Anno 6 numero 37. Marzo 2006. € 3,50
valori Mensile di economia sociale e finanza etica
9 771826 697002
60037 1826-6975 ISSN CHRISTOPHER ANDERSON / MAGNUM PHOTOS
osservatorio
nuove povertà
Le molte zone oscure di Brescia capitale industriale d’Italia profondamente cambiata dalla dittatura della finanza sul suo ceto imprenditoriale
Fotoreportage > Traffico d’armi
Dossier > L’industria bellica esulta per i budget record, Italia compresa
Mercanti di morte Coop > Dopo Unipol alla ricerca delle radici del movimento cooperativo Colombia > La “Ciudad perdida” degli indios Tairona Redditi > Anche il ceto medio piange. I ricchi proprio no Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.
| editoriale |
Armi e finanza
disarmiamo le banche di Fabio Salviato
chiedono risposte chiare. Quando leggiamo che la spesa per l’assistenza in Italia è di poco superiore a quella per la difesa, mentre nel resto dei paesi europei il rapporto è mediamente di tre volte (per ogni euro speso per la difesa ne vengono erogati tre per l’assistenza), sorge spontanea la domanda: ma di che cosa stiamo parlando? Come è possibile che si debba anche solo discutere di una riduzione delle spese militari di fronte a un’emergenza di queste proporzioni? Bisogna risvegliare l’attenzione di tutti su questo ennesimo scandalo, uno dei tanti, che accompagna l’industria bellica. Come sistema Banca Etica ci battiamo da sempre contro il business di morte incontrando ostacoli e a volte dovendo scontrarci anche con partner e amici. Emblematico il caso della Banca Popolare di Milano con la quale intratteniamo un importante rapporto di collaborazione. La banca figura nell’elenco degli istituti segnalati in base alla legge 185/90 perché alcuni clienti domiciliano i pagamenti provenienti dall’estero per la vendita di materiale bellico. Abbiamo chiesto subito con forza ai vertici dell’istituto di chiarire le scelte strategiche e abbiamo trovato interlocutori sinceri e motivati che hanno ribadito l’adesione al principio di banca non armata e perseguito con azioni concrete la riduzione di questa attività operativa. Nella lettera del presidente Roberto Mazzotta la Banca Popolare di Milano conferma lo spirito di “banca non armata” e fornisce elementi concreti sulla riduzione dell’operatività che nel 2005 è stata quasi del 25% rispetto all’esercizio precedente. Siamo soddisfatti dei risultati che siamo riusciti ad ottenere, anche per l’impegno riferito ai prossimi anni che, come Banca Etica, intendiamo verificare costantemente, affinché lo spirito di “banca non armata” si concretizzi in un’uscita seppure graduale da qualsiasi attività, anche di natura operativa. Non altrettanto possiamo dire per molti istituti che, al di là delle dichiarazioni di facciata, continuano a finanziare l’esportazione di armi magari utilizzando controllate estere che sfuggono alla normativa. La pressione della società civile e del movimento contro le Banche armate continua, comunque, ad ottenere risultati come dimostrano i significativi passi in avanti fatti per esempio dal gruppo Mps che ha deciso di uscire completamente dall’operatività in questo settore. Il nostro obiettivo è migliorare la legge 185/90 e nello stesso tempo continuare il dibattito nella società civile, coinvolgendo anche il sindacato, per raggiungere il superamento della produzione bellica e avviare un processo di riconversione del settore. Esistono possibilità concrete di sviluppo sostenibile nei quali il sistema Banca Etica sta lavorando con risultati sempre più importanti, dalle energie rinnovabili al commercio equo e solidale.
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DATI CHE EMERGONO NEL DOSSIER DI QUESTO NUMERO
POSTE L’AUTORE Fabio Salviato
nato a Padova nel 1958 dopo una esperienza come manager in una grande azienda è tra i fondatori del Consorzio CTM-Cooperazione Terzo Mondo e dal 1989 al 1995 è Presidente e Direttore del Consorzio Finanziario Etimos. Nel 1995 è tra i soci fondatori di Banca Etica, di cui diviene Presidente. È stato Consigliere del ministro dell’economia solidale Hasquette in Francia. Nell’ottobre del 2004 l’università di Parma ha conferito a Fabio Salviato la laurea ad honorem in Economia Politica.
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valori marzo 2006 mensile www.valori.it
anno 6 numero 37 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore
Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica
CHRISTOPHER ANDERSON / MAGNUM PHOTOS
| sommario |
Repubblica autonominata della Transnistria. Nessun Paese ha mai riconosciuto l’esistenza di questa terra indipendente, che ha un governo, un presidente, dogane e una moneta. Ma soprattutto che esporta armi.
Transnistria, 2003
soci
Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana
bandabassotti
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fotoreportage. Traffico d’armi
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consiglio di amministrazione
Italiani belle pistole Per i produttori di morte la festa è infinita Una difesa che offende la Costituzione [INTERVISTA A SILVANA PISA ]
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lavanderia
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finanzaetica Valori, etica e principi. Il monito alle cooperative di Edwin Morley Fletcher Movimento cooperativo? Più forti dopo il raffreddore Unipol [INTERVISTA A STEFANO ZAMAGNI ]
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Via Copernico, 1 - 20125 Milano Cristina Artoni, Paola Baiocchi, Francesco Carcano, Paola Fiorio, Michele Mancino, Sarah Pozzoli, Francesca Paola Rampinelli, Elisabetta Tramonto
bruttiecattivi
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osservatorionuovepovertà
revisione testi
Molte crepe dolorose per la Leonessa d’Italia La finanziarizzazione ha minato la città più industriale d’Italia
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Sabina Siniscalchi, Sergio Slavazza, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it) collegio dei sindaci
Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone direttore editoriale
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BANCA ETICA
direttore responsabile
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dossier. Armi
redazione (redazione@valori.it)
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10 numeri 30,00 euro ˜ sostenitore 60,00 euro
internazionale Alla ricerca della città perduta degli indios Tairona Argentina, la storia dell’hotel Bauen simbolo della nuova imprenditorialità
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macroscopio
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economiasolidale Anche il ceto medio piange. I ricchi proprio no. I nuovi poveri, una sfida per la politica e il Vangelo [INTERVISTA A DON VITTORIO NOZZA ] Terra Futura, per ogni strada il futuro. A noi la scelta
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Beneficenza nera
A Scrushy le preghiere potrebbero non bastare di Mauro Meggiolaro
ENTRE SI APRE IL PROCESSO ENRON UN ALTRO CASO DI FRODE FINANZIARIA torna a far parlare le cronache. Riguarda Richard Scrushy, l’ex fondatore e amministratore delegato di HealthSouth, il colosso americano dei servizi sanitari. Nel 2005 era stato il primo alto dirigente ad essere processato in base alla nuova legge Sarbanes-Oxley. Accusato di frode finanziaria, frode informatica e riciclaggio di denaro per aver gonfiato i profitti dell’impresa di 2,7 milioni di dollari dal 1996 al 2002, il 28 giugno era stato miracolosamente assolto dopo cinque mesi di processo. Contro Scrushy non erano bastate né le testimonianze di quindici ex dirigenti di HealthSouth né la registrazione di una conversazione. I giurati avevano creduto alla tesi dell’ignoranza, secondo la quale Scrushy non sarebbe stato a conoscenza delle malversazioni dei suoi sottoposti. Le deposizioni dei dirigenti non erano state considerate attendibili: avrebbero avuto tutto l’interesse a testimoniare contro il boss per ottenere un alleggerimento delle condanne a loro carico. E così Scrushy, che rischiava fino a 300 anni di condanna, è rimasto in libertà. L’accusa, frustrata ed incredula, si è rinchiusa nel silenzio. Che è durato però solo pochi mesi: alla fine di gennaio due notizie hanno riacceso i riflettori sul fondatore di HealthSouth. Secondo un ex funzionario di UBS, nel 1999 Scrushy avrebbe fatto pressione sulla banca perché lo aiutasse a confezionare una tangente di 250.000 dollari destinata a Don Siegelman, allora governatore dell’Alabama. Ma è la seconda notizia a fare più scalpore e a confermare i dubbi dell’accusa. L’ex amministratore di HealthSouth Scrushy avrebbe pagato almeno 15.000 dollari avrebbe pagato tangenti a un pastore afro - americano e a un giornalista a un pastore e un giornalista per assicurarsi il loro sostegno nel corso del processo. per ottenere la benevolenza Charlie Russell, portavoce di Scrushy, ha ammesso della giuria popolare i pagamenti, ma ha specificato che si trattava di donazioni per opere di carità. Ma che c’entra un reverendo nero con il processo HealthSouth? Più di quanto non si pensi. Il processo, che non si è svolto a New York - da dove sono partite quasi tutte le condanne per i manager corrotti delle grandi corporation - ma a Birmingham, in Alabama (dove ha sede la HealthSouth e dove vive Scrushy), avrebbe subíto, sin dall’inizio, forti condizionamenti. Più volte Scrushy è stato accusato di comprare il supporto della popolazione locale (composta al 70% da afro-americani) per influenzare le scelte dei giurati popolari, anche loro in maggioranza neri. Nel 2003, quando viene resa pubblica l’accusa, Scrushy, che era solito andare a messa nella chiesa di Vestavia Hills, il lussuoso quartiere nel quale vive, comincia a frequentare la Guiding Light Church, una parrocchia dall’altra parte della città, frequentata soprattutto da afro-americani. L’anno dopo, con i soldi dell’ex CEO, la chiesa della Guiding Light compra uno spazio di mezz’ora al giorno in una tv locale. Lo spazio viene occupato dai coniugi Scrushy che, ogni mattina, parlano di Bibbia e dell’importanza della parola di Cristo a più di 5.000 famiglie. Ospiti in studio pastori locali, soprattutto di colore. In poco tempo, l’ex-manager riesce a guadagnare la stima e la simpatia della popolazione tanto che cominciano ad essere organizzati gruppi di preghiera spontanei per assisterlo in aula in tutte le audizioni del processo. La fine della storia è nota: ai giurati le prove non bastano. E Scrushy può continuare i suoi incontri di preghiera da uomo libero. Sempre che le preghiere riescano a tenerlo ancora a lungo lontano dalle sbarre.
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ETICA SGR BANCA POPOLARE MILANO
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| fotoreportage | CHRISTOPHER ANDERSON / MAGNUM PHOTOS
> Traffico d’armi foto di Christopher Anderson / Magnum Photos
All’ombra delle statue del socialismo reale e delle caserme del contingente russo, l’autoproclamata Repubblica della Transnistria è divenuta uno dei punti di smercio e transito del traffico d’armi internazionale. Un eccezionale reportage di Magnum Photos da un Paese fittizio in “guerra congelata” e del quale è vietato realizzare immagini.
ridnestrovskaya Moldavskaya Respublika ovvero Repubblica autonominata della Transnistria. Nessun Paese riconosciuto dalla diplomazia internazionale ha mai riconosciuto l’esistenza di questa terra indipendente, che ha un governo e un presidente, controlla militarmente un territorio che, formalmente, appartiene alla Moldavia, ha instaurato dogane per le merci e le persone e batte moneta. Soprattutto, esporta armi. Fotografare la capitale Tiraspol è vietato, i controlli sono costanti e si sono verificati casi di abusi e torture da parte delle forze dell’ordine. Dopo le rivolte e gli scontri seguiti al crollo dell’Unione Sovietica, la striscia di terra tra il confine dell’Ucraina e la sponda est del fiume Dniester ha assunto nel proprio simbolo e nell’iconografia del regime, il carico della tradizione del socialismo sovietico. Nei parchi e lungo i viali i simboli e le statue sono rimasti quelli dell’Unione Sovietica. Dietro questa vicenda, che il Dipartimento di Stato Americano definisce “di crisi congelata”, vi sono i depositi dell’esercito russo di Tiraspol e la figura di un potente industriale locale, Igor Smirnov, che nel dicembre 1991 è stato eletto Presidente dell’autonominata repubblica. Nessun organismo ha vegliato sulle elezioni, essendo il territorio appartenente di diritto allo stato Moldavo. Smirnov e le forze separatiste potevano contare sull’appoggio militare di un intero corpo d’armata dell’esercito russo, di stanza a Tiraspol, dove già aveva i suoi principali depositi di armamento, che sarebbero in parte divenuti merce di scambio e di commercio. Un equivoco “cessate il fuoco” imposto da Mosca alla Moldavia ha successivamente trasformato i soldati russi in “corpo di pace” e di interposizione. Di fatto, li ha resi una forza militare straniera a protezione di uno stato illegittimo. Il ritiro della forza di interposizione era stato promesso per il 2002 ma è stato via via procrastinato. I soldati russi pattugliano gli ingressi a Tiraspol, dove Igor Smirnov gestisce, dietro l’iconografia del socialismo reale, un traffico internazionale di armi prodotte dalla sua azienda Sherif, che, al crollo dell’Unione Sovietica, ha ereditato oltre 40mila tonnellate di materiale bellico. L’azienda è controllata dal figlio, e fattura ufficialmente oltre quattro miliardi di dollari l’anno (il Pil della Transnistria si calcola sia un cinquantesimo di questa cifra). La stampa internazionale si è raramente occupata del fenomeno della Transnistria, dove, secondo l’Interpol, si è creato un vero mercato nero delle armi leggere ma anche di «lanciamine Vasiliok, lanciagranate Gnom e Spg9, lanciarazzi anticarro Rpg7, razzi Bm 21 Grad, missili portatili Duga». Gli affari del clan Smirnov e dei suoi alleati russi, che utilizzano la Transnistria per il traffico d’armi, sono così cresciuti in modo esponenziale, mentre la popolazione locale, stretta tra i confini imposti da dogane fittizie ma ben sorvegliate, soffre una povertà crescente.
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L’AUTORE Christopher Anderson è nato in Canada nel 1970. Ha passato gran parte della sua vita nel Texas e nel Colorado prima di trasferirsi a New York e in seguito a Parigi. Le sue fotografie sono apparse su numerose riviste e pubblicazioni e, a livello mondiale, ha vinto vari premi. Il fotografo ha ricevuto nel 2000 la “Robert Capa Gold Medal” per un reportage sugli immigrati haitiani che cercavano di raggiungere gli Stati Uniti. L’anno successivo ha vinto il premio Kodak per i giovani fotografi con un reportage su Gaza e la “Visa d’Or” a Visa Pour l’Image di Perpignan, in Francia, per le imamgini dei rifugiati afghani in Pakistan. Lavora come fotografo a contratto con US News & World Report e collabora a The New York Times Magazine e National Geographic Adventure. È divenuto membro di Magnum Photos nel 2005. Ha recentemente esposto sue immagini realizzate durante il conflitto in Iraq nell’ambito della mostra “Inviati di guerra” al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri a Verona, con altri reporter di guerra che hanno documentato i conflitti armati di fine secolo, dalla Jugoslavia all’Irak, in un periodo che va dal 1991 al 2003. Nella sua recente produzione, un reportage sul Venezuela nell’era del presidente Hugo Chavez e sulle comunità religiose del sud degli Stati Uniti dopo il passaggio dell’uragano Katrina.
> Traffico d’armi
Centro del commercio delle armi nelle ex Repubbliche sovietica, la Transnistria è considerata internazionalmente parte della Moldavia e, precedentemente, parte della Repubblica Socialista di Moldavia, ma ha dichiarato l’indipendenza come Repubblica Moldava Transnistria o, secondo la costituzione, Pridnestrovian Repubblica Moldavia (Pridnestrovie), con capitale Tiraspol. L’ultimo censimento ufficiale mostra una grande diversità etnica con un 40% della popolazione di origine rumena.
Transnistria, 2003
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| fotoreportage |
A sinistra, carichi di armi nel porto di Odessa. Sopra, strade di Odessa, maggiore città dell'Ucraina meridionale, porto principale del Paese sul Mar Nero e capoluogo della provincia omonima. Sotto, la strada verso Tiraspol fotografata dall’autovettura.
Ucraina/Transnistria, 2003
> Traffico d’armi
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| fotoreportage |
> Traffico d’armi
Sopra e sotto, Aqaba, porta principale della Giordania sul Mar Rosso e importante scalo per il commercio internazionale di armi. A destra, all’aeroporto di Damasco, un aereo merci con un carico di armi destinato a paesi terzi. Numerose inchieste hanno provato il ruolo attivo della Giordania e della Siria nel traffico internazionale di armamenti.
Giordania/Siria, 2003
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> Traffico d’armi
Tiraspol, capitale della Transnistria. La società Sherif gestisce una fiorente attività di commercio di armi a livello internazionale. Sotto, le strade di Odessa. L’esistenza di un ampio contrabbando di armamenti dalla Transnistria attraverso il porto ucraino di Odessa è stata confermata dallo stesso Ministro degli esteri della Transinistria, Valeri Letska.
CHRISTOPHER ANDERSON / MAGNUM PHOTOS
Transnistria/Ucraina, 2003
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a cura di Paola Baiocchi, Mauro Meggiolaro e Sarah Pozzoli
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Italiani belle pistole >18 La 185/90 e le banche armate >21 Per i produttori di morte la festa è infinita >22 Una difesa che offende la costituzione >25
dossier
Scene di vita quotidiana a Odessa, lo scalo portuale utilizzato dai trafficanti della Trasnistria che possono disporre di oltre 40 mila tonnellate di sistemi d’arma (soprattutto leggeri) ereditati dal crollo dell’ex Unione Sovietica.
Ucraina, 2003
Armamenti
Business di morte Missili “intelligenti”. Cacciabombardieri. Ma anche fucili, pistole, carabine, in una parola: “armi leggere”. Le vere protagoniste. Costano poco e sfuggono anche alle leggi più rigorose.
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| dossier | armi |
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Italiani belle pistole
DA BAE SYSTEMS TANGENTI A PINOCHET
taliani spaghetti, pizza, mandolino? Non più, o non solo. Al ritornello che ci sentiamo ripetere quando andiamo all’estero si è aggiunta una voce inquietante: “italiani belle pistole”. Nell’immaginario collettivo, il nostro Paese non è più solo il simbolo della buona cucina, della musica, delle scarpe di Prada o dei vestiti di Armani, ma anche delle pistole Beretta, dei fucili, delle carabine. Secondo i dati della Small Arms Survey (www.smallarmssurvey.org), l’Italia è al secondo posto nel mondo per valore di piccole armi esportate: 300 milioni di dollari, contro i 740 milioni degli Stati Uniti (primi) e i 230 del Belgio, al terzo posto (vedi GRAFICO 1 ). A chi vanno le nostre pistole? Alle forze di polizia, ai cacciatori, ai tiratori al piattello, ma anche a Paesi che violano i diritti umani o sono dilaniati da guerre interne, silenziose quanto devastanti, come il Congo o l’Algeria. Il mercato italiano è dominato dal distretto bresciano guidato dalla Beretta Holding SpA che opera in più
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Ma se le commesse per l’industria bellica sono in aumento, l’occupazione continua a scendere. E c’è chi torna a parlare di riconversione | 18 | valori |
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di 60 Paesi attraverso 14 aziende ed è al terzo posto tra i gruppi armieri del mondo. È un mercato in crescita per un motivo molto semplice: le piccole armi sono facili da usare e da trasportare, costano relativamente poco e si adattano alla perfezione al nuovo contesto geopolitico internazionale. «I conflitti tra Stati, quelli che richiedono sistemi d’arma complessi e costosi, sono in continuo calo, mentre aumentano i conflitti all’interno degli Stati tra etnie, bande, fazioni. Per queste guerre interne, le piccole armi sono strategiche», spiega Francesco Vignarca, segretario della Rete Italiana per il Disarmo (vedi TABELLA 1 ). In molti Paesi africani un kalashnikov costa come un pollo, in Mozambico è talmente diffuso da essere addirittura raffigurato nella bandiera nazionale. Non c’è confronto con le armi pesanti, i cui prezzi sono nell’ordine di milioni di dollari. Con 50 milioni di dollari (il costo di un caccia) si può armare un esercito con 200.000 fucili d’assalto. E i risultati, purtroppo, si vedono. «Sono le armi leggere quelle che hanno deciso le sorti di 46 dei 49 conflitti degli anni Novanta, e che si sono rese responsabili della morte di 4 milioni di civili, per lo più donne, bambini ed anziani», spiega Luciano Bertozzi nel libro I bambini soldato, lo sfruttamento globale dell’infanzia. E perfino il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan non ha potuto fare a meno di constatare che «per il numero di vittime
NON È RARO che la produzione e il commercio di armi siano associati a fenomeni di corruzione di vasta portata. La posta in gioco è quasi sempre altissima e per aggiudicarsela le imprese sono spesso disposte a giocare sporco. Come sembra aver fatto Bae Systems, colosso della difesa britannico con cui Finmeccanica ha una joint venture strategica nel settore missilistico. Secondo il quotidiano inglese The Guardian, tra la fine del 1997 e l’ottobre 2004 Bae avrebbe pagato 2 milioni di dollari a tre società che farebbero capo alla famiglia dell’ex dittatore cileno Pinochet, sotto processo per genocidio. Il giornale sostiene di aver trovato tracce delle transazioni finanziarie in documenti legali cileni basati su dati contabili dei servizi bancari americani. I versamenti sarebbero stati effettuati dalla Red Diamond Trading, una società con sede nelle Isole Vergini creata da Bae nel 1998. Bae Systems avrebbe versato la supertangente in 14 soluzioni per assicurarsi una commessa dell’aeronautica cilena per la fornitura di bombe a grappolo. Anche in Germania non si scherza. Il 19 gennaio scorso la casa automobilistica DaimlerChrysler ha sospeso almeno sei manager sospettati di corruzione in relazione al programma oil for food in Iraq. Un rapporto pubblicato nel 2005 aveva inserito Daimler in una lista di più di 2.000 imprese che avrebbero pagato tangenti all’Iraq in cambio di commesse. Nel caso dei manager dell’impresa tedesca le tangenti potrebbero essere legate alla fornitura di camion blindati. M.M.
che causano, le armi leggere possono essere definite vere e proprie armi di distruzione di massa».
Dove le leggi non arrivano
GRAFICO 1
DATI 2001 IN MILIONI DI DOLLARI
Belgio
di Mauro Meggiolaro
L’Italia è il secondo esportatore al mondo di piccole armi, mentre è al nono posto nelle “armi pesanti”, come elicotteri, radar, fregate
PRIMI TRE PAESI ESPORTATORI DI ARMI LEGGERE
230
Italia
300
Usa
740
Fonte: Small Arms Survey
be stato poi reintrodotto con un’ulteriore piccola modifica: un gioco da ragazzi per qualsiasi armaiolo. Il confine,come si vede, è sottile. Ed è proprio in questa zona grigia che il commercio di piccole armi continua a prosperare indisturbato. Le “armi ad uso civile”, in Italia, sono sottoposte solo alla legge 110/75, il provvedimento che regola la concessione del porto d’armi e che si preoccupa più che altro di garantire l’ordine pubblico e di controllare ciò che si importa nel territorio italiano. Per le esportazioni delle piccole armi, basta semplicemente l’autorizzazione della questura. I controlli sono ancora molto blandi, ma sembra che qualcosa si stia muovendo. Il ministero degli Interni ha recentemente emanato una circolare che prevede di estendere a tutte le armi leggere il Codice di Condotta dell’Unione Europea del 1998. «È un Codice non vincolante creato sulla falsa riga della 185» - spiega Giorgio Beretta, coordinatore della Campagna Banche Armate (www.banchearmate.it). «Vieta l’esportazione a Paesi in guerra o che violano i diritti umani e cerca di prevenire il rischio di triangolazioni verso destinazioni indesiderate». Gli industriali bresciani sono insorti e sull’interpretazione della circolare non si è ancora raggiunto un accordo definitivo. Intanto, tutto può continuare come prima. «Non possiamo andare avanti con circolari interne» – continua Beretta. «È necessario riscrivere la 185 o la 110, oppure studiare in tempi rapidi una nuova normativa». A livello internazionale sta cercando di farlo la campagna Control Arms, promossa da Amnesty, Oxfam e Iansa (International Action Network on Small Arms) con l’aiuto della “million faces petition”, una fotopetizione per convincere i governi a firmare un Trattato internazionale sul trasferimento di armi leggere. Entro il giugno del 2006, quando si terrà la prossima conferenza sulle armi delle Nazioni Uni-
Se i conflitti hanno cambiato natura rapidamente negli ultimi anni, le leggi non sono state adattate con altrettanta rapidità. Non è un mistero che il successo delle piccole armi si spieghi oggi anche con l’insufficienza della legislazione. L’Italia ha una delle leggi più rigorose al mondo per il controllo dell’esportazione, importazione e transito degli armamenti, ma la 185 del 1990 (vedi pagina 21) riguarda esclusivamente le armi costruite «per un prevalente uso militare o di corpi armati o di polizia». Le armi leggere sportive o per uso civile restano fuori. Peccato che basti poco per trasformare un’arma leggera “per uso civile” in una “ad uso militare”, ad alto potenziale offensivo. E viceversa. Nell’aTABELLA 1 I CONFLITTI ARMATI DAL 1952 AL 2001 prile del 2004, la Guardia di Finanza ha sequestrato nel porto di Gioia Tauro un carico Periodo Conflitti Di cui Di cui Conflitti Guerre Guerre interne totali guerre coloniali tra Stati interne internazionalizzate record di 8.000 kalashnikov. Una commessa che era sfuggita alle segnalazioni obbligato1952-61 63 24 4 7 12 1 rie previste dalla legge 185 per un semplice 1962-71 96 30 8 14 8 motivo: ai fucili era stata apportata una pic1972-81 119 43 1 5 25 12 cola modifica per eliminare il sistema di spa1982-91 154 48 4 36 8 ro a raffica. È bastato questo accorgimento 1992-01 177 52 2 37 13 per far passare i kalashnikov come armi legFonte: Elaborazione dati da “Armed conflict dataset”, www.prio.no/cwp/ArmedConflict e www.pcr.uu.se gere “ad uso civile”. Lo sparo a raffica sareb-
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te, si vogliono raccogliere un milione di firme accompagnate da un milione di facce: fotografie o disegni di chi firma. Ad oggi, ne sono state raccolte più di 650.000.
Armi pesanti: la galassia Finmeccanica Belle pistole, sì. Ma anche ottimi elicotteri, cannoni, aerei da combattimento. L’Italia è il nono esportatore mondiale di sistemi d’arma o “armi pesanti”, con un giro d’affari di 261 milioni di dollari. Si legge nell’ultimo rapporto del Sipri, Stockholm International Peace Research Institute (vedi TABELLA 2 ). Al primo posto c’è la Russia, seguita da Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna. Le nostre armi sono state vendute anche a nazioni sotto embargo UE, come la Cina, o in conflitto come India e Pakistan. L’export è in calo rispetto al 2002 e al 2003 ma «è solo una questione di tempi di consegna», puntualizza Beretta. «La relazione ministeriale sull’export 2004 – prevista dalla legge 185 – segnala, in realtà, commesse in crescita, addirittura triplicate rispetto al triennio precedente». Nell’elenco delle destinazioni di armi italiane, appaiono anche Paesi altamente indebitati, che spendono cifre considerevoli per la difesa. Abbiamo venduto al Sudafrica 30 elicotteri da combattimento A-109K dell’Agusta per un valore complessivo di 240 milioni di dollari, altri due Agusta sono finiti in Namibia, mentre otto sono stati comprati dalla Nigeria», continua Giorgio Beretta. I tre clienti più importanti dell’Italia sono la Malesia, gli Stati Uniti e la Siria. La lista della spesa della Malesia, Paese più volte segnalato per le violazioni dei diritti umani, comprende 11 elicotteri Agusta, 6 radar, 30 siluri e 24 missili per corvette. Le autorizzazioni all’esportazione concesse in base alla legge 185/190 si concentrano su una decina di società (Galileo Avionica, Alenia Aeronautica, Oto Melara, Agusta, ecc.) quasi tutte riconducibili al Gruppo Finmeccanica controllato dallo Stato con una golden share (pacchetto di azioni che prevede ulteriori garanzie) del 32,3%. Negli ultimi anni, Finmeccanica ha spostato sempre di più il suo core business dal
civile al militare (vedi BOX ). Una sorta di “riconversione al contrario” con cui il governo sta guidando la progressiva aggregazione dell’industria della difesa che, in passato, era caratterizzata da una diffusa frammentazione e dal prevalere di piccole e medie imprese. Una mossa strategica, studiata per rendere possibili alleanze con altri colossi internazionali in un mercato sempre più competitivo.
Fatturati in aumento, occupazione in calo
“L’unico made in Italy in controtendenza”, “l’export che tira nonostante la crisi”. Negli ultimi anni i titoli che si sono letti sull’industria italiana degli armamenti sono tutti permeati dallo stesso ottimismo. Manager come Guarguaglini, presidente della Holding Finmeccanica, sono riveriti a destra e a manca. Nel coro degli entusiasti non mancano, però, le voci di dissenso. Come quella di Gianni Alioti di FIM-CISL (i metalmeccanici cislini), che ricorda un dato poco rassicurante per i lavoratori: nonostante si stia verificando una crescita imponente delle spese militari nel mondo, l’occupazione nel settore della difesa non è destinata ad aumentare, anzi subisce una progressiva contrazione. Un esempio chiaro viene dall’industria aerospaziale (vedi GRAFICO 2 ). Negli ultimi 25 anni ha in pratica raddoppiato il fatturato, mentre gli occupati sono scesi da 579 mila a 445 mila. Le ragioni di questa contrazione sono varie, alcune delle quali comuni all’industria manifatturiera in generale: fusioni, ristrutturazioni, innovazioni tecnologiche. Altre hanno, invece, più direttamente a che fare con l’industria delle armi: aumento esorbitante dei costi di ricerca e sviluppo, che generano un aumento dei costi unitari per sistema d’arma e, quindi, una diminuzione, a parità di spesa, della quantità di armi che può essere acquistata dalle forze armate. I nuovi sistemi d’arma, sempre più sofisticati, nascono ormai dalla collaborazione transnazionale tra una decina di soggetti: colossi degli armamenti come Lockheed Martin, Raytheon, BAE, EADS e, in Italia, Finmeccanica. È in atto una concentrazione accelerata fatta di acquisizioni, TABELLA 2 I PRINCIPALI ESPORTATORI DI ARMI PESANTI fusioni, joint venture, alleanze internazioRank order nali. Solo le imprese che guideranno questi 20001999processi saranno meno vulnerabili sul lato 2004 2003a Supplier 2000 2001 2002 2003 2004 2000-2004 occupazionale. Per la loro dimensione, la 1 2 Russia 4.016 5.516 5.541 5.655 6.197 26.925 maggior parte delle società italiane sarà de2 1 USA 6.400 5.079 4.470 4.528 5.453 25.930 stinata ad avere un ruolo comprimario, o 3 3 France 717 1.111 1.301 1.107 2.122 6.358 sarà costretta a diversificare la produzione 4 4 Germania 1.195 529 551 1.512 1.091 4.878 nei mercati civili. Tubi al posto di cannoni, 5 5 UK 1.121 1.081 670 593 985 4.450 navi passeggeri al posto di fregate militari. In una parola: riconversione. Una scelta che 6 6 Ucraina 326 631 255 454 452 2.118 può avere profonde motivazioni etiche ma 7 9 Canada 124 78 356 591 543 1.692 che, secondo la FIM, potrebbe diventare un 8 7 Cina 157 349 415 390 125 1.436 passaggio obbligato per salvaguardare l’oc9 11 Svezia 280 432 108 210 260 1.290 cupazione. «È quello che siamo riusciti a fa10 13 Israele 272 226 289 188 283 1.258 re, tra la fine degli anni ’80 e la prima metà 11 8 Italia 143 188 357 303 261 1.252 degli anni ’90, in diverse aziende e territori», 12 10 Olanda 215 188 251 318 211 1.183 spiega Alioti. «Dove c’è stato un processo di Fonte: Sipri Yearbook 2005 (Stockholm International Peace Research Institute) – dati in milioni di dollari riconversione (Elsag, Inma, Les Elettronica)
o di diversificazione dal militare al civile (Aermacchi, Piaggio, Agusta, Marconi), l’occupazione è stata meglio tutelata. Basti pensare agli stabilimenti militari Fincantieri di Muggiano (SP) e Riva Trigoso (GE), tenuti aperti grazie alla costruzione di traghetti veloci. Negli altri casi, dove si è rimasti legati solo al militare, abbiamo invece assistito a forti riduzioni d’organico (Oto Melara, Breda Meccaniche Bresciane, Elettronica ecc.) o a chiusure di unità produttive (Oerlikon Contraves) e di aziende (Selin, Usea, Cosmos, ecc.) perdendo in Italia, negli anni Novanta, circa 27 mila addetti», continua Gianni Alioti. La riconversione, il mito dei movimenti pacifisti degli anni settanta, torna a far parlare di sé. E a riunire allo stesso tavolo i sindacati con gli attivisti, come succede nella rete regionale Disarmo Lombardia (www.disarmolombardia.org) che ha raccolto 15.000 firme per una legge d’iniziativa popolare sulla riconversione. «I popoli trasformeranno le spade in aratri e le lance in falci», scriveva il Profeta Isaia. Forse è ora che la profezia si avveri.
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GRAFICO 2
90 MILIARDI DI EURO [ fatturato a valori costanti 2004 basato su dati consolidati a livello Europeo ] 80 70
FATTURATO
60
77 MLD DI EURO
50
445.200 LAVORATORI OCCUPAZIONE 400.000 300.000 200.000
1980
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1990
1995
2000
2004
La 185/90 e le “banche armate” Un provvedimento rigoroso. È ora di puntare alla trasparenza anche sui finanziamenti alla produzione.
L di M.M.
Cresce il dibattito anche all’interno del sindacato sulla riconversione
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FATTURATO E OCCUPATI NELL’INDUSTRIA AEROSPAZIALE EUROPEA
FONTE: ASD (AEROSPACE AND DEFENCE INDUSTRIES ASSOCIATION OF EUROPE)
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LIBRI Giden Burrows Il commercio delle armi Carocci, 2003 Amnesty International Traffici mortali. Il commercio delle armi e la violazione dei diritti umani Ega, 2005 Luciano Bertozzi I bambini soldato, lo sfruttamento globale dell’infanzia. Il ruolo della società civile e delle istituzioni internazionali EMI, 2003
A LEGGE 185 è uno dei provvedimenti più rigorosi al mondo in tema di controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. In vigore dal 14 luglio 1990, ha posto fine a un far west legislativo che considerava il materiale bellico come qualsiasi altra merce. E che aveva trasformato l’Italia degli anni ’70 e ’80 in uno dei maggiori esportatori di armi di qualsiasi tipo verso Paesi in guerra, Paesi poveri e governi che violavano i diritti umani. La 185 si basa su pochi principi chiari: 1. Il commercio di armi cessa di essere qualificato come transazione esclusivamente economica ma deve essere conforme “alla politica estera e di difesa dell’Italia”. Il controllo delle esportazioni passa, quindi, dal ministero del Commercio estero al ministero degli Esteri. 2. Procedure rigorose per il rilascio di autorizzazioni ad esportare/importare o a fornire servizi finanziari all’esportazione e importazione di armi. 3. Trasparenza. Entro il 31 marzo di ogni anno il Presidente del Consiglio presenta al Parlamento una relazione su tutte le operazioni autorizzate e su quelle già effettuate. La relazione contiene gli allegati di tutti i ministeri coinvolti, tra cui quello del ministero del Tesoro, in cui viene riassunta l’attività degli istituti di credito che hanno richiesto l’autorizzazione a svolgere operazioni bancarie in appoggio alle imprese che commerciano armi. L’allegato del Tesoro elenca in una lista le banche e fornisce il dettaglio – suddiviso per Paese destinatario – dei servizi che forniscono alle imprese esportatrici (o importatrici): saldi, compensi di intermediazione, anticipi, ecc..
Nel 2000, per fare pressione sulle banche che figurano nella lista è stata lanciata la “Campagna Banche Armate” (www.banchearmate.it). Promossa dalle riviste Nigrizia, Mosaico di Pace e Missione Oggi, la campagna chiede ai risparmiatori di interrogare le proprie banche sulle operazioni di appoggio alla compravendita di armi. In risposta alle domande dei correntisti, numerosi istituti di credito italiani (tra cui Montepaschi, Unicredit e Banca Intesa) hanno deciso di non offrire più i propri servizi per l’esportazione di armi italiane. Nel triennio 2002-2004 i Gruppi bancari che hanno maggiormente appoggiato il commercio di armi sono stati Capitalia (27,2% delle richieste di autorizzazioni totali), Sanpaolo IMI (20,2%), BNL (10,5%), Banco Bilbao (8,9%), Banca Intesa (6,7%) e Unicredit (5,7%). Nello stesso periodo il valore delle autorizzazioni complessive si è dimezzato per BNL (da 137,8 a 71,6 milioni di euro) e Banca Intesa (da 56,8 a 23,2 milioni di euro) e si è ridotto dell’80% per Unicredit (da 99,6 a 20,2 milioni di euro), mentre Montepaschi è uscita dalla lista. Hanno invece quadruplicato la loro esposizione Capitalia (da 98,4 a 396,1 milioni di euro) e Sanpaolo (da 80,6 a 366,1 milioni di euro), mentre Antonveneta è passata da 6,9 a 121 milioni di euro. Nel 2004 sono entrati nella relazione i nomi di due nuove banche italiane: Banca Popolare di Milano (2% delle richieste di autorizzazioni totali) e Banca Popolare dell’Emilia Romagna. «La Campagna Banche Armate non è diretta verso le banche che finanziano la produzione di armi – un dato che non si rileva nella Relazione NdR – ma che, appog-
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giando il commercio di armamenti, ricavano compensi dai servizi di intermediazione e sono domiciliatarie di incassi e pagamenti per conto delle imprese produttrici», spiega Giorgio Beretta, coordinatore della campagna. Quindi puo’ benissimo accadere che una banca riduca progressivamente i servizi forniti all’esportazione pur continuando a finanziare la produzione. Un esempio chiaro ce lo fornisce Banca Intesa: in collaborazione con il Gruppo Bancario Calyon e Mediobanca, ha recentemente accordato ad Avio (propulsione aerospaziale) una disponibilità di credito di 300 milioni di euro che prevede il rifinanziamento di un esistente debito bancario. Tra i prossimi obiettivi della campagna, c’è proprio il monitoraggio del finanziamento alla produzione di armi. «Chiederemo alle banche che stanno uscendo dalla lista di fare uno sforzo in più, mettendo a disposizione del pubblico maggiori informazioni sui servizi che concedono alle imprese per la produzione di armi», ha dichiarato Beretta.
IL PRESIDENTE DELLA BPM A BANCA ETICA: «AUTORIZZAZIONI GIÀ RIDOTTE DEL 25% NEL 2005»
La Popolare di Milano riduce l’operatività tecnica per le esportazioni
TRA LE BANCHE CHE FIGURANO NELLA RELAZIONE prevista dalla legge 185/90 è comparsa per la prima volta anche la Popolare di Milano. Una presenza che ha suscitato grande preoccupazione in Banca Etica, che da tempo collabora con BPM. Banca Etica ha chiesto ai vertici dell’istituto di Piazza Meda un chiarimento, sfociato recentemente nell’assunzione di un importante impegno concreto. In una lettera, che riproduciamo qui accanto, inviata al Presidente Fabio Salviato il 23 dicembre 2005 il Presidente della Banca Popolare di Milano Roberto Mazzotta riconferma la non partecipazione ad operazioni di finanziamento che riguardino esportazione, importazione e transito di armi e sistemi d’arma. Eventuali operazioni di incassi e pagamenti potranno essere autorizzate esclusivamente dalla Direzione Generale qualora giudicate coerenti con lo spirito di “banca non armata” (quale concezione di banca che opera con criteri restrittivi e selettivi sia per le tipologie di prodotti esportati sia per i paesi destinatari
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dei prodotti medesimi). I criteri restrittivi adottati hanno già prodotto effetti significativi nel 2005 - scrive ancora Mazzotta - ottenendo un sensibile decremento dei volumi delle domiciliazioni, avvenuto mediante riduzione delle relazioni con gli esportatori e la delimitazione dei Paesi destinatari e dei prodotti esportati. Tale tendenza risulta evidente dalla lettura dei dati: importo transazioni nel 2005: 43.638.000 euro (-25% circa sul 2004). Il gruppo BPM intende riaffermare per il 2006 e per gli anni successivi gli orientamenti della policy finalizzati ad un’ulteriore, graduale e selettiva decrescita dell’operatività tecnica nel mercato in questione. Resta confermata che tale policy attiene esclusivamente alla cosiddetta “operatività tecnica”, nel senso che la Banca continua ad astenersi dall’assumere qualsiasi ruolo diretto nel finanziamento. Vi è, infine, l’impegno di Banca Popolare di Milano di dare adeguata evidenza sul proprio Bilancio Sociale in merito alle attività rientranti nella Legge 185/90.
Dati tratti dal sito www.banchearmate.it
Per i produttori di morte la festa è infinita
TRA LE BANCHE CHE FIGURANO NELLA RELAZIONE prevista dalla legge 185/90 è comparsa per la prima volta anche la Popolare di Milano
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A FESTA NON È FINITA PER I BIG MONDIALI DELLA DIFESA. Nel bilan-
cio per l’anno fiscale 2007 – che inizierà a ottobre – l’amministrazione americana ha chiesto ancora un rafforzamento del budget per la difesa e la sicurezza interna del Paese: in particolare, il Pentagono di Sarah Pozzoli si assicura un aumento dei finanziamenti del 7% a 439,3 miliardi di dollari per combattere sia i nemici tradizionali sia il terrorismo. A questa cifra, si aggiungono 50 miliardi per coprire i costi delle missioni in Iraq e Afghanistan negli ultimi tre mesi del 2006 e altri fondi da stabilire per i mesi successivi. Inoltre, Homeland security, il ministero che dagli attentati dell’11 settembre 2001 è incaricato di garantire la sicurezza entro i confini, riceve a sua volta un aumento dei finanziamenti del 7% a 35,6 miliardi di dollari. Insomma, le prospettive per gli affari delle compagnie belliche mondiali sembrano volgere ancora al bel tempo, in linea con quanto si è visto negli ultimi anni (dal 2001 la spesa militare americana è salita di ben il 48%). Anni in cui hanno messo a segno entrate record e hanno assistito a un andamento spumeggiante dei rispettivi titoli in Borsa. Si pensi, per esempio, che il fatturato di Lockheed Martin, numero uno dei ‘contractor’ militari Usa, dal 2002 all’anno scorso, è lievitato di ben il 40% e che quello del numero tre Northrop Grumman, nello stesso periodo, ha visto un aumento di oltre l’80%. Quanto alle performance di Borsa, nel periodo gennaio 2003-gennaio 2006 si va da un rialzo minimo del 20% per Northrop Grumman ai massimi di +250% della compagnia europea Eads e di +300% della texana Halliburton. Ma ecco più in dettaglio i conti, l’andamento dei titoli e le previsioni delle principali compagnie.
LOCKHEED MARTIN. Il numero uno delle commesse militari Usa (è il produttore del caccia bombardiere Joint Strike Fighter F35) ha archiviato
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il 2005 con un fatturato di oltre 37 miliardi di dollari. Quasi il 96% viene dalla divisione difesa, ossia circa il 40% in più rispetto ai 26,5 miliardi del 2002, passando per 31,8 miliardi nel 2003 e i 35,5 miliardi nel 2004. Il titolo, da gennaio 2003 a gennaio 2006, è salito del 30% e, attualmente, tratta a circa 66 dollari. Secondo Jp Morgan, è una valutazione “equa” almeno per ora. «Vediamo ancora opportunità per un’espansione dei margini, in particolare nella divisione aeronautica – scrive la banca d’affari in una nota di fine gennaio – ma poco nel breve termine». In effetti, il 2006 non è cominciato sotto i migliori auspici per la compagnia del Maryland che si è fatta scivolare dalle mani un maxi-contratto per la fornitura di aerei spia all’esercito americano per sue inadempienze (gli aerei non avevano l’equipaggiamento richiesto). Una débacle in parte compensata da una nuova commessa decennale (da 2 miliardi di dollari), appena vinta con la Air Force, per sviluppare la struttura principale di un sistema satellite che servirà a migliorare le comunicazioni delle forze militari Usa in giro per il mondo. Insomma, la società è già ben posizionata sui nuovi business ad alta tecnologia. Che, tra l’altro, danno margini più elevati e sono meno esposti all’aumento delle materie prime e dell’energia rispetto alla costruzione di aerei, carri armati e navi.
ANTONIO SCATTOLON / A3 / CONTRASTO
Bush taglia la spesa sociale e aumenta ancora il budget del Pentagono (+7%) al quale si aggiungono le spese della guerra (70 miliardi di dollari) Le corporation del settore bellico esultano.
Bush e Berlusconi a colloquio in un vertice bilaterale.
BOEING. Anche per la grande compagnia aerospaziale sono stati anni
aviazione, spazio militare e intelligence, missili, logistica, aeronautica nazionale e spazio) verranno accorpate in tre (sistemi network, forza aerea e armi, servizi di logistica e supporto). Obiettivo: ridurre i costi e adeguarsi alle nuove richieste del Pentagono. L’annuncio del restyling è stato apprezzato dagli analisti: Prudential Financial ha assegnato al titolo il giudizio overweight (sovrappesare in portafoglio) e Merrill Lynch ha un buy (comprare). Secondo gli analisti, rispetto alle quotazioni correnti il titolo potrebbe crescere ancora del 10%.
di crescita. Da un fatturato 2003 di 50,5 miliardi di dollari (la difesa conta per oltre la metà del giro d’affari complessivo) è passata a un 2005 che dovrebbe chiudere a circa 55,5 miliardi (+10%). E, dal 2003, il titolo è praticamente raddoppiato, passando da 35 dollari a circa 69. La società sta puntando molto sulla riorganizzazione della divisione difesa (Integrated Defense Systems unit). A fine gennaio, il management ha annunciato che le sette business unit create nel 2002 (esercito, marina,
NORTHROP GRUMMAN. La compagnia di Los Angeles ha appena chiuso il 2005 con un fatturato record di 30,7 miliardi di dollari (circa due terzi vengono dalla difesa), grazie al miglioramento delle vendite in tutti i comparti in cui opera (fornisce prodotti e servizi elettronici nei settori aerospaziali e della difesa) tranne nelle navi (a causa dei disagi alla produzione causati dall’uragano Katrina). E, guardando agli ultimi an-
ni, il giro d’affari risulta in costante ascesa: dal 2002 all’anno successivo, è stato fatto un balzo di oltre il 50%, passando da 16,76 miliardi di dollari a 26,2 miliardi. Il 2004 è stato archiviato con 29,9 miliardi di dollari, il 3% in meno rispetto al 2005. Il titolo ha goduto di questa performance economica positiva: dai 50 dollari di inizio 2003 è passato a 60 dollari di quest’anno, mettendo a segno un rialzo del 20%. E le attese degli analisti sono ancora favorevoli: Merrill Lynch ha un giudizio buy e un obiettivo di prezzo di 64 dollari (il potenziale rialzo rispetto alle quotazioni correnti è del 6% circa). Stesso target anche per Prudential Financial (il giudizio è più contenuto a neutral weight, ovvero la performance prevista è in linea con quella del mercato).
BAE SYSTEMS. A giudicare dal primo semestre 2005, il colosso britannico della difesa sembra avere ripreso la strada della crescita. Nei primi sei mesi il fatturato è salito del 13% a 6,77 miliardi di sterline (circa 12 miliardi di dollari) grazie al miglioramento di tutti i settori di attività, a un balzo della redditività del consorzio Airbus (di cui ha una quota del 20%) e a un netto progresso negli Usa. Mike Turner, il Ceo a cui è toccato di risalire la china negli ultimi tre anni, dopo un forte calo della redditività e una serie di scontri con il ministero della difesa britannico su vari programmi militari, si è detto soddisfatto. «La nostra strategia di espansione negli Stati Uniti si è mostrata giusta», ha dichiarato alla presentazione dei risultati, riferendosi in particolare all’acquisizione del gruppo americano Udi. «Mentre, in Europa, prosegue la ristrutturazione e, nel Regno Unito, continuiamo a dare risultati in programmi come il Tornado e il Typhoon». Negli Usa la società, che nel 2000 fatturava 2,5 miliardi di dollari, ha ormai superato gli 8,5 miliardi. Sull’onda dei risultati trimestrali e di una maxi-commessa vinta dal consorzio Eurofighter (a cui partecipano oltre a Bae Systems, Eads e Ale-
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FINMECCANICA: LO STATO RICONVERTE AL CONTRARIO LEADER MONDIALE NELLA COSTRUZIONEdi elicotteri civili e militari, seconda in Europa e sesta al mondo nell’Elettronica per la Difesa. Al secondo posto nell’Aerospaziale in Gran Bretagna. Finmeccanica ne ha fatta molta di strada. Nata nel 1948 come costola finanziaria dell’IRI per gestire le partecipazioni nell’industria meccanica e cantieristica, col passare degli anni ha cambiato spesso pelle, specializzandosi prima nei settori auto-motoristico e dei macchinari, poi nel ferroviario e nell’impiantistica industriale, quindi nell’elettronica e nell’alta tecnologia. Nel 1992 entra in borsa e nel 2000 viene privatizzata, anche se lo Stato conserva una partecipazione azionaria del 32,3%. Una golden share che permette al Tesoro di controllare effettivamente il Gruppo, nominare i dirigenti, porre veti all’ingresso di determinati azionisti. È con la benedizione del governo che Finmeccanica, a partire dal 2004, cambia pelle di nuovo diventando il colosso militare italiano che conosciamo oggi. Le attività civili sul totale dei ricavi passano dal 33% del periodo 2002-2003 al 18% del 2004 e 2005 (vedi GRAFICO 3 ) e sono destinate, nelle intenzioni del management, ad essere cedute. Una riconversione alla rovescia, dal civile all’elettronica per la difesa, dalle ferrovie agli elicotteri militari, dall’energia alle tecnologie all’infrarosso per i caccia. Un processo che si è svolto in poche mosse, tutte concentrate negli ultimi due anni: nel 2004 il Gruppo definisce una joint venture nel settore missilistico con BAE Systems e EADS dando vita a MBDA, nella quale confluiscono le attività di Alenia Marconi Systems (radar); nello stesso anno cede il 10,3% del capitale detenuto in STMicroelectronics (Gruppo italofrancese specializzato nella produzione di microchip) per finanziare l’acquisizione del restante 50% di AgustaWestland (elicotteri), che era in mano alla britannica GKN. A fine aprile dell’anno scorso, acquista le attività di BAE Systems nell’elettronica per la difesa (avionica, comunicazioni militari e controllo del traffico aereo). A luglio sottoscrive con Alcatel un accordo per il settore spaziale costituendo due società: Alcatel Alenia Space e Telespazio. La prossima mossa sarà la vendita in borsa attraverso IPO (offerta pubblica iniziale) di Ansaldo Signal (segnalazioni per le ferrovie) e Ansaldo Systems (ingegneria ferroviaria) prevista per il 2006. Per Ansaldo Breda e Ansaldo Energia, gli ultimi residui di business civile, bisognerà invece aspettare un paio di anni. Dopodiché la mutazione sarà completata al 100%. A fare il tifo per la militarizzazione della holding italiana non c’è solo lo Stato, interessato a creare un campione nazionale nel settore difesa che sia competitivo a livello internazionale, ma anche i mercati: nel suo ultimo rapporto Credit Suisse consiglia di aumentare il titolo in portafoglio e di alzare il target di prezzo. Del resto, gli utili del Gruppo sono balzati in avanti di oltre il 20% nei primi nove mesi del 2005. Grazie soprattutto agli elicotteri Agusta, molto amati dal presidente Bush, che ne ha già ordinati 23 per la nuova flotta della Casa Bianca. La presenza nel mercato statunitense è considerata strategica tanto che Remo Pertica, condirettore generale, ha dichiarato che il Gruppo sta programmando l’acquisizione di una società USA specializzata nell’elettronica per la difesa, in modo da consolidare le relazioni con il Pentagono. Nei piani di Finmeccanica le commesse statunitensi dovrebbero essere triplicate entro il 2007. Il cucciolo dell’IRI, che appena dieci anni fa era sull’orlo del 20% collasso, è diventato grande ed è ormai una Holding da 12 miliardi ELICOTTERI M.M. 18% di euro di ricavi, l’80% dei quali dal settore militare.
nia) con il governo saudita per la consegna di 48 Typhoon (valore: 18 miliardi di dollari) che andranno a sostituire i Tornado, gli analisti di Dresdner Kleinworth Wasserstein hanno assegnato al titolo il giudizio buy e l’obiettivo di prezzo a 450 pence (il 28% in più delle quotazioni correnti). Positivo anche Jp Morgan con un giudizio overweight e il target di prezzo a 460 pence. Il titolo, peraltro, negli ultimi tre anni ha registrato un aumento di ben il 250%, passando da 100 a 350 pence.
EADS. Il gruppo europeo (franco-tedesco-spagnolo), che ha in Airbus il suo asset principale, stima di chiudere il 2005 con un fatturato di 33 miliardi di euro. In lieve aumento (+3%) rispetto all’anno precedente, archiviato con 31,8 miliardi (+5% rispetto ai 30,1 miliardi del 2003, ma +31% rispetto al 2000). Indubbiamente incoraggianti i risultati della divisione difesa che ormai rappresentano circa un quarto del totale: nei primi nove mesi del 2005 il comparto ha segnato una crescita del 15% rispetto a un anno fa, e un aumento degli ordini del 65%. Come per Bae Systems, ha pagato l’espansione negli Usa attraverso varie alleanze per forniture di carri armati, elicotteri e aerei cargo. Gli analisti appaiono però molto prudenti sulle prospettive del titolo, che l’anno scorso ha messo a segno un rialzo del 50% e attualmente quota a circa 32 euro (l’aumento da gennaio 2003 a gennaio 2006 è stato di ben il 190%). «Vendere», è il consiglio che arriva dal broker Chevreux. «Pensiamo che il 2005 sia stato un anno eccezionale sul fronte degli ordini e che non si ripeterà nel 2006», si legge in una nota. Meno pessimista Deutsche Bank che, però, ha abbassato il giudizio da buy a hold (tenere in portafoglio) e portato l’obiettivo di prezzo a 34,5 euro (+7% rispetto alle quotazioni attuali).
HALLIBURTON. La compagnia texana, portata alla ribalta dalla guerra in
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FONTE: STIME DI CREDIT SUISSE FIRST BOSTON, NOVEMBRE 2005
Iraq come la maggiore beneficiaria degli appalti (attraverso la società di costruzione e ingegneristica Kbr) e di cui il vicepresidente Usa Dick Cheney è stato amministratore delegato dal ’95 al 2000, ha chiuso il 2005 con ricavi di circa 21 miliardi di dollari (la metà viene da Kbr), praticamente in linea con l’anno precedente. Ma ben il 68% in più rispetto al 2002 (anno in cui le commesse militari contavano soltanto per il 3,8% delle entrate complessive) e il 30% in più rispetto al 2003 (la quota delle forniture militari era già salita al 16,6%). «Il 2005 è stato l’anno migliore della nostra storia lunga 86 anni – si legge in una nota della società – e siamo ben posizionati per ottenere una forte performance anche nel 2006». In Iraq la compagnia può contare su due grossi contratti con l’esercito Usa: uno per fornire supporto logistico alle truppe e un altro per rimettere in sesto le infrastrutture petrolifere. Anche per il titolo l’andamento degli ultimi tre anni è stato decisamente spumeggiante: da 20 dollari nel gennaio 2003 si è passati agli attuali 80 (+300%). E per gli analisti non è finita qui. Anche in vista della quotazione di Kbr (sarà messa sul mercato una quota di minoranza, pari al RICAVI 2005 20% della società), Rbc Capital Markets, Ag Edwards, Friedman Billings, Deutsche Bank hanno assegnato giudizi molTRASPORTI 12% to positivi (outperform, performance attesa superiore a ENERGIA 6% quella del mercato o buy, comprare) e stabilito obiettivi di AERONAUTICA 7% SPAZIO prezzo che vanno da 91 (potenziale aumento del 13% circa 28% 9% SISTEMI rispetto alle quotazioni correnti) a 100 dollari (+25%). ELETTRONICA DI DIFESA
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IL FONDO DEL VIZIO PUNTA SULLE ARMI DIO PREMIA LA VIRTÙ E PUNISCE IL VIZIO, ma i mercati azionari, molto spesso, agiscono in modo diverso. Ne sono convinti i promotori del Vice Fund (fondo del vizio), un fondo comune di investimento di Dallas che compra solo titoli di imprese attive nella produzione e commercio di armamenti, alcolici, tabacco e nel gioco d’azzardo. Lanciato nell’agosto del 2002, ha reso in media il 21% all’anno superando di una ventina di punti lo Standard & Poor’s 500. Secondo gli asset manager texani, le azioni delle imprese del vizio sarebbero al riparo da ogni ciclo economico in quanto gli uomini bevono, fanno la guerra, scommettono e fumano in tutte le stagioni, indipendentemente dalle fasi di boom o recessione dei mercati. Il 24% del patrimonio del fondo
è investito in imprese del settore difesa come Bae Systems, Boeing, General Dynamics e Raytheon. «Afghanistan, Iraq, Corea del Nord. Ecco le ragioni per puntare sul militare. Il nuovo budget di Bush accrescerà le spese per la difesa, i titoli dei produttori di armi storicamente hanno avuto ottimi rendimenti in seguito alle guerre». Così si legge nella strategia di investimento del fondo. I manager del vizio, in realtà, non hanno scoperto niente di nuovo: quasi tutti i gestori finanziari investono in società che producono armamenti. Ma, almeno, i texani hanno il merito di farlo in modo trasparente: il vice fund è uno dei rari fondi di investimento che pubblica su internet la lista completa dei titoli nei quali investe. Dal primo all’ultimo.
Una difesa che offende la costituzione «Stravolto il budget della spesa italiana in materia di difesa», dice la deputata Ds Silvana Pisa. A MISSIONE MILITARE ITALIANA IN IRAQ costa 60 milioni di euro al mese, 1 miliardo e ottocentomila euro dal suo inizio nel giugno del 2003. Come si determina questa cifra? Somme ingentissime che, spesso, è difficile decifrare. «Dal di Paola Baiocchi giugno 2003 a tutto il 2005 il costo ufficiale di Antica Babilonia è stato di circa 1 miliardo e duecentomila euro per la parte militare. E di circa 92 milioni di euro per la parte umanitaria. Già questa proporzione - meno di un decimo - la dice lunga sull’ambiguità della nostra missione, che negli atti legislativi è sempre indicata come “Missione umanitaria e di ricostruzione in Iraq”». Silvana Pisa, deputato Ds della commissione difesa della Camera ha le idee chiare sul bilancio italiano in materia di “difesa”.
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LE SPESE DEI CATTIVI
Spese militari degli “Stati canaglia” e dei Paesi comunisti [% sul totale mondiale] IRAN + SIRIA + SUDAN + LIBIA + YEMEN + PAESI COMUNISTI 5,20% IRAN + NORD COREA + SIRIA + SUDAN + LIBIA + YEMEN + CUBA 1,44% IRAN + NORD COREA 0,53%
Però alla cifra ufficiale bisogna aggiungere altre spese. «Bisogna aggiungere gli stipendi, l’addestramento specifico delle truppe, l’usura dei mezzi, l’attività di supporto in Italia e sul posto. Quindi il costo reale della spedizione va aumentato del settanta per cento». Vediamo come… «Cominciamo dagli stipendi: le somme stanziate coprono solo le indennità aggiuntive di missione, ma non includono i trattamenti di base. Il monte stipendi speso per i quasi 3.000 militari presenti in Iraq ammonta a circa 48 milioni di euro ogni sei mesi: in due anni e mezzo, quindi, bisogna calcolare 240 milioni di euro. Ma schierare tremila persone all’estero vuol dire svuotare le caserme in Italia,
rendendo necessario il richiamo dei riservisti, degli straordinari e anche l’affidamento a terzi, in tutte quelle funzioni dove è possibile: servizi mensa, pulizie, manutenzione dei mezzi, ecc., con un aggravio di spesa di altri 50 milioni di euro. L’addestramento prima della partenza dei reparti raddoppia, di fatto, il numero degli uomini direttamente impegnati nella missione. Totale: altri 100 milioni di euro. Il supporto logistico dall’Italia, le telecomunicazioni, il comando e il controllo impiegano altre 500 persone, con mezzi e materiali che aumentano il costo di altri 30 milioni di euro. E - senza parlare del costo di vite di civili e militari - bisogna calcolare l’usura dei diversi mezzi utilizzati o la loro distruzione: per circa 5.000 mezzi (impegnati in Iraq) si spendono al mese 9.250.000 euro. Ma l’uso in condizioni operative estreme comporta un maggior costo, almeno del 20 per cento: 2 milioni di euro al mese in più, 60 milioni nei trenta mesi della missione italiana». La missione Antica babilonia viene rifinanziata ogni sei mesi con decreti, che attingono al Fondo speciale della Finanziaria per le missioni all’estero. Da dove vengono prese le risorse per queste altre spese? «L’Italia, nel 2004, ha tagliato tre capitoli di spesa del ministero degli Esteri per la cooperazione internazionale e per le organizzazioni non governative, per i finanziamenti degli organismi internazionali e anche 100 milioni di dollari dal fondo per la lotta all’Aids, dirottati sulla missione irachena».
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| dossier | armi | LIBRI
DIFESA IN RAPPORTO AL PIL ITALIA AL SETTIMO POSTO
Quali attività svolge il nostro contingente, in Iraq? «In un incontro a Nassiriya tra il generale Costantino della Folgore e noi parlamentari ci sono state fornite queste cifre: in una scala da 0 a 100, il 70 sono attività di sorveglianza sul territorio; 45 di scorte; 35 di sorveglianza ai presidi fissi e 30 di tipo umanitario, che si svolgono quando le condizioni di sicurezza lo permettono. E consistono in un ospedale da campo per visite “veloci”, che viene portato nei villaggi, nella gestione dell’ospedale attrezzato di Camp Mittica e nella distribuzione di generi alimentari. Non sono però stati in grado di spiegarci con quali criteri scelgono le zone dove effettuare le distribuzioni».
SECONDO I DATI DEL RAPPORTO SIPRI 2005, l'Italia, con una spesa militare di 23,16 miliardi di euro nel 2004 e di 23 miliardi di euro nel 2003, si piazza al settimo posto della graduatoria mondiale per il secondo anno consecutivo, precedendo paesi tradizionalmente a forte spesa militare come: Russia (16,16 miliardi), Arabia Saudita (16,08 miliardi), Corea del Sud (12,91 miliardi) e India (12,58 miliardi). Fonte: Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) www.sipri.com
Ci siamo dati alle “spese pazze” per gli armamenti, come diceva il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Fraticelli, in un’intervista? «A parte gli “stanziamenti alle imprese nazionali” inseriti nella Finanziaria, l’Italia sta partecipando a dei programmi di acquisto e sviluppo di armamenti costosissimi, che poco hanno a che vedere con il ruolo delle nostre forze armate - previsto dalla Costituzione e dall’Onu - di difesa e mantenimento della pace. Già da tre anni abbiamo aderito al discusso programma Usa per il cacciabombardiere Joint Strike Fighter (JSF) della Lockheed-Martin, che paghiamo annualmente, pur essendo ancora in fase di ricerca e sviluppo, e che nel 2015, con l’acquisto di 139 esemplari, verrà a costare all’Italia una cifra che si aggira sui 15-18 miliardi di euro. Per la realizzazione delle fregate europee multimissione (FREMM), la Finanziaria stanzia 30 milioni di euro l’anno dal 2006 al 2008 e, poi, dal 2008 fino al 2020 altri 105 milioni di euro l'anno; il contributo dello Stato sarà pari a circa 1,4 miliardi di euro. Da notare che tali risorse saranno prelevate dal bilancio del ministero delle Attività produttive. La domanda che ci poniamo è: a chi dobbiamo andare a fare la guerra con questi sistemi di ampia proiezione? Non sono armi che servono per difendersi: sono armi pesanti, non giustificate da scenari difensivi, e nemmeno dalle missioni internazionali di peace-keeping previste dall’Onu. Sono armi che fanno pensare alle “guerre stellari” che vogliono fare gli americani, alle guerre imperiali».
I MAGGIORI PRODUTTORI TRA I CENTO MAGGIORI PRODUTTORI di armi del mondo, si piazzano tre società italiane: Finmeccanica, al decimo posto con 548 milioni di euro di utile netto consolidato; Fincantieri, al sessantaquattresimo posto (un utile netto di 99,5 milioni di euro nel 2004) e Avio, al sessantasettesimo. Nei primi sei posti della classifica mondiale ci sono ben cinque compagnie americane: Lockheed Martin (87,750 milioni di euro di profitto nel 2003 per un valore dei prodotti e servizi militari venduti pari a 20,75 miliardi di euro), Boeing (598,33 milioni, 20,30 miliardi), Northrop Grumman (673,33 milioni, 14,83 miliardi), Raytheon (304,16 milioni, 12,87 miliardi) e General Dynamics (circa 83,33 milioni di euro, 10,91 miliardi). Con la britannica Bae Systems a far loro compagnia (8,33 milioni di euro di profitto, 13,13 miliardi il valore delle vendite).
sta partecipando “L’Italia a programmi di acquisto e sviluppo di sistemi d’arma costosissimi ”
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ELIGIO PAONI/CONTRASTO
Un bersagliere del 18° Reggimento pattuglia le strade di Ashasha, nel Sud dell’Iraq. A fronte di 1,2 miliardi di spesa per la parte militare, solo 92 milioni per scopi umanitari.
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Gli acquisti che stiamo facendo sono fatti in vista di un esercito europeo, in accordo con le altre Nazioni europee o stiamo svuotando i magazzini statunitensi? «C’è di tutto un po’: il mio punto di vista è che bisognerebbe arrivare alla smilitarizzazione, però noi sap-
Riccardo Bagnato Benedetta Verrini Armi d’Italia. Protagonisti e ombre di un made in Italy di successo. Fazi Editore, 2005
Chiara Bonaiuti Achille Ludovisi Il commercio delle armi. L’Italia nel contesto internazionale. Jaka Book, 2004
piamo che, nell’ottica della riduzione del danno, l’autonomia di un esercito europeo rispetto allo strapotere dell’influenza Atlantica in tutta Europa, sarebbe già un passo diverso. E lo sarebbe anche se l’ottica è sempre quella della guerra guerreggiata, mentre noi dovremmo essere per la prevenzione della guerra. Le coproduzioni le facciamo sia con gli Stati Uniti, sia a livello europeo. Per esempio, il Joint Strike Fighter è di produzione americana e, in teoria, anche di produzione europea, ma in parte ridottissima: l’Italia è presente con Alenia solo per la carpenteria dell’ala. Quindi con un know how di ritorno, in termini di tecnologia, minimo. Però sottrarre all’industria militare americana e, quindi, agli accordi militari americani parte della spesa per trasferirla all’Europa, da settori del mio partito è visto come un obiettivo da raggiungere. Secondo me è un obiettivo solo di medio periodo, non mi sento di sposarlo fino in fondo perché, che siano armi europee piuttosto che armi statunitensi, sempre armi sono. La logica non cambia tanto». Passare a investimenti solo europei potrebbe dar molto fastidio al nostro alleato Usa. «Certo, e vorrebbe dire poter discutere della linea di politica estera dell’Europa, che è già meglio».
Elisa Lagrasta Le armi del Bel Paese. L’Italia e il commercio internazionale di armi leggere. Ediesse, 2005
LE SPESE DEI BUONI Spese militari degli Stati Uniti e dei Paesi loro alleati [% sul totale mondiale] NATO + COALIZIONE ANTI SADDAM ED ENDURING FREEDOM + OSCE + ISRAELE + TAIWAN 87,26% STATI UNITI + ALTRI NATO 69,95% STATI UNITI 46,64%
Sarebbe un buon passo. «Sarebbe un passettino per costringerci a parlare di politica estera dell’Europa, ancorandola alla pace. Non si può parlare di politica sulle armi, se non si pongono dei paletti rigorosi sulla politica estera. Per esempio l’Esercito europeo di pronto intervento, questi sessantamila uomini di cui si parla, ha delle grosse difficoltà a nascere perché, nei fatti, è concorrenziale alla Nato, dove ci sono gli americani. Se si legge qualsiasi pubblicazione militare, delle Difese e così via, tutti dicono che non è assolutamente concorrenziale, ma complementare. Però, di fatto, non riesce a decollare».
SPESE MILITARI E PER LO STATO SOCIALE IN EUROPA RAFFRONTANDO i dati Sipri 2005 sulle spese militari con i dati dell'Annuario della CIA sulla popolazione di ciascun Paese (stime al luglio 2005) la spesa militare italiana nel 2004 è costituita da ben 398,30 euro pro-capite (spesa militare di 23,16 miliardi di euro diviso popolazione di 58,1 milioni di abitanti), che supera quella di nazioni come il Giappone (spesa militare pro-capite di 276,66 euro) o la stessa Germania (spesa militare pro-capite di 342,50 euro). Se è vero che gli USA spendono 1282,50 euro pro-capite per spese militari, la Gran Bretagna 623,33 euro e la Francia 634,16 euro, va però notato che l'Italia spende per l'assistenza (maternità, disoccupazione, handicap, edilizia popolare ecc.) circa 545 euro per ogni cittadino all'anno. La media europea è di 1.558, quella inglese di 1.619, la francese di 1.754, la tedesca di 2.049. Se misurata rispetto al Pil la differenza è sconcertante: l'Italia dedica alle voci dello stato sociale il 2,7% del proprio Pil (poco più delle spese militari), mentre la media europea è assestata sul 6,9%, con la Gran Bretagna al 6,8%, la Francia al 7,5, la Germania all'8,3%. Dati Eurostat 2003; Sbilanciamoci, Rapp. 2004
un paese che “Siamo ha una porzione altissima del Pil rispetto alle esportazioni di armi ”
Oltre la spesa della difesa parlare di riconversione significa fare scelte che spostano molti interessi economici. «Tenendo presente che il nostro scopo finale è mettere la guerra al di fuori dalla storia, non si può parlare di pace se non affrontando il tema della riconversione industriale delle fabbriche di armi e anche della smilitarizzazione del territorio. Perché noi siamo il Paese che ha più basi statunitensi e Nato di tutti gli altri Paesi europei, senza nessuna giustificazione. Non solo: noi paghiamo come contributo alla Nato più di
tutti gli altri Paesi europei; anche lì, non c’è una ragione. Naturalmente è irrinunciabile che i lavoratori dell’industria bellica vadano riconvertiti in altri settori, non va perso un solo posto di lavoro! Però non si capisce perché dobbiamo essere il terzo Paese produttore di armi al mondo, quando poi le statistiche ci mettono al sessantaquattresimo per tenore di vita. Siamo un Paese che ha una porzione del Pil rispetto all’esportazione delle armi altissima. Tutto questo droga la nostra economia in senso negativo, perché quello delle armi è un commercio di morte. Quindi bisogna fare un discorso molto chiaro, sia sulla riconversione industriale delle fabbriche di armi, sia sulla smilitarizzazione del territorio».
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Finanza wahabita
Alleanza strategica col crimine organizzato
+ Leggo doppio Leggo solidale Novità 2006 per i lettori: Valori a casa vostra, insieme a IC, il mensile della Caritas Italiana, per capire meglio la società e il mondo che ci ruotano attorno, nel segno della solidarietà. Alleanza di pagine e idee, a un prezzo conveniente.
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di Paolo Fusi
NTRA IN UNA FASE DECISIVA IL PROCESSO CIVILE INTENTATO A NEW YORK da diversi studi legali di grido contro uno sterminato numero di personaggi del mondo politico e finanziario o di colletti bianchi legati al mondo arabo. L’obiettivo era di cavar fuori 3000 miliardi di dollari come riparazione dell’attacco dell’11 settembre 2001. Il processo finirà in una bolla di sapone. Peggio, otterrà una serie di effetti disastrosi di cui sentiremo l’eco per decenni. A pagare il prezzo della miopia di un paio di avvocati accecati dal sogno di una ricchezza immensa (in caso di vittoria, si pappano un quinto della somma) saremo noi tutti. Perso il processo, Osama e tutti gli altri saranno proclamati innocenti. Che di per sè è una lezione di democrazia. Perché la barbarie consiste piuttosto nel chiedere 3000 miliardi di danni di guerra quando allo stesso tempo si gioca a fare gli invasori di Iraq ed Afghanistan. Ma lasciamo perdere la politica. La finanza islamica ha imparato, dopo l’11 settembre, a lavorare insieme al crimine organizzato. Tra il 2003 ed il 2004, il volume d’affari dei fiduciari legati all’islam in Svizzera è aumentato del 400%. A Cipro, nelle isole Bahamas, ovviamente a Singapore, ma anche in nuove piazze come San’a, Gibuti, Doha, Abu Dhabi, persino a Khartoum, nascono le società bucalettere come funghi. I più grossi affari nel traffico illecito d’armi tra la Liberia e l’Italia, in quel periodo, li ha fatti la società offshore yemenita di un gruppo saudita produttore di materiali chimici Dopo l’11 settembre boom per l’industria. dei fiduciari che operano Quanto a Yeslam Bin Laden, il fratellastro di Osama, con società offshore a Cipro, Bahamas, Singapore, anche lui (nel momento in cui scriviamo) sta per essere scagionato San’a, Gibuti, Doha, a New York. Nel materiale raccolto dagli avvocati americani Abu Dhabi e Khartoum a suo carico, ci sono gli indizi del fatto che Yeslam sia una sorta di faccendiere offshore della propria famiglia – ed in quella chiave ha naturalmente amministrato (e magari amministra ancora) anche i soldi di Osama. Ma se la caverà lo stesso, perché una parte del materiale per il processo è stata raccolta mostrando aperta e tangibile simpatia ad un magistrato elvetico, che ha consegnato le sue carte, coperte ovviamente dal segreto istruttorio e, quindi, inutilizzabili. Quelle carte dicono che, dietro l’enormità del gruppo Saudi Bin Ladin e dei suoi oramai noti legami con la famiglia del presidente americano Bush, ci sono tre holding misteriose: la Binar Inc. Panama; la Mohammed Binladen Organization SA Panama e la Saudin Inc. Panama. Tutte si occupano di investire miliardi sui mercati finanziari illeciti – o in paesi come la Cecenia, l’Iraq e l’Afghanistan, sotto la protezione del governo americano che, subito dopo l’11 settembre, concesse un foglio di via straordinario ad Akberali Moawalla, il gestore (insieme a Yeslam) di questa struttura. Uscito pulito dal processo di New York, Yeslam Bin Laden avrà una patente di santo a vita. E, intanto, sta spostando, insieme all’avvocato Baudouin Dunand (che curava anche gli interessi di Saddam Hussein), tutta l’attività a Londra, esattamente come Youssef Nada, Ahmed Idris Nasreddin e tutti coloro che Bush, dopo la strage, aveva indicato come “i cattivi”, senza poi mai dimostrarci alcunché.
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Apritevi alla riforma e guardate lontano, parola di Fletcher >32 Unipol nella bufera. Cooperative colpevoli o innocenti? >34 Futuro cooperativo, più forti e più sani dopo il raffreddore >36
finanzaetica I COLOSSI TEDESCHI DELL’ENERGIA INDAGATI PER CORRUZIONE
BANCA ETICA OTTIENE LA CERTIFICAZIONE SA 8000
MOZIONE DELLA TOSCANA PER IL MONTE DEI PASCHI
FONDI PER LA RICERCA, UN PASTICCIO ALL’ITALIANA
FINANZIAMENTI DELLA BANCA MONDIALE AL GOVERNO CORROTTO. KENYA NELLA BUFERA
CAMICIE EQUO SOLIDALI GRAZIE AL CONSORZIO ETIMOS
Eon ed Rwe, le due grandi società multiutilities tedesche, sono coinvolte in un’inchiesta della procura di Stato sulla corruzione di alcuni politici locali con ricchi viaggi all’estero. Gli inquirenti indagano su 159 persone, tra politici e dipendenti di compagnie locali per la fornitura di energia. In Germania esistono quattro gruppi, tra cui i due indagati, che controllano il 70 per cento del mercato tedesco della fornitura di energia. L’inchiesta, condotta dai magistrati di Colonia, era inizialmente concentrata su Eon ma, in seguito, si è allargata anche alla Rwe. L’indagine, che va avanti da alcuni mesi, è stata resa pubblica solo recentemente ed è l’ultima di una serie riguardanti i rapporti tra business e politica, casi di corruzione che hanno coinvolto grossi nomi dell’economia tedesca. Già l’anno scorso, la Rwe fu toccata da uno scandalo che coinvolse alcuni politici nazionali che ricevevano una “paga”, nonostante non svolgessero alcun lavoro per la società. La Eon difende il suo operato sostenendo che i viaggi erano a scopo informativo per dipendenti e giornalisti. Giustificazione sostenuta anche per gli inviti a quei politici che, spesso, siedono nei consigli di supervisione delle compagnie municipalizzate. L’Eon, per il momento, ha smesso di fare questi viaggi, anche se erano pratica comune in tutto il mondo del business tedesco. Rwe, che dopo lo scandalo passato ha introdotto un codice molto dettagliato di condotta, ha aggiunto di aver collaborato pienamente con l’autorità giudiziaria, ma che nessuno dei loro è coinvolto in questa vicenda. Alcuni dirigenti delle compagnie avrebbero attribuito l’inchiesta alla situazione attuale e all’isteria generata dagli alti prezzi dell’energia elettrica, insinuando l’idea che qualcuno sta cercando dei modi per attaccare le compagnie in un momento critico. L’inchiesta, in effetti, arriva in un momento delicato dove la pressione dell’opinione pubblica, della politica e del mercato, per aprirsi di più alla competizione, è molto forte.
Banca Etica è il secondo istituto di credito (in Italia e all’estero) ad ottenere la certificazione SA 8000. Un riconoscimento che significa rispetto dei diritti dei lavoratori e standard di sicurezza e salubrità sul luogo di lavoro, tanto all’interno dell’azienda quanto nella propria catena di fornitura. La certificazione è uno standard internazionale elaborato nel 1997 dall’ente americano SAI (Social Accountability International). La norma prevede otto requisiti sociali collegati ai fondamentali diritti umani e dei lavoratori e un sistema di gestione della responsabilità sociale. Con la soddisfazione di questi requisiti si ottiene il “marchio” etico e la certificazione rilasciata da una terza parte indipendente con un meccanismo simile a quello utilizzato per i sistemi di gestione per la qualità. La scelta di Banca Etica di conseguire la certificazione si fonda anche su altre ragioni: contribuire alla diffusione di una cultura che consideri inalienabili i diritti umani e dei lavoratori; dimostrare che, anche in ambito finanziario, questi principi possono e debbono essere rispettati; infine, innescare un effetto di “contagio” anche nella filiera dei fornitori. Essere certificati SA 8000 significa anche una totale disponibilità a ricevere segnalazioni sul mancato rispetto dei requisiti. Queste segnalazioni possono essere inviate tramite il Social Accountability Watch (SAW).
Il Consiglio regionale toscano ha approvato a maggioranza una mozione su “Etica e buongoverno nella Banca del Monte dei Paschi di Siena”. A favore ha votato la maggioranza di centrosinistra insieme a Rifondazione, mentre Forza Italia e Udc hanno votato contro. Il punto centrale della mozione riguarda il cosiddetto emendamento “Eufemi” alla legge sul risparmio (n. 262 del 28/12/05), che limita l’esercizio di voto delle fondazioni di origine bancaria nelle assemblee degli azionisti delle banche partecipate al 30 per cento. Una disposizione che, in Toscana, penalizza la Fondazione Monte dei Paschi di Siena e anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. La mozione votata dalla Regione punta a superare la pregiudiziale ideologica contro le fondazioni. E ad arricchire gli assetti proprietari con soggetti che abbiano una visione industriale di lungo periodo, tra cui fondi pensione, imprese e movimento cooperativo. Il documento approvato contiene anche un invito al presidente della Giunta regionale, Claudio Martini, a verificare (d’intesa con il sindaco di Siena e tutti gli altri enti nominanti nella deputazione generale della Fondazione Monte dei Paschi) quali iniziative politiche e giuridiche intraprendere per la difesa del diritto di voto pieno nelle assemblee delle banche.
Il Fondo per gli investimenti della ricerca di base, istituito dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), doveva essere l’elemento risolutore dei problemi della ricerca italiana. Invece si è trasformato in una cocente delusione per i tanti ricercatori italiani esclusi. Solo 52, dei 160 progetti presentati nel 2005, hanno ricevuto i fondi, per un totale di 18 milioni di euro. Gli altri sono stati rifiutati ancor prima di essere valutati nel merito, perché contenevano errori formali nella compilazione delle domande. Per fare domanda bisognava entrare nel sistema Cineca di Bologna, che computerizza per il Miur le attività di ricerca. Il sistema salva le informazioni inserite, solo se sono corrette. E infatti ha permesso ai ricercatori esclusi di salvare le domande presentate, senza quindi aver rilevato l’errore. Secondo gli esclusi, il bando era formulato in modo incompleto e ambiguo. Poiché si trattava di un programma di internazionalizzazione, era previsto che l’ente straniero mettesse una quota analoga a quella italiana, pari almeno al 45 per cento. Questo requisito però non era indicato nel bando. Stesso discorso per la previsione di spesa per far rientrare persone di prestigio dall’estero o per l’assunzione di giovani ricercatori. Alcuni progetti sono stati esclusi perché nella domanda mancava la previsione di questa quota.
La Banca Mondiale approva un finanziamento di 25 milioni di dollari per il Kenya. Ragione del finanziamento è rafforzare la capacità operativa dei ministeri chiave di quel Paese. Una decisione aspramente contestata da Mwalimu Mati, direttore del comitato anticorruzione “Transparency International”, perché sarebbe stata presa dalla banca sulla base di rapporti e informazioni errati e nei tempi sbagliati. Cioè quando i funzionari del governo kenyota erano implicati in casi di corruzione. Un’altra spallata al Paese africano, già sconvolto dalla siccità e con oltre tre milioni di persone a rischio, che arriva nei giorni della pubblicazione del dossier di John Githongo, l’ex capo dello speciale ufficio anticorruzione, il primo mai creato nel Paese. Un rapporto di 31 pagine dove si parla dello scandalo denominato “Anglo Leasing”. E dove compaiono i nomi di quattro grossi esponenti politici: il vicepresidente della Repubblica Moody Awori, il ministro delle Finanze David Mwiraria, quello dell’Energia Kiraito Murungi, e l’ex responsabile dei Trasporti, Chris Murungaru. I fatti risalgono al 2003 e al 2004. Una serie di giganteschi appalti rivelatisi poi fittizi, un’operazione dove sono scomparse molte decine di milioni di dollari che servivano a finanziare la campagna elettorale dei corrotti. Githongo rivela di aver documentato il caso di corruzione, anche per lettera scritta, al presidente Mwai Kibaki che però non ne fece nulla. Anzi, di lì a poco, Githonko veniva rimosso dall’incarico e spostato al ministero della Giustizia, finché non decise di lasciare il Kenya per Londra, a causa delle minacce subite. Gli accusati definiscono falso e infondato il rapporto di Githongo. Quest’ultimo è stato invitato a comparire di fronte ad una commissione istituita dal parlamento stesso per fare luce sulla vicenda; l’ex-capo dell’ufficio anticorruzione ha però detto di non sapere se farà o meno ritorno nello Stato africano, anche se il Governo si è impegnato a garantirgli la dovuta protezione.
Si chiama “Tuscany Kerala Garments” ed è un’azienda tessile nata a Madaplathuruth, un villaggio della provincia di Kerala, nell’India meridionale. Dà lavoro a 65 giovani donne e produce prevalentemente camicie, gestendo direttamente le diverse fasi: dal taglio alla cucitura, dalla stiratura alla confezione. Le camicie vengono poi vendute nella rete di Coop Italia, con il marchio Solidal Coop, che contraddistingue la linea di prodotti garantiti equosolidali. Una storia che mette insieme solidarietà, responsabilità d’impresa, commercio equo e anche finanza etica. “Kerala Tuscany Garments”, infatti, ha ricevuto di recente un prestito di 100.000 euro da parte del Consorzio Etimos; si tratta di un prefinanziamento per l’acquisto dei tessuti necessari per la produzione delle camicie. L’operazione rientra in un più ampio accordo firmato tra Banca Etica e Coop Italia per il finanziamento delle cooperative di produttori che forniscono le materie prime per i prodotti Solidal Coop. L’obiettivo è rafforzare il mercato dei prodotti equosolidali nel nostro Paese e sostenere finanziariamente i produttori dei paesi in via di sviluppo. In questo ambito il Consorzio Etimos può mettere a frutto tutta la sua esperienza in fatto di prefinanziamenti e sostegno ai produttori, maturata in America Latina e Africa su materie prime tipicamente “food”.
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A PROPOSITO DI SOLIDARIETÀ
Interno di una Coop durante la giornata della “Colletta alimentare” organizzata dall’Associazione Banco Alimentare. Volontari raccolgono prodotti destinati ai poveri.
Livorno, 2002
Valori e principi persi nella memoria?
V di A.D.S.
ALORI. ETICA. PRINCIPI. Per il movimento cooperativo non sono slogan, strumenti del marketing,
etichette da apporre per abbellire una facciata. Il movimento cooperativo trae le sue origini dai Fair Pioneers di Rochdale, i Probi pionieri che nel 1844 diedero vita alla prima cooperativa di consumo moderna: equi, liberi e giusti. Parole grosse. E pesanti. Che più volte sono tornate in diverse occasioni nelle riflessioni che le cooperative hanno periodicamente svolto nel corso della loro pluridecennale storia. L’Italia, che annovera alcune delle più interessanti ed estese esperienze cooperative a livello internazionale, non è stata da meno negli anni passati nello sforzo di riflessione culturale. Ne sono testimonianza il libro edito da Feltrinelli Cooperare e competere, frutto di un convegno di due giorni promosso nel lontano 1986 a Ravenna. E, più recentemente, un convegno dal titolo “Etica e imprenditoria associata. Verso una riformulazione dei princìpi cooperativi” organizzato dalla Lega Nazionale Cooperative e Mutue nel giugno 1993, in piena Tangentopoli. Nella relazione introduttiva, Edwin Morley-Fletcher, ancora per poche settimane membro della presidenza della Lega, invitava le cooperative ad aprirsi alla riforma, che era stata da poco approvata, e a guardare lontano, ponendo in guardia contro il rischio che venisse ad
I passaggi di un intervento svolto da un membro della presidenza di Legacoop nel 1993 dimostrano che tutti i nodi venuti al pettine erano già sul tavolo della riflessione | 32 | valori |
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“NON SIAMO UN’ASSICURAZIONE”. Ci tengono a sottolinearlo alla Cesare Pozzo, tanto che lo scrivono a grandi lettere su tutte le proprie brochure di presentazione, come a voler prendere le distanze da un mondo fatto di polizze e contratti, di premi e tabelle per misurare il livello di rischio del cliente. In effetti la Cesare Pozzo non è affatto una compagnia assicurativa, anche se eroga ai suoi associati un contributo per coprire le spese sanitarie. Non è nemmeno una cooperativa, anche se non ha scopo di lucro e fa parte della Legacoop. Il mistero è presto svelato. È una società di mutuo soccorso e rientra nella categoria definita dalle ultime due paroline, spesso dimenticate, che completano il nome: “Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue”. Nata nel 1877 come società di mutuo soccorso per i macchinisti delle Ferrovie alta Italia, la Cesare Pozzo, per un secolo, è rimasta riservata esclusivamente ai macchinisti, poi a tutti i ferrovieri. Solo da una decina d’anni è aperta a tutti. Oggi vanta 80 mila associati e assiste circa 250 mila persone in tutta Italia. Perché, per ogni quota pagata, si ha diritto a una sussidio per tutta la famiglia. «Abbiamo uno spirito completamente diverso da una compagnia assicurativa – precisa Marco Ruggeri, direttore dell’offerta mutualistica – Non stipuliamo contratti con i nostri clienti. Anzi non abbiamo neanche clienti, ma associati che, in cambio di un contributo annuo, ricevono un sussidio in caso di malattia, ricoveri, infortuni, esami diagnostici. E, cosa anche più importante, il contributo annuo da versare per avere diritto ai contributi è uguale per tutti (204 euro all’anno per la formula base, la più diffusa). Non esiste alcuna differenziazione dei premi in base al rischio. Il rischio è ripartito tra tutti i soci. La quota versata dai giovani, che inevitabilmente hanno meno probabilità di ammalarsi, serve ad aiutare gli associati che hanno più bisogno». Ecco la solidarietà e il principio mutualistico di cui tanto si parla nel mondo cooperativo. Ma i principi in comune con le cooperative non finiscono qui. La democrazia interna ad esempio. «Anche troppa – sottolinea ironicamente Marco Ruggeri – Ogni decisione viene vagliata da mille occhi, dal presidente al cda, dall’assemblea dei soci ai presidenti regionali, dal collegio sindacale alla società di revisione. La partecipazione dei soci al processo decisionale è altissima. E i controlli esterni sono rigidi. L’elenco dei sussidi erogati è sempre inviato alla regione. Le cariche direttive sono ricoperte da soci volontari, che nella vita svolgono altri mestieri, spesso nelle ferrovie. Da noi non potrebbe capitare mai quello che dicono sia successo in Unipol, sempre che i magistrati lo confermino – sostiene con aria fiera Marco Ruggeri - Se il nostro presidente sottraesse 1 milione di euro, il giorno dopo lo sapremmo tutti, a partire dalla sua segretaria».
aprirsi “una crisi profonda di legittimità politica e decisionale” del movimento cooperativo. Ecco alcuni brani di quella relazione che non si può non definire profetica: «Anche per la cooperazione … diviene necessario, anzi urgente, che si mettano in opera gli istituti di una democrazia più piena, che sappia affiancare alla garanzia di ultima istanza data dal voto per testa, strumenti e canali di decisione che siano realmente all’altezza della rapidità ed efficacia decisionale oggi necessarie». Perché vi è il rischio di avere una democrazia «ampiamente illusoria, specie se svolta in forme ancora eccessivamente assembleari, senza voto per liste e senza adeguate garanzie di segretezza del voto stesso, e che tende allora inevitabilmente a sovrapporsi lo strapotere di fatto degli apparati … Con l’immissione di un soggetto nuovo (il socio sovventore, ndr) nella compagine sociale della cooperativa, di un soggetto mosso da una finalità e da una logica non solo interne alla base societaria tradizionale, ma portato a valutare il comportamento dell’impresa, del suo management, … in termini di successo nella competizione di mercato, …
si ottiene l’effetto di spezzare il monopolio informativo altrimenti detenuto … da quel management. Il socio ordinario, infatti, quale fonte informativa possiede circa l’andamento della cooperativa, la validità dei dirigenti che pure egli stesso contribuisce a eleggere, la qualità professionale e la stessa onestà dei manager cui le sorti dell’impresa sono quotidianamente affidate, se non le parole (e gli atti a lui noti) degli stessi dirigenti tecnici ed elettivi? Che cosa lo salvaguarda rispetto alla possibilità di un’eventuale, grave insufficienza dei responsabili della cooperativa che conduca l’impresa a subire perdite irreparabili o a lasciarsi sfuggire opportunità irripetibili? Rispetto alla possibilità di trovarsi di fatto espropriato dalla propria impresa, o posto di fronte alla necessità inderogabile di cederla ad altri? Di essere informato del reale stato delle cose solo a cose fatte?» «Di gran lunga la principale, fra le condizioni da porre in atto» è che «nell’organizzazione aziendale e in quella d’assieme del movimento cooperativo si abbandoni il ricorso a una forma di selezione del management improntata esclusivamente a criteri di coop|
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GLI SHOPPER “DEGRADABILI” introdotti in Italia da Coop e le pubblicità apparse sui quotidiani per presentare l’iniziativa hanno tratto in inganno i consumatori. La terminologia utilizzata per la promozione pubblicitaria poteva far ritenere che il sacchetto fosse biodegradabile. La distribuzione cooperativa avrebbe ottenuto così un notevole ritorno di immagine in un momento in cui ecologia ed etica attraggono nuovi clienti. L’autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, chiamata ad esprimersi da Movimento Difesa del Cittadino e Legambiente, ha multato Coop Italia inibendo la pubblicazione delle pubblicità e imponendo di cessare entro tre mesi la distribuzione degli shopper con la scritta “100% degradabile” (ad esaurimento scorte il messaggio dovrà essere modificato). Il sacchetto avvia, automaticamente, un processo di degradazione grazie ad un additivo lanciato sul mercato dalla multinazionale EPI. Pur essendo fatto di materiale derivato dal petrolio, non avrebbe così l’impatto sull’ambiente del comune sacchetto che resiste per decine di anni. Le forti critiche del mondo ambientalista in tutto Europa erano note prima del varo dell’iniziativa. Coop ha dispiegato nel sostegno al prodotto la potenza del suo ruolo di primo piano nella distribuzione alimentare, commissionando 250 milioni di sacchetti ogni anno. Secondo l’Autorità l'utilizzo dell'espressione "100% degradabile" richiama nell'immaginario collettivo il concetto di biodegradabilità. In considerazione dell’utilizzo di questo claim e della «vantata utilità della natura, il messaggio, in quanto induce a ritenere che i sacchetti siano ecologicamente compatibili, è in grado di orientare indebitamente le scelte dei consumatori. La definizione tecnica di biodegradabilità non è del tutto univoca - spiega l'Antitrust nella sentenza - Ad esempio, un materiale può essere biodegradabile in base agli standard ASTM (istituto di normazione tecnica nordamericano), ma non in base agli standard europei previsti dalla norma UNI EN 13432 (Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione)». Anche l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni sottolinea, nel suo parere, che «la definizione di degradabilità data dalla Coop non trova alcun riscontro normativo». Nella sentenza è inoltre evidenziato come «il messaggio ometta di indicare espressamente che il prodotto non è idoneo alla raccolta della spazzatura organica domestica, bensì unicamente alla raccolta dei rifiuti indifferenziati». Il contrasto con il mondo ambientalista sono stati vissuti come uno strappo. Coop ha annunciato ricorso al Tar contro la decisione e la multa da 31.000 euro ricevuta ed afferma che «la sentenza condanna il messaggio pubblicitario ma non il processo di degradazione dello shopper, ritenuto non nocivo. Ci adegueremo alla sentenza e modificheremo la scritta sul sacchetto ma la scelta dei sacchetti “degradabili” verrà portata avanti». Restano di avviso diverso le valutazioni del mondo ambientalista che sostiene la necessità di investire su prodotti biodegradabili rispondenti alle normative europee e sottolinea la contraddizione della scelta di Coop a favore di un prodotto derivato dal petrolio e privo di effettive caratteristiche di eco-compatibilità.
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tazione … Occorre che si passi invece a formule di investitura e di ricambio dei gruppi dirigenti a ogni livello, che siano improntate ai criteri di una più aperta selezione competitiva … E che magari siano formule corredate anche dalla previsione almeno indicativa dei limiti temporali alla riconferma del mandato a ricoprire i ruoli primari, così da favorire tendenzialmente la circolazione dei dirigenti e una partecipazione la più ampia possibile dei soci all’assunzione di responsabilità in azienda e nell’organismo associativo, in modo da evitare, insomma, le nomine di fatto ‘a vita’ e il conseguente re-
stringimento ‘oligarchico’, e per così dire ‘collusivo fra autocrati’ del top management cooperativo». «Intendiamoci … se non si è potuto segnalare sinora nessun caso di corruzione e di connesso arricchimento personale di un singolo manager …credo che ciò sia dovuto all’operare di un insieme efficace di anticorpi, fra cui anche una singolare virtù testimoniata appunto, in questo caso (peraltro non secondario), dalla stessa prassi cooptativa». Di fronte alle nuove sfide, fra cui quella «di riuscire a individuare le modalità e le sedi in cui si possa porre il tema del riorentamento
strategico non solo della singola impresa, ma di interi comparti cooperativi”, e di fronte alla “complessità crescente della competizione globale… non appare più come rassicurante la trafila formativa del ‘garzone di bottega’, magari già figlio di cooperatori, ‘cresciuto in casa’ e, via via, cooptato sino al vertice, apprezzato innanzitutto per supposte doti di carattere, quali ad esempio un opportuno mix di fedeltà a tutta prova e di astuzia paziente verso i superiori e una giusta misura di grinta autoritaria unita però normalmente a giovialità e cameratismo verso gli inferiori».
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Cooperative al banco degli imputati Colpevoli o innocenti? Consorte plurindagato. . Il mondo delle cooperative sul banco degli imputati. Sotto attacco il cuore stesso del movimento, i suoi valori. Rispondono i protagonisti di ieri e di oggi. Unipol nella bufera
Dal mondo cooperativo arriva una risposta unanime a chi dopo la bufera Unipol ha puntato il dito contro l’intero sistema delle cooperative, accusate di aver perso l’anima e con di Elisabetta Tramonto essa quei valori etici di cui andavano tanto fiere. Ma l’unanimità si ferma alla difesa dei principi originari. Se invece si parla di errori nella gestione della vicenda Consorte & company, qualche colpa da parte delle cooperative inizia a comparire. «Le grandi cooperative socie di Unipol devono avviare una profonda autocritica» denuncia Lanfranco Turci, presidente della Lega delle cooperative dal 1987 al 1992 e senatore Ds nell’ultima legislatura. «Se Consorte e Sacchetti sono riusciti a fare quello che hanno fatto sotto il loro naso, dovranno pur domandarsi se avevano gli occhiali giusti». Se però si analizza più in generale il movimento cooperativo, i toni cambiano. Saltano fuori problemi chiamati governance, concentrazione di poteri, scarso controllo, insufficiente partecipazione. Fattori delicati nella gestione delle cooperative, messi in luce proprio dalla vicenda Unipol ma che vanno al di là del singolo caso, di fronte ai quali anche i difensori più accaniti del sistema cooperativo ammettono che qualche revisione sarebbe necessaria. Senza contare che, quasi quindici anni fa, questi problemi erano già sul tavolo e già allora si mettevano in discussione alcuni pilastri del sistema cooperativo.
I
VALORI CI SONO ECCOME, PIÙ VIVI CHE MAI.
Nervi scoperti e muri di gomma «La vicenda Unipol ha portato alla luce i fattori critici delle cooperative» ammette Giuliano Poletti, attuale presidente della Lega delle cooperative. «È necessario trovare modelli di governance più efficienti, dove ci sia un maggiore bilanciamento dei poteri e migliori sistemi di controllo». Il problema chiave sembra proprio il governo dell’impresa e i metodi adottati per prendere le decisioni. «Con la crescita delle dimensioni delle cooperative è diventato un fattore critico» spiega Lanfranco Turci. «Le pic-
cole imprese sono, di per sé, cellule di democrazia. Ma quando crescono, nascono problemi di gestione democratica e partecipata. Oggi si parla di introdurre regole per la separazione dei poteri tra presidente e amministratore delegato, di consiglieri indipendenti, di limiti al mandato – prosegue Turci – tutti concetti considerati ovvi in una grande impresa di capitali. E tutti argomenti che io e altri miei collaboratori avevamo già sollevato quindici anni fa, durante la mia presidenza di Legacoop. Le centrali cooperative però si sono sempre opposte all’idea di introdurre meccanismi di controllo e maggiori limiti al potere dei dirigenti». «Usavano la tecnica del muro di gomma» spiega Giancarlo Pasquini, presidente di Legacoop dal 1993 al 1996 ed ex senatore Ds, riferendosi alle cooperative. «Nel
’96 ho fatto le valigie proprio perché non condividevo le resistenze, ancora presenti, che arrivavano da tutto il movimento cooperativo. È un problema di assetti di potere. Ero convinto che fosse necessaria una separazione netta tra chi rappresenta la proprietà e coloro che sono incaricati di gestire l’azienda. Il presidente non può essere anche amministratore delegato o, peggio ancora, direttore generale». E, secondo Lanfranco Turci: «Quello che è successo in Unipol, con una delega senza limiti a Consorte e Sacchetti, è la manifestazione di quello che accade in molte cooperative». Critico anche Giancarlo Pasquini: «il movimento cooperativo, che dovrebbe essere un modello di democrazia economica, invece evidenzia l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti e le forti resistenze a inserire nei ruoli chiave nuove
PAOLO TRE / A3 / CONTRASTO
COOP CONDANNATA PER GLI SHOPPER “DEGRADABILI”
Giovanni Consorte, personaggio chiave della vicenda Unipol.
| finanzaetica | forze». Non solo. «I casi clamorosi di crisi di cooperative, non annunciate e ormai irreparabili», Turci rincara la dose, «sono il segnale evidente di problemi di governance». La pensa così anche Silvano Ambrosetti, presidente di Coop Lombardia: «La governance è un problema che va discusso, ma con alcune precisazioni. Primo, è un problema che non riguarda solo le cooperative, ma una serie di aziende private. Secondo, non riguarda indistintamente tutte le cooperative, alcune lo hanno già affrontato, altre lo stanno affrontando. Terzo, per aziende cresciute rapidamente come molte cooperative, è una questione da porsi continuamente che serve anche per definire tutti gli altri principi. La democrazia interna per esempio. Coop Lombardia ha 730 mila soci – continua Ambrosetti - Non è semplice trovare gli strumenti per garantire un governo democratico». Bisogna distinguere caso per caso, sottolineano in molti. «Nelle cooperative non ci sono principi e strumenti validi in assoluto – distingue Lanfranco Turci – Ogni impresa ha un suo modo di applicare i principi democratici». Come precisa Claudio Levorato, presidente di Manutencoop: «In molte cooperative il livello di coinvolgimento delle basi sociali nei processi decisionali è elevato. Nella mia impresa, il 90% dei soci partecipano al voto». Democrazia, governance, ricambio al vertice, separazione dei poteri. Questi, dunque, i temi caldi, ma le accuse che piovono sul mondo delle cooperative, sono anche altre. Riguardano il cuore del movimento, i suoi valori fondanti.
Valori in movimento «Una cosa è parlare di errori e di problemi, che siamo pronti ad ammettere e a correggere - taglia corto Giuliano Poletti – Un’altra è attaccare i valori del movimento cooperativo. Il sistema di valori è solido e non credo che debba essere rivisto». Solidi sì, ma non statici. «I principi del movimento cooperativo, come la mutualità, la solidarietà, la democrazia sono ancora validi, ma il loro significato muta nel tempo. Sono frutto di una ricerca continua» è la visione di Silvano Ambrosetti. «Una cooperativa ha un equilibrio che va continuamente ricercato tra essere impresa ed essere organizzazione sociale». «Negli anni ‘50 – conferma Lanfranco Turci – nacquero molte cooperative, formate da 8-10 persone, spesso operai e sindacalisti licenziati da imprese private. Non si può pensare che le imprese cooperative di oggi, con migliaia o centinaia di migliaia di soci, applichino le stesse regole». Conclude Claudio Levorato: «Come si può dire che le cooperative abbiano perso i loro principi mutualistico e di solidarietà di fronte a 500 mila posti di lavoro creati in 10 anni?» La dimostrazione che i valori sono ancora presenti nelle cooperative è una sola: il lavoro.
Cooperare per competere meglio Una crescita continua, quindi, nell’ultimo decennio. «Mentre il resto del sistema produttivo italiano era in crisi, le cooperative crescevano» sottolinea Giuliano Poletti,
«Ma non deve stupire, è una diretta conseguenza della natura delle cooperative. Per essere buone cooperative bisogna essere imprese eccellenti». Non solo, «le cooperative hanno una vocazione naturale al reinvestimento degli utili, fa parte del principio mutualistico – spiega Giancarlo Pasquini – In questo modo favoriscono la propria crescita». Ma una cooperativa potrebbe anche decidere di impiegare i propri utili per acquistare azioni o partecipazioni in altre società. La finanza in sé non è territorio off limits. Con il tentativo di scalata alla Banca nazionale del lavoro, però, è emersa una domanda: “fino a che punto ci si può spingere?”. «Finché non diventa un’opportunità meramente speculativa, produrre carata dalla carta» afferma Claudio Levorato. «Se, invece, un investimento finanziario fa parte di un progetto industriale e contribuisce a creare lavoro, ben venga». Conclude Silvano Ambrosetti: «Noi non eravamo tra le cooperative favorevoli all’Opa su Bnl, perché la ritenevamo un’operazione rischiosa, seppure non impossibile, su un obiettivo non prioritario. Non ne valeva la pena. E poi l’obiettivo era talmente grosso per cui la logica finanziaria avrebbe finito per esercitare un peso eccessivo sulla vita delle cooperative che dovevano sostenere questo sforzo. Però la finanza resta una dimensione imprescindibile per un’impresa, anche per una cooperativa. Non si può fare impresa senza finanza».
LA PASQUA EQUOSOLIDALE ANCHE QUEST’ANNO i licenziatari del marchio di certificazione Fairtrade TransFair offrono la possibilità di trascorrere le festività in armonia con i piccoli produttori del Sud del mondo. Coop, come al solito, è tra i principali sostenitori delle iniziative eque: per il quarto anno consecutivo infatti, la prima catena di distribuzione Italiana ha deciso di sostituire tutte le uova di cioccolato a marchio Coop con prodotti al latte e fondente della linea Solidal, certificati Fairtrade TransFair Sugli scaffali sono già arrivate centinaia di migliaia di uova realizzate con cioccolato della Repubblica Dominicana (Conacado), del Belize (Tcga), del Costa Rica (Appta), del Ghana (Kuapa Kokoo); lo zucchero proviene dal Paraguay (El Arroyense, Manduvirà, Montillo) e dal Costa Rica (Coopeagri). Ma equo e solidali sono, oltre agli ingredienti, anche le irrinunciabili sorprese: oggetti artigianali provenienti da cooperative di piccoli produttori dello Sri Lanka e dell’Indonesia e importate da La Tortuga e Ctm Altromercato. Tramite il circuito delle Botteghe della solidarietà (www.consorziobds.it) e delle Botteghe del Mondo sarà inoltre distribuito l’Uovo Macondo proposto dalla cooperativa La Tortuga di Padova (per informazioni: 049 651865). Si tratta di un’ulteriore proposta che conferma la felice unione tra l’equosolidale garantito da Fairtrade TransFair e un’indubbia qualità: tutta la cioccolata equosolidale certificata contiene infatti solo cacao al cento per cento.
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«Futuro cooperativo? Più forti dopo il raffreddore Unipol» Il corpo è sano secondo , docente di economia politica all’Università di Bologna. C’è stato un tentativo di delegittimare l’intero sistema cooperativo, perché la sua crescita fa paura. Stefano Zamagni
L di E.T.
E COOPERATIVE RAPPRESENTANO IL FUTURO. Il caso Unipol? Un malanno che ha colpito un corpo sano. Con l’aiuto di Aristotele e Schumpeter, il professor Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’università di Bologna, difende a spada tratta il mondo delle cooperative, ma non senza uno sguardo critico.
La vicenda Unipol ha scatenato un duro attacco contro il mondo delle cooperative. A ragione o a torto? A torto marcio. Durante lo scandalo Parmalat nessuno ha criminalizzato il sistema delle imprese capitalistiche. Tutti hanno accusato, giustamente, il signor Tanzi e i suoi collaboratori. Nella vicenda Unipol invece, una situazione diversa ma con alcuni punti di contatto, si è preferito attaccare l’intero sistema delle cooperative. La verità è che sono stati commessi degli errori in Unipol, ma si stanno utilizzando questi errori per mettere in un angolo il sistema delle imprese cooperative. Perché? Per paura. Finché le cooperative sono rimaste di piccole dimensioni e occupavano spazi interstiziali dell’economia, tutti usavano parole di elogio. Da quando ci si è resi conto che possono diventare grandi ed entrare in tutti i settori, finanza compresa, si è avuto paura e si è | 36 | valori |
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iniziata la gara verso la delegittimazione di questa forma di impresa. Il presidente del Consiglio Berlusconi ha detto che il mondo cooperativo non fa parte del libero mercato? È vero? Il mercato è libero quando c’è una pluralità di imprese, non quando ce n’è un tipo solo. Invece si vuole mantenere l’unica titolarità alle imprese capitalistiche e non si vuole accettare la logica dell’”economia civile”, cioè di un’economia in cui operano tipi diversi di impresa. Ma che cos’è oggi un’impresa cooperativa? Bastano poche parole: nell’impresa capitalistica il capitale controlla il lavoro, in quella cooperativa è invece il lavoro che controlla il capitale. Le cooperative sono cresciute molto negli ultimi anni. Le grandi dimensioni possono impedire di restare fedeli ai principi e ai valori originari? No. Anzi se si è in pochi è più facile garantire democrazia, spirito mutualistico, solidarietà, controllo del capitale da parte del lavoro. Ma la vera sfida è farlo in tanti. Essendo più difficile, a volte capita, come nel caso Unipol, che dirigenti vadano fuori dal seminato. Ma questo non significa che non si possa realizzare la mutualità quando si è in tanti. Bisogna solo usare gli strumenti giusti.
Quali sono questi strumenti giusti? Gli strumenti della governance cooperativa. Cioè gli statuti devono prevedere: primo, che ci sia alternanza delle cariche. Spesso non succede, ci sono presidenti che restano in carica per 50 anni. Secondo, una divisione dei ruoli. In Unipol faceva tutto Consorte. Terzo, il fine dell’impresa, l’obiettivo del risultato d’esercizio, deve essere destinato alla ragione cooperativa e non utilizzato per distribuire profitti ai soci. Bisogna remunerare i soci in base al lavoro prestato (ristorno). E la democrazia interna? Come può essere garantita in una grande cooperativa, ad esempio di consumo? Le cooperative di consumo hanno tutti gli strumenti per rispettare i principi democratici, basta adottare metodi di democrazia deliberativa. Se non lo fanno è perché non vogliono. Certo, non si possono riunire milioni di soci in un unico luogo, ma basta istituire dei forum deliberativi territoriali a cui partecipano soci del quartiere, del paese. Nei forum si eleggono i rappresentanti. Come avviene in politica. Quindi ci sono gli strumenti, ma non vengono sempre applicati… Nella maggior parte dei casi vengono anche applicati. Altrimenti avremmo avuto non uno ma migliaia di scandali Unipol. Invece è
stata un’eccezione. In realtà la vicenda Unipol è un indicatore di bontà, che testimonia che il corpo è sano. C’è stato solo un attacco di influenza che lo ha debilitato. Se fosse una regola non ci sarebbe stato il caos che c’è stato. All’inizio degli anni Novanta il mondo cooperativo ha attraversato una fase di revisione dei propri valori e delle proprie regole. Che fine hanno fatto quei principi? Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta il movimento cooperativo ha cambiato registro e ha adottato la cosiddetta managerializzazione. Fino ad allora le cooperative erano realtà di piccole dimensioni, governate da persone con grande passione e intuito. Con il salto verso la grande dimensione si è dovuto cambiare la leadership delle cooperative e affidare il comando a persone capaci di gestire imprese di questo nuovo tipo. Questi manager naturalmente arrivavano dalla scuola delle imprese capitalistiche. Consorte è un caso tipico: dirigente Montedison con master in Bocconi. Questa gente, messa a capo di imprese cooperative, ha fatto come il cavallo di Troia. Una volta entrati hanno trapiantato nelle cooperative strutture di pensiero e strumenti tipici dell’impresa capitalistica snaturando in parte lo spirito delle cooperative. Così è nata la degenerazione. Il movimento cooperativo sta capendo che non può andare avanti così». |
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Maurice Hank Greenberg
a cura di Paola Fiorio e Francesca Paola Rampinelli
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Da Aig rimborso record per evitare il processo di Andrea Di Stefano
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brescia Per anni è stata un modello di riferimento per la sua capacità di coniugare sviluppo economico e tenuta sociale. Oggi anche la Leonessa d’Italia inizia a mostrare i primi segni di debolezza. Mancanza di lavoro, precarietà diffusa e difficoltà a trovare casa. A rischio povertà i migranti e le famiglie monoreddito. La fabbrica di ceramiche Ideal Standard. Oltre 2000 addetti Lanelle fabbrica impiegati cinque sedi di ceramiche produttive e nella direzione Ideal Standard. generale. A Brescia Brescia, è presente dal 2002 1911.
ROBERTO CACCURI / CONTRASTO
WALL STREET E DINTORNI è un vero capolavoro. Lui, l’anziano Maurice Hank Greenberg, è intenzionato a dare battaglia, nonostante l’inchiesta di Eliot Spitzer l’abbia costretto alle dimissioni dai vertici dell’American International Group, la più grande compagnia d’assicurazioni, e abbia colpito anche il figlio alla guida della società di brokeraggio Marsh & McLennan. Ma la società ha scelto, invece, un patteggiamento. E che fior di accordo. American International Group ha deciso di sottoscrivere il più grande accordo mai raggiunto da una società finanziaria per chiudere una causa giudiziaria. Il colosso americano delle assicurazioni verserà 1,5 miliardi di dollari per porre fine ad un’indagine federale e statale che la vedono imputata di alcuni reati tra cui quello di frode finanziaria. L’accordo permette ad Aig di chiudere definitivamente una serie di procedimenti avviati dalla Securities and exchange commission, l’Authority di vigilanza del mercato finanziario, dal procuratore generale dello Stato di New York, Eliot Spitzer, e dal New York State insurance department, l’autorità del settore assicurativo dello Stato newyorkese. L’accordo rappresenta il più consistente mai siglato da quando il presidente dell’autorità di vigilanza Christopher Cox, ha ricoperto il suo incarico in agosto. Segue inoltre di alcune settimane il nuovo La compagnia di assicurazioni provvedimento dell’Authority, che fissa le linee guida versa 1,5 miliardi di dollari in base alle quali multare una corporation alla Sec, la procura generale dello stato di New York per reati attinenti alle sue attività finanziarie. e l’autorità assicurativa La somma di 1,5 miliardi di dollari è comprensiva ammettendo conti truccati di esborsi e multe. per molti anni L’accordo non riguarda invece i due ex manager di Aig coinvolti individualmente nella vicenda. Maurice Hank Greenberg, l’ex amministratore delegato, e Howard Smith, l’ex direttore finanziario, su consiglio dei propri legali, hanno deciso di portare il caso dinanzi alla Corte ribadendo la loro estraneità ai fatti contestati. Entrambi, tra gli altri reati, sono accusati di aver manipolato i libri contabili per gonfiare i risultati. Greenberg e l’ex direttore finanziario Howard Smith rimangono sotto accusa e hanno negato ogni addebito. La caduta di Greenberg ha avuto ripercussioni ben oltre i confini della sua azienda: l’ottantenne “Hank”, come è soprannominato, è il capostipite di un’intera dinastia assicurativa, legittimata da 38 anni al timone della Aig. Lo scorso maggio è però finito nelle maglie di Spitzer, che si è fatto un nome indagando sulle truffe finanziarie (ha rastrellato finora 4,3 miliardi in multe da Wall Street) e si è candidato a governatore dello stato di New York. Il procuratore ha presentato ricorso contro l’executive e la Aig per aver ingannato gli investitori e truccato i conti ricorrendo a fasulle polizze di riassicurazione. L’anno scorso la Aig, sotto nuovo management, ha rivisto per ben due volte i bilanci degli ultimi quattro anni, cancellando oltre quattro miliardi di profitti, oltre il 10% del totale.
L’
ATTO D’ACCUSA CONTRO IL DEUS EX MACHINA DI
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| osservatorio nuove povertà | brescia |
osservatorio
brescia
nuove povertà
Molte crepe dolorose per la Leonessa d’Italia di Francesca Paola Rampinelli
rixia fidelis” leonessa d’Italia. Così la potente Venezia a metà del quattrocento
“B
definì la preziosa alleata lombarda riconoscendo l’eroismo civico e in battaglia
dei suoi cittadini. Della leonessa i bresciani continuano a mantenere l’orgoglio in tutti i campi tanto che “modello Brescia” è definito «quell’insieme di sviluppo economico e di tenuta sociale che ha permesso negli anni di fare fronte a crisi economiche cicliche e smottamenti sociali che in altre zone del Paese hanno invece provocato seri problemi». Eppure, secondo il “Quinto rapporto sulle povertà a Brescia” presentato a dicembre dalla Caritas Diocesana, anche nel capoluogo lombardo nonostante la tradizione di eccellenza «la povertà si aggrava». In questo ultimo anno, infatti, «in un territorio dove certo non manca la ricchezza e il benessere, si vede chiaramente come... le problematiche se-
VIA DEL CARMINE NEL QUARTIERE VECCHIO, MELTING POT DI BRESCIA I CITTADINI EUROPEI CHE SI VEDONO PER STRADA sono pochissimi e quasi tutti hanno superato i sessanta anni d’età. La maggior parte delle persone che si affollano agli angoli delle strette vie del Carmine sono di origine indiana o pachistana e africana. La vita del quartiere vecchio della città si riversa spontaneamente per strada come se invece che in una città del nord Italia ci si trovasse in una cittadina dell’India del sud dove gli uomini usano passare la giornata per strada e le donne, avvolte nei bellissimi sari colorati, attraversano rapide le vie con i bambini piccoli. Ormai la maggior parte dei negozi del quartiere sono call center o alimentari asiatici e africani che hanno preso il posto delle storiche botteghe locali. Fino alla metà del 1900 nel Centro Storico di Brescia abitava il 34% dell’intera popolazione cittadina. A partire dagli anni Sessanta, però, c’è stato un progressivo e rapidissimo esodo verso quartieri più moderni a causa, sia dal degrado di molti degli edifici storici, spesso medioevali, sia del proliferare delle situazioni di emarginazione sociale. A ciò si è aggiunto, in anni più recenti, il nuovo fenomeno dell’immigrazione che proprio a causa dello stato pessimo degli immobili si è concentrata qui dove era più facile trovare alloggi a prezzi molto bassi. Nonostante in città l’integrazione degli stranieri non sia mai stata particolarmente problematica (all’Oratorio di San Giovanni, in pieno Carmine, i bambini dai purissimi tratti asiatici o africani parlano uno splendido dialetto bresciano condito dagli appropriati “potaaaa”), il sovraffollamento, e comunque la concentrazione di popolazione spesso “precaria”, ha portato ad un aumento consistente della criminalità, soprattutto legata allo spaccio di stupefacenti (non si registra invece un particolare aumento della prostituzione che ha solo cambiato la tipologia dell’offerta visto che è da sempre un’attività storica della zona). Si intravedono negli ultimi anni segnali di ripresa dopo che, nel 2001, il comune ha avviato un piano di recupero del quartiere intervenendo sugli edifici fatiscenti e con maggiori controlli di ordine pubblico.
Sono 99.640 gli stranieri residenti a Brescia, pari all’8,5% della popolazione complessiva. La Lombardia con il 6,3 % è la regione italiana con il più alto tasso di immigrazione
«LA RISPOSTA DALL’IMPEGNO CIVILE» «NON È SOLO BRESCIA AD ATTRAVERSARE UNA FASE DI STAGNAZIONE». Lo afferma Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa ma anche consigliere del Banco di Brescia e bresciano profondamente legato alle sue radici (al punto che non si è mai trasferito a Milano ma, da oltre vent’anni, fa il pendolare tra Brescia, dove continua a vivere, e il capoluogo lombardo). Secondo il “Quinto rapporto sulle povertà a Brescia” elaborato dalla Caritas Diocesana anche a Brescia “la povertà si aggrava”. Oltre all’aumento del numero di persone che vivono in condizioni di indigenza, il fenomeno presenta nuove caratteristiche e colpisce le donne e le persone che vivono sole. «Tutta Italia sta attraversando una fase di stallo reale», sottolinea Bazoli commentando la ricerca. «Occorrono davvero riforme radicali che non sono ancora state realizzate», aggiunge il banchiere precisando che «Brescia però, in questa situazione diffusamente pesante, riesce comunque a sopravvivere meglio di quasi tutto il resto del paese grazie alla sua grande tradizione di buona amministrazione civica. Inoltre, ad una lunga storia di efficienza amministrativa, si aggiunge anche la altrettanto radicata tradizione di impegno civile cattolico che si esplica da sempre, non solo nelle iniziative culturali, ma anche, e soprattutto, nel campo dell’assistenza sociale e del volontariato».
guite dai servizi di accoglienza diocesani non si sono risolte, anzi, si sono aggravate». L’area pedonale di corso Zanardelli. Fino al 1950 nel centro storico abitava il 34 per cento dell’intera popolazione cittadina
STEFANO G. PAVESI / CONTRASTO
Brescia, 2002
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«Come sempre accade nei momenti di crisi - afferma il direttore della Caritas Bresciana, Don Pier Antonio Bodini - le fasce più colpite dal problema della povertà, nella nostra città, sono le più deboli della struttura sociale. Dunque i problemi maggiori riguardano le donne, sole o con bambini, costrette a ricostruirsi una vita tra difficoltà enormi, le persone anziane e quelle che, per una ragione o per l’altra vivono comunque in solitudine. Si tratta spesso - sottolinea il sacerdote - non solo di una povertà materiale ma anche, e talvolta soprattutto, di una povertà immateriale, di relazioni e di legami, che rende ancora più profonda e difficile da superare la prima». Bisogna anche considerare che Brescia è la città in Italia dove è presente la più alta concentrazione di migranti rispetto alla popolazione locale. Basta passeggiare nel cuore della città vecchia attraversando il quartiere storico del Carmine (vedi BOX ) per rendersi conto che intere zone sono abitate in prevalenza da cittadini extracomunitari che, anche in pieno inverno, affollano gli angoli delle strette viuzze medioevali con i loro coloratissimi vestiti. Secondo dati forniti dal rapporto nazionale della Caritas, infatti, gli stranieri residenti in città al primo gennaio 2005 erano 99.640 cioè pari all’8,5% della popolazione complessiva (e, va tenuto con-
to che questi dati non registrano la realtà, enorme, dei migranti irregolari che portano le cifre praticamente a valori doppi) contro il 6,3% della Lombardia che è comunque la regione Italiana con il più alto tasso d’immigrazione. Questo fenomeno, che naturalmente porta con sé tutti i problemi legati alle difficoltà d’integrazione, si spiega con due ragioni: da un lato Brescia, storicamente, eccelle per il numero e per l’efficienza delle associazioni e dei servizi di assistenza. Sia di carattere religioso sia laico, sia pubbliche sia private. D’altro lato il territorio bresciano offre, e a maggior ragione offriva fino a qualche tempo fa, una grande capacità di assorbire lavoratori sia nell’agricoltura sia, soprattutto, nell’industria, visto che la città è la prima realtà in Italia per addetti nel settore. Secondo i dati contenuti nel rapporto Caritas sulla situazione cittadina, la grande maggioranza di extracomunitari bisognosi viene da Africa e Est Europa, ha un’età media dai 31 ai 40 anni e cerca soluzione soprattutto ai problemi della casa e dell’occupazione. Il problema della casa è il nodo centrale delle necessità in generale (nei sempre più numerosi casi di “famiglie” composte da persone sole, le spese per la casa costituiscono la voce maggiore, oscillando tra il 13,5% e il 18,1%
del reddito disponibile) ma sono gli extracomunitari, in prevalenza, a rivolgersi ai servizi predisposti dalla Caritas (dai dormitori della San Vincenzo alla mensa per bisognosi). «I problemi principali riguardano tre aree: il lavoro, che manca oppure è spesso precario; la casa, tra impossibilità di acquisto e difficoltà a pagare affitti elevati e i debiti, poiché si pensa di sopperire all’insufficienza momentanea di reddito acquistando a rate o chiedendo i soldi a finanziarie». Continua don Bodini: «La povertà come patologia si esprime oggettivamente ma va compreso il vissuto del singolo e, secondo i dati raccolti quest’anno, il maggior numero di bisognosi a Brescia ha tra i trenta e i cinquant’anni, ha problemi legati a difficoltà economiche e lavorative e somma al problema materiale anche situazioni di emarginazione e solitudine, con la perdita di legami sociali forti, sia familiari che amicali. Molta solitudine», sintetizza il direttore della Caritas per evidenziare il problema. «Negli ultimi tempi registriamo in grande crescita il fenomeno dell’impoverimento. Semplicemente, una persona che oggi è ricca si trova domani povera», continua il sacerdote, spiegando che «a questo proposito il pericolo è incombente soprattutto per le famiglie monoreddito che si separano». |
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I PENSIONATI A BRESCIA
CHI CHIEDE AIUTO
REDDITO MEDIO PENSIONATI PER TIPOLOGIA FAMILIARE
I PROBLEMI [NUMERO DI INTERVENTI RICHIESTI] NUCLEI FAMILIARI
UOMINI SOLI
DONNE SOLE ABITAZIONE
ECONOMICI
110
CONSULENZA E SOSTEGNO
102
9
ALLOGGIO 15
DONNE SOLE
78
DIFFICOLTÀ FAMILIARI
EMARGINAZIONE
3
UOMINI SOLI
Secondo il rapporto, infatti, l’analisi della realtà dei nuclei familiari denota un aumento del numero di richieste legate a problemi economici (casa e lavoro) e, in parallelo, una crescita delle richieste di appoggio su problemi specifici relativi alla famiglia (asili nido, scuole). «Per quanto riguarda poi la questione dell’immigrazione», sottolinea Don Bodini «a Brescia si tratta di un fenomeno che a tutt’oggi non ha dato particolari problemi perché c’è stata una grande capacità ricettiva sia dal punto di vista dei posti di lavoro che della convivenza. Le difficoltà derivano principalmente dal fatto che, ovviamente, l’immigrazione tende a concentrarsi in zone precise (vedi BOX ). Oggi, poi, va rilevato che i problemi sociali degli immigrati sono di-
ventati più complessi poiché riguardano ormai donne, bambini e famiglie e non più solo maschi adulti: la povertà si è complicata. Inoltre va considerato anche che aumentano le persone vicino alla soglia di povertà tanto che, per fare un esempio pratico, abbiamo ricominciato a distribuire i pacchi viveri», aggiunge il direttore della Caritas, precisando però che esistono pur sempre anche «le problematiche legate alle “vecchie” forme di povertà: tossicodipendenza, indebitamento e salute mentale». Per quanto riguarda, poi, le possibilità di intervento, il sacerdote conferma indirettamente la persistenza del “modello Brescia”: «Con il comune abbiamo un buon rapporto di collaborazione, anche perché si occupano di queste tematiche persone competenti e organizzazioni decisamente professionali anche se, come tutte le strutture pubbliche, fanno più fatica di noi a muoversi».
IL CENTRO PORTA APERTA CARITAS
NUCLEI FAMILIARI
nuove povertà
LAVORO 34
ECONOMICI 58
10
11 LAVORO 28
ALTRI 55
12
LAVORO 17
ALTRI 50
FONTE: CARITAS
osservatorio
FONTE: CARITAS, DATI 2004
brescia
UOMO SOLO DONNA SOLA CON PENSIONE DA LAVORO CON PENSIONE DI ALTRO TIPO COPPIA IN ABITAZIONE IN AFFITTO IN ABITAZIONE DI PROPRIETÀ MOGLIE CON PENSIONE MOGLIE SENZA PENSIONE
Brescia tra crisi e ripresa economica
«Rimaniamo un punto di riferimento»
Vanno male: tessile, abbigliamento e calzaturiero. Il futuro secondo Alberto Cavalli, presidente della Provincia.
Renzo Capra, presidente dell’Asm, risponde alle critiche sulla scelta di quotare in Borsa l’azienda municipalizzata.
«C’ di Paola Fiorio
È ARIA DI CRISI ED È PESANTE e in alcuni settori come il tessile, l’abbigliamento e il calzaturiero è pesantissima. Ma comincia anche ad esserci qualche segnale di ripresa». È un’analisi lucida quella del presidente della provincia di Brescia, Alberto Cavalli, che non nega, ma resta ottimista. E in effetti non ha tutti i torti. Il tasso di disoccupazione a Brescia è costantemente sceso negli ultimi anni fino ad arrivare a una media più bassa di quella lombarda e nazionale. La disoccupazione maschile nel 2004 è stata infatti del 2,1%. Più alta quella femminile, al 5,7%, per ragioni storiche e per i settori di crisi che occupano tradizionalmente più manodopera femminile. Positivi anche i risultati della produzione industriale cresciuta nel 2005 del 2,7%. In aumento anche l’utilizzo degli impianti e i consumi energetici. «Brescia vive una crisi di cambiamenti non facile e i cui esiti non sono scontati», ammette Cavalli. «Ma, per la prima volta da anni, c’è una prospettiva più rosea, la fase della rassegnazione e della sfiducia è passata e i trend ricominciano ad essere in salita». Favoriti soprattutto il commercio, il turismo e i servizi che hanno compensato, in particolare nell’occupazione femminile, la diminuzione di posti di lavoro del comparto manifatturiero. Un altro settore trainante è l’edilizia, storicamente molto forte nel bresciano. «Ma Brescia è anche una capitale anticipatrice della cooperazione sociale, aggiunge Cavalli, e la crescita in questo ambito è stata forte in termini di occupati, di imprese e di partecipazione al sistema economico». Un modello, quello bresciano, anche per l’integrazione. Secondo la classifica annuale del Sole 24Ore, in-
vive una “Brescia crisi di cambiamenti non facile
e i cui esiti non sono ancora scontati
”
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fatti, la città è seconda solo a Prato nella classifica nazionale degli stranieri occupati. Su 120 mila migranti che vivono nella provincia, infatti, la metà è impiegata. «Un dato che ci dice che c’è una capacità del territorio di assorbire manodopera», sintetizza Cavalli. La situazione del lavoro a Brescia non è, però, una rosa senza spine. Molte aziende chiudono e il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria (che interviene nei casi di crisi aziendale strutturale) nel periodo gennaio-novembre 2005 è cresciuto del 69%, soprattutto a causa delle erogazioni a favore del settore meccanico. E, da questo punto di vista, nemmeno il 2006 è cominciato bene. Un’azienda che produceva tubi, la Pietra S.p.A, ha chiuso i battenti. «Non si tratta di grandi numeri, 170 dipendenti tutti ricollocati, spiega Cavalli, ma questa chiusura ha colpito molto la comunità perché l’azienda era storica e perché lavorava nel settore siderurgico, che gode di buona salute. Se è vero che c’è un tessuto territoriale pronto per i cambiamenti è anche vero che ci sono aziende che non reggono il passo». Ma la Leonessa non si rassegna. Alla fine di gennaio si sono riuniti gli Stati generali bresciani (regione, provincia, comune, camera di commercio, università statale e cattolica, diocesi, banche, fondazioni, sindacati, cooperazione sociale). «Un’iniziativa straordinaria, spiega Cavalli, perché se straordinario è il mutamento economico e sociale di Brescia, straordinaria doveva essere la risposta». E di risposte gli Stati generali ne hanno date cinque: un progetto per l’innovazione e il trasferimento tecnologico, aiuti per la riconversione industriale e la ricollocazione dei lavoratori, un portale di statistiche per far conoscere il territorio e aumentarne l’attrattiva, uno sportello unico che colleghi tutta la pubblica amministrazione della provincia e dia risposte unitarie.
IMPRESA DEI SERVIZI PUBBLICI, quindi anche l’Asm, per rimanere viva sul mercato deve anticipare la soluzione dei problemi che il nuovo modo di competere impone. La trasformazione del ’98 in Società per Azioni ha rappresentato un passaggio chiave in questa evoluzione, continuando a garantire la dimensione esclusivamente industriale e non finanziaria di Asm». Lo afferma l’ingegner Renzo Capra, presidente dell’Azienda Municipalizzata di Brescia, tradizionalmente un esempio della buona gestione e dell’efficienza dell’amministrazione pubblica nel capoluogo lombardo, rispondendo alle polemiche secondo cui la nuova dimensione finanziaria avrebbe modificato il rapporto con il territorio. «Il legame con Brescia e il suo territorio - aggiunge Capra che è entrato in azienda nel 1965 e ne conosce ogni dettaglio - costituisce il punto di riferimento e di forza per queste trasformazioni. Il localismo, inteso quale supporto alla coesione sociale e alla coesione aziendale, premia e avvantaggia chi, come noi, interpreta ed interpreterà il livello di erogazione dei servizi come fattore di sviluppo armonico ed equilibrato del territorio». Il presidente elenca una serie di fatti che giudica una conferma del ruolo di Asm che, nel 1998, si è trasformata in società per azioni, nel 2001 ha costituito con Endesa la società Endesa Italia che ha acquisito il primo gruppo di centrali elettriche venduto da Enel e che è, oggi, il terzo produttore nazionale di energia elettrica, con una potenza installata di oltre 6 mila megawatt, e ciò non sembra aver inficiato la qualità dei suoi servizi
«L’
noi il livello “Per di erogazione dei servizi è fattore di sviluppo e coesione sociale
”
12.077 € 10.526 € 12.609 € 8.523 € 18.336 € 15.337 € 19.188 € 21.971 € 16.596 €
locali. Dal luglio 2002 Asm è quotata in Borsa e dal settembre 2004 è nell’indice Midex e, come sottolineano con orgoglio i suoi dirigenti, ha ricevuto il rating A+ da Standard & Poor’s. L’Asm ha alle spalle quasi un secolo di storia, essendo nata nel 1908 in seguito ad un referendum cittadino che riconosce l’opportunità del trasferimento dei servizi di «pubblica utilità» in capo ad un’azienda pubblica. Nel corso degli anni successivi il Comune affida ad ASM la distribuzione di energia elettrica, la produzione e distribuzione di gas e la gestione dell’acquedotto. Negli anni ’60 i compiti si allargano con l’acquisizione della gestione del servizio di nettezza urbana, degli impianti semaforici, delle centrali termiche negli edifici pubblici, dei parcheggi e parcometri, della depurazione e fognatura. Ma, soprattutto in questi anni, Asm scopre la sua nuova vocazione: la generazione e il trasporto di energia elettrica, con la partecipazione alla costruzione di centrali termoelettriche e dei relativi elettrodotti che culmina nel 1972, con l’avvio del primo servizio di teleriscaldamento in Italia. E, nel 1998, con la nascita del termoutilizzatore che utilizza i rifiuti come combustibile, recuperandone l’energia contenuta per produrre energia elettrica e calore. Il termoutilizzatore, un enorme “astronave” in acciaio e cemento visibile dal tratto autostradale della A4 che porta al casello di Brescia Est, è stato, fin da subito fonte di accese polemiche. «Il termoutilizzatore di Brescia - afferma Capra - è stato realizzato grazie all’ampio e franco dibattito con la popolazione. E alla scelta di adottare un sistema integrato di smaltimento dei rifiuti basato sulla raccolta, che, a Brescia è già arrivata al 40% e l’obiettivo è del 50%, e sul recupero energetico dai rifiuti per produrre elettricità |
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nuove povertà
(450milioni di chilowattora l’anno) e calore per il teleriscaldamento (400milioni di chilowattora l’anno). Questo sistema - conclude il presidente di Asm troncando ogni possibile critica - rappresenta oggi la soluzione più rispettosa dell’ambiente e consente, solamente a Brescia, di risparmiare 150mila tonnellate equivalenti di petrolio e di evitare la produzione di 470mila tonnellate di anidride carbonica l’anno». I comitati locali continuano a contestare la scelta dell’Asm che ha comportato anche l’apertura di una procedura d’infrazione comunitaria per la mancata valutazione d’impatto ambientale in occasione dell’ampliamento delle linee di smaltimento.
I FEDELISSIMI LONATI ALLEATI DA SEMPRE: Chicco Gnutti e i fratelli Lonati, Tiberio, Fausto ed Ettore, spesso capitanati nelle vicende finanziarie proprio da quest’ultimo. Condannati insieme nel 2002, Chicco ed Ettore, rispettivamente a 8 e 6 mesi di carcere dal Tribunale di Brescia per insider trading nella vicenda Cmi-Iil, e sempre insieme nel cuore di Hopa, la holding guidata da Gnutti. I Lonati rappresentano il classico esempio di industriali che, dedicandosi alla finanza, tradiscono la storica vocazione di famiglia. Il Gruppo Lonati infatti è leader mondiale nella produzione di macchine per calze e seamless con circa 1.700 dipendenti e un fatturato, nel 2003, di 360 milioni di euro. Nonostante il core business sia il meccanotessile, con Lonati, Santoni, SRA, Tecnopea, Vignoni e Sangiacomo, i Lonati presidiano anche il settore dell'elettronica con Cinema, il campo immobiliare (si parla di oltre 10mila appartamenti prevalentemente a Brescia e nella zona del lago di Garda) oltre ad essere soci del Gruppo Alfa Acciai. Certo il richiamo della finanza è stato irresistibile visto che, dal solo affare Bnl, sarebbero usciti con 150 milioni di euro di plusvalenza: quanto riuscirebbero a fare in dieci anni con la loro attività industriale. Eppure la finanza è notoriamente rischiosa sotto molti punti di vista ed i Lonati avrebbero dovuto rendersene conto qualche tempo fa, visto che uno dei primi palcoscenici che i fratelli bresciani calcano in questo senso è quello, poco glorioso di Bipop, sul cui campo lasceranno un patrimonio… Fanno anche notare i sindacati che, è vero che c’è la crisi del tessile, ma, mentre i padroni giocano al risiko miliardario, le loro aziende (come recentemente la Matec di Scandicci) chiudono.
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HOPA E DINTORNI
LA STAZIONE CANTIERE PERENNE
TUTTO COMINCIA TRENT’ANNI FA con la nascita della Gi-Em (oggi Vemer-Siber) quando Giacomo Zamboni ed Emilio Gnutti, fondano a Cazzago San Martino, un paese vicino a Brescia, un’azienda che produceva resistenze elettriche e che si era specializzata in motorini per asciugacapelli. Molto tempo è passato da allora alle feroci, attuali, parole di Marco Tronchetti Provera che, alla fine di gennaio, ha affermato, riferendosi alle partecipazioni di Emilio Gnutti in Olimpia, la cassaforte di Telecom: «Per quanto mi riguarda, questi signori sono fuori e non ci metteranno più piede». La carriera di Emilio-Chicco Gnutti si snoda, passando attraverso la scoperta del leasing con la creazione di Fineco Holding, all’attuale Hopa S.p.A. che deriva dalla fusione delle attività della Fingruppo S.p.A. costituita nel 1988 come società a responsabilità limitata e trasformata in seguito in società per azioni. Da allora Hopa, di cui Gnutti ha mantenuto la presidenza fino a gennaio, è stata al centro delle principali vicende economiche che hanno attraversato il paese, dall’avventura Telecom, in società con Roberto Colaninno, che a Hopa ha fruttato plusvalenze per 3 miliardi di euro, alla più recente e meno fortunata vicenda della Banca Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani. Gnutti, dopo l’iscrizione nel registro degli indagati in seguito allo scandalo scatenato proprio dal fallito tentativo di scalata ad Antonveneta, ha dovuto dimettersi dai vertici della sua Holding ma a Brescia sono tranquilli: Hopa non sarà smembrata e questo è solo un momento difficile che la resistente “razza padana” saprà superare come sempre.
OLTRE 9 MILIONI DI VIAGGIATORI ALL’ANNO passano per la Stazione di Brescia, nodo cruciale della viabilità ferroviaria italiana, anche perché, sostengono le leggende locali, quando nel 1901 furono ridisegnati i tracciati ferroviari per il nuovo stato unitario, a Roma come ministro dei Lavori Pubblici c’era il bresciano Giuseppe Zanardelli. Da allora è passato qualche anno, ma la città lombarda gode ancora di una logistica privilegiata per quanto riguarda i collegamenti ferroviari. Eppure la Leonessa ha una stazione che, anche ai più benevoli, appare come un orrendo ammasso di nuovi vetri (grazie ai brillanti lavori di ristrutturazione ancora in corso) e di umanità, in gran parte stanziale e bivaccante. Ma anche desiderosa di essere in movimento e, invece, ammassata in coda ai pochissimi, e certo non sufficienti, sportelli di biglietteria e distributori automatici (uno solo e funzionante unicamente con carta di credito per l’intera settimana tra Natale e Capodanno, periodo di massimo passaggio). Da quasi un anno la Stazione è oggetto di lavori di ristrutturazione da parte di Centostazioni, la nuova società del Gruppo Ferrovie dello Stato, per le cui opere sono stati stanziati 2,3 milioni di euro utilizzati in modo assai discutibile. Infatti, come fa notare da tempo l’associazione dei pendolari «In Orario», a parte l’opinabilità delle scelte architettoniche dal punto di vista estetico, sicuramente l’idea di chiudere con una boutique la grande entrata centrale per farne due piccole laterali non giova alla scorrevolezza dei flussi dei passeggeri, per non parlare della concentrazione degli sportelli che creano per i viaggiatori in coda un comodissimo effetto ammasso.
| osservatorio nuove povertà | brescia |
ROBERTO ARCARI / CONTRASTO
osservatorio
brescia
Pendolari attendono il treno in stazione. Ferrovie dello Stato ha avviato da quasi un anno la ristrutturazione. Brescia, 2004
la crisi, il settore “Nonostante armiero tiene. Sono le armi bresciane che vincono alle Olimpiadi e che vengono richieste da tutto il mondo per l’alto livello di qualità
”
«La finanziarizzazione ha minato la città più industriale d’Italia» L’analisi di Aldo Rebecchi sulla trasformazione della Leonessa: «i grandi gruppi industriali hanno cominciato a investire nella finanza e l’unico settore non in crisi è quello bellico». RESCIA È ANCORA la città più industriale d’Italia. Gli occupati del comparto nella provincia sfiorano il 50% del totale». Lo spiega Aldo Rebecchi consigliere provinciale Ds e attuale presidente del Banco di Prova, primo ente certificatore della sicurezza e affidabilità di tutte le armi corte e lunghe, pistole e fucili da caccia, prodotte in Italia (circa 800 mila armi provate ogni anno prodotte da 110 aziende quasi tutte concentrate in provincia di Brescia e in particolare nella zona della Valtrompia, esportate all'85%). «Il settore armiero, fiore all’occhiello dell’industria bresciana è anche uno dei pochi che non stanno scontando la crisi generalizzata che colpisce invece molti altri comparti industriali». Afferma Rebecchi, che ha all’attivo una carriera come sindacalista, è stato segretario generale della Cgil-Camera del Lavoro di Brescia oltre che per circa un decennio parlamentare. «I settori storici di eccellenza dell’industria bresciana stanno scontando gli effetti della crisi», precisa l’onorevole. «Eppure, mentre sono venute meno le grandi realtà, prima il settore calzaturiero e poi quello tessile, tiene il settore dell’acciaio nonostante la sua “capitale”, Lumezzane, abbia subito un contraccolpo duris-
«B
simo in seguito al fenomeno della “finanziarizzazione”. A Brescia, infatti, è stato particolarmente clamoroso il processo per cui i grandi industriali, tradendo una radicata tradizione, hanno cominciato ad investire nel mondo della finanza ed il caso di Emilio Gnutti (vedi box) rappresenta la punta dell’iceberg di un problema assai diffuso. Un altro esempio clamoroso», aggiunge Rebecchi, «è stato, qualche anno fa, quello di Bipop (vedi BOX ).». «La scelta della finanza si è rivelata nefasta», sottolinea ancora l’ex parlamentare. «Anche perché ha portato a tradire le radici industriali della città, producendo sì utili clamorosi, ma anche perdite spaventose. E, soprattutto, ha sviato la mentalità locale. Inoltre un’altra conseguenza della crisi industriale è rappresentata dal passaggio di molte realtà storiche in mani straniere. Ultimo esempio clamoroso, la Lucchini, attualmente di proprietà russa. L’esperienza insegna che la maggior preoccupazione, in questi casi, è determinata dal fatto che, portando le decisioni fuori da Brescia, si rischia maggiormente. Gli stranieri, ovviamente, non hanno legami con il territorio; portano la produzione dove conviene di più. Un amministratore delegato americano o russo non ha alcun interesse nei confronti degli imput che gli arrivano dal sin-
daco del paese o dal sindacato locale». Eppure, nonostante la crisi, Brescia resta un grosso polo industriale. «E va difesa in questa peculiarità», insiste Robecchi. «Proprio in questo senso, è molto importante il settore armiero, che rappresenta un punto di eccellenza a livello internazionale; sono le armi bresciane che vincono le Olimpiadi e sono le armi sportive bresciane che da tutto il mondo vengono cercate per il loro livello qualitativo altissimo». D’altra parte, anche il Banco di Prova rappresenta un ennesimo esempio di efficienza locale: si tratta infatti di un ente quasi centenario il cui motto è «Cavendo tutus» (tutèlo facendo attenzione) e, naturalmente, ha sede a Gardone Valtrompia, il cuore del comparto armiero dove si concentrano sia le storiche aziende come Beretta e Pedrazzi che i piccoli artigiani che producono i singoli pezzi. «Anche i dati dell’ultimo anno - conclude Rebecchi - dimostrano che il settore armiero registra una tenuta sostanziale, con un calo complessivo che si attesta sul 5-6%, ma soprattutto, per quel che riguarda noi, la produzione gardonese e bresciana resiste e presenta un calo, fisiologico, dell’1%». |
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OLTRE IL TONDINO, LE GRANDI MOSTRE AVVIAMENTO AL LAVORO
GIOVANNI BAZOLI, 1932 Presidente di Banca Intesa che ha creato e portato ad essere il primo gruppo bancario italiano partendo dalle ceneri del vecchio Banco Ambrosiano di Calvi; professore di Diritto Amministrativo alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano; Presidente della Fondazione Giorgio Cini. EMILIO GNUTTI, 1947 Da industriale dei motorini elettrici si trasforma in finanziare d’assalto e con la sua holding Hopa partecipa alle principali avventure finanziarie italiane dell’ultimo decennio dall’Opa Telecom alla, fallita, scalata su Antonveneta in accordo con Fiorani e i “furbetti del quartierino”. MINO MARTINAZZOLI, 1931 Parlamentare, più volte ministro e segretario dell’ultima Dc, fondatore e primo segretario del Partito Popolare Italiano e dal 1994 al 1998 sindaco di Brescia. IL MONDO DEL LAVORO
TASSO DI DISOCCUPAZIONE
76,6%
2000
2001
IN CERCA DI LAVORO
2003
2004
LE IMPRESE
PRODUZIONE PER SETTORI
BIPOP, STORIA DI UN CRACK
AGRICOLTURA 21.000
COSTRUZIONI
AGRICOLTURA
876,3 MLN €
65,1%
5,7%
2,1%
TOTALE
DONNE
UOMINI
TOTALE
DONNE
17.000
TOTALE
2002
NOTA: SONO CLASSIFICATI COME AVVIAMENTI ANCHE I CAMBIAMENTI DI STATO OCCUPAZIONALE DI OGNI LAVORATORE
LAVORATORI PER SETTORE
51,0%
19 MILA
143.282
INDUSTRIA 223.000
ALTRO 265.000 COMMERCIALI 27.000
MANIFATT. 20.000
ALTRO 42.000
SERVIZI 17.731 MLN € INDUSTRIA 10.603 MLN €
3,5%
Qui sopra, gli stabilimenti della Caffaro. I terreni circostanti sono stati messi recentemente sotto sequestro a causa dell’alto contenuto di Pcb e diossine.
RESTITUZIONE DEL CAPITALE IN CASO DI PERDITE, rendimenti con capitale garantito fino al 6%, garanzie di tasso minimo tra il 3% e il 4%. Sono questi alcuni dei paracadute che proteggevano gli investimenti di 250 clienti eccellenti di Bipop-Carire e che hanno trascinato l’istituto di credito bresciano in un crack da 10,7 miliardi che ha coinvolto 73.500 risparmiatori. La parabola discendente per la banca della Leonessa, nata nel 1999 dalla fusione tra Popolare di Brescia e Cassa di Risparmio di Reggio Emilia, e cresciuta sulla bolla speculativa della new economy fino ad essere nel 2000 la prima banca italiana per capitalizzazione di Borsa, inizia nell’autunno 2001 con gli avvisi di garanzia della Procura di Brescia ai vertici dell’istituto. Una volta scoperchiato il vaso di Pandora delle garanzie atipiche, gli inquirenti riscontrano altre gravi irregolarità nella gestione della banca. Nel solo giugno 2000, infatti, l’istituto aveva erogato 94 milioni di euro a una serie di clienti e amministratori allo scopo occulto di acquistare azioni della Bipop-Carire per sostenerne il prezzo. Nel 2001 erano invece stati concessi prestiti per 490 milioni senza garanzie a dieci tra clienti e amministratori. A cinque anni dai fatti, il processo contro i vertici aziendali è ancora in corso e vede otto imputati per associazione per delinquere e 14, a vario titolo, per ostacolo alle funzioni di vigilanza, infedeltà patrimoniale e false comunicazioni sociali. Alla sbarra, tra gli altri, sono finiti l’ad Bruno Sonzogni, e il presidente Giacomo Franceschetti, mentre la banca orgoglio dei lombardi si è fusa con Capitalia, l’istituto presieduto da Cesare Geronzi. P.F.
Brescia, 2002
Tre grandi opere per il territorio Senza mobilità veloce non c’è sviluppo
I NUMERI DELLA PROVINCIA DI BRESCIA
Un aeroporto realizzato. Una metropolitana leggera che dovrebbe essere ultimata nel 2011. Un’ autostrada di cui si parla da sei anni. Dei lavori però non c’è ancora traccia.
ALDO REBECCHI, 1946 consigliere Ds della provincia di Brescia e presidente del “Banco Nazionale di Prova delle Armi” di Gardone Valtrompia. Segretario generale della Cgil-Camera del Lavoro di Brescia dal 1980 al 1987, parlamentare dal 1987 al 1996.
richiesta di collegamenti veloci ed efficienti. Anche Brescia, come molte altre città dello Stivale, si trova tutti i giorni ad affrontare i problemi legati allo sviluppo di Paola Fiorio economico del territorio, che passa necessariamente dallo studio di nuove soluzioni per la mobilità. Per questo, negli ultimi anni, amministrazioni locali e privati hanno avviato tre progetti di grandi infrastrutture con lo scopo di decongestionare il traffico e creare collegamenti rapidi a livello locale e internazionale.
T
MAURIZIO ZIPPONI, 1955 Segretario generale della Fiom di Brescia fino al 1998 poi nella segreteria della Fiom Lombardia dove segue le politiche sindacali e le vertenze di grandi gruppi: Ansaldo, Marelli, Abb, Alstom. Dal 2001 è uno dei componenti della segreteria nazionale sindacale del gruppo Fiat. Attualmente è il segretario generale della Fiom di Milano. ANNO 6 N.37
OCCUPATI
FONTE: GIORNALE DI BRESCIA, AIB
RENZO CAPRA, 1929 Dal 1965 all’Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia come Responsabile dei servizi energetici, poi dal 1979 al 1995 come Direttore Generale, dal 1995 al 30 giugno 1998 come Presidente dell’Azienda Servizi Municipalizzati e dal 1 luglio 1998 come Presidente di ASM Brescia S.p.A.
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529 MILA
510 MILA
FRANCESCO BETTONI, Presidente della Camera. di Commercio di Brescia; presidente di Federlombarda Agricoltori, emanazione regionale di Confagricoltura, che associa oltre 20 mila aziende; Presidente Bre.Be.Mi.
TASSO DI OCCUPAZIONE
139.454
149.661
ROBERTO CACCURI / CONTRASTO
«BRESCIA È CONOSCIUTA come città del tondino, dell’industria e, ultimamente, della finanza. Invece è una città con magnifiche opere d’arte e con qualità turistico-ambientali uniche». Ad affermarlo è Agostino Mantovani, parlamentare europeo dal 1991 al 1994, e attuale segretario della Fondazione CAB che, insieme al Comune, ha creato Brescia Musei spa, la società che, in collaborazione con “Linea d’Ombra” del critico veneto Marco Goldin, sta realizzando nel Museo di Santa Giulia “le grandi mostre”. I primi bilanci hanno una notevole incidenza: la mostra «Monet, la Senna e le ninfee», che si è svolta lo scorso anno, ha portato in città quasi 450mila visitatori con una media di 2.754 al giorno, meritandosi il titolo di una delle mostre più visitate in Italia, mentre quella che è in corso in questi giorni “Gauguin Van Gogh. L'avventura del colore nuovo” ha realizzato nei primi due mesi di allestimento quota 200mila visitatori. Tutto ciò, naturalmente, genera un indotto non indifferente: per la città sono una cosa assolutamente nuova i turisti che nei week end invernali affollano le osterie del centro vecchio o fermano gli attoniti cittadini locali chiedendo informazioni nelle lingue più varie. «Le mostre - spiega ancora Mantovani - servono per far conoscere ciò che di Brescia c’era già ma non era noto, hanno lo scopo di portare qui gente che poi può apprezzare la città nel suo complesso. Inoltre - conclude il presidente della fondazione Cab con orgoglio - il Museo di Santa Giulia, sede e simbolo delle nostre mostre, si è guadagnato il primo premio per gestione e organizzazione da parte di Federcultura ed è stata scelta dal Touring come rappresentante modello dei musei italiani».
CHIÈCHI
UGO GUSSALLI BERETTA, 1937 Presidente della Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A., tramandata all’interno della famiglia per quindici generazioni, è in attività a Gardone Valtrompia già dal Quattrocento. Conta 2500 dipendenti e un fatturato di ca. 370 milioni di euro.
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RAFFICO, INQUINAMENTO,
METROBUS.
AEROPORTO DI MONTICHIARI.
BREBEMI.
Una rivoluzione nel trasporto pubblico bresciano la porterà la metropolitana leggera, un sistema di trasporto ad alta frequenza di corsa, con vetture alimentate elettricamente e a guida automatica che viaggiano in sede propria. Dopo un lungo iter burocratico, i lavori di realizzazione del tratto da Prealpino a S.Eufemia-Buffalora sono iniziati nel 2003 e dovrebbero terminare nel 2011, con un costo di 587 milioni di euro. Ma in progetto ci sono anche i prolungamenti di Fiera e Valle Trompia.
Inaugurato nel 1999, l’aeroporto intitolato a Gabriele D’Annunzio costituisce con il Valerio Catullo di Verona, il Sistema aeroportuale del Garda, con un bacino d’utenza che va dalla Lombardia, al Veneto, al Trentino Alto Adige. Nel 2005 Montichiari ha registrato un flusso di oltre 400 mila passeggeri, in crescita del 18% rispetto al 2004. Buono anche il movimento merci che ha chiuso il 2005 con un bilancio di oltre 21 mila tonnellate di prodotti trasportati.
La sigla sta per Brescia Bergamo Milano ed è il progetto di un’autostrada alternativa alla A4 che collegherà Brescia a Milano con un rettilineo di 50 chilometri. Così, almeno, è sulla carta. Perché a sei anni e mezzo dalla presentazione del progetto i lavori non sono ancora stati avviati. Nel luglio scorso, infatti, il Cipe ha approvato il progetto preliminare, ma non il suo piano economico-finanziario che negli anni, tra opere accessorie e modifiche richieste dalle amministrazioni locali, è lievitato da 700 a 1580 milioni di euro.
Superficie
4.784 kmq
Popolazione
1.173.000
Comuni
206
Abitanti/kmq
235
Valore aggiunto
29,2 miliardi di euro
Quota sull’Italia
11,2%
Reddito disponibile
18,4 miliardi di euro
Reddito pro capite
5.900 euro
Il piano economico finanziario della Brebemi è passato da 700 a 1580 milioni di euro |
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FONTE: PROVINCIA DI BRESCIA, AIB
nuove povertà
FONTE: OSSERVATORIO SUL MERCATO DEL LAVORO, PROVINCIA DI BRESCIA
osservatorio
UOMINI
brescia
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Colombia, la “Ciudad perdida” degli indios Tairona >50 Argentina, la storia infinita dell’ Hotel Bauen >54
internazionale CRESCONO I DELEGATI AL FORUM MONDIALE. QUASI LA METÀ SONO DONNE
LE PISTOLE SONO IL CUORE DEL PROBLEMA
IN ASIA E AFRICA IL 50 PER CENTO DEI FARMACI È CONTRAFFATTO
GLI USA VISTI ATTRAVERSO I GRANDI SCANDALI
BANGLADESH, OPERAI LICENZIATI E MINACCIATI
IL GOVERNO DELLA TANZANIA BLOCCA L’EXPORT DEL LEGNO DI SANDALO
Cresce il numero dei partecipanti al Forum Sociale Mondiale. Lo afferma il rapporto pubblicato dall’IBASE (Instituto Brasileiro de Análises Sociais e Econômicas). I dati del censimento dicono che si è passati dai 20.000 presenti del 2001 ai 155.000 dell’ultimo anno. Il primato spetta al Brasile che nel 2005 aveva ben 73.856 delegati. A seguire: gli altri Paesi dell’America Latina con 18.425 rappresentanti, l’Europa con 4.154, gli Stati Uniti con 1753. Nel 2005 i paesi europei più rappresentati erano Francia e Italia, rispettivamente con 873 e 578 presenze. La percentuale della presenza femminile sfiora ormai quasi la metà dei delegati. L’identikit del partecipante: l’occupazione più diffusa è quella dell’educatore (23,9%), a seguire l’assistente sociale (21,9%). La fascia di età più rappresentata è quella che va dai 14 ai 24 anni (37%), seguita dalla fascia che va dai 25-34 anni con il 26,5% e dalle persone dai 35-44 anni che hanno raggiunto il 18,6%. I partecipanti con età dai 45 ai 54 anni è quasi del 10%, dai 55 e oltre sfiorano il 4%. La percentuale di delegati con titolo di studio di scuola superiore è del 67,9%, mentre quelli con master e dottorato raggiungono il 9,8%. Il 21,4% hanno dai 5 ai 12 anni di studio. Per quanto riguarda i mezzi per ottenere Informazioni sul Forum la parte del leone la fanno i giornali cartacei con il 60,5%, mentre la televisione rimane al penultimo posto con il 12,4%, superata da riviste, radio e internet. A proposito della rete globale, a utilizzarla come fonte d’informazione sugli argomenti del Forum sono le fasce più basse e meno scolarizzate con il 62,7%. A differenza dei partecipanti con master e dottorato, di cui solo il 16% usa il web per avere informazioni sull’evento.
“Non vendete più armi all’Africa” è l’appello lanciato da Dennis McNamara, funzionario delle Nazioni Unite che definisce la vendita di armi ai Paesi del continente africano come uno dei problemi più importanti e urgenti da risolvere. McNamara, esperto di profughi, sostiene che la vendita di armi è la piaga più preoccupante dei Paesi del Sud del mondo, ancor più della povertà o del debito estero. Le persone sradicate dalle loro terre e dalle loro case a causa dei conflitti e della fame sono più di 12 milioni, circa la metà del totale. L’Occidente rifornisce l’africa di armi, alimentando i conflitti mentre le compagnie sfruttano minerali e petrolio. “Le pistole sono il cuore del problema” ha dichiarato il funzionario e non vendere armi all’Africa deve essere una scelta volontaria e che si deve fare. Continua nel frattempo in Italia la campagna “Banche Armate”, lanciata alla fine del ‘99 da Nigrizia, insieme a Mosaico di pace e Missione Oggi, per ridurre l’appoggio degli istituti di credito all’export bellico. Tra i risultati raggiunti: la decisione di Unicredit di lasciare il business dei finanziamenti alla produzione militare, la riduzione di Capitalia del 70% dell’esposizione a sostegno del settore, a cui si è aggiunta anche Banca Intesa che ha dimezzato la sua quota sul mercato.
In Asia e in Africa il 50 per cento dei farmaci è contraffatto. Ogni anno questo traffico, che fa guadagnare miliardi di dollari al racket, costa la vita a migliaia di persone. Sciroppi antimalarici per bambini sono sugli scaffali delle farmacie africane. La loro formula è però in molti casi diluita del 40 per cento. Il risultato è che non servono a nulla in caso di infezione grave. Nel continente africano questa malattia sta uccidendo un milione di persone all’anno, di cui la maggior parte sono proprio bambini sotto i cinque anni. Inoltre l’utilizzo di farmaci diluiti contribuisce a far diventare resistenti alle nuove terapie i parassiti della malaria. Secondo gli esperti ogni anno muoiono circa mezzo milione di perone a causa dei medicinali contraffatti, una stima naturalmente per difetto. In Nigeria nel ‘95 morirono tremila persone a causa di una vaccinazione contro la meningite con vaccini che contenevano acqua. Le industrie farmaceutiche tendono a mantenere segreti i dati sulle false medicine, per paura che possano nuocere alla vendita dei prodotti di marca. Il traffico, che conta sulla complicità di governi corrotti, alimenta un giro di denaro che ammonterebbe a tremila miliardi di dollari l’anno. Secondo il rapporto di “Transparency International”, nei paesi poveri, che non possono permettersi di pagare i trattamenti sottobanco, per curarsi si sottraggono ingenti risorse da altre destinazioni.
Il premio Pulitzer è il riconoscimento più prestigioso per la carta stampata. Ad aprile, quando viene stilata la lista di nomi dalla giuria, il mondo giornalistico entra in fibrillazione. Un premio tutto americano, anche se ha delle radici profondamente europee. Il nome Pulitzer è infatti di origine austriaca e apparteneva a un certo Joseph venuto nel Nuovo Mondo a combattere a fianco dei nordisti. Il più famoso dei premi rimane quello assegnato a Bob Woodward, Carl Bernstein e Alfred Lewis, i giornalisti del Washington Post che, nel 1973, svelarono agli Stati Uniti e al mondo intero lo scandalo Watergate che costò la poltrona a Nixon. I loro articoli sono contenuti nel libro “Sette pezzi d’America. I grandi scandali americani raccontati dai premi pulitzer” (Minimumfax) curato da Simone Barillari. Gli altri pezzi d’America malata sono: l’inchiesta sulla setta di Scientology, quella sui preti pedofili, l’indagine sui cittadini americani utilizzati inconsapevolmente dal governo per esperimenti radioattivi. E ancora: l’uso di ammoniaca delle industrie del tabacco per aumentare la dipendenza dal fumo, gli errori della Nasa nell’esplosione del Challenger e le atrocità commesse sui civili da parte dell’esercito americano durante la guerra in Vietnam. Sette inchieste giornalistiche entrate nella storia degli Stati Uniti.
La A-One è una delle tante aziende tessili del Bangladesh che producono abbigliamento. Tra i committenti vi sono i gruppi Inditex (Spagna), C&A (Olanda), Tchibo (Germania) e i gruppi italiani Coin, con il marchio Oviesse e Tessival. Circa 250 operai, sui 2000 che lavorano in questa azienda, sono stati licenziati perché rivendicavano diritti e migliori condizioni di lavoro. La vicenda risale al luglio 2005, quando il consiglio di fabbrica aveva presentato alla direzione aziendale una lista di 13 punti riguardanti le difficili condizioni di lavoro, spesso accompagnate da gravi violazioni dei diritti. La direzione aziendale, in un primo momento, aveva risposto a 12 delle 13 richieste, ma dopo questa prima disponibilità ha cambiato radicalmente atteggiamento, scegliendo la via più drastica: il licenziamento. I 250 lavoratori si sono trovati così di punto in bianco senza lavoro e stipendio, mentre i 9 membri del consiglio di fabbrica hanno ricevuto minacce di morte per costringerli a dimettersi. I sostenitori italiani della “Campagna Abiti” (www.abitipuliti.org) coordinandosi con la “Clean Clothes Campaign” europea, hanno contattato le imprese italiane committenti, inviando una lettera informativa sullo stato delle violazioni, che includeva richieste specifiche per sostenere la lotta dei lavoratori della A-One.
Si aggira intorno ai quattro milioni di dollari il giro di affari legato alla lavorazione e al commercio del legno di sandalo, un tipo di legname molto apprezzato dai mercati europei, asiatici e americani, e utilizzato nella produzione di profumi, mobili e strumenti musicali. D’ora in poi non sarà più possibile esportarlo a causa del provvedimento del Governo della Tanzania, una decisione che mira a proteggere la flora. L’allarme lanciato dal governo dello Stato africano sembra giustificato dalla perdita annuale di molti ettari di foresta: tra i 130.000 e i 500.000. Di questi, circa 91 mila sono abbattuti illegalmente. Il territorio della Tanzania è ricoperto per 44 milioni di ettari da foreste (45% ) e più di 60 delle 300 specie di alberi presenti sul territorio sono sfruttate commercialmente. Tra quelli rari c’è, appunto, l’ebano e il sandalo. Un ruolo importante sulla decisione del Governo potrebbero averlo giocato le pressioni fatte dai movimenti ambientalisti sia all’interno che all’esterno del Paese. Tra i progetti della Tanzania c’è la promozione della silvicoltura sostenibile, mentre le sue foreste permettono di posizionarla tra i 24 “punti caldi” di biodiversità, per le varie e numerose specie di piante. La questione è comunque delicata sul piano economico, perché le aziende del settore avrebbero gli ordini in scadenza per il marzo 2006. Secondo il Governo, però, la maggior parte dei commercianti stavano facendo un commercio illegale di legname, esistendo già una legge del 2002 che vietava l’esportazione con effetto a partire dal luglio del 2004. I permessi rilasciati per il 2006 andrebbero, dunque, rivisti e alcuni commercianti potrebbero essere trascinati in tribunale.
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Alla ricerca della città perduta degli indios Tairona
Q di Raffaele Masto
Alcuni abitanti del luogo raggiunsero la Ciudad perdida, passando attraverso l’Infierno verde della Sierra, abbagliati dal mito dell’oro, proprio come fecero i primi conquistatori spagnoli.
UESTO RACCONTO È LA STORIA DI UN VIAGGIO NELLA GIUNGLA EQUATORIALE della costa caraibica della Colombia alla ricerca della mitica Ciudad Perdida, la città perduta degli indios Tairona e delle loro favolose ricchezze. Detta così sembra la trama di un film-avventura di Indiana Jones. Nella realtà, non ci siamo lontani. La Ciudad Perdida esiste. Fu cercata con accanimento dai conquistatori spagnoli che, dopo aver ingaggiato battaglia con i Tairona, che la difesero strenuamente, la trovarono, la saccheggiarono e la distrussero. Erano i primi anni del 1500, da allora, per quasi mezzo millennio, la “Ciudad Perdida” è rimasta sepolta in una giugla inestricabile, ancora oggi in larga parte inesplorata. Nessuno riuscì più a trovarla fino al 1975 quando alcuni abitanti locali, abbagliati come gli spagnoli dal miraggio dell’oro (pare sia nata proprio qui la leggenda dell’“El Dorado”), la raggiunsero dopo aver vagato per settimane nell’umidità micidiale della selva, martoriati da insetti e voracissime zanzare. A quel punto, intervenne il governo colombiano, ma scavi, ricerche e studi furono presto abbandonati perchè il luogo, sulla Sierra Nevada di Santa Marta, è praticamente irraggiungibile. Così della “Ciudad Perdida”, del suo oro e dei suoi misteriosi abitanti si sa ancora pochissimo.
le tombe degli indios sulla Sierra. Quando Florentino Sepùlveda, assieme ai figli, scoprì la Ciudad Perdida la notizia si diffuse come un incendio, tutti cercammo di arrivarci, scoppiò anche una guerra tra noi, ci furono dei morti tra i quali uno dei figli di Florentino, poi arrivò l’esercito e sulla Sierra non ci andò più nessuno».
“Un impresa terribile”
Un Himalaya in riva al mare
La Sierra Nevada di Santa Marta è un sistema ecoambientale unico.
Dal 1500 e per quasi mezzo millennio, la “Ciudad perdida” è rimasta sepolta in una giungla inestricabile. Nessuno riuscì più a trovarla fino al 1975 | 50 | valori |
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La Sierra Nevada di Santa Marta è una sorta di Himalaya in riva al mare, con vette perennemente innevate che sfiorano i seimila metri e pendici ricoperte da una fitta e inaccessibile giungla tropicale che, spezzate bruscamente da una esile striscia di sabbia bianco smagliante, si gettano direttamente nell’azzurro turchino del Mar dei Caraibi. Quando vi si arriva dalla strada costiera si resta senza fiato. Il paesaggio cambia bruscamente: l’entroterra pianeggiante diventa improvvisamente collinoso e ricoperto da una lussureggiante vegetazione di un verde intenso, scuro, quasi cupo. Ai piedi della Sierra sorge la cittadina di Santa Marta, un classico e indolente centro latinoamericano. Come lo fu per gli spagnoli cinque secoli fa, sarà la mia base per la ricerca della Ciudad Perdida, una avventura che, già dal primo impatto, promette di non essere solo un percorso nel profondo della giungla tropicale, ma anche un viaggio nella storia che ha attraversato questi luoghi e queste genti e le ha plasmate fino al risultato odierno. Come ogni centro caraibico che si rispetti, Santa Marta oggi è una esplosione di musica, chiasso e colori. Alla sera, quando la fresca brezza marina sfiora le spesse mura degli edifici coloniali, dai localini che punteggiano la città straripano frotte di danzatori che si agitano al ritmo dei balli caraibici: cumbia, salsa, merenghe. Il ritornello della canzone che va per la maggiore invita ossessivamente a “muovere la cintura”.
Gli indios dei Caraibi In questo contesto gli Indios Tairona sembrano una leggenda lontana che non ha lasciato segni. Per sapere qualcosa di più bisogna andare nel minuscolo museo archeologico della città. Mi accoglie il guardiano che lo apre apposta per me. Accanto a lui c’è un vecchietto con il viso
tutto rughe e grinze cotto dal sole e la loquacità caratteristica dei latinoamericani, per pochi pesos si offre di farmi da guida. Si chiama Alejandro, è simpatico e accetto. Mi guida tra le teche che contengono splendidi oggetti lavorati in oro, in pietra, in legno e subito si rivela molto di più di un gradevole ciarlatano; parla con competenza, racconta, descrive ogni reperto nei dettagli, come se lui stesso lo avesse rigirato tra le mani, ripulito e posto delicatamente in quelle teche. Dimostra anche una conoscenza antropologica. «I Tairona - dice - vivevano sulla Sierra sfruttandola abilmente, coltivavano manioca, coca, legumi, frutta e, grazie al fatto che terrazzavano e costruivano insediamenti alle diverse altitudini, avevano raccolti tutto l’anno. Setacciavano l’oro dal fiume Buritaca, un torrente impetuoso che scorre nei pressi della Ciudad Perdida alimentato dalle nevi che coprono le vette più alte della Sierra, e avevano raggiunto una capacità di lavorarlo altissima». Gli chiedo se lui conosce la Ciudad Perdida, se ci è stato. Era la domanda che si aspettava e si scopre. «Venticinque anni fa - dice - fui tra i guaqueros che si guadagnavano la vita cercando e saccheggiando
Smette di parlare e gli occhi vanno a quei ricordi, poi riprende: «Arrivai anch’io alla Ciudad Perdida, fu una impresa terribile, attraversammo un inferno che chiamammo Infierno Verde, nome che, da queste parti, è rimasto quando si parla della Sierra». Chiedo ancora ad Alejandro se c’è qualcuno che mi può portare alla Ciudad Perdida. Mi indica un nome: Hector Mario Diaz Herrera, proprietario dell’hotel Irotama. I sentieri che si inerpicano sulla Sierra partono tutti dalle spiaggie che stanno ai suoi piedi. Attendiamo Hector Mario su quella antistante il suo hotel, lo spettacolo è fantastico: la giungla ci sovrasta, silenziosa e possente mentre davanti a noi si stende il mare che, seppur cristallino e trasparente, ne acquista il colore scuro. Quando Hector Mario arriva è una sorpresa: è un giovane e colto imprenditore che vuole far conoscere la civiltà Tairona e considera la Ciudad Perdida uno dei più importanti ritrovamenti archeologici pre-colombiani degli ultimi anni. Conosce alla perfezioni i pochi studi fino ad ora compiuti e dalle sue parole emergono aspetti affascinanti del mondo dei Tairona: vivevano in stretta simbiosi con la natura della quale si sentivano parte integrante, pensavano che il mondo fosse ovale, fatto a strati, in quello centrale vivevano loro, gli eletti, gli unici in grado di avere un rapporto diretto, intimo con la montagna e con la foresta, i soli depositari e custodi dei loro segreti. Negli altri strati erano collocate le popolazioni inferiori, coloro che non avevano rispetto per la natura e che, per stupidità e stoltezza, pensavano di poter sopravvivere contrastando le sue leggi. La loro presenza nel mondo era una missione volta a preservare e proteggere l’ambiente. Hector Mario racconta queste cose con grande competenza |
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| internazionale | e con un certo trasporto. Dalle sue parole si legge una sorta di ammirazione per i Tairona e per quelli che vengono considerati i loro diretti discendenti, gli indios Kogi, gli unici essere umani che vivono ancora oggi sulle pendici della Sierra Nevada a quote più basse della Ciudad Perdida ma ugualmente immersi nella inestricabile giungla che ricopre i pendii dell’imponente massiccio montuoso. Anche loro rifuggono i rapporti con la civiltà, vivono in minuscoli insediamenti di capanne rotonde abbarbicate in luoghi quasi inaccessibili. Conducono un esistenza in completa simbiosi con la natura e si considerano i nostri “fratelli maggiori”, più saggi e sapienti degli uomini che vivono in pianura.
Dai Tairona ai Kogi «I Kogi - dice ancora Hector Mario - sono poche migliaia e per conoscere la civiltà Tairona bisogna studiare la loro vita, la loro mitologia, le loro uasanze, le loro tradizioni, ma occorrono finanziamenti e bisogna farlo nel pieno rispetto del loro diritto a vivere sulla Sierra. Per questo scopo va bene anche il turismo, purchè consapevole e non di massa, perchè ci aiuterà a divulgare queste straordinarie scoperte». Le parole del nostro appassionato interlocutore hanno un effetto dirompente sulla fantasia. Ora sono più determinato che mai a raggiungere la Ciudad Perdida ma Hector Mario mi avverte, a piedi è una impresa complicata: ci vuole una guida affidabile e una settimana di cammino all’interno della Sierra con soste per la notte avvolti in zanzariere protettive e sospesi in amache fissate agli alberi. Meglio affidarsi ad un più costoso ma sicuro elicottero. Lui può organizzare l’impresa e si offre anche di accompagnarmi. Quando l’elicottero si stacca è l’alba. Abbiamo pochissimo tempo: la vegetazione della giungla sprigiona una forte umidità tanto che già dal primo pomeriggio tra i costoni del massiccio montuoso si formano dense nuvole che impediscono il volo di ritorno, prima che tutto ciò avvenga dobbiamo essere alla base di partenza. Pochi minuti dopo
| internazionale | il decollo voliamo già tra imponenti pareti di un verde compatto, uniforme come se qualcuno avesse verniciato con un pennello la superficie dalla quale, uniche uniformità, spiccano ciuffi di grandi foglie. Sono le palme Tagua - mi spiegano - una varietà di pianta che cresce solo qui. La Sierra infatti forma un sistema eco-ambientale unico al mondo e tra la sua vegetazione vi sono una infinità di esemplari di erbe di cui solo i Kogi oggi conoscono segreti e proprietà. Adesso l’elicottero sorvola una specie di profondo canalone. Su uno dei costoni che lo formano noto un piccolo spiazzo più chiaro con una decina di capanne rotonde di legno con il tetto conico in paglia. «È uno degli insediamenti dei Kogi», spiega Hector Mario, mentre col dito ne indica un altro sul costone controlaterale. «Sono collegati - aggiunge attraverso sentieri che solo loro conoscono e che formano una sviluppata rete occultata dalla intricata vegetazione, sono accampamenti provvisori che i Kogi abitano, abbandonano e tornano ad abitare in funzione delle loro necessità». Intanto continuiamo a salire. Ad un certo punto il pilota arresta l’elicottero per aria e comincia a scrutare la giungla sottostante. Siamo in prossimità della Ciudad Perdida e cerca uno spazio utile per atterrare. Lo trova, spinge il velivolo verso una specie di squarcio nella parete verde e con un abile manovra vi penetra e atterriamo. Quando le pale smettono di girare e il motore si spegne veniamo avvolti da un silenzio totale. A romperlo è Hector Mario che ci informa del fatto che siamo direttamente atterrati sul pavimento di una abitazione dei Tairona. Ci guardiamo intorno e realizziamo di camminare su una piattaforma rotonda. Il perimetro è segnato da grosse pietre che arginano la terra, ammassata per mettere in piano la superficie. Quando usciamo dal cono di luce prodotto dallo squarcio dal quale siamo atterrati devo applicare il flash al mio apparecchio fotografico, la giungla è talmente fitta che i raggi del sole non riescono a passare. Osservo da vicino le palme Tagua, sono imponenti tronchi lisci che, perfettamente
dritti come un fuso, perforano il soffitto verde che ci sovrasta. Intorno SCHEDA INFORMATIVA a noi è un intrico di piante, liane, cespugli di felci dalle foglie giganti, variopinti e sconosciuti fiori dai petali grassi e spessi. Le nostre narici La costa caraibica della Colombia è uno dei puoghi più affascinanti e suggestivi dei Caraibi. è poco conosciuta, ed è marginale rispetto alle rotte turistiche più famose sono assalite da un effluvio di odori e sentiamo sulla pelle l’umidità che di questa regione perchè, sulla carta, la Colombia è considerato un paese a rischio. la vegetazione sprigiona. In realtà la costa orientale della Colombia è lontana migliaia di chilometri dalle zone pericolose. Per questo motivo, qui il turismo di massa non ha ancora inquinato il ritmo Al primo impatto, la Ciudad Perdida non ha nulla a che vedere della vita locale, le tradizioni e la cultura. In compenso, per chi vuole immergersi con i ritrovamenti archeologici pre-colombiani che siamo abituati a nel clima caraibico, inteso non solo come clima metereologico, questa regione è l’ideale. Le cittadine che si affacciano sul Mar dei Caraibi sono cariche di storia e la si può conoscere. La parte centrale, la più strutturata, è situata su una cresta conoscere non con le frettolose e superficiali guide delle località dove il turismo di massa dove c’è la maggior concentrazione di resti delle abitazioni dei Taiimperversa. Santa Marta fu la prima città fondata sul continente latinoamericano dagli spagnoli, intorno al 1500. Da qui, i conquistadores partirono per la distruzione di civiltà come rona. Le pareti in legno sono scomparse, ma le strutture in petra coquelle degli Inca, dei Maya, degli Atzechi. Nel centro storico i monumenti e gli edifici coloniali me terrazze e scalinate sono ancora in un ottimo stato di conservasi sono conservati molto bene e si può visitarli senza problemi. Santa Marta è anche la città zione. Girovagando tra le rovine notiamo ancora i grossi utensili dei in cui è morto Simon Bolivar. La sua casa è ora un monumento storico molto ben tenuto. Quattrocento chilometri a Ovest di Santa Marta c’è quali si servivano, come le grosse pietre scaCartagena, la città di Gabriel Garcia Marquez dove il grande vate all’interno delle quali pestavano la mascrittore, premio Nobel per la latteratura, vive. Ma anche Cartagena è una città storica. Fu una delle più importanti nioca. Sulla base di una abitazione è appogfortezze degli spagnoli nel continente latinoamericano. giata una grossa lastra incisa con segni indeIl centro storico è rimasto intatto, circondato dalle spesse mura rivolte verso il mare. cifrabili. Ma sono soprattutto le scalinate a Oltre alle città e alle spiaggie c’è la Sierra Nevada di Santa dare l’idea di come si svolgeva la vita tra i TaiMarta, un sistema eco-ambientale unico al mondo ai piedi del quale c’è il Parco Tairona e sulle pendici la “Ciudad rona: sono lunghissime, ripide e si insinuaPerdida”. Rivolgendosi all’Hotel Irotama si può organizzare no tra la rigogliosa vegetazione in percorsi la sua visita, in elicottero (il costo è di circa 400 dollari contorti e tortuosi. Collegavano tutte le abiper quattro persone) o anche via terra, quando la stagione e le condizioni metereologiche lo permettono. Dall’Italia tazioni lungo un dislivello di ben cinquec’è anche un Tour Operator che organizza viaggi sulla costa cento metri. Mentre ne osserviamo una vecaraibica della Colombia. È Dimensione Turismo di Treviso (tel. 0039-0422-211400) attraverso il quale è possibile anche diamo comparire, come in un sogno, due fiprenotare, da qui, la salita alla “Ciudad Perdida”. gure alla sua sommità. Si precipitano lungo i gradini ad una velocità folle, impossibile per chiunque non conosca alla perfezione ognuno di quei gradini. Sono due bambine, hanno i capelli lunghi e neri e i corpicini infilati in due tuniche di color bianco-sporco in tela grezza. Quando giungono alla nostra altezza si arrestano improvvisamente, non Dalle cittadine sul Mar dei caraibi sembrano nè stupite nè impaurite, semplicepartirono i conquistadores spagnoli. mente ci guardano con una espressione seto, i lineamenti del viso fanno pensare più ai pellerossa del nord amevera e curiosa insieme. Faccio in tempo a scattare loro alcune foto pririca che agli indigeni del sud, ha i capelli lunghi e neri che gli cadono ma che si precipitino, di nuovo a velocità folle, lungo la scalinata. sciolti sulle spalle. Nella sua espressione impassibile si coglie anche una Ora la foresta che ci circonda ha qualcosa di inquietante. Quelle certa presunzione, una specie di superiorità nei nostri confronti. Non bimbe non erano certo sole, gli adulti sono evidentemente vicini, forè nulla di fastidioso e, in mancanza del supporto della lingua, cerco un se ci osservano celati dalla vegetazione. Decidiamo di tornare alla piatmodo di comunicare. Mentre rovisto nelle tasche per trovare qualcosa taforma dove ci attende il pilota. Mentre risaliamo ci imbattiamo nel da offrirgli o da scambiare il pilota ci chiama dall'elicottero le cui pale corso del fiume Buritaca. È poco più che un torrente, ma è ricco di un cominciano a girare. Non abbiamo più tempo, sotto di noi si sono già acqua cristallina che ad un certo punto forma una piscina naturale, formate le nuvole, dobbiamo partire immediatamente. Quando siamo profonda e trasparente. Alla piattaforma ci attende un altra sorpresa, a bordo Hector Mario, rispondendo ai miei pensieri, mi informa che il pilota non è solo. È in piedi e di fronte a lui, seduto su un tronco, c'è quell'uomo è il Mamas, la massima autorità degli indios Tairona, il cuun indios che lo osserva con uno sguardo neutro, impassibile mentre stode della città sacra. Gli lancio un ultima occhiata mentre l'elicottearmeggia con una bacchetta all’interno di una specie di ampolla in lero si stacca da terra: è rimasto seduto, con il busto ritto ma si avvolge gno. Come se avesse di fronte un marziano il pilota ci avverte che non la testa tra le braccia per proteggersi dal rumore assordante del motoparla spagnolo. L’indios ora guarda verso di noi senza muovere un mure. In un attimo riaffioriamo dalla giungla, di fronte a noi si stendono scolo del viso, come se non esistessimo, come se fossimo trasparenti. i pendii ricoperti di verde della montagna e in fondo l'azzurro intenso Di fianco a lui compare una delle bambine che abbiamo incontrato podel mare. In poco più di mezz'ora siamo di nuovo a Santa Marta, avco prima, ci lancia un’occhiata incurante, si ferma un momento e poi volti nella musica e nel chiasso della cittadina. Mi resta il dubbio di avescompare di nuovo nella vegetazione. L’indios si lascia fotografare re sognato. Un dubbio che scompare completamente solo dopo che ho mentre continua ad armeggiare con i suoi curiosi e misteriosi strusviluppato i rullini fotografici. Quanto resisteranno ancora all'assedio menti. Quando mi riprendo dalla sorpresa riesco ad osservarlo meglio: della civiltà i nostri fratelli maggiori? indossa una casacca di tela bianca e pantaloni larghi dello stesso tessu|
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Incubi ricorrenti: Argentina, la storia dell’Hotel Bauen
Elezioni
L’in-“sostenibile” costo della politica di Walter Ganapini
A soli quattro anni dallo shock neoliberista, che travolse l’economia e la classe media argentina, tornano sulla scena personaggi inquietanti. Eppure chi dice Bauen a Buenos Aires dice lavoro cooperativo, solidarietà tra lavoratori e rinascita culturale.
I
L 7 DICEMBRE IL PARLAMENTINO DI BUENOS AIRES si è trovato di fron-
te a un bivio: affidare la proprietà di un hotel al vecchio proprietario, che non lo pagò mai per intero, fece milioni di pesos di debiti e lo lasciò andare in malora. Oppure, concedere a una cooperativa di ladi Angelo Miotto voro, costruita dai dipendenti di quell’hotel, la proprietà provvisoria, così come richiedevano dopo aver salvato 220 camere, con sette saloni, piscina e negozi interni. Ma le lobby hanno potuto ben di più della logica o del riconoscimento di uno sforzo titanico, finanziario e politico: il Bauen è tornato al suo antico proprietario. La polizia ha dovuto usare i lacrimogeni per sbaraccare dall’aula parlamentare della capitale i lavoratori inferociti che protestavano. La battaglia è solo all’inizio. La storia di un colosso di cemento e vetrate inizia circa vent’anni fa.
1978, il Mundial
gliare. Ma sono soprattutto i sette saloni, ampi e studiati per cerimonie e feste, a presiedere alla rinascita dell’hotel. Gli introiti vengono suddivisi fra salari e gli investimenti necessari per rimettere a nuovo le stanze. Una dopo l’altra si arriva a 160 camere su 220 che sono oggi aperte ai turisti, con un prezzo politico uguale per argentini e stranieri: circa 35 euro la doppia, con buffet prima colazione incluso.
La cooperativa «Abbiamo iniziato in 25, adesso siamo in 125 - Fernando Aranda era receptionist prima dell’inizio della rivoluzione del Bauen – Abbiamo scelto i capi di 15 settori, dalla reception appunto fino alla parte amministrativa, le risorse umane, la tesoreria. Tutte le decisioni importanti si prendono in assemblea, dove ogni socio ha un voto. Si decide per maggioranza semplice, un metodo del tutto democratico». Il monte salari degli impiegati raggiunge i 110mila pesos al mese, il salario medio è di mille pesos, circa 350 euro, ricordando che il paniere base di una famiglia con due figli in Argentina è di 780 pesos. L’hotel riesce a realizzare un fatturato intorno ai 400mila pesos al mese.
«La storia dell’hotel Bauen comincia nel 1978 con la sua costruzione per il campionato del mondo di calcio». A parlare è Santiago Miranda, uno dei lavoratori che ha costruito dall’inizio la cooperativa sociale. «Fu costruito con un prestito pubblico a nome di un signore che non restituì mai il denaro. Negli anni ‘90 la legge delTornano i fantasmi la convertibilità, un peso un dollaro, fece salire i prez«Quando l’hotel ha raggiunto un discreto ritmo di lazi e l’hotel divenne troppo caro. E così arrivarono mevoro, allora il vecchio padrone si è reso conto che aveno turismo e meno occupazione. Il primo proprietario, vamo un buon giro di entrate – racconta Miranda - che a questo punto, vorrebbe vendere l’hotel, ma non puo’ i sette saloni interni per le feste erano sempre prenotaperché non l’ha pagato. Riesce comunque a sbarazzarti e che le 160 camere erano tutte occupate. Ha iniziasene in maniera fraudolenta». Il Bauen viene acquistato a sporgere false denunce sulla sicurezza dell’hotel, to da un cileno che in quattro anni lo porta al fallitutte infondate e lo abbiamo provato, perché lo vuole mento. Fra i due proprietari, il debito verso le casse erariprendere». Poi sono iniziate le pressioni sulla politiriali dello stato arriva ad oltre 6 milioni di pesos. ca: dall’Argentina del 2001, quando una società fu getUna della manifestazioni «Nel 2002 - racconta ancora Santiago Miranda tata improvvisamente nella miseria, sono passati quatdavanti all’ingresso dell’hotel. abbiamo cercato di trovare tutti un nuovo lavoro. Uscitro anni e i mostri di allora non sono certo scomparsi. vamo dalla catastrofe del 2001 e, nel 2003, molti dei vecchi lavoratori E così anche il fantasma peggiore, il vecchio proprietario insolvente, è si sono riuniti per costituire una cooperativa di lavoro per ricominciatornato forte di amicizie. re con l’hotel. Il 21 di marzo del 2003 alle 10.30 della mattina abbiamo preso possesso dell’hotel». Bauen, lotta e cultura Chi dice Bauen a Buenos Aires dice un sistema di resistenza e di nuova imprenditorialità. «Oggi il Bauen è sinonimo di lotta, con un moviLa rinascita del Bauen mento delle imprese recuperate: Bauen, le ceramiche Zanon, BruckDa quel 21 marzo del 2003 inizia un periodo difficile. Ognuno cerca di man. Una nuova cultura che sta crescendo in Argentina». arrangiarsi fra lavoretti saltuari, l’occupazione dell’hotel, la vita fami| 54 | valori |
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ATTRISTA, NEL GIÀ NON CONFORTANTE CONTESTO DI UNA CAMPAGNA ELETTORALE che cade in un momento decisivo
per le sorti del Paese, inclusa la sorte ambientale, verificare come i temi dello sviluppo sostenibile, inteso come l’unico possibile per una realtà, l’italiana, che può avere prospettive minimamente competitive solo orientandosi alla ricerca esasperata della qualità, siano marginalizzati, se non del tutto assenti. Rattrista ulteriormente vedere come imperino pressapochismo e disinformazione a proposito degli unici argomenti di nostra abituale competenza su cui i leaders vengano interrogati: nucleare, inceneritori, grandi opere. Tutte e tre le questioni si caratterizzano, in Italia, per un inquadramento non coerente con le linee dell’Unione Europea, per una abissale carenza di percorsi di pianificazione credibili e trasparenti, per l’assenza di strumenti terzi, indipendenti, di monitoraggio d’efficacia anche, ma non solo, ambientale, per costi elevatissimi, capaci di distrarre risorse già scarse da altre, assai più proficue, allocazioni (si pensi in primis al vuoto pneumatico di azioni a favore della innovazione e della ricerca). Nessuno, obiettivamente, può dirsi ignaro delle valutazioni ora sintetizzate, rispetto alle quali c’è la più piena disponibilità di molti esperti, immodestamente incluso chi scrive, al più ampio ed argomentato confronto pubblico. Perché, allora, anche da parte di forze ed esponenti autorevoli del contendente che apparirebbe più attento alle ragioni della sostenibilità si avverte l’adeguarsi a falsi sensi comuni circa l’assoluta necessità di dotare il Paese di infrastrutture logistiche, inceneritori e centrali a favore delle quali I temi della sostenibilità non si possono avanzare rigorose stime di utilità funzionale, economica, e men che meno ambientale? sono marginali o quasi Perché non si ascolta Rubbia, e nemmeno Zorzoli, sui temi energetici, del tutto assenti nel dibattito politico il Prof. Ponti del Politecnico di Milano sulla tratta TAV in Val di Susa, la Corte in vista delle urne di Giustizia di Strasburgo e la Commissione Europea sull’incenerimento, l’ex-Commissario UE Monti sulla distrazione di incentivi per energie rinnovabili a favore di obsolete scelte di “mass burning” dei rifiuti? Sorge un dubbio, riandando con la mente a documentazioni peraltro disponibili in archivi pubblici, dalla Commissione Anselmi sulla P2 agli atti della Commissione Bicamerale d’indagine sul ciclo dei rifiuti, dai rendiconti di numerosi procedimenti giudiziari ( e non solo in epoca Mani Pulite) agli atti della Commissione d’Indagine sull’omicidio di Ilaria Alpi e Myrian Hrovatin, dai dossiers raccolti da una miriade di Comitati ed Associazioni fino a grandi inchieste giornalistiche, anche recenti. Il dubbio è che, nel nostro Paese, risulti sostanzialmente non sradicabile l’inviluppo di interessi che sottende quelle tematiche, interessi storicamente inscrivibili nell’elenco dei principali generatori di flussi di risorse finanziarie a favore del sistema politico così come è venuto strutturandosi dal Dopoguerra ad oggi. Simili grovigli esistono in molti altri Paesi ma, nel nostro, si connotano di peculiarità quale l’intreccio con l’economia criminale. Caratteristiche che non consentono una assunzione pubblica di responsabilità politica nei confronti di scelte controverse, assunzione che trova la sua espressione più chiara nella scelta gollista in tema di sviluppo del nucleare civile, palesemente antieconomica, ma dichiaratamente necessaria ai fini della “grandeur” che abbisognava di una sua “Force de frappe”. Quell’inviluppo si è nutrito per decenni della non visibilità, nella percezione del grande pubblico, dei settori citati. La democrazia può riprendere senso solo in un contesto nel quale i costi della politica assumano, essi per primi, connotazioni di “sostenibilità”, oltrechè di trasparenza.
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Indagine nuove povertà, anche il ceto medio piange >58 Nuovi poveri, una sfida per la politica e il vangelo >60 Terra Futura: abitare, agire, produrre e governare >62
economiasolidale FAGIOLI DEL BURKINA FASO SULLE TAVOLE ITALIANE
NAPOLI E CASERTA CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA
LE IMPRESE CHE CREDONO NELLA LEVA AMBIENTALE
LA RETE LILLIPUT RIPARTE DA ROMA
“EQUAL ENERGIA”, UN’OPPORTUNITÀ PER LE IMPRESE SOCIALI
CON L’ETANOLO SI RISPARMIA E NON S’INQUINA
Saranno almeno 150 le tonnellate di fagioli del Burkina Faso che arriveranno quest’anno sul mercato italiano. I consumatori li troveranno sugli scaffali dei supermercati Coop grazie ad un accordo siglato con la cooperativa africana Sco.bam nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale. Un’opportunità per molti giovani del Burkina Faso costretti ad emigrare nella Costa D’Avorio dove è in corso una guerriglia per espellere i burkinabè immigrati. Sono circa 800 le famiglie che potranno contare sulla coltivazione e vendita dei fagiolini, ma in futuro si prevede di allargare il mercato ad altre verdure come scalogno e cipolle. I fagiolini saranno venduti sfusi o in confezione da 500 grammi e arriveranno in voli diretti dal Burkina a Forlì. Il progetto conta sulla collaborazione del Movimento Shalom che, da anni, opera nel Paese africano e della ong Adapa burkinabè che affitta alla cooperativa congelatori, trattori, camion per il trasporto. Secondo la stima dell’Ufficio studi dell’Associazione nazionale cooperative di consumatori, questo impegno, da solo, potrebbe determinare un aumento delle esportazioni di fagiolini dal Burkina pari a oltre il 500 per cento. Un risvolto del progetto potrebbe esserci già a breve, con la trasformazione del fagiolino burkinabè in prodotto equosolidale. L’accordo siglato avrà una durata di cinque anni.
Il controllo dell’acqua non va affidato ai privati, l’acqua è un bene pubblico che deve rimanere tale nell’interesse di tutti. Questo è in sintesi il risultato della recente assemblea dei sindaci dell’Ato 2 (ambito territoriale ottimale) della Campania che comprende i comuni delle province di Napoli e Caserta. La nuova decisione ribalta la delibera del 23 novembre, che affidava a un ente prevalentemente privato il controllo dei servizi idrici. La delibera arriva dopo la proposta fatta dal presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, dal sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, e dei presidenti delle province di Napoli e Caserta che invitava a elaborare ipotesi alternative alla gestione privata dell’acqua. Sarà dunque annullata la gara d’appalto in corso, e avviato uno studio di fattibilità per affidare il servizio a una società interamente pubblica. A Bari è nata “Acquapubblica”, un consorzio costituito da enti pubblici e aziende private lombarde ed emiliane. L’obiettivo è quello di creare una rete di cooperazione per promuovere il carattere pubblico delle infrastrutture e della gestione dell’acqua. Nell’ottobre 2005 è nata Aquafed, una federazione internazionale di circa 200 multinazionali del settore riunite intorno al gruppo francese Suez, il secondo colosso mondiale, già contestato nel caso della privatizzazione dell’acqua in Bolivia e in India. Nel recente Forum di Bamako (Mali), a cui ha partecipato anche Riccardo Petrella (presidente dell’Acquedotto pugliese), è stato sottolineato il rischio che la neonata federazione possa fare pressioni sull’Unione Europea, l’Omc, la Fao e l’Oms affinché venga accelerato il processo di privatizzazione.
È nata il 9 febbraio AssoSCAI, l’associazione che ha come scopo prioritario «lo sviluppo e la promozione di una cultura d’impresa, nella quale la gestione ambientale sia adottata per contribuire allo sviluppo sostenibile e a una maggiore competitività sul mercato nazionale ed internazionale». Un progetto ambizioso e una sfida d’innovazione che vede tra i promotori il gruppo Abb, Novamont, Targetti Group, SotraI, Palm, Gasser oltre ad alcuni istituti di ricerca e certificazione come Sincert, Enea e l’Università di Genova. AssoSCAI nasce intorno all’esperienza di alcune imprese che hanno scelto di aderire alla realizzazione delle prime EPD (Environmental Product Declaration), una dichiarazione ambientale di prodotto certificata che permette di conoscere le reali prestazioni di un singolo prodotto. Uno strumento basilare per l’effettuazione di studi di LCA (Life Cycle Assessment). La crescita di tali strumenti volontari è stata scarsamente coordinata a livello istituzionale nazionale. Nei Paesi più avanzati come Svezia e Giappone istituzioni pubbliche, in collaborazione con i privati, hanno istituito soggetti dedicati a tale coordinamento. L’assenza di tale soggetto causa un inestimabile danno all’intera industria italiana impegnata nello sviluppo e nella promozione di strumenti per la competitività ambientale.
La IV assemblea nazionale della Rete Lilliput si terrà il 10, 11 e 12 marzo nella Capitale. I nodi della Rete sono circa 70 e vanno dalla Sicilia al Trentino Alto Adige. Attraverso un questionario ogni nodo ha elaborato delle proposte da portare in assemblea. Sul sito www.Retelilliput.it è possibile consultare e scaricare i documenti preparatori. L’appuntamento si aprirà venerdì 10 marzo con una tavola rotonda dal titolo “I movimenti sociali a sei anni da Seattle: declino o nuova fase?”. Tra gli invitati: Nanni Salio, Massimo Serafini, Raffaella Lamberti, Lorenzo Mosca, Pierluigi Sullo, il contributo interno di Antonio Tricarico, Anna Fazi, Ugo Biggeri, Monica Di Sisto, Luca De Fraia. Sabato 11 marzo, invece, la giornata sarà dedicata ai temi su cui sono impegnati attualmente i nodi della Rete, tra cui: l’impatto ambientale del modello di sviluppo dei Paesi ricchi, la difesa dei beni comuni, le campagne per il disarmo e la gestione nonviolenta dei conflitti, il problema dell’infiltrazione mafiosa nella finanza, il ruolo dell’etica nello sviluppo, l’economia solidale e i suoi distretti. Domenica 12 marzo fase conclusiva di raccordo degli aspetti di analisi, contenuto e organizzazione, per rinnovare il progetto della Rete a tre anni dall’ultima assemblea.
Rafforzare e qualificare le imprese sociali e allo stesso tempo sviluppare azioni integrate per promuovere il settore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili. Sono questi gli obbiettivi che si propone Equal “Energia solidale” un progetto approvato dalla Regione Veneto e la cui capofila è Banca popolare Etica. Un’opportunità per le imprese sociali, soprattutto quelle che mirano all’inserimento di soggetti svantaggiati, perché si entra in un campo innovativo come quello delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, permettendo alle stesse di affrancarsi da settori produttivi a basso valore aggiunto e basati su lavori poco specializzati e ad alta instabilità. Verrà costituita una “impresa sperimentale” che svolgerà attività di E.S.Co (Energy Service Company), vale a dire una società di servizi integrati per l’energia, che realizza interventi globali di risparmio energetico, basati sull’incremento dell’efficienza degli impianti, in ambito industriale, nel terziario e per il settore abitativo. Le cooperative sociali saranno coinvolte nella produzione di servizi. Nella sua fase iniziale questo soggetto sarà finanziato dai partner del progetto con fondi propri diversi da Equal e altri fondi pubblici e privati. Il modello verrà sperimentato direttamente sul campo permettendo di verificare le risposte sia in termini di occupazione che di qualificazione delle imprese sociali. La gestione della E.S.Co. permetterà l’attivazione di una serie di attività di manutenzione, installazione, monitoraggio, controllo che possono diventare nuove attività di nicchia per le cooperative sociali coinvolte. Altri partner del progetto sono: Legacoop Veneto, Vesta spa (la multiutility del Comune di Venezia), il Consorzio di cooperative sociali Ivana Garonzi, il Consorzio ABN - A&B Network sociale, Studio Centro Sicurezza Ambiente ed Elettrostudio.
Più sale il prezzo del petrolio e più si torna a parlare di biocarburanti, etanolo e biodiesel, derivati dalle coltivazioni di cereali, barbabietole, canna da zucchero e colza. In passato in Italia il dibattito si era animato intorno all’uso dell’olio vegetale nelle automobili e al risparmio di denaro, alla maggiore efficienza e al minor inquinamento ambientale che ne derivava. Sulla produzione e la sostenibilità dei biocarburanti, però, ci sono ancora molte discordanze, soprattutto nel mondo scientifico. Recentemente i ricercatori dell’università di California a Berkeley hanno analizzato puntigliosamente gli studi pubblicati sull’etanolo, alcool di derivazione vegetale, che negli Stati Uniti rappresenta il due per cento delle miscele di carburante utilizzate su strada. I ricercatori americani hanno promosso l’etanolo per la sua efficienza energetica e ambientale. Coltivare i cereali per derivare il biocarburante, infatti, comporta un minor consumo di petrolio rispetto alla produzione di benzina. Riduce inoltre del 10-15 per cento l’immissione di gas a effetto serra nell’atmosfera. Secondo gli studiosi è ancora però troppo presto per affrancarsi totalmente dal petrolio, ma la transizione potrebbe durare anche meno di dieci anni. Nell’immediato invece l’etanolo sarebbe un buon additivo per il carburante.
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Anche il ceto medio piange I ricchi proprio no
Quali sono le ricette per combattere la crescita vertiginosa delle diseguaglianze? È possibile riformare il welfare in modo efficace e “progressivo”? Valori ha chiesto di intervenire su questo tema a tre economisti tra i più conosciuti e affermati
Bankitalia, Eurispes, Euromobiliare. Diversi istituti di ricerca ma la conclusione è la stessa: il potere d’acquisto è stato eroso pesantemente per le famiglie di operai e impiegati.
GIORGIO VITTADINI
S
UPER RICCHI AVANTI TUTTA. Basta andare a leggersi il recen-
te e ultimo rapporto presentato dalla Banca Euromobiliare al Forum internazionale del Private banking per capire come parti consistenti della ricchezza si siano spostati da salari e stipendi a profitti e di Piero Bosio rendite: «Nel 2005 sono oltre 700 mila le famiglie italiane che hanno un asset superiore di 500.000 di euro, esclusi gioielli, immobili, beni artistici per un patrimonio globale di oltre 780 miliardi di euro, in crescita di 60 miliardi rispetto il 2004». Le differenze di reddito e le povertà sono cresciute nella recessione dei primi anni anni ‘90 e, da allora, non sono più diminuite, portando l’Italia ad avere le diseguaglianze economiche e sociali più pesanti rispetto al resto delle aree più industrializzate d’Europa. Diseguaglianze confermate dalla Banca d’Italia che ha svolto un’indagine sul reddito delle famiglie italiane (2002-2004) da cui si evince che il declino non è stato uguale per tutti: a pagare il conto della crisi economica è stato in particolare il lavoro dipendente.
Il declino dei salari I lavoratori dipendenti non sono riusciti a stare al passo dell’inflazione e l’incidenza della povertà, secondo la Banca d’Italia, è aumentata negli ultimi 4 anni per un capofamiglia operaio o impiegato a basso reddito dal 5,9% al 7%. Al contempo, il 10% delle famiglie più ricche possiede ben il 43% dell’intera ricchezza delle famiglie italiane. Un arricchimento confermato dal centro di ricerca Cer, secondo il quale «i guadagni sui capital gains (le plusvalenze ndr.) sulle attività immobiliari e finanziarie sono aumentati nel 2005 del 7%». Sorprende anche il confronto tra il reddito dei lavoratori dipendenti e quello degli autonomi: «Il reddito medio delle famiglie dei salariati – sostiene la Banca d’Italia – si è ridotto di due punti percentuali mentre quello del lavoro autonomo è aumentato dell’11%». Il presidente dell’Ires Cgil Agostino Megale spiega così questa disparità: «Una parte consistente degli autonomi ha lucrato sul cambio lira-euro e beneficiato dei condoni e delle riforma fiscale del Governo che ha favorito i redditi medio–alti». Secondo Mario Vavassori, presidente di OD&Mconsulting, a perdeci di più sono stati gli impiegati. «Nel 2001 un impiegato di buon livello guadagnava mediamente 24.200 euro annuali lordi,
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nel 2005 lo stipendio è arrivato a 25.100 euro. La differenza nominale è stata di 900 euro in più ma se teniamo conto di un’inflazione che è stata pari al 10% in questi cinque anni la differenza reale è di segno negativo: il potere d’acquisto di un impiegato è diminuito di1.100 euro». Come spiegare questa caduta del valore degli stipendi? «L’estendersi dei contratti atipici pagati meno, a partire da quelli previsti della Legge 30, hanno abbassato il monte stipendi complessivo degli impiegati privati» spiega Mario Vavassori. «Se a questo si aggiungono le esternalizzazioni e la divisione internazionale del lavoro che ha portato alcuni servizi, per esempio i call center, ad essere trasferiti all’estero si comprende come si sia indebolita la forza contrattuale dei colletti bianchi». Se gli impiegati privati devono fare i conti con uno stipendio che si è assottigliato, non va certo meglio per i 3 milioni e mezzo di impiegati pubblici. «Il potere di acquisto degli statali ha perso almeno 8 punti percentuali» dice Carlo Podda, segretario generale della Funzione Pubblica Cgil. Podda contesta i dati dell’Istat secondo i quali gli impiegati hanno recuperato ampiamente sull’inflazione. «Non è così perché le stime dell’Istituto di statistica contengono nel calcolo della media delle retribuzioni - spiega - anche gli stipendi delle forze di polizia, dei magistrati che non c’entrano nulla con le categorie che noi rappresentiamo; e poi i rinnovi contrattuali avvengono spesso con notevole ritardo».
Prestiti. Anche per la spesa di ogni giorno Altri elementi di riflessione sugli effetti della crisi arrivano da una ricerca dell’Ires di prossima pubblicazione. Un primo indicatore analizzato dall’Istituto di ricerca economico sociale è stato quello dei consumi. «La spesa media negli ultimi 4 anni – dice l’Ires - si è ridotta di un terzo mentre contemporaneamente è aumentato il ricorso al credito al consumo. Con un particolare: i prestiti vengono richiesti anche per acquistare beni alimentari, a conferma di quella che viene chiamata la crisi della quarta settimana, la difficoltà a arrivare a fine mese». La conclusione dell’Ires è che il rischio impoverimento riguarda tutti i soggetti con un reddito inferiore a 1.000 euro al mese: sono in particolare lavoratori del Sud, delle piccole imprese, operai del settore manifatturiero, il 70% di coloro che hanno
TANIA / A3 / CONTRASTO
| economiasolidale | nuove povertà |
Manifestazione contro il lavoro precario.
[ P RESIDENTE DELLA F ONDAZIONE PER LA S USSIDIARIETÀ ]
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Roma, 2004
Secondo gli ultimi dati (del 2004 ) relativi alla povertà in Italia, l’Istat ha stimato che l’11,6% delle famiglie italiane si trova al di sotto della soglia di povertà relativa, mentre le famiglie “sicuramente povere” sono circa il 5,5%. Tale stima è confermata anche dalle indagini della Banca d’Italia: in termini di reddito equivalente, la quota di individui che vive in famiglie a basso reddito risulta pari al 13,3%, la stessa quota riscontrata nel 2000 e nel 2002. Esiste, tuttavia, un netto mutamento della povertà relativa di diversi componenti della società italiana: nonostante la limitatezza dei dati che identificano lo stock, ma non riescono a cogliere i flussi e dunque lo stato di permanenza o di fuoriuscita dalla condizione di povertà relativa, si nota un peggioramento effettivo per il Mezzogiorno, per le famiglie più numerose e per le coppie anziane. In particolare si registra il peggioramento relativo di chi ha un reddito fisso e basse qualifiche professionali/educative, tanto più se lavora in imprese esposte alla concorrenza. Tra il 2000 e il 2004, la quota di individui con capofamiglia operaio o impiegato a basso reddito è salita dal 5,9% al 7%, mentre per i lavoratori autonomi la stessa incidenza è scesa dal 8,1 al 7,2%. Quali rimedi? È stato ampiamente dimostrato che nel lungo periodo, mentre l’investimento in capitale umano tende a far decrescere stabilmente le diseguaglianze e le situazioni di povertà, ciò non avviene quando si attui una politica di trasferimenti che rischiano di venire distorti verso scopi diversi da quelli per cui sono erogati, oltre a appesantire i conti dello Stato in crisi e a generare nuove clientele. Per chi è in grado di agire e imparare, sono molto più efficaci incentivi alla formazione, istruzione e all’ingresso nel mercato del lavoro in condizioni di flessibilità. Per le categorie più deboli, invece, l’aiuto maggiore si ottiene dall’incremento degli aiuti ai soggetti attori della welfare society: quella realtà non profit di servizio alla persona che mostrano di essere efficienti ed eque verso tutte le situazioni di bisogno (come il Banco Alimentare). Tali aiuti si possono ad esempio ottenere attraverso detassazione delle donazioni (come la “Più dai meno versi” e il nuovo “Cinque per mille” introdotto nella Finanziaria 2006).
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TITO BOERI
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[ D OCENTE DI E CONOMIA E L AVORO ALL ’U NIVERSITÀ B OCCONI DI M ILANO ]
I dati della Banca d’Italia documentano che non possiamo più permetterci di avere un sistema di protezione sociale tutto squilibrato a favore delle pensioni e privo di una rete di ultima istanza. Un’altra legislatura è passata e nulla è stato fatto per affrontare la stridente lacuna di misure contro la povertà, in grado di garantire un reddito minimo a chi cade in condizioni di indigenza e di permettere a chi è a rischio di diventare povero di vivere le trasformazioni in atto nell’economia italiana in modo meno drammatico. Gli italiani, non a caso, continuano a reagire in maniera più negativa degli altri europei a fasi recessive e sono pessimisti in modo strutturale: ritengono probabile un peggioramento della loro situazione economica non solo a breve, ma nei prossimi quattro-cinque anni. L’Italia necessita di uno strumento di lotta contro la povertà che raggiunga i poveri senza lavoro. Lo strumento più appropriato a questo scopo è il Reddito minimo garantito (Rmg), uno schema oggi esistente, pur in forme diverse, in tutti i paesi dell’Unione Europea a 15 (e in diversi nuovi Stati membri), ad eccezione di Grecia ed Italia. Il Reddito minimo garantito dovrebbe sostituire e riordinare molti schemi pre-esistenti, integrandoli più strettamente fra di loro in modo da ridurre sprechi ed evitare che la compresenza di tanti strumenti diversi crei “trappole della povertà” (aliquote marginali di imposta effettive molto alte, perché accettando un lavoro si perde il sussidio). In particolare, il Rmg dovrebbe prevedere maggiorazioni per i figli a carico (in base sia all’età, sia al numero), i familiari disabili e le famiglie monogenitore. Dovrebbe, inoltre, sostituire le pensioni sociali e le integrazioni al minimo nonché tutte le prestazioni di indennità civile, l’attuale assistenza sociale e i programmi per i disabili a carattere non contributivo. Il Rmg dovrebbe essere progettato in modo tale da incoraggiare il lavoro part-time e il lavoro occasionale, le principali fonti di impiego per una quota consistente di potenziali beneficiari.
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ANDREA FUMAGALLI
| economiasolidale | contratti a progetto (ex Co.Co.Co) e chi si occupa dei servizi alle persone, come badanti o baby-sitter.
La fatica della quarta settimana Per spiegare il declino del reddito da lavoro dipendente, l’Ires ha preso come riferimento uno stipendio medio lordo di 23.000 euro (nel 2001), comparandolo con l’andamento del costo della vita e il beneficio dei rinnovi contrattuali. Questa la conclusione: «La perdita secca cumulata negli ultimi 4 anni è stata di 1.077 euro». Solo nell’ultimo anno, gli aumenti delle imposte sulla casa, dei bolli, delle spese bancarie, Rc auto, delle tariffe di gas e luce, le autostrade, la benzina, e il tabacco «hanno pesato sulle tasche per ogni lavoratore dipendente per 251 euro». Il danno per stipendi e salari è, però, maggiore perché non c’è stata la restituzione del fiscal-drag, il meccanismo per cui quando si ha l’inflazione in crescita l’aumento del reddito monetario non comporta un pari aumento del reddito reale, ma il fisco non tiene conto di ciò e tassa il lavoratore considerandolo più ricco. Il mancato rimborso da parte del Governo del fiscal-drag «ha comportato una perdita media, tra il 2002 e il 2005, di circa 500 euro a testa». L’Eurispes parla di un declino che ha colpito la classe media e po-
polare, aumentando il divario tra ricchi e poveri. Alle 2.674.000 famiglie povere rilevate dall’Istat ne vanno aggiunte altre due milioni e mezzo a rischio povertà. Sono nuclei che hanno tagliato il tempo libero (del 61,5%), viaggi e vacanze (64%), pasti fuori casa ( 66%), regali (72%). Hanno invece aumentato in modo consistente i loro redditi: commercianti, imprenditori edili, titolari di centri estetici, commercialisti, dentisti, consulenti. «Categorie – sostiene l’Eurispes – che hanno saputo sfruttare il ciclo economico di elevata inflazione adeguando verso l’alto in maniera consistente i loro onorari, tariffe e parcelle professionali».
La famiglia pilastro del welfare italiano L’indagine sui redditi evidenzia anche un altro aspetto: aumentano i nuclei composti da single e questo abbassa il reddito globale delle famiglie, indebolendo il loro ruolo di cuscinetto anti-crisi. «La famiglia è la gamba nascosta del welfare italiano – conclude la sociologa Chiara Saraceno - senza il ruolo che svolge, spesso di supplenza dei servizi pubblici, ci sarebbero dei contraccolpi sociali molto pesanti. I suoi componenti svolgono un lavoro gratuito di cura alla persona importanti».
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[ D OCENTE DI E CONOMIA P OLITICA ALL ’U NIVERSITÀ DI P AVIA ]
Diventa sempre più necessario impostare un nuova politica di welfare e di protezione sociale, in grado di invertire la crescente polarizzazione dei redditi. La crisi del paradigma keynesiano-fordista apre nuove problematiche: il passaggio verso forme di capitalismo cognitivo impone nuove rivendicazioni economiche e sociali. Il processo produttivo è caratterizzato sempre più da elementi immateriali legati alla capacità cerebrale e cognitiva. Prova ne sono la terziarizzazione dell'economia, e le nuove modalità organizzative e strategiche adottate dalle imprese, basate su forti processi di apprendimento, e su nuove economie di scala, e la diffusione delle nuove tipologie contrattuali: non v'è alcuna differenza sostanziale tra occupazione e disoccupazione, esiste solo il lavoro intermittente, più o meno precarizzato o specializzato. È su questo elemento che è necessario confrontarsi per una ridefinizione attuale del welfare state. Esso non è più in grado di creare le condizioni per entrare nel mercato del lavoro, né può garantire il diritto al lavoro. Piuttosto, deve creare le condizioni perché ogni individuo residente in un territorio abbia la garanzia, in modo incondizionato, di un reddito stabile e continuativo in grado di consentire lo sviluppo delle sue capacità cognitive-creative, insieme al diritto di scelta del lavoro (ben diverso e più dirompente del diritto al lavoro). In secondo luogo, occorre prendere atto che la produzione e l'attività lavorativa non avvengono più in un luogo solo (fabbrica, ufficio, casa), ma sono disseminate in un territorio, fisico e virtuale. Oltre al venir meno della distinzione tra lavoro e non lavoro, sfuma anche la separazione tra produzione e consumo, produzione e riproduzione. Ciò significa che il welfare, nel garantire come perno centrale della sua azione un reddito dignitoso incondizionato, deve riferirsi a un duplice livello spaziale: quello sopranazionale (nel caso nostro, l'Europa, così come prospettato nel rapporto Supiot) e quello locale. Lo sviluppo di welfare a livello regionale, è condizione necessaria perché i soggetti interessati possano rivendicare ed organizzare interventi adeguati alle proprie caratteristiche (storiche, antropologiche, geografiche) all'interno di un quadro normativo e sociale generale e comune.
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I nuovi poveri? Una sfida per la politica e il vangelo I dati del Progetto Rete di Caritas disegnano la mappa della povertà in Italia. Non solo disoccupati, emarginati, senza dimora, migranti e analfabeti. Ma anche diplomati, famiglie monoreddito con più figli, pensionati. Intervista a don Vittorio Nozza.
Q di Piero Bosio
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uali sono oggi le nuove povertà? Oggi la povertà ha un triplice volto. Il primo è quello più visibile, più conosciuto, quello di una povertà generata dalla mancanza di risposte ai bisogni primari come il cibo, i vestiti, la casa e il lavoro. È una povertà in crescita che colpisce singoli cittadini ma che inizia a intaccare anche i nuclei familiari Il secondo volto è quello della povertà generata da non risposte ai bisogni relazionali, a questioni come la solitudine, l’abbandono. Riguarda in particolari anziani, malati mentali, carcerati, immigrati, famiglie mono - parentali. È aumentato in sostanza il numero delle persone sole. Il terzo volto della povertà è quella che abbiamo definito “vuoti a perdere”, coloro che vivono in una situazione di non senso, di non valore della propria vita. Qui abbiamo forme di autodistruzione come la droga, l’alcool, la bulimia, il gioco d’azzardo.
stino identici bisogni di intervento. Questo approccio produce un risultato di minore capacità di percepire la portata dei fenomeni immaginando di porvi rimedio facendo parti uguali tra diseguali.
Sono povertà temporanee, contingenti o siamo di fronte a qualcosa di diverso? È una povertà, purtroppo, sempre più strutturale, sempre meno di passaggio e questo ci preoccupa molto. Ci stiamo quasi abituando al fatto che tra i 3 e i 4 milioni di persone vivono in condizioni di povertà, all’interno della quale è aumentato il numero degli immigrati. Nel nostro Paese i nuovi poveri crescono perché non ci si cura abbastanza dei vecchi poveri. Mi preoccupa il fatto che si continui a pensare e a far credere che tutti i poveri, vecchi e nuovi, siano nella stessa condizione e che manife-
Sul piano politico si è aperto un dibattito sul nuovo Welfare. Quale è la strada che secondo lei bisogna seguire anche per dare una risposta ai più deboli, ai nuovi poveri? Prima è necessaria una riflessione. Le condizioni degli operai nel secolo scorso erano pur sempre insicure ma, perlomeno, erano all’interno di un quadro di relativa stabilità economica e legislativa. Viceversa, oggi i lavoratori si trovano in una precarietà stabile nella quale non c’è un passaggio tra lavoro e lavoro ma tra una “ atipicità” e la paura del futuro. Purtroppo, oggi, molti degli
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Lei ha parlato di una povertà dai tre volti. Come affrontarle? Di fronte ai tre tipi di povertà che ho descritto non si può pensare di dare una risposta mono- direzionale ma ci vogliono iniziative articolate, diverse. In alcuni casi, sono necessari le mense e i centri di accoglienza, in altri ascolto e attenzione, il far sentire una solidarietà che aiuti a essere tirati fuori dall’abbandono in cui si trovano. Infine, ci sono persone che hanno bisognosi di essere aiutate per riempire il vuoto della loro vita e qui diventa importante il ruolo degli oratori, della scuola , della comunità.
strumenti culturali che in passato hanno funzionato a sostegno del pieno impiego sono stati distrutti o resi inservibili dalla rivincita di un neoliberismo senza argini. Ecco perché sostengo che le questioni poste dall’esistenza della povertà, quella antica e nuova, impongono un mutamento etico/culturale da cui far discendere un coerente atteggiamento politico.
troppo, sempre più dalla solidarietà all’individualismo, Si sta passando dalla sicurezza “sociale” a quella individuale più o meno incentivata (previdenza, sanità e accesso all’assistenza. Perciò il vero nodo è culturale: se è in crisi un cultura della solidarietà, come rianimarla e tradurla in termini operativi? Ne nasce una sfida alla politica ma anche a quanti sono interpellati dal vangelo della carità.
Che conclusione trae? Mi domando se sia ammissibile un ordine delle cose che condiziona la produzione della ricchezza a una corrispondente produzione di povertà. Il passaggio più difficile non sta nel rispondere a questa domanda, ma nell’accettarla. Prima che sia tardi.
Ha qualcosa da rimproverare al Governo e alle istituzioni? È importante che l’istituzione pubblica entri sempre più nell’ottica della solidarietà, bisogna smetterla di contrarre le garanzie sociali, attivando e incrementando invece i servizi e le risposte sociali. Bisogna prima di tutto far fronte organicamente alle esigenze degli ultimi della fila in modo da emanciparli dallo stato di emarginazione e poi applicarsi a indagare e contrastare le cause dell’impoverimento diffuso. Sono infatti convinto che se, per esempio, si impostasse una legge finanziaria attorno alla scelta prioritaria del “reddito minimo di inserimento” (o anche di “ ultima istanza”, anche se sono cose diverse) si avrebbero idee più chiare sul da farsi per affrontare i fattori che fanno entrare nella marginalità interi settori sociali teoricamente protetti e tutelati.
Veniamo alle proposte per affrontare le nuove povertà. Noi, come Caritas, incoraggeremo ogni scelta politica che abbia questi tre requisiti. Il primo è che sia una scelta che libera i poveri e corregge le situazioni di ingiustizia. Liberare, in questo caso, è sinonimo di libertà dal bisogno. Il secondo deve integrare gli esclusi con la fruizione dei diritti sociali a partire dal lavoro, con la realizzazione della piena cittadinanza. Il terzo requisito, infine, deve essere la socializzazione degli inclusi, corresponsabilizzando l’intero corpo sociale nel perseguimento del bene comune. Queste sono le nostre priorità, anche se siamo consapevoli che ci si sta spostando, pur-
stiamo “Ci abituando al fatto che tra i 3 e i 4 milioni di persone vivono in condizioni di povertà... è un dato strutturale
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Per ogni strada un futuro A noi la scelta Quale futuro vogliamo? È la domanda da cui nasce Terra Futura. Un momento di confronto tra punti di vista diversi. Perché non esiste un’unica risposta. Esistono più strade tra cui scegliere. L’importante e aprire gli occhi e vedere dove portano. pur attirando molte critiche e generando grandi conflitti con altri settori e con i sindacati. Ma questi sforzi sarebbero inutili se poi i singoli cittadini non modificassero le proprie abitudini. Le scelte riguardano anche loro. Scegliere uno stile di vita che non inquini, o che inquini meno, scegliere di non sprecare risorse, scegliere di acquistare prodotti coltivati rispettando l’ambiente e provenienti da un commercio equo. Ad esempio basta qualche attenzione per ridurre i chilometri percorsi in macchina in un anno, senza peggiorare la qualità della vita. Oppure l’agricoltura biologica. Oggi in Italia occupa poco più del 3% dei terreni coltivabili e un angolo sugli scaffali dei nostri supermercati. Noi vogliamo invece candidare l’agricoltura biologica come unico modo di procurarsi il cibo. Dovrebbe diventare la normalità, il futuro, “il” metodo per coltivare». Lo sostengono scienziati ed economisti, lo dimostrano le esperienze concrete di imprenditori e persone comuni. Entrambi gli aspetti, quello teorico e quello pratico, si incontreranno a Terra Futura: nei dibattiti e nei momenti di approfondimento culturale con personaggi come Wolfgang Sachs, Susan George, Vandana Shiva o Paul Hawken, alcuni dei membri del comitato di garanzia di Terra Futura. E nel mosaico di esperienze esposte negli stand, raccolte attorno a cinque parole chiave, cinque ambiti della vita quotidiana sui Uscire dall’angolo, diventare realtà «Spesso chi partecipa a iniziative di questo genere torna a casa pen- quali intervenire: abitare (la casa, i trasporti, la medicina non convenzionale, il turismo responsabile); produrre (la finanza etisando “è tutto molto interessante, ma nella mia vita quoTERRA FUTURA ca, il commercio equo, le energie rinnovabili); coltivare tidiana non posso metterlo in pratica”. Il nostro compito 31 marzo - 2 aprile (l’agricoltura biologica, lo slow food, la chimica verde); agiè dimostrare come, con piccoli accorgimenti, buone idee dalle 9 alle 20 re (le campagne di opinione, la cooperazione internaziopossano diventare buone pratiche», spiega Karl Shibel, ingresso libero www.terrafutura.it nale, le associazioni per i diritti umani) e governare (le pocoordinatore della Fiera delle Utopie concrete, un altro litiche ambientali, l’educazione ambientale, la tutela del partner della manifestazione: «Realizzare un nuovo moterritorio e tutti gli ambiti in cui gli enti locali devono esdello economico, sociale e ambientale è una questione di sere coinvolti nel processo di cambiamento). scelte, che devono essere prese a tutti i livelli: da parte delle imprese, delle istituzioni e della gente comune». Sono le tre anime di Terra Futura, i tre mondi che si incontreranPiù occhi per vedere la meta no e si confronteranno a Firenze. «Le imprese devono sceUno scenario ampio e articolato prenderà forma a Terra gliere un nuovo modo di produrre, governi ed enti locali Futura, frutto del pensiero e del lavoro di una squadra che devono adottare politiche rivolte all’ambiente, alle emerunisce esperienze diverse. Promotore dell’avventura è genze sociali, alla tutela dei diritti dei lavoratori – continua Banca etica, attraverso la Fondazione Responsabilità Etica Shibel – Prendiamo, ad esempio, l’Italia e la Germania. Le e il sostegno della Regione Toscana, insieme a un gruppo politiche dei due governi in campo energetico sono comdi compagni di viaggio d’eccezione: Caritas Italiana, Arci, pletamente diverse. I risultati anche. Il governo tedesco sta Cisl, Fiera delle Utopie concrete e Legambiente. Una banpuntando pesantemente sulle energie rinnovabili: elevati ca, un sindacato, un’associazione ecclesiale che combatte incentivi, 300 mila posti di lavoro creati in questo settore, la povertà e l’esclusione sociale, un’associazione culturale
ALLA TEORIA, ALLA PRATICA, ALLA VITA QUOTIDIANA. È questo l’intento di Terra Futura. Una fiera, un convegno, un laboratorio, un luogo di confronto e di dibattito. Un contenitore multiforme per raccogliere in un unico spazio le esperienze di Elisabetta Tramonto concrete di chi è riuscito a trasformare in realtà quella che in molti casi resta solo l’idea di uno sviluppo sostenibile. «Un’occasione per vedere materializzati tanti discorsi portati avanti, spesso solo a livello teorico, su un nuovo modello di sviluppo», sottolinea Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente, tra i promotori di Terra Futura. Esperienze in qualsiasi campo, dalle energie rinnovabili al commercio equo, dall’agricoltura biologica al turismo responsabile, dalla finanza etica alla medicina non convenzionale, con un unico vincolo: essere vere, concrete, realizzabili. In modo che, una volta usciti dalla Fortezza da Basso a Firenze, sede per il terzo anno consecutivo di Terra Futura, non si torni alle proprie case, alle proprie attività, alla propria vita quotidiana, dimenticando quello che si è visto.
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| economiasolidale | laica, un’associazione ambientalista. Perché realtà tanto diverse hansta». Spiega Francesco Marsico: «In molte aree del mondo ci sono sino scelto di lavorare insieme? Perché la vita non è organizzata a comtuazioni di instabilità e di non governo, conflitti dimenticati (raccolpartimenti stagni. Da quando ci alziamo la mattina a quando andiati nei due rapporti della Caritas, il primo di tre anni fa “Conflitti dimo a letto la sera noi respiriamo, mangiamo, acquistiamo, lavoriamo, menticati” pubblicato da Feltrinelli, il secondo l’anno scorso “Guerre interagiamo con altre persone, senza soluzione di continuità. Come alla finestra” de Il Mulino) che spesso hanno origine da questioni ecodisse l’economista E. F. Schumacher “il nostro compito è guardare il nomiche o di approvvigionamento delle risorse. Conflitti che trovamondo e vederlo intero”. Non si può pensare di risolvere i problemi no spazio sulle pagine dei quotidiani solo per brevi periodi e solo se dell’ambiente senza affrontare le questioni sociali, tutelare i diritti dei accidentalmente coinvolgono nostri connazionali. Serve più formalavoratori senza progettare un modello economico diverso, diffondezione nelle scuole, scelte editoriali più coraggiose e una maggiore care la cultura senza combattere la povertà e l’esclusione sociale. Su quepacità del mondo della solidarietà di fare informazione. Terra Futura sto punto Maurizio Gubbiotti di Legambiente non ha dubbi: «Basta è un primo passo». sfogliare il calendario del 2005 per accorgersi di quanto le questioni ambientali, sociali ed economiche siano strettamente legate tra loro – Petrolio? No, grazie spiega Gubbiotti - L’anno è iniziato con lo Tsunami e si è concluso con A Terra Futura si discuterà di ambiente, salute, conoscenza, diritti fonil terremoto in Pakistan passando per l’allagamento di New Orleans e damentali. L’attenzione sarà concentrata sul tema dell’energia, in paruna serie di altre catastrofi naturali. Capricci del clima? Eventi impreticolare sul petrolio e le sue ricadute economiche e sociali. «È sempre vedibili e inevitabili? In parte, ma è evidente che l’azione più evidente come la dipendenza da questo liquido nero umana abbia avuto un ruolo fondamentale. Un modello non sia conveniente anche da un punto di vista econoeconomico insostenibile ha fatto sì che questi fenomeni mico – spiega Karl Shibel - I continui aumenti del prezzo assumano una potenza sempre più forte e che si accorcidel greggio mettono in ginocchio economie come quella no i tempi tra un evento e l’altro». A pagare, poi, sono italiana che non hanno ancora costruito un modello sempre i più deboli. Lo ribadisce Francesco Marsico, viceenergetico alternativo. Già il termine “energie alternatidirettore della Caritas Italiana. «È necessario uno sguarve”, usato in questi casi, fa capire quanto siamo lontano do a 360 gradi, affrontare il problema da tutti i punti di dalla meta. Alternative a che cosa? Perché il petrolio deve vista: sociale, economico, ambientale». Ma non è affatto rappresentare la normalità, mentre eolico, solare e bioFrancesco Marisco. semplice. «Perché, spesso, si tende a chiudersi nel proprio massa sono considerati un’alternativa?». Risponde Maucampo di azione senza preoccuparsi delle ricadute sugli altri fronti» rizio Gubbiotti: «Serve un nuovo modello che punti su tre filoni: rispiega Stefano Biondi della Fiba-Cisl. «Quando una fabbrica chiude sparmio energetico, efficienza energetica e produzione di energia da perché inquina troppo è un bene per l’ambiente, ma un male per chi fonti alternative. A Terra Futura ci saranno imprese che usano come ha perso il lavoro. Quale interesse bisogna salvaguardare? La sfida è fonti energetiche eolico, solare, biomasse, microidrico. Ma anche trovare una soluzione comune che tenga conto di tutti i punti di viesperienze europee come quelle di Spagna e Germania».
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L’azienda responsabile
Un investimento intrinseco e strategico di Massimiliano Pontillo
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EGLI ULTIMI TEMPI SI PARLA TANTO DI RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA, marketing etico, sviluppo sostenibile. Decine
di pubblicazioni e ricerche. Molteplici i convegni e le iniziative. Non si dovrebbe trattare di una moda. Sin dall’inizio del secolo scorso ci si interroga su quale sia lo scopo di un’azienda. Due le teorie più importanti: la prima, neoclassica, di Milton Friedman, secondo cui “l’impresa è di proprietà di un gruppo di investitori che mettono insieme le proprie risorse volontariamente al fine unico di raggiungere un aumento della loro ricchezza”. La seconda, che fa capo agli economisti Freeman ed Evan, stabilisce che “i poteri del management debbano essere usati a beneficio dell’intera comunità, oltre che per il profitto degli azionisti o dei proprietari”. Entrambe le posizioni non sembrano incompatibili; nell’una il manager tratterà bene gli stakeholder al solo scopo di ricavarne un profitto; nell’altra perché è la cosa giusta da fare. Più recentemente, a partire dagli anni ’70, tale dibattito, in particolare con riferimento alle posizioni più propense a considerare la responsabilità sociale d’impresa come un dovere morale, ha avuto un notevole riscontro nel diritto internazionale, generando un gran numero di atti e documenti: dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, dall’Onu alla Commissione Europea, che con il Libro Verde (2002) definisce la responsabilità sociale dell’impresa come «l’integrazione su base volontaria dei problemi sociali Coniugare economia e ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni e profitto è possibile con le altri parti»; lanciando un appello, tra l’altro, affinchè si mettano soddisfacendo in campo politiche attive di sostegno delle buone pratiche anche e soprattutto l'interesse individuale e perseguendo nelle aziende di piccole e medie dimensioni, il vero tessuto dell’economia. interessi collettivi È indubbio che la mission dell’impresa è quella di generare profitti, ma al contempo si può contribuire ad obiettivi sociali e alla tutela dell’ambiente, integrando la responsabilità sociale come investimento intrinseco e strategico. Le prassi rilevanti socialmente responsabili di un’azienda riguardano: a) una corretta gestione delle risorse umane e il rispetto dei diritti; b) la salute e la sicurezza dei lavoratori; c) la riduzione dei consumi delle risorse o delle emissioni inquinanti; d) una buona integrazione con la comunità locale; e) l’affidabilità e la credibilità nei rapporti con i fornitori e i consumatori. L’equità, inoltre, dovrebbe rappresentare la norma centrale attorno alla quale far ruotare l’organizzazione aziendale e di conseguenza l’intera società civile. «Nell’epoca della globalizzazione – afferma Stefano Zamagni, Docente di Economia politica all’Università di Bologna – l’impresa socialmente responsabile, è quella che concorre a definire un’etica civile capace di dar vita a forme di condensazione organizzativa adeguate alle nuove sfide di una società postindustriale». Certo è che i recenti casi di bancarotta e dissesti finanziari hanno riportato la nostra attenzione sui temi della reputazione, della fiducia e dell’altruismo: beni assolutamente irrinunciabili per lo sviluppo sano di un’impresa, che ne condizionano la competitività e la performance economica. È importante che siano diffusi e applicati in tutte le organizzazioni e tipologie d’impresa: creando quel circolo emulativo virtuoso che sia di stimolo ad un impegno concreto verso la costruzione della coesione sociale; in un mercato capace di conciliare soddisfacimento dell'interesse individuale e perseguimento di interessi collettivi, coniugando etica e profitto.
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economiaefinanza
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altrevoci LOCALE E GLOBALE. IL NUOVO ORDINE MONDIALE NON È UNO SCONTRO DI CIVILTA’
CHI COMANDA VERAMENTE IN ITALIA
UN MANUALE PER LA SCIENZA SOSTENIBILE
ALTRUISTI E INTERESSATI, LA VIA DELLA FELICITÀ
CAROFIGLIO E IL LEGAL THRILLER ALL’ITALIANA
RIGHE CHE VANNO SPESSO A CAPO
Pulizie etniche, guerre, migrazioni e carestie entrano tutti i giorni sotto forma di informazione nelle nostre case. Siamo così sicuri, però, che ciò che accade nell’attualità del mondo globalizzato sia immediatamente comprensibile alla gente anche senza fornire una chiave di lettura? Più le immagini disastrose si affollano nella nostra mente e meno si capisce ciò che succede, se non si allarga il campo di osservazione. Un compito che spetterebbe alla scuola, ai partiti, alle istituzioni, alle associazioni. Non è però così semplice. Per capire il mondo, bisogna vivere una dimensione interculturale quotidiana, promuovere l’incontro con l’altro nella scuola e negli altri luoghi della socialità. Secondo Giorgio Dal Fiume far emergere tutto il valore positivo della differenza e della convivenza tra le culture altre è il primo - ma non il solo passo per colmare il vuoto lacerante e la disunità che esiste tra il piano globale quello locale. Se non si colma questa frattura, il rischio che si corre è quello dell’appiattimento che riduce il tutto ad uno “scontro di civiltà”. Una interpretazione che, secondo l’autore, ha lo scopo di costruire il consenso sociale intorno a una politica che mira al mantenimento dei privilegi dell’Occidente. La ricostruzione etnica della storia fatta rimuovendone le dinamiche di potere e gli effetti sugli “altri” sono strumenti fondamentali a tal fine. Il metodo interculturale è allora essenziale per innovare la storia e la critica alla globalizzazione, oltre che per promuovere approcci pedagogici capaci di opporsi ai fondamentalismi.
Chi comanda veramente in Italia? Quali sono i veri centri di potere e, soprattutto, quali sono quelli in grado di condurre il Paese fuori dalla crisi? Queste sono le domande fondamentali che Giancarlo Galli, giornalista e scrittore, si pone nel libro “Poteri deboli”. Dopo cinquant’anni vissuti a fianco di grandi personaggi della politica e della finanza, Galli si abbandona a una lunga “confessione”. Ricordi che incrociano grandi nomi della storia italiana, come Enrico Cuccia e Ezio Vanoni. Ed anche potenti ed ex potenti di oggi, come Giulio Tremonti e Antonio Fazio. Se un tempo c’era un capitalismo di relazione e non di mercato, dove il ruolo principale era giocato dalle grandi famiglie dell’economia, secondo l’autore, il tratto distintivo dell’Italia contemporanea sembra essere un enorme vuoto di potere. I tradizionali protagonisti della vita economica del Paese, dai partiti politici ai sindacati fino ai gruppi economici e finanziari, si sono frammentati in tanti soggetti deboli, la cui preoccupazione è solo quella di sostenersi a vicenda.
Se esiste una scienza della sostenibilità, deve esistere anche un manuale che la spieghi. A scriverlo ci ha pensato Gianfranco Bologna, direttore scientifico e culturale del WWF Italia. Oltre trecento pagine divise in sei capitoli per aiutare chi si occupa professionalmente di queste problematiche. L’autore parte da una citazione “…è vitale riorganizzare il nostro sistema mentale per riapprendere ad apprendere”. La sostenibilità richiede questa riorganizzazione perché è una scienza transdisciplinare la cui prospettiva viene continuamente arricchita dalle nuove discipline scientifiche. Dopo una diagnosi dell’impatto dell’uomo sulla terra, si prosegue descrivendo i personaggi e le idee chiave che hanno costruito la scienza della sostenibilità, le teorie di riferimento e le forme di applicazione concreta. Il volume si chiude con due questioni che sono al centro del dibattito scientifico mondiale: il cambiamento del clima e l’impoverimento della biodiversità. Utile e agile il glossario in appendice al libro.
Rispetto alla situazione dei paesi del Sud del mondo, l’assunzione di responsabilità dei singoli è importante quanto la responsabilità sociale delle imprese e dello Stato. Per anni, la visione paternalistica per cui devono essere gli Stati ad occuparsi di queste cose ha deresponsabilizzato i cittadini e depresso il loro spirito di iniziativa. Una felicità sostenibile è possibile, dunque, se anche come singoli ci facciamo carico di una parte del percorso di sviluppo di questi paesi. Occorre mettere in atto comportamenti responsabili e favorire strumenti che già ci sono e funzionano, come ad esempio il microcredito. Un consumo socialmente responsabile, un risparmio e una finanza etica non sono il riflesso di un altruismo disinteressato, quanto piuttosto gli strumenti di un autointeresse lungimirante che coglie le tante interdipendenze (dalle migrazioni clandestine allo scempio dell’ambiente per combattere la povertà) che ci legano a popoli solo apparentemente così lontani.
Gianrico Carofiglio di mestiere fa il magistrato antimafia a Bari. Per anni ha mandato in giro i suoi manoscritti alle varie case editrici. La risposta era sempre la stessa: una lettera divisa in due parti. Nella prima si diceva: “Bello, scritto bene, interessante”. Nella seconda: “Non ci interessa”. Sempre così. Fino quando i suoi romanzi sono arrivati alla Sellerio che li ha accolti con entusiasmo. Non è un caso, perché l’editore palermitano è la stesso che pubblica Andrea Camilleri. L’avvocato Guido Guerrieri, il personaggio ideato da Carofiglio, per umanità e simpatia, ricorda molto il commissario Montalbano. “Testimone inconsapevole” è la storia di un caso di omicidio. Il corpo di un bambino viene ritrovato nel fondo di un pozzo. Non ci sono tracce di violenza sessuale. Dopo sbrigative indagini, viene accusato Abdou Thiam, ambulante senegalese che lavora nella spiaggia vicino alla casa dove abitano i nonni e dove il bambino va a giocare. Naturalmente il caso viene affidato a Guerrieri.
“Le coste del Mediterraneo si dividono in due, di partenza e di arrivo, però senza pareggio: più spiagge e più notti d’imbarco, di quelle di sbarco, che portano in Italia meno vite di quante salirono a bordo. Eppure Italia è una parola aperta, piena d’aria”. Comincia con questa nota di geografia “Solo andata” di Erri De Luca. Il sottotitolo "righe che vanno troppo spesso a capo" giustifica la scelta stilistica dell’autore di scrivere un romanzo in versi. L’opera è divisa in due parti: “Solo andata” dove De Luca ripercorre il viaggio di un gruppo di migranti clandestini, che dall’Africa si dirigono verso i "porti del nord". Qui la voce degli invisibili è accompagnata dai cori dell’antica tragedia, che raccontano e commentano gli avvenimenti. Il tono usato è sobrio, essenziale e il verso serve solo a dare ritmo a questo viaggio infinito. Nella seconda parte “Quattro quartieri” De Luca ripercorre alcuni luoghi per provare ad abitarli. Un libro che, come un fischio acuto, s’infila nella nostra sordità. .
LEONARDO BECCHETTI LA FELICITÀ SOSTENIBILE
GIANRICO CAROFIGLIO TESTIMONE INCONSAPEVOLE
ERRI DE LUCA SOLO ANDATA
Donzelli, 2005
Sellerio editore, 2002
Feltrinelli, 2005
« GIORGIO DAL FIUME UN’ALTRA STORIA È POSSIBILE
GIANCARLO GALLI POTERI DEBOLI
Bollati Boringhieri, 2005
Mondadori, 2006 | 66 | valori |
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GIANFRANCO BOLOGNA MANUALE DELLA SOSTENIBILITÀ
Edizione Ambiente, 2005
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TRE COSE MISTERIOSE PER TULLIO AVOLEDO DIRE NO AL GRANDE FRATELLO. LA LEZIONE DEL PADRE DI JACK FOLLA
C’è un processo internazionale. C’è un giovane sostituto procuratore che si prepara a inchiodare il mostro, un capo di Stato colpevole di genocidio. A volte basta un monosillabo per cambiare C’è la vita privata di un uomo il destino di una persona. Un sì o un no possono che sta per naufragare. fare la differenza. Lo sanno benissimo i dodici “Tre sono le cose misteriose” professori universitari che nel 1931 di Tullio Avoledo è la storia si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. di un uomo che ha un ruolo Dodici no su milleduecento docenti. A loro forte nella società ma sta Diego Cugia ha dedicato questo libro. perdendo la sua identità. Il padre di Jack Folla, che il 9 gennaio 2006 Stenta a riconoscere se stesso si è proclamato morto e fatto zombie negli specchi e nell’immagine per protestare “contro la politica di questo che gli altri hanno di lui. Paese, che sa il prezzo di tutto e il valore Mentre raccoglie prove di niente”, racconta una storia sulla per la sua requisitoria finale spettacolarizzazione delle ultime visioni e fa la contabilità dell’orrore, dei morenti. Il grande fratello del futuro si avvia il giovane procuratore si trova verso l’ultima meta: la morte e non risparmierà a fare i conti con il disastro nessuno, neppure Speranza una professoressa personale e con l’idea stessa che, dopo l’insegnamento, si è ritirata su di responsabilità. La vita è fatta un’isola greca. Lei si è chiamata fuori dal gioco di tante piccole colpe di cui e proprio per questo, suo malgrado, viene scelta prima o poi saremo chiamati come protagonista di un famoso reality-show. a pagare il conto. Lui vive Le viene inoculato un veleno mortale, in Svizzera con il figlio adottivo che ha l’effetto di proiettare pensieri e immagini Adam, che ha otto anni e mille mentali direttamente sui teleschermi. Milioni paure. Con la moglie Chiara, di persone, nella grande rete interattiva, un tempo non troppo lontano, potranno vedere la sua vita. Avrà 90 minuti si sono amati ma ora di quel di tempo per raccontare la propria storia, prima sentimento non restano di essere salvata dal voto del pubblico a casa, che feroci schermaglie verbali, o morire in diretta. silenzi e tenerezze imbarazzate. La salveranno? E se sì, Speranza si farà In quei giorni in cui pare iniettare l’antidoto? Un romanzo che guarda concentrarsi il senso di più vite, impietosamente all’Italia omologata di oggi, tutte le domande verranno ma dove ancora qualcuno ha il coraggio di dire NO. a galla. DIEGO CUGIA NO
TULLIO AVOLEDO TRE COSE MISTERIOSE
Bompiani, 2001
Einaudi, 2005 |
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IN CAMMINO CON GLI ULTIMI DI SALGÃDO
contrasto
C’è una cosa che colpisce di Sebastiao Salgãdo: le sue foto stanno sempre dalla parte degli ultimi, non importa in che parte del mondo stiano, purché siano ultimi. Questo brasiliano di Aimoré, classe 1944, economista di formazione, punta da sempre il suo obbiettivo sulla sofferenza, sulla povertà, sui senza terra e diritti, sulla natura violentata, senza far avvertire nelle sue foto il senso di sconfitta. “In cammino" sono immagini raccolte sulle rotte delle migrazioni. L’umanità si mette in cammino dai cinque continenti in cerca di salvezza, spezzando i legami con le proprie radici e il proprio passato. È un progetto di indagine fotografica che, a partire dal 1993 e in sette anni di lavoro, ha portato il fotografo brasiliano attraverso trentacinque paesi, sulle diverse strade dell’esodo per documentare l’epopea di milioni di persone. Dopo aver fatto parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos, nel 1994 con la moglie Lélia Wanick ha creato l’agenzia Amazonas Images a Parigi dove attualmente vive. Da alcuni anni è impegnato nello sviluppo e sostegno dell’Istituto Terra, un progetto di riforestazione della fascia atlantica brasiliana. « SEBASTIÃO SALGADO IN CAMMINO
Contrasto, 2000
I MILLE VOLTI DELL’ISLAM NELLE FOTO DI ABBAS Qual è l’Islam che conosciamo o che crediamo di conoscere? È quello che vede il suo futuro nel ritorno al passato più autentico e mitico, fatto di chador e burka, fatwa e sharia, o quello più morbido che aspira alla moderna democrazia? L’Islam è entrambe queste cose. È tensione continua tra questi due opposti, ben rappresentati dalle fotografie di Abbas, fotografo iraniano trapiantato a Parigi e con una lunga esperienza di reportage alle spalle, compresa quella che testimoniò la rivoluzione nel suo paese d’origine. Con i suoi scatti Abbas ci dà una rappresentazione fedele di questa contraddittoria galassia, che è tale perché sono tanti gli universi, anche geografici, che la compongono. La parola Islam viene spesso sovrapposta alla parola arabo, che invece è contenuta nella prima. Islam, infatti, è un concetto sovranazionale che abbraccia una amplissima fetta di mondo che va dall’Africa all’estremo Oriente e quindi risente dei differenti usi e costumi. Molti musulmani vivono nell’area che va dal Marocco all’Iraq. Comunità di musulmani si trovano in Somalia, Senegal, Mauritania, Yemen, Afghanistan e Pakistan, per arrivare attraverso l’India nel Mali. Per sette anni Abbas ha percorso ventinove differenti paesi alla ricerca dei diversi Islam del mondo. Alla fine “colui che scrive con la luce” è tornato con lo stesso dubbio che aveva quando era partito. Segno che non ha viaggiato invano.
« ABBAS VIAGGI NEGLI ISLAM DEL MONDO
Contrasto, 2002
fotografia
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E NOI VI GUARDIAMO... UN MONDO DI DONNE
GLI SCATTI RITROVATI DI IVAN BIANCHI
Sono foto in bianco e nero che ritraggono sguardi di donne. Volti sorridenti e cupi, allo stesso tempo, con i segni della fatica quotidiana di vivere. Quelle ritratte da Danilo De Marco sono donne dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa, nelle loro piccole e grandi battaglie per la sopravvivenza. Quarantadue scatti che animano la mostra “E noi vi guardiamo… un mondo di donne in cammino”, ospitata fino all’8 marzo al Palazzo Rosso di Genova (ingresso gratuito). L’evento è organizzato da “Fratelli dell’uomo”, ong di cooperazione internazionale, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione delle donne delle aree più povere e dimenticate del Sud del Mondo. Le fotografie di De Marco fermano nel tempo immagini di amore e povertà, affetto e angoscia, dignità e disperazione. La sua fotografia è testimonianza, racconto etico, impegno morale. Fotografo e giornalista indipendente da più di 20 anni, De Marco collabora con i più importanti quotidiani, settimanali e mensili italiani e stranieri. In Francia collabora con Le Monde, Le Monde Diplomatique e Le Nouvelle Observateur. .
Nel dicembre di tre anni fa nei magazzini della biblioteca cantonale di Lugano, durante i lavori di ristrutturazione, vengono ritrovate 103 fotografie scattate tra il 1852 e il 1854 nella città di San Pietroburgo. Una scoperta che appare subito di grande interesse e valore. Le foto vengono attribuite a Ivan Bianchi (1811-1893), ticinese che ha trascorso oltre un trentennio nella ex capitale russa. San Pietroburgo nel 2005 ha celebrato questo pioniere della fotografia, dedicandogli una grande esposizione al Museo statale per la storia di San Pietroburgo. Le foto di Bianchi ricordano edifici legati a personaggi che hanno fatto la storia, come il principe Kutuzov, eroe delle guerre napoleoniche, o gli Ol’denburg grandi mecenati del tempo. Ritraggono anche ambienti intimi come le bodoir di palazzo Skobelev. Alcune fotografie sono state scattate a Mosca. Splendide quelle della Piazza Rossa e la chiesa della Natività di Putinki, notevole esempio dell’architettura barocca russa.
DANILO DE MARCO E NOI VI GUARDIAMO...UN MONDO DI DONNE IN CAMMNO
M. REDAELLI P.IA TODOROVIC SQUARCI DI STORIA PIETROBURGHESE E MOSCOVITA
Elr, 2005
Genova fino all’8 marzo 2006 |
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multimedia
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BINARIO 21, MEMORIALE DELLA SHOAH KAMASUTRA NON AMA IL COMPUTER
Il 30 gennaio del 1944 dal binario numero 21 della stazione centrale di Milano partì un convoglio con destinazione Auschwitz. A bordo c’erano 605 ebrei: i bambini da 1 a 14 anni erano più di 40. La più anziana era la signora Esmeralda Dina di 87 anni. All’arrivo ad Auschwitz, la successiva domenica 6 febbraio, circa 500 fra loro vennero selezionati per la morte e furono gasati e bruciati dopo poche ore dall’arrivo. I sopravvissuti furono 20. Questa storia è raccontata nel sito www. Binario21.org . Il Binario 21 era sotterraneo ed era stato costruito per il trasporto della posta, ma usato per la deportazione degli ebrei negli anni in cui erano in vigore in Italia le leggi razziali. L’ingresso era al piano terra di via Ferrante Aporti, lontano da occhi indiscreti. Oggi è un simbolo importante per la memoria della Shoah, perché si tratta forse dell’unica stazione ferroviaria europea in cui i luoghi sono rimasti come allora. Dopo alcune battaglie, raccolte di firme e costituzione di comitati, la comunità ebraica ha ottenuto che il binario 21 diventasse il memoriale della Shoah a Milano.
“Ho preso il Kamasutra!”. Se qualcuno vi dice questa frase non pensate male. Ha semplicemente preso un virus, nel computer. Si tratta di un worm che scatta in un giorno preciso: il 3 di ogni mese. Il veicolo iniziale di trasmissione è stata una e-mail, che poteva avere come oggetto frasi come “Hot Movie”, “Give me a kiss” e “Miss Lebanon 2006”, messaggi ed allegati che pubblicizzavano contenuti erotici. L’infezione è da ritenere pericolosa, perché mira direttamente ad eliminare alcuni file preziosi per la vita di tutti i giorni, come quelli di word, excel e con estensione zip. In una seconda fase vengono bloccate le funzioni vitali del computer, per poi passare a disattivare periferiche come il mouse e la tastiera. A rendere ancora più problematica l’infezione è il fatto che questo codice malevolo è in grado di disattivare alcuni antivirus non aggiornati. L’allarme, ovviamente, vale solo per chi usa Windows come sistema operativo, ma chi ha sistemi differenti (come Linux o Mac Os) deve evitare di diventare portatore sano, inoltrando allegati sospetti. Secondo la mappa realizzata dagli esperti i computer italiani risultano tra i più colpiti dall’epidemia. Come possiamo difenderci? Con gli antivirus, purché aggiornati. Per chi pensa che il suo sistema sia già stato infettato, la primissima soluzione, decisamente fai-da-te, consiste nello spostare all’indietro il calendario del sistema operativo, per “far credere” al computer che il giorno fatidico non sia ancora arrivato. Una soluzione simile è stata adottata dal comune di Milano.
WWW.BINARIO21.ORG WWW.ZONE-H.ORG | 70 | valori |
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QUANDO C’ERA SILVIO, TUTTA LA VERITÀ
SALVADOR ALLENDE E IL SOGNO CILENO
“Quando c’era Silvio” è un dvd che dura poco più di un’ora, firmato dai giornalisti Beppe Cremagnani, Enrico Deaglio, regia di Rubén Oliva. Uscirà i primi di marzo e sarà in vendita con il settimanale Diario, nelle Librerie Feltrinelli e nel circuito home video. Il dvd contiene documenti sconosciuti nella loro interezza, come la replica stizzita di Berlusconi, presidente del Consiglio europeo, a Martin Schulz, deputato della Spd tedesca, colpevole di aver chiesto notizie del processo europeo, del mandato di cattura e del riconoscimento dei documenti. C’è il filmato dell’editto bulgaro, con cui Berlusconi condanna all’esilio televisivo Biagi, Santoro e Luttazzi. Ci sono le relazioni pericolose del premier negli anni Settanta. La mafia è un argomento centrale in questo documentario: i due giornalisti partono dal soggiorno ad Arcore di Vittorio Mangano (lo stalliere), già capomafia del mandamento palermitano di Porta Nuova, e arrivano all’intervista che Paolo Borsellino, pochi giorni prima di morire nell’attentato di via D’Amelio, rilasciò al giornalista francese Fabrizio Calvi.
Salvador Allende è asserragliato nella Moneda, il palazzo presidenziale, con i suoi fedelissimi, nell’estremo e drammatico tentativo di resistere al golpe militare. Il palazzo bombardato dagli aerei e il presidente morto “suicidato”. Il sogno cileno di un programma di riforme a partire da quella agraria finì così. Il Cile sarà governato per molti anni da una giunta militare feroce capeggiata da Augusto Pinochet. La figura di Salvador Allende rimane, nella mente di molti, significativa. Quei suoi 1000 giorni di governo restano il più appassionato sforzo di costruire una società più giusta ed equa, usando gli strumenti della partecipazione, del dialogo, del consenso informato. Nei due film del regista cileno Patricio Guzmán non c’è solo affetto, ma anche tutto il dramma di un fallimento che interrogò e continua ad interrogare intere generazioni. Nel libro “Compañero Presidente”, a cura di Danilo Manera, ci sono testimonianze degli intellettuali cileni, oltre alla trascrizione degli ultimi drammatici discorsi di Allende. .
BEPPE CREMAGNANI ENRICO DEAGLIO QUANDO C’ERA SILVIO
I Film di Diario, 2006
PATRICIO GUZMÀN SALVADOR ALLENDE
Feltrinelli, 2006
novamont
stilidivita IPOD E SORDITÀ, APPLE IN TRIBUNALE
PAGELLA UGUALE PER TUTTI, A METTERE LE COSE A POSTO CI PENSA IL TAR
SOLE E VENTO PER IL WWF DI PADOVA
CONTENERE LA SPESA SENZA TAGLIARE
MCDONALD’S IL GIOCO CHE CONTESTA IL FAST FOOD
Apple è stata trascinata in tribunale da un uomo della Louisiana che ha denunciato la nota casa informatica per i danni che il player multimediale Ipod potrebbe procurare all’apparato uditivo. Si tratta di una richiesta di risarcimento danni depositata presso la Corte distrettuale di San Jose. Non vengono specificati quali danni, ma si fa riferimento ad una insufficiente documentazione allegata all’apparecchiatura sui rischi di perdita dell’udito. Il denunciante sostiene che l’Ipod sarebbe in grado di diffondere un suono superiore ai 115decibel e che un’esposizione a questo volume per 28 secondi al giorno, sempre secondo la denuncia, sarebbe in grado di provocare danni. Inoltre, si vorrebbe trasformare questa causa in una class action, tentando di coinvolgere altri consumatori insoddisfatti. Gli obbiettivi sono due: ricevere un indennizzo e obbligare Apple ad aggiornare il suo lettore con soluzioni hardware o software più sicure. Il caso ha un precedente in Europa, in Francia nel 2002. Allora l’intervento della magistratura obbligò la Apple a tarare i prodotti commercializzati con un output massimo di 100 decibel.
Le scuole elementari e medie consegneranno le pagelle e tutto sarà come stabilito nei programmi ministeriali del 1985 per le elementari e del ‘79 per le medie. Dove sta la notizia? Che dal 10 di novembre la Circolare 84/2005 del ministero dell’Istruzione ha sconvolto il mondo della scuola come un maremoto, che si è placato solo ai primi di febbraio, quando il Tar del Lazio ha emesso una sentenza che annulla la circolare, contenente un modello di pagella uguale per tutta Italia e che cercava di introdurre il contestato portfolio delle competenze e inseriva la religione tra le materie “opzionali obbligatorie”. Le reazioni alla circolare erano state immediate e durissime. I sindacati avevano segnalato la violazione della privacy e contestato che, inserendo la religione tra le materie che fanno media scolastica, le si conferisce un carattere di obbligatorietà contrario al Concordato dell’84. I Cobas della scuola avevano presentato tre ricorsi al Tar e chiesto la sospensione della circolare in attesa di un regolamento concordato con il Garante della privacy e, per la religione, il rispetto delle leggi vigenti, che dispongono di consegnare la valutazione su una nota staccata dalla pagella. I coordinamenti dei genitori erano insorti preparando i ricorsi, mentre le scuole erano in confusione: molte avevano deciso di conservare il vecchio modello di pagella; altre avevano seguito la circolare e per questo hanno dovuto stampare le pagelle due volte, tutto a proprie spese. Insomma, con un atto amministrativo come una circolare, il Ministero ha cercato di demolire un impianto di leggi consolidato e di tornare al Concordato del 1929, ma si è scontrato con una reattività, forse inaspettata in questo periodo.
Bisogna predicare bene e razzolare altrettanto bene, soprattutto quando si parla di energia in un periodo di crisi di approvvigionamento del gas. È il caso del WWF di Padova che ha realizzato un impianto per la produzione di energia sfruttando vento e sole insieme. Un esempio di tecnologia mista, perché il sistema mette insieme un impianto solare fotovoltaico di tipo isolato e un impianto eolico adattato per piccole utenze. La combinazione di vento e sole, infatti, permette una produzione energetica per tutto l’anno. Il sole di giorno e il vento di notte e in inverno, quando invece l’energia solare cala. L’energia prodotta viene accumulata in batterie ed è sufficiente ad alimentare il computer e il sistema di illuminazione della sede padovana del WWF. L’impianto è stato mostrato al pubblico che ne ha sperimentato in prima persona l’utilizzo. I curiosi hanno caricato il proprio cellulare collegandolo direttamente ai pannelli solari. Qualcuno ha fatto un giro per Padova con le biciclette elettriche la cui batteria può essere ricaricata collegandola all’impianto fotovoltaico.
Contenere la spesa pubblica si può, anche senza tagliare indiscriminatamente. È questa la risposta della Giunta regionale toscana alla Finanziaria 2006. Verranno, dunque, mantenuti i livelli occupazionali, soprattutto i lavoratori meno garantiti. La scelta della Regione punta alla razionalizzazione e riqualificazione delle risorse, rispettando le disposizioni sulla spesa pubblica fissate dalla Finanziaria e in particolare la riduzione del 3,8 per cento della spesa corrente rispetto al 2004. Tra le misure adottate: il contenimento della spesa annua di conferimento per gli incarichi esterni entro il limite del 50 per cento dell’analoga spesa per il 2004; la riduzione del 5 per cento rispetto al 2004 della spesa per la formazione del personale; il non superamento della spesa annua del 2005 per le assunzioni a tempo determinato e per i contratti flessibili. La Direzione generale bilancio e finanze avrà il compito di monitorare e attivare i meccanismi di riduzione, nel caso siano accertati sfondamenti dei tetti di sforamento. Infine, la Regione Toscana avrà una vera e propria agenzia informativa.
Lo hanno chiamato ironicamente McDonald’s ed è un singolare videogame lanciato da Molleindustria (ww.molleindustria.it). Il gioco consiste nel dirigere una multinazionale, controllandone ogni fase del processo: dal pascolo alla macellazione, dalla gestione del fast-food a quella del marchio. “Ricorda - recita l’introduzione - per avere successo e rimanere alla guida della più grande catena di ristorazione al mondo non dovrai farti nessuno scrupolo”. I creatori definiscono McDonald’s un “antiadvergame”, cioè un gioco creato appositamente per mostrare quello che la comunicazione commerciale cerca di nascondere. Il videogame può essere giocato direttamente online. “McDonalds” non è l’unico antiadvergame. Quando si arriva sulla sua homepage si trovano altri giochi curiosi come: “Embrioni in fuga”, dove la dottoressa Betty prova a scongelare gli embrioni e condurli al laboratorio per estrarre le cellule staminali; o “Tuboflex”, multinazionale del lavoro in affitto, che ha creato un complesso sistema di tubature che permettono di dislocare in tempo reale le risorse umane a seconda della domanda.
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ENERGIA NUCLEARE GREENPEACE CONTESTA IL RAPPORTO ENEA Greenpeace contesta il Rapporto Energia e Ambiente dell’Enea perché contiene una chiara mistificazione sui costi del nucleare. Secondo il rapporto, infatti, l’elettricità da nucleare costerebbe due centesimi di euro al chilowattora. L’associazione ambientalista ritiene che questa sia un’informazione infondata ed è preoccupata che passi tra i risparmiatori, convincendoli che il nucleare sia un buon investimento. Come argomentazione contraria i dirigenti di Greenpeace si chiedono come mai, se è vero che il nucleare è così economico, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, paesi in cui il mercato è stato liberalizzato da tempo, gli investimenti privati languono e i governi pensano di sussidiare pesantemente il nucleare. Le stime più ottimistiche del costo del chilowattora, quelle elaborate nell’ultimo rapporto del Dipartimento Usa dell’energia, confermano che il nucleare è la fonte più costosa sia del gas, del carbone e dell’eolico, nel breve e nel lungo periodo. Il costo, che supera i sei centesimi al chilowattora, è il più alto tra tutte le fonti energetiche, eolico compreso. Altri recenti studi del Mit (Massachussettes Institute of Technology) e dell’Università di Chicago mostrano rapporti di costo ancora più sfavorevoli al nucleare. Senza sovvenzioni pubbliche il destino del nucleare negli Stati Uniti è segnato per mancanza di investitori privati a causa degli eccessivi rischi di redditività degli investimenti. Ai problemi di costo, secondo Greenpeace, si aggiunge quello dello smaltimento delle scorie che dopo 60 anni di ricerca applicata rimane senza una soluzione adeguata.
IN SVEZIA NASCE IL PARTITO DEI PIRATI
LIVORNO, CAPITALE DELLA RICERCA
Nel settembre 2006 in Svezia ci saranno le elezioni e così un cittadino scandinavo, Rickard Falkvinge, ha pensato bene di fondare un nuovo movimento: il Partito dei Pirati. Il manifesto programmatico della neonata formazione si puo’ riassumere in tre punti: abrogare tutte le leggi sulla proprietà intellettuale; abrogare tutte le norme europee che obbligano ad archiviare i dati del traffico in internet e dei cellulari; favorire la nascita di leggi per tutelare la privacy dei cittadini. Il partito dei pirati ha raccolto quasi cinquemila sottoscrizioni, ma Falkvinge per avere qualche deputato dovrà ottenere almeno 225 mila voti per superare lo sbarramento del 5 per cento. Già 300 persone avrebbero chiesto di militare attivamente nel partito. Il capo di questo movimento si definisce un fautore del libero mercato e contesta duramente il monopolio dell’industria culturale che tende a criminalizzare i citttadini che attraverso le nuove tecnologie vogliono ascoltare musica, leggere testi e vedere film. Non si definiscono né rossi, né neri, né blu, sono solo dei pirati.
Sarà in Italia la capitale mondiale della ricerca sull’energia pulita. IFRF, (International flame research foundation), la più importante fondazione internazionale dedicata alla produzione termica pulita, sbarca in Toscana. Il Joint Committee dell’IFRF ha riconosciuto i risultati raggiunti da Enel nella ricerca di soluzioni innovative per l’abbattimento delle emissioni e per il miglioramento dell’efficienza nella combustione termoelettrica. Per questo ha offerto all’Italia l’opportunità di ospitare un centro di eccellenza di livello mondiale che gestirà una rete di collegamenti tra ricercatori di istituti e imprese europei, statunitensi, giapponesi e australiani. La sua sede sarà divisa fra Pisa e Livorno. Il nuovo centro lavorerà sull’efficienza della combustione termoelettrica e sulla riduzione delle emissioni in atmosfera. L’Italia l’ha spuntata su Università e centri di ricerca danesi, francesi, tedeschi, olandesi, inglesi e svedesi. La fondazione conta circa 150 membri, tra i quali l’americana Exxon Mobil Research, la tedesca E.On e la francese Eléctricité de France (Edf).
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informazionedisinformazione
ILARIA ALPI E IL LAVORO CHE NON SI VEDE
“LA MAFIA È BIANCA” TRASMESSO IN EUROPA
Parte il bando di concorso per la XII edizione del Premio Ilaria Alpi, giornalista della Rai uccisa a Mogadiscio oltre undici anni fa, il 20 marzo 1994, insieme al telecineoperatore Miran Hrovatin. Il Premio viene assegnato per le inchieste e i servizi giornalistici televisivi che trattano di solidarietà, non violenza, giustizia, diritti umani e lavoro. Tutti i servizi verranno valutati dalla giuria del Premio presieduta da Italo Moretti. Ci sarà anche una sezione dedicata ai giovani giornalisti al di sotto dei 32 anni. Novità assoluta di questa edizione sarà il Premio “Il lavoro che non si vede”, dedicato a quei filmati che approfondiranno le tematiche legate al lavoro ed è promosso da Nidil (sindacato dei lavoratori atipici aderenti alla Cgil), Arci e Regione Lazio. Il Premio Ilaria Alpi 2006 ha ricevuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e i patrocini della Presidenza della Camera dei Deputati, della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, dell’Ordine dei Giornalisti Nazionale e della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco.
Dopo la decisione del giudice del tribunale di Bergamo che ha rigettato l’istanza per il sequestro del libro e dvd “La mafia è bianca”, il documentario inchiesta sul presidente della Regione Sicilia è stato trasmesso in una sala del Parlamento Europeo. La sala, già qualche ora prima della proiezione, era gremita di italiani e non. L’iniziativa è stata di alcuni europarlamentari della sinistra italiana, tra i quali anche Claudio Fava, che volevano attirare l’attenzione sul caso Totò Cuffaro, candidato alle elezioni politiche come numero due della lista dell’Udc e attualmente sotto processo con l’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Il documentario-inchiesta, realizzato da Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini, due ex inviati di Sciuscià, porta nuovamente a riflettere sulla situazione della Sicilia, sui legami esistenti tra mafia, politica e sanità. Lo stereotipo del “mafioso” con coppola e lupara è tramontato, lasciando il posto a personaggi ben diversi, con camici e colletti bianchi - da cui l’ultima frase del film: “Se la mafia è bianca, come faccio a vederla?”.
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PREMIER IN TV, MA CON REGISTA PERSONALE DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE. QUANDO I GIORNALISTI FANNO LA STORIA “Gli uomini fanno la storia, diceva Marx. In particolare, si dovrebbe aggiungere, se di mestiere sono giornalisti. La storia d’Italia non fa eccezione: fin dagli albori del Risorgimento è passata attraverso le redazioni dei giornali, che non l’hanno soltanto raccontata ma anche suscitata e plasmata”. Così comincia l’introduzione di “Dal nostro inviato speciale. 1815-1945 Storia d’Italia vista attraverso le redazioni dei giornali” (Valentina Edizioni), ed è attraverso la storia dei giornalisti e delle redazioni del giovane stato italiano che Pier Luigi Vercesi ci dà uno spaccato della vita del nostro paese visto attraverso le vicende, pubbliche e private, di generazioni di giornalisti celebri da Ugo Foscolo a Mussolini. “Dal nostro inviato speciale” non è però un libro di storia perché all’autore, ex vicedirettore de Il Tempo e attuale direttore di Capital, oltre che docente universitario di Teoria e tecniche dei nuovi media e appassionato bibliofilo, interessano i singoli episodi curiosi, i personaggi e soprattutto gli interessa evidenziare il fenomeno, tutto italiano, per cui molto spesso la professione di giornalista è andata di pari passo con quella di politico. Moltissimi gli episodi gustosi che riguardano non solo la vita professionale ma anche quella personale di personaggi famosi dalle abitudini fantasiose, come per esempio quelli che riguardano Felice Cavallotti il cui epitaffio è diventato il titolo del secondo capitolo: “Non fatevi illusioni: dai duelli non si sa chi torni. Ovvero quant’è difficile essere giornalisti liberi”.
La trasmissione è “L’incudine” condotta da Claudio Martelli, l’ospite è Silvio Berlusconi. Sino a qui nulla di strano, si è in campagna elettorale e i politici sono onnipresenti sul piccolo schermo. L’anomalia della situazione è che il Cavaliere si è portato nello studio 3 di Cinecittà, dove si registra la trasmissione, il regista personale. Le sorprese però erano già cominciate con il cambiamento d’orario. Di solito la trasmissione va in onda su Italia 1 in seconda serata, dopo la mezzanotte. Vista l’eccezionalità dell’ospite è stata collocata in prima serata di sabato. Quando il premier arriva negli studi con la sua squadra c’è anche il regista Maurizio Spagliardi, ingaggiato da Mediaset per “Il senso della vita”. Il regista ufficiale Sergio Colabona nel frattempo viene fermato da una telefonata che lo avverte della sua inutilità. Morale della favola: il regista ad personam prende il comando, Berlusconi fa i suoi interventi e l’auditel dà il suo responso. Sabato in prima serata per il Cavaliere un misero sette per cento di share, ovvero un flop. Se la trasmissione si fosse chiamata “La falce”, la colpa sarebbe stata sicuramente dei comunisti.
diario
GLI INVESTIMENTI FONTE: UIC - UFFICIO ITALIANO CAMBI
TREND DEI CAPITALI ITALIANI NELL’EX JUGOSLAVIA DAL 2000 AL 2006 in migliaia di euro ALBANIA BOSNIA ERZEGOVINA CROAZIA MACEDONIA SERBIA E MONTENEGRO SLOVENIA TOTALE *gennaio-maggio 2005
2000
2001
2002
2003
2004
2005
3.270 306 16.462 242 0 10.507 30.787
1.744 730 30.832 2.101 0 22.174 57.581
6.208 889 32.159 128 0 14.302 53.686
3.694 2.206 45.973 1.471 1.527 14.605 69.476
5.633 1.966 99.439 5.381 9.425 15.735 137.579
1.658 1.372 12.676 750 8.097 4.461 29.014
220 euro
È LO STIPENDIO MEDIO NETTO DI UN DIPENDENTE DI SERBIA
106 euro
È LA SPESA PER CONTRIBUTI E ONERI SOCIALI A CARICO DEL DATORE DI LAVORO IN SERBIA
58 euro
È IL COSTO PER CONTRIBUTI E ONERI SOCIALI A CARICO DEL DATORE DI LAVORO IN SERBIA
72 euro
È IL PESO DI CONTRIBUTI, ONERI SOCIALI E IMPOSTE SUDDIVISI TRA LAVORATORE E DATORE DI LAVORO
numeri
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La Cina delle Pmi italiane è concentrata nei Balcani
co oltre il milione e mezzo di euro, nei primi cinque mesi dell'anno al confine di scorso avevano già superato gli otto milioni di euro. Secondo poi il Sant’Andrea, a Gorizia, oppure al valico di Fernetti a Triedatabase Reprint è la regione balcanica, assieme al Montenegro, con ste. Nel 2005 - secondo la banca dati Reprint del Politecil maggiore numero di lavoratori di aziende italiane delocalizzate nico di Milano in collaborazione con l'Istituto per il commercio este(10.159, su 29mila dell'intera area). ro - le partecipazioni italiane nei Balcani erano 554, per un totale di Le condizioni di lavoro nelle imprese esternalizzate sono molto oltre 29mila dipendenti. Secondo l’Ufficio italiano cambi (Uic) gli inpesanti come evidenziato dal nuovo rapporto sui laboratori a domivestimenti da 30 milioni di euro nel 2000 sono arrivati a superare i cilio nell’Europa dell'Est e in Turchia utilizzati da molte griffes no137 milioni nel 2004. Ad esser interessate a questi Paesi sono sopratstrane: 15 ore di lavoro al giorno per 6 o 7 giorni alla settimana, satutto le Pmi del settore manifatturiero. Qui è forte la presenza dellari insufficienti o al di sotto dei minimi di legge, precarietà, assenza l'industria del pellame, cuoio, calzature e pelletteria, seguita da queldi tutele sanitarie e antinfortunistiche, molestie sessuali e maltratla alimentare, del tabacco, dal settore tessile e della maglieria. Minore tamenti, discriminazioni e attività la penetrazione dell'industria del leDIPENDENTI DELLE AZIENDE ITALIANE NELL’EX JUGOSLAVIA [2005] antisindacali sono una costante nelgno e dei suoi prodotti, del settore Tra parentesi il numero delle aziende italiane l’industria di confezioni per l’espormeccanico e di quello della ceramica. 10.159 presenti sul territorio [112] tazione. Il nuovo rapporto Clean La Serbia è il Paese della ex YugoClothes Campaign è un atto d’accusa slavia che ha visto incrementare nemolto pesante nei confronti delle gli ultimi tre anni in maniera più si7.018 [165] moltissime aziende italiane che fangnificativa gli investimenti italiani. 6.147 [112] no produrre i loro capi d’abbigliaSe infatti nel 2003, secondo l'Uic, le mento nei paesi dei Balcani e del Mepartecipazioni italiane in questo Pae3.508 dio Oriente. se avevano un valore che andava po-
1.048 [5]
FONTE: BANCA DATI REPRINT, POLITECNICO DI MILANO - ICE
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Slovenia
Macedonia
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Serbia - Montenegro
1.144 [56]
Croazia
Bosnia-Erzegovina
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A CINA DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE INIZIA
Albania
pubblicità radio pop
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I paesi industrializzati in ripresa salvo l’Italia ITALIA È L’UNICO PAESE INDU-
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a mostrare un andamento così negativo a fronte di un recupero di quasi tutta l’area Euro e del Giappone. Un dato aggravato dal bilancio 2005 per la produzione industriale che ha registrato un calo dell'1,8% STRIALIZZATO
rispetto all’anno precedente. Nel mese di dicembre 2005, la produzione industriale ha registrato una diminuzione del 2,5% rispetto al dicembre 2004. Nella media del 2005, l’indice destagionalizzato è diminuito dello 0,8% rispetto al 2004. Nel confronto tra la media del 2005 e quella del-
CAMBIANO GLI URAGANI PERIODO FREDDO
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l’anno precedente, l’unico raggruppamento che ha segnato una variazione positiva è quello dell’energia (+4,2%). Negativi del 2,4% i beni di consumo (-3,2% i beni durevoli e -2,1% i beni non durevoli), dell’1,5% i beni strumentali e dell’1,1% i beni intermedi. Un quadro da quasi recessione.
PERIODO CALDO
PERIODO FREDDO
PERIODO CALDO
FONTE: ABI
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TUTTI GLI URAGANI E TEMPESTE TROPICALI
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URAGANI DI INTENSITÀ 3-5 LE NAZIONI EMERGENTI
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11a 11a 11a 12a 12a
Campania
2a
11a
Veneto
Veneto
3a
8a
Toscana
Toscana
1a
0,77 0,72 0,70 0,54 0,50 0,45 0,45 0,40 0,39 0,38 0,36 0,30 0,30 0,25 0,23
0 1900
1910
1920
1930
1940
1950
1960
1970
1980
1990
2000
LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE
PIL
Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro
MIN/MAX 2005
MIN/MAX 2006
2,4/2,7 1,8/2,0 1,4/1,5 1,6/1,8 2,8/3,0 3,0/3,5 1,5/1,7 0,9/1,2 0,1/0,2 2,4/2,7 0,7/1,1 3,3/3,4 2,4/2,7 1,5/2,0 3,5/3,7 1,3/1,5
2,8/3,7 1,8/2,4 1,7/2,3 1,7/2,4 2,7/3,6 2,4/3,3 1,6/2,2 1,5/1,9 1,0/1,7 1,6/3,2 1,6/2,4 2,8/3,4 3,0/3,5 1,7/2,7 2,8/3,9 1,8/2,2
INFLAZIONE MEDIA 2005
MEDIA 2006
2,5 1,9 1,4 1,7 2,9 3,3 1,6 1,1 0,1 2,6 0,9 3,4 2,6 1,8 3,6 1,4
3,1 2,1 2,0 2,1 3,2 2,8 2,0 1,7 1,2 2,5 1,9 3,0 3,2 2,2 3,3 1,9
2006
BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2005 2006
2,9 1,9 2,2 2,0 2,2 1,9 1,9 1,7 1,7 0,3 1,6 3,2 1,5 1,1 2,9 2,0
-5,9 -------+1,8 -2,1 1,9 3,2 -1,3 4,0 -1,5 3,5 5,0 -6,7 7,0 13,5 -6,5 -0,1
2005
2,7 2,3 2,7 2,1 2,3 1,8 1,8 2,0 2,0 -0,2 1,5 3,4 0,6 1,2 3,4 2,2
-5,3 -0,1 2,0 -2,3 1,8 3,0 -1,0 3,8 -1,4 3,6 5,0 -6,9 6,8 13,4 -6,6 -0,1
FONTE: ABI
POSIZIONE
Media italia
E. Romagna
1a
PUNTO DI DEBOLEZZA
Produttività scientifica media Produttività scientifica medica Indice di intensità brevettuale Intensità spese in ricerca e sviluppo Hi-tec Companies Intensità spese in ricerca e sviluppo Hi-tec Companies
Emilia Romagna
Lazio
1a
Lazio
Piemonte
POSIZIONE
Catalogna
Capitalizzazione di mercato Collaborazioni università-impresa Impatto scientifico Intensità venture capital Collaborazioni università imprese Quote di aziende innovative Impatto scientifico
Media Europa
PUNTO DI FORZA
Lombardia
URAGANI DI INTENSITÀ 1-5
2,18 5,93 14,31 8,76 6,75 3,28 4,17 1,65 4,50 8,88 17,95 5,16 6,23 7,92 3,60 10,37 8,57 4,91 7,10 14,81 2,17 6,17 4,49 12,00
LA CLASSIFICA FINALE Le aree più dinamiche in base all’indicatore di performance innovativa
Piemonte
REGIONE
+102,1 Dicembre -37,4 Dicembre +27,8 Dicembre +25,6 Novembre -2,6 Dicembre +29,6 Dicembre +21,1 Gennaio +9,6 Gennaio -9,0 Dicembre +11,3 Dicembre +45,4 Gennaio +9,2 Gennaio +1,5 Ottobre -7,6 Dicembre +4,6 Novembre +28,2 III Trimestre -11,3 III Trimestre -7,9 Dicembre -2,8 Dicembre -42,9 Dicembre +1,8 Dicembre - 3,5 Novembre -3,1 Novembre +117,6 Novembre
Media campione
PRIMATI E RITARDI Classifica in base all’indicatore di performance innovativa
+1,6 Dic. +5,6 Dic. +17,0 Gen. +3,5 Dic. +6,7 Gen. +1,3 Dic. +2,8 Gen. +2,7 Gen. +5,9 Gen. +12,1 Gen. +5,7 Dic. +4,1 Gen. +4,6 Gen. +3,3 Dic. +1,9 Gen. +13,1 Gen. +3,1 Dic. +2,4 Dic. +3,6 Dic. +7,9 Gen. +2,9 Gen. +3,3 Dic. +0,7 Dic. +10,6 Gen.
TASSI INTERESSE
FONTE: FINLOMBARDA, SCOREBOARD REGIONALE DELL’INNOVAZIONE
+16,5 Dic. +6,9 Nov. -5,9 Ott. +4,2 Dic. +4,0 Nov. +5,1 Dic. +11,3 Dic. +9,5 Dic. +6,1 Dic. +7,9 Dic. +3,2 Dic. +6,0 Dic. +0,5 Ott. +3,0 Nov. +4,1 Ott. +10,8 Ott. +4,0 2005 -15,2 Ott. +0,3 Ott. +10,7 Nov. +7,2 Nov. +12,9 Dic. +9,2 Dic. +4,6 Dic.
BILANCIA COMMERCIALE
Lombardia
Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Novembre III Trimestre I Trimestre III Trimestre III Trimestre III Trimestre III Trimestre III Trimestre III Trimestre IV Trimestre
Rhone - Alpees
IV III III III IV IV IV III III III III III III III
Area dl Stoccolma
+9,9 +8,0 +5,3 +5,3 +6,1 +7,7 +5,2 +4,4 +5,3 +9,2 +1,0 +5,2 +5,8 +3,3 +7,9 +9,8 +5,2 +5,7 +4,9 +7,0 +4,9 +4,5 +3,7 +7,0
PREZZI AL CONSUMO
Baden Wurttenberq
Cina India Indonesia Malesia Filippine Singapore Corea del Sud Taiwan Tailandia Argentina Brasile Cile Colombia Messico Perù Venezuela Egitto Israele Sud Africa Turchia Repubblica Ceca Ungheria Polonia Russia
PRODUZIONE INDUSTRIALE
Baviera
PIL
FONTE: ELABORAZIONE “IL SOLE 24ORE DEL LUNEDÌ” SU DATI FINLOMBARDA
PAESE
INCREMENTO DEI COSTI PER EVENTI CLIMATICI ESTREMI 45
Numero di eventi Danni pagati in miliardi di dollari
40 35 30
Trend danni pagati
25 20
Trend eventi meteo
15 10 5 0 1900
1975
1980
1985
1990
1995
2000
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MARZO 2006
| valori | 79 |
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indiceetico
| numeridivalori |
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portafoglioetico
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IL PORTAFOGLIO DI VALORI
NORDISKT HÅLLBARHET INDEX NOME TITOLO
ATTIVITÀ
BORSA
Electrolux H&M Trelleborg Orkla Kesko Statoil Svenska Handelsbanken Storebrand Gambro Coloplast Novozymes Metso Skanska Tomra Tietoenator Nokia Holmen UPM-Kymmene Telenor Volvo
elettrodomestici abbigliamento componenti meccaniche alimentari/media distribuzione petrolio servizi bancari assicurazioni tecnologia medica tecnologia medica farmaceutici macchine industriali edilizia macchine industriali software telefoni carta carta telecomunicazioni automobili
Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Copenaghen, Danimarca Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Oslo, Norvegia Helsinki, Finlandia Helsinki, Finlandia Stoccolma, Svezia Helsinki, Finlandia Oslo, Norvegia Stoccolma, Svezia
Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 31.01.2006 *Il rendimento di Volvo è calcolato dall’entrata del titolo nell’indice (2 settembre 2005)
CORSO DELL’AZIONE AL 31.01.2006
RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 31.01.2006
NOME TITOLO
ATTIVITÀ
BORSA
203,00 SEK 279,50 SEK 151,50 SEK 265,00 NOK 24,400 € 183,00 NOK 187,00 SEK 67,75 NOK 89,00 SEK 403,00 DKK 341,50 DKK 26,95 € 118,00 SEK 52,75 NOK 32,00 € 15,05 € 282,00 SEK 16,81 € 66,75 NOK 372,00 SEK
30,09% 17,60% 30,59% 48,34% 35,93% 96,41% 5,29% 18,08% -8,51% 33,61% 22,75% 131,13% 44,12% 61,52% 36,75% 29,52% 19,43% 2,75% 23,75% 10,98%
Sabaf Heidelberger Druck. CSX Body Shop International Henkel Aviva Svenska Handelsbanken Novo Nordisk Merck Kgaa 3M Company FLS Industries Mayr – Melnhof Karton Verizon Intel Canon Stmicroelectronics BG Group Severn Trent Vestas Wind Systems Boiron
pezzi per forni a gas macchine per la stampa trasporti cosmetici detergenti, cosmetici assicurazioni servizi bancari farmaceutici farmaceutici/chimica grafica, edilizia edilizia cartone telecomunicazioni tecnologia Informatica tecnologia digitale semiconduttori gas ciclo acqua pale eoliche medicina omeopatica
Milano, Italia Francoforte, Germania New York, USA Londra, Gran Bretagna Francoforte, Germania Londra, Gran Bretagna Stoccolma, Svezia Copenaghen, Danimarca Darmstadt, Germania New York, USA Copenaghen, Danimarca Vienna, Austria New York, USA Santa Clara, USA Tokyo, Giappone Milano, Italia Londra, Gran Bretagna Londra, Gran Bretagna Copenaghen, Danimarca Parigi, Francia
33,96%
Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 31.01.2006
€ = euro, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, NOK = corone norvegesi
CORSO DELL’AZIONE AL 31.01.2006
RENDIMENTO DAL 31.12.2004 AL 31.01.2006
19,29 € 36,40 € 53,53 USD 220,50 £ 92,16 € 720,50 £ 187,00 SEK 344,00 DKK 85,99 € 72,75 USD 183,00 DKK 123,50 € 31,66 USD 21,25 USD 7.080,00 JPY 15,18 € 635,69 £ 1.144,85 £ 121,00 DKK 18,00 €
1,39% 45,60% 49,93% 42,05% 44,00% 18,64% 5,29% 14,61% 70,95% -0,49% 77,00% -1,44% -12,27% -17,33% 26,50% 6,81% 82,39% 22,40% 77,27% -26,53%
+ 27,18%
€ = euro, £ = sterline inglesi, USD = dollari USA, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, JPY = yen giapponesi
Nove punti in più investendo in Scandinavia
Per Intel debutto col tonfo
ETSO SALE ANCORA. E sale tutto il Nordiskt, portafoglio etico scandinavo di Valori. Da inizio gioco (31 dicembre Rendimenti dal 31.12.2004 al 31.01.2006 Nordiskt Index [in Euro] 33,96% 2004) le imprese dell’indice hanno reso mediamente il 34%, nove punti in più rispetto ai mercati europei. Eurostoxx 50 price Index [in Euro] 25,08% Gambro, che in Svezia produce sistemi per la dialisi, è l’unica società con il segno meno. Quasi tutte le altre hanno avuto rendimenti in doppia cifra. A guidare il gruppo c’è ancora la finlanUPM Kymmene dese Metso, che in un mese ha guadagnato il Sede Helsinki (Finlanda) Borsa HSX - Helsinki Rendimento 31.12.2004 – 31.01.2006 + 2,75% 33% portandosi a +131,13% da inizio gioco. Attività Creata nel 1996, UPM - Kymmene è il terzo produttore europeo di carta. È specializzata nella Produce macchine per lavorazione della carta produzione di carta per riviste. e per l’estrazione di rocce e minerali. Il 2005 è Responsabilità sociale stato in assoluto il suo anno migliore: le vendite nette sono cresciute del 17%, mentre gli Giudizio complessivo Certificazione ambientale ISO14000 di quasi tutte le attività. Buono il dialogo con i portatori di interesse. Trasparente la governance. ordini sono saliti del 38%. L’impresa che vi presentiamo questo mese è UPM – Kymmene. Politica sociale interna Eccellenti i piani di sviluppo di carriera e le attività di formazione. Ha sede a Helsinki ed è il terzo produttore euPolitica ambientale L’85% delle attività e certificato ISO14000. Punto debole: non tutti i fornitori di legname sono ropeo di carta. UPM richiede ai fornitori di certificati FSC, Forest Stewardship Council (vedi www.fsc-italia.it). tutto il mondo di rispettare gli stessi standard Politica sociale esterna Molto buona la comunicazione con i vari portatori di interesse, in particolare con la sezione sociali che adotta negli stabilimenti finlandefinlandese del WWF. L’impresa richiede a tutti i fornitori di rispettare gli stessi standard si. L’85% degli impianti ha ottenuto la certifisociali che adotta nei suoi stabilimenti. cazione ambientale ISO14000.
pagine a cura di Mauro Meggiolaro
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UN’IMPRESA AL MESE
UN’IMPRESA AL MESE
M
ARTE MALE INTEL. Entrata nel portafoglio di Valori per sostituire Cisco, in un mese ha perso il 17,33%. I mercati hanno reagito male ai numeri del quarto Rendimenti dal 31.12.2004 al 31.01.2006 Portafoglio di Valori [in Euro] 27,18% trimestre, al di sotto delle aspettative a causa della debole domanda di processori per desktop e della concorrenza di AMD (AdvanMSCI DM World price Index [in Euro] 25,99% ced Micro Devices), che ha invece riportato risultati molto al di sopra delle stime. Nonostante la caduta di Intel il portafoglio di Valori è riuscito a chiudere bene il primo mese dell’anno guadagnando un Intel punto di distacco rispetto al suo benchmark Sede Santa Clara (USA) Borsa NASDAQ – New York Rendimento 31.12.2005 – 31.01.2006 - 17,33% (parametro di riferimento), l’indice azionario Attività Intel è specializzata nelle architetture hardware (microprocessori Pentium, Celeron ecc.) e nella internazionale MSCI World. Merito soprattutcomunicazione (anche wireless). Impiega oltre 83.000 persone. to di tre imprese: Merck Kgaa, BG Group e VeResponsabilità sociale stas. I titoli di Merck, che ha ottenuto l’escluGiudizio complessivo Attenzione alla salute e sicurezza e dei dipendenti. Eccellente politica ambientale. Comunicazione siva per la sperimentazione di un farmaco aperta e trasparente con i portatori di interesse. contro il cancro ai polmoni, sono balzati in Politica sociale interna È una delle poche società del settore IT che non esternalizza quasi nessuna attività. Grande avanti di quasi 32 punti nel solo mese di genattenzione alla salute e sicurezza dei lavoratori. Intel ha il minor tasso di incidenti sul lavoro nel naio. Nello stesso periodo Vestas, produttore settore IT. di pale e turbine eoliche, è cresciuto del 25%. Politica ambientale Tutti gli stabilimenti sono certificati ISO 14001. Impatto ambientale limitato del processo di Il 19 gennaio l’impresa danese ha annunciato produzione e dei prodotti. l’apertura di una nuova fabbrica in Cina per Politica economica Per quanto riguarda la corporate governance, Intel è considerata una delle migliori società negli rifornire di turbine il mercato locale dell’eoliStati Uniti. co, che è in forte espansione.
P
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in collaborazione con www.eticasgr.it | 80 | valori |
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Paul Samuelson
In medio stat virus di Francesca Paola Rampinelli
«I
N GENERALE SAMUELSON, PIÙ DI OGNI ALTRO ECONOMISTA CONTEMPORANEO, ha contribuito a innalzare il livello analitico
e metodologico generale nella scienza economica. In effetti, ha semplicemente riscritto considerevoli parti della teoria economica». Questo affermano le motivazioni con cui nel 1970 fu assegnato a Paul Samuelson il Premio Nobel per l’economia. L’accademia di Stoccolma aggiungeva che il professore americano «ha inoltre dimostrato la fondamentale unione tra problemi e tecniche analitiche in economia, in parte tramite una sistematica applicazione dei metodi della massimizzazione a un ampio insieme di problemi. Ciò significa che i contributi di Samuelson si estendono a un gran numero di ambiti diversi». Paul Samuelson è nato negli Stati Uniti il 15 maggio 1915, ma lui ha dichiarato in una recente intervista di essere venuto alla luce il 2 gennaio 1932 all’Università di Chicago, quando «si imbattè per caso nell’economia, fatta per lui perchè i geni ereditati da generazioni di antenati commercianti incontrarono il loro destino teleologico» e di essere diventato uomo il giorno in cui, nell’ottobre 1940, rispose alla chiamata del Mit (Massachusetts Institute of Technology), di cui divenne negli anni una delle colonne portanti. Il professore ha una lunghissima e molto varia vita professionale: ha insegnato, scritto testi accademici e divulgativi, fatto il giornalista per Newsweek e il Los Angeles Times ed ha avuto un ruolo attivo nella vita economica del suo paese come consigliere di senatori e presidenti. Come scrittore, ha raggiunto uno strepitoso successo di pubblico: “Economico” è circa alla cinquantesima edizione, è stato tradotto in più Secondo il premio Nobel per l’economia, di dodici lingue e diffuso in tutto il mondo, con più di quattro milioni di copie vendute. In questo tra capitalismo e comunismo deve prevalere una scelta intermedia: «la cura testo Samuelson ha rivendicato di aver realizzato per una regolamentazione sbagliata la “sintesi neoclassica”, in forza del fatto non è la deregolamentazione, ma che il successo della piena occupazione si può l’adozione di regole razionali e fattibili» raggiungere con la collaborazione della politica interventista di Keynes e la teoria microeconomica. Come consulente politico, il premio Nobel vanta al suo attivo collaborazioni con il Ministero del Tesoro ed il Federal Reserve System ma soprattutto è stato consigliere del Presidente Kennedy, e per lui, nel 1961, ha messo a punto il Task Force Report, “State of the American Economy”. Storicamente Samuelson è sempre stato conosciuto per le sue idee politiche liberali e per aver sempre evitato le posizioni ideologiche estremiste, aderendo al principio della “golden mean” (giusto mezzo). Interrogato circa la posizione che aveva assunto una trentina di anni fa sostenendo che il comunismo in teoria avrebbe potuto funzionare, recentemente il professore ha risposto che circa «il problema se si possa raggiungere una crescita veloce ed efficiente, in grado di soddisfare i desideri umani, anche in assenza del mercato, avevo dei dubbi: stimolati non solo da Marx, Lenin, Stalin e Mao, ma anche da von Mises e Hayek. Le migliori stime specialistiche mi portarono allora a sopravvalutare il Pil sovietico reale, ma ora credo che esse si basassero su dati immaginari: la logica era corretta, ma le ipotesi no, e dunque neppure le conclusioni». Alla successiva domanda che proponeva allora il capitalismo come unica soluzione possibile, Samuelson, restando fedele a se stesso, ha risposto un’ennesima volta scegliendo la via di mezzo: «Non c’è motivo di credere che il capitalismo selvaggio sia ottimale, da un punto di vista pragmatico. La cura per una regolamentazione sbagliata non è la deregolamentazione, ma una regolamentazione razionale e fattibile: in medio stat virus».
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