Cooperativa Editoriale Etica
anno 15 numero 128 maggio 2015
€ 4,00
Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
nei mercati finanziari le “attività omBra” triplicate dal 2002
STEVE MC CURRY LAVAZZA EARTH DEFENDERS 2015
finanza etica
microcredito fondo statale al via una sfida per il settore la nuova Banca cinese per Gli investimenti irrita toKyo e WasHinGton
internazionale
EXPO 2015 ha aperto i battenti Da Valori dieci domande e analisi sui temi chiave perché l’evento non sia un’occasione persa
9 788899 095079
ISBN 978-88-99095-07-9
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NE/VR. Contiene I.R.
economia solidale
Il futuro può sorriderci
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valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
editoriale
IL CIBO CHE RIGENERA IL TERRITORIO di Giorgio Ferraresi
L’AUTORE
GIORGIO FERRARESI
Già ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano, coordinatore di dottorati e del laboratorio di Progettazione ecologica del territorio. Le sue ricerche “territorialiste” sull’abitare, lo sviluppo locale, la costruzione sociale del piano, il rapporto campagna/città si traducono anche in piani urbani e territoriali, tra cui i parchi agricoli (Ticinello, Parco Sud Milano, Montenetto/Brescia) e in numerosi testi: tra i più recenti “Produrre e scambiare valore territoriale” e i saggi nella rivista della Società dei territorialisti “Scienze del territorio”, n 1 e 2 “Ritorno alla terra” (link: http://www.fupress.net/ index.phcp/SdT) valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
N
utrire il pianeta è una questione territoriale. È rigenerare, rimettere al mondo il territorio, che è l’ambiente di vita dell’umanità. Il territorio: quella costruzione millenaria che è coprodotta tra natura e cultura, una coevoluzione che produce i caratteri dei luoghi, il patrimonio... territoriale, appunto. E che, in quel tempo lungo della storia, ha avuto come matrice l’agricoltura, l’attività primaria che produce il cibo, governa i cicli ambientali e genera gli insediamenti umani, il suo habitat, le stesse città. Ma l’insediarsi in questi ultimi tre secoli di un modello vincente di modernità, di industrializzazione e comunque di urbanizzazione crescente e sempre più diffusa che si estende globalmente a occupare la terra, provoca una discontinuità, una rottura in quella lenta e continua riconfigurazione della complessità territoriale e la riduzione del territorio stesso a piattaforma dei flussi di merci e delle funzioni urbane che sono la potenza del modello vincente. È un esito distruttivo del territorio vivente ed è contestuale alla espulsione del mondo rurale dalla modernità: l’agricoltura diviene agroindustria, il settore agroalimentare della produzione di merci. Quello che stiamo vivendo ora non è quindi il collasso della natura (che solo ridefinisce il suo equilibrio in termini più ostili all’abitare umano); è questo degrado devastante del territorio dell’abitare e della sua matrice primaria; e anche il collasso del modello insediativo dominante in questi “secoli brevi” ma radicalmente insostenibile, la fine del gioco (il che non vuol dire che questo dominio non possa continuare a colpire, anzi lo fa ancora più duramente come tutti gli eserciti in fuga). E richiede un nuovo inizio, come alla fine di ogni ciclo di civiltà. Un ricominciare dai “beni pri-
mari” essenziali alla vita e alla cura dell’ambiente e dei luoghi dell’abitare, alla riapertura di un nuovo ciclo di valorizzazione territoriale. Un percorso certo non facile ma inevitabile, ripreso anche dalle dieci proposte che costituiscono il fulcro del dossier di questo numero di Valori. La questione del cibo, della nutrizione, non può essere quindi astratta da questa condizione di quadro strutturale; al contrario va iscritta in esso e mutata di senso rispetto alla semplice disponibilità nel mercato globale di un prodotto alimentare, per divenire propriamente “nutrire il pianeta” come un processo di restituzione all’umanità del suo ambiente di vita, del territorio vivo, generato dall’attività primaria che riprende il suo ruolo di coltura della terra fertile, di produzione di cibo per l’alimentazione e di cura dell’ambiente. Una “neoruralità” quindi di nuovo al centro della storia, che si basa sulla riemersione e ricostruzione del patrimonio territoriale di biodiversità, delle diverse culture locali insediate, dei saperi contadini; estendendosi alla cura alle acque, ai sistemi fluviali, ai territori deboli, alla montagna; e costruendo una nuova alleanza tra città e campagna, tra la profondità dell’urbano e il contesto rurale che la nutre. Questa neoruralità la riconosciamo ora, nelle sue esperienze pioniere, nell’agricoltura contadina, nella produzione di cibo di qualità locale e ambientale e nella relazione tra gli agricoltori e i loro “complici” sociali che esprimono domanda di quei beni e di quel territorio. Ma le culture e le forme neo-economiche, sociali, civili e l’ethos di queste esperienze e di questo mondo contadino sono destinate ad essere il riferimento per estensioni “a sistema”: qui si apre il processo orientato al futuro. Che nasce però da radici fertili. ✱ 3
fotoracconto 02/04
Anima, forza, umanità, coraggio, determinazione, speranza. Le virtù che hanno permesso al genere umano di progredire nonostante tutto, di svilupparsi pur tra mille difficoltà, di superare sfide che sembravano impossibili, te le ritrovi negli occhi di donne e uomini normali: in Tanzania, Marocco, Etiopia, Senegal. Accomunati dalla stessa passione per la propria terra e dalla voglia di difenderla da speculazioni e violenze. Alcuni di quegli sguardi sono stati catturati da Steve McCurry, artista statunitense 4
che da trent'anni è una delle voci più iconiche della fotografia contemporanea. Il primo ad aver vinto quattro World Press Photo. Un autore d'eccezione per il fotoracconto di Valori di questo mese, che, per Slow Food e Lavazza, con la direzione creativa di Armando Testa, ha costruito, durante il suo soggiorno nel continente africano, un viaggio fra le storie di quotidiano eroismo degli Earth Defenders. Olio di Argan, zucche di Lare, cous cous di miglio salato, piantagioni di caffè, cereali locali. Coltivazioni che
possono essere un punto di svolta per molte popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Un’arma contro fame, povertà e malattie. La serie “Difensori della Terra” è un simbolo di quella lotta, un esempio da non sottovalutare di quale sia la strada migliore verso un sistema alimentare giusto, equo, non più sordo alle esigenze degli ultimi. C’è solo da sperare che quell’esempio trovi una qualche eco tra i padiglioni di EXPO 2015.
Attorniato dalle sue ceste piene di fiori di zafferano, Mhamd Id Taleb è fiero del proprio lavoro: presidente della cooperativa agricola e Presidio Slow Food dello zafferano di Taliouine, un villaggio nel Sud-est del Marocco, da anni cerca un difficile quanto lungimirante obiettivo: vivere libero e con dignità, grazie alla coltivazione di questa preziosa pianta. Con lui, altre undici famiglie hanno lo stesso sogno. La rete Slow Food li sta aiutando a farsi conoscere e a trovare nuovi sbocchi di mercato.
STEVE MC CURRY LAVAZZA EARTH DEFENDERS 2015
valori / ANNO 15 N. 128 / MAggIO 2015
sommario
maggio 2015 mensile www.valori.it anno 15 numero 128 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 ROC. n° 13562 del 18/03/2006 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Maurizio Gemelli, Emanuele Patti, Marco Piccolo, Sergio Slavazza, Fabio Silva (presidente@valori.it). direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Mario Caizzone, Danilo Guberti, Giuseppe Chiacchio (presidente) direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) caporedattore vicario Emanuele Isonio (isonio@valori.it) redazione Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano (redazione@valori.it) hanno collaborato a questo numero Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Alberto Berrini, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Luca Martino, Mauro Meggiolaro, Valentina Neri, Andrea Vecci grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Steve McCurry; Luca Fumagalli; World Economic Forum (commons.wikimedia.org) distribuzione Press Di - Segrate (Milano)
fotoracconto 01/04 Alcuni bambini della scuola di Kirua, aperta in Tanzania da Padre Peter Kilasara per migliorare il loro futuro attraverso l’istruzione. Qui sono ritratti da Steve McCurry mentre, gioiosi, gettano al vento colorati semi di caffè. La metafora perfetta di un Pianeta che vuole nutrirsi di speranza.
7
Le città & il cibo economia solidale
31 35 38 40
social innovation internazionale
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Una super banca per fare ombra agli Stati Uniti Locale e globale sotto la Mole Costo del lavoro: quanti falsi miti
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bancor
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Microcredito, il fondo statale crea speranze Prodotti bio, boom globale. Ma è allarme frodi La legalizzazione dell’erba (sintetica) La svolta verde degli ingegneri
Involucro in Mater-Bi®
Euro 38 Euro 48 Euro 28 Euro 48
Valori celebra l’avvio dell’EXPO con dieci domande e analisi su altrettanti temi-chiave. Per evitare che la kermesse milanese sia un’occasione persa di chiarire alcuni dilemmi del sistema alimentare mondiale.
Shadow banking. 75 trilioni fra ombre e luci Bruxelles grazia le banche ombra Scommesse estreme. La finanza apre alla metafisica
Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.
Annuali
8 IL MONDO CI GUARDA
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È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.
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global vision
La chimera della domanda estera
La fase economica secondo il “DEF” di Alberto Berrini
l Documento di Economia e Finanza (DEF) fissa la cornice macroeconomica su cui impostare la prossima legge di stabilità e l’intera strategia di politica economica nel triennio 2015-2017. Non si tratta solo di prendere atto dei “grandi numeri” dell’economia italiana o sbilanciarsi in previsioni (più o meno ottimistiche o più o meno ispirate alla cautela) ma piuttosto questa cornice segnala “l’interpretazione” che l’Esecutivo dà della fase economica in atto. Il documento nella sostanza sancisce il definitivo aggancio alla ripresa economica da parte del nostro Paese, lasciandosi definitivamente alle spalle la “falsa partenza” del 2014 (Pil -0,4%). Pur probabilmente sottostimando la crescita del Pil per il 2015 (+0,7%) si prevede un’accelerazione della stessa nel 2016 (+1,4%) e nel 2017 (+1,5%).
I
valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
Se le previsioni di crescita per il 2015 sono sicuramente attendibili, diventa più problematico credere che il Pil italiano potrà addirittura raddoppiare nel 2016 (+1,4%). Dal DEF non emerge infatti alcuna indicazione, diretta o indiretta, di manovre indirizzate a colmare il vuoto di domanda interna (consumi e investimenti) che invece rappresenta l’ostacolo maggiore sulla strada della ripresa. Un ritardo in questa direzione potrebbe costare caro. Il nostro sistema economico è ancora debole e stremato dagli effetti della crisi. Si tratta senza indugio di cogliere appieno le opportunità derivanti dai primi segnali di una pur timida ripresa. Sono necessari importanti sforzi dal lato dei consumi (con tagli fiscali a favore delle categorie meno abbienti) ma anche e soprattutto rivedere la politica degli investimenti, che vede quelli pubblici in continua contrazione. In realtà su questo punto il DEF è purtroppo assai chiaro quando afferma testualmente: «il contributo decisivo all’accelerazione del ciclo economico verrà dalla domanda estera». Ma quest’ultima è figlia di condizioni favorevoli congiunturali che possono non perdurare: basso prezzo del petrolio, politiche monetarie ultraespansive. La ripresa internazionale sembra infatti tutt’altro che solida e appare al contrario assai lenta come sottolineato da molti (da ultimo il FMI). Inoltre è la stessa crescita “potenziale” (ossia quella che si otterrebbe utilizzando appieno i fattori produttivi) a rimanere lontana dai livelli pre-crisi. In Europa ciò significa ipotizzare un tasso “naturale” di disoccupazione (ossia un tasso di disoccupazione in presenza di una crescita al suo potenziale) attorno al 10%. Qui l’analisi congiunturale lascia spazio a quella strutturale. Ed essa suggerisce che è l’intero paradigma di politica economica che, sia in Italia sia in Europa, deve essere cambiato. Il limite di questo DEF è che sembra indicare per l’Italia un modello economico basato sulle esportazioni proprio mentre dall’economia globale vengono segnali di rallentamento sia congiunturale che strutturale. In ogni caso trovare uno spazio economico nello scenario della competizione internazionale implica un progetto di politica industriale, in particolare rivolto all’innovazione, di cui per ora non c’è traccia in nessun documento né atto dell’odierno Esecutivo. ✱ 7
DOSSIER
fotoracconto 03/04 In Etiopia, nella regione di Kafa, sono le donne a difendere e a preservare la ricchezza di questa terra: il caffè. Qui è nato spontaneamente e da qui si è diffuso in tutto il mondo. McCurry ha immortalato un gruppo di donne, disposte intorno a una pianta di caffè in segno di protezione.
10 / Buona agricoltura 10 / Pesticidi 12 / Ogm 13 / Cibo & speculazione 14 / Benessere animale e umano 15 / Sprechi 16 / Acqua 17 / Lotta alla fame 18 / Grandi opere 18 / L’eredità dell’Esposizione
Valori propone dieci domande e analisi: tante quanti i temi-chiave per un modo diverso e più lungimirante di pensare al cibo, alle risorse naturali e all’uso del territorio
EXPO: IL MONDO CI GUARDA
StEvE MC Curry / LAvAzzA EArth DEfEnDErS 2015
La kermesse di Milano apre tra polemiche e ritardi. Al di là dei (molti) dubbi sull’evento, può almeno offrire l’opportunità di chiarire alcuni dei dilemmi sul futuro alimentare mondiale.
DOSSIER EXPO: IL MONDO CI GUARDA
punto
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GIUSTA, VICINA E SOSTENIBILE
Una buona agricoltura è possibile
di Corrado Fontana
Agroindustria e colture familiari: visioni opposte della produzione del cibo. Un confronto d’obbligo ad Expo 2015, dove potrebbe spuntarla però un modello intermedio e diffuso. Biologico, tecnologico e più sostenibile
I
n gioco c’è il modello di produzione del cibo che l’umanità intende perseguire per il futuro. Inevitabilmente – e fortunatamente – se ne dibatterà a Expo 2015. Perché, come spesso Valori ha raccontato, l’attuale sistema che più condiziona il mercato globale si basa su due capisaldi. Il primo è lo strapotere di poche enormi multinazionali, che controllano gran parte della filiera, dal seme allo scaffale, decidendo cosa e come si coltiva o alleva, cosa si mangia e quanto costerà. Il secondo è l’ampio utilizzo di un’agricoltura monoculturale e un allevamento intensivi.
UNA RISPOSTA CONCRETA: IL PROGETTO BIOVALLÈE
Il modello alternativo di produzione e consumo sostenibile del cibo si fa realtà in Francia, dove nel 2005 inizia il progetto BioVallèe, per realizzare 15 ecoquartieri entro il 2015 in un territorio che ospita 102 comuni nella regione del Rodano-alpi. nel 2013, la prima revisione del progetto e la conferma dei propri obiettivi: coprire entro il 2040 il 100% del consumo di energia del territorio con energia rinnovabile locale, raggiungere l’80% di offerta di cibo biologico o locale nella ristorazione entro il 2020 e creare 2.500 posti di lavoro in settori green.
punto
2
Il modello dell’agroindustria punta a massimizzare i profitti, ma nel farlo genera alti costi collettivi, sociosanitari e ambientali. Adottando pratiche che favoriscono l’erosione del suolo (il drenaggio delle zone umide per recuperare terra coltivabile, l’aratura profonda che espone il terreno agli agenti atmosferici, l’utilizzo di macchinari pesanti) e monocolture su larga scala, determinando così un impoverimento della fertilità e la necessità di un massiccio impiego di correttivi chimici e fitofarmaci (vedi Valori di marzo sull’inquinamento provocato e l’aumento accertato di rischi per la salute umana). Ma non solo. Monocoltura (mais, riso e grano sono l’86% del prodotto agricolo mondiale) e allevamento intensivo (da cui deriva circa il 70% della carne di pollame, il 50% del maiale, il 40% di quella bovina, il 60% delle uova) spingono con decisione verso la perdita di biodiversità (poco utile per
LE ALTERNATIVE ESISTONO (E FUNZIONANO) Pesticidi
di Andrea Barolini
Tra principio di precauzione e soluzioni naturali, la chimica in agricoltura viene messa in discussione anche dalle autorità internazionali poche settimane fa l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito nella lista dei «probabili cancerogeni» il glifosato, componente principale del diffusissimo pesticida Roundup, prodotto dalla multina10
IL PROFITTO E L’ALTERNATIVA
zionale monsanto. nello stesso elenco sono finiti anche due insetticidi: il malathion e il diazinon. Le prove, sostiene l’organismo interno all’organizzazione mondiale della Sanità, sono ancora «limitate». ma il dubbio che possano nuocere c’è. anche altre due sostanze, il tetrachlorvinphos e il parathion, sono citate nel rapporto dell’agenzia, che li considera «possibili cancerogeni». Quella dell’oms assomiglia a una presa d’atto: sono innumerevoli, ormai, gli studi che dimostrano i danni provocati dall’uso di pesticidi, sull’ambiente come sulla salute uma-
na. E sebbene il vicepresidente di monsanto, philip miller, si sia scagliato contro l’agenzia onu, bollando come «di scarsa qualità» lo studio effettuato, il nodo del problema è legato al mero buon senso. Qualsiasi decisione dovrebbe basarsi sul principio di precauzione, tenuto conto dei numerosi aspetti (quantomeno) controversi della questione. Le alternative, tra l’altro, non mancano: già nel 2011 la Fao aveva lanciato un ampio progetto internazionale, in africa occidentale, per promuovere pratiche agricole sostenibili, riducendo l’uso di pesticidi tossici e aumenvalori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
EXPO: IL MONDO CI GUARDA DOSSIER USI DEL CIBO PRODOTTO
POPOLAZIONE MONDIALE RURALE E URBANA
fOntE: fAO 2014
20% 45%
CIBO
ALIMENTAZIONE ANIMALE
Popolazione rurale
35%
Nel 2013 la produzione cerealicola mondiale ha raggiunto il record di 2.526 milioni di tonnellate, in crescita del 9% rispetto all'anno precedente. Di questo raccolto record solo il 45% è stato utilizzato per nutrire direttamente le persone; il 35% è stato utilizzato per l'alimentazione animale e il resto per altri usi industriali non alimentari, o come seme o è stato sprecato.
7.5
Popolazione urbana
5.0 miliardi di persone
ALTRI USI
fOntE: unitED nAtiOnS POPuLAtiOn DiviSiOn. i DAti DOPO iL 2011 SOnO PrOiEziOni
2.5
0.0 1960
1980
2000
2020
2040
chi mira a uniformare l’offerta) e i cambiamenti climatici: colpa, ad esempio, del metano emesso dalla digestione di un miliardo e mezzo di vacche da macellazione e delle risaie d’oriente sommerse d’acqua, dove il letame usato come concime si trasforma in metano in assenza di ossigeno. Così si legge su La terra che vogliamo. Il futuro delle campagne italiane (Edizioni Ambiente), per uno scenario generale quanto meno perfettibile. Gli aspetti di arricchimento proteico della nostra dieta che il modello agroindustriale produce mostrano infatti il loro lato oscuro. Secondo l’organizzazione animalista CIWF International, per ogni 100 calorie derivanti
“da cereali commestibili utilizzati come mangime per il bestiame, otteniamo solo 30 calorie sotto forma di carne o latte”. E l’eccesso di carne rossa – in crescita grazie ai Paesi in via di sviluppo – sarebbe collegato alla diffusione di patologie cardiovascolari e non solo. Questo è il sistema dominante ma non l’unico, per fortuna. E da un’opera di riequilibrio che ne riduca il peso potremmo ricavare una sua versione più sostenibile. Pur lavorando solo il 12% delle terre coltivate, l’agricoltura familiare genera infatti già oltre il 50% del cibo consumato, che tuttavia, privo com’è di uno sbocco diretto sul mercato, in gran parte «finisce a chi tra-
tando al contempo sia le rese dei raccolti sia gli introiti degli agricoltori. in 100mila parteciparono al progetto, lavorando in gruppi ristretti nel quadro di “scuole pratiche” con l’obiettivo di adottare e sviluppare una cultura di buone pratiche: l’uso di insetti predatori, la scelta di varietà vegetali adatte al luogo e l’utilizzo di pesticidi naturali.
bastato un piano ad hoc per il trattamento di erba e piante per risparmiare 128mila litri di prodotti potenzialmente in grado di contaminare il suolo e le falde acquifere. Legato a quello dei pesticidi, c’è poi il problema dell’uso di fertilizzanti chimici. Soprattutto nei processi agroindustriali intensivi, nei quali il terreno è sottoposto a un intenso sfruttamento ad ogni ciclo produttivo, tali prodotti hanno assunto un'importanza fondamentale. E a farne le spese sono, ancora una volta, le risorse idriche che rischiano di ritrovarsi contaminate. Eppure, anche in questo caso, le alternative esistono: una ricerca effettuata da Barilla, dall’università cattolica di piacenza e dal Life Cycle Engineering di torino, ha dimostrato che usando meno fertilizzanti si può ottenere un notevole risparmio
L'EUROPA CHE DICE NO ma la questione non riguarda solo l’agricoltura: anche alcune città europee hanno scelto di abbandonare i pesticidi. Versailles, in Francia, nel quadro della gestione di tutti gli spazi verdi (i giardini, i parchi, le aiuole comunali), ha ad esempio deciso di seguire la politica “zero-phyto”, ovvero l’abbandono totale dei prodotti chimici (a partire dai diserbanti). È valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
sforma o rivende, oppure è destinato all’autoconsumo o, peggio ancora, a rimanere sui campi». Una riflessione di Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, che apre perciò a un’idea di forte rilancio di «un’agricoltura di piccola scala ma non obsoleta», che acceda a un «modello di innovazione tecnologica, finora pensato solo per quella di grandi dimensioni», per creare «imprese che abbiano un proprio piccolo laboratorio di trasformazione, capace di interagire in maniera più strutturata col mercato». È insomma una scommessa sulla filiera corta, che riduce i costi d’intermediazione e i lunghi trasporti di merce; che conserva meglio le proprietà del terreno e si adatta più facilmente ai cambiamenti climatici; che tramite imprese radicate localmente re-distribuisce il reddito in modo parcellizzato; favorendo l’autonomia alimentare territoriale, sfruttando la rete di mercati contadini e di gruppi d’acquisto solidale come parte di una risposta complessiva. ✱
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Si DOMAnDA:
Perché l'Italia non si è ancora dotata di una legge che tuteli l'agricoltura familiare?
economico (57 euro per tonnellata di prodotto) e perfino una resa maggiore (in media, 1,3 tonnellate di raccolto in più per ettaro). L’analisi era stata effettuata sui campi di venticinque agricoltori che forniscono grano all’azienda, nei quali anziché usare i fertilizzanti si è optato per la semplice rotazione delle coltivazioni, tenendo conto anche dei luoghi, delle caratteristiche del suolo e del grano, nonché delle specifiche condizioni meteo. ✱
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Si DOMAnDA:
Perché il principio di precauzione non vale per i pesticidi?
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DOSSIER EXPO: IL MONDO CI GUARDA
DECENNI DI PROMESSE MANCATE
LA RESA MEDIA DELLA SOIA NEGLI USA E NELL'EUROPA OCCIDENTALE
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Europa Occidentale
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Stati Uniti
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da quelle europee (vedi grafICI 1 E 2 ). Nature News ha rivelato l’esito del progetto per lo sviluppo di varietà di mais resistenti alla siccità in Africa: dal 2006 con le tecniche tradizionali ne sono state trovate 153 e le loro rese superano del 30% quelle degli Ogm. Per giunta, servono 100 milioni di dollari per ottenere una varietà di pianta geneticamente modificata: ne basta un milione per svilupparne una più resistente coi metodi tradizionali.
RISULTATI CONTROVERSI A complicare le cose anche il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti in discussione. Ma prima ancora di decidere come e dove ricorrere all’ingegneria genetica, è il caso di riflettere sul perché. Se l’obiettivo è la sicurezza alimentare, gli Ogm sono la risposta? Da subito sono stati presentati come un modo per nutrire il Pianeta prevedendo un raddoppio della domanda globale di cibo entro il 2050. Ma le rese agricole globali sono aumentate solo del 20% nell’ultimo ventennio e il merito è soprattutto degli incroci tradizionali: le rese di mais e soia negli Usa, dove gli Ogm la fanno da padroni da vent’anni, non sono poi così diverse 12
LE ALTERNATIVE CRESCONO La modificazione genetica quindi non è sinonimo di scienza. «Anzi, sono l’età della pietra perché non sono controllabili: nel dna dell’organismo ospite vengono inseriti dei geni senza sapere come interagiranno con l’esterno», afferma Federica Ferrario. Ben diversa è la selezione assistita da marcatori (Mas). Consentita anche in agricoltura biologica, è una versione 2.0 degli incroci che i contadini praticano dalla notte dei tempi: identificata una sequenza genetica che è sempre correlata, ad esempio, alla resistenza a una data malattia, è sufficiente cercare la presenza del marcatore con un rapido test del dna, per
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a questione Ogm nel Vecchio Continente è sempre più aperta. Tanto più dopo il 13 gennaio, data in cui l’Europarlamento ha lasciato facoltà ai singoli Stati di decidere se vietarli nel proprio territorio. Gli ambientalisti storcono il naso: «Ci saremmo aspettati qualcosa di diverso» dichiara a Valori Federica Ferrario, responsabile Agricoltura sostenibile di Greenpeace. «Questa direttiva è un modo per evitare i problemi. A livello legale non è nemmeno sicura al 100%, perché esclude le motivazioni sanitarie tra quelle impugnabili da uno Stato per opporsi agli Ogm».
Europa Occidentale
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Le pressioni delle lobby sul via libera agli organismi geneticamente modificati continua. Ma intanto l’affinamento delle tecniche contadine dà più risultati
LA RESA MEDIA DI MAIS NEGLI USA E NELL'EUROPA OCCIDENTALE
1992
di Valentina Neri
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Ogm
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punto
sapere se le nuove generazioni di piante hanno ereditato o no il tratto in questione. Il dna non viene alterato e non vengono introdotti nuovi geni. «La Mas è solo una delle tante soluzioni che integrano il sapere scientifico con la conoscenza del territorio da parte degli agricoltori», continua Ferrario. In dieci anni parecchi traguardi sono stati già raggiunti: nelle coltivazioni di riso contrasta la ruggine delle foglie e il brusone, in India ha sviluppato una diffusa varietà di miglio perlato, in Sudan aiuta ad affrontare le infestazioni di striga nel sorgo, in America Settentrionale fa sì che il frumento sia più resistente ai funghi. ✱
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Si DOMAnDA:
Perché non destinare alle ricerche per migliorare le tecniche di coltivazione tradizionali almeno una parte dei fondi a disposizione per i controversi Ogm?
valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
EXPO: IL MONDO CI GUARDA DOSSIER
UN BINOMIO (ANCORA) VINCENTE Cibo & speculazione
punto
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di Matteo Cavallito
La speculazione sulle materie prime alimentari continua: la riforma Ue appare inefficace. Quella statunitense è minacciata dalle lobby finanziarie
F
utures e forward. Ovvero contratti differiti di acquisto: i tipici strumenti derivati utilizzati come “polizza” di assicurazione contro il rialzo (o il ribasso) dei prezzi del loro sottostante (il bene, o il titolo finanziario su cui sono costruiti). Ottimi per le commodities, soprattutto nei momenti di forte volatilità. Perché proteggono dai rischi, ovviamente, ma anche perché consentono di speculare sulle variazioni del valore di mercato influenzando, inevitabilmente, il mercato stesso. Attribuire alle piazze finanziarie la responsabilità esclusiva dei maxi rialzi sperimentati dalle materie prime alimentari negli ultimi tempi è senza dubbio sba-
gliato: sui trend di mercato hanno pesato anche i più classici fattori di domanda materiale, legati a loro volta alla crescita economica e demografica del Pianeta. Ma è certo che negli ultimi anni il nesso cibo/finanza ha saputo evidenziarsi più di una volta in modo significativo. Lo segnala il Food Price Index, l’indice di riferimento della Fao, e lo rimarcano i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali: nel giugno del 2008 – l’anno del primo picco storico dei prezzi con l’indice Fao a quota 200 punti (il doppio rispetto a cinque anni prima) – il controvalore dei contratti futures e forward sulle materie prime (oro escluso) ha sfiorato i 12,6 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari (vedi grafICo ): pari, alle cifre di allora, all’86% del Pil Usa. Quel record non è mai più stato raggiunto. Ma il livello attuale (quasi 1.900 miliardi al giugno 2014, la data più recente per la quale ci sono dati certi) è comunque pari al doppio del valore registrato dieci anni prima.
LA REGOLAMENTAZIONE L’Ue, attraverso la direttiva Mifid, dovrebbe regolamentare i mercati ma le norme attuative in discussione – e non ancora ap-
I DERIVATI SULLE MATERIE PRIME 2003-14
1.887 2014 h1
2013 h2
2013 h1
2012 h2
2012 h1
2011 h2
2010 h2
2010 h1
2009 h2
2009 h1
2008 h2
2008 h1
2007 h2
2007 h1
2006 h2
2011 h1
2.729
5.100
valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
2006 h1
2005 h2
2005 h1
2004 h2
2004 h1
1.062 2003 h2
15.000 14.000 13.000 12.000 11.000 10.000 9.000 8.000 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 0
12.580
fOntE: BAnCA DEi rEGOLAMEnti intErnAziOnALi - OtC DErivAtivES MArkEt ACtivity, riCErCA SEMEStrALE (nOvEMBrE 2005 - nOvEMBrE 2014). h1: 1° SEMEStrE; h2: 2° SEMEStrE. DAti in MiLiArDi Di DOLLAri
provate – non sembrano soddisfacenti. «La Mifid si occupa solo del mercato finanziario mentre la speculazione si manifesta anche in quello fisico» spiega MarcOlivier Herman, Economic Justice Policy Lead della Ong Oxfam International presso l’Ue. «Per di più – aggiunge – la normativa europea non fa riferimenti specifici alla “speculazione” ma solo alla più generica prevenzione di “posizioni distorsive nel mercato”». Al centro delle critiche ci sono poi i limiti di posizione, l’ammontare di capitale che è consentito investire in operazioni finanziarie nel comparto. «Le proposte in discussione – rivela Herman – consentirebbero agli operatori di controllare fino al 40% delle forniture disponibili di una singola materia prima. La nostra proposta (di Oxfam, ndr) è di collocare il limite tra 5 e 15%». Sull’impasse europeo pesa «lo squilibrio tra il potere delle lobby finanziarie da una parte e quello dei gruppi che difendono l’interesse pubblico dall’altra». Un problema evidente anche in America, dove restano in discussione le regole attuative del Dodd-Frank Act, la maxi legge di riforma finanziaria. Negli Usa, conclude Herman, «l’industria finanziaria e gli altri attori interessati dalle normative stanno contrastando l’implementazione della legge nei tribunali mettendo pressione al regolatore di mercato, la CFTC, tagliandole il budget con il sostegno dei membri conservatori del Congresso». ✱
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Si DOMAnDA:
Perché Europa e Usa non hanno ancora approvato regole efficaci contro la speculazione sul cibo?
13
DOSSIER EXPO: IL MONDO CI GUARDA
BENESSERE ANIMALE E NON SOLO
14
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Si DOMAnDA:
A quando un sistema globale di etichettatura etica di carne e derivati?
PRODUZIONE GLOBALE DI ANIMALI IN BASE AL NUMERO DI ESEMPLARI fOntE: fAOStAt
2.500.000.000
Polli
Bovini
Maiali
2.000.000.000 1.500.000.000 1.000.000.000
2013
2012
2011
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2002
2003
2001
0
2000
500.000.000
1999
Il dito è puntato contro allevamenti intensivi come La ferme des mille vaches, la mega-stalla con mille mucche e un impianto
Così, come la bottega abbassa le serrande di fronte ai megastore, i piccoli allevatori accusano il colpo. Coldiretti svela che in Italia con la crisi ha chiuso una stalla su cinque, perdendo 32mila posti di lavoro. Dal 1° aprile, inoltre, le quote latte sono in pensione. «I produttori lituani, polacchi,
1998
ALLEVAMENTI-MONSTRE
irlandesi, olandesi possono quindi raddoppiare la produzione dall’oggi al domani. E noi, con una produzione casearia unica al mondo, fermi a guardare», denuncia Giorgio Apostoli, responsabile Zootecnia di Coldiretti. Se i 20mila piccoli allevamenti nelle zone montane e isolate soffrono, ci perdiamo tutti. In termini di occupazione, biodiversità («Pensiamo alla cinta senese, al nero di Caserta o dei Nebrodi, alla vacca frisona o bianca nera»), tutela del territorio: «Il calpestio di una vacca marchigiana o chianina preserva il suolo da erosioni e smottamenti». Che fare? «Nel libero mercato non si possono limitare le importazioni. Ma il consumatore dev’essere informato», dichiara Apostoli. Che ipotizza un’“etichetta di eticità”: «Chi vuole comprare carne o latte da un mega-allevamento estero è libero di farlo. Ma è libero anche di sapere se ciò che mangia è etico». ✱
E I NOSTRI ALLEVATORI?
1997
S
i teme «un ritorno agli anni bui della medicina». Durissimo il commento del premier inglese David Cameron sul rapporto del Dipartimento per le emergenze nazionali sui batteri resistenti agli antibiotici. Le cifre lasciano poco spazio all’ottimismo. Oltremanica un’epidemia di infezioni da super-batteri potrebbe produrre 200mila contagi e 80mila decessi. Negli Usa, stando ai Centers for Disease Control and Prevention, si aggirano su due milioni di infezioni e 23mila decessi l’anno. I motivi son presto detti: usiamo troppi antibiotici. In medicina, veterinaria, zootecnia, agricoltura. Così i batteri mutano. In Europa dal 2006 non si possono usare antibiotici per stimolare la crescita di pollo, manzo o maiale. Ma si somministrano al primo segno di infezione, per evitare contagi nei sovraffollati allevamenti industriali. Su 250 petti di pollo italiani analizzati da Altroconsumo, 195 contenevano super-batteri. Di fronte alla bufera mediatica, anche McDonald’s Usa ha promesso di affidarsi solo a fornitori che si limitano agli ionofori (non usati per l’uomo).
1996
Gli allevamenti intensivi impongono l’uso smodato di antibiotici che potrebbero incentivare i super-batteri. Cambiare strada è anche un’esigenza sanitaria
da biogas da 1,3 MW costruita a Drucat, nella Somme. Per non parlare di quelli dei broilers, i polli più diffusi . Per soddisfare la domanda sempre più vorace – raccontavamo su Valori di aprile – non bastano più polli “normali” (il loro peso medio è quintuplicato in cinquant’anni) né allevamenti “normali” (in Cina nel 1998 le aziende con meno di 2mila capi coprivano il 62% della produzione, oggi il 30%). Lo scenario-tipo è quello di capannoni lunghi 100 metri e larghi almeno 12, con una densità minima di 15 animali per metro quadro. Non va meglio ai maiali, spiega l’Economist. In una Cina che ne produce e consuma 500 milioni l’anno, le fattorie con meno di cinque capi, che negli anni Ottanta coprivano il 95% della produzione, hanno ceduto il passo ai mega-siti industriali che sfornano 100mila suini l’anno, facendoli vivere su letti di metallo.
1995
di Valentina Neri
1994
5
Questione di sopravvivenza
1993
punto
valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
EXPO: IL MONDO CI GUARDA DOSSIER
punto
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STOP ALLO SPRECO (RIPENSANDO LA FILIERA) Il cibo basta…
di Emanuele Isonio
Il 30% degli alimenti viene perso tra campo e tavola. La soluzione? Ridisegnare il sistema: reti locali, mappe di domanda e offerta, nuovi stili di consumo
ECCO DOVE AVVENGONO PERDITE E SPRECHI fOntE: BAriLLA CEntEr fOr fOOD AnD nutritiOn • Limite nelle tecniche agricole e infrastrutture per trasporto e stoccaggio • Fattori climatici e ambientali
A
IL PESO DELLA COLPA La vulgata sullo spreco alimentare punta spesso il dito contro la superficialità domestica. Che ha senz’altro un peso non trascurabile e chiama ogni famiglia, soprattutto del mondo ricco, a ripensare i valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
• Eccedenza degli acquisti
• Errori di previsione degli ordini e gestione delle scorte
• Eccedenza delle porzioni preparate
• Strategie di marketing e di vendta
• Rispetto di normative e standard
PRODUZIONE E RACCOLTO
• Limiti nei sistemi distributivi
• Deterioramento dei prodotti e degli imballaggi
• Surplus produttivi
PRIMA TRASFORMAZIONE
TRASFORMAZIONE INDUSTRIALE
• Difficoltà nella corretta interpretazione dell’etichetta • Errori nella conservazione degli alimenti
DISTRIBUZIONE RISTORAZIONE
LE FASI DELLA CATENA ALIMENTARE Perdite Alimentari (food losses)
nti-economico, anti-etico, illogico, anti-ecologico. È difficile rintracciare un motivo razionale che possa giustificare un sistema agroindustriale che perde lungo la filiera un terzo del cibo prodotto ogni anno nel mondo: un’enormità pari a 1,6 miliardi di tonnellate (per capirci: immaginate 160mila Tour Eiffel). Che fa gridare vendetta agli economisti (il suo controvalore è di 400 miliardi di dollari), alle organizzazioni che combattono contro la fame (che colpisce ancora oggi oltre 800 milioni di persone), agli esperti di cambiamenti climatici (dagli sprechi alimentari deriva il 7% dei gas serra). E rende, se non risibile, quantomeno debole la proposta, sostenuta dalle multinazionali del cibo, di puntare ancor più sulle produzioni intensive. Anche perché la Fao calcola che i sette miliardi di abitanti della Terra potrebbero contare già oggi sul 15% in più di alimenti rispetto a quello disponibile per i quattro miliardi del 1980, visto che il sistema produce 2.720 chilocalorie a testa ogni giorno.
• Limiti tecnici e dei processi di trasformazione e produzione
Sprechi Alimentari (food waste)
propri stili di consumo. Ma è pur vero che, quando il cibo arriva in casa, 4/5 dello spreco sono già compiuti: vittime di surplus produttivi che rendono antieconomiche le raccolte, fattori ambientali, limiti nei processi di trasformazione, logiche commerciali della Gdo, errori nella gestione degli imballaggi (vedi grafICo ).
UNA STRATEGIA ANTISPRECHI Una situazione intollerabile. Il lavoro da fare per riorganizzare a fondo il sistema non manca. A più livelli: dal piccolo Comune alle politiche internazionali. A voler essere ottimisti, non mancherebbero nemmeno le iniziative e i casi pratici che fanno guardare al futuro con qualche (fondata) speranza. In tutta Europa, la Commissione ha conteggiato un centinaio di progetti per ridurre gli scarti alimentari. Il più delle volte si concretizzano in campagne di sensibilizzazione, misurazione degli sprechi, strategie di miglioramento della logistica. Le attività rivolte ai consumatori finali portano senz’altro risultati: una campagna triennale nel Regno Unito del Waste & Resources Action Programme (WRAP) ha registrato una riduzione del 13% sullo spreco familiare. Ma è il lavoro oscuro lungo tutta la filiera a premiare di più: l’esigenza è sottolineata anche dal Pinpas (Piano nazionale di pre-
CONSUMO DOMESTICO
venzione degli sprechi alimentari), realizzato dal ministero dell’Ambiente. Prima ancora che pensare a donazioni del cibo in eccesso o la sua destinazione per alimentazione animale e trasformazione in compost, bisogna intervenire a monte (vedi grafICo ), evitando sovrapproduzioni e perdite nella fase di stoccaggio e distribuzione: cruciale in tal senso incentivare la costruzione di filiere agricole territoriali «per diminuire gli scarti legati ai passaggi che separano produttori e consumatori». Per raggiungere l’obiettivo, il segreto è nel conoscere bene offerta e domanda dei beni alimentari in una certa regione, per organizzare meglio la distribuzione e consentire alle imprese agricole di orientarsi sui prodotti per i quali la richiesta è maggiore. ✱
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Si DOMAnDA: Perché non prevedere sistemi premiali per le imprese agroalimentari che inseriscono attività di prevenzione degli sprechi nell’ambito delle loro politiche di Responsabilità sociale d’impresa? 15
DOSSIER EXPO: IL MONDO CI GUARDA
punto
7
LE MIRE DEI PRIVATI SULL’ORO BLU Acqua
di Paola Baiocchi
Un settore d’investimento più remunerativo non c’è: un monopolio naturale senza rischio d’impresa. Anche in Italia, investitori da Europa, Usa e Cina
S
ono “chiare, fresche et dolci” le acque italiane? Così e così, vista la frammentata mappa idrica italiana, che sconta alcune situazioni incomprensibili, come l’assenza di un servizio meteorologico civile e, all’opposto, la valutazione statistica sulle sole acque civili, incombenza a cui provvede l’Istat. Il dato più chiaro è che la questione meridionale non è ancora risolta: il Sud ha più sete del Nord e se le dispersioni nelle reti comunali nel Settentrione vanno dal 30% al 32,6%, al Centro, nel Sud e nelle Isole i valori delle perdite sono rispettivamente il 41,4%, il 40,9% e il 48,3%. Nel complesso, le dispersioni delle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile ammontano a 3,1 miliardi di metri cubi. Quello che, invece, accomuna tutta la Penisola è il dato che le perdite degli acquedotti sono aumentate dal 2008 al 2012, mediamente, dal 32,1% al 37,4% secondo quanto rileva l’Istat nel suo report più aggiornato. Un dato che porta acqua al mulino dei movimenti che hanno sostenuto la campagna referendaria del 2011 e che ancora si battono, nella quasi totale disattenzione politica, per la ripubblicizzazione della rete idrica. A fronte di condutture colabrodo, i consumi giornalieri di acqua per abitante, pari a 241 litri, sono diminuiti di 12 litri al giorno rispetto al 2008. 16
TARIFFE LIEVITATE Nella gestione dell’acqua italiana i privati hanno fatto il loro ingresso fin dal 1999: è Arezzo la prima città che ha privatizzato l’acquedotto e che, oltre a questo primato, ha anche quello delle bollette più care della Penisola. A fronte di aumenti del 300% in dieci anni, denunciano i sindacati e le associazioni dei consumatori aretini, i cittadini non hanno ottenuto né miglioramenti nella qualità dell’acqua erogata, né la diminuzione delle perdite. Ma c’è chi solleva il dubbio che non esista un reale interesse dei gestori di arrivare alla risoluzione del problema della dispersione, perché concorre a far lievitare le nostre bollette. Lo sostiene Bruno Miccio, del Gruppo 183, associazione per la difesa del suolo e delle risorse idriche. A conferma indiretta di questo dubbio, Rita Biancalani, una dei portavoce del Forum toscano del movimento per l’acqua spiega: «Non esiste altro investimento con una maggiore certezza di guadagno: è la legge stessa a garantire il ricavo, perché non posso incassare meno di quanto preventivato. Normale che la nostra acqua faccia gola a grandi investitori esteri. Europei, ma anche statunitensi e cinesi». Che si trovano un monopolio naturale senza nessun rischio d’impresa.
UNA NUOVA POLITICA C’è molto da fare, quindi: secondo il Forum la prima cosa è rispettare i referendum che hanno sancito la gestione pubblica dell’acqua. Riportando ai Comuni la centralità, ma con la vigilanza dei cittadini. Servono poi interventi di progettazione urbanistica integrata, in cui siamo in grosso ritardo con uno stock di case costruite negli ultimi venti anni, in cui (talvolta) si sono applicate forme di risparmio energetico, ma non di recupero delle acque.
I giardini della pioggia: servono a gestire e controllare le grandi quantità di acqua piovana all'interno delle aree urbane pavimentate: questi piccoli sistemi-giardino contribuiscono alla riduzione dell'inquinamento idrico, intercettando e trattenendo l'acqua piovana di ruscellamento, ne rallentano l'afflusso alle falde e ai corsi d'acqua. Permettono anche il filtraggio e una depurazione naturale dell'acqua, consegnandola all'impianto fognario meno inquinata. Se utilizzati su larga scala riducono l'allagamento delle strade e la concentrazione degli inquinanti fino al 30%.
In questo senso vanno le indicazioni europee che parlano di una politica della “domanda idrica” orientata a ridurre i prelievi ad uso civile, agricolo e industriale e favorire il riutilizzo delle acque usate. La politica territoriale dovrebbe anche essere volta ad aumentare la capacità “autodepurativa” del territorio e del reticolo idrografico, favorendo lo sviluppo di un assetto che rallenti, invece che accelerare, come succede con la cementificazione, i deflussi superficiali e favorisca la ricarica delle falde. ✱
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Si DOMAnDA:
Che cosa si aspetta a dare attuazione a quanto deciso dagli italiani che, nei referendum del 2011, si sono espressi perché la gestione dell’acqua torni pubblica?
valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
EXPO: IL MONDO CI GUARDA DOSSIER
punto
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PIÙ CIBO NEL PIATTO PER TUTTI Lotta alla fame
GRANDI ACQUISIZIONI DI TERRENI (IN MIGLIAIA DI ETTARI) Aree sopra 1 milione di ettari
Russia 702
Aree tra 500.000 e 1 milione di ettari
I beni alimentari ci sono ma la malnutrizione colpisce centinaia di milioni di persone. Dito puntato contro il land grabbing e un’iniqua distribuzione delle terre
Aree sotto 500.000 ettari Mali 176 Burkina Faso 200 Senegal 261 Liberia 1.362 Sierra Leone 1.221 Colombia 225 Brasile 921
U
na riduzione di cento milioni nel numero di denutriti in dieci anni non può far felici. Per più di un motivo: perché – rivela la Fao – almeno otto volte tanti ancora lottano contro la fame. E perché già produciamo alimenti per 12 miliardi di individui. «Il problema è la distribuzione, non la quantità». Ne è convinto il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale, ed è ormai assodato che da un lato il sistema globale della distribuzione del cibo così accentrato, e dall’altro il land grabbing, la progressiva acquisizione delle terre compiuta da corporation e governi, stiano minando la sovranità alimentare di molti Paesi. Continenti ad altissima presenza di affamati come l’Africa e l’Asia sono tra i primi bersagli. «Ma la concentrazione della proprietà di terra in poche mani – sottolinea un rapporto del 2013 di Via Campesina – riguarda sempre più anche l’Europa, dove vi sono circa 12 milioni di aziende agricole, ma quelle più grandi (sopra i 100 ettari), che sono solo il 3% del totale, controllano il 50% di tutte le terre coltivate».
ECONOMIA LOCALE E SOVRANA E se alla diffusione della proprietà del suolo per chi coltiva è connessa sia la disponibilità dei prodotti da parte dei consumatori sia un più agevole accesso al cibo (in valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
Paraguay 223 Uruguay 659 Argentina 488
Ghana 734 Gabon 471 Rep. Democratica del Congo 2.717
Sud Sudan 3.491 Sudan 1.191 Etiopia 923 Kenya 172 Zambia 385 Madagascar 592 Mozambico 2.162 Zimbabwe 391
Cina 236 Laos 353 Vietnam 261 Cambogia 712 Malesia 453 Papua Nuova Guinea 3.799 Timor Est 203 Indonesia 3.267
Il portale Land Matrix stima in 35 milioni di ettari l'ammontare, per difetto, delle terre coinvolte in operazioni di land grabbing (l'acquisizione di terra da parte di società o istituzioni straniere) alla fine del 2013. riguarda appezzamenti non utilizzati solo per l’agricoltura, ma anche come fonti di legname o per fornire energia o ai fini di attività industriali.
quantità e qualità), «allo sviluppo delle filiere corte si collega un rafforzamento della sovranità alimentare nelle diverse aree geografiche, tramite l’impiego di risorse locali». Questa la tesi di Beppe Croce, responsabile nazionale Agricoltura di Legambiente, che ipotizza una gestione della produzione e della distribuzione di cibo che sappia ridurre le disparità, avvantaggiandosi anche da una modifica della dieta che liberi terre coltivabili grazie alla riduzione delle calorie di derivazione animale, e puntando su «orticoltura urbana, agricoltura di prossimità e gruppi di acquisto solidale». Diverse componenti per arginare il condizionamento di un modello distributivo che sta portando anche alcuni Stati africani ad adottare «un’economia urbana completamente dipendente dall’esterno»; Paesi che, non avendo una struttura industriale e commerciale sviluppata capace di garantire ad essi potere negoziale, diventano «destinatari di gran parte degli scarti dell’agroalimentare dell’Occidente, ad esempio gli avanzi dei no-
stri polli, che giungono in Cina o in Africa tramite lunghe filiere distributive, in cui spesso non viene adottata una catena del freddo regolare». Da qui l’opportunità, intrapresa solo da alcuni, di cambiare il proprio destino, investendo su una politica agricola per lo sviluppo interno: «Il governo del Camerun – conclude Croce – ha varato ad esempio un grande piano di agricoltura biologica di qualità, non solo per l’autoconsumo ma per sviluppare l’export di prodotti, anche trasformati, di vario tipo, come caffè, cacao, ortaggi e persino la pasta». ✱
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Si DOMAnDA:
Perché non condividere globalmente soglie limite al land grabbing e regole antitrust per spezzare l’oligopolio nel mercato del cibo?
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fOntiE: LAnDMAtrix.OrG -DAti 2013
di Corrado Fontana
DOSSIER EXPO: IL MONDO CI GUARDA
“GRANDI PROGETTI INUTILI” L’AVANZATA PROSEGUE Susa, Stoccarda, Sivens
punto
9
di Andrea Barolini
Nell’anno di Expo, l’Europa è unita dall’opposizione a opere faraoniche che garantiscono vantaggi solo a chi le realizza. Alle popolazioni locali rimangono territori dilaniati. Una situazione che implora un cambio di rotta
N
on soltanto la TAV. La questione dei “grandi progetti inutili e imposti” (GPII) è sempre più d’at-
punto
10
vrebbe arrivare nel primo semestre dell’anno). Il dato politico tuttavia è che – anche grazie alla mobilitazione – sempre più voci sono ormai contrarie, compresa quella del ministro francese dell’Ecologia, Ségolène Royal.
FERROVIE E MINIERE Il forum, nel 2013, si è spostato a Stoccarda, in Germania, teatro dell’opposizione al progetto ferroviario Stuttgart 21: 57 chilometri di rotaie al prezzo (ufficiale) di 6,8 miliardi di euro (secondo alcune stime oltre 9 miliardi). Lo scorso anno, invece, l’incontro è stato organizzato a Rosia Montana, in Romania, dove la popolazione locale si batte contro un progetto minerario con il quale la società canadese
IL SOLCO (BUONO?) DI EXPO 2015 Una scommessa sul futuro
di Corrado Fontana
Evento ad alto impatto ambientale regionale, già dal consumo di suolo del sito e delle opere accessorie, la speranza è che l’esposizione possa redimersi un domani come moltiplicatore globale di buone prassi non staremo a mettere in fila troppi numeri su Expo 2015. perché già molti l’hanno fatto. Qui lasciamo a Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia, il compito di deludere le speranze di chi vorrebbe “venderlo” come sostenibile tout court in ter18
tualità, in Europa e non solo. I comitati che si battono contro le opere considerate non in grado di migliorare la vita dei cittadini, ma capaci di deturpare l’ambiente e di sprecare eccessive risorse pubbliche, si sono riuniti più volte in successivi forum tenuti in luoghi-simbolo delle battaglie. Nel 2012 la città scelta fu Notre-Dame-des-Landes, in Francia, dove la collettività locale (e non solo) si batte strenuamente contro il progetto di un mega-aeroporto, sponsorizzato dal colosso delle costruzioni Vinci. La lotta va avanti da anni, e ha portato a un duro scontro tra promotori e contrari. Questi ultimi hanno occupato l’area, presentato ricorsi e ora attendono il giudizio del tribunale amministrativo locale (che do-
mini di impatto ambientale: se nella valutazione si circoscrive l’ambito all’infrastruttura espositiva, «alla perdita di suolo agricolo si somma la compromissione del reticolo idrico, una movimentazione di terre impressionante e ingiustificata, una progettazione folle della naufragata via d’acqua. Se invece si considerano gli impatti del complesso delle opere funzionali all’evento, allora Expo 2015 assume la dimensione di un gigantesco “ecomostro regionale”, considerando le fallimentari connessioni ad opere come l’autostrada pedemontana, la Rho-monza, la BreBemi, la teem: tutte giudicate acriticamente come “funzionali a Expo”. Comunque lo si voglia vedere, l’impatto di Expo non può essere ricompreso nelle misure di compensazione ambientale adottate e nemmeno nei, pur ap-
prezzabili, protocolli ambientali adottati da e per gli espositori e i fornitori». Se però, conclude Di Simine, «lo slogan “nutrire il pianeta” sarà capace di produrre un reale differenziale culturale, soprattutto per quanto riguarda il riorientamento sostenibile della dieta globale, allora si potrà decidere che è valsa la pena di assorbire la voragine ecologica che Expo ha portato in terra lombarda, e anche il pesante tributo di illegalità, corruzioni e sprechi». PAROLA ALLA DIFESA Buon auspicio a parte, da Legambiente una breve ma pesante “requisitoria”, cui sommiamo la più che imbarazzante sponsorizzazione di mc Donald’s all’evento. a gloria Zavatta, responsabile sostenibilità di Expo Spa, la possibilità di opporre buone ragioni per chievalori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
EXPO: IL MONDO CI GUARDA DOSSIER
Conti francese), a livello europeo è ancora un progetto francese ad aver suscitato grande clamore: la diga di Sivens, sul fiume Tescou, nel dipartimento del Tarn. Il piano prevede di sommergere 12 ettari di zone umide, che ospitano un centinaio di specie protette. Lo scorso 26 ottobre, un attivista di 21 anni, Remi Fraisse, è stato ucciso da una granata lanciata dalla polizia. L’amministrazione locale, qualche mese dopo, ha abbandonato il vecchio progetto, ripiegando su una diga decisamente più piccola.
RMGC punta ad estrarre 315 tonnellate d’oro e 1.480 d’argento utilizzando, secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, 12mila tonnellate di cianuro all’anno. «I GPII – spiega Hervé Kempf, direttore di Reporterre.net e autore di Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo (Garzanti) – distruggono zone naturali e terre agricole, e i loro vantaggi economici sono tutti da dimostrare. Prendiamo la TAV: costerà 26 miliardi di euro, in un luogo in cui esiste già un collegamento ferroviario che basterebbe ristrutturare. Alcuni parlamentari hanno sottolineato il rischio di infiltrazioni mafiose e l’Ufficio anti-frode europeo ha aperto un’indagine per sospette truffe e conflitti di interesse». Ancora, grandi progetti inutili sono considerati i mega-oleodotti che si vogliono costruire in Canada e negli Usa per trasportare quello che viene considerato da Greenpeace «il petrolio più sporco del pianeta», proveniente dalle sabbie bituminose. In Europa, se la Lione-Torino è in termini economici probabilmente il progetto più imponente (la cifra di 26 miliardi è stata indicata dalla Corte dei
«I governi europei – prosegue Kempf – vogliono imporre ad ogni costo una ripresa economica basata sulle grandi infrastrutture, benché la maggior parte di esse siano inutili e rischiose: l’unico vero risultato è un imponente trasferimento di denaro dalle casse degli Stati a quelle di poche grandi imprese private. È la logica del sistema neo-liberista. Al contrario, occorrerebbe riorientare gli investimenti in una direzione completamente diversa: aiuto alla creazione di posti di lavoro nel-
dere le attenuanti generiche: perché, spiega, «l’appalto piastra, per la realizzazione delle infrastrutture e dei manufatti, include nel capitolato speciale alcuni dei criteri di sostenibilità più importanti e applicabili: sulla gestione dei rifiuti, sul controllo dell’erosione, sui materiali da costruzione (quote di legname da forestazione sostenibile, e calcestruzzo e acciaio riciclati)». E a proposito di consumo energetico, la gran parte dei padiglioni presentati – di paesi e organizzazioni – avrebbero accolto i suggerimenti delle linee guida di sostenibilità proposte da Expo: 63 hanno previsto soluzioni tecnologiche a livello d’involucro per il controllo della radiazione solare e il contenimento dei fabbisogni di condizionamento (raffrescamento estivo); 48 padiglioni hanno adottato soluzioni di freecooling (che sfrutta semplicemente il differenziale di temperatura interno/esterno, ndr) o ventilazione naturale; 66 hanno previsto sistemi d’illuminazione a led. abbondante l’adozione di soluzioni per il contenimento dei
consumi idrici; meno diffuso l’impiego di materiali costruttivi da riciclaggio. Dati che non cancellano cementificazione ed emissioni di gas serra, ma «il fatto che queste linee guida costruttive o sul green procurement (sul ricorso a forniture a basso impatto ambientale, ndr) siano state viste o adottate, anche solo parzialmente, dai progettisti, partner o concessionari (200 soggetti e più), oltre a scolaresche e visitatori, è un grande risultato, con un potere moltiplicatore di esperienza e sensibilità», prosegue Zavatta. È ciò che ci auguriamo tutti, naturalmente, apprezzando anche l’acquisto di energia certificata verde all’origine e i programmi di gestione dei rifiuti basati sul “modello milano”, che promuovono principi di riciclo, recupero e compostabilità. ma se appare ad oggi complicata la valutazione delle compensazioni delle emissioni di Co2 (tramite opere locali e acquisto di crediti di carbonio), in conclusione dobbiamo sottolineare il valore
valori / AnnO 15 n. 128 / maggio 2015
SOLO I GRANDI GRUPPI PRIVATI SI RALLEGRANO
LIBRI PER SALVARE IL PIANETA DOBBIAMO FARLA FINITA CON IL CAPITALISMO Hervé Kempf
[Edizioni garzanti, 2010]
l’agricoltura, finanziamenti per il risparmio energetico, grandi piani per il trasporto pubblico, incentivi per quello non motorizzato, sviluppo delle energie rinnovabili». Si tratta, insomma, di una questione politica: dipende da quale tipo di società intendiamo costruire. ✱
?
Si DOMAnDA:
Quanti progetti piccoli e sostenibili si potrebbero finanziare con i soldi delle grandi opere europee?
(assoluto e di esempio) della scelta volontaria di stilare un articolato rapporto di sostenibilità (la prima volta per un’esposizione universale) ispirandosi ad alcuni standard riconosciuti internazionalmente (gRi-g4 e Leed). peccato che per motivi diversi (requisiti, costi e tempi) non si sia portato il passo fino alla certificazione finale delle opere (eccezion fatta per la ristrutturazione di Cascina triulza, sede di Expo dei popoli e unico edificio che rimarrà in forma permanente). Sarà per la prossima Expo? ✱
?
Si DOMAnDA:
Perché non sperimentare l’idea di una Expo diffusa in vari luoghi della città, che permetta comunque di prevedere un biglietto d’ingresso?
19
FINANZA ETICA
SHADOW BANKING 75 TRILIONI FRA OMBRE E LUCI
«P
di Matteo Cavallito
L’intermediazione extrabancaria continua a crescere. Dalla crisi ad oggi la regolamentazione è aumentata. Ma per alcuni comparti mancano ancora norme efficaci valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
residiare con il necessario rigore i rischi generati dal sistema bancario ombra traendo lezione dagli insegnamenti della crisi». Ma anche «supportare la crescita attraverso un modello sostenibile» con l’obiettivo di «evitare di generare anche in Italia rischi shadow di natura sistemica». A sostenerlo, in occasione del World Finance Forum 2015, è Carmelo Barbagallo, il capo del dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia. Al centro del suo intervento, realizzato nell’ambito di una tavola rotonda organizzata da Ascosim (Associazione delle Società di consulenza finanziaria), c’è il fenomeno dello shadow banking, ovvero l’insieme delle attività di intermediazione creditizia che si svolgono al di fuori del circuito bancario tradizionale. Nel mondo, ricorda l’ultimo report del Financial Stability Board (Fsb), le cosiddette attività “ombra” nei 25 principali mercati finanziari del Pianeta valgono oltre 75 trilioni (mila miliardi) di dollari (ma si scende a 35mila miliardi, il 60%
Times Square, New York City 21
finanza etica shadow banking
del Pil dei Paesi osservati, ha ricordato Barbagallo, escludendo tra gli altri «le entità prudenzialmente consolidate, le autocartolarizzazioni e i fondi azionari»), quasi il triplo rispetto all’ammontare registrato nel 2002 ( GRAFICO 1 ). Un fenomeno in crescita, insomma, favorito, soprattutto in Europa, dagli sviluppi della crisi. La stessa crisi, ricorda qualcuno, che proprio la finanza ombra aveva contribuito a creare.
DALLA CRISI ALLE REGOLE «Di shadow banking si è iniziato a parlare diffusamente anche sui giornali tra il 2007 e il 2008, ovvero nel momento in cui quest’ultimo si è trovato al centro di una bolla» spiega a Valori Paolo Guerrieri, ordinario di Economia all’Università La Sapienza di Roma e docente al Collegio d’Europa di Bruges. «L’espressione veniva utilizzata per indicare un fenomeno cresciuto negli anni della grande liberalizzazione dei mercati finanziari e divenuto
GLOSSARIO CARTOLARIZZAZIONE È il processo attraverso il quale i crediti vantati nei confronti dei debitori vengono utilizzati come sottostante di un derivato (tipicamente un Asset-backed security - ABS) di cui vanno a costituire la garanzia. I derivati vengono quindi scambiati sul mercato trasformando così i crediti in denaro liquido. LEVA L’operazione con la quale un operatore investe molto più denaro di quanto possieda raccogliendo il capitale attraverso l’indebitamento. Con un rapporto di leva di 9 a 1, ad esempio, una banca può investire 100 utilizzando 10 di capitale proprio e prendendo a prestito 90, restituendo successivamente la somma con gli interessi. In caso di successo i guadagni sono moltiplicati, in caso di fallimento, al contrario, ad essere moltiplicate sono le perdite. SOCIETÀ VEICOLO Ovvero Special Purpose Vehicle, è un’entità finanziaria (spesso domiciliata in un paradiso fiscale) creata dalla banca per costruire e vendere agli investitori i prodotti della cartolarizzazione come le ABS.
quindi sinonimo di attività di intermediazione condotta al limite della liceità». Protagoniste di questa definizione, spiega Guerrieri, sono in particolare due diverse forme di shadow banking: quella dei «veicoli di investimento creati dai grandi istituti di credito per mettere, sintetizzando al massimo, gli asset fuori bilancio e aggirare così le norme sui requisiti patrimoniali aumentando il potere di leva», e quella dei «cosiddetti money market funds pensati per la gestione della liquidità e a fronte dei quali sono stati emessi i celebri titoli della cartolarizzazione dal sottostante incerto». Il riferimento corre ovviamente agli strumenti sintetici, prodotti complessi nella struttura e nella composizione del sottostante come i celebri insaccati finanziari – asset-backed securities e simili – costituiti da crediti (mutui immobiliari ma non solo) a rischio variabile (ovvero con diversi livelli di rating). Semplificando al massimo, insomma, stiamo parlando dei titoli della grande crisi, quella innescata nel mercato Usa ed estesasi successivamente al resto del mondo. Da allora sono passati quasi otto anni, ma nonostante «i passi in avanti», ricorda ancora Guerrieri, sulla regolamentazione dei veicoli finanziari e dei money market funds, «siamo ancora lontani dall’avere un insieme di norme efficaci». Da qui la necessità dei controlli e, con essi, della prevenzione del rischio sistemico. A ricordarlo è stato lo stesso Barbagallo, mettendo in luce le operazioni di regolamentazione avviate in Italia dove l’intermediazione extrabancaria resta per altro decisamente limitata (400 miliardi di dollari, 18,4% del Pil, contro i 5mila miliardi – 234% del Pil – dell’intermediazione degli istituti di credito).
NUOVI INTERMEDIARI: «EUROPA PIÙ SICURA, MA IL VERO RISCHIO È LA CINA» di Matteo Cavallito
Scolari (Ascosim): «La diversificazione riduce il rischio per l’economia reale». Ma occhio a Pechino, «contesto complicato con poche informazioni» In principio erano le “banche ombra”: il lato oscuro della finanza, una conclamata fonte di rischio per l’intero sistema. Ma col passare del tempo, indubbiamente, qualco22
sa è cambiato. E il giudizio sul cosiddetto shadow banking si è modificato di conseguenza. Lo sottolinea, a colloquio con Valori, Massimo Scolari, segretario generale di Ascosim (Associazione delle Società di consulenza finanziaria).
Insomma, dottor Scolari, possiamo dire che le “banche ombra” fanno meno paura? L’espressione shadow banking nasce alcuni anni fa con un’accezione fortemente negativa per indicare un settore poco o per nulla regolamentato evidenziandone di
conseguenza i rischi. Da allora, tuttavia, il ragionamento è cambiato. Oggi non si parla più di sistema “che vive nell’ombra” ma semplicemente dell’insieme di tutti quei soggetti che, pur al di fuori del circuito bancario tradizionale, svolgono comunque attività di intermediazione creditizia. Un insieme piuttosto eterogeneo, vero? Sì, ed è questa la differenza fondamentale. Al contrario degli istituti di credito, che si caratterizzano per una certa omogeneità, gli operatori del cosiddetto shadow banking valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
shadow banking finanza etica GRAFICO 1 LA CRESCITA DELLE BANCHE OMBRA: 2002-13
FONTE: FINANCIAL STABILITY BOARD, "GLOBAL SHADOW BANKING MONITORING REPORT", OTTOBRE 2014. DATI IN MIGLIAIA DI MILIARDI DI DOLLARI
80,0 70,0
75,2
60,0
61,5
50,0
70,5 65,3 67,5 58,5 60,2
FONTE: FINANCIAL STABILITY BOARD, "GLOBAL SHADOW BANKING MONITORING REPORT", OTTOBRE 2014. DATI RELATIVI A MONITORING UNIVERSE OF NON-BANK FINANCIAL INTERMEDIATION (MUNFI) NEL MONDO. PAESI OGGETTO DI INDAGINE: ARABIA SAUDITA, ARGENTINA, AUSTRALIA, BRASILE, CANADA, CILE, CINA, COREA DEL SUD, EUROZONA, GIAPPONE, HONG KONG, INDONESIA, INDIA, MESSICO, REGNO UNITO, RUSSIA, SINGAPORE, SUDAFRICA, TURCHIA, USA.
44,0 30,0
[trilioni di dollari]
38,1
20,0 26,4
32,4
5% Giappone
MONDO 100%
Finanziamenti da “altri intermediari finanziari”
10,0 0,0
12% Altri
4% Cina 12% Regno Unito
51,8
40,0
GRAFICO 2 LA DISTRIBUZIONE DELLO SHADOW BANKING NEL MONDO
34% Euro Area
33% Usa 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
La tesi del capo della vigilanza, in sintesi, è che sia necessario «un approccio complessivo» che non trascuri «gli intermediari non bancari». Una conclusione inevitabile, soprattutto alla luce del nuovo ruolo assunto dallo shadow banking.
OPPORTUNITÀ E RISCHI Il fatto è che il mondo extrabancario è divenuto sempre più organico al sistema e gli effetti, almeno in apparenza, non sembrano poi così negativi. L’inasprimento delle regole imposte agli istituti di credito, sostiene Massimo Scolari, Segretario Generale di Ascosim (vedi INTERVISTA ), avrebbe determinato infatti «lo sviluppo di nuovi soggetti dell’intermediazione che hanno creato una diversificazione delle fonti di finanziamento. Il che, ovviamente, riduce anche il rischio per l’economia reale». È l’ipotesi della grande opportunità, quella, per intenderci, di un rilancio della crescita attra-
Massimo Scolari, segretario generale di Ascosim (Associazione delle Società di consulenza finanziaria)
system sono soggetti molto diversi come i fondi monetari, gli hedge fund e le società di cartolarizzazione. Sono operatori alternativi alle banche, la cui presenza in Europa, al contrario di quanto accaduto negli Usa, è aumentata dopo lo scoppio della crisi. Per quale motivo? Le pressioni della BCE e l’inasprimento delle regole di Basilea hanno costretto di fatto le banche a limitare la propria attività. Da valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
verso la distribuzione del rischio creditizio a una pluralità di investitori (bancari e non). Una tesi avanzata qualche tempo fa anche dell’Economist (vedi Valori n. 120, luglio-agosto 2014) e che si accompagna a una crescente rivalutazione qualitativa del fenomeno. La tesi è affascinante ma la cautela è d’obbligo. A ricordarlo, inevitabilmente, è il caso della Cina che, ha ricordato il Fsb, ospita oggi il 4% della cosiddetta Non-Bank Financial Intermediation globale ( GRAFICO 2 ), una quota 4 volte superiore rispetto al 2007 (quando il mercato mondiale, tra l’altro, valeva il 22% in meno). La crescita del fenomeno, notava nei mesi scorsi il Wall Street Journal, sta rallentando (+14% su base annuale a novembre 2014 contro il +75% del 2010) ma la carenza di informazioni attendibili che circonda tuttora il comparto a Pechino e dintorni continua a rappresentare un motivo di forte preoccupazione. ✱
qui, inevitabilmente, lo sviluppo di nuovi soggetti dell’intermediazione che hanno creato una diversificazione delle fonti di finanziamento. Il che, ovviamente, riduce anche il rischio per l’economia reale. Come giudica il panorama regolamentare dell’Europa? L’Italia ha modificato da qualche tempo la sua normativa facendo cadere il monopolio delle banche nel settore dell’intermediazione e aprendo la strada a molti soggetti nuovi. L’Europa ha approvato la sua direttiva sui cosiddetti fondi alternativi che, in passato, erano soggetti alla sola regolamentazione nazionale. Al momento, però, si procede con lentezza ed è presto per valutare l’efficacia della normativa.
Restano molti dubbi sul fenomeno cinese: le “banche ombra” di Pechino costituiscono un rischio? È possibile, in primo luogo di fronte alla difficoltà degli analisti nella stima quantitativa del settore. L’incapacità di controllare la dimensione di un fenomeno è sempre la prima fonte di rischio. Ricorda cosa accadde con i subprime? Per mesi, alla vigilia della crisi, il FMI tentò di valutarne l’effettivo volume di mercato correggendo al rialzo le proprie stime ogni settimana. Cosa è accaduto dopo è noto. Si era perso il controllo del mercato… Già, ed eravamo negli Stati Uniti. Qui invece parliamo della Cina dove si hanno meno informazioni e tutto è più complicato. In questo senso i timori non mancano. ✱ 23
finanza etica shadow banking
Bruxelles grazia le banche ombra di Mauro Meggiolaro
La commissione Economia del Parlamento europeo ha salvato le banche ombra da regole severe. Ora deciderà il plenum, ma non ci si aspettano sorprese: le lobby finanziarie si preparano a un’altra vittoria
Sven Giegold, portavoce finanziario dei Verdi al Parlamento europeo 24
«O
ra le banche ombra possono esultare», dichiarava il 26 febbraio scorso Sven Giegold, portavoce finanziario dei Verdi al Parlamento europeo, subito dopo la votazione della commissione Affari economici sulle banche ombra. Sul piatto c’era la regolamentazione di un particolare tipo di fondi monetari, i Constant Net Asset Value Money Market Funds (Cnav), fondi con valore patrimoniale netto costante, utilizzati da grandi imprese e investitori istituzionali per parcheggiare la loro liquidità. Formalmente si tratta di fondi d’investimento, che hanno però una piccola ma fondamentale differenza rispetto agli altri: il valore delle quote investite non è soggetto agli alti e bassi dei mercati ma rimane costante. Così alla fine i Cnav funzionano come depositi bancari, senza però sottostare alle norme e alle autorità di vigilanza previste per le banche né a garanzie sui depositi. Tra il 2008 e il 2009, gli anni peggiori dell’ultima crisi finanziaria, le vendite forzate di titoli di Stato da parte di fondi Cnav (per rimborsare gli investitori che volevano uscire) hanno accelerato il crollo del valore dei bond pubblici (nei quali i fondi investono), contribuendo in modo determinante al fallimento di banche e imprese. Motivo per cui il Financial Stability Board e il Comitato Europeo per il Rischio Sistemico hanno raccomandato di eliminare gradualmente alcuni di questi fondi. Una proposta sposata in pieno dal gruppo verde a Bruxelles. Lo stesso Michel Barnier, ex commissario europeo per il mercato interno e i servizi finanziari (carica che oggi ricopre il britannico Jonathan Hill), aveva appoggiato la proposta, chiedendo – nel 2013 – che i fondi Cnav fossero almeno sottoposti alla normativa bancaria e accantonassero un cuscinetto di capitale pari al 3% del patrimonio. Ma con Hill la musica è subito cambiata. «Il nuovo commissario ha lasciato cadere la proposta Barnier», spiega Giegold a Valori. «Francia e Germa-
nia, favorevoli a regole severe per i fondi, si sono scontrate con Gran Bretagna, Irlanda e Lussemburgo e i secondi stanno avendo la meglio».
CRUCIALI LE ASTENSIONI SOCIALDEMOCRATICHE Alla fine la laburista britannica Neena Gill, relatrice sulle banche ombra, ha presentato una bozza di regolamentazione, frutto del compromesso tra le varie anime del Parlamento. «Una proposta annacquata», continua Giegold, «che noi Verdi abbiamo bocciato, e di fronte alla quale i socialdemocratici si sono in parte astenuti, contribuendo a farla passare. Sia loro, sia PPE (popolari), Alde (liberali) e Ecr (conservatori) si sono piegati di fronte ai lobbisti delle banche ombra e hanno addirittura accettato la rinuncia al cuscinetto del 3%». Tra gli italiani hanno votato a favore della proposta che salva le banche ombra Renato Soru e Roberto Gualtieri del Pd, mentre si sono opposti Marco Zanni e Marco Valli del M5S. Le banche ombra potranno quindi continuare ad agire indisturbate, con gli stessi rischi per la stabilità dei mercati del periodo pre-crisi. Alla fine solo una particolare categoria di fondi monetari, i cosiddetti Low Volatility Net Asset Value, sarà messa al bando ma dopo una fase di transizione di cinque anni: tre anni in più rispetto agli Stati Uniti, dove una norma analoga è già stata introdotta. Dopo il voto della commissione Affari economici la palla passa all’assemblea plenaria del Parlamento europeo e quindi al Consiglio dei ministri Ue per l’approvazione finale. Riuscirà il plenum dell’Europarlamento a ribaltare il voto? Le probabilità sono molto basse ma non è ancora detta l’ultima parola. «Stiamo cercando di guadagnare altri parlamentari alla causa. Vogliamo che sia reintrodotto almeno il cuscinetto del 3%», spiega a Valori un membro dello staff di Giegold. Ma la strada ora è tutta in salita. ✱ valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
derivati estremi finanza etica
Scommesse estreme La finanza apre alla metafisica Ecco i Contracts for difference : transazioni virtuali su azioni che non esistono, puntate reali sul mercato dei cambi, operazioni non regolamentate con leva a tripla cifra. Assurdo ma possibile
C
omprare una manciata di azioni Uber, scambiare titoli Snapchat con qualche anonimo investitore, scommettere sul rialzo o sul ribasso di Pinterest. È ciò che può fare qualsiasi utente di Sand Hill Exchange, la borsa online specializzata nei titoli della Sylicon Valley. Nulla di strano, verrebbe da dire, per quella che in apparenza ha tutta l’aria di essere una delle tante piazze OTC (Over-the-counter, esterna cioè alle borse tradizionali). Ma il condizionale è d’obbligo, a fronte di un particolare tutt’altro che trascurabile: Uber, Snapchat e Pinterest, al pari di Reddit, Slack e delle altre società “disponibili” sulla piazza, sono al momento private companies. Ovvero aziende non quotate.
IL PIANETA SAND HILL Sembra assurdo, eppure funziona. Merito, ha notato qualche tempo fa il Financial Times, dei cosiddetti Contracts for difference (CFDs), strumenti finanziari derivati che hanno come sottostante le azioni stesse. I CFDs sono pensati per replicare l’andamento dell’asset su cui sono costruiti – in questo caso le azioni – e funzionano come contratto tra due controparti. La variazione del valore del sottostante determina la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita del contratto stesso generando un profitto o una perdita a seconda dei casi. Di fatto si tratta di una scommessa su qualcosa che non si possiede, il che, nell’universo dei mercati, non rappresenterebbe di per sé una novità (basti pensare alle operazioni sui futures delle materie prime condotte da operatori non presenti nel mercato “fisico”). Ma questa volta, a ben vedere, si osa decisamente di più, visto che le transazioni di mercato sui titoli delle unlisted companies, le aziende valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
di Matteo Cavallito
non quotate, non potrebbero ovviamente avere luogo. Da qui l’invenzione di Sand Hill, che immette sul “mercato” titoli virtuali (tecnicamente CFDs, come si diceva) a un prezzo unitario pari a un miliardesimo del valore ipotetico di ogni singola compagnia (40 dollari circa per una azione/CFDs di Uber, valutata 40 miliardi, ad esempio). I contratti vengono scambiati tra gli utenti segnando così le variazioni di prezzo (l’incontro tra domanda e offerta nella piazza virtuale) fino alla valutazione finale determinata, ricorda ancora il Financial Times, «da un liquidity event (nella realtà, ndr), come un’offerta pubblica iniziale per il collocamento in borsa, una vendita o un fallimento». In sintesi, spiegava a febbraio il blog ufficiale di Sand Hill, «se avete comprato un titolo ACME (una delle compagnie “quotate” sulla piattaforma, ndr) a 8 dollari e quest’ultima si colloca in borsa con una valutazione di 10 miliardi, allora avrete guadagnato 2 dollari». Tutto chiaro? Più o meno. Visto che a differenza di ciò che accade in Europa, ricordava il quotidiano britannico, i CFDs sono tuttora illegali negli Stati Uniti, ovvero nel principale mercato finanziario del mondo. Un’impasse che i gestori di Sand Hill avrebbero risolto con un autentico colpo di genio: l’utilizzo del sistema Blockchain, il registro delle transazioni in bitcoin, la criptovaluta più famosa (e discussa) del Pianeta. A voler riassumere gli elementi in gioco, insomma, la trama della storia suonerebbe più o meno così: in un mercato elettronico basato su valutazioni ipotetiche, un gruppo di operatori non soggetti al controllo di alcuna authority utilizza titoli derivati non disponibili a Wall Street per scambiare azioni che sul mercato ancora non esistono attraverso 25
finanza etica derivati estremi I DERIVATI EQUITY-LINKED: 2003-14
FONTE: BIS (BANK OF INTERNATIONAL SETTLEMENTS) - OTC DERIVATIVES MARKET ACTIVITY, SEMIANNUAL SURVEYS MAGGIO 2005 NOVEMBRE 2014). H1: FIRST HALF (1° SEMESTRE); H2: SECOND HALF (2° SEMESTRE). DATI IN MILIARDI DI DOLLARI
3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500
2014 h1
2013 h2
2013 h1
2012 h2
2012 h1
2011 h2
2011 h1
2010 h2
2010 h1
2009 h2
2009 h1
2008 h2
2008 h1
2007 h2
2007 h1
2006 h2
2006 h1
2005 h2
2005 h1
2004 h2
2004 h1
2003 h2
0
transazioni elettroniche denominate in una valuta virtuale. La metafisica finanziaria al suo meglio.
IL MONDO DEI CFDS Lo scorso 9 aprile, Sand Hill ha annunciato la chiusura del mercato, lo spostamento a una nuova struttura e il rimborso dei conti degli utenti. L’esperimento potrebbe essere finito. Ma quello dei CFDs resta un tema aperto. Il loro controvalore non è noto anche se il loro peso nell’universo derivati resta di certo marginale. Tecnicamente rientrerebbero nel
sotto la lente di Valori
’eccellenza italiana sotto la lente di Valori V lori Va FATTI F FA ATTI ITALIA T LIA L’L’eccellenza TA T IN ITA
FATTI IN ITALIA L’eccellenza italiana
comparto dei cosiddetti equity swaps che la Banca dei Regolamenti internazionali conteggia insieme ai contratti forward equity-linked (legati cioè alle azioni). Nel giugno 2014, ultima data per le quale sono disponibili cifre complete, questa macro categoria (forward più swaps) valeva circa 2,4 trilioni di dollari. Un dato vicino al record storico (vedi GRAFICO ) ma pur sempre marginale rispetto al valore complessivo di tutti gli strumenti derivati del mercato mondiale (691 trilioni). Ma per quanto limitati e criptici, notano gli osservatori, questi derivati finiscono spesso per pesare replicando pericolosamente i mercati reali nelle piazze in cui sono disponibili. In Cile, notava tempo fa Bloomberg, i CFDs non sono posti sotto il controllo della locale authority di borsa (la Superintendencia de Valores y Seguros), vengono usati per scommettere su qualsiasi cosa – dai titoli del Nasdaq ai futures sulle materie prime – e sono soggetti a livelli di leva mostruosi (anche 100 a 1). La stessa “leva” (400 a 1 in questa occasione) alla base della rovina di un anonimo ingegnere tedesco capace, ha rivelato di recente Der Spiegel, di perdere 280mila euro sul mercato dei cambi complice una scommessa sbagliata sull’andamento del franco svizzero. Nel suo caso l’investimento iniziale nei CFDs legati alla valuta elvetica ammontava ad appena 2.800 euro. ✱
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Come mai a Jersey, isola nel canale della Manica, hanno uffici e filiali tutte le principali banche del mondo?
I MIGLIORI TWEET DEL MESE La Svizzera vende obbligazioni a 10 anni con tasso negativo Siamo allagati di liquidità Se non è una bolla questa...
29 marzo @Presa_Diretta
9 aprile @Leonardobecchet
«Non vogliamo i soldi degli evasori» No di @BancaEtica ai fondi rimpatriati
Manager ABN, banca NL salvata e controllata da Stato, rinunciano a bonus per le proteste dei cittadini! #bassafinanza
8 aprile @meggio_m
13 aprile @meggio_m
VALORITECA NEWS
STATI UNITI, SOLO IL 46% DEI CITTADINI LAVORA FONTE: HAVER
[tasso d’occupazione sul totale della popolazione]
Una festa a Bilbao per Fiare Banca Etica Musica jazz e soul, balli tradizionali baschi e aperitivi a km zero hanno salutato nel Museo de Reproducciones di Bilbao la nascita ufficiale di Fiare Banca Etica, succursale spagnola di Banca Popolare Etica. La filiale è il risultato finale della collaborazione decennale tra l'istituto di credito italiano e le 5mila persone e organizzazioni socie della Fondazione per il risparmio e credito responsabile in Spagna.
IL PREZZO DEL LUSSO FONTE: SPEARS MAGAZINE, WEALTHINSIGHT
I 15 centri urbani mondiali con la più alta percentuale di milionari nel 2014*
* I milionari sono definiti come individui con un patrimonio netto di un milione di dollari o più, escluse le loro residenze primarie. valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
Ecco quanti metri quadri di immobili di pregio si acquistano con un milione di dollari in giro per il mondo* FONTE: SPEARS MAGAZINE, WEALTHINSIGHT
LE CITTÀ PREFERITE DAI PAPERONI
* Valori basati solo su appartamenti. 27
numeri della terra
FOOD POLICY
Le città & il cibo
ROTTERDAM
BOSTON
LONDRA
CHICAGO
PORTLAND
SAN FRANCISCO
NEW YORK
LOS ANGELES
SEATTLE
PHILADELPHIA
WASHINGTON
HOUSTON
NEW ORLEANS
OSLO
VANCOUVER TORINO BRISTOL
TORONTO
MEDELLIN
MADRID
BOGOTÀ
AUSTIN
BARCELLONA
CITTÀ DEL MESSICO
BASILEA
GUATEMALA CITY
CARACAS
di Andrea Magarini*
Nel mondo il rapporto tra cibo e città ha prodotto un'ampia serie di esperienze note come food policy urbane: strumenti di supporto al governo cittadino costruite attraverso la mobilitazione, il dialogo e il contributo di attori sociali, economici e istituzionali per aumentare la sostenibilità partendo dai temi legati al cibo. Le politiche del cibo delineano una visione e obiettivi comuni, oltre alle azioni per concretizzarli. Anche Milano si sta dotando della sua Food Policy, di cui l'Associazione Economia e Sostenibilità è partner tecnico-scientifico. In tale ambito, è stata realizzata una ricerca che esplora il contesto internazionale, focalizzando l’attenzione sulle esperienze concrete di politiche alimentari in un campione di 87 città. L'indagine ha evidenziato quattro tipi di iniziative che agiscono, con diverse intensità, nei tessuti cittadini. Un interessante ritratto del dibattito mondiale sulla sostenibilità dei sistemi alimentari.
28
LIMA
DAKAR
CURITIBA
BELO HORIZONTE RIO DE JANEIRO
BUENOS AIRES
SAN PAOLO
SANTIAGO valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
sostenibilità alimentare
PROGETTI
Progetti settoriali mirati a specifiche tematiche alimentari (spreco alimentare, commercio, educazione, obesità)
GENT
ASSESSMENT
POLICY
Valutazioni analitiche del sistema alimentare sulla base delle quali prendere le decisioni politiche Politiche di carattere strategico che si prefiggono di agire simultaneamente su molti aspetti
AMSTERDAM
COUNCIL
Soggetti con uno specifico mandato istituzionale per agire sul sistema alimentare
COPENAGHEN
STOCCOLMA
DAEGU
MALMO
PECHINO
FRANCOFORTE BERLINO
ROMA
TOKYO
ISTANBUL
KARACHI
PARIGI
TEL AVIV
IL CAIRO
NIAMEY
CHANGWON
HANOI
DELHI
WUHAN
HONG KONG
MUMBAI
BANGKOK
ADDIS ABEBA
LAGOS
NAIROBI
DHAKA
SINGAPORE
DAR ES SALAAM
SEOUL
JAKARTA
SHANGHAI
JOHANNESBURG
HO CHI MINH
SHENZHEN
CAPE TOWN
* [Associazione Economia e Sostenibilità, partner tecnico-scientifico della Food Policy di Milano www.cibomilano.org]
SYDNEY
MELBOURNE
FONTE: ANALISI INTERNAZIONALE FOOD POLICY. ECONOMIA E SOSTENIBILITÀ. 2015. WWW.ASSESTA.IT
valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
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valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
ECONOMIA SOLIDALE
MICROCREDITO IL FONDO STATALE CREA SPERANZE
I
di Emanuele Isonio
Sono esecutivi i 40 milioni stanziati dal ministero dello Sviluppo economico per garantire piccoli finanziamenti al tessuto produttivo. Una prima assoluta per il governo nazionale. Che gli addetti ai lavori salutano con favore. E con qualche dubbio valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
n un Paese affamato di credito, anche la speranza di accaparrarsi poche decine di migliaia di euro di finanziamento può scatenare un putiferio. L’ultimo esempio concreto è connesso con il via ufficiale dato dai tecnici del ministero dello Sviluppo economico (Mse) al click day che porta con sé la possibilità di accaparrarsi un pezzetto del fondo da 40 milioni di euro creato dal governo e da versamenti volontari effettuati da enti, associazioni, società e privati (tra di loro anche parte degli stipendi ai quali hanno rinunciato i parlamentari del Movimento 5 Stelle). In poche ore, molte migliaia sono stati i contatti al sito fondi digaranzia.it: la corsa, va chiarito, consente solo di prenotare, prima degli altri, la garanzia assicurata dal fondo nel caso il richiedente poi ottenga effettivamente il credito da una delle istituzioni abilitate. Ma tanto è bastato. E, paventano i pessimisti, è prevedibile il rapido esaurimento delle risorse 31
economia solidale fondi alle imprese
RAPPORTO BANCHE - MICROFINANZA: SE NE DISCUTE A DUBLINO
I potenziali nascosti nel legame tra istituzioni finanziarie tradizionali e il mondo del microcredito sono ormai un tema che non riguarda solo l'ambito italiano. Non a caso, la consueta conferenza annuale – la 12esima – della Rete europea di Microfinanza (EMN), che quest'anno si terrà a Dublino il 18 e 19 giugno, sarà dedicata al rapporto tra banche e microfinanza, con l'obiettivo di stimolare maggiore collaborazione e coesione tra i due settori per raggiungere un più ampio bacino di persone. Circa 300 gli operatori provenienti da molti Stati europei e dai Paesi in via di sviluppo: a loro il compito di condividere, scambiare e sfidare le migliori pratiche del settore. Durante la conferenza sarà anche assegnato il Microfinance Good Practices Europe Award organizzato in collaborazione con la Fondazione Giordano Dell'Amore. Info: http://www.emnconference.org
messe a disposizione per il primo esempio di strumento pubblico nazionale per il microcredito. Ma stanno davvero così le cose?
FAME DI MICROFINANZA Tra quelli che avevano lanciato l’allarme, i consulenti del lavoro che, nel progetto, collaborano con il Mse per offrire consulenze gratuite ai soggetti potenzialmente interessati (lavoratori autonomi, imprese individuali, società di persone, srl semplificate, cooperative titolari di partita Iva da meno di cinque anni): considerando tutti quelli che ci hanno chiesto informazioni – il loro ragionamento – il fondo rischia di soddisfare solo una piccola parte delle richieste. In realtà, il punto di vista di chi, nel mondo della microfinanza, lavora da tempo e ne conosce bene meccanismi e peculiarità, è meno critico. Sia sulla cifra stanziata, sia sulle norme che hanno portato alla nascita del fondo. «È positivo – osserva ad
casi pratici di microcredito
esempio Giampietro Pizzo, presidente di Ritmi (Rete Italiana Microfinanza) – sia l’apertura di uno strumento nazionale di garanzia, sia il fatto che esso assicuri una copertura dell’80% dell’importo erogato ai beneficiari finali». «È uno strumento concreto, che chiedevamo da tempo» gli fa eco Paolo Nicoletti, presidente di Microcredito per l’Italia.
LE SIRENE DEL CLICK DAY Piuttosto, è la procedura stabilita dal decreto ministeriale di dicembre ad aver lasciato qualche scetticismo: chi è interessato a farsi finanziare un progetto deve accreditarsi sul sito creato dal ministero, cercare di prenotare la garanzia e poi ha cinque giorni di tempo per rivolgersi a uno degli istituti di credito riconosciuti, che a loro volta hanno 60 giorni per decidere se finanziare il progetto. «Correre a prenotare la garanzia senza un buon progetto in mano è del tutto inutile» osserva Nicoletti. «Nel nostro settore più che gli automatismi sono cruciali la conoscenza diretta e le capacità di valutare i buoni progetti». «È molto importante non creare messaggi distorti ai potenziali fruitori» aggiunge Mario La Torre, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università La Sapienza e membro del CdA dell’Ente Nazionale per il Microcredito, che sottolinea come la scelta di ricorrere a un fondo di garanzia e non a una erogazione diretta risponda a due obiettivi: lasciare la valutazione dei progetti a istituzioni finanziarie e organismi specializzati nella microfinanza. E sfruttare l’effetto leva. «A parità di risorse stanziate – spiega – se fossero state destinate a crediti, avrebbero avuto un valore pari alla cifra disponibile. In questo modo invece si può creare un effetto moltiplicatore». Quanto? Numeri
PERMICRO
È la più importante società di microcredito in Italia. Nata nel 2007 a Torino con due soci fondatori e 100mila euro di capitale iniziale: Oltre Venture, prima società italiana di venture capitale sociale, e Fondazione Paideia. Oggi conta dieci soggetti nel
suo capitale sociale (tra cui BNL con 23% e Fondo europeo per gli Investimenti con il 14,5%). In otto anni ha erogato oltre 8.500 crediti per un valore di 52 milioni sia per finalità sociali sia produttive.
http://permicro.it/storia
32
PROGETTO POLICORO
Prende il nome dalla città in provincia di Matera nella quale si svolse il primo incontro per la costituzione di questo progetto ideato dalla Conferenza episcopale italiana. Obiettivo: finanziare progetti imprenditoriali per rispondere al problema della
disoccupazione giovanile. Sono 27 le diocesi aderenti, che hanno stretto accordi con vari istituti bancari per costituire fondi di garanzia. A dicembre 2013, erano stati erogati microcrediti per 1,58 milioni grazie ai quali sono state create 221 imprese.
www.progettopolicoro.it
valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
fondi alle imprese economia solidale
precisi ancora non ce ne sono ma «calcolando i tassi di default e la percentuale di copertura è ragionevole aspettarsi un effetto leva pari a cinque». A regime quindi, il fondo dovrebbe muovere risorse per circa 200 milioni di euro. Dati che fanno concordare gli esperti su un punto: la dotazione da 40 milioni è più che sufficiente per partire. Ad attendere tali fondi un mercato potenziale stimabile tra i 100 e i 150 milioni di euro. «C’è spazio per decuplicare il settore del microcredito italiano» prevede Pizzo. «Se consideriamo che nel nostro Paese il tasso di esclusione bancaria si aggira attorno al 25%, dovrebbe esser chiaro che abbiamo delle praterie davanti a noi». Trasformarle in progetti concreti e positivi per il tessuto produttivo italiano è quindi la vera sfida degli operatori.
ALLEANZE TRA SOGGETTI DIVERSI E proprio quello è probabilmente lo snodo della questione, che potrebbe sancire il successo o il fallimento del fondo nazionale di garanzia. Tra gli organismi che possono beneficiarne nel momento in cui erogano un finanziamento ci sono, da un lato, le banche tradizionali, e dall’altro, i soggetti di Terzo settore operanti nel mondo della microfinanza. In realtà, nel futuro a questi potrebbero aggiungersene altri: quelli noti tra gli addetti ai lavori con il nome dell’articolo che li prevede nel testo unico bancario. I cosiddetti “111”, ovvero operatori finanziari specializzati in microcredito. Al momento non ne è stato ancora istituito nessuno: Bankitalia ha pubblicato solo a marzo le istruzioni per farlo. Tra i requisiti, un capitale minimo di 250mila euro. «La speranza – osserva Nicoletti – è che le nuove regole possano spingere le istituzioni
MICROCREDITO PER L’ITALIA
Oltre 1100 finanziamenti per una cifra complessiva superiore ai 27 milioni per questa impresa sociale, nata a fine 2011 da una costola di Etimos Foundation, come evoluzione di un’iniziativa di microcredito avviata a L’Aquila dopo il ter-
remoto. Oggi Microcredito per l’Italia opera in sei regioni (Lombardia, Emilia, Veneto, Toscana, Lazio, Abruzzo), nelle quali ha finanziato 814 microimprese (303 quelle femminili), 315 famiglie e 216 start-up.
www.mxit.it
valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
UE: 2,7 MILIARDI DI MARGINI PER CRESCERE ANCORA
La fame di microcredito non è evidente- distribuzione europea mente solo un fenomeno italiano. Anzi, delle imprese finanziate l’ulteriore diffusione di questo strumento FontE: CoMMISSIonE EURoPEa finanziario viene caldeggiata dalla stessa Commissione europea che incoraggia gli Stati membri ad aumentare l’offerta nazionale, sfruttando le opportunità del Fondo sociale europeo o del Fondo europeo per lo sviluppo regionale. La “pressione” di Bruxelles si fa forte di un dato, contenuto in uno studio presentato l’anno scorso, che quantifica in 2,7 miliardi di euro la domanda insoddisfatta di microprestiti per finalità sociali o imprenditoriali. La Commissione ha nel frattempo calcolato che il suo programma di microcredito Epmf (European Progress Microfinance Facility), nato nel 2000 per offrire garanzie nell’erogazione di crediti fino a 25mila euro da parte degli intermediari dei singoli Paesi, ha finora permesso l’accoglimento dei progetti di oltre 20mila beneficiari, per un ammontare complessivo che nella primavera 2014 superava i 182 milioni. Alle risorse messe a disposizione dalla Ue si accede non facendo direttamente richiesta agli uffici comunitari ma rivolgendosi a uno degli operatori continentali riconosciuti dalla Commissione. Sono finora 53 (divisi tra istituti bancari e non bancari) distribuiti in 20 Stati membri. Per l’Italia hanno stretto accordi Sefea (la Società Europea di Finanza Etica ed Alternativa), le banche di credito cooperativo Mediocrati, Emil Banca, Bellegra, il confidi emiliano Cofiter e Finmolise, la finanziaria regionale per lo sviluppo.
del Terzo settore di minori dimensioni a raggrupparsi e costituirsi come 111». Nel frattempo però c’è un potenziale problema: «le banche – prosegue – pur avendo soldi da erogare, difficilmente hanno le
FONDO ETICO DELLE PIAGGE
La peculiarità di questo progetto, nato nel 2000 grazie alla tenacia di don Alessandro Santoro, è di aver costruito un esempio di “microcredito di prossimità”, tarandolo sulle esigenze degli abitanti di un quartiere popolare della periferia nord-
ovest di Firenze: le Piagge, appunto. L’omonima “Comunità”, costituita da un’associazione di volontariato e due cooperative sociali, ha l’obiettivo di finanziare, attraverso il fondo, soggetti del territorio cittadino.
http://fondoetico.blogspot.it
MICROCREDITO DI SOLIDARIETÀ
Opera soprattutto in Toscana e zone limitrofe questa SpA costituita nel 2006 dal Monte dei Paschi di Siena (socio al 40%) con numerosi Comuni del Senese ed enti religiosi del territorio. Il Bilancio 2014 evidenzia 228 prestiti (importo massimo 7.500 eu-
ro) per un totale di 700mila euro di erogazioni, con un incremento del 38% rispetto al 2013. Nettamente prevalenti le richieste degli italiani. I microcrediti con obiettivi sociali superano di gran lunga quelli economici (542mila euro contro 158mila).
http://www.microcreditosolidale.eu
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economia solidale fondi alle imprese
FontE: PRogEtto MonItoRaggIo, EntE nazIonalE PER Il MICRoCREdItoMInIStERo dEl lavoRo
Anno 2013 [dati provvisori]
Domande valutate 2013
Sociale Produttivo Totale 34
v.a. 9.757 12.441 22.198
% 44,0 56,0 100,0
Microcrediti concessi 2013 v.a 5.748 3.620 9.368
% 61,4 38,6 100,0
Ammontare Erogati / Ammontare erogato medio domande 2013 per MC valutate Rapporto % Euro % Euro 58,9 25.402.315 25,3 4.419,3 29,1 74.830.538 74,7 20.671,4 42,2 100.232.853 100,0 10.699,5
INIZIATIVE N° MC CONCESSI
4.441 / 47,4%
DOMANDE VALUTATE
7.955 / 35,8%
AMMONTARE MEDIO
9.426,7
MC CONCESSI / DOMANDE
DELLE R I VE E AT GATO 40.740.0 GI I Z O RE
AM MO NT A
IN I
55,8
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7
13
INIZIATIVE N° MC CONCESSI
2.259 / 24,1%
DOMANDE VALUTATE
8.472 / 38,2%
AMMONTARE MEDIO
18.034,6
MC CONCESSI / DOMANDE
26,7
N IZIATIV TRE I E AL
17.62
NTARE ERO G MO M
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FontE: PRogEtto MonItoRaggIo, EntE nazIonalE PER Il MICRoCREdIto-MInIStERo dEl lavoRo
I
AM MO NT A
0
4
9
domande valutate, microcrediti concessi e relativo ammontare per finalità
E RE
NI 6% O 40,
Da un lato, gli interventi di natura sociale e assistenziale, dall’altro i finanziamenti al tessuto produttivo, per stimolare autoimpieghi e microimprenditorialità. È un cosmo caratterizzato da due sottouniversi distinti, quello della microfinanza in Italia. Differenti anche per le tendenze fotografate dai numeri raccolti dall’Ente nazionale per il Microcredito (Enm), sulla base delle cifre indicate dai 120 soggetti in attività nelle diverse regioni. I dati più aggiornati (fine 2013) quantificano in 80mila le persone raggiunte grazie a oltre 9.300 interventi che, tutti insieme, hanno fatto superare quota 100 milioni ai crediti concessi (vedi TABELLA ): un aumento del 30% rispetto ai 7.100 dell’anno precedente (+60% l’ammontare erogato). Ma approfondendo si scopre una situa-
N
N TIVE AZIO IA TO 41.864 NA Z I ROGA .1
2
I dati fotografano un settore più che dinamico: oltre 9.300 interventi concessi, 100 milioni di crediti erogati. E i pochi soggetti nazionali coprono quasi una richiesta su due
Anno 2013 [dati provvisori]
% LI 41,8
di Emanuele Isonio
numero di iniziative di microcredito, microfinanziamenti concessi e relativo ammontare per tipologia di ente promotore
672 17,6 8.
zione ben diversa tra microcrediti sociali e imprenditoriali. I primi registrano un tasso di erogazione molto più alto sul totale delle domande valutate (il 60%, contro il 29%). Ma gli importi medi sono ben più bassi (4.400 euro contro poco più di 20mila). I fidi per avviare microimprese finiscono così per assorbire i tre quarti degli importi concessi. E quest’ultimo tipo di prestiti sta facendo passi da gigante. In tempi di contrazione del credito tradizionale, un aumento è comprensibile. Ma un balzo del 101% in un anno è qualcosa in più (soprattutto se paragonato al -1,6% dei microcrediti sociali): segno di uno strumento che sta entrando in una fase matura e viene conosciuto sempre più da chi ha bisogno di sviluppare la propria idea imprenditoriale ma trova poco ascolto negli sportelli bancari. La situazione impone una riflessione alle centinaia di operatori del microcredito tricolore, che, spesso, sono troppo piccoli per soddisfare le esigenze di chi propone un progetto. Non è un caso che, rivela ancora l’Enm, i programmi che operano su tutto il territorio nazionale, pur essendo molto pochi (appena quattro, vedi GRAFICO ), hanno concesso il 42% degli importi totali (prestito medio: 9.500 euro). Tanto quanto le iniziative sviluppate da alcune regioni grazie a un uso più razionale dei soldi messi a disposizione dal Fondo sociale europeo (Fse). Il “microcosmo del microcredito” («soprattutto operatori di enti religiosi e del Terzo settore» spiega l’Enm) incide per appena il 17,6%. ✱
A
italia, un mercato in crescita
nanziare cattivi progetti o beneficiari inadeguati vorrebbe dire infatti far sfumare rapidamente le risorse del fondo. «Serve un’operazione di serietà dei soggetti che lo useranno» commenta Pizzo. «E prima di chiedere un aumento delle risorse messe a disposizione – chiosa Nicoletti – impariamo a dimostrare capacità imprenditoriali usando bene i soldi che ci sono». Il sostegno concreto al tessuto produttivo passa anche per questa presa di coscienza. ✱
%
competenze necessarie a valutare la bontà di un progetto o ad accompagnare il beneficiario dal business plan all’attuazione della sua idea (elementi che caratterizzano la peculiarità del microcredito rispetto a un finanziamento tradizionale). Le realtà della microfinanza italiana hanno il know-how ma spesso la liquidità per i fondi è scarsa» (solo quattro hanno una portata nazionale, vedi SCHEDE ). È evidente l’esigenza che questi due mondi si parlino: fi-
N° MC CONCESSI
2.668 / 28,5%
DOMANDE VALUTATE
5.771 / 26,0%
AMMONTARE MEDIO
6.607,4
MC CONCESSI / DOMANDE
46,2
90 INIZIATIVE
valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
coltivare sostenibile economia solidale
Prodotti bio boom globale Ma è allarme frodi Produzione e consumi in forte crescita. Il comparto dell’alimentare biologico resta molto promettente. Ma i grandi numeri e le riforme in stallo rischiano di trasformarlo nell’ennesima commodity
72
miliardi di dollari. È il giro d’affari della produzione biologica nel mondo, certificato, di recente, dall’ultimo rapporto congiunto FiBL (Forschungsinstitut für biologischen Landbau) - Ifoam (International Federation of Organic Agriculture Movements) sui dati 2013, l’ultimo anno per il quale sono disponibili le cifre complete. Il settore, ha ricordato il rapporto, impiega quasi due milioni di lavoratori che gestiscono una produzione che si estende su circa 78 milioni di ettari complessivi. 35 di questi sono dedicati al pascolo e ad altre attività non agricole. I restanti 43 sono destinati invece alle coltivazioni, due terzi delle quali collocate in Europa e in Oceania (vedi GRAFICO ), con l’Australia (oltre 17 milioni di ettari) a guidare la classifica per nazioni davanti ad Argentina (3,2 milioni), Stati Uniti (2,2) e Cina (2,1) (vedi MAPPA ). Particolarmente significativa la graduatoria in termini relativi: nelle isole Falkland, le coltivazioni bio si estendono sul 36,3% dei terreni agricoli totali (vedi MAPPA ). Un primato assoluto in un contesto mondiale dominato dall’Europa, grazie soprattutto al contributo di Liechtenstein (31%), Austria (19,5%), Svezia (16,3%), Estonia (16%) e Svizzera (12,2%). I dati del Vecchio Continente appaiono impressionanti, soprattutto nel confronto con la media globale. Su scala planetaria, infatti, i terreni coltivati con metodo biologico rappresentano ancora una rarità. Ma il dato complessivo – appena l’1% del totale – è destinato a crescere rapidamente. Lo lascia intendere il trend del comparto che negli ultimi anni ha evidenziato un’espansione clamorosa, con le superfici complessive praticamente quadruplicate nello spazio di 14 anni (vedi GRAFICO ). Determinante, ovviamente, la crescita dei valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
di Matteo Cavallito
consumi. Negli Usa, leader mondiale del mercato, come ricorda lo studio FiBL-Ifoam, le vendite di prodotti biologici hanno determinato un fatturato equivalente a 24,3 miliardi di euro (33,6 miliardi di dollari al cambio dell’epoca). In Germania, le vendite di prodotti alimentari bio hanno fruttato quasi 7,6 miliardi di euro, secondo miglior risultato in classifica davanti a quelli di Francia (4,4 miliardi), Cina e Canada (2,4 in entrambi i casi).
IN EUROPA LA PASSIONE CRESCE L’Italia, sesta nella classifica globale, ha sfondato nel 2013 la soglia dei due miliardi di fatturato contribuendo così a evidenziare il ruolo chiave dell’Europa, un mercato, quest’ultimo, capace di piazzare ben tre esponenti – Danimarca (8%), Svizzera (6,9%) e Austria (6,5%) – sul podio della graduatoria mondiale dei consumi biologici come percentuale dei consumi alimentari complessivi. Nel Vecchio Continente, per dirla in altri termini, i prodotti bio la crescita dell’agricoltura biologica: 1999-2013
FontE: FoRSChUngSInStItUt FüR bIologISChEn landbaU FIbl (www.FIbl.oRg), IntERnatIonal FEdERatIon oF oRganIC agRICUltURE MovEMEntS, IFoaM (www.IFoaM.bIo) - “thE woRld oF oRganIC agRICUltURE. StatIStICS and EMERgIng tREndS 2015”. datI In MIlIonI dI EttaRI
50,0
[milioni di ettari]
43,1
40,0
36,3 29,0
30,0
25,7 20,0 10,0 0,0
29,8
31,5 34,4
37,4 36,0
37,5
30,1
17,2 11,0
19,8 14,9
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
35
economia solidale coltivare sostenibile la distribuzione dell’agricoltura biologica nel mondo
FontE: FoRSChUngSInStItUt FüR bIologISChEn landbaU FIbl (www.FIbl.oRg), IntERnatIonal FEdERatIon oF oRganIC agRICUltURE MovEMEntS, IFoaM (www.IFoaM.bIo) - “thE woRld oF oRganIC agRICUltURE. StatIStICS and EMERgIng tREndS 2015”. datI In EttaRI
2,8% / 1,2 mln AFRICA
7,1% / 3,1 mln NORD AMERICA 8,0% / 3,4 mln ASIA 15,3% / 6,6 mln AMERICA LATINA
MONDO 100% 43,1 mln
40,2% / 17,3 mln OCEANIA 26,6% / 11,5 mln EUROPA
diventano sempre meno di nicchia. Un fenomeno promettente, ma non privo di insidie. «Oggi il biologico rischia di diventare una commodity al pari dei prodotti dell’agricoltura industriale» nota Alberto Berton, esperto di agricoltura biologica e di distribuzione agro-alimentare (vedi Valori n. 119, giugno 2014). «È diffuso in tutto il mondo ma, data la sua parziale confluenza in filiere commerciali e di trasformazione omologate e globali, sta diventando sempre più difficile capire la storia che c’è di volta in volta dietro al prodotto finale». Il riferimento corre ovviamente alle frodi, fenomeno emerso con forza in Italia nel 2011 con il maxi-sequestro condotto dalla Finanza di Verona nell’ambito dell’operazione “Gatto con gli stivali” («oltre 40 impre-
se coinvolte» in un «meccanismo di frode perpetrato dalle società italiane e avallato da alcuni funzionari degli organismi di certificazione e controllo» spiegava una nota della GdF). Il seguito è noto: dopo lo scandalo, la Ue avvia una procedura d’infrazione obbligando di fatto il ministero delle Politiche agricole (Mipaaf) a introdurre decreti urgenti per migliorare i sistemi di verifica. Viene quindi approvato il decreto n. 2049 (1 febbraio 2012) che, in estrema sintesi, impone a tutti i produttori – nonché a coloro che preparano, immagazzinano, importano da un Paese terzo o immettono prodotti sul mercato – di notificare l’inizio della loro attività con metodo biologico (e in seguito tutte le eventuali variazioni alla notifica) attraverso il cosiddetto Sistema Informativo Biologico (SIB). Nell’agosto dello stesso anno, il Mipaaf emana anche decreti sulla gestione informatizzata dei PAP (programmi annuali di produzione - DM 18321 del 9/8/12) e tracciabilità delle transazioni con Paesi terzi, istituendo l’albo degli Importatori e richiedendo ai certificatori «controlli frequenti e, se del caso, non preannunciati, anche presso la dogana di arrivo della partita». Ma la data ultima per l’effettiva entrata in vigore del sistema è stata più volte prorogata.
TANTE QUESTIONI APERTE Bruxelles ha archiviato la procedura d’infrazione contro l’Italia nel novembre 2012 giudicando soddisfacenti gli interventi normativi. Qualche mese
i “colossi” mondiali datI In MIglIaIa dI EttaRI E RaPPoRto % SUl totalE dEI tERREnI agRIColI
FontE: FoRSChUngSInStItUt FüR bIologISChEn landbaU FIbl (www.FIbl.oRg), IntERnatIonal FEdERatIon oF oRganIC agRICUltURE MovEMEntS, IFoaM (www.IFoaM.bIo) - “thE woRld oF oRganIC agRICUltURE. StatIStICS and EMERgIng tREndS 2015”.
GERMANIA
CANADA
1.061 / 6,4%
869 / 1,3%
FRANCIA 1.061 / 3,9%
STATI UNITI 2.178 / 0,6%
SPAGNA
AUSTRIA
1.610 / 6,5%
527 / 19,5%
LIECHTENSTEIN
ITALIA
1 / 31,0%
1.317 / 10,3%
SVIZZERA
LETTONIA
128 / 12,2%
200 / 11,0%
GUYANA FRANCESE 3 / 11,9%
ISOLE SAMOA 34 / 11,8%
MONDO 43.091 / 1,0%
ARGENTINA 3.191 / 2,3%
URUGUAY 931 / 6,3%
ISOLE FALKLAND (UK) 403 / 36,3%
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valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
coltivare sostenibile economia solidale
dopo, tuttavia, il problema delle truffe è tornato alla ribalta insieme a due diverse inchieste – le celebri operazioni “Green War” e “Bio Bluff” – che hanno focalizzato l’attenzione sulla sicurezza delle importazioni. Ma frodi a parte, il dibattito sul comparto si è allargato a diversi fronti. La riforma del regolamento Ue, innanzitutto, che allo stato attuale dei negoziati rischia seriamente di arenarsi (vedi BOX ). Ma anche il tema della certificazione a cui qualcuno, a cominciare dall’Aiab (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), rimprovera un’eccessiva onerosità e una forte pesantezza burocratica. Una critica diffusa da tempo e che nel recente passato ha ispirato l’ipotesi alternativa (o complementare, a seconda dei punti di vista) dei cosiddetti “sistemi di garanzia partecipativa” (vedi BOX ). Infine il rapporto tra il comparto biologico e la grande distribuzione organizzata, un canale di vendita spesso contestato per il suo crescente potere nella determinazione dei prezzi finali (vedi Valori n. 119 e n. 120) e che tende a escludere, ricorda il presidente Aiab, Vincenzo Vizioli, «i piccoli produttori che non riescono ad accedervi per via dei costi elevati e dei numeri di produzione richiesti». La revisione delle regole, ricorda Vizioli, appare necessaria. Ma ciò non toglie l’importanza del canale stesso di fronte alle attuali dinamiche del settore. «Lo sviluppo crescente del biologico interessa ampie superfici» precisa. «E coinvolge grandi aziende che non possono affidarsi alla sola vendita diretta». ✱
ESTONIA
501 / 16,3%
REP. CECA 474 / 11,2%
CINA 2.094 / 0,4%
17.150 / 4,2%
valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
«L’ipotesi più probabile, a questo punto, è che non accada nulla». Interpellato sul tema da Valori, il presidente di Federbio, Paolo Carnemolla, la sintetizza così. Il semestre di presidenza lituano, sostiene, dovrebbe portare a un sostanziale nulla di fatto aprendo così la strada «a un semplice aggiornamento della normativa attuale». È questo, di fatto, il destino cui dovrebbe andare incontro verosimilmente il regolamento europeo sull’agricoltura biologica. Nessun cambiamento significativo, insomma, ovvero nessun seguito vero e proprio per le proposte emerse nella maxi-consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Ue nel 2013: 45mila risposte che hanno costituito la base per la formulazione della proposta di modifica regolamentare. Secondo Alberto Berton, esperto di agricoltura biologica e di distribuzione agro-alimentare, si tratterebbe di «modifiche molto significative come il passaggio da un controllo documentale a un controllo analitico per i prodotti importati, l’abolizione delle aziende miste (biologiche e convenzionali) e delle deroghe, come quella che autorizza di continuo l’uso di sementi convenzionali». Un fenomeno, quest’ultimo, che «ha di fatto impedito lo sviluppo di sementi biologiche«, precisa ancora Berton. Il fatto, però, è che la proposta non trova sufficiente consenso, anzi. «La Germania, che vanta il più grande mercato per la vendita dei prodotti biologici, con tassi di crescita dal 5% al 9% a seconda dei canali di vendita, ha respinto la proposta, e anche Federbio, in Italia, ha espresso in modo deciso il suo dissenso», dichiara Berton. Un dissenso che, tra le altre cose, si evidenzia in particolare sul tema delle aziende miste: «Capisco la posizione dei consumatori e il loro desiderio di potersi rifornire da aziende che siano biologiche al 100%» spiega il presidente di Federbio. «Ma la verità è che dobbiamo necessariamente arrivare a un compromesso. È possibile che alcune aziende del comparto convenzionale possano avere un interesse economico nel convertire soltanto alcuni rami d’azienda. Se non accettiamo situazioni simili finiamo per creare un deficit di produzione e allora rischiamo di dover importare una crescente quantità di prodotti bio che potremmo invece produrre a livello nazionale». Il contrasto, insomma, rimane. Ma su una cosa, forse, sembrano essere tutti d’accordo: «In assenza di un accordo entro l’estate – commenta Berton – la proposta rischia effettivamente di saltare». [M.Cav.]
LA GARANZIA PARTECIPATIVA
151 / 16,0%
SVEZIA
AUSTRALIA
IL REGOLAMENTO UE: MOLTO RUMORE PER NULLA
Si chiamano “Participatory Guarantee Systems”, ovvero “Sistemi di garanzia partecipativa” (SGP). Si basano «sulla partecipazione degli stakeholders, sulla fiducia, le reti sociali e lo scambio di conoscenze», come ricorda la definizione elaborata dall’Ifoam, e non implicano necessariamente la certificazione della parte terza (il tecnico) fondandosi invece sulla valutazione di altri produttori e dei consumatori. Lo sa bene Aiab che qualche anno fa, in collaborazione con Fondazione Cariplo, ha lanciato un progetto di garanzia partecipativa tra i piccoli produttori della Brianza. «Una scelta fatta di fronte all’onerosità e al peso della burocrazia che caratterizza il sistema di certificazione convenzionale» spiega il presidente AIAB Vincenzo Vizioli che ricorda, tuttavia, come quello della SGP «non sia oggi uno schema riconosciuto ma solo un’iniziativa che si sviluppa su base volontaria». Un’idea che piace ma che alimenta tuttora un certo dibattito. «In linea di principio siamo d’accordo: nessuno meglio di un agricoltore biologico con anni di esperienza è in grado di valutare a fondo il lavoro di un collega» commenta il presidente di Federbio, Paolo Carnemolla. «Ma questo sistema di garanzia deve essere necessariamente complementare e non alternativo alla certificazione prevista dalla legge». [M.Cav.] 37
economia solidale calcio & affari
La legalizzazione dell’erba (sintetica) È l’ultimo affare nel calcio: sostituire i campi naturali con quelli artificiali: costano di più, durano meno, vanno smaltiti a pagamento in discarica dopo otto/dieci anni di uso e poi rifatti. A chi conviene che si diffondano?
di Paola Baiocchi
I
l pallone è il grande amore degli italiani. Che perseverano nel calciare, scommettere, guardare le partite, sperare che nasca un figlio maschio per mettergli gli scarpini appena comincia a camminare e sembra che nessuno scandalo calcistico riesca a convincerli che il loro amore è ormai solo una mercenaria, gigantesca macchina speculativa. Vedi, per esempio, l’affare dei campi di calcio in erba sintetica: facendo i conti costano di più di un campo in erba naturale, durano molto meno, perché dopo otto/dieci anni devono essere rimossi e avviati in discarica spendendo almeno 80mila euro. Poi, naturalmente, deve essere posato il nuovo manto artificiale, che costa 250mila euro se non c’è da rifare il sottostante. Altrimenti bisogna aggiungere altri 150mila euro. I calciatori non li amano perché – come ha detto un giocatore ironicamente, ma confermato dai dati – su quei campi le uniche cose che crescono sono i menischi rotti. la federazione italiana gioco calcio in numeri FontE: FIgC - REPoRt CalCIo 2014
TESSERATI FIGC 2012-2013
SOCIETÀ 2012-2013
SQUADRE 2012-2013 475 1%
111 1% 34.409 22.137
207.410
3.095 22%
1.362.406 1.098.450
Calciatori Tecnici
38
Arbitri Dirigenti
15.658 26%
60.210
13.908 10.702 77%
44.077 73%
Professionistiche Dilettantistiche Settore Giovanile e Scolastico
LA GRANDE MOQUETTE VERDE Eppure dal 2000 al 2010 in Italia ne sono stati realizzati 1.545, la maggior parte nel circuito della Lega nazionale dilettanti (Lnd) e qualcuno auspica diventino obbligatori per la serie A. Ma il percorso verso la completa “legalizzazione” dell’erba sintetica è complicato: messa fuori legge dalla Uefa e dalla Fifa, è stata poi riabilitata. Per conquistare posizioni, la sintetica ha bisogno di qualche amico influente: uno come Carlo Tavecchio, che arriva dalla Lnd ed è l’attuale presidente della Federcalcio (Figc), con una storia nella Dc e nelle associazioni polisportive (vedi BOX ). Un uomo di cui Pier Paolo Pasolini avrebbe detto “agisce sotto il segno del Misto”, senza “una reale soluzione di continuità tra ciò che è suo e ciò che è pubblico”. Come far comprare agli organismi di cui è presidente i libri che scrive: la Lega dilettanti tra il 2012 e il 2014 ha acquistato, per le strenne natalizie, 40mila copie di un suo libro, per 198mila euro totali. Mentre la Figc ha finora speso 107mila euro. Tavecchio dichiara di non prenderci un soldo, ma di avere come unico interesse che si conosca il calcio. Intanto però ha trasformato il calcio dilettanti in un gigantesco serbatoio di voti, dove si è passati dal gettone di presenza a emolumenti veri e propri, dove girano più di 1,5 miliardi tra tesseramenti e iscrizioni ai campionati e ha fatto entrare nella Lega i grandi sponsor (come Enel e Banca Intesa). È l’ex sindaco Dc che ha formato un sodalizio con Paolo Limonta, amministratore delegato della Limonta Sport di Cologno al Serio (Bg), uno dei big mondiali dell’erba sintetica, tre stabilimenti in Spagna, Cina e a Navacchio, vicino a Pisa, città di cui Limonta è stata per anni sponsor calcio. valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
calcio & affari economia solidale
UN CIRCUITO ARMONIOSO Si forma così un circuito armonioso, per cui la Limonta installa campi, 500mila euro circa per ognuno, spesso in Comuni indebitati, e la Lega incassa 5mila euro per omologazione. L’unica ditta autorizzata dalla Lega a collaudare gli impianti è la Laborsport di Roberto Armeni, mentre suo padre Antonio Armeni è dal 2003, per decisione di Tavecchio, il capo della Commissione impianti in erba sintetica della Lega dilettanti. Cioè il padre fa il regolamento per le omologazioni e il figlio omologa i campi. Conflitto di interessi? La giustizia sportiva la prende sportivamente e non solleva perplessità nemmeno di fronte al fatto che nella Commissione campi sportivi in erba sintetica della Figc dal 2011 ci sia proprio la Limonta, a fianco dell’Università di Pisa, uno dei motori del territorio pisano, sia per numero di posti di lavoro, sia come sostegno agli interessi dei più forti. Ora si dà il caso che alle porte di Pisa ci sia un Comune indebitato, quello di San Giuliano Terme, che nel tempo ha dismesso tutto quello che aveva costruito, indebitandosi sempre di più, perché ha venduto le farmacie comunali e gli asili, ha ceduto la gestione delle Terme (ma ne paga la ristrutturazione). Infine ha affidato per gara, dal 1° gennaio 2013, gli impianti sportivi Giovanni Bui, a un’associazione sportiva formata pochi giorni prima del bando e di cui è presidente il direttore generale della Limonta Sport Technology srl di Navacchio, Roberto Nusca. Tutto armonioso? Mica tanto, fa notare l’Associazione amici di San Giuliano: i sangiulianesi che hanno costruito quelle strutture ora devono pagare per entrare. L’affitto dell’area è 2.500 euro l’anno, ma gli impianti valgono milioni: comprendono uno stadio con campo da calcio in erba naturale regolamentare, con tribune coperte per 800 spettatori e scoperte per altri 300. Pista di atletica a sei corsie con due pedane per salti, il salto in alto, il lancio del peso e del giavellotto. Una pista da allenamento al coperto da quattro corsie da 70 metri, un campo da calcio a 11 per gli allenamenti, un campo per il calcio a 5; due campi da tennis in terra rossa, uno in resina, un campo che può servire sia per il beach che per il tennis volley; gli spogliatoi riscaldati con le docce, un parco giochi per i più piccoli e tanti parcheggi.
ARRIVA LA LEGA DILETTANTI L’anno dopo la Lega dilettanti propone “un affare irrinunciabile” al Comune a maggioranza Pd: firmare un protocollo di intesa con la Lnd (ancora presieduta da Tavecchio). Gli impianti Giovanni Bui diventerebbero in modo esclusivo un “Centro valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
CARLO TAVECCHIO: DA PONTE LAMBRO ALLA FIGC
Nato nel 1943 a Ponte Lambro (Co), Carlo Tavecchio ne diventa sindaco per quattro mandati consecutivi; intreccia la carriera politica nella DC con quella nelle polisportive, fino a diventare presidente della Lega nazionale dilettanti (Lnd) dal 1999 al 2014. L’11 agosto 2014 è diventato presidente della Federazione italiana giuoco calcio (Figc), con una discussa elezione. Era successo che pochi giorni prima Tavecchio, durante l’assemblea estiva della Lega dilettanti, aveva tenuto un discorso dai toni razzisti, che si potrebbe riassumere così: mentre in Inghilterra si guardano la capacità dei giocatori prima di farli entrare nel Paese, in Italia si aprono le porte a «Optì Pobà» (nome di fantasia) «che prima mangiava le banane». Poi Tavecchio ha aggiunto che un giocatore «in Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree». Nonostante questi modi da gentleman è stato eletto con un bulgaro 63,63%. La giustizia sportiva è stata meno unanime: il procedimento avviato dalla Figc è stato archiviato; la Uefa, invece, gli ha comminato la sospensione per sei mesi da tutti gli incarichi di rilievo europeo, mentre la Fifa ha esteso la squalifica a livello mondiale. Poca roba per uno che ha collezionato cinque condanne penali passate in giudicato tra il 1970 e il 1998, per un totale di 1 anno e 4 mesi, come ricorda più di un’interrogazione parlamentare: 4 mesi di reclusione per «falsità in titolo di credito continuato in concorso»; 2 mesi e 28 giorni per «violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto»; 3 mesi per «omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali»; 3 mesi per «omissione o falsità in denunce obbligatorie»; 3 mesi per «abuso d’ufficio». In Italia, diceva Flaiano, la situazione politica è grave, ma non seria: così un “pedigree” di questa portata è stato cancellato nei suoi effetti di interdizione dai pubblici uffici, dall’articolo 178 del codice penale, che prevede la riabilitazione per chi ha manifestato sicuri segni di ravvedimento. E Tavecchio può guidare un colosso come la Figc. [Pa.Bai.] artificiale e naturale a confronto Voci di costo in euro Fondo Superficie Costo totale di costruzione iniziale Manutenzione annuale straordinaria Manutenzione ordinaria Costo totale per manutenzione in 20 anni Costo smaltimento dopo 10 anni Rifacimento superficie dopo 10 anni Costo smaltimento dopo 20 anni Costo totale in 20 anni
Naturale 120.000,00 30.000,00 150.000,00 15.000,00 10.000,00 500.000,00 0,00 0,00 0,00 650.000,00
Artificiale 150.000,00 250.000,00 400.000,00 4.000,00 3.000,00 140.000,00 80.000,00 250.000,00 80.000,00 950.000,00
di formazione federale per la promozione dell’attività dilettantesca del calcio”. Quando il Comune vorrà utilizzare i campi per le sue iniziative, dovrà chiedere il permesso alla Lega anche con trenta giorni d’anticipo. Però l’affare per il Comune di San Giuliano non c’è, perché dopo venti anni, quando scadrà la concessione con la Lega, il campo sintetico che gli verrà riconsegnato sarà da rifare. Con una spesa di almeno 400mila euro, a fronte di entrate da affitti per 50mila. ✱ 39
economia solidale green jobs
La svolta verde degli ingegneri di Valentina Neri
Il Consiglio nazionale si vota all’ambiente e approva la Carta Eco-etica. Un documento per ripensare gli obiettivi della professione accentuando l’impegno per progetti a basso impatto. A partire dal recupero dell’edilizia dismessa
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«I
l diritto alla libertà di azione delle generazioni presenti va strettamente commisurato alla loro inedita responsabilità di salvaguardare la biosfera e i diritti delle generazioni future, aventi destini inscindibili. Ciò significa che la cultura della sostenibilità va insegnata, comunicata e percepita come qualcosa di concretamente realizzabile e desiderabile; di vantaggioso e indispensabile». Le parole che, a un primo sguardo, sembrano uscite da un’organizzazione ambientalista, si leggono nella Carta Eco-etica pubblicata dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri. Un documento che esorta a «incentivare iniziative mirate al consumo critico, consapevole e solidale, favorire la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di altre sostanze ad effetto serra». E che si spende per le energie rinnovabili, il riciclo, la ricerca ambientale, il recupero edilizio dismesso e altro ancora.
QUALE RUOLO PER I TECNICI? Il documento si affianca alla Carta del 2011, che costituiva «un primo step per allinearci su questi temi», spiega l’ingegner Felice Palmeri, già docente di etica ambientale alle università di Bologna e Pavia. La nuova edizione allarga gli orizzonti: le risorse del Pianeta sono limitate ed è nostra responsabilità tutelarle, per evitare di farne pagare il prezzo alle future generazioni. «Come ingegneri, siamo fortemente motivati a farci promotori di queste istanze perché spesso siamo implicitamente accusati di essere i distruttori dell’ambiente. Al contrario, lo possiamo salvare mettendoci al servizio delle energie alternative e del contrasto all’inquinamento», commenta Gianasso. «Nel bene o nel male il comparto dell’ingegneria si trova sempre su questo doppio crinale – gli fa eco Palmeri – perché è sempre stato al servizio di altri poteri. È arrivato il momento in cui anche il mondo tecnico-scientifico dev’essere chiamato a formulare gli indirizzi per un cambiamento di rotta. Ad esempio, quando si parlava di ri-
torno al nucleare la questione non si fermava alla tecnica, cioè al grado di sicurezza di un determinato impianto, ma era molto più vasta: bisognava decidere la strada da percorrere a livello politico. Per questo serve un canale per valorizzare i nostri contributi, tecnici e non solo. In altre parole, bisogna trovare un ruolo di indirizzo governativo». Questo ruolo ha un nome: Comitato Nazionale per l’Eco-etica, da istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Un ente che, nell’intento dei promotori, segue la scia del Comitato Nazionale per la Bioetica. «È un organismo di carattere collegiale e traversale. Non si vuole sostituire agli altri poteri dello Stato ma li vuole affiancare con una sua autorevolezza», spiega Palmeri. In altre parole, continua Gianasso, «chiediamo che ci sia un comitato di esperti che dica la sua su progetti di infrastrutture o leggi che riguardino l’ambiente, non fermandosi all’utilità immediata ma esplorando l’impatto a lungo termine sulle risorse e sull’equilibrio della biosfera». ✱
FINANZA ETICA un pensiero diverso
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?? economia solidale
NEWS
70%
APPUNTAMENTI
Il reinserimento sociale gira su due ruote
È l'impressionante percentuale dei detenuti nelle carceri italiane, affetti da almeno una patologia. In cima alla lista: problemi psichici (40%), disturbi dell'apparato digerente (14,5%) e malattie infettive (11,5%). L'indagine è stata sviluppata dall'Agenzia regionale per la Sanità della Toscana su 16mila persone in sei regioni. Fra i detenuti minorenni, il 40% ha almeno una malattia e quasi il 19% ha patologie psichiatriche.
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Unire filiera corta, colture biologiche e reinserimento sociale. Sono i cardini del progetto “Orto in bici - Io mangio San(ni)o”, avviato a Benevento dalle cooperative Il Melograno e La Solidarietà e dal consorzio Mediterraneo sociale. Ogni settimana, alle famiglie che ne fanno richiesta, vengono consegnati, in bici, alimenti agricoli biologici di aziende locali oltre a caffè e miele prodotti nelle carceri campane. Nell'operazione sono coinvolti pazienti psichiatrici delle Asl ed ex detenuti. Attraverso il sito www.ortoinbici.com si può scegliere cosa acquistare o “abbonarsi” alla cassetta multiprodotto del formato desiderato.
treviso
maggio 2015
per uscire dalla riserva
Al Parco Sant’Artemio torna Fiera 4 Passi, riferimento italiano per i settori della cooperazione, dello sviluppo sostenibile e della tutela ambientale. Il tema della X edizione, Usciamo dalla riserva!, sintetizza il messaggio della World Fair Trade Week, che si terrà in concomitanza a Expo 2015 e della quale Fiera 4 Passi è anteprima nazionale: l’economia solidale è un modello virtuoso non solo per piccoli produttori e consumatori consapevoli, ma per l’economia tutta. Per info: www.4passi.org
VALORITECA LIBRI
GLI STATI CHE INVESTONO DI PIÙ NELL’EDUCAZIONE
Per molti il Partito comunista italiano è “imploso” per i contrasti al suo interno. Per gli autori, Paola Baiocchi e Andrea Montella, non è andata così: in Italia si è combattuta una guerra a bassa intensità fatta di stragi e omicidi selettivi, per cui si è compiuto un golpe bianco che ha trasformato la Repubblica italiana, nata dalla resistenza antifascista, in un Paese a sovranità limitata. Episodi di questa guerra strisciante sono l'omicidio Moro, ma anche gli attentati e gli strani incidenti stradali subiti da Togliatti in Val d'Aosta e da Berlinguer in Bulgaria. Fino al poco conosciuto tentativo di omicidio subito da Berlinguer mentre era in rianimazione a Padova. IPOTESI DI COMPLOTTO? Le coincidenze significative tra le morti e le malattie dei Segretari del Pci e l'attuale stato di salute dell'Italia Paola Baiocchi e Andrea Montella [Carmignani editrice, 2014]
ERRATA CORRIGE
A causa di un errore tipografico, nel numero scorso, il servizio "Genetica e convenienza. Trionfa il pollo globale" è stato pubblicato senza le ultime tre parole del testo. Pubblichiamo qui di seguito la frase finale corretta, scusandoci ovviamente dell'errore con i nostri lettori: "Ogni anno, ha sostenuto il quotidiano londinese, un centinaio di persone morirebbe a causa dell'intossicazione, il cui tasso di diffusione, peraltro, sarebbe aumentato nell'ultimo decennio". valori / anno 15 n. 128 / MAGGIO 2015
La spesa per l'istruzione in % della spesa pubblica totale nei Paesi selezionati*
FontE: oECd
IL PCI “UCCISO” DA UN COMPLOTTO?
* Ultimo anno disponibile
I MIGLIORI TWEET DEL MESE
European Commission agrees to use social progress tool alongside GDP
[La Commissione europea autorizza l’uso degli indicatori di progresso sociale accanto al PIL] @guardian
On current trends, renewables will make up a fifth of global power generation by 2030 http://econ.st/1JFpbNX [Ai ritmi attuali, le rinnovabili garantiranno un quinto della potenza elettrica globale entro il 2030] The Economist @EconBizFin
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fotoracconto 04/04
Nella foto grande, Anna Ndiaye è immortalata insieme ad altre donne del proprio villaggio in Senegal. Un piccolo battaglione in marcia verso la collina, con piccoli fasci di miglio sulla testa. Anna, presidente della Federazione Gie Mbel Saac sull'Isola di Fadiouth, si batte da anni per la qualità del cuscus di miglio salato (inserito tra i Presìdi Slow Food) e per i diritti dei produttori. Un cibo difficile da produrre ma anche dal forte valore sociale, nel quale sono impegnate tutte le donne dell'isola. Il messaggio è chiaro: il cibo può essere uno straordinario alleato per l'emancipazione femminile. A destra, Padre Peter Kilasara, missionario della Congregazione dello Spirito Santo e guida dell'Associazione “Kirua Children” in Tanzania. Il suo obiettivo è permettere ai più piccoli di studiare e formarsi. Per questo, ha iniziato a collaborare con Lavazza per valorizzare il caffè realizzato dalla sua comunità. Nell'ambito del progetto ¡Tierra!, sono stati realizzati impianti per migliorare le tecniche colturali e, allo stesso tempo, sono state costruite abitazioni e una scuola. Ora gli agricoltori possono lavorare in autonomia, creare un caffè di qualità superiore e ricevere un aiuto per l'istruzione dei propri figli. 42
STEVE MC CURRY LAVAZZA EARTH DEFENDERS 2015
valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
social innovation
Le parole sono importanti
Tutti i colori del “Washing” di Andrea Vecci utto ebbe inizio con il bianco, il whitewashing: è più facile coprire con una mano di vernice bianca una parete piena di mosche schiacciate, piuttosto che ripulirla. È una tecnica di comunicazione istituzionale che consente di sorvolare sulle responsabilità o sulle mancanze di un’azienda o di un governo attraverso una presentazione superficiale di dati o attraverso la loro omissione. Negli anni ’80, al culmine delle battaglie in difesa dell’ambiente, venne coniato il termine greenwashing per segnalare, ai consumatori sempre più attenti, quelle pratiche di comunicazione pubblicitaria ingannevole finalizzata alla creazione di un’immagine positiva e rispettosa dell’ambiente dei propri prodotti. Formidabile il caso del “carbone pulito” che avrebbe ridotto le emissioni di CO2 nell’atmosfera iniettando gli scarichi delle centrali a carbone americane nel sottosuolo. Il bluewashing è un termine più recente, usato da importanti ONG come Greenpeace, Amnesty International e Action Aid per criticare il Global Compact delle Nazioni Unite (da qui il colore blu) che negli anni 2000 consentiva alle grandi corporation globalizzate di coprire le proprie responsabilità sociali e ambientali, anche molto gravi, procedendo per le vie spedite della Corporate Social Responsibility (CSR) invece che per quelle legali. Negli ultimi cinque anni è apparso anche il colore rosa, il pinkwashing, il cui utilizzo è duplice poiché sottende la critica a pratiche scorrette di marketing o di CSR sia nei confronti della prevenzione del cancro al seno sia nei confronti del movimento Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender (LGBT). Il “nastro rosa”, simbolo della lotta al cancro al seno, è stato adottato (e ampiamente finanziato) da molte aziende che compensano così il loro disimpegno nella riduzione di prodotti o intermedi cancerogeni. Parla di pinkwashing Jasbir Puar, professore associato di Studi di Genere presso la Rutgers University, criticando la campagna gay-friendly promossa nel 2010 da Israele per contrastare gli stereotipi negativi che molti americani liberali ed europei hanno del Paese, «per
T
valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
mostrarsi più moderna, cosmopolita, sviluppata, parte del primo mondo, globale, e soprattutto, democratica». Lo schema dei colori fin qui è abbastanza chiaro: difendo o promuovo alcune cause umanitarie, sociali e ambientali per nascondere le mie violazioni o i miei interessi. Anche la Sharing Economy, l’economia collaborativa, rischia di abusare di parole che fino ad oggi appartengono, come direbbe Confucio, al bene della società, distorcendone i significati. Le nuove tecnologie e la rete, alla base della disintermediazione tra produttori e consumatori, consente oggi di offrire nuovi servizi collaborativi per la cura dei figli, per l’intrattenimento, l’uso di attrezzature, l’istruzione, il tempo libero, i viaggi, i compiti scolastici, e per la condivisione dei vestiti, del cibo, della casa, delle monete alternative, degli spazi di lavoro e dei mezzi di trasporto. Le nuove tecnologie estendono così il significato di alcune parole come “amico”, “comunità” e “condivisione”, anche quando descrivono servizi che sono essenzialmente transazioni commerciali, come il controverso servizio di taxi Uber. Occorre quindi distinguere il noleggio di una economia dalla condivisione di una economia e preservare il senso di condivisione altruistica e di legame di una comunità al di là di operazioni economiche. Naturalmente, non c’è niente di sbagliato con l’acquisto, la vendita, l’affitto di beni e servizi ma occorre separare questo tipo di operazioni da quelle che non sono legate a forme strettamente capitaliste di scambio. A questo scopo è stata coniata la parola we-washing, per criticare i casi in cui l’etichetta di “sharing economy” si applica a una strategia di marketing che cerca di sfruttare il sentirsi bene associato a parole come community e condivisione, o per segnalare un modo per sfuggire alla portata delle regolamentazioni nazionali e dalla tassazione. #WeWashing ci ricorda che esistono diversi tipi di condivisione e diversi tipi di comunità, proprio come il concetto di greenwashing ci ricorda che esistono prodotti più verdi di altri. Il passaggio dai colori ai pronomi non cambia molto la sostanza: una parete piena di mosche schiacciate e ricoperta di bianco non è una parete bianca. ✱ Maggiori approfondimenti sul blog Social Innovation di valori.it
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INTERNAZIONALE
UNA SUPER BANCA PER FARE OMBRA AGLI STATI UNITI
di Paola Baiocchi
La Cina ha creato una nuova istituzione finanziaria di credito allo sviluppo: la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture. Tra gli aderenti, anche alleati storici degli Usa. Al suo interno, fa coesistere anche Iran e Israele. A giugno, le linee guida del nuovo organismo valori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
N
ell’ottobre dello scorso anno la Repubblica popolare cinese ha proposto la formazione di una nuova istituzione finanziaria internazionale, la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture (Aiib). All’iniziativa della Cina hanno finora aderito 55 Paesi, Italia compresa, che hanno ricevuto lo status di soci fondatori o di membri. La lunga lista è un esempio di realpolitik che tiene insieme Israele e Arabia Saudita accanto all’Iran, la Russia fianco a fianco con alcune ex repubbliche sovietiche. Alla Banca asiatica ha aderito anche Taiwan, paese non riconosciuto dalla Cina, e in corsa si è aggiunta anche l’Australia, inizialmente attendista. Scopo dell’Aiib è «fornire e sviluppare progetti di infrastrutture nella regione Asia-Pacifico, attraverso la promozione dello sviluppo economico-sociale della regione e contribuendo alla crescita mondiale». 45
internazionale equilibri globali
FMI & BM: I due pIlastrI del sIsteMa FInanzIarIo post BellIco
Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale sono organismi internazionali nati in seguito alla conferenza di Bretton Woods che si è tenuta negli Stati Uniti dal 1° al 22 luglio 1944. mentre la seconda guerra mondiale infuriava, venivano gettate le basi per il nuovo sistema finanziario e monetario basato sul dollaro e modellato sui progetti presentati da Harry Dexter White, delegato per gli Usa, e John maynard Keynes, delegato inglese. gli accordi di Bretton Woods fino al 1971 hanno previsto un gold exchange standard, basato su rapporti di cambio fissi tra valute, tutte agganciate al dollaro, a sua volta agganciato all'oro.
WASHINGTON E TOKYO IN ALLARME Con una dote iniziale di 50 miliardi di dollari, circa la metà di quelli che dovrebbe attrarre, e con la prospettiva del ricco piatto offerto dalla costruzione di infrastrutture nell’area Asia-Pacifico, a poco sono valsi gli sforzi degli Stati Uniti che hanno cercato in tutti i modi di scoraggiare l’ingresso nell’Aiib di suoi alleati storici come la Gran Bretagna: tra i Paesi sviluppati, per il momento, gli unici rimasti fuori a guardare con il sopracciglio alzato per il disappunto sono solo gli Stati Uniti e il Giappone. Ma Pechino non pare scomporsi: «La Cina, ovviamente, mantiene un atteggiamento aperto e positivo», ha dichiarato il vice direttore del Centro Asia-Pacifico del ministero delle Finanze cinese, Zhou Qiangwu.
L’ALTERNATIVA ECONOMICO-COMMERCIALE
L’EGEMONIA DIPLOMATICA
L’intraprendenza economica e finanziaria della Repubblica popolare cinese è sotto gli occhi di tutti. Basta ricordare solo incidentalmente che sono proprietari di gran parte del debito pubblico degli Sta-
23%
25%
24% 0%
46
Inghilterra Germania, Francia Austria e Svizzera
Benelux
Europa del nord
Europa dell'est
Spagna
2%
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Italia
5%
8%
5%
8%
10%
11%
15%
11%
Fonte: MInISteRo CIneSe DeL CoMMeRCIo eSteRo - DatI 2014
CINESI IN EUROPA: OPERAzIONI PER 60 mIlIARdI dI dOllARI
20%
ti Uniti (e non solo di quel Paese) e che praticano un’attenta politica della “presenza” con quote azionarie nelle più strategiche società internazionali. Sono il partner commerciale più importante per il Sudafrica, tanto che il governo di Pretoria ha introdotto il mandarino come seconda lingua straniera per tutti gli alunni dalle medie alla maturità. Ma sono anche alleati fondamentali per tutto il Sudamerica che – grazie all’alternativa finanziaria e commerciale offerta dalla Cina – è ora un po’ meno “il cortile di casa” degli Stati Uniti, rispetto al passato recente. Due grossi progetti infrastrutturali sono stati avviati da società cinesi nell’America Latina: il Canale di Nicaragua, che collegherà il Mar dei Caraibi e l’Oceano Pacifico, permettendo il passaggio di tonnellaggi superiori anche a quelli del rinnovato Canale di Panama. Un’infrastruttura da 40 miliardi di dollari completata dalla costruzione di un aeroporto, due porti, un centro turistico, una zona franca e numerose installazioni elettriche. Corollario del Canale di Nicaragua è il progetto di Mariel, nella parte occidentale dell’Isola di Cuba, che prevede un’area portuale-logistica con una capacità di smistamento di container tre volte superiore a quella de L’Avana, inserita in una zona di libero scambio in grado di aggirare l’embargo, che osservatori cubani reputano sia stato uno dei motivi decisivi nel disgelo delle relazioni con gli Stati Uniti.
Altre nazioni
La larga adesione ricevuta dall’Aiib rappresenta una fase di accelerazione per la Cina nella conquista di un ruolo egemonico nella diplomazia e come alternativa commerciale mondiale, che mette gli Stati Uniti per il momento in posizione subalterna. Tanto che il Financial Times, dopo l’ingresso di Francia, Germania e Regno Unito nella neonata struttura di credito multilaterale, ha commentato: «La decisione dei Paesi Ue rappresenta una significativa sconfitta per l’amministrazione Obama, secondo la quale i Paesi occidentali avrebbero avuto una maggiore influenza sulla nuova banca se tutti insieme ne fossero rimasti fuori», attribuendo al presidente americano una riedizione della gag di Nanni Moretti: «mi si nota di più se vado e resto in un angolo, oppure se non vado?». Serve però porsi delle domande sulla qualità delle opere che verranno finanziate dall’Aiib, oltre che sulla quantità: saranno cattedrali nel deserto divoratrici di territori, giustificate in nome degli scambi commerciali o del progresso tecnologico, come le dighe, o saranno il tramite di uno sviluppo diffuso e sostenibile in aree povere? valori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
equilibri globali internazionale
Per avere un quadro più completo bisognerà almeno aspettare giugno, quando verranno pubblicate le linee guida dell’Aiib. Per il momento l’approccio cinese con i partner è quello del win-win, tutti vincitori, e il viceministro delle finanze cinese, Shi Yaobin, ha annunciato che il potere decisionale di ogni aderente (Pechino compresa, quindi) «diminuirà proporzionalmente al progressivo aumento dei Paesi aderenti». Tra i partner, però, bisognerebbe prevedere anche l’ambiente e le popolazioni, non solo i calcoli a breve termine fatti dalle élites, sulla base di interessi personali. C’è poi un altro dato importante sul quale ragionare: le critiche del movimento “altermondista” alle istituzioni di prestito multilaterale, come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale o l’Asian Development Bank, sono state archiviate nel
“one Belt, one road”: la nuoVa “VIa della seta”
sangue del G8 di Genova. Ma erano critiche giuste, rivolte a un modello di sviluppo vorace e autodistruttivo che ha bloccato con il debito la crescita dei Paesi in cui ha finanziato grandi opere non necessarie o surdimensionate: l’Aiib sarà capace di essere diversa? «Francia, Germania e Italia, operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali – ha preconizzato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, e già direttore esecutivo per l’Italia del Fondo monetario internazionale dal 2001 al 2005 – intendono lavorare con i membri fondatori dell’Aiib per costruire un’istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti». Tutte materie in cui l’Italia va fortissimo, ma non certo come buon esempio. ✱
la cina punta a rafforzare i suoi scambi euro-asiatici, facendo di fatto rivivere l'antica Via della seta attraverso un complesso progetto chiamato One belt, one road che verrebbe parzialmente finanziato dall'aiib. Si tratta della creazione di due vie commerciali con l'Europa e il medio oriente che, ha scritto il premier Li Keqiang nella sua relazione del 5 marzo scorso, renderanno le zone interne e di confine della Cina più aperte al mondo esterno. Esiste ancora un forte divario tra lo sviluppo economico delle regioni costiere cinesi (le prime coinvolte nella creazione delle zone economiche speciali) con quelle più periferiche, che con questo piano diventeranno protagoniste.
Con One belt si intende un percorso ferroviario, ribattezzato la Cintura economica della Via della seta. Con One road si intendono, invece, tratte via mare attraverso lo Stretto di malacca in india, il medio oriente e l'africa orientale, chiamate da Pechino la Via della seta marittima del XXi secolo. Una prima parte del progetto ferroviario è stato inaugurato lo scorso novembre: è il treno merci che collega la città cinese di Yiwu a madrid. Nel primo viaggio ha rifornito di addobbi natalizi la Spagna e consegnato in Cina prosciutto e olio. La linea Yiwu-madrid attraversa il Kazakistan, la Russia, la Bielorussia, la Polonia, la germania e la Francia; le differenze di scartamento che esistono tra i diversi sistemi ferroviari vengono superate scaricando il treno alle frontiere di Spagna, Polonia e Kazakistan, per rimontarlo con gru su carrelli diversi. [Pa.Bai.]
Mosca
Rotterdam
SILK ROAD NORTHERN ROUTE
Duisburg
Alma-Ata
Venezia Atene
Istanbul
Samarcanda
Bishkek
Urumqi
Khorgas
Dushanbe
Lanzhou
Teheran
Xian Calcutta
Hanoi
Guangzhou
Fujian
Haikou
Colombo
Kuala Lumpur
Nairobi
SILK ROAD MARITIME ROUTE
valori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
Jakarta
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internazionale crescere dal basso
Locale e globale sotto la Mole di Paola Baiocchi
Dal 15 al 18 ottobre Torino ospiterà il terzo Forum mondiale dello sviluppo locale. A fargli da cornice, un’edizione straordinaria di Fa’ la cosa giusta! e il primo Congresso delle città del bio
L’
obiettivo è importante per impostare un modello più sostenibile di sviluppo: approfondire il ruolo strategico dei territori come risorsa per promuovere la nutrizione e proteggere l’ambiente, con una particolare attenzione alle donne e ai giovani come fattori chiave di progresso economico. Teatro dell’iniziativa sarà il terzo Forum mondiale dello sviluppo economico locale, che quest’anno, dopo le prime due edizioni in Spagna e Brasile (vedi BOX ), diverrà permanente e verrà ospitato a Torino, dal 15 al 18 ottobre: nell’anno dell’Expo, un’importante occasione di ribalta internazionale per la prima capitale d’Italia.
TREMILA DELEGATI All’ordine del giorno verranno messe aree tematiche, come il ruolo dei governi cittadini e regionali, il finanziamento allo sviluppo localizzato, la creazione di posti di lavoro, l’economia verde, la solidarietà e l’economia sociale. In linea con quanto Ban Ki-moon ha anticipato a gennaio, in un documento di sintesi contenente i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile per il periodo 2016-2030 che dovranno essere approvati in settembre dall’Assemblea generale dell’Onu. E proprio il diplomatico sudcoreano, attuale segretario generale delle Nazioni Unite, sarà pre-
un percorso lunGo tre annI
Il primo Forum mondiale dello sviluppo economico locale si è svolto nell'ottobre 2011 a Siviglia, in Spagna. Con il titolo Progettazione, economia e governance locale: nuovi sguardi per i tempi che cambiano, il Forum ha visto la partecipazione di 47 Paesi ed è stato occasione di confronto sui temi del decentramento, sulla sostenibilità dei processi di sviluppo locale nel contesto della globalizzazione e della crisi. Dialogo tra i territori: nuove conoscenze sullo sviluppo economico locale è stato il titolo del secondo Forum, che si è celebrato nell'ottobre del 2013 a Foz do iguaçu, in Brasile. il tema del Forum è stato declinato in particolare sulle modalità di partenariato tra pubblico, società civile e privato, a livello territoriale. 48
Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite
http://CoMMonS.wIkIMeDIa.oRg woRLD eConoMIC FoRuM
sente il 15 ottobre, nella giornata inaugurale del Forum. Con lui sono attesi a Torino almeno 3mila delegati provenienti da ogni parte del mondo, tra politici, tecnici, attori locali e rappresentanti dei governi nazionali, università, imprenditori e organismi internazionali.
TERRITORI RESISTENTI Ma l’evento, organizzato dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp), in collaborazione con il Comune e la Provincia di Torino, l’Unione delle città e dei governi locali (Ucgl), l’Organizzazione delle regioni unite (Oru Fogar), il servizio brasiliano di supporto per la piccola e media impresa (Sebrae), non sarà l’unico appuntamento dedicato allo sviluppo locale che verrà ospitato nell’autunno torinese. A fargli da cornice infatti è in programma un’edizione straordinaria di Fa’ la cosa giusta!, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, lanciata per la prima volta nel 2004. Una sorta di “lievito” con le realtà locali, come ci spiega Piero Magri, direttore esecutivo degli eventi per Terre di mezzo, l’editrice nata nel 1994 da un giornale di strada, che è ormai una complessa organizzazione con più settori di intervento: «Verrà valorizzato tutto quanto si sposa meglio con l’idea di sviluppo locale. Ci saranno piccoli produttori piemontesi nuovi e poco conosciuti, ci saranno le esperienze dei “territori resistenti”, cioè le storie delle comunità che si sono date delle buone pratiche al fine di sopravvivere, anche in aree difficili come i territori alpini. Non si tratterà di una replica di quello che è già stato visto a marzo, nell’edizione milanese ci saranno le specificità dei territori che ci ospitano, in modo da attivare le varie realtà e far nascere reti». Il cartellone delle iniziative verrà infine completato dal primo Congresso mondiale delle città del bio (www.cittadelbio.it), la rete italiana e internazionale che mette in relazione aree metropolitane e rurali, per promuovere la cultura dell’alimentazione biologica. ✱ valori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
stipendi europei internazionale
Costo del lavoro: quanti falsi miti È considerato il feticcio che blocca gli investimenti in Italia. Ma Eurostat svela una realtà poco nota: la paga oraria nel nostro Paese è più bassa dei nostri principali concorrenti e della media dell’Eurozona
Q
ual è il reale peso del costo del lavoro in Italia? Secondo i dati pubblicati a dicembre scorso da Eurostat, nel nostro Paese il costo medio di un’ora di lavoro è pari a 28 euro. Meno della Germania (31,6), della Francia (34,6) e del Belgio (38). Meno dei Paesi scandinavi, nei quali vengono registrati i valori più alti in assoluto. Ma meno anche della media dell’Eurozona. Certo, il lavoro in Italia costa circa 4 euro di più se raffrontato alla totalità dei Paesi europei, ma in questo caso a incidere sulle cifre sono i Paesi dell’Est, le cui economie sono difficilmente paragonabili a quelle occidentali (in Bulgaria il costo medio è di 3,4 euro l’ora…). Insomma, a guardare i dati, non sembra proprio che l’Italia sia poco competitiva da questo punto di vista.
UN SISTEMA-PAESE INEFFICIENTE «Se guardiamo ai grandi Paesi industrializzati – osserva Claudio Gnesutta, già docente di Economia politica all’Università La Sapienza di Roma – il nostro è un valore ben più basso. La piaga non è di certo il costo del lavoro ma il modo in cui abbiamo risposto alla crisi industriale, riducendo gli investimenti che sarebbero serviti per migliorare la produzione e il processo produttivo». Ciò nonostante, secondo Stefano Lepri, che nello stesso ateneo insegna Giornalismo economico, un calo del cuneo fiscale potrebbe essere comunque utile: «Pur se il divario con gli altri Paesi del continente europeo è modesto, resta opportuno ridurre tasse e contributi che pesano sul lavoro a tempo indeterminato nelle imprese che rispettano le leggi».
Questo servizio è stato realizzato con la collaborazione degli studenti del progetto europeo BEJOUR (Becoming a journalist in Europe) dell’Università La Sapienza di Roma, del quale Valori è tra i mediapartner.
hanno elaborato gli articoli Giorgia Del Segato, Rita Di Simone, Federica Guidotti, Marco Mastrandrea e Marta Pertici
Ilo: Il rIGore uccIde Il laVoro. In portoGallo un eseMpIo eVIdente
a partire dall’inizio della crisi, nel 2008, il Portogallo ha perso un posto di lavoro su sette. Due terzi dei quali sono andati in fumo dopo l’entrata in vigore del programma di aiuti internazionali, avviato nel maggio del 2011. a confermare gli effetti nefasti delle ricette economiche a base di rigore di bilancio e austerità è stata l’international Labour organization (iLo), che ha spiegato come il mercato del lavoro portoghese non abbia conosciuto «alcun miglioramento» dopo l’intervento d’emergenza da 78 miliardi di euro della troika composta da Commissione europea, BCE e Fmi. al contrario, «la crescita della disoccupazione si è intensificata», prosegue l’iLo, che sottolinea come, in cambio dell’aiuto finanziario, il Portogallo sia stato costretto a imporre alla propria finanza pubblica un duro programma di riduzione del deficit, accompagnato da un piano di riforme triennale. «i tagli dei salari e dei programmi sociali – aggiunge l’organismo internazionale – associati alla crescita delle imposte hanno eroso i redditi delle famiglie e colpito i consumi. Le piccole e medie imprese si devono battere per ottenere dei finanziamenti da parte delle banche, cosicché perdono l’occasione di creare nuovi posti di lavoro». Conseguentemente, «i giovani più talentuosi e qualificati sono stati costretti ad emigrare». Perciò l’iLo considera «estremamente importante l’introduzione di un sistema di sostegno al lavoro su scala europea». valori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
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internazionale stipendi europei
Secondo un rapporto pubblicato di recente dall’Istat (intitolato La struttura del costo del lavoro in Italia), infatti, a fronte di una retribuzione lorda di 29.895 euro per un lavoratore dipendente il costo aziendale è di 41.330 euro. «E in una fase di ristagno come quella attuale – spiega Lepri – ridurre i salari è controproducente. Detto ciò, il maggior freno alla competitività delle imprese resta quello legato alle inefficienze del sistema-Paese in termini di burocrazia, di giustizia civile, di infrastrutture». Un confronto interessante è quello che porta a riflettere sulle politiche adottate dalla nazione in assoluto più martoriata dalla crisi, la Grecia: i governi di Atene che si sono succeduti negli ultimi an-
QUANTO vAlE UN’ORA dI lAvORO IN EUROPA
31,4
Fonte: euRoStat
37,3 40,1
30,3
8,6 6,0 5,9
21,8
13,3
38,0 7,9 32,8 31,6 Lussemburgo 34,1 10,0 9,0 34,6 30,5 7,4 15,6 9,5 21,1 28,0
EU28 24,2 EA18 29,3
4,1 3,4
Malta 11,8 Cipro 16,8
ni hanno tentato di sfruttare fortemente la “leva” del costo del lavoro. Eppure i risultati non sono stati affatto lusinghieri: «Il costo del lavoro – aggiunge Lepri – è stato abbassato del 20% senza visibili guadagni di competitività, perché poco è stato rinnovato nelle strutture del Paese». Senza dimenticare che, ricorda Gnesutta, «quando si parla di abbassare il costo del lavoro si pensa spesso alle tasse, ma queste servono allo Stato per pagare pensioni, sussidi, asili, servizi, che equilibrano la struttura sociale. Facendo leva sulle tasse sul lavoro, invece, in trent’anni abbiamo ampliato enormemente le disuguaglianze nelle società dei Paesi occidentali». Anziché concentrarsi troppo sui costi (così come su presunti freni alle assunzioni da parte delle imprese, come nel caso dell’articolo 18, oggetto di una profonda revisione nel Jobs Act firmato dal governo Renzi), occorrerebbe dunque recitare un serio mea culpa per il ritardo accumulato nell’acquisizione del necessario know how tecnologico. Le industrie italiane, infatti, non hanno saputo tenere il passo con la concorrenza europea: «A fronte di un rapporto tra investimenti complessivi delle imprese italiane e Prodotto interno lordo che non è lontano rispetto a quelli di altri Paesi, la quota che va alla ricerca e sviluppo è invece estremamente bassa. E non cresce da decenni», osserva Roberto Romano, economista della Cgil (vedi INTERVISTA ). Così, siamo costretti a importare dall’estero tecnologie nella cui produzione potremmo essere leader mondiali. ✱
ROmANO: «I COSTI? UNA fOglIA dI fICO: IN ITAlIA INvESTIAmO mAlE» L'economista Cgil: «Occorre scegliere bene cosa e come produrre. Solo così manteniamo i margini di profitto per le imprese» «Se non focalizziamo l’attenzione sulla produzione e sulla sua qualità, perdiamo di vista il cuore del problema. Dobbiamo puntare sull’innovazione e smetterla di nasconderci dietro alla scusa dei costi». Secondo Roberto Romano, economista della Cgil, il problema del rilancio dell’occupazione passa per un profondo cambiamento della strategia industriale complessiva. 50
I dati eurostat dicono che in Italia il costo del lavoro è di quattro euro più alto rispetto alla media dell’unione europea. dobbiamo quindi abbassarlo per essere competitivi? il costo del lavoro può essere un indicatore utile, ma la verità è che occorre focalizzare l’attenzione sulla produzione. immaginiamo di produrre un bene che vale 70, con un costo del lavoro pari a 40. Se in germania o negli Usa ne producono uno che vale 100, anche se il loro costo del lavoro fosse più alto, pari a 50, la realtà è che lì il costo orario è marginalmente più basso. Teniamo presente che noi lavoriamo due mesi e mezzo in più dei lavoratori tedeschi: 1.800 ore contro 1.400. il problema centrale è dunque la
cosiddetta produttività del capitale, non di certo del lavoro: sono le imprese che decidono come utilizzare la forza lavoro, cosa e come produrre. ergo: i dati dell’istituto di statistica ue sono fuorvianti? Bisogna usare molta cautela quando si usano queste informazioni perché spesso i dati non sono omogenei. Detto ciò, il costo del lavoro italiano aggregato non è certamente tra i più alti nei Paesi ocse: al contrario, si trova piuttosto in basso nella classifica. Quindi cosa occorre fare? Se vogliamo mantenere il margine di profitvalori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
USA: bASSI SAlARI, AlTI COSTI (SOCIAlI) di Emanuele Isonio
L'Università di Berkeley calcola in 153 miliardi di dollari la cifra stanziata per iniziative di assistenza sociale in favore delle famiglie di chi lavora ma è pagato troppo poco C'è un aspetto da non sottovalutare quando si parla dell'esigenza di abbattere il costo del lavoro. Se un capofamiglia riceve uno stipendio troppo basso, l'azienda per cui lavora può magari tirare un respiro di sollievo, ma i contribuenti no: perché anche le famiglie di lavoratori finiscono per dover far ricorso ai programmi di assistenza sociale. E l'impatto sulle casse pubbliche è decisamente più consistente di quanto si possa immaginare. Un'idea di quanto incida questo circolo vizioso la fornisce il Labor center dell'Università californiana di Berkeley. Che ha calcolato in quasi 153 miliardi di dollari il sostegno pubblico a questa categoria di famiglie. «Quando le aziende pagano troppo poco i propri dipendenti, questi ultimi devono far ricorso ai programmi di assistenza pubblica per soddisfare le loro esigenze di base», spiega Ken Jacobs, responsabile del Labor center e coautore dello studio, reso pubblico a metà aprile. «Tutto ciò crea un onere rilevante sui bilanci dei singoli Stati e dell'amministrazione federale».
SPESA fEdERAlE ANNUA PER I PROgRAmmI dI ASSISTENzA PUbblICA PER lE fAmIglIE lAvORATRICI, 2009-2011 [$ miliardi, 2013 dollari] Programma
Medicaid/CHIP TANF EITC SNAP Tutti i programmi
valori / anno 15 n. 128 / maggio 2015
82,8 5,9 67,0 71,1 226,8
% di costi federali Costi per famiglie destinati a famiglie lavoratrici lavoratrici 45,4 55% 1,6 27% 54,2 81% 26,7 38% 127,8 56%
Chiamatele, se volete, “esternalità sociali”. Sotto la lente d'ingrandimento dei ricercatori, quattro programmi sociali: medicaid per l'assistenza sanitaria, Tanf (aiuto temporaneo per le famiglie bisognose), Eitc (credito d'imposta sul reddito) e Snap (piano d'assistenza per l'acquisto di generi alimentari). Per queste quattro iniziative il governo federale spende 227 miliardi di dollari (vedi TABELLA ), che per il 56% sono destinati alle “famiglie lavoratrici” (una categoria che comprende i nuclei con almeno un membro che lavora per un minimo di 27 settimane in un anno e dieci ore a settimana). ad essi si aggiungono 25 miliardi spesi a livello dei singoli Stati. impressionante il numero delle famiglie lavoratrici che hanno deciso di iscriversi ai quattro programmi: 34 milioni per medicaid (su 56 milioni di iscritti totali), oltre 20 milioni (su 28) per Eitc, 10 milioni (su 29 totali) per Snap. Cifre che una seria politica di sostegno ai salari potrebbe far calare drasticamente: «Stipendi più sostanziosi – scrivono i ricercatori di Berkeley – potrebbero generare risparmi che potrebbero essere destinati all'assistenza per l'infanzia, alla formazione professionale e alle politiche dei trasporti». ✱
italia il 98% dei pannelli solari installati sul territorio è importato. oggi le imprese non hanno più le competenze per scegliere né i fornitori, né la tecnologia appropriata per ciò che producono. il costo del lavoro diventa una via di fuga politica per non affrontare il problema, una foglia di fico. il cui unico obiettivo è mantenere inalterati i margini di profitto delle imprese.
to delle imprese e al contempo aumentare il valore aggiunto dei prodotti, dobbiamo cambiare strategia. Dobbiamo produrre cose diverse. E siccome immaginare di “estrarre” maggiore valore aggiunto dalle cravatte o dai maglioni è un po’ complicato, è bene concentrarsi su altri settori: sulle attività aerospaziali, sulla biotecnologia o sulla nanotecnologia. Mancano gli investimenti? Diciamo che gli investimenti non sono ben orientati. in termini assoluti, il rapporto tra investimenti delle imprese italiane e Pil è attorno al 7-8%. in germania è al 6,5%, in Francia al 7%. il punto perciò è: come vengono spesi questi soldi? Ebbene, se guardiamo alla quota consacrata a ricerca e sviluppo, scopriamo che da noi siamo allo 0,7-0,8%, contro valori ben più alti di altri Paesi. in più, la nostra percentuale non si
Totale costi
Fonte: authoRS’ CaLCuLatIonS FRoM 20102012 MaRCh CuRRent popuLatIon SuRvey (CpS) anD aDMInIStRatIve Data FRoM the MeDICaID, ChIp, tanF, eItC, anD Snap pRogRaMS
stipendi europei internazionale
Roberto Romano, economista della Cgil
muove dal 1985: il che vuol dire che da 30 anni perdiamo conoscenze rispetto agli altri Paesi. riassumendo: mancando innovazione, per essere competitivi si tagliano i costi... Esatto. Così facendo siamo costretti a comprare tecnologia dall’estero. Perdiamo lavoro per darlo alla Francia, alla germania. in
Il governo renzi in che direzione si sta muovendo? Con la legge di stabilità è stato ridotto di 8 miliardi il costo del lavoro. È lo 0,5% del Pil. Se, a fronte di ciò, la crescita fosse dell’1%, non ci sarebbe nulla da dire. ma noi perdiamo lo 0,5% per una crescita dello 0,2%. il che significa buttare 5 miliardi dalla finestra. Questo per dire che non esiste alcuna equivalenza tra riduzione del costo del lavoro e aumento del Pil. ✱ 51
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valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
LIBRI
NEWS
ScAmpARE AL gENOcIDIO SENzA pERDERE LA SpERANzA
Ruanda: gli Usa conoscevano i rischi
Il 7 aprile del 1994 in Ruanda ha inizio uno dei massacri più atroci della storia: il genocidio, l'ultimo del XX secolo, perpetrato dagli Hutu contro i Tutsi e gli Hutu moderati. Un milione di persone assassinate in 101 giorni: un omicidio ogni dieci secondi. Il 13 aprile un gruppo armato a Kigali DALL’INFERNO entra in casa di Bibi, che all'epoca ha 5 anni. Quando, molte ore dopo, lei si sveglia, non ricorda nulla: ha solo il desiderio SI RITORNA di bere succo d'ananas e avverte un odore pungente nella Christiana Ruggeri [Giunti stanza. Ha il braccio destro dilaniato, l'addome perforato dai proiettili, lesioni alla nuca causate dai calci. Nella stanza Editore, 2015] i cadaveri della mamma, del fratellino, della zia e dei cuginetti. Ma Bibi sopravvive: nel libro è raccontata la storia del suo viaggio infernale fino allo Zaire, insieme a un milione di profughi. E del ritorno nel suo Paese, tra inaspettati gesti di coraggio e sorprendenti atti di solidarietà, con l'inatteso lieto fine di un sogno realizzato a Roma dove tutt'oggi vive.
Contrariamente alla versione ufficiale, il governo degli Stati Uniti sarebbe stato a conoscenza del rischio di un genocidio etnico in Ruanda già nell’agosto del 1992, ovvero circa un anno e mezzo prima dell’avvio degli omicidi di massa nel Paese. Lo sostiene la rivista Foreign Policy, citando un cablogramma diplomatico ottenuto dallo United States Holocaust Memorial Museum. Nel cablo, l’allora vicecapo della missione diplomatica americana a Kigali, Joyce Leader, avvertiva Washington del sostegno espresso da alcuni estremisti Hutu al piano di sterminio di massa della popolazione di etnia Tutsi.
VALORITECA GLI EFFETTI DELL’OBAMACARE
Un progetto in difesa della quinoa amazzonica
Il 22 maggio si celebra la XV Giornata della Biodiversità, istituita dalle Nazioni Unite in difesa del patrimonio naturale mondiale. Per tutelare due degli elementi nutrizionali più importanti per l'area amazzonica, la castaña e la quinoa (il “superalimento” sacro degli Inca, proclamato nel 2013 “alimento dell'anno” dall'Onu), Cesvi sta sviluppando il progetto “SuperA Perù” (dove ‘A’ sta per ‘alimenti’ dall’alto contenuto di proteine, amminoacidi essenziali, vitamine e oligoelementi). Obiettivo: contribuire allo sviluppo economico sostenibile e ridurre la povertà delle comunità locali, principalmente nella regione amazzonica di Madre de Dios e in quella andina di Ayacucho. Per saperne di più: www.cesvi.org
valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
Spagna 1,893
Belgio 2,385
Danimarca 2,996
Italia 3,342
Svizzera 3,548
Canada 4,196
Australia 4,203
Norvegia 5,024
Olanda 5,572
Svezia 6,223
Giappone 9,188
Francia 10,371
16,249 Germania
19,387 Regno Unito
USA
32,729
Dati 2014 [milioni di dollari USA]
I MIGLIORI TWEET DEL MESE
OPEC consumes almost as much energy as China w/ less than half the people: http://on.wsj.com/1IjV6We via @BillSpindle
FONTE: OECD GET THE DATA EMBED
GLI AIUTI UMANITARI DEI PAESI OCSE
Percentuale di popolazione adulta non assicurata negli Stati Uniti FONTE: GALLUP-HEALTHWAYS WELL-BEING INDEX
LUCA FUMAGALLI
NEWS
[I Paesi OPEC consumano quasi la stessa energia della Cina con meno della metà della popolazione http://on.wsj.com/1IjV6We via @BillSpindle] 6 aprile Daniel Gilbert @WSJGilbert
Deutsche Bank: don't vote for Labour in #UK. As usual Financial lobbies intruding in national politics #bassafinanza [Deutsche Bank: non votate per il Labour in #UK. Come al solito, le lobby finanziarie s’intromettono nelle politiche nazionali #bassafinanza] 14 aprile @meggio_m
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bancor
Destino incerto a Downing Street
Gran Bretagna sul filo del rasoio dal cuore della City Luca Martino
on i destini della moneta unica appesi al negoziato in corso ormai da gennaio tra la Grecia di Tsipras e il neonato Gruppo di Bruxelles, e con elezioni in programma nei prossimi mesi anche in Spagna e Portogallo, si va al voto in Gran Bretagna, Stato membro dal 1973 dell’Unione europea ma non dell’Eurozona, avendo conservato la sterlina e quindi la piena sovranità sui temi strategici della politica monetaria. Il voto del 7 maggio, di giovedì, consolida una tradizione ormai centenaria, voluta, secondo alcuni, per evitare le suggestioni dei sermoni domenicali, secondo altri, perché nei fine settimana la working class avrebbe preferito e di molto i pub alle urne. Si vota con il sistema del maggioritario puro, tipico delle democrazie anglosassoni, il cosiddetto “first past the post” (vince chi arriva primo), che non dovrebbe consentire agli indipendentisti euroscettici dell’UKIP, nonostante l’exploit alle europee dello scorso anno, quando vinsero con quasi il 28% dei voti, di aggiudicarsi se non una manciata dei 650 seggi
C
54
in palio. E si vota dopo cinque anni di governo di coalizione, non una rarità assoluta ma certo una circostanza inconsueta dalle parti di Westminster. Nel 2010 infatti, sull’onda della crisi finanziaria e degli scandali legati alla guerra in Iraq, i laburisti persero sì una leadership che durava da ben tredici anni ma i conservatori di David Cameron, cui andarono 307 seggi, furono costretti a un patto di coalizione inedito con i Liberal Democratici, forti di un 23% e di quasi sessanta seggi. Oggi il premier in carica, discendente diretto di re Guglielmo IV e cugino di quinto grado della regina Elisabetta, può contare oggettivamente sul buono stato di salute dell’economia: crescita superiore al 2,5%, sostenuta da incentivi mirati e dalla più bassa tassazione per le imprese tra le economie del G7, deficit dimezzato rispetto a inizio legislatura, disoccupazione ai minimi storici, e un debito pubblico che, dopo la vendita delle ultime partecipazioni in Lloyds e Northern Rock, scenderà al 70% del Pil. Certo, non mancano questioni spinose, dagli ulteriori tagli previsti per il servizio sanitario nazionale alla gestione delle politiche di integrazione, fino al rinnovo della costosissima flotta nucleare (si parla di quasi cento miliardi di sterline). Ma è sui temi legati a due referendum che si fondano le speranze del leader dell’opposizione Milliband, alimentate dai sondaggi delle ultime ore, di riportare a Downing Street la rosa del Labour. Quello sull’indipendenza scozzese dello scorso anno, fallito ma di pochissimo, ha rafforzato decisamente gli storici antagonisti dei Tory, lo Scottish National Party, attualmente con soli 6 deputati ma che questa volta potrebbe fare man bassa in quasi tutte le 60 circoscrizioni del Nord. L’altro, quello sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, promesso da Cameron in caso di una sua rielezione per arginare il deflusso di voti verso lo UKIP, ha riavvicinato al Labour molte delle lobby finanziarie che in passato avevano sostenuto i successi di Tony Blair, oltre ad aver suscitato più di un dubbio tra gli stessi elettori moderati, già restii a recarsi in massa ai seggi. E allora, proprio grazie alle sue posizioni europeiste e pur nel momento di maggior tensione sia con i socialdemocratici dello SNP che con la base del partito legata ai sindacati, Ed Milliband si gioca le chance di diventare, proprio dopo Tony Blair, il secondo più giovane premier laburista della moderna storia britannica. ✱ todebate@gmail.com valori / ANNO 15 N. 128 / MAGGIO 2015
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