Mensile Valori n.35 2005

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Anno 5 numero 35. Dicembre/Gennaio 2005. € 3,00

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MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS

Mensile di economia sociale e finanza etica

Fotoreportage > Cibo

Dossier > Prospettive, costi e pregi di una economia sana e salutare

Appetito biologico Valori > La lotta all’evasione fiscale contro le disuguaglianze Finanza etica > La corruzione frena la crescita dell’economia italiana Terzo settore > Una “casa dei Folletti” nella Locride Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento


| editoriale |

Il gusto da assaporare

di un mondo diverso

di Enrico Erba

ON SI TRATTA SOLO DI UNA RISPOSTA ALL’INQUINAMENTO, di una reazione alle ripetute e continue truffe e emergenze alimentari. L’agricoltura biologica è un modello vincente, oltre che in un’ottica ambientale e sociale, anche dal punto di vista economico. Per i coltivatori, che possono ottenere redditi più elevati e sostenibili. Per i consumatori, che possono non solo risparmiare, come dimostrano le esperienze dei Gruppi d’acquisto solidali, ma anche rieducare i loro consumi. Per la distribuzione dove può affermarsi un modello, come quello delle botteghe, di consumo critico e responsabile ma anche per la grande distribuzione organizzata, dove rappresenta un’opportunità per la diffusione e la comunicazione di una nuova cultura dell’alimentazione e della salute. Per le comunità locali dei paesi in via di sviluppo, dove l’agricoltura biologica, come evidenziato anche dalle Nazioni Unite, contribuisce in modo determinante all’uscita dalle condizioni di povertà assoluta. Le superfici coltivate biologicamente sono cresciute in modo esponenziale negli ultimi anni, così come il numero delle aziende. Le vendite, nonostante le condizioni generali negative, sono sempre in crescita; negli ultimi cinque anni le mense scolastiche italiane che hanno scelto il biologico sono aumentate del 400% (erano 110 e oggi sono 608). L’Unione Europea ha stabilito che il biologico rappresenta il miglior modello di sviluppo rurale, il sistema dei controlli è cresciuto ma, soprattutto in Italia, non si è andati oltre alle dichiarazioni di principio. L’agricoltura biologica può dare un contributo determinante anche per combattere l’effetto serra, con un consumo di energia inferiore del 50%. Ogni ettaro coltivato biologicamente assorbe circa 1,5 tonnellate di C02 l’anno: i terreni biologici già oggi sono in grado di assorbire un milione e 650 tonnellate di C02, pari allo 0,3% delle emissioni totali di C02 dell’Italia. In termini economici significa che l’agricoltura biologica può contribuire a un risparmio di 66 milioni di euro. Eppure, è difficilissimo competere con i sistemi tradizionali super sovvenzionati. L’agricoltura occidentale propone, infatti, al consumatore un prodotto con prezzi falsati dai sussidi che i consumatori hanno già pagato. Questa è una menzogna per la coscienza dell’uomo occidentale ed un inganno per i paesi in via di sviluppo che non hanno la possibilità di sostenere la politica agricola. L’occidente propone prodotti alimentari ai paesi del terzo mondo a prezzi falsatamente bassi distruggendo le produzioni locali e togliendo quindi a questi paesi la possibilità di migliorare e sostenere in modo sano il loro sistema agricolo. Certo anche queste realtà hanno commesso degli errori, per esempio non puntando in modo strategico su una reale differenziazione: produrre biologicamente non è un’operazione di marketing, ma una scelta etica, sociale, ambientale e umana. Se non riusciamo a comunicare questa fondamentale “differenza”, con tutte le implicazioni culturali che comporta, rischiamo di vincere qualche piccola battaglia sul mercato, ma di perdere definitivamente la possibilità di offrire la prospettiva di un mondo migliore.

N POSTE L’AUTORE Enrico Erba, sardo, 37 anni, sposato. Già collaboratore della Federazione dei Verdi con responsabilità nell’Ufficio Campagne, ha organizzato iniziative di solidarietà e informazione sulla situazione politica algerina, la mobilità sostenibile, le manipolazioni genetiche, l’agricoltura biologica e il piccolo commercio. Nel 2000 inizia la collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (AIAB) in qualità di coordinatore dell’Ufficio stampa, della progettazione e realizzazione dei siti web. Nello stesso anno organizza la prima Biodomenica, giornata nazionale di promozione del biologico. Nel 2002 è nominato Direttore dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica.

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dicembre/gennaio 2005 mensile www.valori.it

anno 5 numero 35 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore

Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica soci

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana

Dall’inizio degli anni novanta, il consumo di pasti fuori casa in Italia durante la settimana è cresciuto dell’8%. Ma cosa mangiamo davvero?

Tokyo, 1998

bandabassotti

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fotoreportage. Cibo

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dossier. Biologico Biologico, quanto mi costi davvero? «Ora il biologico viene visto come alternativa dagli agricoltori» [INTERVISTA A CARLA ABITABILE ] Cibo e non solo: la ricerca italiana e le filiere del biologico

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Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone

lavanderia

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direttore editoriale

finanzaetica La corruzione frena la crescita italiana Una Class Action in Usa per il crack Parmalat Class Action, le regole internazionali e l’Italia

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bruttiecattivi

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internazionale Ogoni, una lotta per la dignità contro i padroni del petrolio Credicop, la riscossa del credito cooperativo [INTERVISTA A MARIO ESMAN ]

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macroscopio

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Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 12, Pergine Valsugana (Trento)

economiasolidale

distributore nazionale

La “casa dei Folletti” a Locri, un’alternativa alle mafie Coesione, sviluppo sostenibile ed etica a convegno Legge Biagi, i problemi di un lavoro ancora più precario

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utopieconcrete

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stilidivita

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padridell’economia

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consiglio di amministrazione

Sabina Siniscalchi, Sergio Slavazza, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it) collegio dei sindaci

BANCA ETICA

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Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) redazione (redazione@valori.it)

Via Copernico, 1 - 20125 Milano Paola Baiocchi, Francesco Carcano, Sarah Pozzoli, Cristina Artoni, Elisabetta Tramonto progetto grafico e impaginazione

Francesco Camagna (francesco@camagna.it) Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it) Adriana Collura (infografica) fotografie

Martin Parr (Magnum Photos/Contrasto), stampa

Eurostampa srl (Torino) tel. 011 538166-7 abbonamento

10 numeri 30,00 euro ˜ sostenitore 60,00 euro Sino al 31.12.2005 rinnovo: 25 euro. come abbonarsi I

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Valori fiscali

Lotta all’evasione contro le diseguglianze di Alessandro Santoro

E VICENDE RELATIVE ALLE RECENTI SCALATE BANCARIE e al trattamento fiscale delle plusvalenze stanno generando molti commenti e un po’ di confusione. Le plusvalenze di cui si parla sono i guadagni derivanti dalla crescita di valore di mercato delle partecipazioni azionarie e il loro trattamento fiscale è diverso a seconda che siano realizzate da società o da persone fisiche. Quando le plusvalenze sono realizzate da società, esse sono, a certe condizioni, detassate in base alle norme varate nel 2004 dall’attuale maggioranza, in particolare in base alla cosiddetta participation exemption o pex. È tecnicamente possibile abrogare o modificare la pex, ma si deve tenere conto che ad essa fanno da complemento logico altre norme che tendono ad aumentare il gettito fiscale, per cui il saldo complessivo di questa manovra non è detto che sia sempre positivo. Quando invece le plusvalenze sono realizzate da persone fisiche sono tassate di solito con un’aliquota del 12,5%, tranne in alcuni casi in cui finiscono in parte nella dichiarazione dei redditi del contribuente. È auspicabile aumentare la tassazione sulle plusvalenze delle persone fisiche unificando l’aliquota sulle rendite finanziarie (per esempio al 20%) come si va ipotizzando da tempo. Questi temi dovrebbero certamente avere uno spazio nella discussione sui futuri programmi di politica economica. Tuttavia, si devono evitare due rischi. Il primo è di attribuire al sistema fiscale eccessive potenzialità di correzione delle diseguaglianze. Queste sono determinate in maniera Una stima conservativa del tutto preponderante dal sistema economico, dalla distribuzione dei beni porta a ritenere e del reddito prima delle imposte. Non ci si deve illudere troppo sul fatto che l’evasione delle che il sistema fiscale possa correggere la tendenza alla crescita dei profitti sole società di capitali e delle rendite rispetto alla remunerazione del lavoro e supplire quindi si aggiri intorno a 10 alla mancanza di iniziative politiche adeguate. Queste ultime devono miliardi di euro annui riguardare la politica dei redditi, la spesa sociale e pensionistica e, più in generale, le politiche pubbliche di intervento nell’economia. Il secondo rischio è di dimenticare che, nell’ambito delle diseguaglianze generate dal sistema fiscale, quella decisamente più rilevante, per quantità e qualità, è l’evasione fiscale. Il susseguirsi di improbabili annunci di lotta all’evasione, di fallimentari leggi repressive e di sconcertanti condoni ha purtroppo generato l’idea che si tratti di una lotta contro i mulini a vento. Peggio, vi è chi pensa che l’evasione assuma forme così sofisticate e raffinate da richiedere chissà quale sforzo investigativo. Esiste certamente un’elusione che opera attraverso i meccanismi della finanza internazionale e che sfrutta la globalizzazione dei mercati. Ma l’evasione italiana è così macroscopica che, spesso, si manifesta in modo del tutto evidente. Per capirsi, la pex, considerata a sé stante ha provocato una perdita di gettito nel biennio 2004-2005 stimabile intorno a 1 o 2 miliardi di euro (ma la riforma del 2004 ha invece comportato una sostanziale tenuta o aumento del gettito della tassazione sulle società). Negli stessi anni, una quota non lontana dal 20% delle società di capitali ha dichiarato ai fini fiscali di contribuire a ridurre anziché aumentare la ricchezza nazionale. Una stima conservativa porta a ritenere che l’evasione delle sole società di capitali si aggiri intorno a 10 miliardi di euro annui. Non facciamoci distrarre troppo da ciò che sale al (dis)onore delle cronache, e concentriamoci piuttosto sui nodi sostanziali della questione fiscale.

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ETICA SGR BANCA DI LEGNANO

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| fotoreportage | MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS

> Cibo foto di Martin Parr / Magnum Photos

Compagno inseparabile e indispensabile, cadenza il ritmo della giornata. Oggetto di culto, segno della cultura e delle tradizioni locali, il cibo può essere anche una fonte di pericolo per l’organismo, complici le politiche della grande produzione che può ricorrere, per una logica di profitto, all’utilizzo di “inquinanti alimentari”.

l codice che compare sull’etichetta della merendina è difficilmente decifrabile, se non si hanno conoscenze di chimica o esperienza nel settore agroalimentare e della grande industria del cibo preconfezionato. Eppure, se lo potessimo tramutare in una sigla meno sintetica e più comprensibile, probabilmente opteremmo per un acquisto differente. Il grande successo incontrato anche in Italia dalle catene discount di prodotti alimentari (complice il diminuito potere d’acquisto, la crescente nuova povertà e la crisi della quarta settimana) e le conseguenti offerte al ribasso in tutta la grande distribuzione, hanno introdotto anche una notevole diffusione di alimenti importati dalla distribuzione estera di più difficile controllo, malgrado le formali certificazioni di rispetto delle normative. Difficilmente il singolo prodotto contiene valori di additivi, antibiotici o coloranti al di fuori della norma. Ed è anche prevedibile che in un lasso di tempo ragionevole questi prodotti, se presenti in modo continuativo nella catena distributiva, saranno sottoposti ad analisi e ove occorre segnalati per il ritiro. Il problema risiede anche nella concentrazione di sostanze potenzialmente nocive assunte dal nostro organismo se la spesa viene fatta sempre e solo in base al minor prezzo e senza controlli da parte dell’acquirente. Emblematico il caso del colorante Sudan, di cui esistono diverse varianti catalogate numericamente. Una denuncia del periodico di tutela dei consumatori “Il Salvagente” aveva segnalato come il colorante fosse stato giudicato potenzialmente nocivo. Il periodico aveva pubblicato una lista di prodotti in cui poteva essere rinvenuto il colorante, molto utilizzato in India e quindi spesso presente nelle lavorazioni eseguite in loco su incarico di multinazionali. In particolare, per la preparazione di salse di pomodoro e salse piccanti. Solo la Conad aveva ritenuto necessario avvertire i propri clienti indicando sul suo sito la lista dei prodotti sospetti. Un ufficio provinciale dell’Agenzia regionale protezione ambientale aveva anche segnalato la presenza del colorante in alcuni campioni alimentari prelevati nella grande distribuzione, dando avvio ad una inchiesta del procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello. La Commissione Europea lo aveva infatti vietato già dal 20 giugno del 2003 perché “considerato una sostanza cancerogena genotossica”, vale a dire dannosa anche per la riproduzione. Come riferiva il Corriere della Sera, due anni dopo il divieto della Comunità Europea «Il colorante, solitamente usato per solventi, cere e lucidi per scarpe, è finito per errore in un carico di polvere di peperoncino usato per confezionare un quantitativo consistente di salsa Worcester della marca Crosse and Blackwell, prodotta dalla Premier Foods. La salsa è stata usata come ingrediente in 359 prodotti da supermarket e da aziende alimentari». I casi di inquinamento alimentare sono molteplici e continui e richiedono un attivo intervento del consumatore a tutela della propria salute.

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L’AUTORE Martin Parr Nato nel 1952 a Epsom, Surrey, Martin Parr ha studiato fotografia al Manchester Polytechnic (1970-73), ricevendo tre premi consecutivi dal Consiglio di Arti inglese. Fotogiornalista e freelance per molti anni, assertore della valorizzazione della cromìa, Parr entra nella prestigiosa agenzia Magnum nel 1994. I suoi lavori vengono esposti e pubblicati in Europa e negli Stati Uniti, oltre a diventare parte di numerose collezioni. Molto influenzato dai lavori di C. Killip, Parr diviene un testimone ironico, straniato e attento della società britannica. Con le sue foto caratterizzate dall’uso molto contrastato e luminoso del colore, racconta la storia del gusto e dei comportamenti della classe media negli anni ’80. Numerose le sue esposizioni e pubblicazioni, fra cui Common Sense, 1999; Boring Postcards, 1999; Martin Parr. Autoportrait, 2000; Think of England, 2000; Martin Parr, 2002. All’autore, Valori aveva dedicato il suo portfolio fotografico sul numero dedicato al turismo sostenibile (numero 32 luglio/agosto 2005, richiedibile come arretrato a amministrazione@valori.it). Fino al 30 gennaio a Parigi saranno esposte le opere della serie Think of England & Cocktail, alla Galerie Kamel Mennour 60/72, rue Mazarine, 75006 Parigi.

Lo “starter microbico” accellera la stagionatura dei salumi, favorendo il proliferare di batteri.

Majorca, 2003

> Cibo

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| fotoreportage | La spesa per i consumi dei piatti alimentari è aumentata del 540% in Italia negli ultimi dieci anni. Cresciuto il consumo dei pasti fuori casa, dal 24,9% al 30,9%, con oltre 11 milioni di persone che ogni giorno pranzano al di fuori delle pareti domestiche per un totale di 6 miliardi di pasti, di cui 2,3 miliardi nelle mense e 3,7 miliardi in ristoranti, bar e pizzerie.

Usa, 2003

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Biologico, quanto mi costi davvero? >18 Agricoltura tradizionale e biologica: le differenze >19 Ecor, il biodinamico che finanzia cultura >20 Tre esempi di filiere biologiche di successo in Italia >24

a cura di Paola Fiorio, Sarah Pozzoli e Elisabetta Tramonto

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dossier

La produzione e conservazione dei cibi sul mercato mondiale ha portato a pratiche disinvolte: «patate, aglio e cipolle possono essere sottoposte a sorgenti radioattive di Cobalto 60 o Cesio 137 per impedirne la germogliazione dopo la raccolta» spiega Stefano Apuzzo, autore di “Quattro sberle in padella” (Stampa Alternativa), un vademecum sui veleni che si possono nascondere nei cibi.

Usa, Florida, Hollywood Beach, 1997

Biologico

La grande sfida Ridurre i costi e attrarre nuovi consumatori alla Per il biologico in Italia la sfida del mercato è

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ricerca di produzioni sane ed ecosostenibili. avviata, con esperienze innovative in tutti i settori.

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Caro Bio, sei buono ma costi. Soprattutto fuori stagione di Elisabetta Tramonto

io o non bio, questo è il dilemma che mi trovo ad affrontare ogni volta

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che vado a fare la spesa. Sento dire che i prodotti biologici sono più sa-

ni, più gustosi, più naturali. Li ho provati e devo ammetterlo, almeno per quanto riguarda il gusto, è vero. Una mela coltivata con metodi biologici ha tutto un altro sapore. Peccato che sia così cara. Se acquistata fuori stagione può arrivare a costare più del doppio delle cugine non biologiche. Frutta, verdura e tutti gli alimenti realizzati con metodi biologici costano effettivamente di più. L’ho verificato di persona. Il mese scorso sono andata in un supermercato a Milano e ho riempito due sacchetti, uno con prodotti convenzionali, di marca e non in promozione. MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS

L’altro solo con prodotti biologici (vedi GRAFICO 1 ). Risultato: 25 euro per la spesa non bio, 35 per quella biologica. Aver bandito concimi e diserbanti chimici e aver preferito metodi di coltivazione biologica ha fatto lievitare lo scontrino di oltre il 40%. Se poi avessi fatto la spesa in un negozio specializzato in prodotti biologici avrei speso circa 43 euro. Bisogna dire però che la differenza di prezzo tra bio e non bio varia, e di molto, a seconda della stagione e a seconda del tipo di prodotto acquistato. Uova, latte e yogurt biologici costano poco più rispetto agli stessi prodotti in versione non bio. Alcuni alimenti biologici possono anche costare di meno come, nel mio esperimento, la passata di pomodoro. La differenza tra prezzi bio e non bio si fa sentire se si parla di frutta e verdura o di prodotti come la carne e i succhi di frutta. I prezzi dei prodotti biologici, poi, sono strettamente legati alla stagionalità. La mia saporita mela biologica costava 3,18 euro al chilo in ottobre in un negozio specializzato. Solo un mese più tardi, iniziando la stagione delle mele, il prezzo nello stesso negozio è sceso a 1,85 euro. Prestando attenzione a quando e a che cosa si acquista, quindi, si può riuscire a ridurre lo scontrino biologico. Ma la differenza di prezzo rispetto ai prodotti non biologici resta, in molti casi è elevata ed è

Attenzione alle etichette: nella grande produzione sono diffusi ad esempio poco consigliabili “olii rettificati”, ottenuti dalla rispremitura degli scarti inedibili di produzione dell’olio.

Tokyo, 1998 Spagna, 1997

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L’AGRICOLTURA BIO E QUELLA TRADIZIONALE: CHE COSA LE DISTINGUE CHI ERA BAMBINO NEGLI ANNI 70-80 è cresciuto a pane e nutella e telefilm della “Casa nella prateria”. Vi ricordate la storia di quella deliziosa famiglia padre-madre-bambini perennemente abbronzati e con le guance rosse piene di salute che vivevano nel Far West? Ecco, è a immagini come quelle che la mente ricorre per farsi un’idea di cosa sia l’agricoltura biologica. Ma nella realtà che cosa distingue questo tipo di produzione da quella cosiddetta convenzionale? Che cosa stabiliscono le leggi comunitarie e nazionali? A farne una sintesi è l’ultimo rapporto sulle coltivazioni e sugli allevamenti biologici pubblicato dall’Apat (Agenzia nazionale per la protezione ambientale) il 30 novembre 2004. Ebbene, il rapporto spiega che l’agricoltura biologica privilegia le “tecniche colturali naturali” rispetto alle “tecniche che comportano l’uso di prodotti chimici di sintesi e l’impiego massiccio di mezzi tecnici”. Che cosa significa? Che chi coltiva in modo biologico deve privilegiare alcune strategie produttive rispetto ad altre. In particolare: deve rispettare i cicli naturali che influiscono sulla produzione e riducono l’impatto sull’ambiente; deve dare priorità alle risorse rinnovabili (quindi, bisogna limitare il più possibile l’uso di materie prime extraziendali); salvaguardare l’ambiente nella sua complessità (principio che implica, per esempio, la cura delle siepi e dei boschetti che ospitano gli uccelli che si cibano degli insetti dannosi per le coltivazioni); preservare il terreno dai fenomeni di erosione, ristagno dell’acqua e smottamento; difendere le coltivazioni e tenere sotto controllo le erbe infestanti senza l’uso di prodotti chimici di sintesi, ma con tecniche agronomiche (rotazione delle colture) e il ricorso ai predatori naturali; scegliere le varietà di piante più adatte all’ambiente, più resistenti alle malattie e ai parassiti. Inoltre, alla concimazione si deve provvedere con il letame o con altre sostanze organiche come i sovesci (incorporazioni nel terreno di piantine di trifoglio o senape). Naturalmente è escluso l’uso di organismi geneticamente modificati e di semi trattati con prodotti chimici. Per quanto riguarda invece gli animali, il punto fondamentale è che devono essere allevati nei pascoli. Inoltre, foraggi e mangimi devono provenire da agricoltura biologica, preferibilmente ottenuta dall’azienda stessa. Quanto alle cure, il principio chiave è la prevenzione (dunque, razze autoctone, alimenti di alta qualità, regolare movimento fisico, numero massimo di animali per unità di superficie). L’uso di medicinali deve essere limitato a prodotti fitoterapici (come estratti vegetali), omeopatici, oligoelementi. Solo se l’uso di questi prodotti non risulta efficace, si può ricorrere agli antibiotici sotto la responsabilità del veterinario e comunicandolo all’ente certificatore. Infine, sono vietate le pratiche di taglio del becco, le bruciature dei tendini delle ali e ogni altra mutilazione, nonché mettere “occhiali” al pollame. Ma come si fa a sapere se gli agricoltori biologici osservano tutte queste regole? La legislazione comunitaria e nazionale prevede che le aziende certificate bio debbano sottoporsi a tutta una serie di controlli e ispezioni da parte degli enti di certificazione (si veda il BOX CERTIFICAZIONE ). Niente del genere è previsto per le produzioni convenzionali. Sarah Pozzoli

Coltivare in modo biologico costa effettivamente di più. Ma soprattutto contano le dimensioni del mercato e la struttura organizzativa

il primo grande ostacolo per chi voglia avvicinarsi al mondo bio. Perché i prodotti biologici al di fuori dei circuiti dei Gas sono così costosi? Non esiste un modo per ridurre i prezzi? Per rispondere a queste domande ripercorriamo la strada di un prodotto biologico, dal campo allo scaffale del supermercato. Sono due i fattori chiave da cui dipendono prezzi così elevati. Da un lato coltivare in modo biologico costa effettivamente di più. Dall’altro il mercato biologico è ancora troppo piccolo e organizzato.

Conto salato per chi coltiva biologico «Coltivare con metodi biologici costa molto di più. Da un 20% in più per limoni o carote a un 50% in più per la frutta zuccherina come pesche e uva, più difficili e rischiose». Rosario Provino è il presidente del Consorzio Agrobiologico Siciliano e conosce bene i problemi legati all’agricoltura biologica. Meno resa e più rischi di perdere il raccolto. Queste le principali voci che pesano sul budget dei bio-coltivaroti. «Nell’agricoltura biologica si possono usare solo concimi naturali come il letame, che costano più dei concimi chimici e garantiscono una resa di gran lunga inferiore - spiega Rosario Provino – E usare concimi naturali non basta. Per coltivare un campo in modo biologico serve molta più attenzione e molto più lavoro, quindi più manodopera». Ecco un'altra voce da aggiungere ai costi del bio. I rischi poi sono altissimi. «Se un parassita colpisce una coltura è difficile debellarlo – continua Provino - Usando pesticidi chimici sarebbe facile, ma nell’agricoltura biologica sono banditi. Sale quindi il rischio di perdere il raccolto». Anche usare il nome “biologico” ha un prezzo, tanto per i produttori quanto per trasformatori e distributori. Tutte e tre le fasi devono infatti essere controllate e certificate. E la certificazione ha un costo da pagare ogni anno. «Le aziende produttrici versano dai 400 ai 4.000 euro a seconda della dimensione della superficie coltivata e della coltura», spiega Alessandro Pulga, direttore tecnico di Icea (www.icea.info), uno dei principali organi di certificazione e controllo dell’agricoltura biologica. I distributori versano circa lo 0,5% del fatturato, i punti vendita bio che vendono prodotti sfusi pagano 500 euro l’anno. Questi costi però non bastano a spiegare la differenza di prezzo tra prodotti bio e non bio, che, secondo le rilevazioni dell’Ismea, l’istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, si attesta in media sul 61% e in alcuni casi supera il 100%.

Mondo-Bio, troppo piccolo e sbriciolato Sebbene i maggiori costi che comporta il metodo biologico si facciano sentire al momento della produzione, è nella fase finale della filiera che i prodotti bio allungano le distanze dai prodotti convenziona-

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li (vedi GRAFICO 1 , confronto prezzi bio-non bio). «I prezzi alla produzione dei prodotti biologici giustificano una differenza rispetto a quelli convenzionali di un 20-30% - sottolinea Francesco Giardina del Sinab, il sistema d’informazione sull’agricoltura biologica finanziato dal ministero delle politiche agricole – Le differenze di prezzo più consistenti rispetto ai prodotti non bio si accumulano nella distribuzione». La colpa è delle dimensioni, troppo piccole, del mercato dell’agricoltura biologica e di un’organizzazione, quasi assente, dell’offerta. Sebbene l’Italia sia al primo posto in Europa e al terzo nel mondo, con un giro d’affari annuo di 1,4 miliardi di euro, il biologico rappresenta solo l’1,5% del mercato alimentare italiano. «Le aziende agricole solitamente sono piccole, sparpagliate per la penisola e non sono organizzate - spiega Davide Marino, docente di Economia ed Estimo rurale all’Università del Molise – Tutti fattori che rendono difficile gestire la logistica e che fanno lievitare i costi della distribuzione». «In più la maggior parte della produzione biologica avviene al Sud, mentre la maggior parte del consumo si concentra al Nord - aggiunge Francesco Giardina - Far incontrare la domanda e l’offerta diventa difficile e molto costoso». «Le attività che svolgiamo, dal trasporto allo stoccaggio alla distribuzione ai punti vendita, sono le stesse di un distributore non biologico – spiega Filippo Manini, responsabile assortimento di Ecor, uno dei più grandi distributori biologici italiani – Ma i volumi

sono molto più piccoli e i produttori molto frammentati. I costi quindi salgono». La grande distribuzione risulta in parte avvantaggiata. Per questo spesso i prodotti biologici nei supermercati costano meno rispetto ai negozi specializzati, che però restano ancora il principale canale distributivo del mercato bio. Circa il 65% dei prodotti biologici passa attraverso i negozi specializzati. «Perchè i prezzi dei prodotti biologici si abbassino serve un mercato più grande, con una maggiore organizzazione della produzione e della distribuzione - conclude Francesco Giardina – Piattaforme commerciali e centri di aggregazione di produttori bio su tutto il territorio».

Un colpo di forbice ai prezzi bio Metodi per ottenere prodotti biologici a prezzi contenuti, a volte addirittura più convenienti dei prodotti non bio, sono già a portata di mano. Il segreto è accorciare le distanze tra produttori e consumatori. Secondo i dati rilevati dall’Ismea nei passaggi dal campo al punto vendita il prezzo dei prodotti biologici cresce in media del 125%. Saltando i passaggi intermedi si può risparmiare oltre il 50%. Una zucchina biologica acquistata direttamente dai produttori può costare fino a 1 euro in meno rispetto allo stesso prodotto bio sullo scaffale del supermercato, il cui prezzo oggi si aggira sui 3 euro. Dati rilevati dall’Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltura biologica, che da oltre

Steiner, la biodinamica e il progetto di Ecor

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Ecor nasce dall’esperienza della pedagogia steineriana ed oggi è protagonista della distribuzione del biologico. LTRE TREMILA PRODOTTI IN LISTINO, 130 dipendenti, 800 punti vendita serviti, 219 negozi associati nel circuito B’io e un fatturato nel 2004 di ben 54 milioni. Questi i numeri di Ecor, società che distribuisce prodotti biologici in tutta Italia. di Paola Fiorio Tutto è iniziato a metà degli anni Ottanta dall’entusiasmo di alcuni giovani laureati, agronomi, medici, insegnanti di Conegliano (TV) che desideravano portare i principi dell’agricoltura biodinamica in Italia seguendo gli insegnamenti dell’austriaco Rudolf Steiner, fondatore agli inizi del Novecento dell’antroposofia, la scienza dello spirito. In una serie di conferenze tenute a Koberwitz nel 1924, Steiner aveva tracciato i principi di un nuovo modo di concepire l’agricoltura il cui fine non deve essere solo quello di produrre frutti, ma anche quello di risanare la terra. Per questo le aziende agricole biodinamiche sono a ciclo chiuso, cioè hanno anche la stalla, fanno il compostaggio, non praticano monocoltura, né usano veleni. La prima azione dei giovani di Conegliano è stata l’apertura nel 1985 di un negozio di prodotti biologici.

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Ma trovare gli approvvigionamenti era difficile. «Mancava una catena distributiva, così abbiamo deciso di metterla in piedi noi e con un furgoncino rifornivamo i negozi del Veneto e del Friuli», spiega Fabio Brescacin, presidente di Ecor, che ha partecipato al progetto fin dal suo inizio. Nel 1998 la fusione con altre tre aziende e la nascita di Ecor, le cui azioni sono detenute al 70 per cento dalla Libera associazione antroposofica di Conegliano e al 30 per cento da privati provenienti da una ex cooperativa agricola. L’assetto societario spiega bene che gli obiettivi dei fondatori di Ecor non sono cambiati dai tempi del negozio di prodotti biologici: sostenere l’agricoltura biodinamica e la pedagogia steineriana. La Libera associazione antroposofica utilizza infatti la propria quota di profitti per finanziare le attività dell’azienda agricola biodinamica San Michele, a Treviso, e l’apertura di una scuola steineriana. Ma i principi antroposofici sono entrati anche nell’azienda. «Cerchiamo di metterli in pratica senza dogmatismi e vediamo che si realizzano», spiega Brescacin. «Abbiamo un comitato clienti, applichiamo gli stessi

ITALIA TERZO PRODUTTORE MONDIALE

un anno promuove ogni forma di incontro ravvicinato tra produttore e consumatore, dalla vendita diretta negli spacci nelle aziende agricole, 1.200 produttori, maa anche i mercatini bio, 174 in tutta Italia nel 2004. «Acquistare direttamente dal produttore non solo permette di spendere meno ma garantisce anche un prodotto fresco e di qualità - conclude Enrico Erba, direttore dell’Aiab – È necessario però che tanto i consumatori quanto i produttori si organizzino». Sta già accadendo. In tutt’Italia sbocciano spontaneamente i Gas, i gruppi di acquisto solidale. Amici, vicini di casa, colleghi di lavoro che si organizzano per fare la spesa a turno direttamente dal produttore biologico, riuscendo a spuntare prezzi vantaggiosi giocando sulle grosse quantità acquistate. Ma anche i produttori stanno iniziando a organizzarsi. Un modello esemplare è quello di Officinae Bio (www.officinaebio.it ). Una cooperativa di 14 aziende agricole del Lazio che hanno lanciato un’offerta in grado di competere con i prezzi dei prodotti non bio. Si chiama Cassettone: 10 chili di frutta e verdura a 12 euro. Ogni settimana la cooperativa propone due combinazioni diverse di dieci varietà di prodotti da agricoltura biologica raccolti il giorno prima della consegna. Un successo, con un migliaio di Cassettoni venduti ogni settimana. Basta un po’ di impegno e di organizzazione, quindi, e anche il mondo bio diventa accessibile.

L’ITALIA È IL TERZO PRODUTTORE di biologico al mondo, dopo Australia e Argentina, e il primo in Europa con circa un milione di ettari, pari al 6,9% della sau (superficie agricola utilizzata) nazionale, al 27% della superficie biologica europea e al 3,9% di quella mondiale. Secondo gli ultimi dati ufficiali del Sinab, sistema unico nazionale sull’agricoltura biologica, realizzato dal ministero delle Politiche Agricole e dalle regioni, il Belpaese vanta dunque una posizione di prim’ordine. Ma non è tutto oro quello che luccica. Sempre secondo il Sinab, le aziende biologiche nazionali nel 2004 sono diminuite del 15,48% rispetto all’anno precedente, passando dalle 48.473 alle 40.965 del 2003. Il calo però non è omogeneo: un raffronto tra il 2001, anno boom del biologico, e il 2004, evidenzia infatti un forte calo in quattro regioni, Sardegna (-77,51%), Puglia (-52,63%), Calabria (-47,76%) e Sicilia (-47,74%), mentre nelle altre sedici la diminuzione è contenuta al 3,55%. In controtendenza Marche (+13,72%) e Valle d’Aosta (+311,11%). Al calo della produzione, in parte dovuto secondo molti osservatori, al venir meno dei contributi comunitari destinati al biologico, fa poi da contraltare il numero delle imprese IO IO ATO NB BIO B O O I I di trasformazione e commercializzazione, che nello O Z O O O B B N OTT OTT O OTT LIZ RA E RA BIO OD PECIA A T CATO A T NON ROD RODRCAT R Z Z stesso periodo 2001-2004 sono aumentate dell’8,4%. P P P N N R S E E E ZZO ZZO RME IFFER ERME REZZO OZIO FER ZIO PRE N BIO PRE SUPE D SUP P NEG DIF NEGO Quanto al giro d’affari, secondo NO IN IN IN IN SACCHETTI DELLA SPESA A CONFRONTO i dati 2004 divulgati nel corso di Sana, il Salone internazionale del naturale che Pasta corta (500 g) 0,58 € 0,69 € 0,76 € 18,97% 31,03% si è tenuto a settembre, il mercato italiano Passata di pomodoro (700 ml) 1,09 € 1,20 € 1,05 € 10,09% –3,67% di prodotti biologici è sostanzialmente Olio extravergine d'oliva (1l) 4,58 € 6,77 € 8,05 € 47,82% 75,76% stabile e vale 1,4 miliardi di euro (pari al 3,2% 6 uova 1,59 € 1,60 € 1,99 € 0,63% 25,16% del comparto agricolo e all’1,5% di quello Carne (fettine di manzo 200g) 3,78 € 6,25 € 7,68 € 65,34% 103,17% alimentare), posizionandosi al quarto posto Latte fresco (1l) 1,25 € 1,39 € 1,55 € 11,20% 24,00% in Europa (dove il fatturato totale raggiunge i 10,5 Yogurt (2 vasetti da 125g) 1,09 € 1,20 € 1,49 € 10,09% 36,70% miliardi, con una crescita del 5%), dietro a Germania Succo di frutta (750ml) 1,05 € 1,49 € 2,46 € 41,90% 134,29% (3,1 miliardi, +3%), Gran Bretagna (1,6 miliardi, +10%) Biscotti (500) 1,99 € 4,10 € 3,54 € 106,03% 77,89% e Francia (1,5 miliardi, +5%). Marmellata di pesche (400g) 1,65 € 1,70 € 3,20 € 3,03% 93,94% Le esportazioni nazionali ammontano, invece, Insalata lattuga (1 kg) 1,50 € 2,50 € 3,75 € 66,67% 150,00% al 33% della produzione nazionale e riguardano Carote (1kg) 1,20 € 1,75 € 1,82 € 45,83% 51,67% soprattutto agrumi, olio di oliva, prodotti lattiero-caseari Patate (1kg) 0,89 € 1,30 € 1,17 € 46,07% 31,46% e uova, mentre le importazioni maggiori riguardano Mele Golden (1kg) 1,19 € 1,60 € 1,85 € 34,45% 55,46% l’orticolo (cresce l’import di verdure insieme allo zucchero Pere Abate (1kg) 1,85 € 2,15 € 2,98 € 16,22% 61,08% biologico) e il comparto zootecnico, che ancora non è autosufficiente (rispetto al 2002 le importazioni del 2003 TOT SPESA 25,28 € 35,69 € 41,18% 43,34 € 71,44% sono cresciute del 70,5%). Infine, i consumi annui per famiglia, secondo i dati di Sana, sono di circa 80 euro, e nel 2004 rispetto al 2003 sono diminuite dello 0,3%, in misura inferiore al calo del consumo dei prodotti alimentari.

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COSTI DA RIDURRE PER ATTRARRE NUOVI CONSUMATORI

prezzi a tutti i negozi, e cerchiamo di calmierare le retribuzioni, tenendo quelle alte più basse delle media e quelle basse sopra i minimi». Nella stessa direzione si inquadra anche il Progetto Trasparenza promosso nei negozi B’io. Si tratta di un paniere di 126 prodotti scontati in media del 13,6 per cento e che nell’etichetta mostrano al consumatore la ripartizione del prezzo finale per tutta la filiera, dal produttore, al distributore, al negoziante. «Vogliamo mettere in piazza i conti, far vedere la realtà, in modo che si possa arrivare a un dialogo non egoistico sul prezzo», chiarisce il presidente di Ecor. «Ci piacerebbe che anche il consumatore ragionasse in termini di prezzo giusto invece che di prezzo basso. Si deve arrivare a un prezzo che vada bene per tutti, dal produttore al consumatore».

RIDURRE I COSTI e aumentare la massa critica. Questa la ricetta di Daniele Rama, docente di marketing alimentare all’Università cattolica di Piacenza, per l’espansione del settore biologico in Italia. Che tipologia di consumatori, in Italia, si rivolge al biologico?

«Ci sono due tipi di consumatori. Il primo rappresenta il nocciolo duro del mercato. Si tratta di consumatori fedeli, convinti della loro scelta e che non si fanno intimidire dai prezzi più elevati dei prodotti biologico rispetto a quelli convenzionali. Il secondo gruppo invece è formato da consumatori occasionali, che si avvicinano al biologico per scongiurare rischi alimentari come la mucca pazza. Per loro il biologico diventa quasi un bene rifugio».

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«L’espansione del mercato biologico deve passare dalla grande distribuzione. Perché è uno dei canali più in sviluppo e perché la fascia dei consumatori occasionali si avvicina con timore ai negozi specializzati. All’estero ci si sta muovendo in questa direzione. In Inghilterra, per esempio, ci sono già dei supermercati del biologico».

POMODORO

LATTUGA

Prezzi al dettaglio Prezzi all’ingrosso Prezzi alla produzione 3€

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Meglio il negozio specializzato o la grande distribuzione?

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«Evidentemente bisogna lavorare sui costi. Quindi sulla struttura produttiva, concentrando i mezzi. Ci sono già degli esempi anche in Italia. Alcuni produttori si sono riuniti in cooperativa riuscendo così ad aumentare la massa critica e ad essere più efficienti sul mercato».

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Produzione, distribuzione all’ingrosso e distribuzione al dettaglio BIO NON BIO

Quali politiche bisogna attuare per ridurre i prezzi?

PREZZI BIO E NON BIO A CONFRONTO NELLE TRE FASI

ARANCIA

«Il problema è il prezzo. I consumatori abituali sono ormai acquisiti, e per far crescere i consumi bisogna conquistare e gradualmente fidelizzare nuovi consumatori occasionali. Ma il consumatore occasionale, che non è spinto da forti convinzioni filosofiche, è molto sensibile al differenziale di prezzo tra prodotto biologico e convenzionale».

FONTE: BIOAGRICOLTURA SETTEMBRE 2004, ELABORAZIONE DI F. GIARDINA SU DATI PREZZIBIO 2003

L’Italia è leader europeo nella produzione biologica, ma non nel consumo. Come possono aumentare le vendite?

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AIUTI AL BIOLOGICO: SE SONO INTELLIGENTI È MEGLIO

LA CERTIFICAZIONE BIOLOGICA IN ITALIA In Italia il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha indicato 12 organismi nazionali e 5 regionali preposti a controllare e certificare le procedure di produzione, trasformazione, confezionamento e distribuzione dei prodotti biologici. La certificazione biologica avviene a tutti i livelli della filiera produttiva, seguendo le normative europee ed in particolare il Regolamento CEE n. 2092/91 e seguenti che definiscono i sistemi e criteri di controllo, le norme di produzione, dell’etichettatura e le modalità di importazione da paesi extra U.E. Gli enti autorizzato ad operare su livello nazionale sono: ICEA CCPB BIOAGRICERT ECOCERT ITALIA SUOLO E SALUTE IMC QC&I BIOS CODEX ECOSYSTEM BIOZOO C.S.I. Gli organismi autorizzati ad operare solo nella provincia di Bolzano sono: ABCERT INAC IMO BIKO TIROL Inoltre esistono tre marchi che vengono rilasciati alle aziende che intendono rispettare disciplinari più restrittivi rispetto al Reg. Cee 2092/91: AIAB AMAB DEMETER (quest’ultimo identifica commercialmente solo i prodotti ottenuti con il metodo biodinamico che non prevede l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi). Un’azienda che vuole diventare biologica, una volta accettata la domanda presenta presso l’ente certificatore, inizia ad essere controllata annualmente attraverso una o più visite di sorveglianza che hanno lo scopo di verificare il mantenimento delle condizioni di idoneità. Questo periodo viene definito di “conversione all’agricoltura biologica”, che dura almeno due anni prima della semina o, nel caso delle colture perenni diverse dai prati, di almeno tre anni prima del raccolto.

GLI AIUTI ALL’AGRICOLTURA BIOLOGICA passano dalle Regioni. E ogni regione è un mondo a parte. Diversi i regolamenti, l’entità degli stanziamenti e l’attenzione dedicata allo sviluppo locale. La maggior parte dei fondi arrivano dall’Ue e confluiscono nel calderone dei Piani regionali di sviluppo rurale, i PSR, dai quali dipende tutta la politica agricola regionale, bio e non bio. Spetta poi alla Regione decidere come utilizzarli. Secondo l’Ismea, l’istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, i finanziamenti per l’agricoltura biologica incidono in media meno del 15% sul totale delle politiche agro-ambientali regionali. Una parte dei finanziamenti finisce direttamente nelle tasche dei “Bio-agricoltori” che ne hanno fatto richiesta, secondo una graduatoria. La ripartizione avviene in base alla dimensione delle terre e al tipo di coltura. Meno premiati i cereali, più facili da coltivare, che ricevono dai 150 euro annui all’ettaro in Lazio ai 280 in Sicilia. Aiuti più consistenti sono invece destinati alle delicate coltivazioni di piante da frutta: 740 euro all’anno per un ettaro di meli in Lombardia, 850 per gli agrumi in Sicilia. Ma non basta. «Negli ultimi 3-4 anni i contributi sono diminuiti drasticamente e molte aziende hanno chiuso i battenti» sottolinea Davide Marino, docente di Economia all’Università del Molise. Non è solo questione di soldi. «Chiediamo supporto logistico, assistenza tecnica e commerciale. Servizi che raramente le regioni forniscono», denuncia Enrico Erba direttore dell’Aiab. Molte volte gli aiuti più utili non sono di natura economica. Basta pensare alle mense scolastiche biologiche, un’idea nata con la finanziaria del 2000. Nel 2004 le mense biologiche in Italia erano già 608. «Questo è un esempio di politica intelligente - continua Erba non comporta alcun costo per lo Stato e attiva un circuito virtuoso E.T. di consumi biologici».

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«Aiuti a rischio. Il biologico è visto come alternativa» Carla Abitabile, coordinatrice dell’Istituto nazionale di economia agraria, fotografa le ragioni della conversione al

talia continua a detenere il primato nell’Unione Europea nella produzione agricola biologica, sia per numero di aziende che per superficie investidi Paola Fiorio ta», spiega Carla Abitabile, coordinatrice per l’Istituto nazionale di economia agraria del progetto Sabio sulla sostenibilità dell’agricoltura biologica. «Oltre a soddisfare le esigenze interne, una quota rilevante della produzione, più del 30%, è destinata all’estero».

«L’ingresso nel settore di aziende biologiche nuove nell’attuale fase non si può escludere, anche se probabilmente dovremmo guardare al passato per cogliere dimensioni relativamente più incisive di tale fenomeno. Da alcuni anni stiamo invece assistendo alla conversione al biologico di una quota di agricoltura convenzionale, le cui motivazioni sono di natura sostanzialmente economica, legate soprattutto al regime di aiuti comunitari: basti pensare che la forte crescita registrata a livello europeo nell’ultimo decennio è stata parallela all’emanazione di norme specifiche a supporto del settore».

La produzione biologica in Italia è caratterizzata da agricoltori convertiti al biologico o da nuovi agricoltori?

La scelta di produrre biologico è quindi più economica che filosofica?

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ONOSTANTE IL CALO REGISTRATO negli ultimi anni, l’I-

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biologico degli agricoltori in Italia: più salute per l’ambiente e gli operatori, ma anche più reddito. «Naturalmente esistono svariati casi in cui la scelta biologica ha motivazioni di carattere diverso: coscienza ecologica e sensibilità in merito a sicurezza e salute risultano in questi casi i fattori determinanti. Direi tuttavia che queste unità rappresentano solo una quota marginale del fenomeno». Quali sono i vantaggi per un produttore che sceglie la via del biologico rispetto all’agricoltura convenzionale? «Un primo vantaggio è di tipo economico: nelle aziende biologiche professionali in media i prezzi spuntati risultano superiori a quelli dei corrispondenti prodotti convenzionali. Ciò può consentire margini di profitto superiori. Altri vantaggi diretti per i pro-

duttori sono legati al minor utilizzo di sostanze chimiche che molto spesso risultano dannose per la salute degli stessi operatori». E gli svantaggi? «La maggiore difficoltà di reperimento di alcuni mezzi di produzione il cui mercato è in evoluzione. Ma anche la diversa localizzazione territoriale della fase produttiva, maggiore al sud, e distributiva, concentrata al centro-nord, che insieme alla parziale ed incompleta strutturazione delle filiere costituisce un fattore di disturbo a livello organizzativo ed un limite al raggiungimento di economie». I produttori italiani impegnati nell’agricoltura biologica

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registrano un calo. Come legge questi dati? «È ormai opinione condivisa che il calo registrato a partire dal 2002 a livello sia di superfici che di aziende biologiche sia fisiologico del settore e che sia espressione di un aggiustamento strutturale dello stesso. Il cambiamento in atto porterebbe ad un settore più forte, con aziende mediamente più grandi e più motivate. La riduzione ha infatti riguardato soprattutto aziende di piccola dimensione uscite dal settore a conclusione dello specifico sostegno comunitario, mentre le aziende di trasformazione e di produzione-trasformazione hanno registrato un calo molto più contenuto e le unità di importazione sono viceversa aumentate».

E il calo nei consumi? «La dimensione del fenomeno è tale da poter essere inquadrato nell’attuale periodo di crisi generale dei consumi dei prodotti alimentari. In tale contesto di stagnazione, va comunque tenuto presente che i prodotti biologici, che hanno prezzi più alti, risentono maggiormente della riduzione». Quali sono le prospettive per il futuro alla luce delle politiche nazionali ed europee? «In linea generale, se si considerano le motivazioni economiche al-

BIO-SCELTE CORAGGIOSE, TANTA FATICA PER MOLTO

la base della “scelta biologica”, bisogna ammettere che le prospettive di crescita del settore sul fronte della produzione sono direttamente collegate alla riduzione progressiva della spesa agricola decisa a livello comunitario. Tuttavia, nello specifico, bisogna anche mettere in evidenza la grande attenzione dell’Ue verso il settore: l’emanazione del Piano d’Azione Europeo sull’agricoltura biologica e la conseguente messa a punto dei corrispondenti Piani di Azione nazionali è sintomo dell’interesse generale e della necessità di interventi volti allo sviluppo armonico del settore biologico».

DALL’INGEGNERIA ALLA TERRA il passo non è tanto breve, né tanto semplice. Soprattutto se a 24 anni decidi di voltare le spalle all’università e convertire l’azienda di papà all’agricoltura biologica. Adolfo Renzi lo ha fatto. Per generazioni l’azienda agricola di famiglia coltivava frutta e verdura nella Sabinia a Nord di Roma, in particolare ulivi e ciliegie, usando metodi tradizionali. Nel 1996 la svolta. Fertilizzanti e concimi chimici finiscono nel cestino e inizia l’avventura biologica. Oggi Adolfo Renzi ha un’azienda agricola biologica ben avviata, la Tre colli, ed è anche diventato presidente della sezione del Lazio dell’Aiab, l’Associazione italiana agricoltura biologica. Ma i primi passi nel mondo-Bio non sono stato affatto semplici. «Ho commesso tutti gli sbagli possibili – ammette - L’errore più diffuso è credere che fare agricoltura biologica significhi semplicemente sostituire qualcosa con qualcos’altro. Concimi e fertilizzanti naturali al posto di quelli chimici. Invece non è affatto così. Agricoltura biologica significa cambiare radicalmente modo di fare agricoltura». Così all’inizio Adolfo si ritrova con un drastico calo della produzione. Da 50 quintali di olio all’anno passa a 30. Ma con il tempo e l’esperienza le cose sono cambiate. «Tutti i problemi che nell’agricoltura convenzionale si possono risolvere con una semplice spruzzata di diserbante, devono essere affrontati in modo diverso - spiega Adolfo Renzi - Bisogna prevenire i problemi e risolverli in modo meccanico e non chimico. L’ulivo per esempio necessita di molto azoto, un minerale presente in gran quantità nei fertilizzanti chimici, ma in proporzioni ridotte nei concimi naturali. Per risolvere il problema abbiamo piantato delle piante leguminose sotto gli ulivi, che al momento della fioritura fissano l’azoto nel terreno. Quando piove poi c’è il rischio che si formino muffe sulla frutta. Nell’agricoltura tradizionale basta cospargere i frutti con appositi prodotti chimici e la muffa non si forma, ma, in compenso, seppure l’effetto velenoso scompaia dopo 20 giorni, le sostanze chimiche non spariscono e finiscono nel nostro stomaco. In agricoltura biologica bisogna pensarci prima. Potare l’albero in modo che non si creino delle zone umide». Coltivare in modo biologico non è semplice, ma oggi Renzi ha imparato. Non solo è tornato alla produttività di una volta ma riesce a intascare un 30% di fatturato in più. Il segreto? Rispettare il terreno e mantenerlo fertile, ma anche andare incontro al consumatore. La Tre colli infatti non si limita a coltivare ma arriva direttamente al cliente, vendendo sia frutta e verdura, sia prodotti elaborati nel laboratorio dell’azienda agricola come le verdure sottolio. La necessità aguzza l’ingegno.

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LE ASSOCIAZIONI BIO

LIBRI

Ifoam (International Federation of organic agriculture movements) Charles-de-Gaulle-Str. 5 53113 Bonn, Germany Tel: +49-228-92650-10 www.ifoam.org Aam (Associazione terra nuova) Via Ponte di Mezzo, 1 50100 Firenze Tel: 055 3215729 www.aamterranuova.it

Ailantos Via N. Martoglio n. 33 95048 Scordia (Catania) Tel: 095659561 www.ailantos.it

Anagribios Via XXIV maggio, 43 00187 Roma tel: 06 4682398 www.coldiretti.it

Amab (Associazione mediterranea agricoltura biologica) Via Po, 25c - 00198 Roma Tel: 06 84497423 www.amab.it

Anfosc (Associazione nazionale per la tutela e la valorizzazione dei formaggi sotto il cielo) Viale del Basento, 108 85100 Potenza Tel: 0971 54661 www.anfosc.com

Associazione italiana di zootecnia biologica e biodinamica C/o Istituto di zootecnia Via Celoria, 10 - 20133 Milano tel: 02 50318027 www.zoobiodi.it

Poderi di Romagna Via E. Conci, 45 48020 Porto Fuori (RA) www.poderidiromagna.it/

Archeologia arborea Loc. San Lorenzo-Lerchi 06012 Città di castello (Perugia) Tel: 075 8553867 www.archeologiaarborea.org

Associazione per l’agricoltura biodinamica Via Vasto, 4 - 20121 Milano tel: 02 29002544 www.agricolturabiodinamica.it

Apab (Associazione piacentina agricoltori biologici) C/o Palazzo dell’Agricoltura Via Colombo, 35 29100 Piacenza Tel: 0523 386765

Anabio (Associazione nazionale agricoltura biologica) Via m. Fortuny, 20 00196 Roma tel: 06 32687200 www.anabio.it

Aiab (Associazione italiana per l’agricoltura biologica) Via Piave, 14 - 00187 Roma Tel: 06 45437485-6-7 www.aiab.it

Asci (Associazione di solidarietà per la campagna italiana e i prodotti di costume) Via Val Roino, 26 14010 Cortazzone (AT) www.rfb.it/asci

Associazione per la cristallizzazione sensibile Loc. Molino Rizzo, 1 29010 Nibbiano Val Tidone (PC) Tel + fax 0523992003 Tel: 3282043914 www.cristallizzazionesensibile.it/

Associazione agricoltura e ambiente della Versilia Via Croce Verde 55040 Vallecchia (Lu) Tel: 0584 756289

Io ... Bio C/o Coretum Via del Risaro, 126/a 00127 Vitigna (Roma) Tel: 06 52373289

La zucca barucca Via Porta S. Marco, 134 51100 Pistoia (Pt) Tel: 0573 452222

Daunia & Bio Consorzio qualità biologica V. II giugno, 208 71016 S. Severo (Foggia) tel: 0882 225712 www.dauniaebio.it

La Verbena Via S. Petrilli, 99 53100 Siena tel: 0577 593823

Alba nascente Via S. Antonio, 5 88064 Chiaravalle centrale (Cosenza) Tel: 0967 92673 www.albanascente.com

Vincenzo Vizioli Conversione al biologico Edizioni AIAB a cura di Achille Mingozzi e Rosa Maria Bertino Tutti Bio 2005 Annuario del Biologico Fabio Maria Santucci Alla scoperta dei mercatini biologici

Le altre filiere del biologico. Tre esempi di successo Cibo ma non solo: dall’abbigliamento alla cura del corpo fino alla plastica derivata dal mais ogm free, il biologico in ON SOLO CIBO. Il settore del biologico in Italia è anche sapone da barba, bagnoschiuma, maschere di bellezza, deodoranti, t-shirt, pigiami, sacchetti per la spesa, bicchieri, piatti, pannolini, assorbenti femminili. Insomma, ce n’è per tutti. La scelta del consumatore delle altre filiere biologiche non è solo guidata dal rispetto per l’ambiente e dall’attenzione alla salute. Molto importanti sono anche la possibilità di contribuire a un commercio equo e solidale, che non sfrutta i Paesi del Sud del mondo, e la certezza, garantita da Aiab, che i prodotti scelti non sono frutto di sperimentazioni sugli animali, sono realizzati con materie prime biologiche, non contengono agenti chimici dannosi e sono a basso impatto ambientale.

N di Paola Fiorio

IL BIOLOGICO “DI MODA”. Da una decina d’anni a Tezze di Vazzola, nel trevigiano, si fanno pigiami, capi di intimo e per il tempo libero, interamente biologici. Sono realizzati

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soprattutto in cotone, ma anche in canapa, lana e seta. Per Ali, l’azienda che li produce, i vestiti sono come una seconda pelle e devono perciò essere confortevoli e sani. “I capi realizzati con materie prime naturali”, spiega la fondatrice Claudia Sgarbi, “non danno reazioni allergiche, non rilasciano residui tossici ed avendo colori naturali e quindi vitali, sono in grado di reagire in modo benefico con il corpo”. Insomma, una specie di cromoterapia, non solo a base di verde e marrone (il colore naturale del cotone sudamericano color grow) e di ecru. Cinque anni fa Ali ha infatti aperto le porte al colore con tessuti stampati e tinture. “Questa scelta”, spiega Sgarbi, “ha comportato un notevole investimento in ricerca e sviluppo perché la conoscenza delle tinture vegetali e minerali era andata perduta”. Ma gli ostacoli non frenano l’interesse dell’industria tessile nei confronti del biologico, anche se i numeri sono ancora piccoli: solo cinque aziende hanno ricevuto il mar-

Italia si afferma grazie a inventiva e ricerca. chio di garanzia Aiab. “Il rischio ora”, avverte Sgarbi, “è che le multinazionali utilizzino l’aspetto commerciale della parola biologico per rifarsi una verginità, continuando però la loro politica di sfruttamento”.

LA NATURA TI FA BELLA. Piante e frutta per realizzare soffici creme per il corpo e per il viso, detergenti, shampoo, maschere di bellezza. Sono 37 le società garantite dall’Aiab, per un totale di oltre 500 prodotti. Tutti all’insegna della salute del consumatore. «La gente non si rende conto che quello che mettiamo sulla pelle entra nel nostro corpo”, spiega Marco Di Gregorio, che nel 1998 ha portato il marchio inglese Lush in Italia. La sua politica è chiara: «la scelta del biologico è un principio che dovrebbe affermarsi in tutti i settori». Per questo dai suoi venticinque negozi sono banditi i conservanti e la linea di maschere fresche a base di frutta per il viso è completamente biologica, biodegradabile e lavorata ar-

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NATURASÌ, PER ABBASSARE I PREZZI IN MODO ETICO ED ECOCOMPATIBILE UN GRUPPO DI AMICI, tra cui un imprenditore, un ingegnere e un immobiliarista, ama alimentarsi in modo sano e biologico. Siamo nel 1990. Dopo qualche tempo, quasi per scherzo, hanno l’idea di aprire un negozio di prodotti biologici a Verona per diffondere il verbo del “mangiare sano”. Nel 1992 il negozio viene aperto veramente e si chiama Isir (Istituto Italiano di Reforming). Qui non solo si vendono prodotti biologici ma vengono anche organizzati incontri per far conoscere questo nuovo settore in crescita. Il ‘93 è l’anno del salto, Isir si trasforma in NaturaSì il supermercato della Natura, un’azienda in franchising. Nasce così la prima catena di biologico in Italia, la cui mission aziendale è diffondere la cultura del bio distribuendo prodotti con prezzi convenienti rispetto alla piccola distribuzione. L’azienda cresce e oggi, sensibile al tema ambientale, ha fatto un accordo con TetraPak, individuando in cartafrutta il materiale più adatto per la realizzazione di sacchetti per la spesa, prodotti con il riciclo dei contenitori TetraPak. Inoltre NaturaSì, vicina anche alle tematiche riguardanti la responsabilità sociale di impresa, da tre anni collabora con Legambiente e la Ong Cospe per il sostegno della comunità di Shewula (Swaziland), composta da circa 10.000 abitanti e più di 800 bambini orfani, che rischia di scomparire per l’impossibilità di coltivare le proprie terre a causa dei costi agricoli troppo elevati. I dieci dipendenti di NaturaSì nel ‘93 oggi sono diventati una sessantina. Su 42 esercizi (nel centro nord) la metà sono in franchising, gli altri sono di proprietà o con partecipazione diretta, dal 10 al 50%. Grazie ai finanziamenti di Sviluppo Italia alcuni imprenditori si stanno muovendo per aprire alcuni negozi anche nelle regioni del sud. Con l’anno nuovo aprirà il primo supermercato della Natura a Palermo e più avanti ne nascerà uno anche a Perugia.

tigianalmente. Inoltre, la maggior parte dei prodotti Lush sono solidi e non hanno bisogno di confezioni. Così si riduce l’impatto ambientale.

LA BIOPLASTICA. Coniugare industria e rispetto per l’ambiente. Questo è l’obiettivo di Novamont, l’azienda di No-

Più sani e più rispettosi dell’ambiente: tra le Gwyneth Paltrow o Madonna che dicono di mantenere la linea rigorosamente con cibi biologici e pratiche yoga. E chi invece vuole emulare il “way of living” moldi Sarah Pozzoli to radical chic del principe Charles di Inghilterra, da sempre grande promotore dell’organic farm. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, chi compra prodotti bio lo fa per altri due motivi: perché ritiene che la produzione sia più rispettosa dell’ambiente e perché pensa che siano più sani. È effettivamente così? Sono ragioni valide? Anche alla luce delle voci critiche che si sono sentite negli ultimi tempi, abbiamo fatto il punto sull’impatto ambientale dell’agricoltura biologica e sul valore nutrizionale dei prodotti. Ecco che cosa ne è emerso sulla base delle ultime ricerche, articoli specializzati e dati disponibili.

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principali motivazioni che spingono verso il biologico vi sono il valore nutrizionale e l’impatto ambientale.

È CHI MAGARI VUOLE IMITARE

In Italia la valutazione dell’impatto ambientale dell’agricoltura biologica è stato affrontato pochissimo. E allora come farsi un’idea? Da diversi studi europei sull’argomento sono state tratte alcune conclusioni (Raffaele Zagnoli, Rivista di politica agraria n. 6 del 2000). Ecosistema: l’agricoltura biologica ha un impatto ambientale inferiore rispetto a quella convenzionale sulla diversità della fauna e della flora. E in teoria, genera una maggiore biodiversità. Suolo: diversi studi hanno dimostrato che l’agricoltura biologica ha un impatto positivo sulla fertilità dei terreni. La sostanza organica è infatti maggiore nei terreni coltivati con l’agricoltura biologica. In questi terreni si è notata una maggiore attività biologica e una maggiore diversità a livello microbico. La maggiore copertura dei terreni garantita dagli schemi rotazionali ha un impatto positivo sull’erosione del solo, un aspetto particolarmente importante nel nostro Paese che ha diverse aree a rischio idrogeologico. Acqua: l’agricoltura biologica permette di ridurre l’infiltrazione dei nitrati nelle acque di falda, con un impatto positivo anche sulla qualità delle acque superficiali. Gli studi effettuati dimostrano che la perdita di nutrienti per unità di superficie è fino al 57% più bassa nei sistemi agricoli biologici rispetto a quelli convenzionali. Il calo è però più o meno lo stesso per unità di prodotto. L’agricoltura bio elimina il rischio di contaminazione delle acque di falda e superficiali con pesticidi e altre sostanze chimiche di sintesi. Clima e aria: gli studi in materia sono piuttosto scarsi anche se

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METTI DI POSSEDERE un’azienda agricola che produce erbe medicinali e la voglia di cercare per la salute una strada alternativa alla chimica. Aboca, una delle principali aziende italiane di prodotti naturali ha sede nella Valtiberina toscana, dove già dal 1200 si coltivano piante officinali. «Avevo 39 anni quando decisi di dare il via all’impresa – ricorda il presidente di Aboca Valentino Mercati -, non avevo esperienza nel settore né formazione, solo quella fatta da autodidatta e questo mi ha agevolato nell’agire senza condizionamenti». Tradizione, sfruttamento delle potenzialità del luogo, innovazione e ricerca: Aboca conta su una struttura interna di ricerca e collaborazioni con università e ospedali italiani e stranieri. Investe oltre tre milioni di euro l’anno in ricerca. I suoi prodotti sono presenti nelle farmacie e in selezionate erboristerie ed è iniziata l’espansione all’estero. L’azienda controlla 800 ettari di coltivazione biologica, un laboratorio S.P. chimico e due centri produttivi con 316 dipendenti e39 avventizi.

cora. Tutti prodotti biodegradabili dopo l’uso e quindi avviabili al compostaggio, oppure traspiranti e quindi adatti al contatto con la pelle. «Grazie al Mater-bi si realizza un circolo virtuoso – spiega Marco Versari, responsabile marketing di Novamont – le materie prime di origine agricola tornano infatti alla terra senza rilasciare sostanze inquinanti».

Acquisti bio? E l’ambiente ringrazia

Più biodiversità e terreno fertile

ABOCA: TRADIZIONE E TANTA RICERCA

vara che partendo da una materia prima vegetale, il mais non geneticamente modificato, ha creato il Mater-Bi, una bioplastica dalle molteplici applicazioni. Dal 1990, anno di fondazione dell’azienda, sono stati realizzati sacchi per la raccolta differenziata, shopper, pannolini e assorbenti, vari tipi di imballaggio, film per pacciamatura e molto altro an-

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valutazioni di esperti tendono a considerare inferiori i livelli di emissione per quasi tutti i gas serra (CO2, NO2 e CH4), oltre che ovviamente per i pesticidi. In un parere espresso dal Consiglio superiore dell’agricoltura nel 1999, si sostiene però la tesi opposta per gli allevamenti estensivi (ma non necessariamente bio). Salute e benessere degli animali: anche su questo argomento ci sono pochi studi. In generale quando i sistemi di allevamento biologico sono conformi alla normativa Ue la vita produttiva delle vacche da latte libere nei pascoli è più elevata rispetto a quella delle sorelle costrette a stare nelle stalle.

Meno consumo di energia Uno studio condotto in Germania (Bioagricoltura, marzo-aprile 2005) ha messo a confronto 18 aziende agricole (allevamenti da latte con seminativi) dimostrando il minor consumo energetico della produzione biologica: 6,8 gigajoule per ettaro rispetto ad un consumo medio delle aziende intensive di 19,4 gigajoule per ettaro, determinato dal ricorso a energia fossile per gli impianti di essicazione del foraggio e all’uso di fertilizzanti azotati. Altri studi in Iran e in Finlandia sono giunti a conclusioni analoghe.

Frutta e verdura più nutrienti. Ma quanto? Anche nel campo nutrizionale le ricerche condotte in Italia sui prodotti bio sono poche. Tra le ultime citate dalle pubblicazioni di settore (fonte: “AZ Bio”, ottobre-novembre 2005, p. 9), interessante quella condotta dal centro studi e ricerche di vitaminologia del Dipartimento di biochimica dell'Università degli studi di Bologna, che insieme a un’azienda agricola della provincia di Ancona, ha sviluppato un olio extravergine in grado di ostacolare l'insorgere dell'osteoporosi, una delle patologie più diffuse del tessuto osseo. Ma nel resto d’Europa che cosa si dice? Si nota una certa diversità di vedute. Gli ultimi studi del Darcof (rete danese di ricerca per l'agricoltura biologica, www.darcof.dk) hanno sostenuto che le tecniche di alimentazione animale utilizzate nelle fattorie biologiche assicurano un più elevato livello di vitamina E e di altri antiossidanti nel latte. Il Food Centre dell’Università di New Castle ha illustrato varie ricerche che mostrano l'incremento nella frutta e nella verdura biologica di nutrienti secondari (come antiossidanti, vitamine, flavonoidi polifenoli) utili per migliorare i meccanismi naturali di resistenza alle malattie. Più cauta l’Afssa. Secondo l’Agenzia francese per la sicurezza ali-

mentare, è vero che nei cibi bio c’è una maggiore quantità di polifenoli. Ma, più in generale, le differenze nutrizionali tra cibi convenzionali e bio sono poco significative. La scelta di preferire il biologico, dunque, si giustificherebbe soprattutto per l’assenza di antiparassitari. Secondo Sergio Maria Francardo, medico antroposofo, studi condotti in Germania e in Svizzera dimostrerebbero che l’aspetto più interessante degli alimenti biologici è quello “dinamico”. «Nei cibi prodotti con l’agricoltura biologica e biodinamica tutti i fattori nutritivi, come la vitamina C e il betacarotene, hanno dimostrato una maggiore capacità di resistenza nel tempo – dice Francardo - mentre nei cibi convenzionali molte sostanze vengono perdute nel periodo che intercorre tra la raccolta e l’arrivo in tavola». Nel corso della sua esperienza professionale ha riscontrato che i bambini piccoli nutriti con cibo biologico si ammalano meno e sviluppano meno allergie. Alle stesse conclusioni, dice il medico antroposofo, sarebbe giunto uno studio condotto in Svezia e pubblicato sulla rivista scientifica Lancet.

Progetti bio nel Terzo Mondo Agricoltura bio contro la povertà. È questa la conclusione a cui è giunto uno studio dell’Ifad (International fund agricultural development), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del Fondo internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura, sulla base di diversi progetti di agricoltura biologica portati avanti nell’America Latina e nei Caraibi. L’indagine condotta in Argentina, Messico, Guatemala, Costa Rica, Repubblica Dominicana e Salvador nel periodo 2000-2002 ha coinvolto oltre 5mila produttori, comprese otto comunità indigene e circa 9.800 ettari di terreno. Le coltivazioni interessate sono state quelle della canna da zucchero, del caffé, delle banane, degli ortaggi, del cacao e del miele. Gli agricoltori “convertiti al bio” hanno assistito a un incremento del loro reddito dal 22% in più ottenuto dai dominicani con le banane al 150% dei produttori di cacao in Costa Rica. In tutti i casi la conversione al bio ha causato una crescita dei costi per la manodopera (l’agricoltura biologica necessita di più lavoratori rispetto a quella tradizionale) e un calo della produttività del terreno, ma il tutto è stato compensato dal prezzo più alto di vendita dei prodotti rispetto a quello normale. Oltre ai vantaggi economici, l’Ifad ha anche riscontrato un miglioramento delle condizioni di salute (dovuto all’abbandono totale dei pesticidi), dell’ambiente (hanno aiutato a conservare l’integrità di foreste e della biodiversità) e nella gestione più sostenibile del terreno.

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Colin G. Honess

Il professionista della truffa off shore di Paolo Fusi

E STATE PER COSTITUIRE UNA SOCIETÀ OFFSHORE ALLE BAHAMAS, non lo fate da Colin G. Honess. Non tanto per il fatto

S

NOVAMONT

che in alcuni casi, conclusisi dopo anni di battaglie processuali, costui abbia contribuito a far sparire oltre 300 milioni di dollari dei propri clienti. Di simpatiche canaglie, specializzate a truffare i truffatori, ce n’è a bizzeffe anche più spregiudicati (e pericolosi) di questo signore un po’ tedesco, un po’ americano, un po’ giamaicano, un po’ napoletano, che da oltre un quarto di secolo vola di fiduciaria in fiduciaria combinando sfracelli. Il motivo per cui Honess è divenuto pericoloso è legato all’11 settembre del 2001. Si era appena conclusa (con un compromesso) una lunga causa civile negli Stati Uniti tra lui ed un gruppo di suoi clienti, ed Honess si prestava, il gigione, per interviste sui soldi riciclati dal crimine organizzato tra le Isole Cayman, le Isole Vergini, le Isole Bahamas e via discorrendo. Sorridendo raccontava ai giornalisti americani di migliaia di miliardi volanti, frutto dei ricatti, dei prestiti a strozzo, del traffico di droga, di schiavi, di diamanti, di armi. Insieme ad un suo socio di nome Gottfried (Geoffrey per gli amici) Jurick, anche questo metà tedesco e metà americano, Honess aveva gestito per un decennio una banca fasulla, la Fidenas Bank. La banca era registrata a Nassau (Bahamas) ma, in realtà, gli uffici erano a Zurigo. E di lingua tedesca erano la maggior parte dei clienti raggirati dalla Fidenas – banca svizzera senza avere la licenza per esserlo, banca bahamense impegnata nelle truffe sui pennystocks, usati per finanziare affari misteriosissimi. Sulla Fidenas nessuno ha mai fatto luce. Quando i clienti presentarono denuncia alla procura distrettuale di Zurigo, nel 1994, La Fidenas Bank, istituto fasullo le autorità elvetiche procedettero contro Jurick ed Honess per raccolta con sede a Nassau e uffici di risparmio senza licenza, ma non per truffa. Se i due faccendieri a Zurigo, ha fatto sparire centinaia di milioni di dollari fossero o meno i proprietari e veri conduttori della Fidenas, gli svizzeri attraverso i “penny stocks”, decisero di non volerlo sapere. La Commissione Federale delle Banche titoli a bassissimo prezzo ottenne la liquidazione delle società svizzere del gruppo, ma la struttura ha continuato ad esistere – fino all’11 settembre, per l’appunto. Nei giorni successivi all’attacco suicida alle Torri Gemelle vengono liquidate: la società di facciata di Nassau, la filiale di Zugo (Svizzera), due società panamensi con uffici a New York, Khartoum (Sudan), San’a (Yemen) e Mogadiscio (Somalia), e soprattutto la Centralinvest SA di Lussemburgo. Non che la cosa abbia interessato nessuno. Solo due o tre giornalisti ficcanaso, che avevano (invano) seguito la faccenda negli anni precedenti, si sono meravigliati della cosa. E sono andati a vedere cosa ci fosse dentro queste società del gruppo Fidenas. La prima scoperta è stata che la Fidenas non appartiene né a Jurick né a Honess. Merci, monsieur de Lapalisse. Appartiene piuttosto a due società, la AFA Holdings di Curaçao e la Nipon Investments di Panama, che a loro volta appartengono ad un leader politico dell’opposizione filoamericana degli Emirati Arabi Uniti ed alla famiglia del Re dell’Arabia Saudita. Cosa fanno costoro associati con un nugolo di truffatorelli da strada? Gestiscono conti e flussi di soldi su altre due banche di Nassau, la Akida Bank e la Bank Al-Taqwa. Hui. Due banche (sostengono le autorità americane, che le hanno inserite sulle liste nere dei supercattivi del mondo e poi le hanno aiutate a consumare la loro liquidazione nell’ombra) che sostengono finanziariamente Al-Qaida. Credete che questa informazione interessi qualcuno? No, nessuno. Né in Europa, né in America. Così ho deciso anch’io di dimenticarmene – fino al giorno in cui i Nani nei governi non rideranno più e tornerà ad esistere (almeno lui) il giornalismo.

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La corruzione che frena la crescita italiana >33 Parmalat, una class action dei risparmiatori Usa >36 Class Action, le regole in Europa e le possibilità in Italia >37

finanzaetica RAPPORTI SULLA RESPONSABILITÀ SOCIALE ANCORA INSODDISFACENTI SECONDO GLI STAKEHOLDER

NASCONO I “GAS” ANCHE PER ANDARE IN RETE

VENTI DOLLARI BASTANO PER ALIMENTARE UN SISTEMA WI-FI

POLEMICHE, PROTESTE E UN DOCUMENTARIO SU WAL-MART

CLAMORSO PROCEDIMENTO PER INSIDER TRADING CONTRO I VERTICI DI BANCA PROFILO

SEVEN UP MULTATA PER UN MILIONE DI DOLLARI

Il “Global Stakeholder Report 2005”, seconda ricerca biennale realizzata da Pleon (la più grande società europea nel campo della consulenza di comunicazione) è stato realizzato intervistando cinquecento lettori di rapporti aziendali, distribuiti in cinquantotto Paesi. La qualità dei rapporti delle imprese sulle loro politiche di responsabilità sociale sarebbe migliorata ma resta lontana dalle aspettative degli stakeholder. In particolare, il settore dei servizi finanziari e i loro analisti, investitori e azionisti, lamentano l’assenza di spiegazioni convincenti sulle ragioni dell’impegno nel campo sociale e della responsabilità d’impresa. Come ha osservato Mark Makepeace, amministratore del Gruppo FTSE (gli indici azionari elaborati dal “Financial Times”), i report sulla RSI sono ancora in una fase infantile. Ma anche altri stakeholder, non solo quelli finanziari, hanno spesso dubbi sulla credibilità di questi rapporti. Questo significa che molte imprese falliscono l’obiettivo di rafforzare la propria reputazione e la propria affidabilità. L’indagine di Pleon, citata dal sito rsinews.it, indica anche quelli che sono i temi di maggior interesse da parte dei fruitori dei rapporti sulla RSI: la gestione dei diritti umani, l’efficienza ambientale ed energetiche delle attività della compagnia, la salute e la sicurezza dei dipendenti. Il coinvolgimento dell’impresa nella comunità, comprese le donazioni, occupa solo il 27° posto, su 30, come tema importante per gli stakeholder. Ciò che importa sapere ai portatori d’interessi, è una convincente spiegazione di come si traduce, nel concreto operare dell’impresa, il suo impegno di responsabilità sociale nei confronti delle persone e dell’ambiente. Le iniziative filantropiche e la loro presenza nei report vengono considerate meno rilevanti, aggiuntive e non costitutive dell’essenza della responsabilità sociale d’impresa. Dall’indagine di Pleon emerge anche la crescente richiesta degli stakeholder (60%, contro il 48% di due anni fa) perchè la veridicità delle affermazioni contenute nei rapporti delle imprese sulla RSI siano verificate e certificate da un soggetto terzo indipendente, cosa che non viene fatta nella maggior parte dei casi.

“Gruppi d’acquisto” che possano acquistare “all’ingrosso” telefonate e connessioni internet. L’idea è quella di creare piccole realtà autogestite che possano offrire servizi internet alle stesse condizioni dei grandi operatori delle telecomunicazioni, dirottando parte dei costi di connessione su reti alternative, gestite con criteri di trasparenza ed eticità. L’obiettivo? Introdurre almeno negli ultimi anelli della “filiera internet” delle iniziative di economia solidale. Alla fine tutti devono passare da Telecom, che gestisce le grandi “dorsali” su cui viaggiano i bit e le telefonate, ma almeno una piccola fetta delle spese di connessione può essere indirizzata verso iniziative di solidarietà. Tra i soggetti che hanno realizzato questo tipo di iniziative c’è la “Rete di Lilliput”, nata sull’onda della protesta di Seattle, che ha attivato già da tempo, attraverso il sito web lillinet.org, servizi di connessione dialup. Wwf, l’Amref, l’Anlaids e la Lega Antivivisezione hanno stipulato accordi con il provider Solidale.org, e l’Associazione Botteghe del Mondo ha stipulato una convenzione con il fornitore di servizi Adsl Livecom. Anche l’associazione PeaceLink, che dal 1992 realizza attività di telematica solidale, sul sito peacemail.it offre un servizio di connessione dialup inaugurato da un utente d’eccezione, il missionario comboniano Alex Zanotelli.

Un innovativo mini-generatore eolico in grado di alimentare sistemi wireless è stato presentato sulla rivista Nature. Realizzato dal professor Shashank Priya, docente presso la University of Texas, il dispositivo dovrebbe produrre circa 7,5 milliWatt con soli 16 km/h di vento, una potenza sufficiente per alimentare dei kit Wi-Fi, posizionabili anche in località remote per monitorare condizionali ambientali. Lo riferisce l’informatissimo sito italiano “punto-informatico.it”. All’inizio dell’anno, Prya aveva redatto un articolo per Japan Journal of Applied Physics che sottolineava i possibili campi di applicazione per una soluzione tecnologica di questo genere. «Un mini-sistema eolico è in grado di risolvere molti problemi legati alla distanza dai centri urbani e dalle sorgenti elettriche convenzionali. Anche i geologi potrebbero monitorare l’attività sismica di località impervie utilizzando sensori wireless, senza bisogno di sistemi di alimentazione di grandi dimensioni». Il sistema eolico dispone di pale dagli ingombri estremamente limitati, di dimensioni non superiori a dieci centimetri. Il cuore del sistema è rappresentato da un’unità di cristalli piezoelettrici (simili alla pietrina degli accendini) che con la rotazione dell’asse eolico permettono la generazione di energia. Il costo del prototipo è di soli venti dollari.

Anche su Wal-Mart non accennano a placare le polemiche. Il “New York Times” ha pubblicato un documento interno relativo ai costi dell’assistenza sanitaria dei dipendenti e ad altri benefit. Il documento dell’azienda suggerisce come contenere i costi sostenuti dalla compagnia, minimizzando i danni alla propria reputazione. Tra i suggerimenti indicati vi è quello di aumentare il ricorso al part-time e quello di scoraggiare dal lavorare a Wal-Mart le persone non in buona salute, prevedendo che tutti i lavori includano una certa attività fisica, come la raccolta dei carrelli da parte delle cassiere. Una bozza del memorandum, preparato da Susan Chambers, vice-presidente esecutivo per i benefit di Wal-Mart, con la consulenza di McKinsey & Company, era stato inviato anonimamente a “Wal-Mart Watch”, un gruppo no-profit vicino ai sindacati. Il “New York Times” ha chiesto e ottenuto, da Wal-Mart la versione ufficiale definitiva, che sarà discussa il prossimo mese dal consiglio d’amministrazione. Negli Usa è stato presentato il documentario di Robert Greenwald, intitolato “Wal-Mart: The High Cost of Low Price”. A supporto di una campagna contro le condizioni di lavoro nella grande catena statunitense, oltre 400 organizzazioni hanno organizzato in tutto il Paese decine di manifestazioni di protesta davanti ai centri di Wal-Mart.

Un altro caso di insider trading all’italiana. Sandro Capotosti, presidente e maggiore azionista di Banca Profilo, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver utilizzato informazioni riservate per un indebito guadagno, pari a 5,235 miliardi di vecchie lire. L’accusa gli è stata mossa dal sostituto procuratore della repubblica di Milano Carlo Nocerino e coinvolge anche tre azionisti manager della banca privata: i vicepresidenti Arnaldo Grimaldi e Marco Manara e l’amministratore delegato Nicolò Angileri, tutti difesi dall’avvocato Giuseppe Chiaraviglio. I fatti risalgono alla fine del 2000: Nocerino, nel decreto di citazione diretta a giudizio, dice che i quattro hanno ottenuto, direttamente da “soggetti qualificati”, nella fattispecie l’allora responsabile del settore partecipazioni e l’amministratore delegato della venditrice Banca Intesa, «informazioni privilegiate circa l’imminente cessione, al prezzo minimo di 1.300 miliardi, del 55% del capitale della Banca di Legnano, società quotata sul mercato azionario telematico (Mta) con conseguente, prevedibile aumento della quotazione del titolo». Capotosti e gli altri manager della Banca Profilo hanno «concordemente deciso e attuato, dal 14 al 19 dicembre del 2000, data di sospensione del titolo, l’acquisto di n.579.500 azioni della Banca di Legnano, pari all’1,1% del capitale, per poi rivenderle nel giorno stesso di diffusione della notizia sui principali organi di stampa, con ciò realizzando un profitto complessivo di 5,235 miliardi di lire». Parti offese nel processo sono Consob e Banca Popolare di Milano, che rilevò la Legnano da Intesa.

La società che imbottiglia anche il celebre marchio 7-UP ha chiuso con un patteggiamento con l’Environmental Protection Agency (EPA) statunitense una causa per aver inquinato le acque, sversando sostanze acide con potere corrosivo, da due suoi impianti californiani, a Vernon e Buena Park. La multa concordata è di un milione di dollari. Si tratta della sanzione più alta sinora comminata ad un’azienda d’imbottigliamento di soft-drinks. Dopo tre anni d’indagini, alla compagnia è stata comminata una sanzione penale di 600.000 dollari e una civile di 428.250 dollari, relativamente a dodici violazioni del Clean Water Act. Il patteggiamento prevede anche che l’azienda debba nominare un direttore ambientale, installare un nuovo sistema di trattamento degli scarichi in uno dei due impianti, approvare un piano di controllo e d’ispezioni in entrambe le installazioni e inviare all’EPA rapporti trimestrali. In base al Clean Water Act, le imprese che commettono violazioni di carattere penale non possono ottenere contratti federali. Per evitare questa sanzione accessoria,la società (di proprietà congiunta di Cadbury Schweppes e Carlyle Group) ha accettato di sviluppare un ampio programma ambientale, che prevede ispezioni e una “hotline”, dove i lavoratori possano denunciare anonimamente eventuali violazioni ambientali e di sicurezza.

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| corruzione | finanzaetica | MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS

La crescita italiana frenata dalla corruzione Il livello di corruzione percepito in Italia è molto più elevato rispetto a quello dei maggiori Paesi industrializzati. È un dato che ha forti ripercussioni economiche e sociali. Lo dimostra l’ultimo libro degli economisti Marco Arnone ed Eleni Iliopulos, che hanno analizzato in modo sistematico i costi della corruzione. di Mauro Meggiolaro

«I I dolcificanti sintetici sono spesso utilizzati per insaporire i cibi della grande ristorazione. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ne ha sottolineato i rischi.

Zurigo, 1997 / Minehead, 1998

> Cibo

L GOVERNO ITALIANO È CORROTTO E DISCREDITATO, incapace di effettuare riforme. (…) La politica di rigore che aveva accompagnato l’entrata nell’Euro è fallita. (…) Il Paese rischia di uscire dall’Unione Monetaria». A scriverlo non è un giornale dell’opposizione, né un volantino di qualche gruppo radicale. È Italy dissolution (La dissoluzione dell’Italia), l’ultimo rapporto sul nostro Paese di Lombard Street Research, uno dei più accreditati istituti di analisi economica della city londinese. Un report che viene letto da investitori, manager e businessmen di tutto il mondo. L’impressione di Lombard Street è confermata dall’Indice di Percezione della Corruzione 2005 (vedi BOX ), pubblicato a metà ottobre da Transparency International, una ONG che studia il modo in cui è percepita la corruzione in più di 150 Paesi. L’indice viene costruito intervistando alcune migliaia di analisti politici, accademici, giornalisti, imprenditori, uomini d’affari nazionali e stranieri. L’Italia è al 40° posto, in compagnia di Ungheria e Corea del Sud, staccata di almeno venti posizioni dai maggiori Paesi industrializzati. Il Corruption Perception Index (CPI) è una sommatoria di percezioni, ma non per questo deve essere sottovalutato. «Le percezioni degli agenti economici sono fondamentali nella formulazione delle decisioni di investimento», spiega Marco Arnone, docente di economia all’Università del Piemonte Orientale, per cinque anni funzionario al Fondo Monetario Internazionale. Nel suo ultimo libro “La corruzione costa” Arnone dimostra che esiste una correlazione ben precisa tra il livello di corruzione di un Paese e una serie di variabili economiche e sociali. Prendiamo per esempio gli investimenti provenienti da operatori stranieri, i cosiddetti investimenti diretti esteri (IDE). Si tratta di capitali esteri destinati ad attività di medio-lungo periodo che, a differenza degli investimenti finanziari, presentano un basso grado di liquidità: Marco Arnone. stabilimenti industriali, infrastrutture, nuove tecnologie professore universitario, ecc. Dati i vincoli temporali associati a queste attività, ha studiato in Italia, Gran Bretagna gli investitori devono considerare con particolare attene Usa. Editorialista zione tutti i possibili rischi che l’ambiente economico di Avvenire, è coautore di “La corruzione costa” comporta. Ed è qui che entrano in gioco i costi legati alcon E. Iliopulos (2005). la corruzione. Quanto dovrò aspettare per ottenere la concessione edilizia? Che probabilità c’è che l’appalto sia truccato? Chi e quanto dovrò pagare per ottenere eventuali favori? È anche in base alle risposte che ottengono da queste domande che gli operatori internazionali decidono se investire in Italia o in Germania, in Grecia o in Spagna. Come si vede dal GRAFICO 2 i Paesi in cui il livello di corruzione è più basso sono caratterizza-

garantire “Bisogna il rispetto delle norme, come si era iniziato a fare all’inizio degli anni novanta

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| finanzaetica | CORRUZIONE PERCEPITA E PERSISTENZA, 1995-2004

L’INDICE DI PERCEZIONE DELLA CORRUZIONE

GRAFICO 1

Paesi industrializzati Paesi emergenti Italia

9

1

7,8

8

7,6

2

7,8

0 7,8

,81

7

7,8

3

7

,93

1

7,7

7,8

7,9

7

8 7

0

5,5

3 5,0

2,9

4

5

3

,42

3 3,8

0 4,6 9 4,0

0 4,7 1 4,1

0 4,6 2 4,0

4

,24

6 5

9

4,0

4

4,0

4

9 3

La percezione più elevata si ha invece in Ciad e Bangladesh (1.7), Turkmenistan, Myanmar e Haiti (1.8). Il punteggio medio dei Paesi avanzati è di circa 8 punti. La media dei Paesi emergenti è intorno ai 4 punti. L’Italia è al 40° posto con 5 punti. Come si vede dal GRAFICO 1 , il nostro Paese è partito da un livello di corruzione molto elevato nel 1995 (2.99), per poi migliorare notevolmente tra la fine degli anni novanta e il 2001 (5.50). Il miglioramento è da imputare soprattutto all’azione di “mani pulite”. I cambiamenti portati dal movimento di lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione non sono stati però sufficienti a modificare le istituzioni dello Stato in modo profondo. Di conseguenza il punteggio dell’Italia si è stabilizzato attorno a valori prossimi al 5. M.M. Tre punti sotto alla media dei Paesi avanzati.

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2 1 1995

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stima che all’aumento “Si di un punto percentuale dell’indice di corruzione, gli investimenti diretti esteri subiscono una diminuzione dell’undici per cento

ti da un rapporto maggiore degli IDE sul PIL. Ciò significa che gli investitori internazionali sembrano preferire effettivamente gli Stati meno corrotti come destinazione delle loro attività meno liquide. «Si stima che il peggioramento di un punto dell’indice di corruzione comporti una diminuzione degli investimenti diretti esteri dell’11%», precisa Arnone. «Ciò ha conseguenze profonde sull’economia di un Paese. Gli IDE stimolano la crescita, sono un mezzo importante per finanziare investimenti che non sarebbero possibili senza comprimere i consumi interni». Più corruzione, meno investimenti dall’estero. Ma anche meno competitività, costo maggiore del credito, minori introiti fiscali, maggior numero di giorni necessari per dare inizio a un’attività imprenditoriale. Sono solo alcune delle relazioni di cui è stata accertata l’evidenza empirica.

1998

FONTE: ARNONE - ILIOPULOS, LA CORRUZIONE COSTA, VITA E PENSIERO, 2005. ELABORAZIONE DEGLI AUTORI SU DATI TRANSPARENCY INTERNATIONAL E BANCA MONDIALE

Gli Stati in cui la corruzione è meno percepita sono: l’Islanda (9.7), la Finlandia e la Nuova Zelanda (9.6), la Danimarca (9.5), Singapore (9.4), la Svezia (9.2) e la Svizzera (9.1).

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CORRUZIONE ED INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI, 2002, PAESI AVANZATI GRAFICO 2 [IDE/PIL US$ ] 0,08 IDE/PIL US$ [Investimenti diretti esteri sul PIL; 0,01=1%] 0,07 CPI [Indice di percezione della corruzione] SI 0,06 CPI = 10 Assenza di corruzione PAEASSI B LIA 0,05 A T CPI = 0 Massimo livello I di corruzione 0,04 0,03 A I C GRE 0,02 0,01 0 [CPI]

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Se i costi economici sono elevati, non sono meno rilevanti i costi sociali. La corruzione ha un effetto perverso sull’allocazione della spesa pubblica e tende a favorire i settori dove ci sono maggiori possibilità di ottenere ingenti profitti illegali. Come i lavori pubblici, la difesa, l’estrazione di petrolio e gas. Il tutto a scapito dell’istruzione e della sanità con conseguenze pesanti sulla vita quotidiana delle persone. Com’era facile immaginare, alti livelli di corruzione sono generalmente associati a bassi livelli di spesa pubblica per la sanità ( GRAFICO 3 ) e per l’istruzione. A sua volta, un basso livello di istruzione è anche uno dei fattori che permettono a un sistema corrotto di perpetuarsi. «Cittadini poco istruiti sono elettori meno consapevoli, meno attenti all’operato delle istituzioni e delle autorità di garanzia», spiega Marco Arnone. Il problema principale dell’Italia

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GRAFICO 3 CORRUZIONE E SPESA PUBBLICA PER LA SANITÀ, PAESI AVANZATI 11 CPI [Indice di percezione della corruzione] 10 CPI = 10 Assenza di corruzione 9 CPI = 0 Massimo livello di corruzione 8 7 6 5 4 LIA ITA 3 CIA 2 GRE [ Spesa pubblica per la sanità, %PIL ] 1 0 2 4 6 8 10

sembra essere proprio questo. «Il 55% della popolazione ha al massimo la terza media, siamo il Paese occidentale con meno ricercatori sul totale degli occupati, la classe politica e la pubblica amministrazione hanno una formazione inadeguata», continua Arnone. Se aggiungiamo la lentezza del sistema giudiziario, l’elevata discrezionalità dei politici e l’inefficienza dei meccanismi di supervisione e controllo otteniamo un ambiente ideale nel quale la corruzione può continuare a prosperare. «In un contesto del genere è urgente un cambio di rotta. Le classi dirigenti devono riprendere con serietà la missione di lotta contro la corruzione cominciata all’inizio degli anni novanta. Bisogna tornare a garantire il rispetto delle norme». Al contrario, la dissoluzione economica e sociale del Paese sarà sempre più difficile da evitare.

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LIBRI

Marco Arnone Eleni Iliopulos La corruzione costa Effetti economici, istituzionali e sociali Edizioni Vita e Pensiero, 2005

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FONTE: ARNONE - ILIOPULOS, LA CORRUZIONE COSTA, VITA E PENSIERO, 2005. ELABORAZIONE DEGLI AUTORI SU DATI TRANSPARENCY INTERNATIONAL

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Ai Paesi viene attribuito un punteggio: 0 = percezione massima della corruzione, 10 = percezione minima. Il CPI 2005 comprende 159 Paesi. Di questi più di 2/3 hanno ottenuto un punteggio inferiore a 5. Un risultato che indica la presenza di seri livelli di corruzione nella maggioranza dei Paesi analizzati.

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FONTE: ARNONE - ILIOPULOS, LA CORRUZIONE COSTA, VITA E PENSIERO, 2005. ELABORAZIONE DEGLI AUTORI SU DATI ONU, HUMAN DEVELOPMENT REPORT 2004, E TRANSPARENCY INTERNATIONAL

IL CORRUPTION PERCEPTION INDEX (CPI, Indice di Percezione della Corruzione) classifica i Paesi in base al grado in cui viene percepita la corruzione dei politici e degli amministratori pubblici da parte di migliaia di analisti, accademici, giornalisti, uomini d’affari, manager residenti e non negli Stati oggetto dell’indagine. È elaborato ogni anno da Transparency International (TI), una ONG fondata nel 1993 che ha sede a Berlino ed è presente in 90 Paesi. L’indice raccoglie i risultati di 16 sondaggi condotti da 10 istituzioni indipendenti (Columbia University, Economist Intelligence Unit, Freedom House, World Economic Forum, ecc.).

[INDICE CRESCENTE AL DIMINUIRE DELLA CORRUZIONE PERCEPITA]


| finanzaetica | Parmalat |

| finanzaetica |

Una causa collettiva a New York che potrebbe fare scuola A Parma si riconferma Bondi mentre, negli Stati Uniti, i risparmiatori sperano in un risarcimento con una class action. Dopo il crack da 900 milioni di euro della società italiana, i depauperati risparmiatori stranieri sembrano confidare più nella class action che nella buona volontà del risanatore Bondi.

sistiti dall’associazione Altroconsumo e da Deminor, società di consulenza specializzata in corporale governance, fin dall’anno scorso, ha avviato una class action presso il tribunale di New York. Si tratta di un’azione legale di gruppo, tipica del diritto statunitense, in forza della quale vengono aggregate le pretese di singoli soggetti purché abbiano degli elementi comuni: gli interessi da tutelare insomma devono essere diffusi e omogenei. Ultimamene negli Usa si comincia a mettere in discussione questa azione a causa degli abusi che si stanno registrando. Qualche mese fa, per esempio, il più famoso studio legale americano di class action, il Milberg Weiss di New York, è stato accusato di avere illegalmente pagato alcuni soggetti per iniziare l'azione visto che, secondo la legge americana, almeno un appartenente al gruppo deve agire per dare il via alla causa. A scoperchiare lo scandalo è stata la scoperta che tale Cooperman avrebbe svolto il ruolo di denunciante in almeno 60 cause poi promosse dallo studio Milberg. «Nel 1995 però per arginare gli eccessi e per frenare lo strapotere degli avvocati - precisa Umberto Mosetti, professore di economia della legge all'Università di Siena e partner italiano di Deminor, «è stato approvato il Private Security Litigation Act in forza del quale viene nominato lead plantiff, cioè attore, chi ha subito il danno maggiore. Inoltre è di quest’estate un altro provvedimento legislativo molto controverso che stabilisce il trasferimento automatico alla corte federale per quei procedimenti che vedono coinvolti interessi presenti in più stati. Questo perché alcune class action, soprattutto in materia di danno ambientale, venivano presentate a livello statale scegliendo le Corti che apparivano più sensibili alle esigenze dei consumatori. Il procedimento relativo a Parmalat, a cui sono stati ammessi anche i risparmiatori non statunitensi, in base al Sarbanes Oxley Act del 2002, si è avviato ufficialmente il 21 maggio scorso presso la Corte del Southern District di New York. Il giudice Lewis A. Kaplan ha designato come rappresentanti della britannica Hermes Focus Asset Management e quattro persone fisiche, per gli azionisti, ed un gruppo d’investitori istituzionali, Cattolica Partecipazioni spa, Capital & Finance e Soltrat, per gli obbligazionisti. Con l’assistenza degli studi legali Cohen, Milstein, Hausfeld & Toll, Spector, Roseman & Kodroff, e Grant & Eisenhofer e con Deminor come advisor è stato elaborato il consolidated complain, il documento cioè in cui vengono riunite le citazioni e si avanzano le argomentazioni giuridiche per cercare di ottenere un risarcimento del danno a favore degli investitori. In questo caso gli investitori sono stati inte-

IDENTIKIT E DIFFUSIONE IN EUROPA MENTRE NEGLI STATI UNITI è ormai un pilastro consolidato nel panorama dei diritti dei consumatori, in Europa sta prendendo piede solo ultimamente l’idea che un’azione di tutela collettiva con le caratteristiche della class action nordamericana. La class action è un istituto del processo civile che consente di aggregare le pretese di singoli soggetti, qualora queste pretese abbiano degli elementi comuni. Nel caso del fallimento della Parmalat e dell’inadempimento nel pagamento delle obbligazioni, per esempio, i titolari di queste obbligazioni, grazie alla class action hanno attivato un intervento della corte, con un’azione unica rendendo così il procedimento più rapido ed efficiente visto che la class action consente di risolvere con una decisione sola più questioni.

di Francesca Paola Rampinelli

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ENTRE IN ITALIA IL “MAGO RISANATORE”

da 90 milioni di euro (tale si vocifera essere il suo compenso), Enrico Bondi, dopo aver riportato Parmalat in Borsa, è stato riconfermato ai vertici della società, negli Stati Uniti prosegue l’iter della class action che dovrebbe riportare qualcosa nelle tasche degli investitori, che sinora non hanno visto tornare un centesimo nonostante il brillantissimo operato del manager toscano. In realtà a qualcuno qualche dubbio sull’operato di Bondi era sorto tanto che, alla vigilia dell’assemblea che si è svolta l’8 novembre scorso a Parma, Intesaconsumatori, che si è costituita parte civile al processo di Milano con oltre 7 mila deleghe, ha dichiarato la sua intenzione di non partecipare «all’inutile rito assembleare» indetto «per incoronare il salvatore Bondi che, con i rimborsi sotto il 18% in media a 135mila risparmiatori tra azionisti ed obbligazionisti, ha fatto peggio dell'Argentina, che ha rimborsato il 25% del capitale investito». Eppure, dopo qualche timore dell’ultimo momento causato dal meccanismo del nuovo art 2368 del codice civile, che regola le assemblee societarie, in forza del quale le astensioni vengono valutate come un voto contrario, le liste presentate dal commissario straordinario sono state approvate. Bondi dunque è di nuovo in sella. Ufficialmente a richiedere la permanenza del commissario ai vertici di Parmalat sono stati dieci fondi internazionali che hanno depositato le due liste, una per il consiglio di amministrazione e una per il collegio sindacale tra cui spicca il nome di Lehman Brothers International (Europe) e di Lehman Brothers Bankhaus AG. Nel nuovo cda, che resterà in carica fino all'assemblea di approvazione del bilancio al 31/12/2007 compaiono nomi altisonanti della finanza italiana da Vittorio Mincato (indipendente) a Marco De Benedetti (indipendente). La lista, formata da Bondi, comprende poi Raffaele Picella, Piergiorgio Alberti, Andrea Guerra (indipendente), Carlo Secchi (indipendente), Massimo Parmalat balza alle cronache Confortini (indipendente), Marzio Saa (indipendente), nel febbraio 2004 Erder Mingoli (indipendente), Ferdinando Superti Furcon l’arresto di Stefano e Francesca Tanzi, ga (indipendente). I membri del consiglio sindacale infigli dell’ex patron vece sono Alessandro Dolcetti, Enzio Bermani, Mario Calisto, accusati di distrazioni per 900 Magenes, Massimo Di Terlizzi e Marco Lovati.

«Indiscutibile fiducia» in Bondi per gli investitori stranieri ma anche una Class Action per i risparmi

milioni di euro.

Class action in Usa

«Tre sono i principi fondamentali tutelati da questo tipo di strumento giuridico», afferma Umberto Mosetti, professore di economia della legge all'Università di Siena e partner italiano di Deminor, advisor dei coordinatori della causa collettiva Parmalat. «Intanto bisogna considerare il principio equitativo in forza del quale anche il più piccolo danneggiato, che da solo certamente non agirebbe, viene tutelato nella stessa maniera di chi ha magari perso molto; poi viene in causa il principio di efficienza per cui, se con un unico procedimento si ottiene una soluzione valida, non si intasano i tribunali; infine, ed è fondamentale, il principio di deterrenza fa sì che chi rischia di produrre danni starà ancora più attento visto che con questa azione, a prescindere dal numero di soggetti che fa causa, va risarcito l’intero danno prodotto». In Italia il disegno di legge relativo a questo tipo di azione si è arenato durante l’iter parlamentare, ma nel resto del vecchio continente già Spagna, Norvegia, Svezia, Russia, e Ucraina hanno già adottato legislazioni che ricalcano il modello dell’azione collettiva. In Francia è attualmente all’esame una proposta di legge, mentre in Germania con una legge del luglio scorso è stata introdotta una particolare azione “di classe” per le cause nascenti dal mercato finanziario. Questa procedura può essere attivata per le azioni di risarcimento per i danni causati da inesatte, ingannevoli, omesse informazioni o comunicazioni relative ai mercati di capitali e per ottenere il rispetto degli adempimenti derivanti da un'offerta di acquisto o trasferimento di azioni. La legge tedesca prevede che venga scelta una causa pilota tra tutte quelle proposte dai singoli investitori, la quale viene decisa dalla Corte d'appello competente, che stabilisce il principio di diritto che sarà poi preso come base per le altre pronunce.

Intanto, nonostante “l’indiscutibile fiducia” nell’operato del manager toscano un gruppo di investitori, as| 36 | valori |

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IN ITALIA, COME NEL RESTO D’EUROPA, si sta formando un consenso sempre più diffuso nei confronti della class action. Eppure, nel nostro Paese, l’iniziativa legislativa che era stata avviata sulla scorta della necessità di tutelare maggiormente i risparmiatori coinvolti nei crolli di Cirio e Parmalat si è arenata a metà strada. La Camera dei Deputati aveva infatti già approvato un disegno di legge sull’azione collettiva che però è stato poi bocciato al senato. Il testo prevedeva una versione della class action che si discostava da quella americana soprattutto perchè l’azione non avrebbe dovuto essere promossa dal singolo e poi in pratica gestita dagli avvocati, ma l’iniziativa doveva spettare alle camere di Commercio, alle associazioni dei consumatori e a quelle di categoria. Secondo il progetto (non approvato) del Ddl 3838, dunque, queste associazioni possono richiedere la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione delle somme dovute direttamente ai singoli consumatori. La richiesta può essere avanzata in seguito ad atti illeciti compiuti in materia di credito al consumo, rapporti bancari e assicurativi, strumenti finanziari, servizi di investimento e gestione collettiva del risparmio. Con la sentenza di condanna il giudice deve determinare i criteri in base ai quali fissare la misura dell'importo da liquidare in favore dei singoli utenti ma può anche essere sottoscritto dalle parti un accordo transattivo sotto forma di conciliazione. Nonostante la proposta di legge si sia arenata al senato, nel nostro Paese qualche passo avanti per affermare il principio dell’azione collettiva arriva direttamente dai singoli giudici. A Genova, infatti, all’inizio di settembre, si è conclusa la prima causa costruita sul modello della class action americana. Un gruppo di oltre un centinaio di risparmiatori coinvolti nel crollo dei bond Parmalat hanno fatto causa alla Cassa di risparmio di Genova e Imperia e insieme hanno ottenuto un risarcimento di 230 mila euro. Il giudice ha infatti stabilito che l'istituto di credito, nella sua qualità di “professionista finanziario”, è tenuto ad una particolare diligenza nella tutela del consumatore e nel caso di specie le obbligazioni olandesi di Parmalat erano prodotti finanziari rischiosi, che non potevano essere venduti con le clausole di rischio applicate normalmente agli investimenti.

si in senso lato e cioè: gli azionisti (che nel piano di ristrutturazione Parmalat sono esclusi), gli obbligazionisti (inclusi invece nel piano Bondi) e gli ex-obbligazionisti (quelli che avevano comprato i bond quando la Parmalat sembrava in buono stato e li hanno rivenduti dopo il crack). «L'idea della class action», afferma ancora Mosetti, «è nata ancora prima che la situazione precipitasse, quando alcuni investitori istituzionali si sono rivolti a noi per capire come tutelarsi al meglio nella vicenda. Man mano che il disastro mostrava le sue proporzioni, abbiamo pensato che la truffa era così diffusa da rendere preferibile proprio questo strumento. La causa collettiva americana infatti consente di raggiungere grandi efficienze sul piano processuale. Inoltre con la class action gli investitori non devono sostenere costi per avviare la pratica. Per di più un'eventuale sentenza di risarcimento riguarderà tutti gli appartenenti alla categoria e non solo chi ha promosso la causa». Va anche tenuto presente che, se le azioni penali hanno l'obiettivo di punire i responsabili e le azioni intraprese dal commissario straordinario hanno lo scopo di soddisfare le pretese dei creditori, la class action è invece ad esclusivo beneficio degli investitori.

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L’AZIONE COLLETTIVA IN ITALIA

Una causa, molti accusati L’azione proposta a New York era diretta contro Parmalat, sette dei suoi dirigenti, gli studi legali che la assistevano e le società di revisione Grant Thornton e Deloitte & Touch oltre che contro Citigroup, Credit Suisse, Bnl e Bank of America. Anche se la cifra esatta non è mai stata dichiarata esplicitamente i lead plantiff puntano ad ottenere un risarcimento pari a circa 8 miliardi di dollari. Ad agosto il giudice Kaplan del Tribunale di New York ha deciso di escludere dalla causa Bank of America: tuttavia dopo i ricorsi presentati alla fine dell’estate la questione è di nuovo in gioco e la decisione definitiva dovrebbe arrivare entro il prossimo gennaio. Sono state invece accolte in prima battuta buona parte delle richieste dei promotori della class action contro Citigroup Inc, Credit Suisse e Bnl. Per il momento Deminor considera già un notevole risultato la decisione del Tribunale che ha respinto le richieste di Deloitte Touche Tohmatsu e Grant Thornton International di essere esclusi dalla causa collettiva, sostenendo di essere sempre state entità legalmente separate dalle loro filiali italiane e quindi non responsabili per gli errori di queste ultime. Il giudice Kaplan ha rigettato questa tesi: «I promotori della class action hanno fornito sufficienti prove per dimostrare la relazione tra Grant Thornton International e la Grant Thornton Italia e la relazione tra Deloitte Touche Tohmatsu e la sua filiale italiana».

Utilizzato per la preparazione degli insaccati in tutto il mondo per contrastare il botulino e mantenere il colore delle carni, il nitrito di sodio (E250) è stato proibito in Svizzera.

Badminton, 1999 / Praga, 1998

> Cibo

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Antitrust

Barroso seppellisce i poteri del guardiano di Roberto Ferrigno

MARIO MONTI per aver messo sotto accusa grandi corporations quali Microsoft, Coca-Cola, IBM, ed aver addirittura impedito la fusione tra General Electric e Honeywell, saranno ormai consegnati alla storia, se i governi europei accorderanno il loro appoggio alla proposta della commissaria olandese Kroes di limitare drasticamente i poteri dell’Unione Europea nei riguardi dei colossi multinazionali che abusassero della loro posizione dominante. Un ulteriore segno di deferenza verso gli USA da parte della Commissione presieduta da Barroso, il gran cerimoniere dell’accordo tra Bush, Blair, Aznar e Berlusconi che, spaccando l’Unione Europea, aprì la strada all’invasione irachena. La commissaria Kroes - successore di Monti nel ruolo di guardiano della libera concorrenza nell’Unione Europea - è volata fino a New York lo scorso settembre per rassicurare Wall Street. Se tutto va secondo i suoi piani, portare sotto processo Bill Gates per aver monopolizzato il mercato del software mondiale (ed ottenerne la condanna con una multa da mezzo milione di Euro), come fatto dall’audace Super Mario non sarà più possibile. Il nodo della questione risiede nell’Articolo 82 del Trattato dell’UE che regola il regime di concorrenza, uno dei pilastri fondamentali del mercato unico. Secondo la Kroes - che è stata promossa commissario con riserva dal parlamento europeo proprio per un presunto conflitto d’interessi rispetto alla sua indipendenza di giudizio rispetto a questioni di concorrenza e libero mercato - l’Articolo 82 non è abbastanza chiaro nella sua formulazione, offrendo Bruxelles vuole limitare alla Commissione un potere di discrezione troppo grande i poteri dell’autorità garante nell’intraprendere procedure d’infrazione contro presunti della concorrenza, protagoniste delle battaglie contro monopolisti. In particolare, nel nuovo regime auspicato Microsoft, Coca-Cola, Ibm dalla Commissione, se un’azienda accusata di violare il regime di libera concorrenza potesse dimostrare che il suo comportamento abbia portato dei benefici ai consumatori, in termini di minor prezzo e maggior qualità del prodotto, allora l’accusa decadrebbe automaticamente. In ogni caso, la proposta elaborata dalla Kroes, renderebbe impossibile per un piccolo operatore accusare una multinazionale di violazione del regime di concorrenza, in quanto uno dei criteri di accettabilità di un ricorso alla Commissione sarebbe quello di dimostrare che i propri costi di produzione siano altrettanto "efficienti" (cioè minori) di quelli del presunto monopolista. Non è ancora chiaro come e quando i nuovi criteri di applicazione dell’Articolo 82 del Trattato EC illustrati dalla commissaria ad una deliziata platea di rappresentanti delle maggiori corporations statunitensi entreranno in vigore. Non è un segreto per nessuno che sia l’amministrazione Bush sia la pletora di "think-tanks" di stretta osservanza neocons, fioriti in gran numero negli ultimi anni sia a Londra sia Bruxelles, avessero deciso che Mario Monti fosse andato troppo oltre nella sua applicazione delle norme antitrust europee, soprattutto a scapito di corporations statunitensi. Il messaggio inviato a Barroso è stato raccolto. La libera concorrenza è una nobile aspirazione che va perseguita fino a quando non danneggia gli interessi dei grandi elettori repubblicani, in pratica tutte le grandi multinazionali americane. Sebbene rare, dispute del tipo Europa contro Microsoft sono "economicamente e politicamente pericolose" per le relazioni transatlantiche e, nel futuro, vanno evitate.

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MOMENTI DI GLORIA VISSUTI DA

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Ogoni, la lunga lotta contro i padroni del greggio >45 Ogoniland, una terra per il popolo del Delta del Niger >47 Credicop, la riscossa del credito cooperativo >48

internazionale ALCUNI TIMIDI PASSI POSITIVI NELLA LOTTA ALLA COLTIVAZIONE DELL’OPPIO IN AFGHANISTAN

BURKINA FASO INVASO DAL LATTE IN POLVERE

IL FUTURO DEL KOSOVO PASSA PER UN REALE DECENTRAMENTO

UN ALTRO COLPO AI DIRITTI CIVILI DAL SENATO USA

L’ESERCITO USA CONFERMA L’USO DI FOSFORO

DE BEERS VENDE AI DIPENDENTI NERI UN QUARTO DELLE ATTIVITÀ SUDAFRICANE

Il governo di Garzai ha dato inizio alla campagna contro la coltivazione di oppio in Afghanistan. E i risultati nella provincia orientale di Nangarhar sono molto incoraggianti. Nel 2004 in questo fazzoletto di terra grande quanto la provincia di Bolzano si sono prodotti più papaveri che in qualsiasi altro luogo al mondo. Quest’anno la svolta: la coltivazione di oppio è scesa del 96%. Protagonisti di questo successo sono il governatore di Nangarhar, Haji Din Mohammad, e il capo della polizia, Hazrat Ali, in passato accusati di tollerare questo commercio. La stessa famiglia del governatore avrebbe prosperato per anni grazie ai raccolti di oppio. Ma i tempi oggi sono cambiati. L’Afghanistan non si limita più a coltivare papaveri. Dopo la sconfitta dei Taleban sono sorti numerosi laboratori per la produzione della droga e sembra che gli afgani ne abbiano scoperto il consumo. Inaccettabile per Din Mohammad che, coadiuvato da Ali, si è impegnato a sradicare la coltivazione di oppio nella sua provincia. Din Mohammad ha quindi chiesto alla comunità internazionale degli incentivi per chi volontariamente avesse rinunciato a un commercio così remunerativo e Usaid ha stanziato 18 milioni di dollari all’anno per impiegare 13.000 lavoratori di Nangarhar in un progetto di irrigazione. Lo sforzo congiunto ha dato i suoi frutti e i campi di oppio sono scomparsi. Gli osservatori internazionali non si aspettano però di replicare il successo per il prossimo anno. Din Mohammad è stato rimosso da Karzai e destinato a governare un'altra provincia, mentre Ali si è candidato al parlamento.

In Burkina Faso il latte in polvere importato dall’Unione Europea è talmente penetrato nel mercato da sostituirsi di fatto alla produzione locale. L’effetto dumping non permette agli allevatori di competere con i prezzi molto bassi del latte importato. Questo perché il latte in polvere importato ha un costo nel mercato burkinabè inferiore a quello locale; basti pensare che un litro di latte importato costa 200 F mentre un litro di latte locale costa 300 F. La notizia pubblicata sul sito del centro nuovo modello di sviluppo (www.cnms.it ) riporta i dati di una recente ricerca effettuata da MISEREOR, Organizzazione Non Governativa tedesca, rete internazionale di 15 organizzazioni cattoliche di cooperazione internazionale dell’Europa, del Nord America e Nuova Zelanda. Fin dalla sua indipendenza, il Burkina Faso è stato un grande importatore di latte, soprattutto durante le carestie degli anni 70. All’epoca, l’importazione di latte in polvere fu consigliata per affrontare l’insicurezza alimentare. Oggi il quadro nel paese è desolante, malgrado vi siano più di un milione di allevatori (il 10% della popolazione totale del Burkina-Faso) le popolazioni Ougadogu e Bobo-Diolasso consumano soltanto latte importato. Una situazione che provoca un danno alla bilancia commerciale e deprime l’economia del Paese.

La soluzione del futuro status del Kosovo è iniziata, la maggior parte dei nomi dei negoziatori è nota nonostante non si sappia ancora che strategia la comunità internazionale intenderà applicare, dalla quale dipenderà il comportamento dei due attori: Belgrado e Pristina. Per la maggior parte dei conoscitori della situazione nei Balcani è chiarissimo che i colloqui - che stando a quanto si sa fino ad ora dureranno come minimo un anno - non saranno dedicati esclusivamente alla questione del futuro status, ma saranno orientati anche alla soluzione delle altre questioni importanti per il Kosovo, e certamente una delle principali riguarderà la decentralizzazione. Riconoscendo l’importanza della decentralizzazione in Kosovo, il Centro per la resistenza non violenta, organizzazione non governativa di Belgrado, ha stilato un documento dal titolo “Perché la decentralizzazione è importante per i colloqui sul futuro status del Kosovo”, con lo scopo di attirare ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica locale e straniera su questa importante questione. Fonte: www.peacereporter.net

Il Senato degli Stati Uniti ha approvato - grazie ai voti della maggioranza repubblicana un emendamento con il quale viene cancellato il diritto dei detenuti di Guantanamo di poter presentare ricorso ai tribunali Usa per contestare la loro detenzione. Era stata la Corte Suprema degli Stati Uniti a sentenziare - nel giugno del 2004 - che anche i prigionieri catturati nel corso della “guerra al terrorismo” e rinchiusi nel carcere statunitense in terra cubana, in ossequio alle leggi vigenti, hanno questo diritto. Ma ora i parlamentari americani, con 49 voti contro 42, hanno modificato la legge. Il documento approvato mette in chiaro che i detenuti della base Usa a Guantanamo non sono dei semplici reclusi, ma dei “nemici combattenti”. Il Senato aveva licenziato anche un altro emendamento certamente destinato a fare discutere. Gli esponenti repubblicani hanno infatti affossato un documento - che era stato presentato dal democratico Carl Levin - con il quale si chiedeva l'istituzione di una commissione indipendente con il compito di indagare sul trattamento riservato dall’esercito degli Stati uniti ai prigionieri. Il partito di George W. Bush si è espresso compatto per il “no” ed ha così determinato con 55 voti contro 43 - la bocciatura dell’emendamento. La Casa Bianca aveva chiesto ai senatori di respingere il documento.

Il fosforo bianco è stato usato durante la battaglia di Fallujah contro obiettivi umani. Molte le autorevoli conferme all’inchiesta di Rainews 24. La più clamorosa arriva dalla rivista specializzata dell’esercito americano, ‘Field Artillery’. Le munizioni al fosforo bianco, definite efficaci e versatili, sono state usate a Fallujah negli attacchi soprannominati ‘shake and bake’, letteralmente ‘scuoti e cuoci’ un’espressione comune in America per i polli da infilare nel forno. Munizioni dall’alto impatto psicologico contro gli insorgenti in trincea, usate quando le armi tradizionali non facevano effetto. Lo scrive, con grande precisione e dovizia di particolari, il numero di marzo – aprile 2005 di ‘Field artillery’, la rivista ufficiale dell’artiglieria americana con sede in Oklaoma. Gli autori del memorandum for record, un atto ufficiale, pubblicato sotto forma di articolo, sono il capitano James Cobb, il tenente colonnello Cristoper la Court, e il sergente Higt. L’editore della rivista è l’esercito degli Stati Uniti. La battaglia di Falluja viene definita la più feroce condotta dai marines in un centro urbano dopo quella di Hue in Vietnam, nel 1968. Gli Usa hanno sempre negato di aver usato il fosforo bianco contro obiettivi umani, ma anche il Dipartimento di Stato americano ha corretto la pagina del proprio sito Internet dopo le smentite ufficiali.

De Beers ha venduto il 26% delle attività sudafricane a un gruppo di investitori neri, in larga parte suoi dipendenti, rispettando quanto stabilito dalla legge voluta per risarcire la popolazione di colore dei torti subiti in secoli di dominazione bianca e di apartheid. L’operazione ha un valore di 3,8 miliardi di rand (circa 479 milioni di euro). Lo scorso anno il governo di Johannesburg aveva varato il provvedimento che obbliga le società attive nell’estrazione di metalli preziosi a cedere almeno il 26% del capitale dei loro asset in Sud Africa ai dipendenti neri entro il 2014, con l’obiettivo di renderli più partecipi e di integrarli gradualmente nei meccanismi della più grande economia africana. Alle compagnie che non rispetteranno questa regola verrà ritirata la licenza per l’estrazione. Gli investitori neri operano sotto il nome collettivo di Panaholo, che significa «emersione» in sotho, una delle 11 lingue ufficiali del Paese. Il 50% della società sarà controllato da 9.600 dipendenti di De Beers e da 8.700 pensionati. Un altro 9% sarà nelle mani di Manne Dipico, un ex governatore di Northern Cape, nonché ex dipendente di De Beers. Un ulteriore 8% sarà detenuto da un gruppo di quattro donne, fra cui Cheryl Carolus, ex ambasciatore del Sud Africa in Gran Bretagna, Dolly Mokgatle, ex direttore delle ferrovie, e Wendy Lucas-Bull, una manager (bianca) di FirstRand, la seconda banca del Paese. La stessa De Beers contribuirà a finanziare l’operazione. L’anno scorso le miniere sudafricane di De Beers hanno prodotto 13,7 milioni di carati, che rappresentano il 29% di tutta l’attività della società. Nei primi sei mesi di quest’anno l’estrazione è salita del 19% a 7,73 milioni di carati e potrebbe raggiungere un nuovo record nel secondo semestre. Fonte: www.bloomberg.com

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La lotta degli Ogoni contro i giganti dell’oro nero

A dieci anni dalla morte di Ken Saro Wiwa la situazione in Nigeria resta drammatica: non ci sono acqua potabile ed elettricità per la popolazione mentre nel solo 2004 oltre seicento persone sono state uccise in scontri con le milizie irregolari al soldo degli sponsor delle compagnie petrolifere. in un’area che contribuisce a fornire il 40% dell’energia globale». Bridget Yorgure, tra le fondatrici in Italia del Mosop, il movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, lancia la sua denuncia a fior di labbra. In Nigeria vengono prodotti due milioni di barili al giorno ed è il settimo paese produttore di petrolio dell’Opec. In dieci anni, la battaglia che ha toccato il suo apice con l’azione di Ken Saro Wiwa ha dovuto subire molte battute d’arresto per la repressione esercitata dalla diverse dittature che si sono succedute in Nigeria. Le condizioni di vita della popolazione sono peggiorate e la violenza è sempre più all’ordine del giorno. Nell’estate del 2004 più di seicento persone sono morte in scontri con le milizie irregolari, tutte formazioni armate dagli sponsor politici delle compagnie petrolifere presenti nel delta del Niger.

ON ABBIAMO ACQUA POTABILE ED ELETTRICITÀ

«N Il cosidetto “olio rettificato” è un prodotto ottenuto dal riutilizzo degli scarti non edibili della prima spremitura delle olive. Viene utilizzato anche nella produzione di condimenti e alimenti,

di Cristina Artoni

Windsor, 1998 / Pargi, 1997

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DETLEF PYPKE / GREENPEACE

La Nigeria è il settimo produttore di petrolio dell’Opec. La mortalità infantile è del 98,2 per mille (Usa: 6,5 per mille)

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Dalla Texaco all’Agip: trentuno mandanti «C’è l’anglo-olandese Shell, la prima che si è insediata nella nostra regione, poi a seguire sono arrivate l’italiana Agip, la Texaco, la francese Elf e la statunitense Chevron. Complessivamente siamo invasi da trentuno multinazionali – spiega Bridget Yorgure anche ora, a dieci anni dalla morte di Ken Saro Wiwa la situazione resta drammatica. Quest’anno è stata arrestata l’unica persona del gruppo di militanti che lavorava con lo scrittore, si chiama Ledum Mitee, un avvocato che è stato assolto al termine del processo che ha giudicato gli altri nove attivisti all’impiccagione. Mitee si è rifiutato di firmare un’assurda lettera di riconciliazione con la Shell. I vertici della multinazionale stanno facendo l’ennesima manovra sporca per invaderci sempre più. Dopo l’uccisione dei militanti del Mosop nel 1995 la Shell è stata costretta a spostare la sede amministrativa a Lagos. Ora pretende con una riconcilizione di facciata di tornare in pianta stabile a Port Harcourt, la capitale della terra degli Ogoni. Ma non sono cambiati, continuano a portare solo morte. L’avvocato Mitee a settembre ha allora riacceso la protesta ed è stato subito messo in galera». La Shell non ha mai espresso il minimo accenno di rincrescimento per le ripercussioni della sua presenza nell’area e non ha |

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KEN SARO WIWA, L’ANIMA DEGLI OGONI ARRIVAVANO DRITTO AL CUORE le parole di Ken Saro Wiwa. È forse per questo che una delle più potenti multinazionali del mondo ha fatto in modo che tacesse per sempre. Dieci anni fa il leader del Mosop in Nigeria, veniva impiccato insieme ad altri otto militanti del movimento per la sopravvivenza della popolazione Ogoni. Ken Saro Wiwa era nato nel 1941 a Bori, nella regione del delta del Niger, intellettuale e scrittore brillante era diventato popolare grazie alla televisione. Politico di rango, Saro-Wiwa era un Ogoni fiero. Nella battaglia per difendere i diritti della propria etnia, Ken saro Wiwa diventò negli anni novanta sempre più pungente nel raccontare la quotidianità di un popolo costretto all'emigrazione, alla miseria, e addirittura alla morte a causa dell'inquinamento del territorio causato della multinazionale anglo-olandese Shell, complice la classe dirigente politica e militare del Paese. Questa lotta civile e politica gli costò la vita: arrestato dal regime militare, alleato degli Usa, e condannato a morte dopo un processo farsa, fu impiccato il 10 novembre 1995 insieme ad alcuni altri militanti del Mosop. I giorni che anticiparono l’esecuzione la comunità internazionale, sapeva. Ma nessuno si è speso per salvare la voce di Ken Saro Wiwa e compagni. Il leader Ogoni nel suo testamento ha lanciato un ultimo lucido j’accuse: «Signor Presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale». Ken Saro Wiwa chiamò con nome e cognome i responsabili di tanta distruzione e miseria: «Non siamo sotto processo solo io e i miei compagni. Qui è sotto processo la Shell. Ma questa compagnia non è oggi sul banco degli imputati. Verrà però certamente quel giorno e le lezioni che emergono da questo processo potranno essere usate come prove contro di essa, perché io vi dico senza alcun dubbio che la guerra che la compagnia ha scatenato contro l'ecosistema della regione del delta sarà prima o poi giudicata e che i crimini di questa guerra saranno debitamente puniti. Così come saranno puniti i crimini compiuti dalla compagnia nella guerra diretta contro il popolo Ogoni». Come il protagonista nel suo romanzo da poco edito anche in Italia “Sozaboy” (Baldini, Castoldi Dalai editori), che significa “Soldier boy” in un inglese pidginizzato e reinventato, Ken saro Wiwa si è trovato in un gioco molto più grande di lui diventando suo malgrado l’anima del popolo Ogoni.

mai nemmeno previsto dei risarcimenti per la distruzione della terra e dei raccolti. «Noi non possiamo dimenticare – prosegue la rappresentante del Mosop - quello che è successo da noi nel 1995, contro persone che manifestavano in modo pacifico per le strade. Alla repressione arrivata al culmine con l’uccisione degli attivisti è seguita una vera e propria pulizia etnica. Hanno punito gli Ogoni che hanno osato protestare, in modo da farli tacere. Più di mille persone sono state uccise in questi raid punitivi. Tra queste persone c’era anche mia madre. Io in quel periodo studiavo in Italia e dopo essermi recata al suo funerale sono rientrata qui e ho chiesto asilo politico».

Imputato numero uno: la Shell In Nigeria la storia della Shell è fitta di violazioni e di soprusi: tra gli anni ottanta e novanta la multinazionale ha riversato più di 5,6 milioni di litri di petrolio; nel 1993 ha impiegato più di cinquanta giorni per tamponare una falla di petrolio dovuta alla rottura di un oleodotto. Altro esempio, nel 1990 la Shell fu multata per l’eruzione di gas, ma continuò l’attività, causando gravi danni alla popolazione dei villaggi. «Sul nostro territorio - racconta Bridget Yorgure – le multinazionali agiscono non certo come nei Paesi di appartenenza. Negli altri Paesi infatti gli oleodotti vengono costruiti sottoterra, da noi sono ammucchiati in superficie da quasi cinquant’anni. Gli oleodotti hanno avuto un impatto ambientale terrificante anche perchè mancano le manutenzioni necessarie. Spesso ci sono fuoriuscite o esplosioni che provocano la morte dei cittadini dell’area. Questo è l’aspetto grave e immediato, ma il processo di distruzione a volte è più lento. Il greggio, quando fuoriesce dagli oleodotti, si riversa sui terreni fino ad arrivare ai fiumi, seminando inquinamento. I fiumi da cui si attinge l’acqua sono quindi avvelenati. Il 7% delle donne incinte è a rischio. Ci sono state nascite di bambini malformati perchè le madri avevano bevuto l’acqua inquinata. Recentemente un tecnico della Shell ha avuto un moto di coscienza e si è licenziato. Da anni metteva la firma per avvallare le analisi sulle acque destinate agli Ogoni. Finalmente ha detto che non se la sentiva più di continuare e ha raccontato di aver perso il sonno la notte, perchè si è reso colpevole di aver fatto bere dell’acqua in cui lui non metterebbe nemmeno un dito del piede».

Ogoni Bill of Rights Ken Saro Wiwa credeva nella forza della parola e raccolse in un pamphlet le richieste che poi sono diventate il manifesto politico della battaglia contro le multinazionali, “Ogoni Bill of Rights”. Lo scrittore, insignito del Premio Nobel Alternativo per la Pace, chiedeva che i proventi dell’estrazione petrolifera nello Ogoniland restassero almeno in parte nel Rivers, uno degli stati più poveri della Nigeria. «Non siamo avanzati – dice la rappresentante Ogoni in Italia – neanche su questo fronte. Le multinazionali non hanno mai voluto pagare neanche le royalties, per i terreni che occupano da decenni e che hanno sottratto alla popolazione. I dittatori fantoccio che sono al potere ovviamente non sono interessati a garantire questo riconoscimento».

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OGONILAND, LA TERRA DEGLI OGONI IN NIGERIA, AL DELTA DEL FIUME NIGER, la Ogoniland di coltivazione e devastato il corso dei fiumi. Molte fattorie è composta da 6 conteee: Babbe, Eleme, Gokama, Ken-Kahana, hanno dovuto chiudere a causa dell’inquinamento. Nyo-Khana e Tai. In questa vasta area si parlano quattro lingue. I terreni sono diventati meno fertili e la pioggia acida Malgrado l’introduzione del cristianesimo vi sono molti aspetti rende i raccolti contaminati. nella vita quotidiana che risalgono alla tradizione indigena. Il processo di impoverimento della popolazione Il rapporto con la terra è sempre stato un elemento vitale Ogoni è andata progressivamente aumentando. Le imprese per la sopravvivenza della popolazione, che si è insediata straniere importano anche lavoratori da altri paesi, nell’area oltre 500 anni fa. I fiumi sono stati una fonte diretta quindi, per chi vive nella regione, non c’è speranza di avere da cui attingere acqua e cibo. Questo spiega ora le difficoltà uno sbocco lavorativo e un’entrata garantita. in cui si trovano gli Ogoni, da quando Il primo impianto di estrazione l’inquinamento ha gradualmente del petrolio è stato costruito nel Delta degradato l’ambiente di tutta del Niger nel 1958 dalla Shell Oil la regione. Quando arriva la stagione Company, dando il via a un processo della raccolta dei frutti, in particolare che avrebbe sistematicamente segnato gli yams, è un momento di festa per in modo negativo non solo la regione, gli Ogoni. Un appuntamento spirituale, ma l’intera Nigeria. Oggi da Ogoniland religioso e di grande socialità e che viene estratto il 90% dell’intero petrolio rivela un attaccamento alla “madre del paese. L’oro nero è la principale fonte terra”. Infatti “tradizione” in uno degli di ricchezza per il governo centrale, pari Un’area dell’Ogoniland devastata idiomi parlati dagli Ogoni si pronuncia all’80% delle entrate. Oggi migliaia dalla fuoriuscita di petrolio. “doonu kuneke”, che parafrasando di barili di petrolio greggio di ottima significa “celebrare la terra”. qualità e a basso tenore di zolfo escono Per la popolazione del delta del Niger, inoltre ogni essere umano da centinaia di pozzi. La Shell Petroleum Development Company ha la capacità di abbandonare il proprio corpo e trasmigrare of Nigeria (SPDC) estrae greggio che poi dovrà percorrere in quello di un animale, assumendo poi quindi le sembianze più di 6200 chilometri di tubazioni per arrivare fino alla costa dell’animale. La natura è quindi vita per gli Ogoni, il loro ed essere caricato sulle petroliere. Spesso delle esplosioni, intreccio è imprescindibile. causate dagli impianti ormai vetusti, distruggono campi L’economia della popolazione, prima dell’arrivo e foreste. Le perdite che si producono negli oleodotti arruginiti delle multinazionali del petrolio si basava soprattutto contaminano i terreni. Le raffinerie poi emettono direttamente sull’agricoltura e sulla pesca. Ma l’estrazione dell’oro nero nell’atmosfera sostanze tossiche non filtrate e i residui chimici di cui è ricchissima la regione ha seriamente minato ogni tipo vengono scaricati nei fiumi e nei suoi affluenti.

LA VERA PRIGIONE

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Il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni invita al boicottaggio delle multinazionali che in Nigeria provocano tanta distruzione. Il filo della lotta è racchiusa nei versi di una poesia del leader ucciso nel 1995.

Sono le bugie che ti hanno martellato le orecchie per un’intera generazione. È il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari in cambio di un misero pasto al giorno. Il magistrato che scrive sul suo libro la punizione, lei lo sa, è ingiusta La decrepitezza morale, l’inettitudine mentale Che concede alla dittatura una falsa legittimazione La vigliaccheria travestita da obbedienza È questo. Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero In una cupa prigione. Ken Saro Wiwa |

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Credicop: il tango argentino fra finanza, cooperativa e politica sociale

Alla fine si costituirono 84 banche cooperative. «Negli anni ’70 e ’80 – spiega Esman – assistiamo alla deindustrializzazione del paese e a una perdita costante del lavoro, mentre negli anni ’90 siamo di fronte a un’apertura indiscriminata dell’economia, privatizzazione selvaggia, neoliberismo, concentrazione economica; in questo panorama catastrofico cade anche una parte del movimento cooperativo. Oggi in Argentina rimane solo una banca cooperativa, il Banco Credicop. Una sola esperienza, su mille, eredità de nostri anni ’60. Una banca con oltre 200 filiali».

Le nuove linee: finanza e politica sociale.

Torna, più forte che mai, il credito cooperativo. Dalla lotta contro la dittatura del 1976 alla resistenza contro il disastro delle teorie neoliberiste del 2001, fino alla ripresa odierna, basata su etica e solidarietà. Intervista a Mario Esman, segretario dell’Istituto Movilizador de Fondos Cooperativos. N SOLI OTTO ANNI, DAL 1958 AL 1966, SI VERIFICA UN FATTORE SENZA PRECEDENTI nella storia del credito argentino: casse di credito cooperativo, caratterizzate dalla forte presenza della sinistra e della componente socialista, si moltiplicano in climax inarrestabile. Nel 1966 le cento realtà che avevano iniziato la loro attività sono diventate mille. Ma nel 1966 una dittatura militare prova ad attaccare questo nuovo sistema, dando vita a una vera e propria persecuzione che decimerà le casse di di credito fino a oltre della metà. Ma da lì parte la ridi Angelo Miotto scossa. Oggi in Argentina c’è solo una banca di credito cooperativo, ma con oltre duecento filiali sul territorio. Si chiama Credicop ed è l’ultimo dei sopravvissuti a una storia di offensive dei poteri forti, di teorie neoliberiste, delle banche transnazionali. Mario Esman è il segretario dell’IMCF (Instituto Movilizador de Fondos Cooperativos): riprende il filo del racconto della storia deiie casse di credito cooperativo. Siamo arrivati alle soglie del golpe del 1976: «cerchiamo di migliorare il nostro servizio e le nostre cooperative, o le nostre casse di credito, continuano ad essere le più avanzate anche nella tecnologia. Abbiamo i centri di calcolo più importanti del Paese, in un momento in cui banche nazionali e transnazionali non se lo potevano permettere». La giunta dei generali dà vita a una nuova persecuzione contro le casse di credito cooperative. In quel momento, in Argentina questa ramificata realtà concentrava il 12% del risparmio nazionale. Un dato impressionante, se si tiene conto che oggi le grandi banche multinazionali riescono a malapena ad arrivare a soglie del 2,3%. «Cercarono di ostacolare in ogni modo il nostro lavoro – racconta Mario Esman – proibirono le nostre casse di credito. Ed è lì che possiamo indicare senBuenos Aires. za esitazione una delle prime resistenze alla dittatura : L’inflazione al 9,8% il movimento cooperativo scese in piazza con pagine e (2005) segna un regresso rispetto pagine di protesta sui giornali. La dittatura fu costretta ai dati del 2003 a tornare indietro. Permise di esercitare le attività di (13,4%) mentre il PIL ha segnato credito, ma costrinse le cooperative ad entrare nel siuna crescita del 9%. stema bancario, irregimentando un sistema che era liLa disoccupazione è all’11,1%. bero, obbligato da allora in poi a sottostare alle regole della banca centrale».

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Sono due i progetti per rilanciare una realtà di così lunga, e onorata, storia. La creazione di nuove cooperative, non solo di credito, che organizzi settori che resistano alla crisi e che cerchino delle alternative. In orgine il fenomeno cooperativo aveva come referente sociale la classe media argentina. «Anche adesso è uno strato sociale di riferimento – afferma Mario Esman - ma stiamo coinvolgendo anche i settori più impoveriti. L’altro progetto è dar battaglia, combattere sul campo delle idee: se in Argentina ci sono state privatizzazioni, concentrazione dell’economia, licenziamenti di massa dei lavoratori e una società che lo ha permesso è perché ci hanno fatto il lavaggio del cervello. Per questo vogliamo essere protagonisti di una battaglia culturale contro il pensiero unico che si è sviluppato dopo la caduta del

La Banca Centrale escogitò una maniera per decurtare ancora una volta il numero delle casse cooperative: si chiese un capitale minimo sociale che non era nelle disponibilità della maggioranza delle realtà esistenti. | 48 | valori |

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Esiste ancora risparmio dopo l’argentinazo? Fin qui le idee e la realtà, la storia e le prospettive. Ma sul filo del paradosso verrebbe da chiedersi se dopo la crisi drammatica del 2001, con una girandola di presidenti alla Casa Rosada, con le strade in ebollizione, le banche che chiudono gli sportelli inghiottendo i risparmi delle famiglie, c’è ancora una qualche fiducia fra gli argentini verso il risparmio? «In Argentina c’è una doppia definizione di banca: quella pubblica e cooperativa e le banche private transnazionali. Dopo la crisi argentina la banca pubblica ha raccolto più fiducia, raccogliendo ampie fette di risparmio. Ma il ciclo degli affari, affari capitalisti e delle grandi banche, si è riattivato. Credicop lavora con un settore ben definito: quello della piccola e media impresa, le istituzioni, il piccolo produttore. E in un sistema molto democratico di gestione». L’Ente raccoglie nel suo consiglio di amministrazione i rappresentanti di organi distrettuali, che a loro volta sono espressione di assemblee di ogni filiale. Credicop ha più di 3000 dirigenti ad honorem. Una forza sociale e umana con una prospettiva di trasformazione molto grande. Due anime strettamente intrecciate.

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Il credito cooperativo era arrivato a raccogliere il 12% del risparmio nazionale

Escamotage da Banca Centrale

Muro. Un centro culturale basato su cooperazione, solidarietà, giustizia, etica». Ci sono 600 studenti universitari, laureandi o già laureati, che stanno compiendo una ricerca in questo senso in 16 dipartimenti.

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Incubo nucleare

Efficienza e fonti rinnovabili sufficienti

MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS

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di Walter Ganapini

ER IL DECIMO MESE CONSECUTIVO I CONSUMI PETROLIFERI ITALIANI SEGNANO UNA BATTUTA D’ARRESTO: secondo l’Unione

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Petrolifera , l’ultimo segno positivo risale al novembre del 2004. A settembre, a parità di giorni lavorativi, il calo è stato pari al 5,3% (meno 404mila tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2004, con volumi totali di poco inferiori a 7,2 milioni di tonnellate. Negativo il dato relativo all’olio combustibile impiegato nelle centrali termoelettriche (meno 42%), praticamente dimezzatosi nel giro di dodici mesi, scendendo a 0,4 milioni di tonnellate. La domanda complessiva di prodotti petroliferi si è attestata a circa 64 milioni di tonnellate, con un calo del 3,7% (meno 2,5 milioni di tonnellate) rispetto al 2004. I tempi parrebbero maturi per impostare, anche in Italia, una strategia orientata a promuovere l’efficienza, sul versante degli usi finali dell’energia, ed il ricorso alle fonti rinnovabili, su quello dell’offerta. Il “combinato disposto” delle due linee d’intervento porterebbe a rendere disponibile al Sistema Italia, solo in termini di energia elettrica, l’equivalente della producibilità di un parco centrali per una potenza installata di 20.000 MW (un terzo circa dell’attuale potenza installata nel paese). Questa strategia, come dimostra l’esperienza tedesca, si tradurrebbe nella creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, nella valorizzazione di un enorme potenziale di risorse per l’innovazione “amica dell’ambiente”, nella creazione di nuove prospettive per l’agricoltura multifunzionale del futuro. Non si dimentichi, al riguardo, che l’utilizzo per coltivazioni energetiche Un terzo della potenza anche solo dei circa 800.000 ettari “a riposo” in Italia significherebbe installata potrebbe arrivare dall’uso di energie rinnovabili poter alimentare almeno 25 nuove bio-raffinerie, capaci di produrre, e dal risparmio con corollario ciascuna, 1 milione di tonnellate di bioetanolo all’anno. di migliaia di posti di lavoro Ecco invece riemergere l’ipotesi del “salvifico” ritorno al nucleare, “panacea” di ogni problema, a riprova del peso degli aggregati di potere industriale-finanziario-militare, che quella tecnologia sottengono e sostengono, e della fortissima resistenza al cambiamento che sono in grado di esprimere. È bene, dunque, ribadire perché tale ipotesi si caratterizza come non efficace, rispetto ai “benefici attesi”: sul piano dei costi d’investimento, il nucleare è l’ipotesi meno conveniente. Anche tralasciando la cruciale tematica del destino delle scorie (per tempi di vita radioattiva fino a 30.000 anni), le sole spese di “decommissioning” di sito ed impianto a fine vita utile equivalgono all’investimento per realizzare una centrale di pari potenza e a ciclo combinato, alimentata a gas naturale; sul piano dei tempi di realizzazione, sulla scorta della esperienza internazionale, occorre almeno una decina d’anni per costruire una centrale, se basata sulle tecnologie note (quando non obsolete). Non è dato di indovinare quanti anni occorrano nel caso di “nuove” tecnologie non sperimentate ; non ci si dimentichi, al riguardo, che il reattore autofertilizzante Superphenix dell’EDF, cui collaborò anche l’Italia, è registrato come il più grave disastro finanziario della storia economica francese (tra 15 e 20 miliardi di Euro); non ci si può stancare di ripetere che il kilowattora nucleare esportato a basso costo dalla Francia è l’alto prezzo che la “grandeur” paga alla sua volontà di dotarsi della “force de frappe”, la forza di pronto intervento militare; sul versante ambientale e sanitario, la natura masochistica del ricorso al nucleare come fonte “pulita” dovrebbe ancor oggi essere più che evidente ai più.

Le creme di formaggio, utilizzate anche come base per tartine, sono spesso miscele di formaggi non maturati a sufficienza o invendibili, rese artificialmente morbide e spalmabili con lavorazioni chimiche.

Basilea, 1997 / Knokke, 2000

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La “Casa dei Folletti” a Locri, un’alternativa alle mafie >55 Coesione, sviluppo sostenibile ed etica a convegno >57 Legge Biagi, il lavoro è divenuto ancor più precario >59

economiasolidale SUCCESSO PER LA SETTIMANA DELLA SPESA ECOSOLIDALE

COLDIRETTI LANCIA IL BIOCARBURANTE. MA LA STRADA È ANCORA LUNGA

FISCO EQUO E BENI COMUNI: “CAMBIARE SI PUÒ”

PIATTAFORMA A IDROGENO PER CAMBIARE TORINO

CONTRO LO STRAPOTERE DELLE MULTINAZIONALI LA CIPLA PRODUCE ANTIVIRUS GENERICO

IL MIELE BIO DI CONAPI CRESCE ANCHE NEL 2005

Testimonial eccellenti e un incremento delle vendite del 30 per cento per la settimana “Io faccio la spesa giusta”. Questo il bilancio, ancora provvisorio, stilato da Fairtrade TransFair, marchio di certificazione dei prodotti equosolidali, che con il contributo di librerie Feltrinelli, Mtv e Banca Etica, ha organizzato l'evento per promuovere il settore in Italia. A prestare il volto per la settimana equo, che ha coinvolto 3000 punti vendita del dettaglio e della grande distribuzione dal 15 al 23 ottobre scorsi, sono stati Amanda Sandrelli, Massimo Ghini, Pietro Sermonti, Paola Maugeri, Josefa Idem, Andrea De Carlo, ritratti mentre consumano i prodotti del commercio equo. Tanti i momenti di sensibilizzazione e promozione dei prodotti nei punti vendita di Coop, Conad, Gs, Famila, Cadoro, Bennet Leclerc, Pam, Sigma, Naturasì, B'io e Botteghe del Mondo, mentre le Librerie Feltrinelli hanno organizzato degli incontri con produttori e testimonial. Fairtrade TransFair sottolinea soprattutto l'intervento di Alejandra Rodriguez, giovane produttrice di ananas del Costa Rica e rappresentante di Asoproagroin, che ha raccontato come il commercio equo abbia contribuito a cambiare le prospettive di vita e di lavoro della sua comunità. L'appuntamento verrà ripetuto l'anno prossimo, dal 14 al 22 ottobre.

La Coldiretti ha varato a Cernobbio, al 4° Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell'Alimentazione, il primo motoscafo italiano a biocarburante. Il motoscafo è alimentato a gasolio e olio di girasole, grazie a un sistema di commutazione fra i due combustibili. La modifica ha un costo di circa mille euro e può essere estesa a tutti i motori a iniezione diretta, come macchine agricole, auto e camion. Questa energia pulita, adottata in Germania e Brasile, non ha emissioni di zolfo. Il Centro di Ecologia Teorica ed Applicata del Friuli Venezia Giulia stima che da 700 mila ettari di terreno si possano ottenere 2,2 milioni di tonnellate annue di biocombustibile, riducendo l’emissione di milioni di tonnellate di gas serra. Fondamentale è l’uso alternativo delle terre coltivate e il risparmio sulle importazioni di energia. Il ministro delle politiche agricole, Gianni Alemanno, ha dichiarato che nel 2006 l’Italia presenterà un piano per le produzioni agricole con finalità energetiche, supportato da adeguate misure finanziarie. La Coldiretti propone una defiscalizzazione per incentivare gli accordi tra agricoltori, industrie di trasformazione e distributori. Ma cosa accadrebbe con un aumento massiccio della domanda? Il biocombustibile ha un potere calorifico inferiore al petrolio del 10 percento: con un litro un’automobile può percorrere circa 10 km. Poiché un ettaro di terreno coltivato fornisce 1200-1300 kg di carburante, con i ritmi italiani di consumo e la media di 59,2 auto ogni 100 abitanti, non è possibile pensare a una soluzione del problema energetico con le sole biomasse, non sarebbero sufficienti, neanche ipotizzando di coltivare a questo uso l’intera superficie nazionale. Le biomasse saranno la svolta energetica solo se accompagnate da un’educazione ambientale mirata all'efficienza e ad una mobilità più sostenibile.

«Una società giusta ha bisogno di un fisco equo che distribuisca le risorse della comunità per sostenere, con la spesa pubblica, un welfare capace di garantire i diritti e l’uguaglianza dei cittadini. Bisogna spostare risorse da chi in questi anni si è arricchito verso chi si è impoverito, con una vera lotta all’evasione, un prelievo fiscale progressivo, la tassazione di rendite e patrimoni a partire dalla Tobin Tax, la tassazione dei consumi socialmente ed ecologicamente dannosi, promuovendo l’aumento dei salari più bassi, con politiche sociali che garantiscano il diritto alla casa e al reddito». Sono alcuni passaggi della piattaforma “Cambiare si può” lanciata da Arci, Legambiente, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Tavola della pace e diversi esponenti della segreteria nazionale della Cgil, che vuole proporre alle forze politiche e sociali alcuni temi che hanno caratterizzato in questi anni l’azione dei movimenti. Dal fisco ai beni comuni, dalla guerra alla scuola, dai migranti ai diritti civili, l’appello propone alcuni punti fermi di discussione. Come sui beni comuni: «Bisogna fermare la privatizzazione dei servizi pubblici e bloccare la direttiva Bolkestein. Serve una legge che tuteli i beni comuni e preveda la loro gestione in forma partecipata, a partire dalla ripubblicizzazione dell’acqua».

Riconversione ad idrogeno per Torino. Il capoluogo del Piemonte conferma l’impegno per un progetto di piattaforma europea per la filiera dell’idrogeno. Il piano affidato all’agenzia Torino Internazionale, ha un traguardo nel 2011 quando dovrebbe essere a pieno regime un distretto industriale vero e proprio con base nell’area dismessa di 40 mila mq denominata Basse di Sture. Nel frattempo già alle Olimpiadi invernali del prossimo anno la città vedrà in funzione il primo autobus a idrogeno che sarà in servizio lungo il percorso di una linea dimostrativa. La conferma arriva dal Comune di Torino che ha destinato 150mila euro alla GTT, un’associazione d’imprese denominata Gruppo Torinesi Trasporti tra cui si annovera la stessa Iveco Irisbus, Ansaldo, Sapio, Enea, CVA. Ma l’intero progetto ha un costo stimato di 6,5 milioni di euro coperto da un finanziamento di 1,5 milioni dal Ministero dell’Ambiente italiano. Il bus, basato sulla tecnologia fuel cell, può trasportare 72 passeggeri ed ha un’autonomia di circa 12 ore per una velocità di 60 Km/h. Per alimentare l’autobus è stata predisposta a Torino anche una stazione di servizio a idrogeno dedicata al mezzo pubblico. L’avvento dell’idrogeno rappresenterà anche nuova linfa vitale per il mercato italiano e mondiale.

È corsa in tutti i Paesi ad accaparrarsi grossi quantitativi di Tamiflu, il farmaco prodotto dalla svizzera Roche, efficace nella cura dell’influenza aviaria. Il costo è di circa 60 euro a scatola. Una cifra non irraggiungibile per il mercato occidentale, molto meno per i Paesi in via di sviluppo. Per questo la farmaceutica indiana Cipla è pronta a rompere il monopolio della Roche e a produrre oseltamivir, il generico del Tamiflu. L’intenzione del presidente del laboratorio indiano, Yusuf Hamied, è quella di vendere l'antivirale a basso costo nel suo Paese e in altre 49 nazioni povere. Alla Roche pensano che quelle di Hamied siano solo minacce. L’elaborazione del Tamiflu prevede dieci sofisticati procedimenti che secondo la farmaceutica svizzera richiedono almeno tre anni di prove di laboratorio. Ma gli scienziati della Cipla sono già al lavoro e assicurano che entro gennaio saranno in grado di produrre piccole quantità del farmaco. Non è la prima volta che Hamied considera carta straccia i brevetti e rifornisce di generici le fasce povere della popolazione mondiale. Circa 400.000 sieropositivi dei Paesi in via di sviluppo, per esempio, si curano con i farmaci antiretrovirali prodotti da Cipla e commercializzati a prezzi economici. D’altra parte Hamied ha dalla sua i regolamenti dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e di quella della sanità (Oms). Nel 2001 il Wto ha accordato il permesso di produrre generici senza pagare il brevetto in caso di crisi sanitarie. L’anno seguente l’Oms ha stabilito che i farmaci copiati possano essere venduti solo nei Paesi poveri. E la Cipla assicura che non commercializzerebbero l’oseltamivir in Europa e negli Stati Uniti.

Nonostante la riduzione generale dei consumi e la tendenza degli italiani a scegliere prodotti sempre più economici, si ampliano le vendite dei prodotti dei soci di Conapi, il Consorzio Apicoltori e Agricoltori Biologici Italiani. Con un ricavato da attività caratteristiche di 8,57 milioni di euro a giugno 2005 (il 69,5 per cento del quale proveniente dalla commercializzazione di miele e altri prodotti dell’alveare, il 23,5 da riso e cereali biologici, caffè, zucchero di canna e cacao equosolidali conferiti dai soci, il restante 7 per cento da lavorazioni effettuate per conto di terzi) Conapi ha segnato un più 14,7% rispetto all’esercizio precedente. Un trend che si conferma analizzando nel dettaglio i dati della produzione di miele: a fronte dei 16.238 quintali conferiti dai soci nella stagione produttiva 2004, ne erano stati apportati poco più di 12 mila in quella 2003 e 10 mila in quella 2002. Per il 2005 è attesa una produzione di 18 mila quintali. Il consorzio, fra apicoltori (unici produttori in Italia a non pastorizzare il miele), agricoltori biologici e produttori equosolidali conta attualmente 213 soci, sia singoli che cooperative, per una base sociale complessiva di di 1.300 produttori italiani e 6.000 latinoamericani.

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| Liberi dalla mafia | economiasolidale | MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS

La casa dei Folletti dove ci si diverte in barba alla ‘ndrangheta Una struttura montana di turismo solidale nella Locride, in una zona resa terra bruciata da un conflitto tra famiglie mafiose. “La casa dei Folletti” è oggi una realtà, grazie ad un progetto della cooperativa Mistya finanziato da Banca Etica. Un’azione quotidiana con i più deboli e contro le economie della mafia.

I L’olio utilizzato per la frittura dovrebbe essere preferibilmente di oliva per garantire una maggior stabilità contro il rischio di formazione di grassi vegetali idrogenati.

Tokyo, 1998 / Inghilterra, 1995

CONSIGLIO REGIONALE DELLA CALABRIA

> Cibo

L VILLAGGIO PARADISO NON C’È PIÙ. Vent’anni fa è stato bruciato e raso al suolo dalla mafia. Il piccolo centro, nel cuore della Lo-

cride, tra le montagne dell’Aspromonte e quelle delle Serre, era rimasto escluso dalla spartizione tra le varie faide della zona di Fabrizia, Grotteria e Gioiosa Jonica che controllano il territorio boschivo. Gli interessi economici avevano scatenato una serie di ritorsioni, fino alla devastazione del villaggio Paradiso. Ora quella stessa zona, una collina a 1050 metri, a pochi passi dal villaggio “scomparso” torna a vivere. Lo scorso luglio è stata inaugurata la struttura montana di turismo solidale gestito dalla Cooperativa Sociale Mistya, “ La casa dei Folletti” e finanziato da Banca Etica. L’impresa no profit vuole ritagliarsi una piccola fetta di mercato al fine di creare reale occupazione, anche con gli attori con i quali la Cooperativa da anni è impegnata nel riscatto sociale, come disabili, ex tossicodipendenti, detenuti, minori a rischio, gli immigrati, le donne a lunga disoccupazione, i nomadi. «Il progetto – spiega Carmela Santo, responsabile della struttura - era stato avviato con la Regione Calabria nel lontano 1988, data di costituzione della cooperativa sociale Mistya. La provincia aveva assegnato la struttura, una vecchia casa cantoniera che poi è stata ristrutturata ed è diventata una colonia per minori e disabili. Ma poi nel corso degli anni la Regione Calabria chiedeva continue riformulazioni del progetto fino a che nel 2000 è stato approvato e finanziato con una legge sull’imprenditorialità giovanile. Nel 2001 di Cristina Artoni sono partiti i lavori di ristrutturazione, con l’aiuto anche di volontari, per ristrutturare la casa vicina al Comune di Martone. Gli interventi Nelle strade di Locri. manifestando sono finiti quest’anno e non abbiamo aspettato, abbiamo subito inaucontro le mafie per un futuro sostenibile gurato il centro». La casa dei Folletti è composta da una struttura di sei stanze, tutte con bagno in camera, per un totale di 18 posti letto, senza barriere architettoniche, mentre in un’altra struttura concessa dalla Provincia, è stato realizzato un salone comune, il bar, la cucina e gli alloggi per gli operatori della Cooperativa. Gli intoppi nella realizzazione del progetto sono stati soprattutto di natura burocratica, racconta Carmela Santo: noi abbiamo lavorato anche con le persone del posto per evitare di portare la manodopera dall’esterno. Tra gli esterni c’erano persone uscite da problemi di tossicodipendenza e dal carcere. Quindi la criminalità non ha avanzato richieste di tangenti, perchè davvero non c’era molto su cui lucrare. La struttura comunque è stata pensata sin dall’inizio per accogliere disabili, infatti subito dopo l’inaugurazione abbiamo realizzato due campi estivi per loro».

serve solo più polizia “Non per le strade. Sono necessari controlli sulle fortune dei potenti e indagini mirate

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Con i Folletti luce e acqua Ma per chi lavora in un territorio come la Locride è sempre importante tenere conto dei rischi che si possono incorrere a causa della criminalità diffusa: «in questo momento – sottolinea la responsabile del progetto – l’attenzione della mafia credo sia rivolta ad alti livelli, noi non |

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micidio Fortugno. In questa zona il problema vero è che giornalmensiamo nel mirino. La cosa che ci rassicura, poi, è sapere che la gente del te non sai quando vai al bar o quando frequenti qualcuno che tipo di posto è contenta di averci come vicini. Ad esempio accanto alla casa collusioni può avere. I politici sostengono di essere tutti onesti, ma sapdei Folletti vive un pastore che per settant’anni ha vissuto senza luce e piamo che anche tra di loro ci sono le mele marce. Non è solo la Calasenza acqua e con la nostra presenza ha infine approfittato per realizbria ridotta così, perchè ci sono dieci o cento famiglie che detengono zare gli allacciamenti. Era soddisfatto per riuscire ad ottenere una coil potere. La questione è che sono state fatte delle leggi sbagliate che modità, anche se ormai per lui vivere a lume di candela era la normahanno permesso ad alcuni potenti di accumulare dei beni e dei patrilità. Questo per dire che è difficile lavorare in questo territorio, ci sono moni sulle spalle della povera gente». difficoltà oggettive. Locri è un territorio presidiato, ma ci sono cose che si stanno muovendo: molti di quei giovani che in questi mesi abbiamo visto mobilitarsi contro la mafia, è gente che è passata da noi. C’è Lo stato di polizia non serve anche gente che era collusa con i mafiosi del territorio, e che ora ha caIn questi mesi si sono levate molte voci per chiedere leggi speciali e pito che le cose devono cambiare. La mafia è un problema di mental’invio di un maggior numero di polizia e carabinieri a presidiare il terlità: la loro violenza va emarginata con la nostra tranquillità. Per queritorio. È utile secondo Carmela Santo? “Non serve la polizia, occorre sto è importante la presenza, anche di una realtà come la nostra strutsicuramente più controllo, ma l’intervento deve essere mirato, perchè tura. Io dormo in montagna di notte con altre donne e lo dico ai quatse i carabinieri fermano una persona come me e temono invece di fertro venti. Gli stessi poliziotti hanno sgranato gli occhi quando lo hanmare la macchina con a bordo un uomo che come minimo ha la pino saputo. Ma noi dobbiamo vigiliare sulle strutture, deve essere chiastola, sicuramente il problema non viene risolto. Qui siamo in un’aro a tutta la Locride che abbiamo fatto dei sacrifici e questo progetto è rea dove Francesco Fortugno, il vicepresidente del consiglio regionanostro, come lo è di tutti i ragazzi che vi partecipano». le, è stato ammazzato alle cinque del pomeriggio. Non c’era nessuna La presenza di una struttura come la casa dei Folletti sembra essere pattuglia delle forze di polizia lì intorno. Ma poi succede, come è avun’innovazione per la zona dove opera, ma Carmela Santo sottolinea venuto pochi giorni fa, che un ragazzo viene assassinato sulla Statale che il lavoro è solo all’inizio: «Da noi occorre creare una rete di solida106, in un’ora in cui sono presenti anche le pattuglie di polizia. Eprietà che ancora purtroppo non esiste. Ci sono realtà che lavorano nel pure il ragazzo è stato ucciso. Quindi penso che presidiare la zona in sociale, ma ognuno agisce singolarmente come ad realtà non serva a nulla, occorre una magistratura esempio la Chiesa. La Calabria non è organizzata che anche con il supporto della polizia compia inINFO sotto questo profilo, ma creare una rete di solidarietà dagini a tappeto. I cartelli della droga colombiani è un passaggio fondamentale». Per la responsabile sono qui da noi nei paesi della Locride come AfriLa casa dei Folletti Aperta tutto l’anno. della casa dei Folletti non occorre essere degli eroi co, San Luca. Occorrono quindi indagini su alcune Per contatti tel. 0964/ 232005; per agire nella Locride: «ammazzateci tutti è stato lo famiglie che hanno dei giri di affari spropositati rie-mail: cooperativamistya@tiscali.it slogan dei ragazzi che sono scesi in piazza dopo l’ospetto al lavoro che svolgono».

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Uno sviluppo che non vive di solo Pil ma di socialità e ambiente Costruire relazioni tra società civile e istituzioni per la crescita sociale e ambientale. Il Comitato Europeo per la Coesione Sociale ha promosso con la Regione Autonoma Trentino Alto Adige un convegno a Trento per raccontare esperienze possibili di finanza etica, commercio equo e acquisti responsabili. energetico, agricoltura biologica e ecoedilizia. I cittadini possono investire anche piccole somme nei green funds che provvedono a concedere prestiti a bassi tassi d’interesse per la realizzazione di progetti in Olanda o in paesi in via di sviluppo con una forte rilevanza ambientale. Dal 2004 la formula di finanziamento è stata estesa ad attività sociali e culturali. Tutti i progetti vengono accuratamente monitorati e certificati da un agenzia del ministero dell’agricoltura, pesca e foreste (Laser) e da Novem, una struttura del ministero dell’ambiente e energia. Uno studio di Kpmg ha confermato non solo la rilevanza finanziaria ma anche il significativo impatto positivo nel sostegno alla diffusione di nuove tecnologie a basso impatto ambientale e alla riduzione delle emissioni climateranti. Il bilancio complessivo dei fondi “verdi” è riassunto in poche cifre: lo stato ha registrato un mancato introito di imposte pari a circa 30 milioni di euro ma il meccanismo ha prodotto almeno 50 milioni di euro di benefici in termini ambientali.

SVILUPPO SOSTENIBILE. Investimenti etici. Non sono obbiettivi solo delle organizzazioni non governative o di organismi come Banca Etica e consorelle straniere. Esistono esempi concreti che dimostrano come un di Davide Venezia committment chiaro, nazionale o locale, da parte delle istituzioni e la collaborazione con la società civile possono produrre risultati rilevanti. Lotta alla povertà e all’esclusione, commercio responsabile, acquisti responsabili e investimenti etici possono essere perseguiti dalla società civile in collaborazione con organismi pubblici, creando un circolo virtuoso che può portare ampi benefici alla collettività.

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OESIONE SOCIALE.

Un seminario a tema Il seminario che si svolge a Trento dal 30 novembre al 2 dicembre, nell’ambito delle iniziative promosse dal Comitato europeo per la coesione sociale (CDCS) e dalla Regione Autonoma del Trentino Alto Adige, metterà a fuoco alcune delle più interessanti iniziative promosse nei paesi dell’Unione Europea per coinvolgere concretamente i cittadini nello sviluppo di progetti con una forte rilevanza sociale e ambientale. Uno dei modelli più interessanti, che sarà presentato a Trento, è quello della direttiva olandese per gli investimenti “verdi”: oggi sono 170.000 le persone coinvolte per una “raccolta” complessiva pari ad oltre 4 miliardi di euro che ha permesso anche di creare migliaia di posti di lavoro in Aruba e nelle Antille Olandesi. Lo schema del progetto è abbastanza semplice: dal 1995 i cittadini olandesi possono investire in fondi “verdi” appositamente regolamentati a livello nazionale, ottenendo uno sconto sulle imposte. Il danaro raccolto viene utilizzato dalle banche verdi per sostenere iniziative ambientalmente compatibili come progetti di risparmio

Obiettivo comunitario Negli ultimi anni l’importanza delle azioni di coesione sociale è diventato un tema centrale in Europa per la costruzione di uno sviluppo democratico e sostenibile. Le società divise e cresciute nella disuguaglianza non sono solamente profondamente ingiuste, ma sono anche incapaci di garantire una stabilità a lungo termine. Nell’opinione pubblica si è sempre più diffusa la consapevolezza che i governi devono avere come obiettivo non solo quello di contribuire allo sviluppo economico, ma anche garantire quello sociale e ambientale. Il 31 marzo del 2004 il comitato dei ministri del Consiglio di Europa ha approvato una nuova versione della Strategia di coesione sociale. «Nel documento del |

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| Legge Biagi | economiasolidale |

Consiglio d’Europa è richiesto ai cittadini, comprese le istituzioni finanziarie e la societĂ civile – spiega Gilda Farrel, capo della Divisione per lo sviluppo della coesione sociale del Consiglio d’Europa – una nuova etica della responsabilitĂ sociale. Nel testo prendiamo una posizione chiara su quanto sia fondamentale che ciascun individuo giochi un ruolo nello sviluppo del senso della responsabilitĂ sociale e dell’interdipendenza delle azioni. Questa strategia chiama anche le banche e le istituzioni finanziarie ad essere piĂš sensibili alle integrazioni etiche dei propri investimenti. Lavoriamo sul principio della co-responsabilitĂ : il concetto di coesione sociale deve essere condiviso da tutti gli attori della societĂ , soprattutto da coloro che hanno delle responsabilitĂ nella leadership. Ăˆ in questo senso che a Trento vogliamo sviluppare l’idea di una piattaforma di dialogo politico tra le autoritĂ pubbliche e le iniziative di cittadini che lavorano con criteri etici e di responsabilitĂ sociali, ambientali. Vorremmo sviluppare un dialogo che porti un contributo alle iniziative per la lotta contro la povertĂ e l’esclusione pensando al ruolo che le autoritĂ pubbliche possono avere nel favorire questi sviluppi. Di fatto è questo il nocciolo del documento sulla Strategia di coesione sociale. Il testo è il risultato di un largo dibattito che si è svolto lo scorso anno con un grande forum: un modo per coinvolgere i cittadini e le autoritĂ nello sviluppo della finanza solidale e del

Anche le istituzioni finanziarie devono essere responsabili dell’eticità degli investimenti

consumo responsabile come attivitĂ strategiche dell’Unione Europea. L’obiettivo del piano di azione è quello di favorire la crescita della coesione sociale attraverso l’affermazione degli individuiÂť. La coesione sociale può, quindi, attutire gli scompensi delle nostre societĂ , che rischiano proprio con le disuguaglianze delle derive di degradazione e conflitto come si evidenzia anche negli ultimi drammatici fatti di cronaca francesi. ÂŤDobbiamo tener presente comunque che queste attivitĂ rimangono assai marginali. Il loro peso è ancora limitato ma nella storia delle nostre societĂ , il cuore di grandi interessi si rinnova ai margini – continua la Farrell – quello che è importante è che queste iniziative abbiano una vera legittimitĂ politica che arriva con un riconoscimento istituzionale. Ăˆ questo l’elemento indispensabile nella nostra societĂ . Occorre anche che si prendano in considerazione altri aspetti dell’evoluzione sociale che meritano un approccio solidale e responsabile: per questo motivo abbiamo programmato un dibattito che affronterĂ la questione dell’indebitamento eccessivo delle famiglie. Questa è una tematica al centro dei dibattiti politici anche al Consiglio d’Europa che preoccupa i governi soprattutto dal punto di vista delle ricadute economiche. La nostra valutazione è invece quella che si tratta di un fenomeno che deve essere affrontato anche per la sua rilevanza sociale, perchè presenta il rischio di nuove forme di povertĂ . Abbiamo introdotto questo tema non tanto perchè le organizzzioni della finanza etica debbano occuparsene ora, quanto perchè è un tema cruciale per il futuroÂť.

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Lavoro molto flessibile. Molto confuso. E molto precario Il bilancio della Legge 30 divide il sindacato e suscita molte perplessitĂ . Un’analisi approfondita dopo due anni di una legge che doveva portare l’Italia verso la modernitĂ ed ha prodotto il popolo delle partita iva e la figura del nuovo precariato, dando ancora meno tutele ai lavoratori e maggiore forza contrattuale alle aziende e agli imprenditori. dalle aziende furbetteÂť dice Aris Accorsero. E ora chi trova un posto fisso si considera un miracolato. ÂŤMi sento un miracolatoÂť. Paolo, 29 anni, forse esagera. Ma dopo essedi Piero Bosio re passato da lavoratore in affitto a collaboratore, e poi a partita Iva, è riuscito dopo quattro anni a ottenere un posto fisso in un grande gruppo informatico di Roma. Il “miracolatoâ€? fa parte di quel 7% di ex-Cococo (collaboratori coordinati continuativi) che sono usciti dalla precarietĂ . Davvero pochi, almeno secondo l’indagine sugli effetti della legge 30 realizzata da Nidil e dall’Ires Cgil. Era il 31 luglio del 2003 quando il Consiglio dei Ministri diede il via libera all’ennesimo provvedimento di riforma del mercato del lavoro. ÂŤUna svolta storicaÂť, disse il ministro del Welfare Roberto Maroni. L’obiettivo era quello, attraverso nuove flessibilitĂ , di creare piĂš occupazione stabile riducendo il lavoro nero e quello subordinato mascherato da collaborazione. La Legge 30 (che il ministro Maroni chiamò legge Biagi, attribuendola a Marco Biagi, il giurista del lavoro ucciso a Bologna dalle Brigate Rosse) venne accolta con entusiasmo dalla Confindustria: ÂŤNon manca nulla ora, abbiamo una legge che rende il nostro mercato uno dei piĂš attrezzati d’EuropaÂť disse Guidalberto Guidi, vice presidente dell’associazione industriale. Ma, due anni dopo, conclusa la sperimentazione legislativa, restano interrogativi e polemiche sugli effetti di una legge che è uno degli elementi centrali dello scontro elettorale del 2006. In Italia, secondo stime del Censis 2005 (elaborate su dati Istat–Inps-Ministero del Welfare-Manpower), gli atipici sono 1 milione e 654mila, intesi come coloro che hanno un lavoro temporaneo o una collaborazione coordinata e continuativa; un numero che appare sottostimato in quanto non include le partite Iva, verso su cui sono stati spinti parte dei Cocco. Su come sia cambiato questo mondo degli atipici e su quanto abbia influito la legge 30, ci sono valutazioni diverse.

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VILITI I CONTRATTI A PROGETTO

La Cgil accusa: niente tutele ÂŤSono state ridotte le tutele - sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil - non c’è stato nessun miglioramento per i precariÂť. Dall’indagine del Nidil e dell’Ires-Cgil su un campione di 640 precari emerge che la percentuale dei collaboratori è aumentata fortemente. Nell’arco di due anni quasi la metĂ dei Cococo è diventato lavoratore a progetto, il 23% è rimasto Cococo nel pubblico impiego (a causa della proroga per il settore), il 6% è stato costretto a aprire una partita Iva con un aggravio dei costi. Pochissime le assunzioni: solo un 7% ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato e un 6% a quello determinato. Un 7%, soprattutto donne e giovani, non lavora piĂš o è passato al nero. ÂŤQuesti dati –sostiene Emilio Viafora del Nidil-Cgil - confermano come la Legge 30 abbia fallito non creando lavoro stabile e non facendo emergere le irregolaritĂ . Oggi ci sono 43 forme di contratti flessibili. Ăˆ inaccettabile. Ci vuole una semplificazione e piĂš dirittiÂť.

ÂŤOccupazione stabile aumentataÂť Maurizio Sacconi, sottosegretario al Welfare, difende la Legge 30: ÂŤLe affermazioni della Cgil e della sinistra sono cialtronesche. L’occupazione in questi ultimi cinque anni è aumentata nonostante la bassa crescita economica e si tratta in buona parte di lavoro stabile. Inoltre sta partendo una campagna ispettiva con sanzioni pesanti, previste dalla legge, per chi utilizza le collaborazioni per nascondere lavoro subordinatoÂť. La Legge 30 prevede che il collaboratore possa realizzare “solo progetti specifici gestiti in funzione del risultato e indipendentemente dal tempo impiegatoâ€?. ÂŤIn realtĂ , da quando i Cococo sono stati sostituiti dai Cocopro – sostiene la Cgil – si è creata una situazione per cui a molti collaboratori sono state affidate mansioni da lavoratori subordinati e nessuno controlla i progetti sino a quando il contratto arriva davanti a un giudiceÂť. Tra le tante storie c’è quella di Angela, 34 anni, che lavora in una cooperativa a Milano: è un lavoro di facchinaggio non particolarmente duro, ma vorrei essere pagata come i dipendenti dell’azienda in cui mi mandano a lavorare visto che svolgo le stesse mansioni. Vorrei contributi e diritti come tuttiÂť. |

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si ripercuote sulla qualità del lavoro

LAVORO INTERMITTENTE. Il lavoratore si mette a disposizione dell’azienda e deve rispondere alla chiamata per tutta la durata del contratto. In cambio riceve un’indennita di disponibilità ( il 20% della retribuzione). LAVORO RIPARTITO. Due lavoratori si obbligano al compimento di un’unica prestazione, dividendosi l’orario di lavoro. LAVORO A TEMPO PARZIALE. È quello svolto sotto le 40 ore settimanali. Può essere verticale (il lavoro è distribuito su alcuni giorni della settimana), oppure orizzontale (la riduzione dell’orario è giornaliera). APPRENDISTATO. Prevede tre tipologie: per l’istruzione e la formazione, per il conseguimento di una qualificazione professionale, per l’acquisizione di un diploma. CONTRATTO DI INSERIMENTO. Sostituisce quello di Formazione e Lavoro, che resta in vigore solo nelle pubbliche amministrazioni. È un contratto a termine non inferiore a 9 mesi e non superiore a 18. Riguarda giovani, disoccupati, ultracinquantenni, portatori di handicap.

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imprenditori più seri “Gli sanno che una eccessiva precarietà

LEGGE 30. I PRINCIPALI PROVVEDIMENTI

ti sul mercato del lavoro. Ma dietro le quinte, gli industriali più esposti alla competizione internazionale e che non guardano solo al corto orizzonte della Borsa confidano: «Ci sono troppe tipologie contrattuali, mentre a noi bastavano pochi strumenti di flessibilità, in particolare sull’orario di lavoro, con norme semplici e chiare». Massimo Roccella, docente di diritto del lavoro aggiunge: «Gli imprenditori più seri sanno che un’eccessiva precarietà alla fine si ripercuote sulla qualità del lavoro e sulla produttività; e poi, salari cosi bassi deprimono l’economia. È certo che tutto diventa più difficile per questi imprenditori se si trovano a competere con quelli che usano a man bassa lavoro precario». L’incertezza della situazione viene confermata anche da un sondaggio eseguito dal Gidp/Hrda (l’associazione che raccoglie i direttori del personale): «È vero c’è un impasse, il 90% dei nostri associati che aveva dei Cococo - sostiene Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda non ha ancora preso una decisione, se trasformarli in contratti a progetto o altro. Comunque la legge Biagi ha fatto bene a spazzare via i Cococo perché era diventato un modo di nascondere lavoro subordinato, mentre i contratti a progetto sono molto più vincolanti».

Progetti belli. Ma contraffatti LAVORO A PROGETTO. Sostituisce i vecchi Co.Co.Co. Con questo strumento, le collaborazioni sono inquadrate in un progetto vincolante, in un programma o a fasi di esso. LAVORO ACCESSORIO. Si intende un’attività che non supera i 30 giorni nell’anno e non dà luogo a compensi superiori a 3.000 euro complessivi.

Partita (Iva) truccata. Era un Cococo Marco invece lo incontriamo davanti a un cantiere edile alle porte del capoluogo lombardo. È un geometra di 26 anni e collabora ai progetti di costruzione: «Prima ero un Cococo, poi mi hanno chiesto di aprire una partita Iva. Forse lo farò, ci sto pensando. Certo che lo sento come un ricatto, facendomi aprire la partita Iva la società ha le mani libere e io ho più costi ma questo, purtroppo, è quello che passa il convento». E il sindacato? «non è che si occupi molto di noi precari, io comunque per ora non sciopero. Se no, addio lavoro». I sindacati sono divisi tra loro. Se la Cgil dà un giudizio particolarmente negativo della legge 30, per Cisl e Uil sono sufficenti delle modifiche per migliorarla.

Confindustria apprezza. Con prudenza La Confindustria ha apprezzato la Legge 30 ma resta cauta nelle valutazioni anche perchè mancano ancora dati consolidati degli effet| 60 | valori |

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Aris Accornero, docente di sociologia industriale, denuncia la furberia di molte aziende: «I contratti a progetto, che potevano essere la novità maggiore, in realtà sono diventati uno strumento facile per diverse imprese e società in quanto la definizione di progetto è stata svilita tanto che addirittura molti lavoratori dei call center dispongono di questo contratto quando è evidente che per quel tipo di lavoro non è necessario nessun progetto». Sulla qualità della nuova occupazione Salvatore Roma, direttore del Censis, ha un’opinione precisa: «Molti posti di lavoro hanno spesso la caratteristica comune di essere più faticosi, meno gratificanti e di bassa qualità». Ma è l’Istat a fare la fotografia più recente sullo stato dell’occupazione con la pubblicazione dell’annuario 2005. I posti di lavoro sono cresciuti di un modesto + 0,7% ma il trend è in rallentamento, soprattutto al Sud. L’industria, mentre continua a tagliare forza lavoro a tempo indeterminato, ha aumentato negli ultimi 5 anni l’utilizzo dei contratti a termine che hanno inciso nel 2004 per il 2,5% sull’occupazione rispetto l’1,8% del 2003. Sono in aumento anche nei servizi (16,5% rispetto l’11,3%). Percentuali più alte si registrano nel commercio all’ingrosso e al dettaglio e nei ristoranti. «È aumentata la deregulation nel mercato del lavoro - puntualizza Aris Accornero - le aziende già con contratti a termine hanno accentuatato l’utilizzo di questo strumento». «Nello stesso tempo dice l’Istat - è diminuito il numero delle persone che cerca un lavoro (-4,3%), in particolare al Sud e da parte dei giovani e delle donne, forse non ci credono più».

Il burro di bassa qualità in Italia può derivare da “latte già sfruttato” ovvero dalla panna avanzata. Viene ripulito, fuso, si aggiungono siero e fermenti. Un pratica vietata all’estero dove il burro è considerato di grande importanza.

Belgio, Knokke, 2000

> Cibo

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Nuove povertà

Un osservatorio per fare chiarezza a cura dell’Osservatorio sulle nuove povertà Valori/Caritas

2006 SARÀ UN ANNO IMPEGNATIVO PER VALORI. Insieme alla Caritas Nazionale daremo infatti vita ad un Osservatorio sulle nuove povertà che ambisce ad analizzare e indagare l’insorgenza di fenomeni sociali nuovi per identificarne le cause e proporre le eventuali risposte. Abbiamo chiesto a Caritas di supportarci in questa indagine perché riteniamo che sia oggi una delle realtà con le maggiori capacità e professionalità in grado di coniugare la tradizionale propensione all’ascolto delle comunità con la penetrazione delle analisi. In molte realtà del Paese le Caritas Diocesane sono le uniche strutture che effettuano da tempo attività di rilevamento e analisi di fenomeni che spesso determinano l’insorgenza di vere e proprie crisi sociali. Il nostro obiettivo in ogni numero di Valori sarà quello di indagare sul territorio, con un reportage giornalistico, le mutazioni socio economiche identificando con il supporto delle Caritas Diocesane i migliori punti d’osservazione. In questo modo sarà possibile ricostruire alcune delle cause (una crisi occupazionale, un evento catastrofico, un’emergenza ambientale, un fenomeno criminale ecc.) che possono essere all’origine dell’esplosione della situazione di difficoltà che è stata monitorata. Sempre con il supporto delle Caritas cercheremo poi di analizzare le risposte che il territorio ha cercato di dare: repressiva, solidale, istituzionale, volontaria. Perché, purtroppo, nel corso degli ultimi anni i fenomeni di crisi sociale non hanno ricevuto risposte univoche e soprattutto in alcuni contesti locali Valori insieme a Caritas Nazionale analizzerà i casi sono stati caratterizzati dalla totale assenza di interventi da parte più significativi di crisi delle istituzioni. Una negazione alla quale spesso hanno sopperito sociale nelle diverse realtà le realtà di volontariato in un contesto, però, caratterizzato territoriali del Paese da un clima di sfiducia e spesso di contrarietà. L’Osservatorio intende mettere in luce tutte le facce di queste esperienze, segnalando le risposte proattive che hanno permesso di gestire le difficoltà ma anche quelle neutre o negative. In questo tentativo di approfondimento chiederemo aiuto al mondo accademico che in questi ultimi anni si è mostrato più attento ad indagare i fenomeni sociali, vecchi e nuovi, cercando di analizzarne le cause profonde e proponendo diverse ipotesi di soluzione. Il nostro obiettivo è quello di muoverci sul territorio con la collaborazione anche dei lettori di Valori: nel prossimo numero pubblicheremo un calendario di massima dei reportage territoriali e auspichiamo, quindi, una fattiva collaborazione con segnalazioni e documentazione all’indirizzo di posta elettronica: redazione@valori.it. L

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DIARIO

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altrevoci LA MATERNITÀ IMPRIGIONATA DELLE DONNE DETENUTE E I SOGNI OLTRE LE SBARRE

IL LAVORO DEFINISCE LA PROPRIA IDENTITÀ?

STORIA ECONOMICA DELL’ORO NERO A

L’ATTENTATO A NASSIRYA RIVISTO DA UN FERITO

ANALISI DEL GOVERNO DI SINISTRA DELLE CITTÀ

CRESCITA CONDIVISA PER SERGE LATOUCHE

La Legge Finocchiaro è del 2001 e permetterebbe alle donne che devono scontare una pena carceraria ed hanno figli di età inferiore ai dieci anni, di scontare la condanna in una struttura protetta. Una conquista di civiltà destinata tuttavia ed essere scarsamente applicata per la difficoltà di autorizzare strutture esterne e di concedere il permesso nella logica premiale del sistema carcerario che prevede numerosi passaggi autorizzativi invece dell’automatismo. San Vittore a Milano, vecchia struttura nel cuore della città che si è lungamente caratterizzata per l’apertura al confronto con le realtà esterne, ancora oggi prevede tredici posti per madri con bambini fino a tre anni, che possono crescere in carcere con la madre se non vengono individuate altre possibilità. Bambini costretti a crescere dietro le sbarre e madri costrette a piegare la maternità al regime carcerario. La loro vita, scandita da sbarre, rigidi orari, incomprensibili spiegazioni sull’impossibilità di uscire insieme dalla struttura carceraria, è l’oggetto dell’analisi di Lella Ravasi Bellocchio, psicoanalista, che pubblica con Cortina un importante saggio sugli incontri che ha avuto per due anni con le madri di San Vittore all’interno di un gruppo di lavoro sul sogno. “Sogni senza sbarre” racconta questa esperienza di analisi svoltasi settimanalmente nell’arco di ventiquattro mesi con un gruppo di madri detenute cui offrire, come dice l’autrice «ascolto puro e solidarietà umana. Niente formule e raffinatezze, solo la potenza dell’inconscio e della forza di relazione».

Fra i cambiamenti più rilevanti in atto nel mondo del lavoro vi è quello riguardante il diverso valore assunto dalla identità professionale. In presenza di un’accentuata volubilità e di una difficile definizione dell’identità professionale, spesso divisa fra molte occupazioni svolte in luoghi e in momenti, della propria vita e della giornata, diversi, il bisogno di ricomposizione che caratterizza la frammentata società contemporanea e che si declina nei diversi ambiti istituzionali, sembra assumere nel lavoro connotazioni assolutamente specifiche che meritano particolare attenzione. Il volume è il risultato dell’approfondimento di una ricerca condotta in Italia nel 2004 da dieci sedi universitarie sui percorsi di ricomposizione sociale degli adulti-giovani ed offre un’analisi dei cambiamenti determinati dal differente modo in cui si esprime la dimensione lavorativa. La domanda di fondo della ricerca è, quindi, se il lavoro possa essere considerato un ambito di ricomposizione nella frammentata vita degli adulti giovani.

Scoperte tecnologiche, progresso, immani conflitti tra le nazioni. La storia del petrolio, l’oro nero che in pochi anni ha preso il posto del carbone come principale fonte di energia e ha traghettato l’Occidente dai neri fumi della rivoluzione industriale verso l’era contemporanea. Unendo nozioni di scienza, tecnologia, storia, sociologia, economia, “Oro nero” racconta una vicenda di fondamentale importanza per comprendere il mondo attuale e offre al lettore informazioni e riflessioni che cambieranno per sempre il modo in cui guardiamo al petrolio. Un libro forte, coraggioso, già acclamato dalla critica internazionale, che, raccontando gli sporchi affari e gli interessi occulti che ruotano intorno all’oro nero, svela il lato oscuro e nascosto della nostra realtà geopolitica ed economica. Editor della South End Press e della rivista “Nuclear Times”, Sonia Shah è una giornalista indipendente e collabora con numerose testate internazionali su temi economici ed energetici.

12 novembre 2003: attentato contro gli italiani a Nassirya, diciannove i morti. Tra i feriti c’è un giovane regista italiano, Aureliano Amadei. Nei mesi di ospedale Aureliano ricorda tutto e riflette. Tornato in Italia, continua la sua inchiesta sulla guerra con un amico, Francesco Trento. Il volume è un tassello che contribuisce all’affermazione di una semplice verità: la presenza italiana in Iraq è una presenza operativa e di parte in un paese in cui si combatte una guerra e non una operazione di pace. «Alla dogana di Tallil il dialogo con dei militari mi ha dato la netta impressione che in Italia avessimo una visione distorta, molto edulcorata, della realtà irachena». A Nassirya, si è scoperto successivamente, gli italiani sono presenti per difendere quelli che sono stati ritenuti interessi vitali e strategici per l’Italia, la partecipazione alla difesa del mercato petrolifero laddove gli interessi italiani erano più forti. Il racconto Amadei e Trento trascina in un universo di terrore, fuoco e spari di cui sapremo e vedremo probabilmente poco.

Curato da Daniel Chavez, Benjamin Franklin e Giovanni Allegretti il volume “La sinistra e le città” edito da Caminito viene descritto dagli autori come “frutto di un pensiero evolutivo e cumulativo”. La sua scrittura ha visto costanti aggiornamenti in progress, arricchendosi di riflessioni durante il tempo trascorso tra l’uscita delle sue edizioni inglese, spagnola e italiana. All’edizione collabora il Transnational Institute (TNI) di Amsterdam ed è uscito in Inghilterra e in Spagna nel 2004. Con le loro differenze di approccio e di linguaggio, gli attivisti che hanno contribuito a “La sinistra e le città” hanno dato forma ad un percorso narrativo, un racconto di luoghi e di percorsi diversi in cui le diverse rappresentazioni non sono solo giustapposte, ma seguono un filo comune di riflessione sulle nuove pratiche di governo del territorio offrendosi come specchio in cui riflettersi e riflettere su se stessa e sul proprio cammino recente, in particolare per quanto attiene il distacco che si va accentuando tra vertici e professionisti della politica e tessuti sociali di base.

Lo “sviluppismo” si fonda sulla convinzione che sia possibile ottenere la prosperità materiale per tutti. Il saggio di Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-sud mette in forte discussione questa idea di sviluppo che sulla base delle definizioni di “sociale, umano, locale, durevole” «Veste nuovi abiti che soddisfano i criteri di organizzazioni quali la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, mentre la logica economica è rimasta la stessa e il modello di sviluppo e sempre conforme all’ortodossia neoliberale». Secondo Latouche, bisogna mettere in discussione i concetti di crescita, povertà, bisogni fondamentali, tenore di vita e decostruire il nostro immaginario economico, che è ciò che affligge l’occidentalizzazione e la mondializzazione. Lo studioso non propone un impossibile ritorno al passato, ma pone l’accento su sperimentazioni alternativa allo “sviluppismo”, in particolare la decrescita condivisa e il localismo.

A. AMADEI, F. TRENTO VENTI SIGARETTE A NASSIRYA

AA. VV. LA SINISTRA E LE CITTÀ

Einaudi, 2005

Caminito, 2005

« LELLA RAVASI BELLOCCHIO SOGNI SENZA SBARRE

FABIO MASSIMO LO VERDE SLEGATI DAL LAVORO

Raffaello Cortina, 2005

Franco Angeli, 2005

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SONIA SHAH ORO NERO

Mondadori, 2005

economiaefinanza

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VALUTARE L’ETICA DIFFERENTE DEI PROGETTI UN SAGGIO SUL RAPPORTO TRA VALORI MORALI ED INTERESSI ECONOMICO FINANZIARI

Insegnante di Sociologia del lavoro all’Università di Bologna, Vittorio Capecchi è autore per la collana di guide “Le Bussole” di Carocci Suddiviso in dodici capitoli, il volume edito di un sintetico testo su da Franco Angeli in collaborazione con “La responsabilità sociale la Fondazione Acli Milanesi offre un’ampia dell’impresa”. Il tema panoramica sul finanza etica, dimensione è di grande attualità e riguarda morale della finanza, investimenti sociali i doveri etici dell’azienda. e microfinanza. Etica e Finanza sono due mondi L’impresa deve ritenersi spesso considerati lontani. Come scrivono responsabile solo verso gli autori, tuttavia, «mai come in questo tempo i propri azionisti con l’obiettivo il bisogno di contemperare valori morali di raggiungere gli scopi sociali ed interessi economico-finanziari risulta garantendo il profitto oppure indispensabile». Per conciliare etica e finanza la sua responsabilità si deve occorre risalire alle origini e all’essenza allargare a terreni più ampi, dell’attività finanziaria, alla funzione di impulso includendo la tutela presente che essa svolge nelle economie moderne, e futura dei suoi lavoratori, ai suoi fondamenti etici e morali. Il volume, del territorio in cui è inserita quarto nella collana “Persona, Imprese e del contesto ecologico e Società”, offre numerosi spunti di riflessione: e globale? Il volume esamina dai fondamenti morali dell’etica della finanza la responsabilità dell’impresa e del denaro, alla responsabilità sociale nel pensiero neoliberista degli intermediari finanziari, dalla trasparenza e negli scenari alternativi nei contratti bancari e assicurativi, all’accesso di un’economia solidale al credito quale diritto e opportunità per ogni che promuova e tuteli i diritti categoria di soggetto economico fino ad umani e dell’ambiente. affrontare il tema (divenuto di grande attualità) Vengono quindi analizzati delle opportunità del microcredito. I curatori i maggiori progetti del volume, Silvana Singori, Gianfranco Rusconi internazionali e nazionali e Michele Dorigatti, sono accomunati dall’attività che fanno esplicito riferimento di studio e di ricerca su temi di finanza etica alla “responsabilità sociale” e legati all’attività di Eben, European Business per capire le profonde Ethics Network. Chiudono il saggio le interviste differenze che si celano sotto a Fabio Salviato e Davide Dal Maso. la stessa dicitura.

SERGE LATOUCHE COME SOPRAVVIVERE ALLO SVILUPPO

S. SIGNORI, G. RUSCONI, M. DORIGATTI ETICA E FINANZA

Bollati Boringhieri, 2005

Franco Angeli, 2005

VITTORIO CAPECCHI LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA

Carocci, 2005 |

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narrativa

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IL NEMICO IMPREVISTO E LA VITA RITROVATA

MEMORIE DI RIKKAT KUNT, CALLIGRAFA AD ISTANBUL

Scenari di imprevidibilità all’inizio del millennio. Complici ansie da catastrofismo (gli attentati o i virus letali) il filone sembra trovare nuova linfa con un approccio però adeguato ai tempi, disincantato, romantico e attento alla prospettiva esperienziale. Manhattan ai giorni nostri. Daisy, quindici anni, viene mandata in Inghilterra dal padre (vedovo in procinto di iniziare una nuova convivenza con la compagna che Daisy detesta) a trascorrere le vacanze estive. Poco dopo il suo arrivo un “nemico” non meglio identificato attacca Londra, scatenando una guerra di cui i ragazzini non sono in grado di capire le proporzioni. Isolati nella fattoria in mezzo alla campagna inglese, i ragazzini sono costretti a inventarsi la vita quotidiana, stravolta dall’improvvisa assenza di elettricità, acqua, telefono e una serie di altri comfort scontati in condizioni di normalità. In un insolito isolamento, la fattoria si trasforma in un luogo magico, dove le relazioni personali diventano la principale priorità cui badare.

Rikkat Kunt, professoressa di calligrafia presso l’Università di Istanbul, racconta la sua vita a ritroso, partendo dal giorno della sua morte. La giovinezza accanto agli ultimi grandi calligrafi dell’Impero ottomano, la riforma di Ataturk (che, nella sua opera di laicizzazione, vieta l’uso della lingua araba e della sua calligrafia) ed il primo infelice matrimonio con un dentista, incarnazione della più ottusa razionalità cui si contrappone la sensuale e profonda spiritualità della donna, libera, intelligente, coraggiosa. Rikkat lascia il marito nella religiosissima Konya e se ne torna con il figlio a Istanbul, dove ha vinto un posto di insegnante di calligrafia all’Accademia di Belle Arti. Qui conversa con i calligrafi morti che le suggeriscono preziose ricette di inchiostri, dialoga con le statuette di alabastro dei dervisci danzanti sul suo tavolo, getta ponti di segni lievi e impeccabili tra l’umano e il divino, in un incessante dialogo cosmico intessuto dalle sue calligrafie, un’arte centrale nella cultura islamica che vieta la riproduzione delle figure umane.

IL SENSIBILE RACCONTO SU CORPI UMANI NON IDENTIFICATI DEL MEDICO ANTROPOLOGO Nella sola città di Milano vengono affidati all’obitorio comunale circa cinquanta “morti senza nome” all’anno. Quei corpi portano i segni di storie tra loro molto diverse. Spesso sono vittime di crimini irrisolti: un omicidio di mafia, un rito satanico, un delitto a sfondo sessuale. Altre volte, corpi di persone scomparse mesi prima e ritrovati per caso, senza nulla addosso che possa aiutarne l’identificazione. Cristina Cattaneo da molti anni dirige il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università Statale di Milano. Da un corpo senza identità lei e il suo gruppo di lavoro hanno imparato a risalire al nome, ma anche alle cause e al momento del decesso. A lei e al suo laboratorio le autorità giudiziarie e le forze dell’ordine si rivolgono in cerca di una soluzione, di un indizio che possa aiutare a identificare un colpevole, incastrare un assassino o ricostruire la dinamica di un incidente. Morti senza nome è il racconto drammatico e toccante di dieci storie di riconoscimento. È la ricostruzione di delitti efferati, su cui si riesce a far luce solo grazie all’autopsia, e di immani sciagure, descritte attraverso i segni lasciati sui corpi o sugli scheletri delle vittime. È un reportage dall’Italia dei grandi crimini ma anche il Paese di chi muore anonimo, senza un volto, che nessuno ci aveva mai descritto con tanta umanità.

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UN RING A TIRANA E L’INNOCENZA CRIMINALE

STORIE DI SGUARDI IN TRE VOLUMI E IN MOSTRA

Elthon è il miglior pugile della strana palestra di Juarisch Nicotra, a Tirana. Nicotra pensa di usare la tournée degli incontri di boxe clandestina di Elthon per guadagnare una montagna di soldi veri e riciclarne quasi altrettanti, falsi. Una saga tra Albania, Europa, Russia, col sogno eterno dell’Italia. Il romanzo dell’innocenza perduta di un ragazzo tra gli incontri clandestini a Mosca, Amsterdam e Budapest e il miraggio di una vita normale per sé e per quelli più indifesi che protegge. Un libro che unisce il talento descrittivo capace di restituire i corpi e i colpi sul ring al respiro della narrazione avventurosa. Un affresco fitto di personaggi vivi, mafiosi e poliziotti corrotti, prostitute e ragazze in fuga, uomini e donne che vivono di traffici illegali e illusioni in nuova innocenza criminale. In un mondo illuminato da una livida luce netta, sotto un cielo che esclude ogni speranza, dove la morte è sempre all’angolo della strada. Clemente Tafuri, scrittore genovese, è al suo secondo romanzo dopo “Caino Lanferti. Una storia di Marsiglia”.

Storie di sguardi, tre volumi editi da Contrasto e presentati in occasione di una mostra presso lo spazio milanese Forma, vuole ricostruire il senso e la portata del primo secolo e mezzo in cui la fotografia è nata e si è progressivamente imposta. Il principio della collezione FotoNote, monografie dedicate a soggetti ed autori, impone al lettore la parcellizzazione dei temi e dei modi che hanno costituito il cammino della fotografia. Per ricostruire lo scenario di questo cammino il primo volume “Storie di sguardi”, una panoramica a volo d’uccello su un secolo e mezzo d’invenzione e creazione fotografica, esplora i diversi modi di vedere attraverso una serie d’immagini chiave, messe in sequenza e analizzate nei loro reciproci rapporti. I tre volumi sono titolati: Dall’invenzione all’arte fotografica; Il mezzo dei tempi moderni; Dall’istante all’immaginario. L’uscita dei volumi Storie di sguardi accompagna la mostra omonima inaugurata a Forma, Centro Internazionale di Fotografia, Piazza Tito Lucrezio Caro, 1 – Milano, l’11 ottobre che rimarrà aperta sino al 15 gennaio 2006.

MEG ROSOFF COME VIVO ORA

YASMINE GHATA LA NOTTE DEI CALLIGRAFI

CRISTINA CATTANEO MORTI SENZA NOME

CLEMENTE TAFURI LA CADUTA

AA. VV. STORIE DI SGUARDI

Feltrinelli, 2005

Feltrinelli, 2005

Mondadori, 2005

Einaudi, 2005

Contrasto, 2005

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LA TRASFORMAZIONE DELL’AREA INDUSTRIALE DI BAGNOLI NELLE IMMAGINI DI FIORITO «La sirena dell’allarme, l’esplosione e il crollo della prima ciminiera in un pomeriggio del gennaio 1998, furono per me il segnale che l’Italsider di Bagnoli non ci sarebbe più stata. Un pezzo della città di Napoli e della sua storia stava per scomparire definitivamente e in me nasceva il desiderio di serbare memoria di quel grande sito industriale documentandone il processo di trasformazione». Gianni Fiorito ha documentato la trasformazione di Bagnoli, un territorio per molti anni sconosciuto anche a molti napoletani. Un viaggio in un nuovo mondo, dove a ogni tappa si scoprono paesaggi, montagne artificiali di materiali di recupero, tracce di vita lavorativa. Oggi la spiaggia di Bagnoli si è ripopolata di ombrelloni e sedie a sdraio e turisti fotografano i resti industriali. Segni della trasformazione in atto più che cambiamenti definitivi che col tempo daranno vita a nuove forme di socialità e differenti modelli lavorativi per un quartiere da immaginare diverso. Nel volume un testo di Erri De Luca. Gianni Fiorito, reporter dell’Agenzia Controluce, ha documentato l’evoluzione sociale di Napoli. il fenomeno camorristico e l’illegalità diffusa, la realtà sociale e urbanistica delle periferie, la dismissione della città contemporanea e la trasformazione del paesaggio urbano. GIANNI FIORITO BAGNOLI, CRONACA DI UNA TRASFORMAZIONE

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IRONIA SENSIBILE DALLA TERRA DEI MIRACOLI

RITRATTI DI MILLE DONNE PER UN NOBEL

Un luogo tormentato dove la popolazione è divisa dall’odio, può ancora essere chiamata “terra dei miracoli”? Wendy Sue Lamm, autrice del volume pubblicato da Contrasto, “racconta per immagini il fragile equilibrio tra pace e guerra nella vita quotidiana di israeliani e palestinesi”. Un libro che non trascura le ferite quotidiane che derivano dal conflitto, ma registra attacchi e ritorsioni in maniera delicatamente ironica. Dopo aver vissuto a Gerusalemme ed aver fotografato per anni israeliani e palestinesi, Wendy Sue Lamm è diventata una delle interpreti più sensibili della “terra dei miracoli”. Questo libro arricchito da una poesia di Arthur Miller e da un racconto di Emile Habibi, mostra la bellezza profonda di una terra dove il vero miracolo è semplicemente quello di svegliarsi tutte le mattine e vivere ogni giorno con pienezza. Wendy Sue Lamm ha vinto il World Press Photo Awards e il National Press Photographers Pictures of the Year. I suoi lavori sono esposti nei principali musei e collabora con importanti testate interrnazionali.A

Milioni di donne giornalmente prestano la loro opera e intelligenza per la costruzione di un futuro migliore. Senza riguardo per la loro propria sicurezza, sono attive a favore della Comunità. Richiedono la riconciliazione, pretendono giustizia e ricostruiscono ciò che è stato distrutto. Lavorano prima che le crisi divengano incontrollabili per sedare i pretesti degli scontri tra fazioni o offrono strumenti di credito per far emergere le potenzialità sommerse dell’economia. Operano a tutti i livelli, nelle ong come nelle istituzioni internazionali. PeaceWomen 1000, pubblicato da Scalo di Zurigo, è un volume nato a sostegno della campagna per il Nobel a “mille donne di Pace” che ritrae e racconta mille donne che lavorano quotidianamente tessendo fili invisibili della diplomazia e dell’economia parallela. PeaceWomen 1000 si offre come spunto di riflessione politica sull’importanza del patrimonio civile rappresentato dal lavoro, spesso poco conosciuto e visibile, delle operatrici internazionali nei contesti di guerra e di conflitto.

WENDY SUE LAMM TERRA DEI MIRACOLI

Contrasto, 2005

AA.VV PEACE WOMEN 1000

Federico Motta Editore, 2004

Scalo Zurich, 2005 |

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IL “VANGELO SECONDO PRECARIO” IN SALA E DVD

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Dopo l’esperienza di “Forza Cani” e l’organizzazione della serata di guerriglia mediatica di Serpica Naro all’interno della settimana della moda milanese, la creatività legata alla protesta sociale ha permesso lo sviluppo di un nuovo progetto nato liberamente, sfruttando l’adesione dei tanti che ne potevano condividere il percorso e il messaggio. “Il Vangelo secondo Precario” è stato presentato alla stampa e le proiezioni si succedono ora in tutta Italia attraverso i circuiti della cinefilia indipendente e delle Camere del Lavoro. Come raccontano gli autori sul sito www.ilvangelosecondoprecario.org «La scommessa rivoluzionaria di creare un modello di produzione di cultura alternativo a quello attuale, basato sull’intermediazione dell’industria, è stata vinta: con soli 40 mila euro il film è stato ideato, girato e montato, in maniera totalmente indipendente da tabù o vincoli di contenuto». Il finanziamento è stato raccolto in Rete tramite preacquisti di copie del lungometraggio.

SPERIMENTARE LA PACE IN 3D CON IL PRIMO VIDEOGIOCO PACIFISTA CHE CITA GANDHI

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IN DVD LA STORIA DELLO SCANDALO ENRON

IL “RAPPORTO LUGANO” A TEATRO E IN UN PROMO

Tratto dal libro “The smartest guys in the room: the amazing rise and scandalous fall of Enron” di Bethany Mclean e Peter Elkind, “Enron, l’economia della truffa” narra la storia di uno dei peggiori scandali finanziari di tutti i tempi che coinvolse alcuni i dirigenti di una delle più grandi società degli Stati Uniti, accusati di aver rubato più di un miliardo di dollari rovinando investitori e impiegati. Il filmato, destinato alle sale, è già disponibile in formato dvd e ne è prevista una edizione con allegato il libro cui è ispirato il documentario. Allo scandalo Enron, che ha segnato negli Stati Uniti un punto di non ritorno nell’affidabilità finanziaria e nella percezione del rischio dei mercati, è stato dedicato anche un volume fotografico. Il documentario di Alex Gibney è stato presentato al Sundance Festival. Era la fine del 2001 quando la Enron, società leader nel trading dell’energia statunitense dichiarò bancarotta rivelando il castello di carte tenuto in piedi con la “finanza creativa”.

Un gruppo di scienziati, economisti, fiscalisti è stato convocato in una villa a Lugano per studiare la situazione attuale del sistema capitalistico. “Il rapporto Lugano” è il risultato di quell’incontro: gli esperti dichiarano che il futuro del capitalismo è in pericolo nel ventunesimo secolo. Romanzo fantapolitico di Susan George “Il rapporto Lugano” affronta uno scenario economico e geopolitico in cui la fantasia è divenuta realtà. La consegna affidata al gruppo di esperti è quella di studiare come favorire il progresso del capitalismo, e la prima raccomandazione è di ridurre le popolazioni inutilizzabili per il mercato. Dal libro di Susan George è stato tratto lo spettacolo teatrale “Il rapporto Lugano, come salvare il capitalismo nel XXI secolo” con la regia e la drammaturgia di Virginia Martini e l’interpretazione di Antonella Questa. Un promo dello spettacolo è richiedibile per le associazioni interessate a LaQProd@katamail.com oppure a LaQ-Prod, via Ventimiglia 176, Torino.

PRODUZIONE OLTREMEDIA IL VANGELO SECONDO PRECARIO

Prodotto dalla BreakAway Games e in arrivo all’inizio del 2006, “A force more powerful”, (una forza più potente) è il primo videogioco dichiaratamente pacifista che si fa carico di un difficile compito: insegnare ai più giovani i valori dell’attivismo politico e umanitario non violento. Il tutto senza perdere le caratteristiche di azione, suspence e strategia fondamentali per divertirsi davanti al computer. «I ragazzi sono cresciuti con i videogiochi – afferma Ivan Marovic, uno degli ideatori, intervistato dal sito del quotidiano Repubblica – e prendono questo medium molto seriamente. L’approccio è “what if”, (cosa succede se...) e questo permette di giocare anche svariate settimane senza annoiarsi mai». Il gioco utilizza situazioni reali come la lotta per l’indipendenza di Ghandi, o quella per cacciare Milosevic in Serbia e sarà acquistabile ondine per circa 20 dollari. “A force more powerful” contiene tutti gli elementi classici di un videogioco in termini di azione e interazione e funziona anche su sistemi hardware e software non di ultimissima generazione (pur offrendo la grafica 3D), una scelta fatta anche per favorirne la diffusione nei paesi in via di sviluppo. La creazione è nata dalla collaborazione tra il Centro internazionale sui conflitti non violenti, la York Zimmerman e la società produttrice BreakAway, e si rivolge ai giovani, ma anche agli attivisti politici, ai pacifisti, a chi milita nelle organizzazioni umanitarie di frontiera o aspira a farlo. ALEX GIBNEY ENRON BREAKAWAY GAMES altre informazioni: A FORCE MORE POWERFUL www.enronmovie.com

acquistabile tramite Internet

acquistabile tramite Internet

LAQ-PROD IL RAPPORTO LUGANO OVVERO COME SALVARE IL CAPITALISMO

LaQProd@katamail.com |

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in rete

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MEDIAWATCH ANALISI DEI MEDIA PER PEACELINK

IN UN SITO LA CORRUZIONE MONDIALE E ITALIANA

Mediawatch è un osservatorio indipendente sull’informazione nato il 15 febbraio 2003 dall’iniziativa di alcuni siti e riviste di informazione indipendente. Nei giorni dei bombardamenti sull’Iraq sono state raccolte oltre 300 segnalazioni (più di 10 al giorno), che documentavano manipolazioni, forzature, censure, menzogne e propaganda nascoste dietro la sedicente “lotta al terrorismo”. Oggi l’attività dell’osservatorio continua. «Il nostro sforzo di documentazione e denuncia non riguarda solamente la propaganda di guerra, ma anche tutte le forme di censura e manipolazione, le minacce alla libertà di espressione, la dimensione internazionale dell’informazione e il dibattito mondiale sul diritto alla comunicazione» spiegano i rsponsabili del sito, raggiungibile mediante “peacelink.org/mediawatch”. Tra gli altri temi analizzati: la cybersorveglianza e le violazioni della privacy, il mediattivismo e le tecniche di comunicazione per la lotta nonviolenta, la pubblicità e la gestione del consenso.

Transparency International è una associazione contro la corruzione. La notorietà e il vasto consenso suscitato dal fenomeno delle inchieste sulla corruzione negli anni Novanta hanno favorito l’aggregarsi di personalità sensibili sul tema della corruzione e delle storture del rapporto tra politica e imprenditoria. La creazione della Sezione Italiana di Transparency International è avvenuta grazie all’incontro di persone di diversa estrazione sociale e professionale (imprenditori, accademici, funzionari e privati). La sezione italiana del movimento “ Transparency International” sostiene la lotta alla corruzione in un’ottica internazionale e l’adozione di regole chiare e trasparenti per tutti i rapporti economici e commerciali, promuovendo la criminalizzazione degli atti di corruzione che riguardino un funzionario pubblico, anche di un Paese straniero. Il sito offre documentazione, accesso alla newsletter e segnalazione di incontri, riflessioni, conferenze e di dibattiti pubblici sul tema della corruzione in Italia e nel mondo.

ITALY.PEACELINK.ORG

WWW.TRANSPARENCY.IT

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LEGISLAZIONE PER MIGRANTI E RIFUGIATI PALLADIUM E TCPA, DUE SOFTWARE TEMUTI PER IL CONTROLLO DEL COPYRIGHT Tcpa è una iniziativa promossa da Intel con lo scopo di realizzare “una nuova piattaforma informatica in grado di fornire un aumento della sicurezza nei personal computer per il nuovo millennio”. Palladium è un software che Microsoft ha intenzione di incorporare nelle future versioni di Windows; sarà costruito sull’hardware Tcpa. La funzione principale di questo sistema è fornire una piattaforma informatica che non permetta di modificare i programmi utilizzati dall’utente. L’implementazione della tecnologia TcpaPalladium potrebbe portare a una drastica riduzione dei diritti degli utenti di Internet. Lo sostiene il movimento “Against Tcpa”. L’idea originaria di tale tecnologia era quella di rendere sicuri i dispositivi elettronici garantendo all’utente ampia libertà di scelta delle politiche attraverso le quali filtrare il software maligno e fare in modo che questo non intaccasse minimamente il nostro sistema. L’accordo trovato tra i produttori di hardware e di software, negherebbe della libertà di scelta da parte dell’utente. prevedendo che siano le multinazionali a decidere cosa è possibile installare e cosa, ad esempio, potrebbe portare a violazioni del diritto d’autore. Il sistema. collegandosi direttamente ai produttori di programmi mediante la Rete, diventerebbe un freno alla diffusione dei software e controllerebbe il numero di licenze installabili di uno stesso programma con rischi, secondo i promotori della campagna, sulla privacy degli utenti.

L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, presente sul web con un aggiornato sito, è nata nel 1990 e riunisce avvocati, docenti universitari, operatori del diritto e giuristi con uno specifico interesse professionale per le questioni giuridiche connesse all’immigrazione. I compiti principali dell’associazione sono: promuovere l’informazione, la documentazione e lo studio di problemi di carattere giuridico attinenti all’immigrazione, alla condizione dello straniero (nonché dell’apolide e del rifugiato) e alla disciplina della cittadinanza nell’ordinamento italiano. Ma anche avanzare proposte riguardo alle prospettive di riforma della legislazione italiana in materia di immigrazione, asilo politico e cittadinanza; contribuire alla formazione e aggiornamento professionale di operatori pubblici e privati operanti nel settore dell’immigrazione; promuovere la cooperazione e la realizzazione di servizi informativi e di consulenza legale con persone, enti, associazioni nazionali e locali operanti nel settore dell’immigrazione mediante apposite convenzioni.

WWW.AGAINSTTCPA.COM

WWW.ASGI.IT

radio popolare


stilidivita PORTARE LA MUSICA AI NON UDENTI CON VIBRATO

IL DOWNLOAD ILLEGALE DI MUSICA E FILMATI IN INTERNET E LA SENTENZA DI MONTPELLIER

DAI POMODORI UNA VERNICE PER LA PACCIAMATURA

RISCHI DAL “PATRIOT ACT” PER LA LIBERTÀ DELLA RETE

PROGRAMMI VIDEO LIBERI PER I PLAYER PORTATILI

Laureato in Product design alla Brunel University inglese, Shane Kerwin, ha ideato e realizzato un altoparlante che permetterebbe alle persone affette da sordità di sentire la musica con le dita. Il dispositivo, ribattezzato “Vibrato”, trasmette la vibrazione degli strumenti su cinque differenti terminali (“pad”) corrispondenti alle dita di una mano. In questo modo le persone con problemi di udito potrebbero rivivere secondo Kerwin la sensazione dell’ascolto musicale tramite il tatto. L’orecchio permette tuttavia a chi dispone dell’udito di distinguere suoni diversi. Le differenti vibrazioni trasmesse ai “pad” permetteranno quindi di individuare le note, il ritmo e le combinazioni. “Vibrato”, consentirà inoltre di creare musica propria, connettendo l’altoparlante ad un computer attraverso un software dedicato. Shane Kerwin ha dichiarato di sperare che “Vibrato” possa avere un impatto positivo nelle scuole, stimolando i bambini con problemi di sordità ad usare gli stessi Pc e software che utilizzano gli altri durante le lezioni di musica assumendo quindi un potenziale ruolo attivo e innovativo nello svantaggio degli studenti non udenti.

Electronic Frontier Foundation (EFF), un’associazione statunitense per la libertà di diffusione dei contenuti digitali, ha realizzato uno studio sulla diffusione dello scambio di file (files sharing) attraverso la Rete, incluso lo scambio di documenti protetti dal copyright e il cui download è potenzialmente illegale perchè lesivo del diritto di autore. Le Major hanno lanciato più campagne contro i sistemi P2P, celebre quella contro Napster. “RIAA contro il popolo: due anni dopo”, si lega ad una serie di altri rapporti sviluppati dalla celebre associazione per le libertà digitali che nel loro insieme affermano alcuni principi fondamentali: la maggior parte degli appassionati denunciati per il download o la condivisione di file musicali su Internet non può permettersi i processi. Da qui nasce l’accettazione di compromessi extragiudiziali. «Milioni di persone che ogni giorno scaricano musica dal P2P – ha spiegato Fred von Lohmann, uno dei legali di punta della EFF, citato da Punto Informatico – RIAA ne sceglie arbitrariamente alcune centinaia da denunciare ogni mese. Molte di queste famiglie si trovano in difficoltà finanziarie. Ma, nonostante la pubblicità data a questi casi, gli studi dimostrano che l’uso del P2P cresce invece di diminuire». Una recente sentenza del Tribunale francese di Montpellier ha rimesso in discussione il principio della copia privata. La Corte ha assolto un utente che aveva scaricato e copiato 500 film per uso personale. La motivazione del giudice prende fondamento dai principi sulla proprietà intellettuale stabiliti dal Codice francese: «quando un’opera è stata diffusa, l’autore non può impedire la copia o la riproduzione strettamente riservata all’uso privato del soggetto e non destinata a un uso collettivo».

Vernice dal pomodoro. La proposta viene dal progetto Life promosso da Eureco e realizzata dal Cnr di Pozzuoli. Il progetto verrà presto presentato anche in Argentina. Il brevetto consente di derivare dalle bucce del pomodoro la vernice biodegradabile a spray per la «pacciamatura», l’operazione di rivestimento dei terreni. Sarà possibile creare anche vasetti e piccoli contenitori attraverso un particolare processo di trasformazione. I risultati delle esperienze sono stati presentati alla “International Solid Waste Association”, massimo organismo internazionale, competente nel ramo dei rifiuti il cui obiettivo principale è quello di promuovere la corretta gestione dei rifiuti in tutti i loro aspetti. Il riutilizzo delle materie prime e degli scarti di lavorazione è uno dei temi maggiormente dibattuti in questo ambito. L’associazione ha elaborato studi che vengono utilizzati come strumenti tecnici dai più autorevoli organismi internazionali quali Ue, Unep, Oms e Banca Mondiale. Alle ricerche e alla stesura finale del progetto, cofinanziato dalla Comunità Europea, hanno collaborato cinque istituti di studi e ricerca italiani, svedesi e tedeschi.

Il pacchetto di leggi antiterrorismo “Patriot Act” emanato negli Stati Uniti dopo gli attentati terroristici permette al governo federale di Washington di avere il libero accesso a qualsiasi risorsa digitale online. La American Civil Liberties Union, storica associazione impegnata nella difesa dei diritti civili, ha spiegato come il Patriot Act dia la possibilità all’Fbi di accedere segretamente a dati sensibili o database informatici di qualsiasi Internet provider o server senza rendere noto le motivazioni ma adottando la formula di “segreto per la sicurezza nazionale”. Secondo i portavoce Aclu, impegnati in una battaglia legale contro lo strapotere dell’Fbi in ambito telematico, questo delicato scenario contrasta con i principi fondamentali della democrazia. Forti del supporto di altre associazioni come Epic e Eff, i membri di Aclu hanno sollevato il tema presso alcuni giudici federali, riuscendo ad ottenere l’apertura di un procedimento. La decisione assunta dai magistrati chiamati a giudicare l’applicabilità del Patriot Act in ambito telematico potrà influenzare il futuro prossimo di Internet gestito quasi nella sua totalità, proprio negli Stati Uniti.

La BBC rilascerà in “formato iPod” i suoi programmi. A rivelare i piani della tv di stato britannica, probabilmente la più autorevole e famosa televisione al mondo, è il giornale inglese The Independent citato da Macity.it In un articolo in cui la testata parla dei sistemi di trasmissione dei contenuti digitali e della battaglia che si scatenerà tra compagnie telefoniche, quelle delle reti elettriche e del broadband, si fa cenno alle strategie di BBC tra cui ci sarebbe quella che condurrebbe la tv britannica alla digitalizzazione delle trasmissioni tv per un uso “mobile”. La BBC avrebbe intenzione di creare una sorta di sistema di distribuzione in base al quale chi è interessato a determinati programmi potrà scaricarli per vederseli su un iPod video. La disponibilità dei contenuti sarà garantita per sette giorni dopo la trasmissione. Tra le scelte più interessanti che BBC potrebbe attuare c’è quella di mantenere gratuito il servizio. Il mercato aperto dal fenomeno iPod apre nuove possibilità alla produzione e scambio di liberi filmati e di produzione di contenuti anche di documentaristica accessibili tramite la Rete e scaricabili per una successiva consultazione.

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ESTIRPATORI DI OGM SOTTO PROCESSO IN FRANCIA MA IL SINDACATO LI SOSTIENE Gli “Undici di Avelin”, attivisti ecologisti francesi, sono stati condannati al termine di un lungo iter processuale ma le pena è stata sospesa. Dopo un processo durato 4 anni, il tribunale di Lille ha emesso il suo verdetto contro gli “Undici di Avelin” denunciati per aver estirpato una parcella sperimentale di barbabietole transgeniche ad Avelin, centro nei dintorni della cittadina francese di Lille. I tre rappresentanti dei Verdi sono stati condannati a due mesi di carcere, con sospensione della pena, mentre altri otto altri imputati (fra cui tre sindacalisti della Confédération Nationale du Travail) sono stati condannati a un mese di prigione con sospensione della pena. Per la parte civile, gli “11 di Avelin” devono dividersi la spesa di 5.000 euro per danni e interessi, mentre ciascuno dovrà pagare 300 euro a titolo di rimborso delle spese legali della controparte. Le pene previste per l’estirpazione di Ogm (5 anni di prigione, 75.000 euro d’ammenda e 250.000 euro di danni e interessi) erano potenzialmente molto severe. Altri processi avranno luogo prossimamente contro i cosidetti “Nove di Guyancourt”. Flemmatico il commento della Confédération Nationale du Travail di Lille subito dopo la lettura della sentenza: «in breve, la lotta continua». Il movimento dei “Faucheurs Volontaires” la disobbedienza civile da anni in Francia contro le coltivazioni in cui sono presenti piantagioni Ogm.

UN DVD IN VENDITA CHE SI DISTRUGGE DOPO 48 ORE

PASSAPORTI CON MICROCHIP RFID DOPO L’11 SETTEMBRE

Il primo film su Dvd usa e getta è stato messo a punto per il lancio di “Noel” che vede, fra i suoi interpreti, Susan Sarandon e Penelope Cruz. Contemporaneamente all’uscita della pellicola nei cinema verrà anche messo in commercio un Dvd del film. Il Dvd ha una caratteristica innovativa: è utilizzabile solo per 48 ore dall’acquisto. Il Dvd, che avrà un costo di 4,99 dollari si autodistrugge grazie ad una sostanza che lo rende illegibile dopo 48 ore di contatto con l’aria. La decisione di commercializzare un Dvd usa e getta rendendolo disponibile contemporaneamente all’uscita del film, non è stata accolta con favore dalle major cinematografiche. Secondo Jeff Arnold, proprietario della compagnia “Convex Group” che ha acquistato i brevetti del Dvd usa e getta, il Dvd usa e getta è il futuro di Hollywood. Ad essere interessati alla nuova tecnologia potrebbero essere i grandi distributori che potrebbero attirare così un nuovo mercato, offrendo al costo di noleggio l’acquisto a tempo del supporto senza il vincolo della restituzione. L’impatto ambientale dell’operazione non è però stato considerato come l’aumento dei costi di stoccaggio e distribuzione.

Sarà la Germania il primo paese comunitario ad adottare i passaporti biometrici. Il Ministro degli Interni Otto Schily ha presentato il prototipo degli “e-passport” che saranno distribuiti a tutti i cittadini tedeschi entro agosto 2006 in sostituzione del passaporto con la banda ottica adottato dopo gli attentati dell’11 settembre. Tecnicamente gli e-passport integrano nella copertina un microchip Rfid usato come memoria per archiviare i dati biometrici del volto del possessore, e dal 2007 le impronte digitali. Durante il controllo della dogana un dispositivo attuerà lo scanning facciale mentre l’addetto alla sicurezza provvederà ad inserire l’e-passport in un altro scanner. Il sistema centrale si occuperà poi del confronto dei dati raccolti. «La contraffazione sarà impossibile, o comunque molto difficile da realizzare» sostiene il ministro Schily. Secondo Peter Schaarm, commissario del Garante per la Protezione dei Dati Personali tedesco, tuttavia gli e-passport avrebbero bisogno di un maggior numero di test, con risultati trasparenti alla portata di tutti. «Le autorità in pratica non ci hanno fornito alcun dato riguardante la sicurezza dei nuovi passaporti».

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informazionedisinformazione

VIDEO MOSTRA VIOLENZE POLIZIA USA

GIORNALISTA INCARCERATO MUORE IN NEPAL

Un filmato della Associated Press Television News da New Orleans ha mostrato le brutalità inflitte al sessantaquattrenne Robert Davis, picchiato da agenti di polizia mentre si trovava all’esterno di un bar di New Orleans, vicino alla Bourbon Street. Mentre tentava di resistere ai suoi assalitori, 4 ufficiali, 3 bianchi e uno di carnagione olivastra, lo hanno buttato a terra per poi colpirlo due volte con ginocchiate e pugni, lasciandolo con il sangue che gli scorreva dal braccio sino alla cunetta ai lati della strada. Un altro ufficiale bianco, Stuart Smith, da 8 anni in servizio presso il dipartimento, ha intimato al produttore della APTN, Rich Matthews, e al suo cameraman di smettere di filmare. Quando Matthews ha mostrato il suo tesserino da giornalista, l’ufficiale lo ha trascinato e spintonato sulla macchina e lo ha colpito con un pugno allo stomaco mentre ripeteva una marea di bestemmie. In un’inquadratura del filmato scampato al tentativo di sequesto si vede Davis, fermato per ubriachezza molesta e resistenza all’arresto, con l’occhio destro chiuso dal gonfiore, una ferita alla sinistra sul collo e un taglio sulla tempia destra.

Maheshwor Pahari, 30 anni, è morto per tubercolosi dopo che le autorità nepalesi avevano ripetutamente rifiutato di scarcerarlo, nonostante le sue gravissime condizioni di salute. Secondo Reporter Sans Frontières, che ha diffuso la notizia, Pahari è l’ultima vittima della politica criminale delle forze di sicurezza verso chiunque sia sospettato di simpatizzare con i ribelli maoisti. Il giovane lavorava per il settimanale locale Rastriya Swabhiman, chiuso nell’agosto del 2003 in seguito alla rottura della tregua da parte dei maoisti. I servizi di sicurezza perseguitavano Pahari da anni, perchè lo sospettavano, senza aver prove, di legami con i ribelli. Arrestato il 2 gennaio 2004, il giornalista fu portato in segreto nella caserma di Phulbari vicino Pokhara sotto l’ombrello delle nuove leggi antiterrorismo. Appena uscito di prigione il 13 maggio 2005, fu riarrestato e portato alla stazione di polizia di Bagar, distretto nel nord di Pokhara. Pahari era malato da diversi mesi, ma i suoi carcerieri gli hanno negato i medicinali necessari e lo hanno rinchiuso insieme a circa cento detenuti in una cella costruita per 20 persone. Fino alla fine, la polizia ha vietato ai suoi amici e colleghi di incontrarlo.

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GIRO DI VITE IN CINA PER I MESSAGGI SMS LE CONSEGUENZE DELLA LEGGE BOSSI - FINI SULL’AMORE E SUI LEGAMI PERSONALI

Giro di vite sugli sms, i popolarissimi messaggi di testo inviabili tramite i telefoni cellulari. Il governo centrale della Repubblica Popolare Il titolo di questo libro, dedicato a storie di Cinese ha infatti lanciato migranti, riprende quello dello scrittore premio un serio monito sull’utilizzo Nobel, Gabriel Garcia Màrquez, un maestro degli sms prendendo a pretesto nel raccontare l’amore, la disperazione il loro utilizzo da parte e l’assurdo. In Italia spesso si creano di organizzazioni criminali. situazioni al limite del surreale, con frequenti «I rischi legati all’abuso di questo epiloghi tragici. Il libro è una raccolta di sistema di comunicazione frammenti di vita quotidiana di persone rappresentano una grave costrette a una condizione quasi impossibile. minaccia all’ordine sociale della Il testo unico sull’immigrazione è diventato nazione» secondo il Ministero con la rilettura totalmente repressiva degli Interni. La situazione, del centrodestra, una legge al limite secondo l’agenzia statale del razzismo nei confronti dello “straniero”. Xinhua, sarebbe per i governanti Qui incontreremo le storie di alcuni stranieri totalmente fuori controllo. rimasti impigliati nelle maglie della giustizia Secondo il Giornale del Popolo, del nostro paese: Luna, ragazza cubana quotidiano del partito comunista diventata senza patria e fidanzata con esisterebbero centinaia un italiano; Lili, badante ucraina prelevata di organizzazioni malavitose ed espulsa nel corso di una sanatoria; Beto, che sfruttano la pervasività dei giovane gay brasiliano fidanzato con un telefoni cellulari per macchinare veronese; Korima, rifugiato politico togolese, qualsiasi tipo di crimine. Gli sms alle prese con il ricongiungimento familiare verrebbero utilizzati per favorire della moglie; Liz, lavoratrice autonoma le attività criminose, dalla canadese, in condizione irregolare; Helena, prostituzione alla vendita minore di origine egiziana, senza cittadinanza. di droga, dal commercio L’ultimo racconto è dedicato a Amor, questo di armi fino all’ingaggio il vero nome del ragazzo tunisino che nel 2004 di sicari prezzolati. ha perso la vita nel bagagliaio di una macchina In Cina vi sono 330 milioni sul traghetto partito da Tunisi. Il denominatore di abbonati che generano comune dei protagonisti è l’incontro tra un traffico di sms pari a circa i cittadini stranieri e italiani. Tanto che mano 220 miliardi di messaggi all’anno. a mano sfuma la differenza tra “noi” Un volume di dati difficilmente e “loro” e, come sottolinea Laura Balbo controllabile anche per una nell’introduzione, il testo si trasforma delle più collaudate macchine “in un libro sulla società italiana ai tempi politiche di repressione della della Bossi Fini” e sul futuro. Di tutti noi. libera circolazione dei contenuti.

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22,3 16,8 15,7

30.642 29.783

14,5 14,2 12,1 8,6

Svezia

Germania

Francia

21.890

Paesi Bassi

24.679

UE (25)

18,3 1 14,1 4,7 5,5 -1,5 15,3 5,2

Inghilterra

13,5 -1,6 4,5 0,4 18 -1 2,8 -2,8

Spagna

-6,8 -8,3 -5,9 -10,1 -1,7 -10,1 -2 -11,7

Fonte: Eurostat

322.034 567.454 452.775 234.306 264.520 81.205 140.951 319.200

Bergamo

566.326 596.109 552.032 404.462 112.053 65.624 168.796 187.393

Torino

2.546.804 1.256.211 1256.211 865.263 686.722 610.307 371.217 356.118

TASSO % DI ABBANDONO SCOLASTICO NEL 2004 [18-24 ANNI]

31,1

55.965

Brescia

ROMA MILANO NAPOLI TORINO PALERMO GENOVA BOLOGNA FIRENZE

I NUMERI DELLE COMUNITÀ ISLAMICHE IN ITALIA

Roma

ABITANTI DI CITTÀ E HINTERLAND VARIAZIONE % (CON PIÙ DI 250.000 RESIDENTI) NEL 2001 DAL 1991 AL 2001 COMUNE 1° CORONA 2° CORONA COMUNE 1° CORONA 2° CORONA

Milano

LA PERIFERIA CRESCE

Italia

numeri

123

Al terzo posto in Europa per i migranti regolari

quindi Albania, Marocco e Polonia, con quote tra il 15% e il 10%. «Il futuro dell’Italia - ha sottolineato Franco Pittau, coordinagli italiani che in quell’anno avevano preso la via deltore del Dossier - sarà simile a quello attuale del Canada dove un l’esodo (152.000). A 35 anni di distanza la situazione sesto della popolazione è nato all’estero». A questa situazione ocè radicalmente cambiata. Il dossier della Caritas Italia “Immigraziocorre rispondere concretamente: Pittau ha avanzato «l’ipotesi di ne e globalizzazione” stima che gli stranieri regolarmente soggiorun permesso di soggiorno per la ricerca del posto di lavoro, come nanti sono 2 milioni e 800 mila, all’incirca lo stesso numero di Spasuggerisce il recente Libro verde dell’Ue da integrare con la possigna e Gran Bretagna. Nell’Ue l’Italia viene subito dopo la Germania bilità di convertire in soggiorno per lavoro i permessi per studio, (7,3 milioni) e la Francia (3,5 milioni), mentre insieme alla Spagna è turismo o visita». lo Stato membro caratterizzato da ritmi d’aumento più consistenti. L’incremento della popolazione straniera residente nel nostro Nel 2004 sono sbarcate 13.635 persone, in prevalenza nei mesi estiPaese è dovuto anche, in misura non trascurabile, al continuo auvi, soprattutto in Sicilia. I flussi di ingresso irregolare nell’Ue ammento dei nati di cittadinanza stramontano annualmente a circa mezzo IL CONSUMO DI COMNICAZIONE niera (figli di genitori residenti in Itamilione. In Italia l’arrivo via mare inNumero di ore settimanali dedicate a ciascun mezzo in italia lia, entrambi stranieri) che si traduce cide solo per il 10% del totale, menMedia totale in un saldo naturale differenza (tra tre un altro 15% passa attraverso le 18,67 Popolazione 15-24 anni nascite e decessi) in attivo (+45.994 frontiere e i tre quarti sono persone 16,67 16,21 unità). L’apporto della popolazione entrate con regolare visto e fermatesi 13,26 13,16 straniera alla crescita demografica è oltre la scadenza. rilevante, soprattutto se contrappoIl 2004 è stato un anno di afflus8,81 sto al bilancio naturale della popolaso medio, con 131mila ingressi sta6,47 zione italiana che risulta negativo bili. Protagonisti nell’accesso al lavo5,47 5,11 4,28 nella maggior parte delle regioni. ro sono la Romania (40% dei visti), EL 1970 GLI IMMIGRATI IN ITALIA erano 144.000, meno de-

N

Fonte: elaborazioni lem su dati Eiaa

pubblicità

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Televisione

Radio

Giornali

Periodici

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Internet

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| numeridell’economia |

12,6

10

8

8

II I II II II II II II II

+101,5 Ottobre -35,5 Settem. +26,7 Settem. +24,4 Settem. -1,3 Agosto +16,8 Settem. +25,8 Ottobre +2,9 Ottobre -6,9 Settem. +11,4 Settem. +41,9 Ottobre +8,7 Ottobre +1,6 Agosto -9,4 Settem. +4,1 Agosto +24,7 II Trimestre -10,4 II Trimestre -8,3 Settem. -3,0 Settem. -41,2 Settem. +1,5 Settem. - 3,5 Agosto -3,6 Agosto +113,4 Agosto

2,20 5,68 14,63 2,95 8,19 2,75 3,95 1,55 4,30 7,0 18,96 5,04 6,46 8,73 3,00 14,39 9,23 4,07 7,25 15,43 2,25 6,16 4,65 13,00

LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE

Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro

PIL MIN/MAX 2005

MIN/MAX 2006

2,4/3,0 0,8/2,0 1,1/1,4 1,6/1,9 2,6/3,2 1,5/2,4 1,1/1,7 0,4/1,1 -0,1/0,4 1,8/2,4 0,5/0,9 3,0/3,5 2,1/2,6 1,0/1,3 3,4/3,7 1,0/1,4

2,8/3,8 1,6/2,1 1,4/2,2 1,5/2,5 2,5/3,5 1,7/2,6 1,3/2,0 0,7/1,8 0,8/1,6 1,3/2,5 1,3/2,5 2,7/3,2 2,3/3,3 1,1/2,0 2,6/4,0 1,3/1,8

I DEFICIT STATALI DELL’UNIONE EUROPEA [% DEL PIL]

IL COMMERCIO ESTERO USA

Deficit (-) o surplus (+) dei bilanci nella zona euro (previsioni)

Cifre in miliardi di dollari

1,7

1,6

INFLAZIONE MEDIA 2005

MEDIA 2006

2,7 1,6 1,3 1,8 2,9 2,2 1,5 0,9 0,2 2,3 0,7 3,4 2,3 1,1 3,6 1,3

3,3 1,9 1,8 2,1 3,0 2,2 1,7 1,3 1,2 2,0 1,7 3,0 2,8 1,6 3,3 1,6

deficit a settembre ‘05 66,1

170 0

Finlandia

0,1

Spagna

Belgio

Irlanda

-0,2 -0,6

-0,6

Lussemburgo

Austria

Paesi Bassi

Francia

Germania

Italia

Grecia

Portogallo

-0,6 -1,5 -1,9

-2

150

-617,583

-1,7

-1,6 -2,8

-3 -3,4

DICEMBRE/GENNAIO 2005

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BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2005 2006

2,7 2,0 2,2 2,2 2,5 1,9 1,7 1,9 2,1 0,3 na 3,1 1,5 1,2 3,1 1,9

-4,7 -0,2 +2,4 -2,2 1,6 2,8 -1,0 3,7 -1,3 3,6 3,6 -6,6 7,1 12,3 -6,5 0,1

-5,3 -0,3 2,4 -2,4 1,5 2,5 -0,8 3,5 -1,4 3,6 3,6 -6,6 6,5 11,7 -6,6 0,1

FORBICE PROFITTI-SALARI Germania, utili aziendali e salari, miliardi di euro

300

150 Utili aziendali e plusvalenze (sx) Salari (dx)

290

130

280

110

-3,6 -4,5

70

-4,4 -4,9

|

2,8 2,2 2,5 2,2 2,4 1,8 1,9 1,7 2,1 -0,1 1,5 3,3 0,8 1,3 3,4 2,2

2006

90

-3,3

-4,6

ANNO 5 N.35

2005

-494,818

110

-2

-421,180 2005 2006

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Import Export

130

limite del 3%

America Latina

+0,9 Sett. +3,6 Sett. +17,9 Ott. +3,4 Sett. +7,0 Ott. +0,6 Sett. +2,5 Ott. +2,6 Ott. +6,2 Ott. +10,7 Ott. +6,0 Set. +4,1 Ott. +5,3 Ott. +3,1 Ott. +1,3 Ott. +16 Ott. +3,7 Sett. +1,9 Sett. +4,4 Sett. +7,5 Ott. +2,6 Ott. +8,9 Sett. +5,5 Sett. +11,8 Ott.

Africa e Medio Oriente

Sett. Ago. Lug. Sett. Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Ago. Ago. Ago. Sett. 2004 Ago. Ago. Sett. Ago. Sett. Sett. Sett.

5,5 5,5

3,5

3,6

Giappone

+16,5 +7,4 +7,3 +4,9 +7,3 +21,1 +7,2 +6,2 +4,8 +6,8 +0,2 +5,8 +5,7 +2,1 +9,4 +12,4 +3,3 +3,9 +3,5 +9,3 +8,6 +8,9 +5,5 +5,2

5,9

5,8

5

Stati Uniti

Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Agosto Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre

TASSI INTERESSE

7

6,6 6

Econ. Industrializzate

III II II II II III III II II II II II II II

BILANCIA COMMERCIALE

8

7,4

7

di cui Cina

8 7,2

Asia (escl. Giappone)

6,9

Mondo

Cina +9,4 India +8,1 Indonesia +5,5 Malesia +4,1 Filippine +4,8 Singapore +6,0 Corea del Sud +4,4 Taiwan +3,0 Tailandia +4,4 Argentina +10,1 Brasile +3,9 Cile +6,5 Colombia +5,3 Messico +3,1 Perù +6,7 Venezuela +11,1 Egitto +5,2 Israele +4,8 Sud Africa +4,5 Turchia +4,2 Repubblica Ceca +5,1 Ungheria +4,1 Polonia +2,8 Russia +6,1

PREZZI AL CONSUMO

10

Europa centro Orientale *

.

LE NAZIONI EMERGENTI PRODUZIONE INDUSTRIALE

9,9

11,5

10,4

8,6 8,1

4,6 PIL

* = UE 8 + Bulgaria, Romania, Croazia e Serbia Montenegro, Russia, Ucraina, Bielorussia

25,8 21,5

12

2004 2005 2006

6,2

PAESE

27,8

17

12,9

Fonte: Dipartimento commercio

leggera flessione rispetto al mese di settembre, l’indice viaggia ad un +11,8%. I mercati, dopo l’ennesimo rialzo dei tassi deciso dalla Fed, si aspettano ora un trend rialzista sia nell’area Euro (per ora ferma al 2 contro il 4% degli Stati Uniti) sia nei paesi in via di sviluppo.

15,2

Mercati emergenti

strato, per esempio, una drastica frenata del tasso di crescita portandosi, su base annua, ad un risicato + 0,2%. Il tasso di inflazione in Argentina è balzato ad un +10,7% annuo nel mese di ottobre: non accadeva da due anni. Lo stesso dicasi per la dinamica dei prezzi in Russia dove nonostante una

15,3

di cui area euro

del dollaro mette in evidenza il rischio di una frenata dell’economia mondiale. E i primi segnali che arrivano dalle principali economie sono preoccupanti: la produzione industriale del Brasile nel mese di Settembre ha regiFRONTI

Volume nelle principali regioni 2004-2006 Variazione % annua

UE (15)

L

A FLESSIONE DELL’EURO NEI CON-

L’EXPORT MONDIALE

-4,7

270 2002

2003

2004

2005

2000

2001

|

ANNO 5 N.35

2002

|

2003

2004

DICEMBRE/GENNAIO 2005

90 2005

| valori | 79 |

Fonte: Bundesbank

Il dollaro recupera. Sulla spinta dei tassi

Fonte: Isae

| numeridell’economia |


|

indiceetico

| numeridivalori |

| numeridivalori |

NORDISKT HÅLLBARHET INDEX

portafoglioetico

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IL PORTAFOGLIO DI VALORI

NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Electrolux H&M Trelleborg Orkla Kesko Statoil Svenska Handelsbanken Storebrand Gambro Coloplast Novozymes Metso Skanska Tomra Tietoenator Nokia Holmen UPM-Kymmene Telenor Volvo

elettrodomestici abbigliamento componenti meccaniche alimentari/media distribuzione petrolio servizi bancari assicurazioni tecnologia medica tecnologia medica farmaceutici macchine industriali edilizia macchine industriali software telefoni carta carta telecomunicazioni automobili

Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Copenaghen, Danimarca Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia

CORSO DELL’AZIONE AL 31.10.2005

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 31.10.2005

185,50 SEK 258,50 SEK 122,00 SEK 228,00 NOK 22,940 € 145,50 NOK 181,50 SEK 59,75 NOK 112,50 SEK 357,00 DKK 325,50 DKK 21,70 € 111,50 SEK 44,50 NOK 26,50 € 13,88 € 232,00 SEK 16,13 € 63,50 NOK 327,50 SEK

15,20% 5,41% 1,92% 32,59% 27,80% 62,24% -0,96% 8,19% 12,08% 18,39% 17,02% 86,11% 31,98% 41,55% 13,25% 19,45% -4,78% -1,41% 22,30% -5,31%*

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 31.10.2005 *Il rendimento di Volvo è calcolato dall’entrata del titolo nell’indice (2 settembre 2005)

19,56%

NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Sabaf Heidelberger Druck. CSX Body Shop International Henkel Aviva Svenska Handelsbanken Novo Nordisk Merck Kgaa 3M Company FLS Industries Mayr – Melnhof Karton Verizon Cisco Systems Canon Stmicroelectronics BG Group Severn Trent Vestas Wind Systems Boiron

pezzi per forni a gas macchine per la stampa trasporti cosmetici detergenti, cosmetici assicurazioni servizi bancari farmaceutici farmaceutici/chimica grafica, edilizia edilizia cartone telecomunicazioni tecnologia Informatica tecnologia digitale semiconduttori gas ciclo acqua pale eoliche medicina omeopatica

Milano, Italia Francoforte, Germania New York, USA Londra, Gran Bretagna Francoforte, Germania Londra, Gran Bretagna Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Darmstadt, Germania New York, USA Copenaghen, Danimarca Vienna, Austria New York, USA New York, USA Tokyo, Giappone Milano, Italia Londra, Gran Bretagna Londra, Gran Bretagna Copenaghen, Danimarca Parigi, Francia

CORSO DELL’AZIONE AL 31.10.2005

RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 31.10.2005

16,91 € 26,50 € 45,81USD 209,50£ 71,90 € 659,67£ 181,50 SEK 319,00 DKK 68,98 € 75,98 USD 163,00 DKK 114,41 € 31,51 USD 17,45 USD 6.070,00 JPY 13,73 € 498,77£ 954,00£ 134,75 DKK 22,38 €

-11,13% 6,00% 29,97% 36,20% 12,34% 9,62% -0,96% 6,31% 37,14% 5,27% 57,69% -8,69% -11,55% 2,70% 10,54% -3,42% 44,41% 2,93% 97,46% -8,65%

Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 31.10.2005

€ = euro, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, NOK = corone norvegesi

16,31%

€ = euro, £ = sterline inglesi, USD = dollari USA, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, JPY = yen giapponesi

Salgono i tassi. Mercati in agitazione

Cisco Systems sotto osservazione

GIUNTA L’ORA. I tassi sono pronti a salire anche in Europa. “Ogni momento è buono”, ha dichiarato la Banca Centrale Europea, che da mesi tiene fermo il Rendimenti dal 31.12.2004 al 31.10.2005 Nordiskt Index [in Euro] 19,56% costo del denaro al 2%. La Federal Reserve americana (FED) continua con la politica dei rialzi graduali: un quarto di punto alla volEurostoxx 50 price Index [in Euro] 12,50% ta fino al 4% di oggi. Se i tassi salgono, per le imprese diventa più costoso indebitarsi. Chi ha un mutuo a tasso variabile paga una rata più alta. Nel sistema circoOrkla Sede Oslo, Norvegia Borsa OBX, Oslo Rendimento 31.12.2004 – 31.10.2005 +32,59% la complessivamente meno denaro e la crescita Attività Orkla è attiva in due mercati: beni di consumo (alimentari, media, tessile, ecc.) e chimica. tende a rallentare. Sono motivi sufficienti per Ha più di 30.000 dipendenti. mettere le borse in stato di agitazione. In un mese il nostro indice etico scandinavo ha perso Responsabilità sociale per strada otto punti. Anche l’Eurostoxx, il paGiudizio complessivo Buoni i rapporti con i dipendenti. Strategia ambientale ben organizzata. Proibito l’uso di OGM rametro di riferimento che abbiamo scelto, ha negli alimentari. seguito lo stesso destino. Niente di preoccuPolitica sociale interna Buona la qualità dei contratti di lavoro. La gestione delle risorse umane è considerata positivamente dai sindacati norvegesi e internazionali. pante, assicurano gli analisti. I dati sugli utili Politica ambientale Coinvolgimento dei dipendenti nella realizzazione degli obiettivi del sistema di gestione delle imprese restano incoraggianti e, dopo il ambientale. Orkla produce e commercializza una serie di prodotti che hanno un impatto grigiore di ottobre, le quotazioni dovrebbero positivo sull’ambiente. tornare a salire. Ma è meglio non sbilanciarsi. I Politica sociale esterna Orkla è coinvolta in progetti di sviluppo locale nei PVS. Proibito l’uso di OGM nei prodotti tassi, l’inflazione, il prezzo del petrolio e il realimentari. La soia viene importata solo da Paesi in cui la produzione OGM è proibita o cente cambio alla guida della FED consigliano sottoposta a controlli rigorosi. di continuare a navigare a vista.

pagine a cura di Mauro Meggiolaro

.

L

settore tecnologico. Molte hanno scelto di spostare la produzione nel sud-est asiatico dove il costo della ma16,31% nodopera è inferiore e le regole sono meno severe. Pochissime hanno deciso di accompagnare la delocalizzazione con codici sul MSCI DM World price Index [in Euro] 16,12% rispetto dei diritti dei lavoratori da parte dei produttori. Cisco Systems l’ha fatto, ma la sua condotta non convince del tutto. Amnesty International e Reporter Senza Novo Nordisk Sede Bagsværd, Danimarca Borsa KFX, Copenaghen Frontiere criticano l’impresa per la fornitura al Rendimento 31.12.2004 – 31.10.2005 +6,31% governo cinese di tecnologie informatiche che Attività Società farmaceutica. Leader mondiale nella cura del diabete. Ha circa 17.000 dipendenti, il 63% permetterebbero di controllare in modo più dei quali è impiegato in Danimarca. efficace l’accesso a internet da parte dei cittadini. Ethibel – società che fa analisi sulla reResponsabilità sociale sponsabilità sociale delle imprese – ha deciso Giudizio complessivo Pioniere nella responsabilità sociale. Gestione ispirata alla “triple bottom line” (triplice valutazione sul piano economico, sociale e ambientale di tutte le attività dell’impresa). Politica ambientale di escludere Cisco dalla lista dei “buoni” a causa molto buona. della scarsa trasparenza nella gestione delle riPolitica sociale interna Lunga tradizione di dialogo costruttivo con i sindacati. sorse umane. Noi per ora la teniamo nel porPolitica ambientale Il sistema di gestione ambientale si basa sull’uso delle migliori tecnologie disponibili, di materiali tafoglio etico di Valori sotto costante osservaecologicamente compatibili e di processi di ottimizzazione delle risorse. zione. Intanto facciamo scaldare a bordo Politica sociale esterna Novo Nordisk ha lanciato il programma “LEAD” (Leadership nell’Educazione campo Intel, un altro colosso americano dele nell’Accesso alle cure per il Diabete) per garantire a un maggior numero di persone l’hi-tech. Che però ha scelto di produrre quasi l’accesso alle cure mediche. tutto negli Stati Uniti. Portafoglio di Valori [in Euro]

UN’IMPRESA AL MESE

UN’IMPRESA AL MESE

È

A CINA È VICINA. Soprattutto per le grandi compagnie del

Rendimenti dal 31.12.2004 al 31.10.2005

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in collaborazione con www.eticasgr.it | 80 | valori |

ANNO 5 N.35

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DICEMBRE/GENNAIO 2005

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| valori | 81 |


| padridell’economia |

Thorstein Veblen

La ricchezza come puro atto meritorio di Francesca Paola Rampinelli

«S

I PUÒ DIRE CHE, ENTRO CERTI LIMITI, LA LIBERTÀ DAGLI SCRUPOLI, dalla simpatia, dall’onestà e dal rispetto per la vita,

favorisca il successo dell’individuo nella civiltà finanziaria». Questa affermazione, che calza perfettamente anche alle dinamiche dell’attuale panorama economico, continuamente flagellato da scandali e fallimenti, è stata pronunciata un secolo fa da Thorstein Veblen, l’economista americano che per primo, analizzando l’avvento dei nuovi equilibri societari, coniò il termine “consumismo”. Veblen, figlio di un falegname immigrato dalla Norvegia, nacque in Wisconsin nel 1899 e ricevette una ottima educazione: studiò arti liberali, si laureò in filosofia e conseguì un dottorato in economia a Yale. Uomo di grande umorismo, in “Teoria della classe agiata”, svolge una sorta di studio antropologico sull’ostentazione della ricchezza in cui si fa un’analisi impietosa dell’obbligo sociale di esibire le proprie ricchezze e di dimostrare l’emancipazione dal duro lavoro: “un consumo cospicuo di beni preziosi è, per il gentiluomo libero da occupazioni, un modo per acquisire rispettabilità”. Nel testo sono paragonate le abitudini rituali delle tribù arcaiche con quelle dei signori di New York: “trattamenti costosi, come il ballo o il potlach, la distribuzione cerimoniale di doni che le popolazioni d’indiani d’america compiono in occasione della festa celebrativa dell’inverno, sono particolarmente adatti allo scopo”, esibire le potenzialità economiche. La moderna classe agiata si distingue in parte dalle forme barbariche, spiega lo storico, perché “Come risultato ultimo di questo sviluppo di un’istituzione arcaica, la moglie, che all’inizio era serva e proprietà dell’uomo, è diventata «Il consumo cospicuo la consumatrice cerimoniale dei beni che lui produce”. di beni preziosi è, Anche per quanto riguarda il concetto di proprietà Veblen si rifà per il gentiluomo libero da occupazioni, un modo ad epoche arcaiche: “L’usanza di rapire donne al nemico come trofei per acquisire rispettabilità» diede origine a una forma di proprietà-matrimonio, che mise poi capo alla famiglia governata da un maschio”. Dalla proprietà delle donne il concetto di proprietà si allarga. “Dovunque si trova l’istituzione della proprietà privata, anche in forma poco sviluppata, il processo economico ha il carattere di una lotta fra uomini per il possesso dei beni (...) la proprietà ebbe origine come bottino considerato quale trofeo della razzia fortunata”. Questa la spiegazione ultima: “La proprietà accumulata sostituisce sempre più i trofei delle gesta predatorie come esponente convenzionale di strapotere e di successo”. “Il possesso della ricchezza che all’inizio era considerato prova di capacità, nell’opinione popolare diventa esso stesso atto meritorio”. Veblen conia espressioni che poi diventeranno pietre miliari degli studi successivi come «istinto dell’efficienza», «confronto antagonistico o «sciupio onorifico». Nella Teoria dell’impresa industriale l’economista legge la società contemporanea come conflitto tra tecnici e scienziati da una parte e uomini d’affari d’altra che, seguendo una logica di profitto, “tengono sotto controllo talenti e tendenze di scienziati e ingegneri, fino a soffocarli”. Solo liberando queste persone di grandi capacità tecniche, secondo Veblen, si possono ottenere produttività e ricchezze, mentre la mancanza della ricerca del profitto permette la produzione di cose utili ma poco convenienti economicamente. Da queste teorie nascerà, sotto la guida di Howard Scott, un movimento politico chiamato Technocracy (Tecnocrazia) che si propone appunto di lasciare libere le energie produttive di ingegneri e scienziati, riducendo l’importanza degli interessi economici.

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DICEMBRE/GENNAIO 2005

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valori

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