corso dell’estate il consorzio EurID, l’organismo di gestione delle estensioni europee, ha pubblicato la prima lista dei registrati, ossia delle società accreditate che potranno ricevere e trasmettere allo stesso EurID le richieste di registrazione degli .eu. Nella lista compaiono alcune realtà italiane: si trovano i vari 9net, Alicom e Widestore che fanno capo al Gruppo Aruba e c’è Register.it. del gruppo DADA. Il giro di affari non è da sottovalutare. Ogni società accreditata ha infatti già versato 10mila euro nelle casse di EurID e anche altri operatori, che si occupano del vaglio dei marchi nel periodo dedicato ai brand (Sunrise Period), partecipano al nuovo mercato che si sta aprendo sul varo dei nuovi domini. La registrazione di domini .eu sono riservati solo a persone fisiche con cittadinanza in uno degli Stati membri e alle imprese e le organizzazioni con sede sociale, amministrazione centrale o luogo di affari principale all’interno della Comunità.

la collega irachena Basima Yosuf Putros, la nuova rete Intranet del governo iracheno. Un progetto interamente finanziato dal governo italiano, che ha destinato un budget di circa 5 milioni di euro già tutti impegnati, e realizzato attraverso l’apporto di società italiane, come ha sottolineato in conferenza stampa lo stesso Stanca. ‘Govnet’ collega ben 13 dicasteri del governo di Baghdad, dove opera personale preparato e addestrato in Italia e in contatto quotidiano con un centro di assistenza e di controllo remoto a Roma. La realizzazione tecnica é stata affidata a Innovazione Italia Spa, che ha incontrato non poche difficoltà durante le fasi di attuazione. La rete si basa sostanzialmente sulla tecnologia laser (con banda di 100 megabite), per la relizzazione della quale sono state coinvolte tre aziende italiane, la Olidata per le apparecchiature, la Cpi per l’addestramento e preparazione e Telespazio per la fornitura del collegamento Internet satellitare. Nel sottolineare l’importanza del progetto, il ministro Stanca ha posto l’accento “sull’importanza di proseguire tale collaborazione”, estendendo gli ambiti a quello ospedaliero e scolastico, soprattutto in termini di formazione a distanza. Fonte: Ansa, Asca e MIT

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Ambientalismo

Comunicare l’estetica della natura

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di Walter Ganapini

TA FACENDOSI STRADA L’IDEA CHE L’AMBIENTALISMO DEBBA TROVARE UNA NUOVA SINTESI CULTURALE per rendere più facilmente comunicabile e percepibile la sostanza delle proprie battaglie, elaborazioni, proposte. Negli anni , la sfida della “contaminazione” con la questione ambientale è stata indirizzata in ogni campo, dall’economia all’urbanistica, dall’ingegneria alla sociologia, spesso con risultati importanti. Speravamo di avere percorso un lungo cammino dai primi scontri con i filosofi morali che negavano la nozione di solidarietà diacronica, intrinseca a quella di sostenibilità, spiegandoci che, mancando gli “enti” portatori del diritto (le future generazioni), la questione non si poneva . Gioivamo nel vedere la Conferenza Episcopale promuovere un Gruppo di Lavoro “Per la salvaguardia del Creato” , convinti che quella sede avrebbe amplificato in modo definitivo la diffusione di acquisizioni culturali di ricerca di equità intra e intergenerazionale ed avrebbe dato enfasi definitiva al bisogno di nuovi stili di vita per l’individuo e la comunità. Ciò nonostante, però, oggi le ragioni dell’ambiente sono pesantemente messe sotto accusa dai “soliti noti a libro-paga” (accademici o giornalistico-letterari), grazie alla dovizia di mezzi resi loro disponibili dai detentori dei potentati economico-finanziari che vedono messi in discussione business e profitti dalla crescente percezione sociale dei guasti che questo sviluppo sta causando all’ambiente ed alla salute, a partire dalla diffusa consapevolezza che un grande cambiamento climatico è in atto e che dobbiamo mettere in discussione i nostri modi Una nuova sintesi culturale di produrre e consumare risorse comunque finite. Non passa giorno è indispensabile per rendere che non tentino di far passare chi ha a cuore il futuro di umanità percepibile e comunicabile e natura come “conservatore che guarda al passato”, che vuole le battaglie per una nuova concezione dello sviluppo bloccare lo sviluppo con il ricorso a quella grande conquista di civiltà che è il “Principio di Precauzione”. Ed in molti è viva la sensazione che questo stillicidio possa, alla fine, incidere nel cuore e nelle menti delle persone. Per questo pare necessaria la nuova sintesi culturale prima postulata, anche per rendere più diretto l’approccio alle tematiche ambientali per le nuove generazioni e scuotere da scetticismo ed indifferenza i più. È forte la convinzione che quella sintesi, più che a livello etico, possa sostanziarsi a livello dell’estetica: volgarizzando, la bellezza dell’ambiente, naturale e antropizzato, è un valore in sé, che include nozioni di salubrità così come di rispetto per ciò che è altro da sé, vivente e non. Ecco allora che corre in aiuto di chi, con gli strumenti culturali da chimico, si azzarda lungo sentieri teoretici perigliosi, un antico dogma dell’alpinismo: anzitutto, cercare l’appiglio all’altezza del naso prima di mettere a dura prova la tenuta degli appoggi sotto i piedi con manovre a rischio. È indispensabile tessere una fitta rete di relazioni e dialogo con chi, portatore di capacità creative sul versante delle arti e delle tecniche di comunicazione, è in grado di fare percepire a tutti, ad esempio ritraendo i grandi anfiteatri morenici, il silenzio, il profumo dell’aria, l’acqua che appare nella sua essenza di elemento in movimento, con la freschezza ionizzante del suo flusso. Per quanto si sia tutti ben consapevoli che nulla vi sia nel nostro ambiente italiano di non trasformato dall’azione antropica, siamo in presenza di bellezze che ci sanno trasmettere emozioni, epidermiche e profonde al contempo, e che ci aiutano ad esplicitare la necessità che ci si impegni tutti per evitare che un così grande patrimonio venga aggredito, disperdendo in tal modo la possibilità che altre generazioni ne possano godere traendone occasione di vita.

S

Officina dell’Alitalia. Sotto, Fabbrica automobilistica Fiat, operai al lavoro.

Roma, 1978/Torino, 1978

> Lavoro

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Una casa di mattoni per i Rom e meno luoghi comuni >56 Don Colmegna: «La vergogna delle baraccopoli» >58

economiasolidale LAVORO DIFFICILE PER LE NEOMAMME IN ITALIA

RIDERE DELLA CRIMINALITÀ CON PIZZINO, UNA RIVISTA DI SATIRA CHE AFFRONTA ARGOMENTI MOLTO SERI

CÀPACE DOVE RITROVARSI PROGETTANDO IL FUTURO

L’ETICA DI YAHOO! E IL RISPETTO DELLA LEGGE

ACCORDO INNOVATIVO A BRESCIA PER SOSTENERE LA DIGNITÀ DEI LAVORATORI SENZA STIPENDIO DA MESI

SPOT CONTRO LA POVERTÀ VIETATO IN INGHILTERRA

Poco solidali i risultati di una inchiesta sul mondo del lavoro per le neomamme a Torino. «Dati allarmanti e al di sopra di ogni previsione» secondo la Consigliera di Parità della Provincia di Torino, Laura Cim. La ricerca è stata condotta dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), in collaborazione con la Direzione provinciale del Lavoro di Torino – Servizio ispezioni. Tra il 2002 e i primi nove mesi del 2005, si sono dimesse una media di 55 neo-mamme al mese, su un totale di circa 53.000 lavoratrici a tempo indeterminato tra i 15 e i 29 anni, e di circa 180.000 tra i 30 e i 49 anni. Tra le motivazioni, il 52% indica il rifiuto dell’azienda di concedere il parttime, il 14% il desiderio di dedicarsi completamente ai figli, il 5% il desiderio di mettersi in proprio, conciliare meglio vita famigliare e lavoro, mentre il 29% non fornisce motivazioni. Tra le motivazioni previste dal questionario non compariva il fatto che le lavoratrici possano essere state costrette dall’azienda alle dimissioni, in quanto affermazione ritenuta molto delicata. La legge italiana vieta il licenziamento delle donne entro l’anno di età del figlio e, in caso di dimissioni, queste devono essere convalidate dal Servizio Ispettivo della Direzione Provinciale del Lavoro. I ricercatori evidenziano che le donne arrivano alla scelta in modo sofferto e che “nessuna rinuncerebbe mai al suo posto di lavoro se potesse disporre di un’organizzazione degli orari, delle distanze e dei servizi compatibile e di un clima lavorativo accettabile”.

Parole d’ordine: ridere, deridere, provocare. Insomma satira. È nato lo scorso maggio a Palermo il mensile satirico Pizzino. “Un mese di satira, spamming con sarde e affucanotizie”, si legge in copertina. Edito dall’associazione culturale “Scomunicazione” e sfornato dalle menti di tre trentenni siciliani doc: Giampiero Caldarella, il direttore, Francesco Di Pasquale e Leonardo Vaccaro. Un linguaggio tagliente e grottesco per far ridere e pensare, «perché la risata uccide il silenzio» spiega Giampiero. Un italiano volutamente sgrammaticato, miscelato con il dialetto siciliano, per denunciare la mafia e i malcostumi italici. Per affrontare temi scomodi come le carceri, i boss detenuti in regime 41 bis, l’abusivismo edilizio, le spiagge in vendita, gli ecomostri. Ogni mese un tema diverso: dopo il pizzo, il ponte sullo stretto, le spiagge private e la scuola, questo mese nel mirino del Pizzino il campionato di calcio. Il nome Pizzino per sbeffeggiare gli ormai noti pizzini, i bigliettini scritti a mano con cui il boss superlatitante Bernardo Provenzano impartisce direttive ai suoi picciotti. Colori sgargianti, un formato fuori misura che, se lo apri, diventa poster, da leggere anche sottosopra per cambiare punto di vista. Il Pizzino è popolato da personaggi surreali come i poliporci, metà polipi e metà porci, o Alì Babà e i 40 condoni. Rubriche dai titoli improbabili come “ogni testa è tribunale”, “cotture e società” o il “cacchiosello” e sondaggi che interrogano il lettore su quali parole usare per iniziare una richiesta di estorsione. Si può intercettare il Pizzino in Sicilia, in molte edicole e librerie (l’elenco sul sito www.scomunicazione.it) e in abbonamento nel resto d’Italia. Costo del mensile un euro. E, come dicono i tre scomunicatori, il prezzo della rivista è deducibile dal pizzo, per chi lo paga regolarmente.

Ha inaugurato il 15 ottobre a Cervia CàPace, una “casa” dove si può far vacanza, studiare, incontrarsi e riflettere sui temi della pace. CàPace è un centro, che nasce regionale ma aspira a diventare punto d’incontro e di riferimento nazionale, centro di formazione e sperimentazione su temi quali la gestione dei conflitti, l’educazione alla mondialità, la sostenibilità ambientale, il consumo critico, il commercio equo, il volontariato sociale, la finanza etica… Nato per volontà della cooperativa La Lumaca di Modena, che da oltre vent’anni si occupa di educazione ambientale, CàPace ospiterà attività di formazione rivolte al mondo della scuola, ma anche a coloro che vogliono organizzare un corso di formazione o un soggiorno consapevole e responsabile: famiglie, educatori, associazioni. CàPace offrirà percorsi educativi per bambini e ragazzi, che potranno fare esperienza ludica e sociale a contatto con la natura, partecipare a laboratori teatrali e giochi di ruolo. Con i suoi 120 posti letto in riva al mare Adriatico, a pochi metri dalla spiaggia e a due passi da una delle pinete più belle del Parco del Delta del Po, sarà la sede di corsi, forum e seminari, realizzati sia in proprio che in collaborazione con altre organizzazioni come Pax Christi, l’Associazione Italiana Turismo Responsabilee le Università di Modena e quella di Firenze.

Si conciliano eticità dichiarata dell’azienda e rispetto di leggi nazionali poco etiche? Il dibattito aperto dal caso di Yahoo in Cina è aperto. «È evidente che le leggi nazionali, che violano gli standard internazionali sui diritti umani, non sono accettabili dal diritto internazionale». Nicholas Howen, segretario generale dell’International Commission of Jurists, risponde così alla dichiarazione con cui Yahoo! ha motivato la consegna alle autorità cinesi di email private inviate all’estero da un giornalista cinese, arrestato e condannato a dieci anni. Yahoo! afferma che »come ogni altra compagnia globale, Yahoo! deve assicurare che i propri siti nazionali operino all’interno delle leggi, dei regolamenti e dei consuetudini del Paese in cui sono hanno sede». Howen si è dichiarato «fortemente preoccupato per il fatto che le azioni di Yahoo! abbiano portato alla condanna a dieci anni di carcere del giornalista cinese Shi Tao, per non aver fatto altro che esercitare il proprio diritto alla libertà d’espressione, che è garantito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Come ogni altra compagnia globale se Yahoo! sostiene di essere socialmente responsabile e di aderire ai fondamentali diritti dell’uomo, dovrebbe assicurarsi che le proprie azioni rispettino il diritto e gli standard internazionali».

Un accordo innovativo per sostenere le famiglie dei lavoratori di aziende in crisi nel distretto bresciano è stato siglato tra le 11 Banche di Credito Cooperativo (BCC) della provincia di Brescia, la Provincia di Brescia, le rappresentanze sindacali, i curatori di tre aziende metalmeccaniche in stato di crisi e l’INPS. In base all’intesa, le BCC bresciane, su richiesta dei lavoratori, erogheranno finanziamenti individuali che non saranno soggetti a tassi d’interesse né a spese di alcun tipo. I tempi di rimborso di questi finanziamenti saranno correlati ai tempi di liquidazione, da parte dell’INPS di Brescia, dei contributi di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria. Le tre aziende sono la Fomb di Brescia (fonderia cerchi in lega), la Orizio Paolo di Rodendo Saiano (macchine per maglieria) e la Simonelli di Sarezzo (trafileria ottone). Le Banche di Credito Cooperativo sottolineano che questo è un primo, immediato segnale di sostegno ad oltre quattrocento dipendenti ed alle loro famiglie che hanno perso la sicurezza e la serenità di un lavoro e di uno stipendio, a seguito dello stato di crisi delle tre società bresciane. Molti di questi lavoratori non percepiscono lo stipendio dal mese di dicembre 2004. Il Presidente della BCC del Garda, della Federazione Lombarda delle BCC e di Federcasse, Alessandro Azzi, ha dichiarato a rsinews.it, commentando l’accordo: «la provincia di Brescia, così come avviene a livello nazionale ed internazionale, vive una contingenza economica particolarmente difficile ed è stato sentito quindi come un dovere per le Banche di Credito Cooperativo bresciane non far mancare il sostegno alla nostra gente».

Politico, quindi vietato. L’Office of Communications (Ofcom) britannico ha vietato l’ulteriore trasmissione dello spot radio-televisivo contro la povertà, realizzato da una coalizione di organizzazioni non governative e trasmesso dallo scorso dicembre in vari Paesi, tra cui l’Italia. Lo spot, realizzato in bianco e nero e denominato “Click”, ha come protagonisti personaggi famosi, che si alternano, schioccando le dita ogni tre secondi, l’intervallo che passa tra una morte e l’altra dei trentamila bambini che muoiono ogni giorno nel mondo, a causa di conseguenze, evitabili, legate alla povertà. Alla fine lo spot suggerisce di visitare il sito web della campagna “Make Poverty History”, dove si invita a premere sul proprio governo e su quelli di altri Paesi, per sconfiggere la povertà e le sue conseguenze. Ofcom, pur giudicando importante l’iniziativa, osserva che questi sono inviti di carattere politico e che gli spot politici, in Gran Bretagna, sono vietati. Immediata la replica di Male Povertà History, che ha espresso disappunto, affermando che lo spot «sottolinea semplicemente il fato che un bambino muore ogni tre secondi a causa della povertà evitabile. I milioni di persone che portano una fascia bianca o che hanno compiuto azioni di sostegno a questa campagna, non la vedono come un’iniziativa politico-partitica, ma come un grande problema morale del nostro tempo».

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Un tetto. Delle mura. Una casa. Una vita normale anche per i nomadi L’altra Milano cerca una soluzione solidale per i rom sgomberati su esplicita pressione dell’amministrazione comunale. Che non ha esitato a parlare di problemi con questa “etnia”. Mentre a Pisa prosegue il progetto Città sottili. I PIACEREBBE VIVERE IN UNA CASA GRANDISSIMA CON TUTTA LA MIA FAMIGLIA. E da grande voglio fare l’avvocato oppure diventare una star famosa». Isabella è un peperino di 10 anni, coda di cavallo e occhi castani, con le idee molto chiare e la risposta svelta. Come suo cugino Sergio, 12 anni, occhi nerissimi e dolci, aspirante suonatore di violino com’è nella tradizione di famiglia, che dice: «Sì, anche a me piacerebbe una casa enorme dove ognuno però deve avere la sua stanza». Certo che una casa per una famiglia di 78 persone non è facile da trovare. «Ma sì che ce ne sono. Potrebbe essere una casa come questa», dice Isabella facendo un gesto con il braccio per comprendere tutto il complesso del Centro Ambrosiano di solidarietà (Ceas) nel parco Lambro di Milano dove vive da fine luglio. Ma chi l’ha detto che i rom non hanno voglia di casa e di stabilità? E chi l’ha detto che a volte non aspirino alla “normalità” più o meno come la intendiamo noi? Isabella e Sergio sono due dei 78 rom rumeni regolari (meglio: “non espellibili” perché hanno fatto domanda di asilo politico), tra cui una quarantina di bambini, molte donne e alcuni disabili, che la scorsa estate hanno diviso la città di Milano. Fino alla fine di giugno vivevano nel campo nomadi Sarah Pozzoli di di via Capo Rizzuto al Gallaratese, raso al suolo dalle forze dell’ordine perché da lì veniva uno stupratore, arrestato dalla polizia dopo aver violentato una studentessa diciannovenne a Pero, alle porte del capoluogo meneghino. «La mia baracchina è l’unica rimasta in piedi», ricorda Isabella con un po’ di tristezza perché nella fuga ha dovuto lasciare le sue Barbie. Da allora i 78 rom (in realtà, erano molti di più, ma la maggior parte si è dispersa e 70 clandestini sono stati rimpatriati) sono senza un posto stabile dove stare. Il Comune di Milano ha offerto assistenza solo per i primi giorni, ma poi non ne ha voluto più sapere. La Provincia ha messo a disposizione un “supporto di protezione civile”, che però non era altro che un pulDopo la distruzione del campo nomadi, il Comune lman. Intanto, chi si è fatto carico dell’emergenza è di Milano ha curato l’assistenza solo per alcuni giorni. stato don Virginio Colmegna che li ha accolti nella Nel silenzio delle istituzioni, la Caritas si è fatta carico dell’assistenza ai rom rimasti senza casa. Casa della Carità (una struttura di accoglienza della

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GLI ZINGARI IN ITALIA: NUMERI E LUOGHI COMUNI DA SFATARE CHI SONO E QUANTI SONO. In Italia vi sono circa 150mila zingari. Del totale, circa 70mila sono di origine italiana e altri 30mila circa provengono dalla ex Jugoslavia (i primi sono arrivati dopo la Seconda guerra mondiale, tra la fine degli anni ’60 e ’70 è giunta una seconda tranche, mentre gli ultimi sono arrivati dalla Bosnia e dal Kosovo in seguito alla guerra nella ex Jugoslavia). Dal 2000 sono arrivati oltre 40mila rom dalla Romania. L’Italia è uno dei Paesi europei con il numero più basso di rom. In Romania sono tra 2,5 e 3 milioni, in Spagna le stime oscillano tra 600mila a 1 milione, in Ungheria circa 400mila e in Francia 200-250mila. ASPETTATIVA DI VITA. L’aspettativa di vita dei rom in Italia è 45 anni, contro la media nazionale attorno ai 75 anni. Uno dei motivi è dovuto al fatto che i rom esorcizzano la malattia attraverso la negazione della stessa, facendosi curare solo nei casi di emergenza. TASSO DI SCOLARITÀ. Solo il 30% dei bambini rom e sinti è iscritto a scuola. La frequenza è probabilmente ancora più bassa. PROVENIENZA E LINGUA. La provenienza originale è dall’India. Gli zingari si mossero attorno al Mille dopo Cristo probabilmente premuti dall’espansione islamica, o forse per una grave carestia. La migrazione attraverso l’Asia e l’Europa si svolse con una lunga sosta in Persia e nell’Impero bizantino come testimoniano i tratti che dalle lingue di questi Paesi acquisì la loro lingua: il Romanés. Ancora oggi, comunque, il Romanés è riconoscibile come l’evoluzione di una delle tante lingue parlate in India e che ha come parente più illustre il Sanscrito. LA DISPERSIONE NEL MONDO E LE PERSECUZIONI. L’arrivo in Europa e la loro dispersione in tutti i Paesi europei è intorno al 1400. Nel secolo XVII si trovano nelle Americhe, deportati come schiavi. Riduzione in schiavitù, deportazione e sterminio caratterizzano questo popolo, segnato probabilmente dalla diffidenza sorta al loro primo apparire nel Medioevo europeo: nomadismo come maledizione di dio; la pratica di mestieri quali forgiatori di metalli, legati nella superstizione popolare, alle arti magiche; le arti divinatorie identificabili come aspetto stregonesco; soprattutto, la loro diversità fisica e culturale in genere e la riluttanza ad adattarsi a regole di vita imposte. Di qui la tendenza della società “gagé” (i non zingari) a liberarsi di loro. Tutti i paesi europei adottarono nei loro confronti bandi di espulsione. Il nomadismo divenne una perenne fuga. La Dieta di Augsburg decreta che chi uccide uno zingaro non commette reato. Nel XVIII secolo l’Illuminismo tenta di sostituire allo sterminio fisico il genocidio culturale. Maria Teresa d'Austria proibisce il nomadismo, cerca di legare gli zingari alla terra, vieta la loro musica, le canzoni, la lingua. toglie ai genitori i figli perché vengano educati in famiglie ‘normali’. TUn tentativo simile a quello di Maria Teresa viene fatto dalla Fondazione umanitaria svizzera Pro Juventute in tempi assai più vicini a noi ‘requisendo’ i bambini alle rispettive famiglie e affidandoli ad altre di non zingari. LO STERMINIO NAZISTA. Il tentativo di sterminio più scientifico e di maggiori proporzioni fu quello operato dai nazisti. Non meno di 500mila zingari vennero ammazzati e la voce dei superstiti non trovò ascolto neppure al processo di Norimberga, né vennero loro riconosciuti i danni di guerra. ZINGARI E ‘NOMADI’. Oggi il nomadismo non esiste quasi più. I pochi casi si riferiscono alle famiglie proprietarie di giostre e circhi che vanno alla ricerca delle piazze per i loro spettacoli. IL RIFIUTO DELLE GERARCHIE. Gli zingari non riconoscono le gerarchie a meno che non siano quelle che provengono dall’anzianità , dalla parentela o dall’essere reputato saggio. Sono quindi favole quelle dei re e delle regine degli zingari. In qualche caso si tratta di trovate degli stessi zingari per abbindolare giornalisti alla ricerca di scoop con tanto di servizio a pagamento. Fonte: Cooperativa AndoKampo, Zingari nelle città, 2° edizione, agosto 1994. Gli aggiornamenti sono stati forniti da Giorgio Bezzecchi, segretario nazionale dell’Opera Nomadi e da Maurizio Pagani, vicepresidente dell’Opera.

Caritas). «Li abbandoniamo a se stessi oppure cerchiamo di dare una risposta a questo gruppo e condividiamo con loro un percorso di regolarità?», si chiese in quei giorni don Colmegna. Evidentemente, la scelta è stata: andiamo avanti. Anche grazie al supporto del Ceas, un’associazione no profit diretta da Beppe Massari attiva nella cura e riabilitazione dei tossicodipendenti e degli emarginati, dove i rom vennero ospitati di giorno. Nei giorni successivi, siamo ancora a luglio, vi furono vari incontri con il comune e la provincia che sulla vicenda continuavano a farsi la guerra. L’amministrazione del capoluogo persisteva nella linea dura e sosteneva che una sistemazione andava trovata fuori dai suoi confini. La Provincia, invece, si proponeva nel ruolo di coordinamento e si dichiarava disponibile ad accollarsi i costi di costruzione e di gestione di un nuovo “campo della solidarietà”. Quindi, il 28 luglio la Casa della Carità promosse la nascita dell’associazione del “Villaggio solidale” per trovare una sistemazione definitiva ai rom. Tra i partecipanti, oltre al presidente della Provincia, Filippo Penati, vi sono anche personaggi noti come Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit e il patron dell’Inter Massimo Moratti. In quei giorni (la situazione alla Casa della Carità stava diventando insostenibile), si trovò anche un nuovo accordo per una altra sistemazione provvisoria. La Casa della Carità decise di tenere una ventina di persone, tra cui i disabili, un altro gruppetto di circa 20 persone si trasferì al Ceas e del resto se ne fece carico la Provincia che affittò per sei mesi quattro appartamenti più un locale in zona stazione Centrale, chiedendo a don Colmegna di prendersi la responsabilità della buona tenuta degli immobili. Da allora la situazione non è cambiata. «Siamo in attesa che la Provincia rispetti l’impegno che si è presa e individui un terreno dove sarà costruito il ‘Villaggio solidale’», dice Don Colmegna. Che intanto però non se ne sta con le mani in mano: «Stiamo lavorando con degli architetti per la progettazione del villaggio che nascerà su un’area di 1.500 metri quadrati, dovrà avere tutti gli allacciamenti e case prefabbricate per 70-80 persone. Ci saranno anche dei locali comuni perché per il popolo rom i momenti di vita comune sono molto importanti». Ma i diretti interessati che cosa pensano di questo progetto? «Ci piace - dice Aurelio, 34 anni, sposato con tre figli (una è Isabella), che è il portavoce del gruppo e di professione è violinista - siamo venuti qui in Italia per lavorare e per stare tranquilli con le nostre famiglie perché in Romania non riuscivamo a tirare avanti. Non siamo delinquenti».

Intanto Pisa va avanti con il progetto “Città Sottili” Nel 2002 l’amministrazione di Pisa prende una decisione: “Basta con i campi nomadi”. Ma, in questo caso, lo |

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Per sostenere il progetto di vita delle famiglie rom è stata anche siglata, nell’ambito del progetto fiorentino “Città sottili” una forma di microcredito sostenuta da Banca Etica.

sgombero graduale dei campi (finora quattro su cinque, dove in tutto vivevano 500 persone della ex Jugoslavia) va di pari passo con un programma a favore dei rom chiamato “Città sottili” (il nome è stato preso da un racconto di Italo Calvino), portato avanti insieme alla Azienda sanitaria locale, l’Arci e la Caritas. In che cosa consiste il progetto? «L’obiettivo è di dare ai rom una opportunità di reale integrazione – spiega Antonio Sconosciuto dell’Agenzia di programmazione Società della salute, che è il responsabile di “Città sottili” – quindi, alle famiglie viene data una casa e viene assegnato un educatore per aiutarli con la burocrazia, con la scuola e con la sanità». Un bilancio dei primi tre anni? «Siamo soddisfatti – continua Sconosciuto – a oggi

abbiamo sistemato in modo definitivo 216 persone, 53 famiglie e altre 20 provvisoriamente in prefabbricati. Ma a parte i numeri, il progetto è importante perché ci ha permesso di creare un contatto con la comunità rom». Problemi? «Nessuno di particolare gravità. Ci sono state delle questioni da risolvere nelle case popolari ma nulla di diverso di quello che succede con gli italiani», taglia corto Sconosciuto. E aggiunge: «Sui rom si dice di tutto e di più ma secondo me molte cose che si sentono sono opinabili. Pensi che in questi anni abbiamo avuto persone che ci chiamavano preoccupate perché il bambino non andava bene a scuola e noi che avevamo paura che cercassero di non mandarceli. Oppure persone che ci hanno chiesto se potevano fare un po’ di pulizie o cambiare le tende di casa perché erano un po’ vecchie». Tornando al progetto, ora sta terminando la prima fase e sta partendo la seconda con lo sgombero del campo Oratoio. Seconda fase che porta con sé una novità importante. «Nei primi giorni di settembre – spiega ancora Sconosciuto – abbiamo siglato una convenzione con Banca Etica per la concessione di microcrediti alle famiglie rom, anche perché ci siamo resi conto che ci sono molte più persone con lavoro fisso». I prestiti sono concessi purché servano a “migliorare la qualità della vita”. Sì, dunque, al finanziamento per l’acquisto di un motorino per andare a lavorare, per le spese della caparra necessaria per affittare un appartamento oppure da sostenere per cure dentarie. O ancora per riparare la caldaia rotta. No, invece, “ai debiti pre-

ECONOMIA DI UN POPOLO IN VIAGGIO (SENZA SUSSIDI)

ANTONIO MAROGNA

ANTONIO MAROGNA

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UNA VOLTA FACEVANO GLI ARROTINI, i fabbri ferrai, i venditori di stracci e di rottami, gli allevatori di cavalli. Portavano le giostre e i circhi in giro per l’Italia e si esibivano come musicisti, giocolieri, acrobati o predicevano il futuro con la chiromanzia. Attività tradizionali della cultura zingara che ora sono praticamente scomparse. Su che cosa si basa allora l’economia degli zingari in Italia? Su poco. «L’80% è disoccupato – dice Giorgio Bezzecchi, segretario nazionale dell’Opera Nomadi – un dato preoccupante che però va letto nel contesto della cultura rom. Per il rom il lavoro è un sacrificio che va fatto per vivere ma non per realizzarsi e comunque non deve rendere schiavi. Il centro della loro vita è la famiglia allargata, non il lavoro. Nella cultura rom, per esempio, è impensabile lavorare per 35 anni. Anche perché l’aspettativa di vita è bassissima, 45 anni, come in Bolivia, contro i 75 anni della media nazionale. Da questa visione derivano anche accattonaggio e devianze». Come sostiene la Lega Nord, è vero che lo stato interviene con sussidi o contributi? «Assolutamente no – dice Maurizio Pagani, vicepresidente dell’Opera Nomadi di Milano – la diceria messa in giro tempo fa dalla Lega si riferiva a poche centinaia di persone che erano scappate dalla guerra in Bosnia e dal Kosovo come rifugiati politici con il diritto a una prima assistenza per 40 giorni come qualsiasi altro rifugiato. Nulla di specifico a favore dei rom. Secondo noi c’è il problema opposto. Le famiglie rom italiane non hanno lo stesso trattamento degli altri nella fruizione delle misure di protezione sociale». Tornando, infine, alla minoranza che lavora, ci sono delle attività prevalenti? «No, ormai i rom fanno i lavori più disparati – spiega Bezzecchi - io, per esempio, faccio il ragioniere mentre mio fratello fa l’operaio. A Milano lavorano come mediatori culturali, ome giostrai , nell’edilizia e nei lavori stradali. Nel resto d’Italia mi vengono in mente diverse persone integrate che fanno professioni qualificate, come avvocati, docenti universitari, imprenditori e anche politici. Il nome più noto a parte Moira Orfei? Livio Togni, il senatore di Rifondazione comunista».

Villaggio solidale” sorgerà a Milano, una risposta contro le intolleranze estesa su 1.500 metri quadri già in progettazione. Gli architetti stanno progettando case prefabbricate per un’ottantina di persone.

gressi”. «Non è che se ho comprato uno schermo al plasma poi posso pensare di ripianare il debito con il prestito», chiarisce senza giri di parole Alberto Fantuzzo, responsabile marketing di Banca Etica. Il prestito concedibile, a tasso zero per il beneficiario, è compreso tra mille e 5mila euro. E si ripaga in rate mensili per un periodo che va dai 18 ai 36 mesi. Le spese di istruttoria sono pari a 25 euro. Cosa succede se il beneficiario non paga? «Faremo dei monitoraggi in modo da capire subito che cosa non va – dice Sconosciuto - comunque, l’eventuale fallimento lo copriamo noi». Qualche pratica già in corso? «Per ora sono tre. Nella prima fase contiamo di concedere tra i 10 e i 15 prestiti», conclude Fantuzzo.

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«Per questa società sono tutti criminali. E le favelas si tengono in vita per recuperare consensi» Duro atto d’accusa di Don Virgilio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano, che dallo scorso luglio affronta l’emergenza degli sgomberi.

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(2 OTTOBRE SCORSO, NDR) DUE ROM SONO MORTI in una baracca. Un fatto che magari scandalizza ancora l’opinione pubblica. Come scandalizza il dramma che si vive nei campi nomadi fuori controllo, dove succede di tutto. Poi però il problema non si affronta. Anzi, si preferisce tenerlo vivo per recuperare consensi». Qualche minuto fa don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano (un centro per senzatetto che accoglie a dormire e mangiare un centinaio di persone al giorno), ballava al ritmo della musica tzigana suonata dai ‘suoi rom’, alla festa organizzata al parco Lambro presso il Centro Ambrosiano di solidarietà. E non gli mancava certo la voglia di scherzare. Ora però è diventato serissimo. E in questa mezz’ora di intervista sulla sua esperienza con gli zingari il suo viso è sembrato via via sempre più stanco. «La situazione non è facile da gestire - dice Colmegna – nei confronti dei rom c’è un rifiuto esasperato. Per questa società mass-mediatica sono tutti criminali».

TAMATTINA

Don Colmegna facciamo un passo indietro: cosa si può fare oggi per i rom in Italia? «Innanzitutto, occorre una riflessione legislativa. I rom non possono rientrare nella legge Bossi-Fini perché sono un popolo del tutto particolare. Poi, bisogna avviare una riflessione seria, bisogna creare un luogo di comprensione e di informazione su di loro. L’altra cosa necessaria è fare con piccoli gruppi dei patti di legalità e per il lavoro. E per quanto riguarda i ragazzi puntare all’inserimento scolastico». In base la sua esperienza, qual è l’alternativa migliore al campo nomadi? «Non credo che ci sia una soluzione unica. La cosa migliore è quella di articolare progetti partendo dal contesto in cui ci si trova. Ed è fondamentale che si tratti di progetti di sviluppo e non assistenzialisti. Noi abbiamo pensato al Villaggio solidale, un luogo dove i ‘nostri’ rom possano vivere in modo decente, avere un minimo di sta-

bilità e di serenità. Ma non dico che questa sia la soluzione con la S maiuscola. E’ semplicemente un modo per affrontare il problema. Il punto è proprio quello: oggi non interessa affrontare il problema e risolverlo, ma tenerlo vivo, cosa che in politica permette di recuperare consensi». Si spieghi meglio ... «Guardi, la situazione è gravissima. Il flusso dei rom dalla Romania sarà sempre più forte perché là non riescono a tirare avanti. Se l’unica risposta diventa quella dell’emarginazione e della marginalizzazione nei campi allora diventa un dramma, perché si spingono tutti verso la criminalità e la precarietà. E soprattutto per i giovani, i più esposti alla fragilità del sistema, c’è il rischio della droga». Ma i rom vogliono integrarsi? «A me la parola integrazione non piace. Dalla mia esperienza posso |

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LIBERTÀ Noi zingari abbiamo una sola religione: la libertà. In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza e alla gloria. Viviamo ogni giorno come fosse l'ultimo. Quando si muore si lascia tutto: un miserabile carrozzone come un grande impero. E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati zingari che re. Noi non pensiamo alla morte. Noi la temiamo, ecco tutto. Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare: una mattina di sole, un bagno nella sorgente, lo sguardo di qualcuno che ci ama. È difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce. Ci piace camminare sotto le stelle. Si raccontano strane storie sugli zingari. Si dice che leggano l'avvenire nelle stelle e che possiedano il filtro dell'amore. La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi. Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose [in cui crediamo. La nostra è una vita semplice, primitiva. Ci basta avere per tetto il cielo, un fuoco per scaldarci e le nostre canzoni, [quando siamo tristi. poeta zingaro

| SA8000 | economiasolidale | dire che i rom vogliono vivere. Loro devono salvaguardare il loro modo d’essere che però, a differenza di quanto comunemente si pensa, non è incompatibile con le nostre regole sociali». Che cosa mi dice allora dei bambini mandati a domandare l’elemosina e degli episodi di criminalità di cui si legge sui giornali? «Dico che bisogna collaborare con loro e mettere dei paletti. Uno è proprio quello: i bambini non devono chiedere l’elemosina. Noi l’abbiamo fatto con il nostro gruppo, qualcuno ha tentato di far finta di niente ma ce ne siamo accorti e hanno smesso. Ora riconoscono che è un valore. Un altro paletto che abbiamo imposto è quello della scuola. I rom non devono essere bollati come ignoranti. I bambini del nostro gruppo vanno tutti a scuola e le donne andranno alle scuole serali per imparare l’italiano. Abbiamo ottenuto anche dei risultati straordinari per il lavoro». Quali? «Molti rom hanno una forte tradizione musicale e così li abbiamo spinti a costituire un vero e proprio gruppo musicale, la ‘band del Villaggio solidale’, trasformando un’attività di carattere ‘elemosiniero’ in un’attività professionale. Stiamo anche producendo un cdrom. Alcune donne del gruppo, invece, hanno iniziato a lavorare e per loro si sta pensando a un laboratorio di sartoria». Gli zingari sono sporchi e rapiscono i bambini. Uno stereotipo duro a morire? «No, si può vincere. E lo si fa portandoli in mezzo a noi. Restituendo dignità alla cultura rom. E facendo informazione». (guarda fuori dalla finestra verso la festa) Bene, grazie (si alza, porge la mano .... e la faccia stanca si apre in un sorriso).

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Dimmi la tua certificazione e ti dirò chi sei e qual è la tua rispettabilità Viaggio nel mondo degli standard aziendali di qualità, di responsabilità etica ed ambientale. Significati e controlli complessi racchiusi in semplici acronimi. Ma è davvero tutto così chiaro? Cerchiamo di capire attraverso un caso esemplare: quello della Regione Toscana e il boom di SA8000. SO, SAI, EMAS, UNI, l’ultima nata è SA8000, la garanzia di Social Accountability (Responsabilità Sociale) in cui per la prima volta l’orientamento dello standard viene rivolto all’investitore e al cliente. La certificazione SA8000 su tutta la filiera produttiva norma la redi Micol Carmignani sponsabilità sociale delle imprese e riconosce il valore di uno standard di eticità nel business. Nel 1997 il CEP fonda il Social Accountability International, organismo privato no profit preposto al monitoraggio di SA8000. Questo standard internazionale controlla e certifica i requisiti per un comportamento eticamente corretto delle imprese, della filiera e del ciclo produttivo nei confronti dei lavoratori. I diritti presi per riferimento sono quelli delle convenzioni ILO (International Labour Organisation), congiuntamente con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Bambino e quella per eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne. Nove sono i requisiti sociali contenuti da SA8000, e toccano gli ambiti del lavoro infantile e quello obbligato, della salute e sicurezza sul posto di lavoro, la libertà d’associazione ed il diritto alla contrattazione collettiva, le procedure disciplinari, l’orario di lavoro, la remunerazione ed i sistemi di gestione etici. L’azienda deve osservare le leggi nazionali e vigenti. La certificazione, con le periodiche verifiche, resta valida per tre anni e pone nei meccanismi del business, nel concetto stesso di competitività, il tema della tutela dei lavoratori come esseri umani. Il vero centro della certificazione resta l’assenso di investitori e clienti, degli stakeholders come vengono chiamati i soggetti esterni al business.

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Il caso tutto particolare della Toscana Vi sono oltre seicento organizzazioni certificate nel mondo, 193 delle quali sono italiane. Osservando la distribuzione delle certificazioni sulla nostra penisola emerge un gap di quasi trenta punti percentuali tra la Regione con più aziende certificate e la seconda della graduatoria. Il 40% delle aziende che hanno adottato SA8000 è concentrato in Toscana, l’11% in Emilia Romagna, il 9 % infine in Lombardia. Un pri-

mato riconducibile all’azione dell’amministrazione della Regione. Nel 2001, sotto la direzione dell’assessorato alle Attività Produttive, la Regione Toscana ha avviato per prima fra tutte le amministrazioni europee, un processo di cooperazione con la realtà produttiva locale ed il territorio, promuovendo lo standard etico internazionale SA8000. Nel 2003 è nata la Commissione Etica Regionale Toscana per la Responsabilità Sociale delle Imprese che ha collaborato alla realizzazione del secondo convegno di Fabrica Ethica. «Oltre allo stimolo per coltivare le politiche sociali, i vantaggi competitivi per le aziende saranno visibili e stabili nel tempo», sostiene Fabrizia Paloscia coordinatrice del progetto Fabrica Ethica, «per questo la Regione ha stabilito una serie di agevolazioni cui si può accedere se si possiede la certificazione SA8000, dalla riduzione dello 0,5% dell’IRAP a punteggi aggiuntivi nell’esame delle pratiche di finanziamento per i contributi di investimento (come quelli richiesti per innovazione, macchinari, ed altro)». La Regione Toscana contribuisce per il 50% dei costi sostenuti per l’ottenimento della certificazione. I fondi stanziati nel periodo 2001-2005 per le migliorie finalizzate alla certificazione ammontano a 35 milioni di euro, derivanti in parte dai fondi comunitari, mentre 1,5 milioni di Euro sono la cifra stanziata dalla Regione. L’adesione diffusa alla SA8000 secondo Franco Gesualdi, del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano, conferma che per molte aziende si tratta di acquisire un valore aggiunto, di rilanciare le attività economiche attraverso la via etica. A suffragare questa ipotesi, le numerose iniziative di marketing territoriale intraprese in Toscana. Orientandosi alla nuova imprenditoria nelle aree dette greenfield, il territorio diventa «una riserva di risorse ed opportunità, su cui far leva per trasformarlo in un bacino di accoglienza di idee e di capitali provenienti da ogni parte del mondo». In questo filone si inserisce, per esempio, il film “Tuscany Dream”, a cura di Toscana Produzione, che verrà trasmesso nel 2006 sulla principale rete televisiva cinese, la CCTV. Il film, che mostrerà la vita ed i sani principi che si perpetuano ancora oggi nella terra del Magnifico Lorenzo, è stato inserito nei progetti di promozione e sviluppo economico della Regione.

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La sfida di Ecor: esplicitare il giusto prezzo dei prodotti bio Per ognuno dei prodotti nel punto vendita sono a disposizione schede che riportano cinque tipi di informazioni: la denominazione, l’azienda produttrice, la storia, la qualità nutrizionale, il prezzo.

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NA BELLA SFIDA. Sia nei confronti dei consumatori fina-

li, sia verso i clienti. «L’obiettivo è quello di fare informazione e formazione - spiega Fabio Brescaccin, amministratore delegato di Ecor, la più importante azienda italiana di Davide Venezia di distribuzione di prodotti biologici con 3100 referenze a catalogo e oltre 54 milioni di euro di fatturato - di fronte al dibattito che si è aperto sul tema dei prezzi e della remunerazione dei produttori. Il rischio, soprattutto per chi come noi ha privilegiato la qualità alla quantità, è quello di non riuscire a fare chiarezza. Per questo abbiamo lanciato il Progetto Trasparenza: vogliamo che il consumatore finale venga messo nelle condizioni di capire quanto viene pagato al produttore, al distributore e al negoziante ma anche il lavoro che viene svolto. Noi, che tra l’altro destiniamo la maggior parte degli utili di Ecor alle finalità sociali, non facciamo gli intermediari ma puntiamo a sviluppare un progetto che possa far crescere l’agricoltura biologica e biodinamica come modello sociale e culturale. Anche per questo il Progetto Trasparenza ha una dimensione di informazione oltre il prezzo, per dare al consumatore gli strumenti per conoscere veramente il prodotto e gli uomini che ci stanno intorno». Partito nel gennaio 2005, il Progetto Trasparenza all’inizio ha riguardato una gamma ristretta di prodotti, gradualmente aumentata a 126 e destinata ancora a crescere. Per ognuno dei prodotti nel punto vendita sono a disposizione schede informative che riportano cinque tipi di informazioni: la denominazione, l’azienda produttrice, la storia, la qualità nutrizionale, il prezzo. In ogni prodotto inoltre, il cartellino che lo accompagna non riporta solo il prezzo di vendita, ma anche il numero che identifica la scheda di approfondimento relativa. Tutto questo si traduce anche in un effettivo risparmio per il consumatore: i prodotti compresi nel Progetto Trasparenza non sono soggetti a promozioni e mantengono per tutto l'anno un prezzo ribassato in media del 13,6% rispetto all'anno precedente. «Soprattutto negli ultimi tempi il consumatore è letteralmente bombardato di promozioni - continua Brescaccin - e non sa che quelle inizia-

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tive di marketing finisce per ripagarle, senza accorgersene, in un incremento dei costi di tutti gli altri prodotti». Per il 2006 si prevede un forte ampliamento del progetto, rendendo trasparenti i prezzi e le caratteristiche di alcuni tra i prodotti preferiti dai clienti di Ecor. Un modo per far risparmiare e per informare proprio su alimenti quotidiani che fanno parte del paniere del consumatore. Il Progetto Trasparenza apre quindi alla conoscenza della storia di ciascun prodotto, dalla selezione del seme alla pianta, all’eventuale trasformazione e distribuzione, rendendo così accessibili le informazioni che sono parte integrante della sua qualità. La scheda riporta la sede dell’azienda, la sua nascita e il tipo di produzioni alle quali si dedica, nonché i nomi dei proprietari (se a conduzione familiare). La carta d'identità è completata dalle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche dell’alimento, per aiutare il consumatore a compiere scelte a favore della propria salute e della qualità della propria vita. Un testo dal linguaggio chiaro spiega quali sono gli ingredienti utilizzati, le modalità di lavorazione e di confezionamento. Attraverso la comunicazione del Prezzo trasparente, il consumatore può verificare che a tutti gli operatori economici della filiera sia garantita una giusta remunerazione, senza provocare impatti negativi sulla vita delle persone e della natura. Le schede che accompagnano il prodotto forniscono così una piena informazione sui termini economici e sociali che accompagnano lo scambio, rendendo espliciti i passaggi che portano alla formazione del prezzo finale. Vengono riportati il prezzo che viene dato al produttore, i costi di lavorazione e confezionamento, i costi di distribuzione, il prezzo al punto vendita e l’Iva. A questo si aggiunge la descrizione di altri fattori come, ad esempio, il costo delle materie prime. «Non è stato facile far capire a tutti i negozi che serviamo il significato di questa iniziativa - conclude l’amministratore delegato di Ecor - ma dopo un iniziale titubanza abbiamo registrato una buona adesione. Speriamo di poter continuare anche con l’appoggio dei consumatori che siamo certi possano essere interessati a capire non solo il prezzo in sè ma il giusto valore di ogni prodotto e dei suoi protagonisti».

Tra i rischi indiretti, quello di contatto con sostanze nocive. Umberto Favero, dirigente dei Cantieri navali Breda a Marghera è morto per la contaminazione da amianto.

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> Lavoro

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Microcredito

In Puglia funziona davvero di Mauro Meggiolaro

INERVINO MURGE. Un presepe di case bianche sulle colline a nord di Bari. 25.000 abitanti negli anni cinquanta, meno di 10.000 oggi. Tutto attorno l’Alta Murgia, un altopiano calcareo, quasi desertico, una steppa ricoperta di pietre. Tre quarti degli abitanti sono finiti al nord a cercare lavoro. Chi è rimasto vive di commercio, lavora nel settore pubblico oppure fa il pendolare con i centri vicini. La disoccupazione è elevata e la piccola criminalità un problema. Sembra l’introduzione di uno dei tanti rapporti rassegnati sullo stato del meridione. E invece per una volta non è così. Perché a Minervino - e negli altri comuni della Diocesi di Andria - dalla fine del 2003 si dà “credito alla speranza”. Chi vuole avviare nuove attività imprenditoriali sul territorio può accedere a piccoli prestiti fino a un massimo di 5.000 euro, senza che gli sia richiesta alcuna garanzia. L’iniziativa si chiama Progetto Barnaba ed è stata lanciata dalla Caritas in collaborazione con Banca Etica. La Caritas seleziona i progetti da finanziare, Banca Etica istruisce le pratiche e concede il prestito. «Lo scopo primario è la creazione di occupazione, soprattutto tra i giovani», spiega don Mimmo Francavilla, direttore della Caritas di Andria e parroco a Minervino. Obiettivo già raggiunto in almeno otto casi. Grazie al microcredito Gianluca ha aperto una tappezzeria, Alessandro un’agenzia immobiliare, Angela una scuola di moda, Francesco e Rachele un negozio di frutta e verdura mentre Antonio si è messo a fare il venditore ambulante. Lucia ha rilanciato Cromolife, un laboratorio che realizza vetrate artistiche e lampade e Rossana Un accordo tra Caritas ha dato vita con altri due soci alla cooperativa L’Albero, che offre di Andria e Banca Etica servizi di educazione, animazione, musicoterapica e assistenza ha permesso l’erogazione di «crediti di speranza» senza per gli anziani. «Non c’è neanche passato per la testa di rivolgerci garanzie. Ora, i primi frutti alle banche tradizionali», racconta Rossana, 31 anni, commercialista e dottore di ricerca in geografia economica. «Chi mai avrebbe potuto finanziare un’impresa sociale appena avviata, con tante idee ma nessuna garanzia?». Prima di ottenere il finanziamento i candidati seguono un percorso di formazione. In corsi intensivi, organizzati nei fine settimana, imparano a fare un business plan, ad aprire una partita IVA, ad assumere e gestire eventuali collaboratori. Alla fine del percorso i progetti devono superare un esame socio-ambientale. Tra i criteri positivi di selezione ci sono la riduzione degli impatti ambientali, la tutela del territorio, il recupero delle tradizioni, il consumo responsabile e l’accesso al lavoro da parte di soggetti svantaggiati. La decisione finale spetta a una commissione composta da otto membri: don Mimmo e altri due religiosi, un avvocato, un consulente, una commercialista, una psicologa e tre animatori di comunità. «La vera forza del Progetto Barnaba è la rete di persone che siamo riusciti a coinvolgere» – dice don Francavilla - «i giovani finanziati sono costantemente seguiti, se ci sono dei problemi nella restituzione dei prestiti si attivano le parrocchie, si studiano insieme possibili alternative». E se il credito non dovesse essere restituito? La garanzia in realtà c’è. La fornisce per metà la Caritas e per metà chi compra i fondi di investimento Valori Responsabili di Etica Sgr - società di gestione del risparmio di Banca Etica. Un euro ogni mille investiti nei fondi viene depositato in un fondo di garanzia per progetti di microcredito in Italia. Un piccolo contributo, che può aiutare a realizzare grandi idee.

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DIARIO

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economiaefinanza

UN DEBITO DEI PAESI POVERI DA CANCELLARE NELL’ANALISI DI NOREENA HERTZ

LA PACIFICA RIVOLUZIONE DEL MICRO CREDITO

COMUNICARE DAL 1844 ALL’ERA DI INTERNET

L’IDEOLOGIA CELATA DEGLI ECONOMISTI E LA RAGIONE

IL GOVERNO D’IMPRESA IN UNA GUIDA CRITICA

ECOLOGICI E COMPATIBILI PER IL FUTURO

Il 2 giugno 2005 tre miliardi di persone in nove Paesi hanno assistito a Live 8, evento musicale mondiale a sostegno delle battaglie contro la povertà e a favore dell’estinzione del debito dei Paesi del Terzo mondo. Malgrado le ormai evidenti perplessità legate agli eventi mediatici di questa natura, che producono un indotto eccezionale per le major e per gli artisti e sono di fatto degli enormi spot pubblicitari, il fenomeno evidenzia la crescente attenzione dei giovani e giovanissimi per tematiche etiche legate all’equità dello sviluppo. Il volume di Noreena Hertz racconta la storia e spiega il funzionamento del perverso ingranaggio economico che stritola i Paesi poveri e condiziona i Paesi ricchi. Insegnante al Centre of International Business and Management di Cambridge, Noreena Hertz è conseiderata tra le principali figure di analisti sul tema delle conseguenza della globalizzazione economica. Un testo accessibile, a tratti retorico nella forma espressiva, che ha il pregio di introdurre ad una materia complessa come quella della riduzione del debito. Come scrive l’autrice, «non sono forse tutti indebitati, i paesi del mondo? Sicuramente lo sono gli Stati Uniti, il cui debito ammonta a tremila miliardi di dollari, dieci volte quello dell’America ma sono riusciti a onorare il loro debito. In America, Asia e America Latina, invece, i paesi più poveri non ce la fanno. I bambini in America muoiono ogni giorno perché i loro governi spendono più denaro per servire il debito di quanto ne spendano nella sanità o nell'educazione».

«Da tempo sostengo che il credito dovrebbe rientrare tra i diritti umani. Si dovrebbero creare istituzioni per garantire il credito a tutti coloro che sono respinti dalle istituzioni finanziarie esistenti». Muhammad Yunus, è stato tra gli ispiratori di Maria Nowak, fondatrice dell’Associazione per il diritto all’iniziativa dei poveri. Il volume, edito da Einaudi, spiega come secondo l’autrice, «è urgente democratizzare la finanza: non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche in Europa, dove il crescente ricorso al lavoro precario rende l’accesso al credito sempre più problematico. Tra il liberismo selvaggio e le declinanti politiche di welfare, la microfinanza può, invece, giocare un ruolo importante riconciliando la logica del profitto con quella dell’interesse comune. Il microcredito (che ha sottratto negli ultimi decenni più di 60 milioni di persone nel mondo dallo stato di povertà) costituisce cosi una valida terza via, permettendo agli esclusi di diventare creatori in proprio di ricchezza».

Dal 1844 ogni ente governativo, ogni azienda ed ogni persona possono trasmettere i propri messaggi utilizzando un sistema pubblico. Il testo di Hugill racconta questa grande trasformazione del tessuto economico, politico e militare internazionale, seguendo nei dettagli il progredire dell’innovazione tecnologica e il ruolo che le diverse tecnologie hanno giocato nelle dinamiche politiche mondiali. L’idea di fondo è che la storia dell’umanità sia stata soggetta a interessanti regolarità nelle trasformazioni del sistema economico e politico mondiale e che tali regolarità siano state in qualche modo controllate dalle tecnologie legate al movimento di idee, merci, persone e informazioni. L’arco di tempo prescelto coincide con quello della mercificazione dell’informazione e del suo porsi al servizio della società e degli stati, arco di tempo durante il quale Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti si confrontano sulla scena mondiale per il dominio economico del globo. Fino all’era di Internet...

L’approccio è di tipo razionalista: tramontato il primato della politica e superate storicamente le ideologie, in un contesto di generale disincanto resta il mito dell’Economia e del libero mercato cui contrapporre il diritto all’analisi. Secondo Bernard Maris, l’economia si è trasformata in una sorta di ideologia indiscutibile come se, scrive l’autore «il costo della vita, la precarietà del lavoro, l’esosità degli affitti, la caduta libera degli stipendi» potessero essere solo oggetto di sterile invettiva e rassegnazione. Occorre invece secondo Maris armarsi “di spirito illuminista e confutare le pseudo leggi che gli economisti, per dissimulare il contenuto ideologico delle proprie teorie rendendole incomprensibili ai più, hanno avvolto in una fitta coltre i equazioni e formule matematiche». Secondo l’autore spesso gli economisti “non sanno”, intenti come sono a compiacere i potenti per riperpetuare sistemi esistenti mentre lasciano credere di avere a cuore il benessere di tutti.

«Un modello di governance allargata dell’impresa, in base al quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri fiduciari nei riguardi, in generale, di tutti gli stakeholder». Partendo da questa nuova concezione di impresa suggerita dal modello CSR, il volume ne approfondisce le possibilità di sviluppo e attuazione nei vari campi e nelle diverse prospettive disciplinari, proponendo un approccio organico alla materia grazie al contributo di diversi esperti in campo giuridico, sociologico, economico e aziendale. Composto di otto ampie sezioni, il volume vuole rispondere agli interrogativi sulla responsabilità sociale d’impresa come fattore di sviluppo per la competitività delle imprese e dei singoli Paesi, con un coinvolgimento della società civile per un obiettivo condiviso di sviluppo sostenibile.

La proposta del “Fattore 4” era stata avanzata già nel 1997 dai ricercatori del Wuppertal Institut. L’ipotesi di raddoppiare la ricchezza dimezzando il consumo delle risorse era apparsa ai limiti del credibile. Eppure oggi viene discussa come un possibile e concreto obiettivo, sul quale misurare un’applicazione reale. «In molti settori dell’economia si è dimostrato che in pochi anni è possibile migliorare l’efficienza dei processi produttivi proponendo al mercato prodotti che implicano minori costi per l’utente finale, minore generazione di rifiuti e minori ineri per la collettività» scrivono gli autori del volume, Raimond Bleischwitz e Peter Hennicke. Uno degli strumenti di base di questo processo, analizzato nel volume, è l'analisi dei flussi di materiale e lo studio dei relativi indicatori. Favorendo la decisionalità e lo sviluppo, è una delle chiavi per il concreto sviluppo di una economia sostenibile che assuma in sé anche il concetto di ecoefficienza ed equità sociale.

UNA BREVE ANALISI DELL’ANIMA E DELLA POLITICA TEDESCA ATTRAVERSO LE PAROLE

BERNARD MARIS ANTIMANUALE DI ECONOMIA

R. BLEISCHWITZ, P. HENNICKE ECONOMIA LEGGERA

FRANCESCA PREDAZZI, VANNA VANNUCCINI PICCOLO VIAGGIO NELL’ANIMA TEDESCA

ULRICH DUCHROW ALTERNATIVE AL CAPITALISMO GLOBALE

Marco Tropea, 2004

Edizioni Ambiente, 2005

Feltrinelli, 2005

Emi, 2005

MARIA NOWAK NON SI PRESTA SOLO AI RICCHI

NOREENA HERTZ UN PIANETA IN DEBITO

Einaudi, 2005

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PETER J. HUGILL LA COMUNICAZIONE MONDIALE DAL 1844 AD OGGI

Feltrinelli, 2005

LORENZO SACCONI GUIDA CRITICA ALLA RESPONSABILITÀ SOCIALE

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PROPOSTE DI ECONOMIA ETICA DALLA BIBBIA

Per oltre ottanta milioni di europei è una esperienza quotidiana. Spesso un sottile ostacolo nei rapporti con il mondo che si apre oltre confine. Non è solo un problema di lingua, è una questione di cultura. Difficile capire la Germania e il suo rifiuto della guerra in Iraq, le elezioni in Austria o i misteri di Zurigo senza legare quanto accade alla loro lingua. Il volume che pubblica Feltrinelli vuole essere una guida per capire la mentalità tedesca. Per entrare nella chiave dell’anima di una cultura in grado di stupire e affascinare, il volume analizza l’importanza di alcuni termini chiave rispetto a noti personaggi della recente storia tedesca come Willy Brandt, Marlene Dietricht, Günter Grass, Heinrich Böll, Christa Wolf, Hans Magnus Enzensberger, Helmut Kohl, Edmund Stoiber sono alcuni dei personaggi di questa analisi di vent’anni di Germania. «Quanta importanza ha avuto per Kohl il concetto di “amicizia virile” (Männerfreundschaft) quando ha stretto la mano di Mitterand a Verdun o quando ha indossato lo stesso cardigan blu di Gorbaciov, nel Caucaso? Perché Germania Est e Germania Ovest restano due mondi distinti?». Un testo di piacevole lettura e di grande fascino, adatto anche ai molti che non vorranno mai studiare la lingua tedesca ma avvertono l’importanza di approfondire la conoscenza di questa cultura.

Bancaria editrice, 2005

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Un professore di teologia dell’università di Heidelberg ricerca nella Bibbia la chiave di lettura per un’innovativa azione contro la povertà e il degrado ambientale. Il testo, pubblicato per la prima volta nel 1995 e aggiornato con edizioni successive, ha conosciuto un grande successo internazionale con traduzioni in numerose lingue. Emi lo ha pubblicato in Italia con una aggiornata prefazione. «Le strutture dell’attuale ordine economico mondiale, per quanto forti e distruttive, sono costruzioni umane: possono e devono essere cambiate secondo i principi di una giustizia che protegga e promuova la vita di tutti gli esseri umani e l’integrità del creato». Secondo il teologo, membro del gruppo Kairos Europa, la visione cristiana della “Salvezza” è leggibile come lo sviluppo di “economie per la vita” che mettano al centro dello sviluppo il progresso dell’uomo attraverso la creazione di una economia alternativa su piccola scala, artefice di una effettiva democratizzazione dei rapporti sociali e dell'economia a tutti i livelli.

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narrativa

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QUINDICI RACCONTI SULLE FORME DELL’AMORE

I PERICOLOSI DESIDERI CHE FANNO SOFFRIRE

Quindici piccoli romanzi sulle forme dell’amore, e su come esso si manifesta in modo inaspettato. C’è l’amore nascosto nel presagio, come accade nella storia che dà il titolo al volume. C’è anche l’amore cercato con le fatture, e quello consumato dalle abitudini di coppia che spinge un coniuge al tradimento. C’è l’amore infelice per cui si muore. Sullo sfondo Napoli e i Campi Flegrei. «Di notte, a Napoli, si vive come in un orologio scassato. I quadranti fanno girare le lancette e ogni quadrante ha un fuso diverso. Voi guardate Napoli dall’alto, poniamo dalle Rampe di Sant'Antonio, e vedete una città cubista. Non nel senso che tutti stanno sul cubo, intendiamoci. Perché poi nelle discoteche si entra sempre più tardi, ci si muove passata mezzanotte e sul cubo ci stanno le stesse squinziette del resto d’Italia, tutte frangette e labbroni. No, il fatto è che proprio ogni quartiere, ogni frazione di strada, si muove di notte con una velocità diversa, brilla di colori differenti e ha un suo speciale livello di rumore».

«Stai bene attento a quello che desideri. Lo dico per esperienza. I desideri sono cose brutali, che non perdonano. Ti bruciano la lingua nell’istante in cui vengono pronunciati e non puoi più ritrattarli». A otto anni la protagonista del romanzo ha espresso un desiderio terribile. E questo si è avverato, con conseguenze disastrose. Presa coscienza del suo terrificante potere, la protagonista capisce di essere un pericolo per gli altri e decide di fuggire da tutto e da tutti. Trova lavoro in una piccola biblioteca di periferia e ne fa la sua tana. Morendo un po’ per volta, in preda a deliri di morte e paranoia. Finché un giorno non rimane vittima di un suo stesso desiderio disperato, mortale: è colpita da un fulmine. Ma questo non la uccide. Anzi, le cambia la vita per sempre. Alice Hoffman è considerata una delle più importanti scrittrici contemporanee americane. Oggi vive a Boston. Da un suo libro è stato tratto il film Amori e incantesimi, con Sandra Bullock e Nicole Kidman. ALICE HOFFMAN LA REGINA DI GHIACCIO

ANTONELLA CILENTO L’AMORE, QUELLO VERO

UNA IDEA DI UMANITÀ E GIUSTIZIA NEL VOLUME DEL GIUDICE SPAGNOLO BALTASAR GARZÓN Un giudice coraggioso, che ha indagato su molti misteri internazionali, scrive un messaggio ai suoi tre figli e ai loro coetanei per affidare loro un sogno: quello di una umanità restituita alla dignità e alla giustizia. Garzón ci parla della sua infanzia nell’Andalusia contadina e di uno zio che gli raccontò della guerra civile, delle ingiustizie e delle sofferenze, storie che si impressero nella sua memoria di bambino e che determinarono la sua scelta. Poi gli studi a Siviglia, la dittatura franchista e la partecipazione alle lotte studentesche. L’autore descrive il mondo di oggi attraverso i grandi fatti di cui è stato protagonista, con critiche, riflessioni e proposte sulle difficili questioni della legalità nel mondo: su tutte, quella delle Corti Penali Internazionali per giudicare i crimini di guerra, mai riconosciute dagli Stati Uniti che non accettano alcun limite legale alla loro politica estera. Su tutto ciò Garzón è chiaro e non teme di schierarsi contro i poteri forti. Critica pesantemente l’amministrazione Bush per la guerra illegale in Iraq), per l’uso della tortura ad Abu Graib e per la violazione dei diritti umani di Guantanamo. Racconta le azioni giudiziarie che l'hanno reso oggi un giudice molto noto: dall’arresto di Pinochet alla lotta contro il terrorismo basco, dal processo a Berlusconi alle indagini attuali sul terrorismo di matrice islamica.

Fazi, 2005

Guanda, 2005

BALTASAR GARZON UN MONDO SENZA PAURA

Baldini Castoldi Dalai, 2005 | 68 | valori |

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PIETRO , TREDICI ANNI, CHE SCRIVE A MARIANNA

LE FIABE DI CARLO MOLLINO PER I GRANDI

Paolo di Stefano, giornalista e scrittore, pubblica con Feltrinelli “Aiutami Tu”, storia di Pietro, tredici anni che scrive a Marianna e la chiama con mille nomi diversi. Marianna, presenza sfuggente, è il suo unico interlocutore. Pietro scrive. Ha bisogno di raccontare, di evocare desideri, di squadernare misteri, di dare una forma al caos della sua vita famigliare. Pietro e la sorellina, altrimenti chiamata “la mocciosa”, sono in balia dei genitori che si detestano e di una coppia di anziani baciapile, i Nespola, ai quali spesso vengono affidati. Vicini di casa e legati alla madre da un oscuro legame di dipendenza, i Nespola e i loro cibi ributtanti, tramano e sparlano del padre. Pietro e la sorellina capiscono che se l’ostilità fra i genitori diventa sempre più profonda è anche perché l’intrusione dei Nespola si fa sempre più minacciosa. Pietro addensa intorno a questa minaccia cupe fantasie di terroristi, di rapimenti, di delitti. Pietro vuole una vita normale. La vuole per sé e per la “mocciosa”. Vuole giustizia. E per avere giustizia, è pronto a tutto.

Le sue immagini polaroid, con le tonalità pastello e la tinta soffusa, spesso compaiono su riviste estere che si occupano di nuove tendenze. Per l’architetto Carlo Mollino è uno fra i numerosi segni di un riconoscimento che si rinnova della sua ricerca espressiva, che ha affiancato alla sua professione di architetto di fama internazionale anche lo sviluppo della la fotografia con pioneristiche visioni espressive. Nel 1949 pubblicava un monumentale “Messaggio dalla Camera Oscura” di 445 pagine in grande formato. I suoi mobili sono oggi esposti nelle collezioni di tutto il mondo. “Fiabe per i Grandi” riprende il titolo di una celebre, enigmatica fotografia scattata dall’architetto nel 1936. Con altre ottanta immagini stampate in duotone costituisce la prima pubblicazione del corpo fotografico prodotto dall’autore sul finire degli anni trenta. Sono preziosi ritratti e rari interni con riflessi surreali colti dall’occhio del proprio creatore, fotografie che personalmente stampa, ritaglia, ruota e ritocca per renderci in bellezza il suo intimo mondo ricreato.

PAOLO DI STEFANO AIUTAMI TU

Feltrinelli, 2005

CARLO MOLLINO FIABE PER I GRANDI

Federico Motta Editore, 2004

NEL LABIRINTO DELLE CITTÀ LO SGUARDO SULLA CITTÀ DIFFUSA «Vedo la città come un grande corpo che respira, un corpo in crescita, in trasformazione, e mi interessa coglierne i segni, osservarne la forma, come un medico che indaga le modificazioni del corpo umano». Gabriele Basilico, formatosi con studi di architettura e divenuto uno dei più celebri fotografi documentaristi, dedica la sua più recente ricerca alla “città diffusa” delle periferie urbane dove «la qualità dell’ambiente si diluisce fino a smarrirsi. L’autore propone, con il suo classico utilizzo del bianco e nero, un viaggio nel paesaggio contemporaneo mostrando le assonanze tra gli elementi che compongono città geograficamente distanti ma in cui il corpo urbano, cresciuto a dismisura, recupera una propria personalità. Emerge un tratto caratteristico dell’evoluzione urbana degli ultimi decenni del secolo, il progressivo superamento della separazione tra il labirinto urbano e la periferia. Celebre per le sue immagini in grande formato di Beirut distrutta dalla guerra («Era una specie di cimitero imponente, si percepiva un’incredibile densità dell’aria. Questo ha creato un doppio sentimento, da una parte un po’ di paura, dall’altra di eccitazione. Credo che la fotografia si muova sempre intorno a questi due elementi»), che lo hanno consacrato tra i grandi fotografi, Gabriele Basilico prosegue ora con la pubblicazione di “Scattered city” una raffinata ricerca sulla trasformazione del paesaggio urbano.

fotografia

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EMERGENCY E IL VERO VOLTO DELLA GUERRA

GLI ISLAM NEL MONDO VISTI DA ABBAS

Emergency è una associazione nata per portare assistenza medico-chirurgica alle vittime dei conflitti armati. Tra i suoi compiti vi è dare attuazione ai diritti umani per chi soffre le conseguenze sociali di guerre, fame, povertà, emarginazione. Afghanistan, Cambogia, Iraq, Sierra Leone, Sudan, Palestina, Algeria. Sempre in prima linea, nei teatri di guerra più cruenti e dimenticati. È in questo contesto di guerra che opera Emergency, in uno sforzo continuo per portare aiuto concreto alle vittime civili dei conflitti armati e delle loro conseguenze a lungo termine. «Non basta dichiarare ufficialmente la fine della guerra per avere la pace» spiegano gli autori del volume, che documenta con una nutrita sezione fotografica il lavoro dell’associazione. Un lavoro quotidiano, umile e prezioso, testimoniato dalle centinaia di fotografie raccolte nel volume. Le immagini, accompagnate dalle parole dei grandi poeti e pensatori di ogni tempo, raccontano la vita di ogni giorno, il dolore e la speranza, in alcuni dei luoghi più tormentati della Terra.

Fotografo di origine iraniane, Abbas è tra i membri dell’agenza Magnum. Dagli anni settanta ha iniziato un lavoro di documentazione dei movimenti politici del Terzo Mondo, con reportage in Biafra, Bangladesh, Vietnam, Africa del Sud, Medio-Oriente. La sua ricerca sui volti contemporanei dell’Islam ha preso avvio nel 1987. Abbas è riuscito ad individuare le contraddizioni tra il rigurgito di un movimento politico ispirato ad un passato mitico e il desiderio universale per la modernità e la democrazia. Dal Mali alla Cina orientale, dall’Uzbekistan all’Indonesia, dal Marocco al Pakistan alle periferie delle metropoli europee la diffusione dell’Islam nelle sue diverse culture e ritualità viene documentata, con grande curiosità. Dalle moschee alle comunità Sufi diffuse in Occidente, la ricerca di Abbas offre immagini che condensano con rara efficacia le differenti anime dell’Islam. Il fotografo è autore anche di una articolata ricerca sull’Islam in Iran, che gli è valsa numerosi riconoscimenti ed è ora parte del complesso lavoro sugli Islam del mondo.

A RICERCA

ABBAS ISLAM DEL MONDO

GABRIELE BASILICO SCATTERED CITY

EMERGENCY E

Baldini Castoldi Dalai, 2005

Mondadori, 2005

A RICERCA Contrasto, 2002

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I MILLE FRUTTI DEL RISPARMIO SOLIDALE

contrasto

Un cd rom multimediale per ragazzi e adulti che vogliano condividere, accanto alla possibilità di disegni, musica e videogiochi, un percorso formativo sui temi dell’educazione al risparmio etico. “I mille frutti del risparmio solidale”, prodotto da Banca Etica, è parte di un percorso didattico rivolto in particolare ai ragazzi delle scuole medie inferiori e al primo biennio delle superiori. Un viaggio affascinante attraverso la storia del denaro e il suo utilizzo. Un gioco coinvolgente per scoprire una nuova dimensione della finanza, appunto la finanza etica. La vendita del cd rom è collegata anche allo sviluppo di un progetto di microcredito in Bangladesh. Guidano il viaggio due personaggi (“soldo di cacio” e “Kemala”). Al progetto al fianco di Banca Etica vi sono Cuore Amico, CSAM Saveriani Brescia, Soci di Banca Etica di Brescia e SVI Servizio Volontario Internazionale. BANCA ETICA I MILLE FRUTTI DEL RISPARMIO SOLIDALE

info: www.risparmiosolidale.it

UN CLASSICO DELLA DOCUMENTARISTICA CONTEMPORANEA CON MICHAEL MOORE Ci sono ottimi motivi per guardare “Fahrenheit 9/11” per chi lo ha perso al cinema. Il documentario, premiato con la Palma d’Oro a Cannes nel 2004, esce ora nelle edicole a cura del settimanale L’Internazionale, che prosegue nella sua politica di diffusione di dvd d’autore ad un costo accessibile e distribuiti nella rete delle edicole. Innanzitutto, quello di Moore è un ottimo documentario, che rispetta il compito informativo che si è assegnato esprimendo chiaramente la prospettiva di partenza (la delusione per la vittoria di George W. Bush nello scontro con Al Gore e l’ipotesi di brogli e operazioni al limite della liceità per ribaltare il risultato che aveva già accreditato Al Gore come vincitore) e iniziando da questa premesse, resa con le immagini dei network Usa, avvia una approfondita inchiesta sull’attentato a New York dell’11 settembre 2001. Sotto analisi, con filmati e documenti esclusivi, vengono messi i legami tra la famiglia Bush e il gruppo finanziario Carlyle. Alcuni fatti sono ormai noti anche al grande pubblico (per esempio la partecipazione della famiglia Bin Laden al Carlyle Group che ha strettissimi legami con la famiglia Bush e l’Amministrazione conservatrice Usa) ma il documento resta, con tutta la sua efficacia filmica e pedagogica, un ottimo strumento per riflettere sulle reali motivazioni della “guerra al terrorismo”. MICHAEL MOORE FAHRENHEIT 9/11

L’Internazionale, 2005

multimedia

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LA MUSICA DI THELONIUS MONK IN UN LIBRO E DVD

UN TELEFILM IN DVD PER LA TEMUTA PANDEMIA

Thelonious Monk, un’anima difficile, una musica inclassificabile, inassimilabile, abissale e senza schema. Il profilo di un’America che Stefano Benni e Umberto Petrin restituiscono nel volume e dvd di Real Cinema Feltrinelli. Il dvd restituisce intatta la forza dello spettacolo messo in scena in più di venti piazze italiane. «Mi chiede se voglio scrivere ancora la mia merda sovversiva, senatore. Ebbene sì, credo di avere ancora qualcosa da dire. Vorrei dirle che un guerriero pellerossa era cento volte più coraggioso di un pilota di bombardiere. Vorrei dirle che le vostre piscine sono nere di petrolio, e si sente la puzza da qui. Che ho dei dischi di Woody Guthrie nascosti sotto al materasso. Mi chiede se sono un vero americano senatore Mac Carthy. Sì, sono un vero americano un vero negro vero irlandese cinese russo ebreo apache. Sono tutti quelli che hanno sputato sangue per costruire questo paese. Ferrovie e strade e patiboli e prigioni. E le vostre armi che crescono ogni giorno, come un folle cartone animato».

Per chi ne aveva potuto vedere l’emissione negli anni settanta dapprima sulla Televisione della Svizzera Italiana e poi su Rai Due, la serie tv “I sopravvissuti” è rimasto un cult. In Rete numerosi blog chiedono da anni che sia ritrasmessa, senza successo. Tra gli effetti secondari della diffusione mediatica dei timori sulla “pandemia”, l’influenza che dovrebbe diffondersi a livello mondiale, il solo auspicabile potrebbe essere secondo i siti inglesi dei fans del telefilm, una sua riprogrammazione da parte della Bbc. Per ora, chi volesse rivedere la traduzione filmica del romanzo di Terry Nation “Survivors” e riconoscere la sigla televisiva, molto nota all’epoca della diffusione del telefilm, può ordinare l’intera serie in internet, pubblicata ora in cofanetto. La vicenda narrata in “Survivors” racconta proprio la diffusione di una misteriosa epidemia che diviene presto incontrollabile e paralizza le città e le comunicazioni in breve tempo, costringendo i sopravvissuti ad organizzare una vita basata su regole sociali ed economiche dell’età pre-industriale.

S. BENNI, U.PETRIN MISTERIOSO

PENNANT ROBERTS SURVIVORS

Feltrinelli, 2005

info: sopravvissuti.altervista.org

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in rete

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LA GUERRA IN IRAQ DALLA PARTE DELLE VITTIME

GLOBAL RESEARCH, NOTIZIE E ANALISI

Dall’inizio della guerra in Iraq vi sono state almeno trentamila vittime tra militari e civili in Iraq. Il conteggio, non disponibile se non con cifre edulcorate da parte degli occupanti e del governo iracheno, viene tenuto dalle associazioni dei diritti civili statunitensi che contestano l’occupazione militare e chiedono il ritiro degli eserciti anglo-americani. Le vittime sono in prevalenza civili da parte irachena e militari da parte statunitense e inglese (con militari italiani deceduti a Nassirya durante un attacco alla base del contingente italiano). Il conteggio è molto difficile perchè non può basarsi su dati ufficiali ma deve ricorrere al conteggio tenuto dalle associazioni non governative che nel contesto ingestibile del paese mediorentale assolvono compiti di assistenza alle vittime civili. Vi sono intere regioni del Paese e settori della capitale Bagdad di fatto inaccessibili alla stampa, anche mediorentale, e i giornalisti che accompagnano le truppe arrivano solo quando i testimoni sono spesso stati allontanati.

Global Research (CRG) è un gruppo indipendente di media attivisti e ricercatori con sede in Quebec (Canada). Sulla pagina curata a Montreal di www.globalresearch.ca basato vengono pubblicati e catalogati articoli e news oltre a commenti, analisi e studi sulla situazione geopolitica ed economica e le prospettive createsi dopo l’11 settembre. Il sito internet dei ricercatori era online da pochi giorni quando si è verificato l’attentato a New York e questo ha profondamente influito lo sviluppo del progetto, che è stato inizialmente travolto dagli sviluppi dell’avvenimento e dalle conseguenze che gli atti conseguenti decisi dall’amministrazione Bush avrebbero comportato. «Dal settembre del 2001, abbiamo creato un vasto archivio di notizie, di rapporti approfonditi e di analisi con notizie che a malapena vengono accennate nei media più ufficiali» spiegano a Global Research. La guerra in Iraq viene raccontata sul sito con grande ricchezza di informazioni attingendo a reporter presenti sul luogo ed ha ricevuto premi giornalistici.

. WWW.LUNAVILLE.COM, WWW.IRAQBODYCOUNT.NET

WWW.GLOBALRESEARCH.CA

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BEPPE GRILLO ONLINE CON AGGIORNATE NOTIZIE YES MEN PER SVELARE LE POLITICHE DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI «Il senso del nostro lavoro è di svelare gli effetti perversi della globalizzazione e delle politiche neoliberiste cercando di descriverle in modo più onesto e accurato di quanto non facciano i loro sostenitori reali. Il pubblico accoglie quasi sempre entusiasticamente le nostre tesi, non importa quanto assurde, crudeli o offensive possano essere». Andy Bilchbaum è uno dei componenti di “The Yes Men”, il gruppo di interventisti mediatici che negli Stati Uniti ha costretto più volte le organizzazioni internazionali a imbarazzate prese di posizione. La politica di Yes Men è semplice: intervenire alle assemblee internazionali grazie al richiamo di siti “fake” messi nella Rete, identici nella forma estetica ai siti originali ma con contenuti di disarmante durezza. Dal 2000 gli Yes Men gestiscono un sito, gatt.org, pressoché identico nella grafica e nei contenuti al sito ufficiale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tramite questo sito il gruppo ha rappresentato la Wto di fronte a platee internazionali di avvocati, ricercatori della fibra tessile, studenti universitari e fiscalisti. Anche in questo caso, le presentazioni sono rimaste sul filo della credibilità, ma giungendo a esiti paradossali ed estremi. A Sydney, il falso rappresentante ha spiegato che la Wto aveva deciso di sciogliersi per rinascere come un’organizzazione basata sulla Carta dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite. Al termine della conferenza, la Wto ha dovuto smentire ufficialmente la notizia.

WWW.BEPPEGRILLO.IT WWW.THEYESMEN.ORG

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La tournée del ’95 “energia e informazione” aveva catturato l’attenzione di molti media europei e un vasto interesse in Italia dove oltre quattrocentomila spettatoti erano accorsi nei teatri. Beppe Grillo per quello spettacolo ha dovuto pagare un prezzo anche di denuncie e lunghi passaggi in Tribunale, ma la sua popolarità già alta dopo i passaggi televisivi cresce ancora più e lo pone in un ruolo inedito di comunicatore di notizie e dati che difficilmente si trovano con tale forza sui media. Lo spettacolo “Black outfacciamo luce” porta nei teatri di Italia i temi del black out energetico e del declino dell’Italia, delle nuove forme di povertà e dei dati effettivi degli indicatori economici. Il ruolo di Beppe Grillo si trasforma così e si affina verso una comicità colta, attenta alla sostenibilità ecologica, all’etica ed ai consumi. Un ruolo inedito che raccoglie molto interesse in altri paesi europei abituati a riflettere e scontrarsi su questi temi, come la Svizzera o la Germania, che gli dedicano più di un documentario.

radio popolare


stilidivita A ROMA SE MARINI LA SCUOLA ARRIVA UN SMS

UNA GUIDA A FUMETTI PER I CLANDESTINI CHE DAL MESSICO VOGLIONO ENTRARE NEGLI STATI UNITI

DALLA LUCE INFORMAZIONI E MUSICA PER IL PALMARE

ULTERIORI PROBLEMI PER LE RETI WI-FI LIBERE IN ITALIA

UN DISPENSER PROVOCATORIO PER LE ARMI LEGGERE

Aumenterà il piacere del rischio e il romanticismo della fuga da scuola. Però non si scampa: al rientro a casa i genitori saranno già stati informati. Meglio quindi avvertire lasciando un sms sui telefonini dei genitori prima che provveda la scuola. Un gesto in fondo responsabile e di maturità visto che “Vision School”, una sperimentazione di controllo globale attivo in alcune scuole del Lazio da ottobre a dicembre avrà già avvertito del ritardo o dell’assenza da scuola. Il progetto è stato pensato per tenere sotto controllo gli studenti delle classi terza media e prima superiore e permette alle segreterie degli istituti di informare le famiglie con SMS automatici su assenze e ritardi. L’iniziativa fa parte del ben più ampio progetto PortalNet Scuola, finalizzato alla realizzazione di una rete informatica per collegare gli istituti del ventunesimo distretto scolastico del Lazio. Un progetto di sorveglianza telematica che dovrebbe destare qualche perplessità, considerato che il rapporto tra docenti e genitori dovrebbe essere basato su uno scambio di livello più alto di un sms e che la crescita degli studenti dovrebbe essere basata sulla responsabilizzazione individuale.

La provenienza, il governo messicano, ha sollevato polemiche negli Stati Uniti. La tiratura della “Guida del migrante messicano” è stata elevata, oltre un milione e mezzo di copie, distribuite negli stati maggiormente interessati dall’emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti. Tom Tancredo, repubblicano del Colorado, ha alzato la voce contro l’iniziativa della guida a fumetti perchè invitava, secondo lui e molti conservatori che hanno minacciato varie azioni di protesta contro la diffusione del manuale, a violare le leggi degli Stati Uniti. La diffusione della guida era già avvenuta ma le proteste sono state comunque molto forti. Secondo il governo messicano l’iniziativa era mirata a contenere gli effetti peggiori che accompagnano il desiderio di cercare un a nuova vita oltre il confine messicano. Tra i consigli che la guida fumetti fornisce si trovano ad esempio indicazioni come bere acqua salata durante la traversata del deserto, che pur aumentando la sensazione di sete diminuirà i rischi di disidratazione. Tra gli altri consigli quello di evitare la consegna di pacchetti per conto di terzi se non se ne conosce con certezza il contenuto oppure di attraversare il confine guidando vetture altrui. Ogni anno migliaia di cittadini messicani nelle aree di Zacatecas, Michoacan, Puebla, Oaxaca e Jalisco cercano la fuga verso gli Stati Uniti. I controlli alle frontiere, anche per la lotta al narcotraffico, si sono fatti sempre più severi e comprendono anche l’utilizzo di sistemi biometrici per verificare le impronte digitali. Le proteste negli Stati Uniti, capeggiate dalla Federation for American Immigration Reform che chiede leggi sempre più restrittive sull’immigrazione, hanno indotto il governo messicano a togliere anche da Internet la guida.

Il progetto di Talking Lights viene sviluppato da un laboratorio di ricerca giapponese, il Nakagawa Laboratory. Lo scopo della ricerca è utilizzare la luce ocme invisibile mezzo di comunicazione. Il prototipo realizzato dal laboratorio trasmette delle informazioni (posizione Gps, dati sulla musica e segnali ascoltabili in cuffia) tramite delle variazioni di luce impercettibili all’occhio umano che vengono raccolte da uno strumento palmare, per esempio un Pda o un telefonino con funzionalità avanzate. Tali strumenti sono molto diffusi ormai sopratutto nel settore dei servizi (consegna pacchi da parte dei corrieri, verifica prenotazioni effettuate online sui treni addirittura numerosi ristoranti che così comunicano direttamente dal tavolo del cliente alla cucina i nuovi ordini in base al codice a barre del menù). Tra i possibili utilizzi della comunicazione tramite la luce vi sono, secondo i progettisti, «offrire delle informazioni ai clienti, ai visitatori di mostre ed esposizioni commerciali, migliorare la sicurezza di uffici e di abitazioni, controllare l’uso di energia della costruzione e in teatri di guerra fornire dati e indicazioni alle truppe ed ai veicoli».

I sessanta attivisti di Nyc wireless (www.nycwireless.net), volontari impegnati a creare una rete libera wi-fi che copra la città di New York, non avranno presto degli emulatori in Italia. Chi sperava in un parco pubblico attrezzato con ripetitori wi-fi dove lavorare lontano da bianche pareti d’ufficio, deve programmare un viaggio all’estero o rimandare le speranze. La pubblicizzata liberalizzazione del wi-fi ad un attenta lettura del complesso testo governativo fa svanire infatti ogni entusiasmo in merito e anzi sembra mettere per il momento almeno la parola fine ad ogni sperimentazione. La liberalizzazione al centro del documento, pur positiva come tutti i processi di apertura della gestione della Rete, si occupa dell’utilizzo delle tecnologia wireless da parte dei provider di servizi di comunicazione. Quindi «Gli ISP potranno fornire servizi wireless con sostanzialmente le stesse regole con cui già forniscono quelli wired. Tutti gli usi di tecnologie wireless al di fuori di spazi privati o che comunque attraversino spazi pubblici sono vietati» spiegano i redattori di Punto Informatico, quotidiano online. Reti civiche e reti spontanee rimandate quindi, mentre il governo vorrebbe i documenti d’identità di chiunque si collega alla Rete.

Se le armi sono così facili da ottenere perchè non venderle con un dispenser, utilizzabile anche quando gli armaioli sono chiusi? La provocatoria iniziativa è stata creata in Sud Africa dalla Gun Control Alliance (www.gca.org.za), una organizzazione che che si batte per una moratoria sulla vendita di armi in Sud Africa. La notizia viene riferita nel blog del sito della società di marketing “guerrigliamarketing.it” , sempre molto attento a riferire le più innovative esperienze di comunicazione anche legate ad iniziative di protesta e noprofit. L’associazione ha piazzato in diversi campus universitari e centri commerciali alcuni distributori automatici per la vendita di pistole. «Un modo semplice e diretto per dimostrare quanto sia facile possedere un arma da fuoco in Sud Africa» suggeriscono gli analisti di guerrigliamarketing. La campagna è stata ideata dall’agenzia Jupiter e ha avuto importanti riconoscimenti nel settore. Le monete raccolte come donazione sono state impiegate per sostenere l’attività dell’associazione. Sono circa trenta le vittime ogni giorno delle armi personali in Sud Africa, mentre ogni mese vengono ritirate centinaia di licenze per il porto di armi per motivi di scurezza.

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UN AMBIZIOSA PROPOSTA PER CREARE UNA RETE LIBERA DAI CONTROLLI E DALLE CENSURE «Internet è nata per soddisfare le esigenze di sicurezza militare dell’amministrazione della difesa degli USA, e nel corso del tempo, la sua struttura originaria non è cambiata, né mai potrà mutare. Se, di fatto, i tentativi di rendere Internet il mezzo di comunicazione libero per eccellenza, sono destinati a fallire, allora non ci resta altro da fare che sostituirla. Come? Con una rete distribuita, decentralizzata e pienamente efficiente, una rete che non possa essere sottoposta a nessun tipo di governo». Punto Informatico, quotidiano telematico sulla Rete, racconta con un dettagliato articolo l’ambizioso progetto di network studiato dal Freaknet MediaLab di Catania, una delle firme storico del mondo hacker italiano. Lo hanno chiamato Netsukuku- Cl0se th3 w0rld, OpeN th3 NeX7. Al progetto il MediaLab lavora da anni ed ora sembra si sia pronti ad aprire il progetto ai contributi esterni prima dell’avvio della sperimentazione. Sul sito ufficiale la “rivoluzione” della Rete viene descritta con toni lirici: «La Rete, Tao della conoscenza/ che unisce il molteplice nell’uno / deve rinascere libera / ed avvolgere in un caldo abbraccio / la dolce madre Gaia. Questo è il risveglio / il risveglio di tutti noi che finora / siamo vissuti immersi nella nebbia». Il progetto prevede di bypassare i provider e i controlli delle forze dell’ordine, dribblare gli interessi delle multinazionali dando vita ad un nuovo ambiente digitale svincolando gli accessi dai network centralizzati con quella che i promotori definiscono una “rete pura” basata su un routing peer-to-peer.

AUTOMOBILI A IDROGENO, A CORRENTE, A METANO

UN MILIONE DI PIXELS IN VENDITA NELLA RETE

Le stime più realistiche parlano di 15 anni perchè le automobili alimentate ad idrogeno possano sfrecciare lungo le strade. Per ora restano gli esperimenti in corso e i primi prototipi i cui risultati almeno in termini di potenza non lasciano sconfortati (lo scorso anno una Bmw alimentata ad idrogeno ha superato la soglia limite dei 300 km/h durante i test sulla velocità). A inizio anno un Suv con design di Giugiaro è stato presentato al Salone di Detroit nell’ambito di una serie di proposte innovative per superare la necessità dell’alimentazione a petrolio. Per ora vi sono una settantina di distributori di idrogeno al mondo, in Giappone e Stati Uniti, di cui uno in Islanda aperto al pubblico che però non ha avuto clienti. Le alternative all’alimentazione a greggio vengono cercate a tutto campo e la soluzione che si prospetta più plausibile a tempi brevi è quella di sistemi a doppi alimentazione. In Italia già sono diffuse automobili a benzina e metano mentre a livello europeo si punta sull’alimentazione a elettricità e benzina. L’alimentazione elettrica infatti, che non può garantire lunghi percorsi, si rivela utile in città dove la velocità di percorrenza è spesso minima.

All’inizio vi era stata una fronte, messa in affitto come spazio pubblicitario su eBay. Poi altre parti del corpo, un cartello pubblicitario su una remota autostrada posto da un direttore marketing in cerca di anima gemella con relativo concorso, la parte di protagonista di un film... Ora è il turno di una effimera e abile iniziativa per sopravvivere ed affermare la propria creatività nell’era di internet. Alex, inglese di 21 anni, ha risolto brillantemente il problema di come pagarsi gli studi creando un sito internet dal nome suggestivo (milliondollarhomepage), basata unicamente su una schermata composta da un milione di piccoli quadratini (1.000 x 1.000) corrispondenti ai pixels in cui è suddivisa l’immagine della homepage, messi in vendita come spazi pubblicitari. Appetibile il costo, 1 dollaro per ogni spazio e prevedibile il desiderio di posizionarsi in modo più visibile di altri, acquistando uno spazio maggiore. Semplice e geniale. I pixel vengono venduti a blocchi da 100 (un quadratino 10x10) e la visibilità è assicurata per cinque anni. A fine settembre Alex poteva contare su oltre 300.000 dollari di entrata, tutti acquistati da aziende presenti nella Rete, in vista del completamento del puzzle che lo farà diventare milionario.

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informazionedisinformazione

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LA VIOLENZA E IL DEGRADO NEL LAGER DEI CPT

La guerra in Iraq è ufficialmente finita, i pieni poteri al goveno iracheno sono in arrivo. Questa l’ufficialità della comunicazione. Stupisce allora che con una lettera indirizzata ai direttori di tutti i mezzi stampa italiani, la Farnesina abbia espresso il suo parere “assolutamente negativo” sulla “opportunità e l’avvedutezza di inviare giornalisti dall’Italia a Baghdad” nell’imminenza del referendum sulla Costituzione. Firmata dal portavoce della Farnesina la lettera è stata inviata ai responsabili di quotidiani, periodici, agenzie di stampa, televisioni e radio ed attira l’attenzione della stampa “sulla perdurante pericolosità dell’attuale situazione nella capitale irachena, destinata verosimilmente ad acuirsi in prossimità della consultazione referendaria”. Più volte in passato il ministero degli Esteri ha esortato i connazionali a non recarsi in Iraq per l’assenza di condizioni di sicurezza adeguate. L’ultimo appello rivolto, in particolare ai giornalisti, risale al marzo scorso. Esplicito, fu in quel caso, il riferimento a “minacce specifiche” che indicavano negli operatori dell’informazione un bersaglio preferenziale per attentati e, in particolare, tentativi di sequestro per i giornalisti “non embedded”.

In tutta Europa i centri di detenzione temporanea sono sotto accusa da parte delle associazioni per i diritti dei migranti. In Italia sono sotto accusa anche da parte di Amnesty International, della magistratura e della Comunità Europea per le costanti violazioni che si consumano dietro le fortificate mura di questi centri che non dovrebbero essere prigioni eppure lo sono con in più l’aggravante dell’assenza dei diritti minimi garantiti ai carcerati. Un coraggioso reportage del settimanale Espresso ha riaperto il caso, con un inviato che si è finto clandestino curdo per poter accedere al centro, chiuso come gli altri ai giornalisti. Ecco un breve estratto del suo articolo: «“ce lo lascia un attimo che lo portiamo nella sala delle torture?”, le chiede un poliziotto robusto che si è appena aggiunto al gruppo. Ma forse è solo un modo per capire se Bilal parla italiano e per spaventarlo. (...) “Il Maresciallo ha detto di farli sedere. Sit down”, grida più forte il primo e sorprende un immigrato alle spalle, frustandolo sulle sue orecchie con i guanti in pelle (...) Resta immobile un minuto intero. “What is the problem?”, urla il carabiniere e gli tira uno schiaffo sulla testa».

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URANIO IMPOVERITO, ANCORA UNA VITTIMA LA CENSURA IN ITALIA E IL CONTROLLO DEI MEZZI DI INFORMAZIONE TELEVISIVA “Viva Zapatero” è il documentario sulla libertà di informazione e la censura in Italia girato da Sabina Guzzanti dopo la decisione di cancellare il suo programma “Raiot” dalla programmazione Rai, malgrado l’altissimo share registrato con la prima puntata dedicata al potere dei media controllati da Silvio Berlusconi. Una censura politica, che si unisce alle esclusioni dal video di numerosi giornalisti e alla difficoltà di trasmettere notizie secondo criteri puramente giornalistici. Il documentario è un atto di accusa verso le regole non scritte della censura e dell’autocensura in Italia, con carrellate di servizi televisivi in cui giornalisti offrono domande preconfezionate e addomesticate ai potenti mentre i censurati restano esclusi da ogni accesso al sistema informativo. «Ho deciso di realizzare questo documentario quando il giudice ha stabilito che la querela contro Raiot era priva di fondamento. Quello che più mi affascinava nella realizzazione di questo progetto, era testimoniare in diretta la trasformazione di una democrazia in qualcos’altro. Al di là delle ragioni storiche e politiche, raccontare in che modo la percezione degli avvenimenti cambi gradualmente agli occhi delle persone comuni. Quali sono i meccanismi che rendono possibile questa alterazione. È stato importante verificare che queste restrizioni della libertà d’espressione riguardano solo l’Italia; che certo c'è una tendenza generale in questo senso negli ultimi anni, ma non ha niente a che fare con quello che succede qui da noi».

Alberto Di Raimondo, 26 anni di Lecce, è la trentottesima vittima ufficiale per uranio impoverito. Come denuncia PeacelInk, «al costante e serio lavoro della Commissione d’inchiesta, in corso al Senato, si contrappone un preoccupante e pericoloso silenzio e delle gerarchie militari e degli organi di Rappresentanza Centrale Militare. Essi hanno addirittura ignorato un invito alla collaborazione. Come tutti i militari deceduti fino ad oggi, e considerati morti di serie “B”, anche Di Raimondo aveva riposto fiducia nell’Istituzione militare che, puntualmente, lo ha abbandonato subito dopo aver “controllato” una possibile reazione del ragazzo e della famiglia». Di Raimondo era stato più volte in missione in Kosovo con il Reparto Lancieri di Novara di stanza in Friuli. Rientrato nel 2003, ha accusato i primi sintomi della malattia, fino al decesso a causa del linfoma di Hodgkin che ha colpito numerosi soldati in missione all’estero, colpiti dall’uranio impoverito. Sulla vicenda dell’uranio impoverito, benché vi sia una Commissione d’Inchiesta, vi è una totale carenza di informazioni, spesso reperibili solo nell’area antagonista e pacifista della Rete.

Numeri di domini registrati e attivi [in milioni]

Danimarca

Messico

Russia

Finlandia

Norvegia

Brasile

Taiwan

Svizzera

Svezia

Paesi Bassi

42,7 57,8

6,3 Spagna

42

Sudafrica

Uruguay

51

Italia

Francia

67

Australia

Canada

Corea del Sud Cina

72

Giappone

Germania

Regno Unito

1.318 258 139 75

TUTTI I “QUARTIERI” DI INTERNET

Numero di indirizzi internet per Paese [in milioni]

0,8 1,2

7

.us

3,8 2,7

numeri 39

37

26

26

25

18

18

18

14

14

11

11

10

10

.biz .info .org .net .com Tot

123

Record dei domini Internet E ora parte anche il .eu

diventando una realtà da cui aziende e privati non possono più preL WORLD WIDE WEB STA CRESCENDO più veloce che mai, raggiunscindere. Dal prossimo 7 dicembre sarà possibile registrare i nuovi gendo quota 75 milioni di siti registrati. L’interesse e il coinnomi di dominio .eu. Lo ha annunciato EurID, l’organizzazione volgimento delle persone e delle aziende nei confronti della non-profit composta dai Registri dei ccTLD (country code Top LeRete ha raggiunto un picco storico: nel solo mese di settembre, sevel Domain) belga (DNS BE), italiano (IIT-CNR) e svedese (NIC-SE), condo le rilevazioni di Netcraft, sono stati registrati 2,68 milioni di selezionata dalla Ue per la gestione del dominio Internet di primo nuovi domini, portando il totale a 74,4 milioni. Questa crescita farà livello .eu. Dal 7 dicembre, inizierà, dunque, il cosiddetto periodo ricordare il 2005 come un anno record per la crescita di Internet ‘sunrise’, durante il quale le istituzioni pubbliche o private e, tra gli che, con 17,5 milioni di nuovi siti aggiunti finora, ha già superato altri, le aziende titolari di marchi registrati potranno beneficiare di il precedente primato di 16 milioni di nuovi domini in un anno, una sorta di pre-registrazione. Questa prima fase, che durerà fino al registrato nel 2000, in pieno boom speculativo. La prima analisi 6 febbraio, si rende necessaria per permettere alle aziende di proNetcraft è stata fatta nel 1995, quando vennero rilevati soltanto teggere il proprio nome di dominio 18,9 milioni di siti. La soglia dei 60 LA RADIOGRAFIA da eventuali registrazioni abusive da milioni è stata superata invece nel N. DISTRETTI IMPRESE OCCUPATI parte dei cosiddetti cybersquatter. La marzo 2005. Lo studio include nomi Agroalimentare 8 4.072 59.317 seconda fase (dal 7 febbraio al 6 apridi dominio che sono stati registrati Abbigliamento-tessile 19 24.175 225.413 le), prenderà in considerazione le rima non vengono usati, e vengono Calzature 14 7.128 57.305 chieste di altri aventi diritto, in pardunque rappresentati da un’unica Meccanica 7 7.041 92.742 ticolare aziende e artisti. pagina statica. D’altro canto, esistoCasalinghi 13 14.548 129.300 A partire dal 7 aprile 2006, poi, la reno anche casi in cui diversi siti si apMinerali non metallurgici 14 7.128 57.305 N. DISTRETTI NUM. IMPRESE COMPLESSIVE gistrazione sarà libera e non sarà più poggiano allo stesso indirizzo. NoFino a 100 14 833 necessario dimostrare il proprio dinostante ciò, i numeri di Netcraft Da 101 a 500 40 10.422 ritto a ottenere un dominio .eu rendono l’idea di quanto il Web stia Da 50l a 1.000 16 12.396

I

Fonte: Il Cub dei distretti e Unioncamere

IN IRAQ SOLO STAMPA EMBEDDED E CONTROLLATA

Stati Uniti

Fonte: Whois source

LA CLASSIFICA

Da 1.0001 a 2.000 Da 2001 a 5.000 Con più di 5.000

15 7 3

.

19.739 23.492 21.981

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| numeridell’economia |

| numeridell’economia |

Il petrolio detta legge. E fa paura L SURPLUS DELLA BILANCIA COMMERCIALE

I

della Cina potrebbe toccare i 100 miliardi di dollari alla fine del 2005, triplicando rispetto all’anno scorso. Le previsioni del ministero del Commercio Estero si basano sull’andamento estremamente positivo registrato anche

nel mese di settembre, quando la bilancia commerciale ha registrato un saldo positivo di 7,6 miliardi di dollari, in leggera flessione rispetto ai 10,6 miliardi di agosto, ma sempre vicina ai 100 miliardi in termini di tendenziale sugli ultimi dodici mesi. Il ministro del Commercio Estero ci-

I DATI DEL RAPPORTO 2004 DELL’ISTAT SULLE CONDIZIONI ECONOMICHE DELLE FAMIGLIE ITALIANE La geografia delle famiglie Nord 4,7 %

nese ipotizza, quindi, un surplus a fine anno compreso tra i 90 e i 100 miliardi, nonostante si sia allargata la banda d'oscillazione dello yuan. Nei primi otto mesi di quest'anno la bilancia commerciale ha già registrato un segno positivo di 60,2 miliardi di dollari.

Vivono i povertà relativa Determinata rispeto alla spesa media mensile per i consumi di una famiglia di due persone, la cui soglia è stata fissata a 919,98 euro nel 2004 Famiglie 11,7 % [2.674.000] Le più ricche... Lombardia 3,7 % Bolzano e Veneto 4,6 % Emilia Romagna 3,6 %

Centro 7,3 %

.

Individui 13,2 % [7.588.000] Mezzogiorno 25,0 %

LE NAZIONI EMERGENTI

II II II II II III II II II II II II II II II I II II II II II II II

Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Luglio Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre

+16,0 +7,4 +7,3 +4,1 -1,1 +11,8 +5,5 +5,9 +10,7 +6,0 +3,8 +4,5 -0,2 +2,1 +4,6 +8,0 +3,3 +3,6 +3,5 +8,3 +8,6 +6,7 +4,6 +3,4

PREZZI AL CONSUMO

Ago. Ago. Lug. Ago. Lug. Ago. Ago. Ago. Ago. Ago. Ago. Ago. Lug. Ago. Lug. Lug. 2004 Lug. Ago. Ago. Ago. Ago. Ago. Ago.

BILANCIA COMMERCIALE

+1,3 Ago. +3,4 Ago. +9,1 Set. +3,7 Ago. +7,0 Set. +0,7 Ago. +2,7 Set. +3,1 Set. +6,0 Set. +10,3 Set. +6,0 Set. +3,9 Set. +5,0 Set. +3,5 Set. +1,1 Set. +15,9 Set. +4,7 Ago. +1,6 Ago. +3,9 Ago. +8,3 Ago. +8,6 Ago. +6,7 Ago. +4,6 Ago. +3,4 Ago.

+96,4 Settem. -34,7 Agosto +27,2 Agosto +24,1 Agosto -0,7 Luglio +17,4 Agosto +25,2 Settem. +1,7 Settem. -7,3 Agosto +11,4 Agosto +41,2 Settem. +8,9 Settem. +1,7 Luglio -9,6 Agosto +4,0 Luglio +24,7 II Trimestre -10,4 II Trimestre -7,7 Agosto -2,4 Agosto -40,4 Agosto +1,4 Agosto - 3,4 Luglio -3,3 Luglio +113,4 Agosto

1,95 5,47 12,74 2,91 7,88 2,37 3,97 1,55 4,15 4,93 19,45 3,96 6,52 8,94 2,95 11,49 9,32 4,07 7,05 15,60 1,90 6,01 4,54 13,00

LE DIFFERENZE IN ITALIA [% DI FAMIGLIE CHE VIVONO SOTTO LA SOGLIA DI POVERTÀ SECONDO L’ISTAT]

20

23,6

23,9

23,1

24,3

LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE

PIL

Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro

7,5

12,0

11,0 6,6

10,8

9,4

2,7 2,1 2,4 2,0 2,1 1,6 1,8 1,7 2,1 -0,1 1,4 3,2 0,5 1,1 3,0 2,1

IL LAVORO

5,0

5,7

5,0

5,0

5,5

4,7

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

|

9,7

2006

BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2005 2006

2,7 1,8 2,0 1,9 2,2 1,8 1,6 1,6 1,9 0,3 1,0 2,9 1,3 1,1 2,7 1,8

-5,6 -0,6 +3,4 -2,6 1,8 2,2 -0,3 2,9 -3,0 3,6 3,5 -4,9 7,0 11,9 -6,2 0,5

-5,0 -0,8 3,3 -2,6 1,5 2,1 -0,1 2,9 -1,1 3,6 3,5 -5,0 6,4 11,4 -6,0 0,5

IL SESSO

28,9

11,9

11,6 13,1

9,3

9,3

9,3

10,8 10,1

7,5

7,3

5,7

NOVEMBRE 2005

3,2 2,0 2,2 2,2 3,0 2,2 1,8 1,3 1,0 1,9 1,6 2,8 2,7 1,5 3,3 1,7

15,1

11,7

8,4

|

2,4 1,9 1,2 2,0 2,8 2,0 1,4 0,9 -0,2 1,9 0,5 3,2 2,1 0,8 3,7 1,3

2005

23,9

21,6

9,7

ANNO 5 N.34

MEDIA 2006

L’ETÀ

25,0 22,4

8,8

| 78 | valori |

2,7/3,7 1,4/2,3 1,7/2,7 1,7/3,0 2,4/3,8 1,6/2,5 1,7/2,4 1,0/1,8 0,6/1,2 1,1/3,3 1,0/2,2 2,3/3,9 2,5/3,2 1,0/2,0 2,5/4,0 1,4/2,2

14,5 12,3

10 5

1,9/3,4 1,6/2,3 1,1/2,5 2,2/3,0 2,3/3,2 1,5/2,6 1,5/2,6 0,4/1,2 0,0/1,0 0,6/1,6 0,7/1,5 2,3/3,3 2,4/3,3 0,9/1,6 3,3/4,0 1,1/1,7

INFLAZIONE MEDIA 2005

11,4

11,9

11,8

MIN/MAX 2006

AMPIEZZA DELLE FAMIGLIE

Mezzogiorno Italia Centro Nord

15

MIN/MAX 2005

5,8

dipendente

25

...quelle meno Puglia 25,2 % Basilicata 28,5 % Sicilia 29,9 %

TASSI INTERESSE

1

2

3

4

5 o più

disoccupato

Cina +9,5 India +8,1 Indonesia +5,5 Malesia +4,1 Filippine +4,8 Singapore +6,0 Corea del Sud +3,3 Taiwan +3,0 Tailandia +4,4 Argentina +10,1 Brasile +3,9 Cile +6,5 Colombia +5,3 Messico +3,1 Perù +4,9 Venezuela +11,1 Egitto +5,2 Israele +4,8 Sud Africa +4,5 Turchia +4,2 Repubblica Ceca +5,1 Ungheria +4,1 Polonia +2,8 Russia +6,1

PRODUZIONE INDUSTRIALE

ritirato

PIL

autonomo

PAESE

maschio femmina

< 34 35-34 45-54 55-64 65 >

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indiceetico

| numeridivalori |

| numeridivalori |

portafoglioetico

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IL PORTAFOGLIO DI VALORI

NORDISKT HÅLLBARHET INDEX NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Electrolux H&M Trelleborg Orkla Kesko Statoil Svenska Handelsbanken Storebrand Gambro Coloplast Novozymes Metso Skanska Tomra Tietoenator Nokia Holmen UPM-Kymmene Telenor Volvo

elettrodomestici abbigliamento componenti meccaniche alimentari/media distribuzione petrolio servizi bancari assicurazioni tecnologia medica tecnologia medica farmaceutici macchine industriali edilizia macchine industriali software telefoni carta carta telecomunicazioni automobili

Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Copenaghen, Danimarca Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 29.09.2005 *Il rendimento di Volvo è calcolato dall’entrata del titolo nell’indice (2 settembre 2005)

CORSO DELL’AZIONE AL 29.09.2005

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 29.09.2005

179,50 SEK 276,00 SEK 129,00 SEK 248,50 NOK 23,210 € 166,00 NOK 173,50 SEK 64,25 NOK 115,00 SEK 378,00 DKK 319,50 DKK 21,04 € 113,50 SEK 46,50 NOK 27,90 € 13,54 € 245,50 SEK 16,68 € 58,75 NOK 338,00 SEK

13,83% 14,92% 10,04% 43,68% 29,30% 84,02% -3,33% 15,66% 16,99% 25,33% 14,85% 80,45% 37,18% 47,06% 19,23% 16,52% 2,89% 1,96% 12,49% -0,22%*

+23,58%

NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Sabaf Heidelberger Druck. CSX Body Shop International Henkel Aviva Svenska Handelsbanken Novo Nordisk Merck Kgaa 3M Company FLS Industries Mayr – Melnhof Karton Verizon Cisco Systems Canon Stmicroelectronics BG Group Severn Trent Vestas Wind Systems Boiron

pezzi per forni a gas macchine per la stampa trasporti cosmetici detergenti, cosmetici assicurazioni servizi bancari farmaceutici farmaceutici/chimica grafica, edilizia edilizia cartone telecomunicazioni tecnologia Informatica tecnologia digitale semiconduttori gas ciclo acqua pale eoliche medicina omeopatica

Milano, Italia Francoforte, Germania New York, USA Londra, Gran Bretagna Francoforte, Germania Londra, Gran Bretagna Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Darmstadt, Germania New York, USA Copenaghen, Danimarca Vienna, Austria New York, USA New York, USA Tokyo, Giappone Milano, Italia Londra, Gran Bretagna Londra, Gran Bretagna Copenaghen, Danimarca Parigi, Francia

CORSO DELL’AZIONE AL 29.09.2005

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 29.09.2005

16,81 € 27,98 € USD 46,23 £210,81 75,60 € £622,37 SEK 173,50 DKK 305,00 69,11 € USD 73,18 DKK 174,00 123,00 € USD 32,53 USD 17,86 JPY 6.090,00 13,87 € £536,00 £995,71 DKK 146,00 20,64 €

-11,65% 11,92% 30,84% 35,98% 18,13% 2,62% -3,33% 1,63% 37,40% 1,15% 68,31% -1,84% -8,91% 4,86% 13,75% -2,44% 53,99% 6,60% 113,91% -15,76%

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 29.09.2005

€ = euro, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, NOK = corone norvegesi

+18,46%

€ = euro, £ = sterline inglesi, USD = dollari USA, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, JPY = yen giapponesi

Non c’è partita. Otto punti in più

Avanti piano. Aspettando Katrina

ON C’È PARTITA. L’indice nordico di Valori batte il suo parametro di riferimento per il nono mese consecutivo. 23,58 contro 15,64. Otto punti di distacco. TiRendimenti dal 31.12.2004 al 29.09.2005 Nordiskt Index [in Euro] 23,58% rano la volata la petrolifera norvegese Statoil, che beneficia dell’alto prezzo del greggio e la finlandese Metso. Entrambe Eurostoxx 50 price Index [in Euro] 15,64% chiudono settembre con rendimenti superiori all’80% da inizio anno. L’economia europea sembra godere di un periodo di relativa bonaccia. La liquidità è abbondante, il costo del denaro è ai minimi e Storebrand Sede Oslo, Norvegia Borsa OBX, Oslo Rendimento 31.12.2004 – 29.09.2005 +15,66% la Banca Centrale non si scomoda certo ad alAttività Storebrand è una compagnia di assicurazioni. La maggior parte delle sue attività ha sede zare i tassi. “Rates are appropriate”, i tassi vanin Norvegia. Dà lavoro a circa 1.300 persone. no bene così: da mesi i banchieri di FranResponsabilità sociale coforte ripetono questa frase come una Giudizio complessivo Buoni i rapporti con le parti sociali. Storebrand è uno dei leader nel mercato degli investimenti litania. Peccato che la liquidità in eccesso vasocialmente responsabili. da a finire sempre di più in fondi speculativi Politica sociale interna Ogni dipendente sviluppa un piano di azione annuale che viene integrato nel piano di gestione o in strumenti derivati ad alto rischio. Gli generale dell’impresa, basato su valori condivisi. Storebrand investe molto nella formazione e nell’educazione dei suoi collaboratori. scambi di credit derivatives sono talmente inPolitica ambientale La strategia ambientale viene verificata due volte all’anno. Largo uso del teleriscaldamento tensi che le banche non riescono più a pronella sede centrale. cessarli. Jochen Sanio, direttore del BaFin, la Politica sociale esterna Il 40% degli asset sono gestiti secondo criteri sociali e ambientali. Storebrand ha creato Consob tedesca, ha detto di avere una paura un dipartimento di ricerca interno dedicato all’analisi sulla responsabilità sociale delle imprese. Alle assicurazioni sulla vita vengono applicati una serie di criteri negativi come la violazione matta che prima o poi crolli tutto. Quasi nesdei diritti umani e degli standard dell’OIL (organizzazione internazionale del lavoro) suno l’ha preso sul serio. E se alla fine avesse o la produzione di mine e bombe cluster. ragione?

pagine a cura di Mauro Meggiolaro

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UN’IMPRESA AL MESE

UN’IMPRESA AL MESE

N

ARITÀ. Il portafoglio etico di Valori chiude settembre a +18,5%. Lo stesso risultato dell’indice azionario internazionale MSCI, suo parametro di riferimento. Portafoglio di Valori [in Euro] Rendimenti dal 31.12.2004 al 29.09.2005 18,46% Al primo posto due danesi: la solita Vestas (+113,91%), che cavalca il boom dell’eolico e FLS Industries (+68,31%). Il nostro borMSCI DM World price Index [in Euro] 18,50% sino è tornato a salire guadagnando quasi quattro punti da fine agosto. Dalle maggiori economie mondiali arrivano notizie confortanti. Negli Stati Uniti i consumi salgono a ritmi molto elevati, in Aviva Sede Londra, Gran Bretagna Borsa LSE, Londra Germania la domanda interna è debole ma soRendimento 31.12.2004 – 29.09.2005 +2,62% no ripartite le esportazioni, mentre in GiapAttività Aviva è la settima compagna di assicurazioni al mondo e la prima in Gran Bretagna. pone il trionfo di Koizumi e la ritrovata stabiDà lavoro a circa 58.000 persone. lità politica giovano allo yen e alla borsa. Due i principali motivi di preoccupazione: il prezResponsabilità sociale zo del petrolio, che potrebbe salire ancora, e i Giudizio complessivo Impiego stabile. Buoni i report ambientali. Pioniere negli investimenti socialmente responsabili. dati sull’impatto economico dell’uragano KaPolitica sociale interna Impiego stabile e buona qualità dei contratti rispetto al settore. Investimenti elevati nella salute trina, che stanno uscendo in questi giorni. e sicurezza dei dipendenti. Tutti si aspettano una correzione al ribasso Politica ambientale Ottimi i report ambientali. Cooperazione con i movimenti ambientalisti. Il 30% dell’energia consumata è prodotto da fonti rinnovabili. Le decisioni di investimento tengono conto di criteri delle stime di crescita. British Petroleum (BP), ambientali. che estrae petrolio nel Golfo del Messico, ha Politica sociale esterna Pioniere nel campo degli investimenti socialmente responsabili. Criteri sociali e ambientali stimato che Katrina ridurrà i suoi ricavi di 700 vengono applicati a tutti gli investimenti, non solo al comparto etico. Limitata la presenza milioni di dollari. Il titolo BP è sceso di 7 punnei paradisi fiscali. Escluso l’investimento in imprese che producono o commerciano armi. ti in soli 5 giorni.

P

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in collaborazione con www.eticasgr.it | 80 | valori |

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Vilfredo Pareto

Le immutabili leggi di natura del sociologo di Francesca Paola Rampinelli

molto maggior forza hanno [...] il tornaconto e le passioni, e sempre si trova qualche compiacente teoria che li giustifica». Inoltre «l’uomo ha una tendenza spiccatissima a figurarsi come logiche le azioni non-logiche». Lo afferma Vilfredo Pareto definendo l’homo economicus protagonista del suo Manuale di economia politica; un uomo guidato dall’egoismo, costretto nell’agire dalla limitatezza delle risorse economiche, dalla necessità di scambiare beni, dalle difficoltà di produzione e dagli ostacoli imposti dal sistema. Pareto nasce a Parigi nel 1848 in una famiglia nobile italiana esule in Francia per motivi politici, studia in Italia dove si dedica alla matematica e alle lettere classiche per poi laurearsi in ingegneria all’Istituto Politecnico di Torino nel 1869. L’incontro con l’economia non è immediato per il giovane Pareto che lavora per un ventennio come ingegnere e dirigente delle ferroviarie italiane e si avvicina agli studi d’economia solo nel 1890, più che quarantenne. Nel giro di pochi anni però succede a Walras nella cattedra d’economia politica dell’Università di Losanna dove insegnerà per circa un decennio e dove rimarrà fino alla morte nel 1923, nonostante la nomina, poco prima a senatore in Italia. Le sue principali opere economiche sono il Corso di economia politica (1898) ed il Manuale di economia politica (1906) in cui si identifica l’economia come la scienza che ha per oggetto le azioni logiche dell’uomo per raggiungere i fini adeguati tramite i mezzi a disposizione. Ogni soggetto compie delle azioni secondo i suoi gusti, operando nei limiti degli ostacoli costituiti Secondo l’economista la lotta dai beni e dalla tecnologia disponibili: l’equilibrio finale di classe “rappresenta il principale evento che domina tra gusti e ostacoli è l’oggetto dall’analisi economica. la storia” e “le teorie operano Secondo Pareto la conseguenza di ciò è che la sociologia pochissimo per determinare consegue logicamente all’economia, poiché serve a ritrovare gli atti dell'uomo” le condizioni che garantiscono l’equilibrio della comunità. Secondo Pareto i principi generali dell’evoluzione della società (la storia è immobile e ciclica e l’uomo immutabile nel corso dei secoli) sono frutto di fenomeni “naturali” osservando i quali il pensatore elabora una teoria di fisiologia sociale secondo cui le società non sono mai state omogenee. Differenziazioni, antagonismi, dispute e interessi divergenti sono il risultato di "forze naturali" e la lotta di classe, come concorrenza e confronto economico per il potere, «rappresenta il principale evento che domina la storia». «Al di sopra, ben al di sopra, dei pregiudizi e delle passioni dell’uomo planano le leggi della natura. Eterne, immutabili, sono l’espressione della potenza creatrice: rappresentano quel che è, quel che deve essere, quel che non potrebbe essere altrimenti. L’uomo può pervenire a conoscerle; non può mutarle». Pareto elabora anche una teoria detta appunto Legge di Pareto, secondo in tutte le nazioni la distribuzione dei redditi assume graficamente la forma di una curva, definita comunemente Diagramma di Pareto, «che ha la forma della punta di una freccia o, se si preferisce, della punta di una trottola» leggendo la quale si coglie che è possibile aumentare il reddito minimo, ridurre l’iniqua distribuzione dei redditi, o ottenere cumulativamente entrambi questi effetti, solo se il volume complessivo della ricchezza aumenta più rapidamente della popolazione. In sintesi dunque il miglioramento delle condizioni di vita delle classi povere è legato all’aumento della produzione piuttosto che alla distribuzione della ricchezza.

«L

E TEORIE OPERANO POCHISSIMO PER DETERMINARE GLI ATTI DELL’UOMO,

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