Mensile Valori n.44 2006

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Anno 6 numero 44. Novembre 2006. € 3,50

valori Mensile di economia sociale e finanza etica

osservatorio

nuove povertà

Dal disagio alla prosperità: tutto è grande nella capitale. Anche le risposte che Roma mette in campo, in senso positivo e negativo. L’economia della città cambia ma i palazzinari restano padroni.

ALBERTO CRISTOFARI / A3 / CONTRASTO

Fotoreportage > Bangladesh

Microcredito > Muhammad Yunus l’ha vinto per la pace. Solo un primo passo

Nobel all’economia Dossier > Imprese legali e organizzazioni criminali s’intrecciano nella finanza Finanza > Le suore azioniste americane pronte a nuove battaglie Bioedilizia > Abitare in modo naturale e economicamente sostenibile Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.


| editoriale |

La forza delle persone

contro la finanza nera di Sabina Siniscalchi

NOBEL A YUNUS. LA CRESCITA INARRESTABILE DELLA “FINANZA NERA” E DELLA CORRUZIONE. Sono due notizie che rappresentano l’anima di Valori, il cui obiettivo è proprio quello di mettere a confronto in modo documentato e approfondito le due realtà che caratterizzano oggi il mondo della finanza: la prima, quella che si basa sulle persone, sulla fiducia, sulla voglia di crescere; la seconda quella che si fonda sulla prevaricazione, sull’annullamento delle persone, sulla trasformazione di qualsiasi atto in profitto al di là di ogni regola scritta e non. Lascio dopo due anni la direzione editoriale di Valori per il mio impegno parlamentare con un po’ di rimpianto perché penso che il tentativo di affrontare questi temi in modo approfondito, documentato, scientifico sia stato estremamente interessante. Abbiamo tutti bisogno di analizzare e riflettere sempre di più sui grandi fenomeni che condizionano la vita di centinaia di milioni di persone. Sono capitali “sporchi” quelli che ritornano nelle banche del Nord del mondo per essere utilizzati nella finanza e nell’economia. E sono i paesi più ricchi i luoghi di accoglienza e riciclaggio dei bottini dei corruttori. L’indice di percezione della corruzione non riesce a dar conto di questo aspetto del fenomeno e questo ha un risvolto ipocrita: ad esempio la Svizzera guadagna un 7 nell’elenco di Traspoarency International, ma soprattutto le sue banche (con quelle di USA e Gran Bretagna) sono depositarie dei fondi utilizzati per corrompere che si trasformano in capitali dei corruttori. La TracFin, agenzia francese sul riciclaggio, ha calcolato che nel 2003 la Total ha pagato fino a 5 milioni di dollari in commissioni illegali a funzionari iracheni attraverso un insieme di conti bancari in Svizzera. Anche la ricostruzione del dopo Tsunami è stata rallentata e indebolita dalla corruzione: secondo un rapporto dal titolo Human rights of vulnerable populations, redatto dal Centro diritti umani dell’Università di Berkley, la maggioranza dei sopravvissuti, dopo un anno, vive ancora in situazione precaria, senza casa o attività lavorativa. La colpa della loro condizione non è imputabile, in questo caso, alla scarsità degli aiuti, che sono stati donati copiosi, ma all’incompetenza, alla corruzione e alla mancanza di controlli da parte dei cittadini. Lo studio fa una considerazione che viene anche ripresa dal rapporto di Oxfam 2005: year of disaster: le agenzie di aiuto non hanno consultato le comunità in merito alla distribuzione degli aiuti e ai programmi di ricostruzione, «Senza quel consenso – si dice – il clientelismo e la corruzione sono fioriti». Il coinvolgimento delle comunità locali è il primo passo per intervenire in maniera più efficiente in soccorso alle popolazioni colpite da disastri, per arginare la corruzione, per combattere lo strapotere della criminalità organizzata. Etimos ha dimostrato, grazie al programma di ricostruzione in Sri Lanka in partnership con Seeds (Sarvodaya Economic Enterprise Development Services), che si può lavorare col coinvolgimento diretto dei beneficiari: piccole cooperative di produttori e pescatori. Anche la Convenzione dell’ONU contro la Corruzione sottolinea in più passaggi come la responsabilità di prevenire e sradicare la corruzione spetta agli stati, ma che questi devono ricercare il sostegno e il coinvolgimento di soggetti fuori dal sistema pubblico: società civile, ONG, organizzazioni di base. Entità private che agiscono seguendo i principi della solidarietà, della giustizia e della partecipazione e che possono contaminare in modo virtuoso le iniziative dei governi e quelle delle imprese. L

I MANI TESE L’AUTORE Sabina Siniscalchi

Nata a Caronno Pertusella (Varese) il 17 luglio del 1952. Nel 1975 si laurea in Scienze Politiche. Ha lavorato a Mani Tese dal 1978 al 2002, negli ultimi dieci anni come segretaria nazionale. Direttrice della Fondazione Culturale di Banca Etica, ha partecipato ai vertici Onu sullo sviluppo, ai Social Forum e a reti e progetti internazionali contro la povertà. Nel 2006 è stata eletta alla Camera dei Deputati come indipendente nelle fila del Prc.

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| sommario |

novembre 2006 mensile www.valori.it

anno 6 numero 44 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore

Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica

ALBERTO CRISTOFARI / A3 / CONTRASTO

valori A Muhammad Yunus, economista del Bangladesh, è stato assegnato il premio Nobel per la pace. Nel 1977 Yunus fondò la Grameen Bank, che attraverso il microcredito ha dato una chance e una speranza di vita a milioni di poveri.

Roma, 2000

soci

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana, Circom soc. coop.

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fotoreportage. Bangladesh

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dossier. Mafia e impresa Nebulosa criminale La Germania unita dal riciclaggio Quella Alpine che non ti aspetti

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Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone

lavanderia

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direttore editoriale

finanzaetica

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consiglio di amministrazione

Ugo Biggeri, Sergio Slavazza, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it) collegio dei sindaci

Ugo Biggeri (biggeri.fondazione@bancaetica.org)

NOVAMONT

bandabassotti

direttore responsabile

Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) redazione (redazione@valori.it)

Via Copernico, 1 - 20125 Milano Cristina Artoni, Paola Baiocchi, Francesco Carcano, Paola Fiorio, Michele Mancino, Sarah Pozzoli, Francesca Paola Rampinelli, Elisabetta Tramonto revisione testi

Silvia Calvi

Non è solo buona la ricetta di Yunus New York: le suore azioniste pronte a nuove battaglie

osservatorionuovepovertà Roma vende fumo dietro la facciata, intrecci tra economia e politica Operazione traffico. Strade, parcheggi e la cura del ferro Dimenticare di chiamarsi Corviale

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bruttiecattivi

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internazionale Il Lungo cammino dello Zambia Shangai, la nuova capitale del business mondiale

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macroscopio

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economiasolidale Costruire e abitare secondo l’uomo e l’ambiente “Chi global?” Chi ha vinto, chi ha perso

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utopieconcrete

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altrevoci

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progetto grafico e impaginazione

Francesco Camagna (francesco@camagna.it) Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it) Adriana Collura (infografica) fotografie

Ian Berry, Roberto Caccuri, Augusto Casasoli, Alberto Cristofari, Roberto Koch, Ferdinando Scianna, Shobha, Alessandro Tosatto, Angelo Turetta, Riccardo Venturi (A3/Contrasto/Magnum Photos) stampa

Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 12, Pergine Valsugana (Trento) distributore nazionale

Eurostampa srl (Torino) tel. 011 538166-7 abbonamento

10 numeri 30,00 euro ˜ sostenitore 60,00 euro come abbonarsi I

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stilidivita

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numeridivalori

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padridell’economia

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È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte.

Società Cooperativa Editoriale Etica

Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

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Carta ecologica gr 90 Long Life prodotta secondo le norme Iso 9706 - Elemental Chlorine Free

INVIARE LETTERE E CONTRIBUTI A

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| bandabassotti |

Immobiliaristi

Coppola mette le mani sull’editoria di Andrea Di Stefano

N’EMERGENZA DEMOCRATICA. SEMPRE PIÙ GRAVE E PREOCCUPANTE. Il controllo dei mezzi di comunicazione, ben al di là del conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, continua a rimanere una delle malattie più gravi della nostra democrazia. Una patologia che rischia di diventare (anzi, forse lo è già) un male incurabile. È di pochi giorni fa l’annuncio che il controllo del gruppo Editori per la Finanza, 18 milioni di fatturato stimato nel 2006 e 8,5 milioni di perdite, il controllo di un quotidiano (Mercati Finanziari), un settimanale (Borsa&Finanza) e diversi allegati, è passato nelle mani di Danilo Coppola. L’immobiliarista è per lo meno un personaggio discusso. Un’inchiesta puntale del Sole 24Ore, durante la vicenda dei Furbetti di cui Coppola era uno dei protagonisti della scalata Bnl, metteva in evidenza legami a dir poco preoccupanti. Coppola si è ritenuto offeso e diffamato e ha presentato querela, non senza passare all'attacco anche sulla carta stampata attraverso l'acquisto di pagine intere sui quotidiani dove non ha lesinato gli insulti al quotidiano economico italiano e ai suoi giornalisti. Ai tempi dei furbetti del quartierino il braccio destro di Berlusconi in Mediaset, Fedele Confalonieri, si schierò a loro favore, manifestando simpatia poiché i dubbi dei giornali gli ricordavano i dubbi che gli stessi giornali avevano sull’origine della ricchezza del suo amico Silvio Berlusconi. Un bel parallelo. Perché anche sulle origini della ricchezza di Coppola, oggi primo azionista privato di Mediobanca dopo le grandi banche con il 5% del capitale di Piazzetta Cuccia, c’è il mistero più fitto. Ed è preoccupante che a chiederne conto sia l’editore-direttore del principale gruppo concorrente, Paolo Panerai, che ha addirittura rivolto un appello al ministro L’emergenza democratica delle Comunicazioni. «Possibile che l'ennesima trasformazione del controllo dei mezzi un maneggiatore di terreni, mattoni, cemento e titoli in ennesimo d’informazione, soprattutto di editore non faccia nascere a qualche politico illuminato la proposta quella economica, di una legge che imponga a chi compra giornali o media in generale è ormai oltre i limiti di documentare l'origine dei suoi soldi – ha scritto Panerai su Milano Finanza del 21 ottobre - e non solo di non usare paraventi come la legge in vigore prevede e come, invece, fece a lungo il cementiere Carlo Pesenti senior per celare la proprietà de Il Tempo, altro giornale oggi in mano a Domenico Bonifaci, un palazzinaro evolutosi parzialmente verso la figura di immobiliarista? Signor Ministro delle Comunicazioni, On. Paolo Gentiloni, sa che negli Stati Uniti chi compra non solo una banca ma una società quotata deve rendere conto alla Sec (la Consob italiana) di come ha costruito la sua ricchezza, da dove vengono i soldi che usa? E sa l'On. Presidente del Consiglio, Romano Prodi, che proprio quella legge portò in galera il bancarottiere Michele Sindona? L'avvocato di Patti aveva dichiarato che i soldi per comprare la Franklin National Bank, undicesima banca statunitense ancorché in dissesto, provenivano da suoi capitali. In un'intervista che gli feci per il Mondo, il suo braccio destro, Carlo Bordoni, documentò invece che i soldi avevano altre origini, che in parte venivano dalle banche italiane di Sindona con prestiti fiduciari. L'intervista fu letta dal sostituto procuratore di Manhattan, John Kenney che, facendosela confermare da Bordoni, ottenne dal giudice Thomas Griesa (lo stesso dei tango bond argentini) di sbattere in galera Sindona. Spieghi, Signor Coppola, passo per passo, come ha fatto le centinaia di milioni se non miliardi di euro di cui viene accreditato! Così cancellerà l'ombra che l'inchiesta del Sole ma non solo quella ha lasciato su di lei». Non abbiamo altro da aggiungere.

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CESARE POZZO SCAMBIO TRENO

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| fotoreportage | IAN BERRY / MAGNUM PHOTOS

> Bangladesh foto di Ian Berry / Magnum Photos

È una repubblica indipendente del Commonwealt ed è una costola del Pakistan di cui costituiva la regione orientale. L’islam è religione di stato, ma è garantita la libertà religiosa. La natalità è del 29,9 % ed è tra i paesi più densamente popolati del mondo. Ha 134 milioni di abitanti, tra loro anche un premio Nobel: Muhammad Yunus.

ALBERTO CRISTOFARI / A3 / CONTRASTO

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cqua e bambini. Bambini e acqua. L’elemento alla base della vita e la massima espressione della vita. Due costanti nel fotoreportage sul Bangladesh di Ian Berry. Eppure, in quel Paese, la mortalità infantile è del 66 per cento, il 48 per cento dei bambini è sottopeso e, quando sopravvivono ai primi cinque anni, l’aspettativa di vita è di 62 anni per gli uomini e 61 per le donne. L’82 per cento dei bengalesi vive con meno di due dollari al giorno. L’analfabetismo tocca il 59 per cento della popolazione: solo otto persone ogni mille hanno un computer, mentre i telefoni cellulari sono ancora uno status simbol inavvicinabile per i più (10 ogni 1000 abitanti). Il 30 per cento dei bengalesi non ha accesso all’acqua potabile, tanto che malaria e tubercolosi sono ancora malattie diffuse e temute. L’Ipu (indice di povertà umana) è pari al 42,2 per cento, tra i più alti al mondo. Insomma, il Bangladesh è un Paese povero. Un attributo che per un bengalese è quasi immanente alla propria esistenza, anche quando di professione fa l’economista, è un cattedratico, colto ed elegante, e ha avuto un’intuizione semplice e rivoluzionaria che gli è valsa il riconoscimento più ambito per uno studioso: il Premio Nobel. A Muhammad Yunus (nella foto a fianco), soprannominato il “banchiere dei poveri”, è stato assegnato quello per la pace. Yunus, a partire dal 1976, ha introdotto in Bangladesh e imposto al mondo intero il concetto di microcredito, che consiste nel fornire una piccola quantità di denaro ai più poveri, generalmente esclusi dal sistema bancario tradizionale perché senza garanzie patrimoniali. In questo modo si favorisce la nascita di attività economiche autonome che generano reddito in grado di sostenere intere famiglie. Oggi la Grameen Bank (www.grameen-info.org) ha più di 2,4 milioni di beneficiari, perlopiù donne, e il tasso di restituzione dei prestiti, che si aggirano in media sui 100 dollari l’uno, è del 98 per cento. Questo risultato è possibile grazie al meccanismo di solidarietà e responsabilità che si instaura nella comunità e nel villaggio, appunto il grameen. In Italia due esempi di microcredito interessanti si trovano a Firenze, dove il Fondo Essere all’Isolotto e il Fondo Etico e Sociale alle Piagge hanno offerto a centinaia di persone la possibilità di sollevarsi da un momento difficile. Non vengono chieste garanzie, i prestiti (da 200 a 2500 euro) vengono concessi sulla base della fiducia che deriva dalla conoscenza reciproca. La raccolta del credito dei due fondi ha superato i 300.000 euro, segno che il territorio ha risposto. Complessivamente in Italia negli ultimi quattro anni sono stati erogati circa 550 mila euro in 330 microfinanziamenti. ANNO 6 N.44

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L’AUTORE Ian Berry (Preston, Gran Bretagna, 1934) è conosciuto soprattutto per le sue fotografie del massacro di Sharpeville in Sudafrica nel 1960. Berry, che allora lavorava per la rivista Drum, era l’unico fotografo presente per testimoniare quel massacro. Nel 1962 torna in Europa e nel 1966 si stabilisce a Londra dove lavora stabilmente per la rivista The Observer. Nel 1967 entra a far parte della Magnum su invito di Henri Cartier-Bresson. Grazie a una borsa di studio, nel 1978 realizza il progetto “The English”, dedicato al suo paese. Berry è sempre dove passa la storia. I suoi lavori ricevono importanti riconoscimenti da importanti riviste tra cui: National Geographic, Fortune, Stern, Geo, National Sunday magazines, Esquire. Le sue fotografie testimoniano l’invasione della Cecoslovacchia, da parte dei russi, le tensioni in Israele e in Irlanda, la guerra nel Vietnam e nel Congo, la carestia in Etiopia e la segregazione in Sudafrica. Recentemente è tornato nel Continente africano per completare il lavoro di documentazione per il libro Living Apart in South Africa uscito nel 1996, una testimonianza drammatica degli eventi legati al fenomeno dell’apartheid, compresa l’affermazione dei diritti dei neri nel 1994. Le sue foto sono state esposte a Tokyo, Perpignan, Parigi, Amburgo, Londra, Belgio, Aix-en-Provence e al museo della fotografia a Bradford.

Ogni anno le acque alluvionali del Padma (Gange) sommergono regolarmente i villaggi. Una bambina che raccoglie l’acqua dal pozzo cerca di non mischiarla con quella inquinata del fiume. L’acqua potabile, nonostante l’abbondanza di piogge, è preclusa al 30 per cento della popolazione, tanto che malaria e tubercolosi sono malattie molto diffude e temute.

Bangladesh, 2000

> Bangladesh

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IAN BERRY / MAGNUM PHOTOS IAN BERRY / MAGNUM PHOTOS

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| fotoreportage |

Sopra, lo smantellamento “manuale” di una nave portata in secco sulla spiaggia. A sinistra, scaricatori di porto. Qui a fianco, bambini al lavoro mentre rompono mattoni. Il Bangladesh è uno dei paesi meno sviluppati e più densamente popolati. Su una superficie di 147.000 km, ovvero 3,5 volte più della Svizzera, vivono 134 milioni di persone. I bambini che lavorano nell’industria, soprattutto in quella tessile, per l’esportazione, e nell’artigianato sono 4,9 milioni in età compresa tra i 5 e i 15 anni. (dati Unicef)

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Sopra: una donna con il suo bambino in un villaggio dove l’acqua potabile è inquinata dall’arsenico, la fontana è infatti verniciata di rosso per segnalare il pericolo. Qui a fianco, le mani di una donna con i caratteristici segni neri dell’arsenico. Molti pozzi nei villaggi sono avvelenati ma gli abitanti non hanno alternative per procurarsi l’acqua. Quasi la metà della popolazione vive sotto il minimo esistenziale e il 36% rientra nella fascia dei poverissimi. Secondo gli indici di sviluppo umano, il Bangladesh è al 139 posto su un totale di 175 Paesi.

IAN BERRY / MAGNUM PHOTOS

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| fotoreportage |


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| fotoreportage |

Sopra, il terminal delle barche-taxi a Dhaka. A sinistra, il mercato di Gausia. Sotto, lavoratori riposano sotto il manifesto di un film. Qui a fianco, autisti di rickshaw. Commercianti sbarcano al mercato con le loro merci. In Bangladesh l’acqua è l’elemento dominante. Il Gange, il Brahmaputra e il Meghna rendono fertili i campi che danno tre raccolti all’anno. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalle piene, le piogge monsoniche e gli uragani, che portano morte e distruzione. Dal 1970, ha perso la vita oltre un milione di persone.

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> Bangladesh

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a cura di Nicolas Giannakoupulos, Mauro Meggiolaro, Paolo Fusi, Jason Nardi

Nebulosa criminale. Il nuovo modello >18 Germania unita dal riciclaggio >20 Quella Alpine che non ti aspetti >21 L’economia della criminalità organizzata >22

FERDINANDO SCIANNA / MAGNUM PHOTOS

dossier

Wall street, la borsa di New York. Il simbolo della finanza mondiale. E anche di brokers compiacenti, società bucalettere, operatori finanziari corrotti. La mafia si serve di loro per entrare senza problemi nel complesso mondo finanziario. Negli ultimi dieci anni il profitto criminale da riciclare è raddoppiato, passando da 300 a 700 miliardi di dollari.

New York, 1990

mafia&impresa

Un confine invisibile

Imprese legali e speculazioni criminali, la nuova borghesia mafiosa. Alpine Strategic Marketing aiutò Ricucci e anche i trafficanti d’armi

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| dossier | mafia&impresa |

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Nebulosa criminale

IL GIRO D’AFFARI DEI REATI IN ITALIA

di Nicolas Giannakoupulos, Presidente di OCO, Osservatorio sulla Criminalità Organizzata con sede a Ginevra

hi dà la caccia a cinque lepri finirà per non prenderne nemmeno una» dice un vecchio proverbio russo. È quello che rischia di succedere oggi con la criminalità organizzata. Concentrata ai vertici, polverizzata, mutevole, sfuggente alla base. Una struttura che facilita le relazioni con le imprese private, ma anche con i funzionari pubblici. Il legame tra organizzazioni criminali, imprese e Stati, teorizzato da anni in Italia, oggi è talmente evidente da non lasciare spazio al dubbio: il confine tra economia legale e illegale è ormai così sottile che spesso diventa invisibile. Il volume di affari del crimine è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. All’inizio degli anni novanta si parlava di circa 100-300 miliardi di dollari di denaro sporco che necessitava di essere ripulito. Oggi le stime parlano di 600-700 miliardi.

«C

Concentrazione al vertice, polverizzazione alla base. Imprese e organizzazioni criminali hanno ormai strutture di controllo molto simili. Che rendono più facili gli scambi. È sempre più difficile l’azione degli investigatori LIBRI

LIBRI

LIBRI

Che sono però appena il 10% di tutta la ricchezza che si nasconde offshore, nei paradisi fiscali, al riparo dalle leggi e dai controlli. Come può esserci stato uno sviluppo simile senza la connivenza dei poteri pubblici o dei consigli di amministrazione delle imprese? È un fenomeno che abbiamo osservato nel settore immobiliare, negli appalti per le grandi opere, ma che vediamo sempre di più anche in altre attività a forte valore aggiunto, che fino a qualche tempo fa non erano considerate interessanti dal crimine internazionale: start up di società del settore tecnologico e farmaceutico, speculazione in borsa o sui mercati del petrolio e dell’oro. Sono attività che richiedono competenze molto specifiche che solo gli esperti del settore possono avere. Broker, direttori finanziari, ricercatori che si mettono al servizio del crimine senza smettere di servire la propria impresa. Ma vediamo qualche esempio.

Titoli gonfiati, imprese inesistenti Capitalism’s Achilles Heel: Dirty Money and How to Renew the Free-Market System Raymond W. Baker John Wiley & Sons 2005

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The Sink: How Banks, Lawyers and Accountants Finance Terrorism - and Why Gov. Can’t Stop Them Jeffrey Robinson Constable & Robinson 2003

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The Washing Machine How Money Laundering and Terrorist Financing Soils Us Nick Kochan Texere 2005

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Nel giugno del 2000 la polizia di New York spicca 120 mandati d’arresto nell’ambito dell’operazione “uptick”. Finiscono in carcere 10 esponenti delle storiche famiglie di Cosa Nostra newyorkesi (Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese, Lucchese), un ex detective, 57 broker, 12 promotori finanziari, 30 manager di 4 società quotate, due commercialisti, un avvocato e un manager di hedge fund. Tutti coinvolti in un’operazione di frode finanziaria in grande stile. Cos’è successo? Alla fine degli anni novanta, su iniziativa della ma-

FONTE: RAPPORTO SOS IMPRESA 2006

TIPOLOGIA Usura Racket Furti e rapine Truffe Contrabbando Contraffazione Abusivismo Cybercrime TOTALE 1

DENARO MOVIMENTATO

% GESTITA DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

COSTI PER I COMMERCIANTI

COMMERCIANTI

30 mld 10 mld 7 mld 1 4,6 mld 2 mld 7 mld 13 mld 4,2 ml 77,8 mld

36% 95% 15% 20% 80% 70% 20% 30% 45%

12 mld 6 mld 2,1 mld1 4,6 mld 300 ml 2 mld 1,8 ml 1,1 ml 30 mld

150.000 160.000 90.000 2 500.000 15.000

senza i costi indiretti; 2 solo furti e rapine nei negozi

fia, viene creata la società DMN Capital Investment Inc. per acquistare e vendere titoli di 4 imprese. I prezzi delle azioni delle imprese vengono fatti lievitare con l’aiuto di broker compiacenti che spingono piccoli investitori e fondi pensione a comprare i titoli, allettati da buone prospettive di rendimento. Dopo aver gonfiato le quotazioni, la DMN si libera delle azioni e scappa col bottino, mentre i broker corrotti intascano mazzette di svariati milioni. Speculazione pura, a servizio del crimine. Sempre nello stesso periodo Cosa Nostra si esercita in un altro campo di gioco: il Nasdaq (borsa tecnologica USA), dove, approfittando dell’euforia dell’hi-tech, le famiglie collocano a prezzi astronomici imprese prive di valore reale presentate come straordinarie opportunità di investimento. In realtà sono solo nomi che dietro non hanno nulla. Migliaia di investitori ci cascano. Dopo poche settimane le famiglie vendono tutto intascando milioni di dollari.

Tonnellate di oro virtuale Una volta scoppiata la bolla del Nasdaq, la speculazione criminale si sposta su altre piazze, considerate più interessanti. Come quella delle materie prime: petrolio, oro, metalli preziosi. Qui fioriscono una serie di broker che cercano di portare a casa il massimo possibile da mercati in continua crescita, frodando gli investitori. Le tecniche di raggiro sono spesso molto semplici: un broker si dichiara pronto a vendere per 100 milioni di euro un certo numero di tonnellate di oro, la cui esistenza è comprovata da documenti falsi e da una serie di campioni. L’acquirente si fa rilasciare da una grossa banca una promissory note (pagherò cambiario internazionale) di un valore pari a quello della partita di oro che intende comprare e blocca l’affare. La promissory note, che certifica la disponibilità finanziaria dell’acquirente, viene ceduta al broker che la presenta a qualche piccola banca regionale. A fronte della promessa di pagamento il broker chiede un credito alla banca per “coprire le spese connesse alla vendita (trasporto, certificati, ecc..)”. In genere il prestito richiesto è pari all’1 o 2% dell’ammontare totale della vendita e la banca regionale non ha problemi a concederlo. Anche perché è garantito dalla promissory note di un istituto bancario importante e affidabile. L’1% di 100 milioni di euro è 1 milione di euro. Il broker se lo intasca, sparisce e ricompare in un altro Paese, con un altro nome.

COLPITI

Nei tre casi che ho citato l’appoggio fornito alla criminalità dalla sfera legale dell’economia è evidente. Chi procura i documenti al broker? Chi lo copre quando sparisce? Chi accompagna lo sbarco in borsa delle società fittizie? Chi specula sui 4 titoli? Sono tutti operatori non criminali, che si lasciano corrompere. La mafia ha bisogno di loro perché conoscono alla perfezione mercati complessi nei quali altrimenti non riuscirebbe ad entrare.

Una nuova generazione criminale Queste forme di collaborazione ci sono sempre state, ma negli ultimi anni sono aumentate pericolosamente. Per una serie di motivi. Al vertice delle organizzazioni criminali si sta assistendo a un cambio generazionale. I nuovi boss sono in grado di cogliere opportunità che la generazione precedente non vedeva. Prima ci si concentrava sui business tradizionali: droga, armi, prostituzione. Oggi si cercano altre vie, più leggere. Il traffico di droga richiede un’organizzazione logistica enorme e complicata. La speculazione in borsa puo’ portare guadagni simili con uno sforzo più limitato, senza coinvolgere troppo i vertici, anzi, delegando tutto a un numero indefinito di galoppini che agiscono in proprio: se l’affare va bene ne trae beneficio anche la famiglia, se va male è solo il pesce piccolo che soccombe.

Decentramenti sospetti Anche le grandi multinazionali ormai ragionano così. Se vogliono rischiare con un nuovo business creano uno spin-off (scorporo di un ramo d’impresa) a cui viene affidata l’intera responsabilità del progetto. Se il progetto fallisce l’impresa non ne risente. Il problema è che, molto spesso, questi spin-off vengono creati per perseguire attività illegali o al limite della legalità: per evadere il fisco, eludere le norme sui diritti dei lavoratori o anche per collaborare con organizzazioni criminali. In Svizzera ben prima che entrassero in vigore le nuove norme sul riciclaggio, molte grandi società finanziarie avevano creato una serie di piccoli spin-off e li avevano dotati di compiti precisi oppure avevano incoraggiato persone che lavoravano all’interno della società a farsi una posizione autonoma per gestire in proprio le operazioni di lavaggio del denaro che, con la nuova legge, sarebbero diventate molto più rischiose. Quando vengono alla luce queste operazioni il giudice o la polizia possono perseguire legalmente solo i piccoli, che agiscono in proprio, o gli amministratori dello spin-off (una, due, tre persone al massimo). Raramente si riesce ad arrivare all’impresa madre. Raramente si riesce a dimostrare che i vertici sapevano, erano d’accordo, coprivano. Anche se i pesci piccoli hanno i loro uffici nella sede della società, anche se hanno gli stessi clienti e usano le stesse infrastrutture. Questa parcellizzazione delle funzioni si osserva soprattutto nei settori finanziario, energetico, immobiliare, farmaceutico. Quando è associata a attività illegali i poteri pubblici riescono a fare ben poco. Come si fa a correre dietro a 100, 1.000 singoli operatori? Prendiamo per esempio il caso del furto di petrolio in Nigeria. Una volta che il petrolio viene rubato dalle tubature dove viene venduto?

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mo sicuri che l’amministratore sia proprio all’oscuro di tutto? Nei prossimi anni domande di questo tipo saranno sempre più frequenti. Gli investigatori dovranno cercare di fornire risposte valide. Anche perché le tracce che portano all’ultimo piolo della scala ci sono. Basta saperle cercare.

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La Germania unita dal riciclaggio

artefice della “Kohl, riunificazione, non puo’ permettersi

ALESSANDRO TOSATTO / CONTRASTO

Chi lo raffina? Il know how e le infrastrutture necessari per queste operazioni illegali non esistono al di fuori delle grandi compagnie petrolifere. Shell ed Exxon controllano migliaia di entità diverse. È naturale che le organizzazioni criminali si appoggino a loro e non, direttamente, all’amministratore delegato della compagnia. Ma sia-

di perdere le elezioni ad Est, ma ha finito i soldi. Riceverà 5 milioni di marchi, dall’arcivescovo di Magonza

A est i Rom riciclano le tangenti del partito, a ovest i vescovi lavano le offerte dei fedeli. Casi da manuale per Jürgen Backhaus studioso delle tecniche di riciclaggio. ade il muro. Le due Germanie sono pronte a tornare insieme sotto il segno del marco. Ma ad est ci sono ancora alcuni conti da regolare. Di cosa si tratta? Nel giugno del 1990, pochi giorni prima dell’unificazione monetaria tededi Mauro Meggiolaro sca, il governo della DDR (Repubblica Democratica Tedesca, NdR) decide di stampare quintali di denaro fresco in grossi tagli per distribuirlo ai dirigenti del partito, come forma di liquidazione. Sono politici, ma anche professori universitari, funzionari della pubblica amministrazione. Per loro nella Germania unita non ci sarà posto. Lo Stato socialista decide di risarcirli - o di comprare il loro silenzio - con un fiume di banconote. Destinate però a “scadere” di lì a poco. Il 1° luglio si passa infatti al Deutsche Mark (il marco della Germania Ovest) e tutti i soldi dell’est devono essere cambiati. Il tasso di conversione è 1:1 fino a 20.000 marchi DDR per persona, mentre per cifre superiori la conversione è molto meno conveniente. In ogni caso per la nomenklatura dell’est diventa urgente disfarsi dei contanti.

C

Jürgen Backhaus, ordinario di sociologia finanziaria all’università di Erfurt, in Germania. Studia le tecniche di riciclaggio del denaro sporco.

Che fine fanno allora le banconote? Prendono almeno tre strade. La prima è ben documentata, ne ha parlato anche la stampa. Le altre due si possono dedurre dai movimenti di denaro che si sono osservati in quel periodo. Ma andiamo con ordine, parliamo della prima strada, che porta in Romania e Bulgaria. Lì vengono spedite, via aereo, valigie piene di contanti. Le bancono-

te vengono poi cedute a migliaia di Rom che si spostano in massa nelle maggiori città della Germania est carichi di valuta fresca. I Rom battono a tappeto le strade in cerca di cittadini della DDR che abbiano sul conto risparmi inferiori ai 20.000 marchi. Quindi si fanno cambiare i soldi, probabilmente pagando una commissione ai proprietari dei conti, e tornano a casa. (Secondo alcune ricostruzioni i Rom avrebbero ottenuto le valigie di contanti contro valuta rumena e bulgara, a un tasso di cambio favorevole, permettendo così ai funzionari dell’est di entrare in possesso di banconote non destinate a “scadere”, NdR). E le altre due strade? La storia dei Rom è solo la punta dell’iceberg. La maggior parte dei contanti è stata lavata in almeno altri due modi. Il primo porta ancora in Romania e Bulgaria, dove in quel periodo sono in corso le privatizzazioni delle grandi imprese statali. Servono capitali e i funzionari dell’est ne hanno in eccesso. Con l’aiuto dei compagni bulgari e rumeni comprano le azioni delle società pubbliche con i contanti della DDR. Il denaro sporco viene incassato dalle banche centrali di Bucarest e Sofia e trasformato in certificati azionari “puliti”.Il secondo modo è simile al primo, ma riguarda le cooperative agricole statali LPG (Landwirtschaftliche Produktionsgenossenschaft, i “kolchoz” tedeschi, NdR). Le cooperative pubbliche vengono privatizzate e trasformate in Srl. I nuovi soci – in genere apparati di partito - versano contanti in cambio di quote e diventano pro-

prietari di terreni agricoli che poi, in molti casi, saranno resi edificabili. Ma da dove arriva quella massa di contanti? Sempre dalla distribuzione a pioggia di tangenti! A ovest intanto non si perde tempo… No, perché dopo l’unificazione monetaria arriva quella politica (3 ottobre 1990 NdR) e a dicembre ci sono le prime elezioni della Germania unita. La SED, ex partito socialista della DDR, si trasforma in PDS e punta alla vittoria nelle regioni dell’ex Repubblica Democratica. Il partito ha molte risorse che investe soprattutto in pubblicità elettorale. Helmut Kohl, artefice della riunificazione, non puo’ permettersi di perdere la sfida elettorale ad est, ma ha finito i soldi. A questo punto arriva una donazione di 5 milioni di marchi di cui Kohl non ha mai rivelato la fonte, dicendo di aver dato la sua “parola d’onore”. Certo, perché quei soldi, secondo le nostre ricerche, gli erano stati girati dall’arcivescovo di Magonza. Erano le offerte dei fedeli, riciclate e versate nelle casse della CDU, il partito di Kohl, che alla fine ha vinto anche ad est! Cosa succede dopo la riunificazione? La pratica delle donazioni occulte ai partiti continua mentre vengono alla luce molti casi sospetti. Ad essere riciclato non è solo il denaro contante, ma anche quello regolarmente depositato presso conti bancari. La legge tedesca sul finanziamento ai partiti richiede che le donazioni di

importi elevati siano registrate e segnalate. Come si aggira l’ostacolo? Dividendo le grosse somme in tanti piccoli bonifici. Cito solo un esempio, che ha come protagonista la CDU dell’Assia. Il tesoriere del partito riceve milioni di marchi per le elezioni regionali. Provengono da un conto svizzero dell’industriale tedesco dell’acciaio Friedrich Flick. Sono un ringraziamento personale al partito per le agevolazioni fiscali ottenute in occasione della vendita del suo gruppo industriale. Quando vengono scoperte centinaia di piccoli bonifici, il tesoriere si difende dicendo che si tratta di “donazioni di ebrei emigrati in Paraguay”!

Con la disgregazione dell’Urss il traffico di armi è diventato, dopo la droga, l’attività più redditizia per la criminalità internazionale, spesso con connessioni insospettabili. Mercati fiorenti sono l’Afghanistan e l’Iraq.

Afghanistan, 2001

Quali conclusioni si possono trarre dai casi che ci ha presentato? Le conclusioni che traggo sono due. Prima di tutto dobbiamo metterci in testa che il riciclaggio di denaro non interessa solo i contanti, ma puo’ riguardare anche somme regolarmente depositate su conti correnti. Infine gli esempi che ho portato dimostrano che spesso il riciclaggio non è guidato da istinti criminali, ma è solo un modo per aggirare leggi che definirei ingiustamente repressive, come quella tedesca sul finanziamento ai partiti.

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Quella Alpine che non ti aspetti La società newyorkese non aiutò solo Stefano Ricucci, ma anche svariati trafficanti d’armi e le varie cordate succedutesi in Telecom Italia. Con soldi provenienti dal freddo di Mosca. di Paolo Fusi

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IRCA UN ANNO FA VALORI RIVELÒ le connessioni tra la Alpine Strategic Marketing Llc New York ed il finanziere zagarolese Stefano Ricucci. Quest’ultimo era entrato, l’8 agosto del 2001, nella società Red Investment SA di Lussemburgo, una controllata della Alpine, cambiandone il nome in Magiste International SA Lussemburgo e facendone la capofila di tutte le proprie attività. Allora, però, Valori si limitò a porre la

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domanda di chi ci fosse, dietro questa strana società americana. Oggi possiamo raccontare questa storia del nuovo capitalismo italiano con un po’ più di dettagli. La prima volta che si viene a conoscenza dell’esistenza della Alpine Strategic Marketing è all’inizio del 2004, in seguito alle inchieste dell’ONU sui traffici d’armi in partenza dalla Jugoslavia. Alcune fabbriche russe e bulgare vengono sorprese a vendere

illegalmente armi in Iraq ed in altri paesi colpiti da embargo internazionale attraverso una società bulgara di nome Poldis Ood Sofia. Indagando su questa società si scopre che viene guidata da un ex ufficiale dei servizi, tale Petur K. Sinapov, che tra il marzo del 2001 ed il marzo del 2003 organizza un contrabbando di armi tra Afghanistan ed Iraq per un valore accertato di oltre 10 milioni di dollari.

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Tra i vari soci ed acquirenti della Poldis ci sono società di ex ufficiali del KGB come Mikhail Georgiev ed una società liechtensteinese, la Waxom Anstalt, accusata di aver anche rapporti con il dittatore della Liberia Charles G. Taylor, che appartiene a tre cittadini serbi: Dragan Karadzic, Vida Nastic Karadzic e Milos Karadzic – per cui l’ONU sospetta che sia una società che ha ricevuto “doni” dal gruppo di Sinapov: doni destinati al fuggiasco Radovan Karadzic. La magistratura bulgara, allarmata, interviene. Sinapov scappa, ma lascia una scia di documenti, grazie ai quali i magistrati ricostruiscono il controllo della Poldis e delle società ad essa collegate. Il controllo azionario viene effettuato da due società gemelle, la Jeff Corporation Ltd. Tortola (Isole Vergini) e la Jeff Corporation Ltd. Limassol (Cipro), che a loro volta appartengono alla Rodeo Investments Llc New York. L’inchiesta si blocca qui. Sinapov è ancora nascosto in qualche luogo a godersi i frutti dei sudati affari. Sarà quindi non la magistratura, ma l’istituto di ricerca italo-tedesco IBI, a scoprire, nell’autunno del 2005, che la Rodeo è controllata dalla Global Investors Llc New York, a sua volta controllata da un’omonima società di Trutnov, nella repubblica ceca, a sua volta controllata da un’altra società omonima con base a Mosca. Ed è sempre IBI a scoprire che, tra le diverse società che la Global Investors ha fondato nella Suite 101 dei suoi uffici al numero 400 della 7th Street North-West di New York, c’è la Alpine Strategic

REATI DI CORRUZIONE DENUNCIATI IN ITALIA [TASSI PER 100.000 ABITANTI] 1,4

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Marketing Llc New York, ovvero “una società creata per veicolare il reinvestimento dei denari guadagnati dal gruppo con le operazioni commerciali di controllate come la Rodeo Investments”.

Mamma li turchi La Alpine Strategic Marketing ha anche una base, non ufficiale, a Lussemburgo. Al 9b di Boulevard Prince Henri, dove ha sede la fiduciaria di Charles Ewert – più noto alle cronache come “Panama Charlie” per le sue capriole contabili con società bucalettera del paesino centroamericano ai tempi del dittatore Manuel Antonio Noriega. Il fiduciario lussemburghese, nei guai con la giustizia per il sospetto di truffa, traffico d’armi con l’Afghanistan e tentato omicidio, è tutt’altro che una mammoletta. Secondo la giustizia della Turchia Ewert è uno degli azionisti di riferimento della FMB First Merchant Bank di Lefkosa (parte turca di Cipro) – una banca inserita nell’aprile 2004 nella lista nera dei “più importanti istituti di riciclaggio del narcotraffico e del traffico d’armi” da parte del Governo degli Stati Uniti. Allo stesso indirizzo hanno sede altre società collegate o controllate dalla Alpine Strategic Marketing, come ad esempio la Rosebud Sarl. Questa è la finanziaria dell’imprenditore americano Richard Doherty – sotto inchiesta in diversi paesi con il sospetto di commercio illegale di armi. Il legame tra questo gruppo di società ed il traffico d’armi sembra avere radici storiche: un’altra delle società collegate, la Stema International SA Lussemburgo, fondata nel 1971 da tali Nico Schaeffer e dal suo socio Michele Sindona, venne investigata all’inizio degli anni ’90 per dei presunti contratti su materiale radioattivo. Uno dei dirigenti della Stema, il banchiere Giorgio Magnoni, è uno dei soci della Red Investment SA Lussemburgo, poi rinominata Magiste International, la holding di Stefano Ricucci che venne fondata dalla Alpine Strategic Marketing.

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Dentisti su Marte

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Ricapitolando: la Alpine Strategic Marketing fornisce mezzi finanziariper diverse avventure finanziarie, industriali e commerciali. Tra queste pare esserci una generale propensione per il traffico d’armi. Il che, si badi bene, non vuol dire che Stefano Ricucci sia collegato al traffico d’armi. Per lui si tratta probabilmente di marziani, di cui nemmeno capisce la lingua. Quasi certamente, dato che la Alpine crea delle holding sottostanti per mascherare finanziamenti e finanziatori, Ricucci di tutte le altre società non sa nulla. Magari non sa della Stema del suo socio

CONDANNATI PER REATI DI CORRUZIONE IN ITALIA [TASSI PER 100.000 ABITANTI] 0,6

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AUGUSTO CASASOLI / A3 / CONTRASTO

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Stefano Ricucci, finanziere venuto dal nulla, ha tentato la scalata di Rcs. È stato arrestato per aggiotaggio.

in Italia, coperto dai politici italiani, con lo scopo anche di influenzare la stabilità economica del nostro paese? Ma chi c’è mai dietro la Alpine? È mai credibile che ci sia una sorta di cospirazione legata al traffico d’armi? Purtroppo chi scrive non crede a questa versione e azzarda un passettino in più.

L’orso bianco dietro la Alpine

Magnoni. Ma magari sa di altre società situate al 9b di Boulevard Prince Henri, come la Starting Investment Holding SA Lussemburgo e la Accord Investment Holding SA Lussemburgo, due società a partecipazione parzialmente incrociata fondate lo stesso giorno (il 3 marzo del 2000), controllate dallo studio fiduciario di Charles Ewert e dalla Alpine Strategic Marketing. Uno dei consiglieri d’amministrazione della Accord – e quindi dirigente di spicco della struttura lussemburghese della Alpine, è Giuseppe Pappolla, un commercialista milanese legato a Giuseppe Gazzoni Frascara – e subentrato al suo referente nel consiglio d’amministrazione del gruppo Finarte. Gazzoni Frascara è parte integrante della storia della Telecom Italia. Entrò insieme a Chicco Gnutti e Roberto Colaninno, poi scalò la Banca Antonveneta insieme alla Bell ed alla sua FGF (due società collegate allo studio legale di Boulevard Prince Henri a Lussemburgo). Un bolognese alla corte dei bresciani, che insieme a Ricucci usava soldi provenienti da non si sa dove per scalare banche e società di telecomunicazione. Un bolognese peraltro consigliere d’amministrazione del gruppo Pirelli, che poi prenderà il posto della cordata dei bresciani. Il tutto nel periodo tra il giugno 1999 e l’aprile 2001, ovvero il periodo precedente all’entrata della Alpine e della sua gemella Rodeo Investments nei giochi della Poldis e del contrabbando d’armi russo e bulgaro. Già questo un dato sufficiente per credere che costoro si sono giovati dei soldi provenienti dal sistema della Alpine, ma senza sapere nulla delle armi. C’è però qualcosa d’inquietante in queste relazioni. Possibile mai che chi si trova dietro la Alpine compia delle operazioni finanziarie

La Alpine e la Global Investor hanno due proprietari: la Finman International Corporation SA Panama e la Kingsland (Nominees) Ltd. Londra. La seconda è una fiduciaria, il che significa che tiene le azioni per conto di qualcun altro. Certamente è legata alla Wood Appleton Oliver SA, che ha sede presso lo studio di Ewert al 9b di Boulevard Prince Henri di Lussemburgo. Ma a chi appartiene la Finman? Sulla carta, al momento della costituzione, alla Effecta Trading SA – un’altra società bucalettera di Charles Ewert. In realtà appartiene alla Complus Holding SA Lussemburgo – un’altra società con sede allo stesso solito indirizzo. Solo che la Complus Holding non è una bucalettere. È la holding con cui gli oligarchi russi fedeli a Putin controllano la telefonia fissa e mobile in tutti i paesi nati dalla disgregazione dell’Urss. Un colosso multimiliardario, dai contorni oscuri, con interessi nella chimica, nella fisica applicata, nell’industria pesante, che in Complus Holding ha portato le sue ricche partnership in Scandinavia, con il gruppo Telia ed altre società minori che guidano il mercato in Svezia ed in Danimarca. Un colosso che genera soldi e che ha bisogno di grandi canali per investire – un compito perfetto per una società insospettabile come la Alpine, registrata negli Stati Uniti, e controllata attraverso un dedalo di società bucalettere grazie agli uffici di un personaggio come Charles Ewert, circondato di vecchie glorie che risalgono sino ai tempi di Sindona, e che sono mescolati in diverse operazioni finanziarie fasulle ed immonde degli ultimi otto anni. Quanto ai legami tra le banche tedesche e l’ex Unione Sovietica, non c’è da sorprendersi se queste banche, su consiglio di Putin, forniscono i conti segreti del dittatore del Turkmenistan, e che l’ex Cancelliere Gerhard Schröder è entrato a far parte di uno dei consigli d’amministrazione di Gazprom – il colosso energetico russo, e che ora investe nel calcio tedesco. Putin, lo si sapeva già, ha miliardi da reinvestire, cercando di non fare troppo chiasso. Ed ha interessi personali nel traffico d’armi. Io, fossi un dentista a Zagarolo, con quello non mi ci metterei. Fossi invece un giornalista, ne avrei orrore. Avete visto tutti cosa succede a scriverne male.

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L’economia della criminalità organizzata C’è una borghesia mafiosa e imprenditrice che aggredisce quasi tutti i settori. Fattura il doppio della Fiat, quanto l’Eni e dieci volte in più della Telecom. La piovra decide l’economia del Paese.

S di Jason Nardi

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VILUPPO E SOTTOSVILUPPO si misurano oggi anche in relazione alla diffusione di un’economia parallela sommersa e criminale, ma sempre più imprenditoriale, finanziaria e commista con l’economia legale, dove ricicla i suoi enormi capitali con la compiacenza di una “borghesia mafiosa” e di una classe politica collusa. Le dimensioni di quest’economia parallela e intersecata a quella legale sono enormi: quasi 80 miliardi di euro l’anno, secondo le stime del Pro-

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curatore Nazionale Antimafia Pietro Grasso. Lo conferma il 9° rapporto SOS-Impresa della Confesercenti, uscito lo scorso settembre: “dalla filiera agroalimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, agli appalti, alle forniture pubbliche la presenza mafiosa aggredisce ogni attività economica, tanto che il fatturato della Mafia Spa è giunto ormai a 75 miliardi di euro, pari ad un colosso imprenditoriale come l’ENI e il doppio di quello della FIAT e

dell’ENEL, dieci volte più grande di quello della Telecom”. Se è difficile stimare il giro d’affari delle organizzazioni criminali in Italia - l’associazione Avviso Pubblico (Enti locali per la formazione civile contro le mafie) parla di 100 miliardi di euro, includendo i traffici indiretti - è comunque ormai evidente che accanto alla tradizionale attività parassitaria, costituita dai reati quali l’estorsione e l’usura, vi è un ruolo crescente della “mafia imprenditrice”, sem-

pre più presente nei centri decisionali ed economici del Paese. Ne consegue che parti del paese in cui la mafia è particolarmente radicata, sono mantenute in uno stato di sottosviluppo non solo economico, ma anche sociale.

L’impresa mafia A Bari, durante le giornate della campagna Sbilanciamoci dedicate alla finanziaria ai primi di settembre, una sessio-

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| dossier | mafia&impresa |

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che nella “Più libertà dei suoi affiliati, la forza

della mafia sta nella ricchezza di cui dispone

REGIONI A CONFRONTO CALABRIA Abitanti: 2.009.268 Superficie: 15.080 Kmq Densità: 133 ab./Kmq Comuni: 409

Colpire le tasche SICILIA Abitanti: 5.013.081 Superfici: 25.710 Kmq Densità 193 ab./Kmq Comuni: 390

Il tema della legalità e dell’economia è stato al centro dell’intervento del Procuratore Nazionale Antimafia. «La forza delle moderne organizzazioni mafiose», afferma Pietro Grasso, «più che nella libertà personale dei propri affiliati, sta nella ricchezza di cui possono disporre». Il Procuratore racconta che il pentito Raffaele Cutolo nel ‘92 diceva: «Qualche anno di carcere i mafiosi lo mettono in conto e anzi è un titolo d’onore. Ma se volete ferirli veramente, dovete colpirgli la tasca». Seguendo questo suggerimento, quando Grasso era procuratore a Palermo ha sequestrato beni per 12mila miliardi di lire. Grasso cita una ricerca del Censis del 2003, secondo cui la presenza mafiosa impedisce all’economia del sud d’Italia di svilupparsi e crescere, incidendo sulla produzione di 7,5 miliardi di euro di ricchezza in meno. Que-

sta somma rappresenta il 2,5% del PIL pro capite nel Mezzogiorno e la perdita ogni anno di 180.000 posti di lavoro. «Senza contare», specifica Grasso, «le spese per i sistemi di difesa, le assicurazioni, la polizia privata, che ammonterebbero a 4,3 miliardi di euro, con un’incidenza del 3,3% sul fatturato annuo. Un’impresa al Sud ha questi costi aggiuntivi». Questo significa che in una fase come l’attuale di riduzione delle risorse e di tentativi di ripresa produttiva, «i detentori di capitali mafiosi oggi possono approfittare dell’indebolimento delle regole del mercato per espandere il loro potere economico criminale e scacciare dal mercato gli imprenditori onesti».

Mercato sommerso Secondo il Procuratore antimafia, in Italia si è in presenza di un’economia sommersa su tre livelli, con conseguenze che si riflettono sull’intera società e non solo sulle vittime dirette che le subiscono. Un primo livello è quello di chi produce beni e servizi in sè legali, ma violando alcune regole, come le normi fiscali, le norme previdenziali e antinfortunistiche nel caso del lavoro nero. Poi vi è un’economia criminale, che invece produce beni e servizi di per sè illegali, come gli stupefacenti, il contrabbando di tabacchi, il gioco d’azzardo e clandestino, ecc. Infine, c’è un’economia legale nella quale, attraverso l’interposizione fittizia di prestanomi, si investono anche i profitti mafiosi provenienti da attività illecite. «Quest’ultima», afferma Grasso, «è la forma più pericolosa, perché svuota la libera impresa, il libero mercato, la democrazia dei suoi contenuti essenziali». Nonostante le organizzazioni criminali siano state colpite dai successi delle forze dell’ordine e in particolare dall’arresto del boss dei boss, il super latitante Bernardo Provenzano, queste mantengono inalterata la loro forza e la loro strategia: «una scarsa esposizione, un consolidamento degli insediamenti territoriali tradizionali, una capacità di spingersi oltre i confini regionali e nazionali». «Dal 1996 Bernardo Provenzano - continua Grasso - ha attuato la strategia della invisibilità, della sommersione, riuscendo a traghettare l’organizzazione mafiosa fuori dal-

la crisi del dopo stragi e mettendo di nuovo in ballo la mafia degli affari, con i prestanomi. Il capomafia corleonese è stato definito il più laico che ci sia mai stato; riusciva a coinvolgere non solo il sistema di relazioni intorno alla democrazia cristiana di Salvo Lima, ma anche il mondo delle cooperative rosse, per coprirsi le spalle politicamente».

Dal boss al consulente Soprannominato “il ragioniere”, Provenzano scrive a malapena in italiano, non usa il computer, nemmeno il telefonino, non naviga in Internet, «eppure la mafia che incarna sarebbe proprio da computer e da internet», spiega Grasso, «attenta com’è oggi a qualsiasi occasione offerta dal mercato, legale o illegale e ad adattarsi al mutamento del contesto. Difficile pensare a uno come Provenzano, capo di una vera e propria multinazionale del crimine, che poi vive in quel modo. Ma questo è possibile perché basta poco, basta un consulente, come al figlio di Vito Ciancimino (ex sindaco di Palermo): recentemente quest’ultimo e alcuni suoi soci hanno venduto una società di commercializzazione di gas a una società straniera per 230 milioni di euro. Per la cessione di un’attività imprenditoriale, dove ci saranno stati certamente dei capitali iniziali, e per i rapporti con la Russia e la Tunisia è bastato poco: un avvocato internazionale con studio a New York, Londra, Roma che curasse questi affari». «Da anni», incalza Grasso, «sostengo che il fenomeno mafioso non è riconducibile a poche migliaia di associati a Cosa Nostra, all’incirca 5000 affiliati organicamente, ma è attraverso quella borghesia mafiosa di professionisti, commercianti, politici, bancari, imprenditori, che sono la vera forza di Cosa Nostra, perché partecipano a un sistema globale che dà continuità e privilegi e ciò forse spiega come mai, nonostante un’esistenza pluricentenaria, non sia stata debellata».

L’economia del sottosviluppo C’è un punto focale intorno al quale ruota tutto questo sistema mafioso. «Sono gli imprenditori», spiega Grasso, «senza i quali né la mafia, né la politica, né la burocrazia potrebbero avvantaggiarsi dei finanziamenti pubblici (ciascuno per la propria parte). Questi arricchimenti spesso

DATI SU MAFIA E ANTIMAFIA

Luglio 1993 - Giugno 1997

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Luglio 1997 - Giugno 2001

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vengono da finanziamenti pubblici, al di là dell’evasione fiscale, che vanno alla mafia o percorrono le vie della corruzione burocratico-amministrativa, siano politici collusi o amministratori corrotti: sono soldi sottratti ai cittadini». Ancora oggi c’è chi sostiene che queste risorse finanziarie si possono ritenere “maledette” al momento della loro accumulazione, per poi diventare benedette al momento del loro utilizzo in investimenti legali, produttivi, di occupazione e sviluppo. «Si può arrivare a proporre», si chiede Grasso, «che canali semi-istituzionali incoraggino la mafia ad investire “per il bene del Paese” in attività produttive in sofferenza? Sarebbe come invitare Provenzano a risanare, investendo nella sanità privata convenzionata, la sanità pubblica. Cosa che forse ha cercato di fare...». «L’impresa mafiosa», continua Grasso, «genera un’economia fragile, drogata, che non produrrà certamente uno stabile sviluppo. Noi lo vediamo con i beni, le società, le attività imprenditoriali sequestrate: appena vengono fuori dal mercato mafioso, non si possono reggere da sole, perché è un’imprenditoria che si avvale di tutta una serie di vantaggi e privilegi che non è l’imprenditoria libera. Il rapporto tra sottosviluppo e mafia è un circolo vizioso che rafforza entrambi».

Pietro Grasso (Licata, 1 gennaio 1945) è un magistrato italiano. L’11 ottobre 2005 è stato nominato Procuratore nazionale antimafia, subentrando a Pier Luigi Vigna.

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FONTE: MINISTERO DELL’INTERNO, LO STATO DELLA SICUREZZA IN ITALIA, 2005 / MINISTERO DELL’INTERNO, RELAZIONE SUI PROGRAMMI DI PROTEZIONE, 2005 / AGENZIA DEL DEMANIO, 2005

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA: OMICIDI. [LUGLIO 1993 – GIUGNO 2005] Periodo N° omicidi

Totale omicidi

SHOBHA / CONTRASTO

ne è stata dedicata a come l’economia illegale, anche dove appare “pulita” grazie a prestanomi e società partecipate, sia non solo un impedimento allo sviluppo di economie sane e sostenibili, ma anche un’economia al negativo, che sottrae importanti risorse all’economia legale. Uno dei relatori, l’onorevole Giuseppe Lumia (ex presidente della commissione antimafia) ha spiegato che storicamente «le mafie hanno utilizzato sistemi di mediazione dove l’imprenditore, il politico, il mafioso si incontravano a metà strada. La mafia invece ora si è fatta impresa, ha scelto il meccanismo della rappresentanza diretta. Per questo una moderna antimafia deve essere in grado di colpire il sistema nel suo insieme». Secondo Lumia, la via penale è solo una parte della lotta alla mafia: la strada etica è quella da perseguire con forte impegno: «per molti anni», ha detto Lumia, «si sono tollerate quote di illegalità nel rapporto dei cittadino con lo Stato, illudendosi che da lì venissero spazi di crescita per lo sviluppo: penso alle leggi sulla depenalizzazione del falso in bilancio e sul rientro dei capitali dall’estero. Ma lo sviluppo non c’è stato: dobbiamo ricominciare a dire che l’illegalità non conviene, mai».

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CRIMINALITÀ ORGANIZZATA: OMICIDI PER GRUPPO CRIMINALE. [LUGLIO 2001 – GIUGNO 2005] Gruppo criminale N° omicidi Camorra 322 ‘Ndrangheta 141 Sacra Corona Unita 93 Cosa Nostra 79 Altre organizzazioni 13 Totale omicidi 648

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LATITANTI ARRESTATI [LUGLIO 1997 – GIUGNO 2005] Tipologia N° persone Cosa Nostra 291 Camorra 590 ‘Ndrangheta 357 Sacra Corona Unita 153 Totale 1.391

PERSONE SOTTOPOSTE A PROVVEDIMENTI DI PROTEZIONE SPECIALE [ANNO 2003] Tipologia N° persone Collaboratori di giustizia 1.119 Testimoni di giustizia 65 Famigliari di Coll. di giustizia 3.441 Famigliari di Test. di giustizia 181 Totale persone protette 4.806

COLLABORATORI DI GIUSTIZIA PER ORGANIZZAZIONE CRIMINALE DI PROVENIENZA [ANNO 2003] Tipologia N° persone Cosa Nostra 401 Camorra 253 ‘Ndrangheta 155 Sacra Corona Unita 100 Altre organizzazioni criminali 210

CONSIGLI COMUNALI SCIOLTI PER TIPOLOGIA DI INFILTRAZIONI E CONDIZIONAMENTI MAFIOSI [LUGLIO 1997 – GIUGNO 2005] Organizz. criminale N° scioglimenti Cosa Nostra 15 ‘Ndrangheta 16 Camorra 18 Sacra Corona Unita 0 Totale omicidi 49

PERSONE DECEDUTE PER MAFIA E PER DROGA [LUGLIO 1997 – GIUGNO 2001] Morti per mafia Morti per droga Totale

5.047 6.180 11.227

BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI [LUGLIO 1997 – GIUGNO 2005] Beni sequestrati 14.313 Beni confiscati 8.180

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BENI SEQUESTRATI IN CALABRIA. DESTINATI E DA DESTINARE Destinati Da destinare Beni immobili 617 476 Aziende 15 21 BENI SEQUESTRATI IN SICILIA. DESTINATI E DA DESTINARE Destinati Da destinare Beni immobili 1.081 1.872 Aziende 43 235

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Frontiere

La Luna è il prossimo paradiso di Paolo Fusi

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LEGA AMBIENTE GIRASOLI

N TIZIO DI UNA SOCIETÀ DI REVISIONI MI PARLA IN UN CAFFÈ SOTTOVOCE, come se si vergognasse: «Sai, dopo qualche

tentennamento l’ho fatto. Mi è costato 35 Euro, ma secondo me si tratta di uno degli investimenti più incredibili del secolo». Effettivamente, penso io, e cerco di non fargli capire che lo credo uno svitato. Poi, perché la curiosità s’insinua nelle pieghe del cervello, sono andato a controllare. E mi sono dovuto ricredere. Ragazzi, è proprio vero: il gruppo Global Space Community Inc. di Fort Myers (Florida) vende legalmente appezzamenti di terreno di mille metri quadri ciascuno sulla luna a 35 euro l’uno. Lo fa dal 1980, ma da pochi anni, da quando gli americani hanno fondato la consociata per l’Europa SpaceCom Europe Ltd, ora lo si sa anche da noi. Finora hanno venduto 450.000 appezzamenti. In un Trattato del 1967, firmato da tutti i Paesi delle Nazioni Unite, chiamato “Outer Space Treaty”, viene fatto divieto a qualsivoglia nazione di esercitare il diritto territoriale sulla Luna. La Luna, secondo il Trattato, non può appartenere a nessuno. Quello che nel 1967 nessuno aveva pensato, e che dei privati potessero avanzare pretese sul pianeta. Orbene, Abraham Lincoln fece approvare una legge, che è ancora in vigore, che dice che se occupi un territorio che non è di nessuno, e nessuno si oppone, puoi registrarlo come proprio. Un certo Dennis Hope, nel 1980 ha fatto proprio questo. Si è presentato al Catasto di San Francisco ed ha chiesto la registrazione di circa un decimo del territorio lunare. La burocrazia americana ha fatto i passi necessari: ha provato la legittimità della richiesta ed ha visto che la Luna è disabitata. Ha inoltrato il fascicolo ai 185 Paesi membri delle Nazioni Il nostro satellite Unite. Nessuno ha sollevato la benché minima obiezione – fatto salvo il fatto che si avvia a diventare qualunque spedizione interplanetaria ha il diritto di atterrare dove gli pare. Hope ha la nuova mecca messo su la sua società ed ha cominciato a vendere, campandoci su niente male. Nel per l’offshore, al riparo dalle rogatorie 1984 viene presentato un nuovo Trattato all’Assemblea delle Nazioni Unite, chiamato “Mond Treaty”, che vieta lo sfruttamento della Luna per scopi finanziari, industriali e/o commerciali da parte di privati. Questo Trattato l’hanno firmato sei Paesi su 185. Gli altri, qualora fosse necessario, preferiscono ricomprare da Dennis Hope o dai suoi discendenti. Ma cosa gliene frega adesso ad una grossa società di revisione di tutto ciò? Orbene: l’azione del GAFI ha indebolito le difese dei Paradisi Fiscali, e ancora di più la reazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre ha colpito duro. Sicché da un po’ di tempo a questa parte non si usano più società panamensi o lussemburghesi per nascondere e/o riciclare, ma si cercano posti come le Isole Marshall e la Liberia, che non hanno nemmeno un Registro di Commercio vero e proprio sul loro territorio, ma hanno privatizzato il tutto nelle mani di società operanti nel mondo occidentale. Una di queste società, insieme a due grossi gruppi fiduciari inernazionali e ad una grossa banca americana, stanno valutando di aprire un nuovo Paradiso Fiscale sulla Luna. La Luna è al di fuori della territorialità delle Nazioni della Terra, ma non c’è nessuna legge che proibisca il costituirsi in Nazione degli abitanti della Luna, qualora vi fossero. Fino alla loro scoperta, la Luna ha tutte le caratteristiche del territorio offshore. In più laggiù non c’è un’autorità a cui inviare una richiesta di rogatoria o un Tribunale per dirimere le dispute in sede civile. Il mio ben informato amico ha detto che ci sono solo due difficoltà ancora da superare. La prima è che la criminalità organizzata (il cosidetto mercato libero dell’offshore) mostra preoccupazione e perplessità. La seconda è che alcuni operatori, mossi da sentimenti di solidarietà, temono che la Luna sarebbe un concorrente letale per una serie di piccoli Paesi che già oggi lottano disperatamente contro la tendenza di assassini, signori della droga, trafficanti d’armi e di schiavi, ad abbandonare le loro giurisdizioni.

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Non è solo buona la ricetta di Yunus >30 La sfida europea, una crescita diversa >32 Le suore azioniste pronte per nuove battaglie >33

finanzaetica STOP DEGLI USA AL GIOCO D’AZZARDO ON LINE. CROLLANO I TITOLI IN BORSA

INVESTITORI IMPEGNATI SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI

A BOLOGNA UN MASTER EQUO E SOLIDALE

BANCA ETICA DÀ CREDITO AI LAVORATORI LICENZIATI

CROLLA L’HEDGE FOUND AMARANTH, SCOMMESSE SBAGLIATE SUI FUTURES DEL GAS

PROTESTA CONTRO LA UNICREDIT E IL NUCLEARE

Il Congresso americano ha approvato una legge che dichiara illegali i pagamenti di banche e società di carte di credito ai siti di scommesse sul web. Si chiama “Unlawful Internet Gambling Enforcement Act” e impedisce alle società che gestiscono carte di credito di accettare pagamenti destinati al gioco on-line. Questa legislazione tradotta in cifre significa la perdita di un mercato che vale più di 6 miliardi di dollari l’anno. Il provvedimento ha fatto crollare il valore dei titoli del settore in borsa, al punto che per alcuni si è dimezzato. La maggiore azienda di poker on line è londinese, si chiama PartyGaming e il titolo, alla diffusione della notizia, ha perso quasi il 54 per cento del suo valore. La società controllava la metà del mercato statunitense: infatti la PartyGaming, che genera oltre il 70 per cento dei suoi ricavi negli Stati Uniti, non ha potuto far altro che sospendere immediatamente tutte le operazioni aziendali negli Usa, fatta eccezione per il gioco gratuito. Gli affari per le compagnie di gioco andavano bene: i giocatori on line erano aumentati del 38 per cento, arrivando a 8,4 milioni nel giro di soli due mesi. Sono cambiate così le strategie di alcune società come Sportingbet, sponsor in Italia di due squadre di calcio, che ha ceduto la maggioranza delle sue azioni, mentre fino a qualche mese fa prevedeva di acquistare World Gaming, con la quale erano da tempo in corso trattative. Tutte, per una volta, hanno perso, dall’Empire Online, il maggior casinò virtuale, fino alla Bwin Interactive Entertainment, società leader in Austria. Come risposta al giro di vite alcune società, tra cui PartyGaming che gestisce il famoso sito di poker online PartyPoker.com, e le rivali Sportingbet e 888, hanno annunciato il probabile ritiro dagli Stati Uniti, puntando sulla crescita delle attività in altre parti del mondo.

Ethos e altri 14 investitori istituzionali che rappresentano un capitale di duemila miliardi di franchi svizzeri hanno firmato la Dichiarazione degli investitori sui cambiamenti climatici. Si tratta di un’iniziativa dell’IIGCC . La dichiarazione riconosce il valore dei risultati delle ricerche scientifiche sui cambiamenti del clima, così come le importanti implicazioni che questo fenomeno ha sulle imprese e i loro azionisti. I firmatari si impegnano dunque a includere rischi e opportunità legate ai cambiamenti climatici nelle loro analisi finanziarie a dialogare con le società per incoraggiarle a prendere delle misure. In futuro, Essi chiederanno ai governi di sviluppare delle risposte adeguate ai cambiamenti climatici, per creare un quadro chiaro e utile agli investitori e alle imprese. I firmatari della dichiarazione sono: Bnp Paribas Asset Management, Central Finance Board of the Methodist Church, Co-operative Insurance Society, Ethos Foundation, F&C Asset Management, Greater Manchester Pension Fund, Hermes, Insight Investment, London Pensions Fund Authority, London Borough of Hounslow Pension Fund, Morley Fund Management, Prudential Property Investment Managers, Universities Superannuation Scheme, West Midlands Metropolitan Authority Pension Fund, West Yorkshire Pension Fund.

Sono aperte fino al 30 novembre 2006 le iscrizioni alla seconda edizione del master universitario “Commercio Equo e Solidale. Certificazione etica e biologica nei sistemi agro-alimentari”. Il master è promosso dall’università di Bologna in collaborazione con Fairtrade TransFair, AIAB Emilia Romagna, ICEA, Banca Etica-Etimos, Commercio Alternativo e numerose altre associazioni. Il suo scopo è fornire strumenti analitici ed operativi per il commercio equo e solidale, la finanza etica, la certificazione etica e sociale, le produzioni biologiche e la relativa certificazione. Il master formerà persone che conoscono ed applicano i principi dell’economia civile nell’ambito rurale e nel comparto agro-alimentare, raccordando la dimensione eticosociale delle imprese ad un’efficiente gestione economica e finanziaria. Particolare attenzione è rivolta ai rapporti con i Paesi in via di sviluppo e in transizione. Il raccordo con gli organismi di certificazione delle produzioni, ong, associazioni, enti pubblici, imprese della distribuzione alimentare equosolidale e biologica costituisce un aspetto qualificante del master. Le lezioni si terranno il lunedì e il martedì nella sede di Reggio Emilia. Il bando per l’iscrizione è on line sul sito dell’Università di Bologna. Informazioni www.unibo.it.

In genere le banche danno i soldi a chi ce li ha già o a chi ha un lavoro sicuro, meglio se con un contratto a tempo indeterminato. Banca Etica ha invece scelto di concedere credito ai lavoratori licenziati di una fabbrica della Basilicata. L’iniziativa, che è nata in accordo con la Provincia di Matera e la Fondazione antiusura “Interesse uomo”, ha dato il via ad un progetto di microcredito di solidarietà per i 56 lavoratori della Filatura di Vitalba, licenziati dall’azienda. Quello di Vitalba era uno stabilimento tessile moderno e all’avanguardia, di proprietà del Gruppo Miroglio (leader italiano del settore), che da oltre tre mesi aveva annunciato la chiusura con la conseguente messa in mobilità dei lavoratori, per motivazioni non legate alla produttività ma dovute a scelte aziendali. La banca ha ricevuto e accolto dodici richieste di credito per lavoratori senza stipendio da tre mesi e impegnati in una strenua azione di protesta davanti ai cancelli dello stabilimento. Grazie al fondo di garanzia di 500 mila euro, messo a disposizione dalla Provincia, infatti, è possibile dare il prestito senza richiedere ulteriori garanzie. Banca Etica eroga microcrediti per un importo massimo di 5.000 euro, in questo modo i lavoratori potranno vivere in attesa dell’attivazione degli ammortizzatori sociali.

I responsabili dell’hedge fund Amaranth hanno riferito agli investitori che il 65% dei capitali del fondo, 6 miliardi di dollari su 9, sono andati persi in meno di tre settimane come conseguenza di scommesse sbagliate sui futures del gas. Per rassicurare i clienti è stato detto che tutti i derivati sul gas del fondo sono stati rilevati da “terzi”, per evitare la sospensione delle linee di credito e il rischio di liquidazione da parte dei creditori. I “terzi” sono la J.P. Morgan, uno dei principali brokers di Amaranth, e l’hedge fund Citadel Investment Group. Un caso scuola è quello della Long Term Capital Management che finita nell’insolvenza nel 1998, costò alle grandi banche un pacchetto di salvataggio di 3,75 miliardi di dollari. Sul caso della Amaranth si è espresso il ministro delle Finanze tedesco, il quale solleverà il problema della regolamentazione degli hedge funds in seno al G7, di cui assumerà l’anno prossimo la presidenza. Secondo Steinbrueck anche il segretario al Tesoro Usa Henry Paulson sarebbe favorevole ad una maggiore “trasparenza” del settore e l’ente di vigilanza finanziaria Sec si ripropone di investigare i rapporti tra gli hedge funds e le grandi banche. Contemporaneamente, il presidente dell’ente di sorveglianza finanziaria in Germania, che aveva definito gli hedge funds “buchi neri”, chiedendone una seria e rigida regolamentazione mondiale, sarebbe stato sottoposto a molte pressioni. La speculazione dell’hedge fund Amaranth ha coinvolto anche fondi comuni italiani, un fatto che, secondo l’associazione di consumatori Adusbef, dimostra come sia mal gestito il risparmio italiano, controllato dalle principali banche, con commissioni di gestione tra le più care al mondo, pari a 5 miliardi di euro solo nel 2004. In proposito, l’Adusbef cita l’ultimo rapporto di Mediobanca che mette in luce le scarse performance ottenute dai fondi azionari, tutte al di sotto del benchmark di riferimento. lnsomma, con pessimi rendimenti mangiati dalle costose commissioni, i fondi italiani mettono a repentaglio i risparmi, come appunto nel caso dell’ultimo scandalo dell’hedge fund Amaranth.

Numerose proteste sono state sollevate in tutta Europa per convincere il gruppo Unicredit a non erogare fondi per la realizzazione del rischiosissimo progetto di centrale nucleare a Belene, nel nord della Bulgaria. L’opera, i cui costi si aggirano tra i 2 e i 3,5 miliardi di euro, non è considerata sicura perché sorgerebbe nei pressi di una zona altamente sismica, dove nel 1977 a causa di un terremoto morirono oltre 200 persone. Un particolare che non ha scoraggiato Unicredit che continua a manifestare un forte interesse per il progetto, offrendosi di finanziare, direttamente o tramite le altre banche del gruppo, come la Hvb, le imprese costruttrici Skoda e Atomstroyexport Consortium. Una posizione contraddittoria e paradossale, visto che nei suoi siti web la banca parla di comportamento responsabile, attenzione all’ambiente e benessere delle persone. Inoltre, il modello di uno dei due reattori previsti non riceverebbe la licenza di esercizio nei Paesi dell’Unione Europea, mentre l’altro modello non è mai stato sperimentato in Europa. La Bulgaria ha precedenti preoccupanti in materia di sicurezza nucleare: il primo marzo 2006, in seguito ad un problema di pompaggio, è risultato che 22 delle 60 aste di regolazione del reattore 6, nell’impianto di Kozloduy, non funzionavano.

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Non è solo buona la ricetta di Yunus

Muhammad Yunus, soprannominato il “banchiere dei poveri”, è nato il 28 giugno 1940 a Chittagong (Bangladesh). Laureato in Economia, nel 1977 ha fondato la “Grameen Bank”, una banca che pratica il microcredito. La sua idea ha rivoluzionato l’economia, cambiando la vita a milioni di persone. Nel 2006 ha ricevuto il Nobel per la pace.

Roma, 2000

Il premio Nobel assegnato al fondatore della Grameen Bank è riduttivo perché il microcredito ha affermato la validità dell’economia di relazione. Non è assistenza e tantomeno pura bontà. È uno strumento per dare risposte concrete a chi non ha accesso al credito e adattabile in diversi contesti. Più che la pace, per Muhammad Yunus potè l’economia.

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tica possibile a questo premio Nobel riguarda la categoria scelta. Infatti Yunus partendo da un’impostazione culturale ed accademica di una economia di mercato ha di fatto dimostrato che in economia le relazioni e la partecipazione hanno un valore fondamentale. Là dove l’economia classica fallisce si possono avere risultati eccezionali se si rimette al centro i legami sociali, la partecipazione dei singoli, la ricerca di senso dell’agire economico al di là (ma non a prescindere) delle performance finanziarie. Non è una cosa da poco ed infatti si fa finta di non vederla: si riduce il microcredito ad una forma intelligente di assistenza (e proprio per questo spesso fallisce), si cerca di rispondere maldestramente alla richiesta sempre più pressante da parte dei cittadini del nord del mondo di avere un sistema economico che dia risposte responsabili ed alternative alle grandi crisi ambientali e sociali del nostro tempo. Si cerca di confinare la partecipazione in economia esclusivamente al rendimento finanziario, slegandola dagli effetti sulla vita reale del pianeta. C’è un mondo che si muove con Yunus e non da oggi, ci sono persone e enti che sperimentano tante strade di sostenibilità, non solo quella del microcredito, ma mille altre forme che hanno in comune l’agire economico a partire dal riconoscimento fondamentale dell’importanza della partecipazione e delle relazioni sociali ed ambientali. Un mondo che inventa modi nuovi di fare finanza, commercio, uso delle risorse, che propone nuovi di stili di vita, nuove regole per il mercato in modo da favorire equità, diritti, sostenibilità. Il credito è un diritto umano e l’economia e la finanza, se non si isolano dal contesto sociale ed ambientale, possono aiutare a dare un futuro alla terra. Forse un Nobel per l’economia, avrebbe fatto scendere il microcredito dal piedistallo della bontà per farci interrogare tutti di più sulle basi dell’attuale sistema economico.

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LIBRI

Muhammad Yunus Il banchiere dei poveri Feltrinelli Universale

SITI www.rcvr.org/mag (Mag Verona) www.magvenezia.it (Mag Venezia) www.mag4.it (Mag4 Piemonte) www.mag6.it www.etimos.it www.cosis.it www.inaise.org www.fondoetico. blogspot.com (Fondo Etico e Sociale Piagge) www.fondoessere.org (Fondo Essere Isolotto)

ALBERTO CRISTOFARI / A3 / CONTRASTO

NOBEL PER LA PACE AL PROFESSOR MUHAMMAD YUNUS è indubbiamente un forte riconoscimento a tutti coloro che nel mondo lavorano e si impegnano per un sistema economico più giusto. È un riconoscimento di Ugo Biggeri che arriva dopo che l’anno internazionale del microcredito è passato nel 2005 senza lasciare grandi segni se non un po’ di attenzione, molto orientata al marketing, da parte di alcuni istituzioni finanziarie ed enti locali. Ma è anche un riconoscimento che avviene quando per fortuna il microcredito è, comunque, divenuto uno degli strumenti con cui si interviene per dare risposte concreti ai bisogni delle persone considerate non bancabili: uno strumento che si è innovato negli anni e ha mostrato di poter essere utilizzato con modalità diverse a seconda dei contesti economici, sociali ed ambientali in cui viene messo in atto. Oggi nel mondo non c’è soltanto la banca di Yunus, ma centinaia di realtà delle più svariate dimensioni che realizzano progetti di microcredito: dai singoli prestiti individuali a persone fortemente legate dal contesto sociale (il modello della Grameen Bank) a forme che coinvolgano attivamente istituzioni intermedie come le MFI (micro financial institution) o le realtà dell’associazionismo organizzato. Progetti che si realizzano nel Sud del Mondo come nelle periferie dei paesi ricchi, usando modalità semplici o organizzativamente evolute come ha fatto il consorzio Etimos in Sri Lanka (cooperative, forme consortili, sistemi di garanzia mutualistici). Tra i tanti meriti di Yunus vi è sicuramente quello di essere stato capace “sul campo” di risalire al significato originario del credito: dare e ricevere fiducia. L’intuizione che il “Credito è un diritto umano” e i milioni di poveri del Bangladesh sostenuti dalla Grameen sono motivazioni sufficienti per un premio Nobel per la pace, ma una criL PREMIO

ALTRE INFO www.metamorfosi.info

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banche stanno giocando “Molte la carta dell’etica come strumento di marketing per attrarre fasce

La sfida europea una crescita diversa

di pubblico che si allontanano dal mondo del credito

La proposta di Fabio Salviato alla vigilia dell’assemblea della Febea: un progetto di finanza etica europeo.

«S di Elsa Vinci

IAMO PARTITI NEL 2001 con l’obiettivo di costruire degli strumenti comuni a sostegno della finanza etica a livello europeo e oggi siamo alle soglie di quello che possiamo considerare un salto di qualità di natura strategica»: il presidente di Banca Etica, Fabio Salviato, è fiducioso, «direi che ci sono le condizioni per trasformare Febea in un soggetto propositivo per lo sviluppo di un progetto di finanza etica di dimensione europea, che possa sostenere la nascita delle nuove entità in Spagna e Francia e nello stesso tempo rendere concrete una serie di iniziative con una forte valenza comune. Molti stakeholder, le reti sociali, le Ong, le cooperative possono e devono essere protagoniste di questo cambiamento »

Una carta di credito delle banche etiche? «Quello è un progetto. Mettere a disposizione dei soci di Febea uno strumento di pagamento con una forte impronta eco solidale ma stiamo discutendo anche di un

fondo per lo sviluppo di attività economiche sia nel campo sociale sia nell’economia sostenibile» Spagna e Francia sono i due nuovi territori di conquista per le Banche etiche. Con quali prospettive? «I due progetti, Fiare e Nef, stanno mostrando una forza propositiva eccezionale: hanno scelto come punto di riferimento l’esperienza di Banca Popolare Etica e stimolano un modello di internazionalizzazione che poggi su un forte radicamento territoriale e una larga base sociale. La nostra proposta è quella di darsi un anno di tempo per verificare assieme le potenzialità di questa impostazione, che vede un coinvolgimento forte del mondo associativo, che si presenta a tutti gli effetti come alternativo a quello dei grandi gruppi bancari transnazionali» L’assemblea di Febea cade in un momento particolare, soprattutto in Italia, caratterizzato da

un processo di crescita dimensionale. Quasi ogni giorno ci sono nuove aggregazioni che sembrano, però, tutte ispirate da pure logiche di natura finanziaria. Le banche etiche con quale logica stanno pensando ad assumere una prospettiva europea? «Completamente diversa. Febea può mettere a fattore comune una serie di strumenti che possono offrire ai partner le condizioni di sviluppare più rapidamente i processi di sviluppo della finanza etica a livello locale: per esempio potremmo fare in modo che Febea diventi una sorta di merchant bank al servizio dell’economia etica e solidale offrendo risposte che le singole realtà fanno più fatica a

soddisfare. L’obiettivo è quello di utilizzare alcuni strumenti per rendere più incisiva la nostra presenza territoriale e per differenziarci in modo sempre più netto e qualificato. Non possiamo nasconderci il fatto che stanno nascendo nuovi istituti di credito che si chiamano etici, come la Banca Etica Adriatica, e che molte banche stanno giocando la carta dell’etica come strumento di marketing per attrarre fasce di pubblico che tendono ad allontanarsi dal mondo del credito. Per realtà come la nostra è arrivato il momento di affermare una specificità che è anche un importante successo dal punto di vista del modello di banca etica. Altri, come la Triodos, puntano all’espansione territoriale, con l’apertura di sportelli in Belgio e Germania: noi speriamo, invece, che Febea possa contribuire a diffondere un modello che si basa sulla forte integrazione territoriale. Una banca che non offre solo strumenti finanziari orientati, ma che intende proporsi come un partner per lo sviluppo di nuove iniziative economiche».

Fabio Salviato è il presidente di Banca Etica. Socio fondatore della cooperativa Mag 3 di Padova (1986), socio fondatore di Ctm, presidente di Etica Sgr, presidente di Sefea, consigliere di Febea (federazione europea della finanza etica /alternativa), membro di Inaise, vice presidente della Fondazione Villa Giovannelli.

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NewYork: le suore azioniste pronte per nuove battaglie Superpaghe dei manager, incidenti sul lavoro, cambiamenti climatici. Che responsabilità hanno le imprese? Se lo sono chiesti gli investitori religiosi americani all’incontro annuale di ICCR, a New York. di Mauro Meggiolaro

UOR RUTH SMONTA UN COMPUTER e distribuisce i pezzi in sala. Ognuno

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Non si fermano di fronte a niente. Si preparano e fanno le pulci nelle assemblee degli azionisti delle grandi multinazionali e chiedono conto agli amministratori. Una loro mozione, contro la Coca Cola, è passata con il 99 per cento dei voti | 32 | valori |

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è prodotto in un luogo diverso, da un’impresa diversa, molto spesso utilizzando sostanze tossiche puntualmente respirate dai lavoratori. Suor Barbara proietta l’organigramma di Wal Mart, il colosso della grande distribuzione USA, e spiega con chi è utile parlare e con chi, invece, è meglio non perdere tempo. Siamo a New York, all’incontro annuale di ICCR (Centro Interreligioso sulla Responsabilità Sociale – www.iccr.org), una coalizione di 275 investitori istituzionali religiosi. Ordini cattolici, protestanti, ebrei da tutti gli Stati Uniti che investono i loro patrimoni in azioni e partecipano alle assemblee delle imprese per presentare mozioni e fare domande agli amministratori. «Come si giustificano le paghe astronomiche dei manager? Perché non avete ridotto le emissioni di inquinanti? Perché continuate a produrre uranio impoverito? Sono solo alcune delle domande che rivolgiamo alle imprese», spiega Suor Barbara Aires, delle Sorelle della Carità di Santa Elisabetta. «Se poi non si dimostrano disponibili al dialogo, prepariamo una mozione e la facciamo votare in assemblea». Sister Barbara frequenta le assemblee e parla con i CEO (direttori generali) delle maggiori multinazionali americane da più di vent’anni. Non ha paura di nessuno. Nemmeno del direttore di Wal Mart. Che per far fronte alle sue lettere e alle continue telefonate ha pensato bene di assumere un’ex suora come “responsabile dei rapporti con gli azionisti attivi”.

Il meeting di ICCR è denso di appuntamenti. In quattro giorni (dal 19 al 22 settembre) si parla di impatti sociali e ambientali dell’industria estrattiva, budget militari, certificazione biologica, accesso ai farmaci retrovirali per bloccare l’HIV/AIDS, catene di approvvigionamento del settore elettronico. Per ogni tema si individuano le imprese maggiormente coinvolte, si formano gruppi di lavoro, si ascoltano istituti di ricerca, ONG, accademici, analisti. Alla fine si avanzano proposte di intervento in assemblea e si abbozzano i testi delle mozioni da sottoporre all’esame della SEC (l’autorità di vigilanza della borsa americana). «Ogni intervento si basa su studi approfonditi e viene preparato con settimane di anticipo», spiega Suor Ruth Kuhn delle Sorelle della Carità di Cincinnati. «L’obiettivo finale è il dialogo con le imprese su proposte concrete».

Falso biologico e miniere etiche Al gruppo di lavoro sulla certificazione del biologico interviene Mark Kastel, fondatore del Cornucopia Institute (cornucopia.org) che effettua ricerche indipendenti sulla qualità dei prodotti bio. «Abbiamo il sospetto che molte linee biologiche create dai grandi marchi americani del settore alimentare non rispettino gli standard minimi», spiega Kastel. «C’è la tendenza a comprare frutta, verdura ed altri ingredienti dalla Cina o comunque da Paesi a bas-

so costo di manodopera per ottenere margini di guadagno più alti. Chi ci si assicura che in quei Paesi siano rispettate le nostre regole? E anche se lo fossero, è sostenibile vendere il miele biologico cinese in America? Chi paga per le emissioni di inquinanti prodotte durante il trasporto?». Dopo l’intervento c’è chi propone di inserire le domande di Kastel in una lettera da inviare a Dean Foods, General Mills e ad altre imprese del settore alimentare. In uno dei sottogruppi si cerca invece di mettere insieme la prima bozza per una mozione da presentare in assemblea. L’analisi dell’industria estrattiva lascia invece meno spazio alle proposte di intervento e più tempo per gli approfondimenti. E’ un tema nuovo, prima di muoversi bisogna avere le idee chiare. Prende la parola Jon Sohn del World Resources Institute (WRI, www.wri.org), un centro di ricerca specializzato nello studio dei legami tra la condotta socio-ambientale delle imprese e la loro performance economica. «Le imprese che estraggono oro, petrolio, diamanti devono avere il consenso libero e informato delle comunità locali prima di iniziare gli scavi. Non basta una semplice consultazione», inizia Sohn. «Non è solo una questione etica, ma anche economica: chi ha il consenso preventivo delle comunità non subisce sabotaggi, è meno soggetto a ritardi o a danni reputazionali. In sostanza ha meno costi». Lo dimostrano i dati che Shell ha messo a disposizione del WRI. Sono relativi al Ma|

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| finanzaetica | ICCR: PRINCIPALI INTERVENTI PROGRAMMATI PER IL 2007 [ LISTA AGGIORNATA AL 12 OTTOBRE 2006] IMPRESA

TEMA

TIPO DI AZIONE

COORDINATORE

Apple Computer AXA Group Boeing Chevron Texaco Chiquita Cisco Systems Citigroup Dean Foods Disney Exxon Mobil General Electric General Motors Lockheed Martin McDonald's Motorola Petro-Canada Toyota Wal-Mart Wells Fargo & Co.

Diritti dei lavoratori Finanziamento produzione mine antiuomo Standard globali sui diritti umani Riduzione delle emissioni Standard globali sui diritti umani Paghe dei manager Uso degli strumenti derivati Standard cibi biologici Videogiochi violenti Riduzione delle emissioni Codice di condotta dei fornitori Riduzione delle emissioni Armi nucleari e uranio impoverito Organismi geneticamente moodificati Diritti dei lavoratori Energie Rinnovabili Report sulle emissioni di gas serra Bilancio sociale Crediti con tassi usurari

Dialogo Mozione Mozione Mozione Dialogo Mozione Dialogo Mozione Dialogo Mozione Dialogo Mozione Mozione Mozione Dialogo Dialogo Dialogo Dialogo Dialogo

Domini Social Investments Boston Common Asset Management Province of St. Joseph of the Capuchin Order Sisters of St. Dominic of Caldwell Sisters of Charity of Cincinnati Christian Brothers Investment Services Missionary Oblates of Mary Immaculate Boston Common Asset Management Catholic Foundation/Aquinas Funds Sisters of St. Dominic of Caldwell Missionary Oblates of Mary Immaculate Sisters of St. Dominic of Caldwell Sisters of Mercy Reg. Community of Detroit Charitable Trust Camilla Madden Charitable Trust Chiesa Episcopale Ethical Funds Company Boston Common Asset Management Fondo Pensione della Chiesa Metodista Chiesa Episcopale

ICCR: I PIONIERI DELLA FINANZA RESPONSABILE INTERFAITH CENTER ON CORPORATE RESPONSIBILITY (Centro Interreligioso per la Responsabilità d’Impresa). È una coalizione internazionale di 275 investitori istituzionali religiosi che comprende congregazioni, fondi pensione, fondazioni e diocesi. Messi insieme gestiscono un patrimonio di circa 100 miliardi di dollari. Da più di 30 anni ICCR, che ha sede a New York, utilizza gli investimenti degli enti religiosi per influenzare le strategie di gestione delle imprese e promuovere la giustizia sociale nelle assemblee degli azionisti. La prima mozione risale al 1971 ed è considerata anche la prima vera iniziativa di azionariato attivo nel mondo. A finire nel mirino fu General Motors. La Chiesa Episcopale americana, per conto di ICCR, votò per chiedere il ritiro di GM dal Sudafrica, dove vigeva la segregazione razziale. Negli anni successivi oltre 200 imprese americane furono messe sotto pressione dagli azionisti per lo stesso motivo. Le risoluzioni, che non raggiunsero mai più del 20% dei voti, riuscirono a influenzare l’opinione di un numero sempre maggiore di persone. Negli anni che precedono la fine dell’apartheid (1994) gli investimenti diretti degli Stati Uniti in Sudafrica crollarono del 50%. «Senza l’azionariato responsabile la lotta contro l’apartheid sarebbe stata molto meno efficace» - spiega Timothy Smith, per ventiquattro anni direttore di ICCR. “Al posto di vendere le azioni delle imprese che si comportano in modo irresponsabile preferiamo fare pressione per stimolare il cambiamento”. Nel 2006 ICCR ha fatto votare mozioni nelle assemblee di oltre 150 società M.M. americane. Per maggiori informazioni: www.iccr.org

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lampaya Deep Water Gas to Power Project, nelle Filippine, dove il dialogo con la popolazione locale è stato sin dall’inizio molto aperto. “La Shell questa volta è un esempio da seguire”, continua Sohn. «Speriamo che ora lo capiscano anche Meridian Gold o Newmont. Nelle miniere d’oro in Argentina e in Perù sono andati dritti per la loro strada, senza voler sentire ragioni. E ne stanno subendo le conseguenze».

Quando le imprese cedono Studi approfonditi, interventi mirati, dialogo continuo. Alla fine molte imprese sono costrette a cedere. Anche perché si stanno alleando con le suore e i reverendi di ICCR un numero sempre maggiore di compagnie di investimento, che portano voti in assemblea, sostengono mozioni, partecipano al dibattito. Boston Common, Frontier Capital Management, Trillium, Walden, il fondo pensione Calvert, Domini Social Investments, F&C e, in Italia, Etica Sgr (Gruppo Banca Etica) si sono associate alla coalizione statunitense per fare pressione sulle società nelle quali investono. Ed è così che GAP, multinazionale dell’abbigliamento, ha accettato di rendere noti sul sito internet i risultati del monitoraggio della sua catena di produzione, Bristol-Myers Squibb (farma) ha pubblicato informazioni dettagliate sui contributi che versa ai gruppi politici, mentre Coca Cola ha preparato un report sulle conseguenze economiche dell’HIV/AIDS nei Paesi in via di sviluppo in cui è presente. La mozione di ICCR all’assemblea di Coca Cola è passata con il 99% dei voti.

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PENTAPOLIS


a cura di Elisabetta Tramonto, Paolo Andruccioli e Luisella Berti

osservatorio

nuove povertà Due anziane donne senza tetto dormono alla stazione Termini.

Roma, 1997

DIARIO

La fabbrica di ceramiche Ideal Standard.

ANGELO TURETTA / CONTRASTO

roma

Brescia, 2002

Centro contro periferia. Boom edilizio e mobilità soffocata dall’emergenza traffico. Cresce il pil e cresce il settore pubblico. C’è il festival del cinema e Cinecittà. Aumenta il turismo e cresce la città del sapere. La Capitale ha un grande passato, tante possibilità, ma non guarda al futuro |

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nuove povertà

di Elisabetta Tramonto

n mercante di fumo. «Roma è molto brava a vendersi. Ma in realtà le sue scelte

U

economiche non corrispondono a un reale valore della città». Una sentenza di

condanna contro la capitale. A emetterla Maria Prezioso, professore ordinario di geografia economica e politica all’università romana di Tor Vergata e responsabile di ricerche sulla competitività urbana per la Commissione europea. Eppure dalle statistiche l’economia romana appare in gran forma. Negli ultimi 5 anni (2001-2005) il Pil (prodotto interno lordo) pro-capite in termini reali è cresciuto del 6,8%, mentre in Italia si è ridotto dell’1,4%. Sempre negli ultimi cinque anni il numero di imprese sul territorio capitolino è aumentato del 9,2%, contro il +4,5% a livello nazionale. L’occupazione nella capitale è aumentata del 13,7%, in Italia in media è cresciuta del 4,6%. Il livello di disoccupazione a Roma è sceso

Dietro i numeri di un’economia in salute, una sostanza ben diversa. Anzi, nessuna sostanza. L’economia romana è sorretta dall’edilizia, guidata da giochi politici | 38 | valori |

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dall’11,1% nel 2001 all’6,5% nel 2005, meno della media italiana (7,7%). «Tanti bei numeri. Ma proviamo a guardare la realtà che sta dietro – spiega la professoressa Prezioso - Si scoprirebbe per esempio che ad alimentare il famigerato “Pil” ci sono una serie di imprese che a Roma hanno solo la sede di rappresentanza, ma non contribuiscono in nessun modo all’economia della città. Si pensi ad Alenia o a Finmeccanica. E, analizzando ogni singolo settore, si scoprirebbe che la crescita è concentrata nei servizi, mentre l’industria è ormai morta». I numeri in effetti sono chiari: con 1.294.000 occupati (83,5% del totale), i servizi rappresentano il maggior bacino d’impiego del mercato romano, con un tasso di occupazione del 40% (29,5% la media nazionale). Il settore industriale ha invece un tasso di occupazione al 4,9% mentre quello italiano appare superiore al 10%. Nella città sede dell’apparato politico italiano, del Comune più grande d’Italia, delle organizzazioni internazionali è normale che il settore pubblico occupi una fetta rilevante di lavoratori. «Ma non è altrettanto normale che sia praticamente l’unico settore in crescita, insieme a commercio e costruzioni – continua la professoressa Prezioso – Quella generata dal settore pubblico è una crescita che crea poco valore aggiunto. Per il resto

A ROMA È DI NUOVO BOOM EDILIZIO. Dopo il grande balzo del Giubileo del 2000 la capitale dei “palazzinari” (anche se oggi il termine suona quasi offensivo) non si è più fermata e anche nel nuovo Piano Regolatore approvato in primavera ci sono svariati metri cubi di cemento che stanno per essere edificati. Ma Roma non è più la città del grande abuso stile anni Cinquanta e Sessanta, anche se purtroppo il cantiere al nero non è stato superato definitivamente. La differenza tra la Roma del primo boom economico (quello appunto degli anni sessanta) e la Roma di oggi sta proprio nel nuovo rapporto – o il nuovo compromesso – tra la politica (cioè l’amministrazione comunale) e i poteri economici e in particolare il potere delle famiglie dei costruttori, che tra l’altro hanno smesso la loro tradizionale veste di palazzinari per vestire gli abiti del nuovo imprenditore che sa diversificare i suoi interessi. Non è un caso che tra le famiglie di costruttori storici di Roma ci siano per esempio due editori: i Caltagirone (il Messaggero, il Mattino e altre pubblicazioni) e i Bonifaci, editori di un altro quotidiano storico della capitale, Il Tempo. Il primo punto di differenza tra la vecchia Roma delle mani sulla città e delle grandi inchieste dell’Espresso e di Aldo Natoli (allora dirigente della federazione romana del Pci) sulla proprietà immobiliare e sui costruttori, sta proprio nella rivalutazione della politica, intesa sempre più come buona amministrazione. La giunta Rutelli e ora quella di Walter Veltroni, appena riconfermato da una città dove pure la destra di Alleanza Nazionale avanza, si caratterizzano per tre motivi: hanno messo un freno alla pioggia di cemento, hanno tagliato con la corruzione e infine perché hanno saputo sviluppare un patto col diavolo, ovvero con il potere economico che fino a qualche anno fa faceva il bello e il cattivo tempo. Vediamo dunque in che consiste questo patto. Il primo elemento: nel nuovo Piano Regolatore viene dimezzata la cubatura edificabile. Nel vecchio Piano del 1962 si prevedevano per Roma 120 milioni di metri cubi di nuove costruzioni. Quella cifra oggi è stata dimezzata: 60 milioni di metri cubi, di cui 40 già autorizzati e 20 da autorizzare. La torta, dunque, per i “palazzinari”, si è ridotta notevolmente. E già questo ha ridotto le possibilità di manovra delle grandi famiglie di costruttori che si sono dovute adeguare. Questo discorso vale anche per la famiglia Caltagirone che in alcune zone della città avrebbe avuto molto più spazio. Vale per esempio per la zona di Tor Marancia e per la zona del Parco Leonardo (da Leonardo Caltagirone) a sud ovest della capitale, dove pure il cantiere è di 5 milioni di metri cubi. I costruttori non hanno più le mani completamente libere, conferma anche Sandro Medici, presidente del X Municipio, l’uomo che si è distinto nella battaglia per la requisizione degli alloggi sfitti. Oggi i costruttori hanno capito che devono lavorare anche sul flusso del consenso ed è per questo che spesso sono anche editori di giornali. E spesso i nuovi rampolli delle famiglie storiche (i Mezzaroma per esempio) scelgono il centrosinistra come collocazione politica o comunque sanno dialogare con tutti. Il costruttore Mezzaroma, per esempio, ha proposto di ristrutturare a prezzi stracciati (quasi un atto di volontariato) una vecchia caserma dell’aeronautica che il Comune voleva adibire ad abitazione per gli sfrattati a Cinecittà. In cambio il costruttore ha avuto benefici, anche se indiretti, sulle sue proprietà al Residence Ripetta. Un’altra figura di spicco è quella della famiglia Angelucci, gli editori di Libero e del Riformista. Quello che è certo è che il nuovo patto vale per tutti. E che è anche stabilito che almeno il 5 per cento delle nuove costruzioni dovrà andare agli affitti agevolati o popolari. E i i furbetti del quartierino? Veltroni afferma di non averli mai conosciuti e che comunque il comune di Roma non ha mai avuto nulla a che fare con loro. Paolo Andruccioli

IL PIL AI PREZZI DI MERCATO NEL COMUNE DI ROMA [2001-2005] FONTE: ELABORAZIONE CENSIS SU DATI ISTAT, UNIONCAMERE

Roma vende fumo Dietro la facciata, intrecci tra economia e politica

Maria Preziozo docente di geografia economica all’università romana di Tor Vergata.

| osservatorio nuove povertà | roma |

PALAZZINARI SÌ, MA CON COSCIENZA

FONTE: STIME CENSIS SU ELAB. DATI URBAN AUDIT, CWI/O+S, SPF ECONOMIE, DS, FSOL, ET, LFS, ISTAT

roma

VALORE ASSOLUTO [MILIONI DI EURO] 2001 2005

Roma Italia

79.062

PRO CAPITE [EURO] 2001 2005

VAR. % REALE DEL V.A. 2001-2005

VAR. % VAL. PRO CAPITE 2001-2005

94.379

31.055

37.127

6,7

6,8

1.248.648 1.417.241

21.909

24.182

1,4

–1,4

I TASSI DI DISOCCUPAZIONE IN EUROPA [VALORI %]

12,8 11,6 9,8 6,7 Bruxelles

Parigi

Vienna

Roma

4,1 Londra

invece ogni ragione di vanto di Roma in realtà è solo una facciata, dietro la quale non c’è alcuna sostanza, alcuna base economica forte». A sostegno della sua tesi, la professoressa Prezioso porta un lungo elenco di esempi: «Roma si è autoproclamata città del cinema, con il festival lanciato quest’anno, a ottobre. Peccato che nella capitale non esista un’industria del cinema. Come a Venezia, dove dietro alla mostra internazionale non c’è un sistema produttivo. Diverso è il caso di città come Berlino, che, oltre ad assegnare gli orsi alle migliori pellicole, è sostenuta da un indotto economico, anche micro: case cinematografiche, doppiatori, montaggio, studios. A Roma c’è ben poco di tutto ciò, se non in forma artigianale: molti doppiatori non strutturati, un Istituto Luce che provvede al formazione, molti master di comunicazione, media e cinematografia, gli studios di Cinecittà che promuovono produzioni che però vengono realizzate altrove». «Roma si vanta di essere la città dell’innovazione, con 3 università pubbliche, 16 private e tutti i centri di ricerca. Ma con i brevetti è ferma da anni, perché non investe in tecnologia. Anche i progetti della nuova linea della metropolitana prevedono l’utilizzo di tecnologie pesanti, anziché usare quelle leggere di superficie. Il modello di sviluppo romano non tiene conto minimamente di alcuna forma di sostenibilità, perché è vista come un limite. Non c’è alcuna promozione di modelli innovativi di qualità. Costruire con metodi tradizionali costa meno». «Roma ha aperto un grande spazio fieristico senza però avere alcun settore produttivo d’eccellenza da mettere in mostra. A Bologna c’è la fiera del motore perché nel territorio c’è una piccola e media impresa della meccanica che aveva bisogno di uno spazio espositivo. Lo stesso vale per il design o la moda a Milano. A Roma di fatto non esistono più distretti produttivi, neanche quello più famoso del travertino nella zona di Tivoli. Negli anni Sessanta quando c’era il boom del marmo e del travertino hanno preferito puntare sull’esportazione totale, con grandi accordi con paesi arabi, dalle enormi capacità di acquisto. Così però non si è consolidato un modello produttivo locale, che è la base dell’economia reale». «Tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta 90 Roma ha costruito |

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nuove povertà

il suo rilancio economico su due fattori: la rendita fondiaria e l’edilizia. Ha quindi basato la sua crescita non su una vera attività economica, ma sul valore dei suoli. La scelta di Veltroni di puntare sulle costruzioni ha quindi radici lontane. È stata una scelta politica intrapresa vent’anni fa, che si manifesta nel modello economico adottato».

Modello centro-periferia «Roma si basa su un modello centralista, da un punto di vista economico, ma anche politico e urbanistico – spiega la professoressa Prezioso, specializzata proprio nel rapporto tra economia e territorio – A Roma c’è sempre stato un legame strettissimo tra le scelte economiche e quelle territoriali. Il piano regolatore è stato modellato attorno agli interessi economici». Quello costruito a Roma, secondo

LA PRIMA METROPOLITANA “ARCHEOLOGICA” la professoressa dell’università di Tor Vergata, è un modello basato sulla contrapposizione tra centro e periferia, come due realtà nettamente separate tra loro. «È un modello che tende a segregare, a separare il centro dalla periferia. Una periferia sempre più votata al commercio e alla costruzione di un’edilizia residenziale per ospitare i romani espulsi dal centro. Grandi quartieri, i 19 municipi, a ognuno dei quali viene data autonomia amministrativa ma non di bilancio. Dall’altra parte poi c’è il centro storico, che sta diventando sempre più un museo, svuotato dei suoi abitanti. Con i costi delle case sempre più alti, il livello generale dei prezzi che in centro è superiore alle altre zone della città, l’assenza di parcheggi, i residenti non possono fare altro che spostarsi verso l’esterno della città. Sono stati obbligati. È una precisa scelta politica, per adeguare il centro di Roma al mercato immobiliare mondiale. Ai livelli di Londra o Parigi, senza però avere la stessa dimensione, la stessa struttura, la stessa forza economica di queste capitali europee».

OCCUPATI E TASSO DI OCCUPAZIONE PER SETTORE DI ATTIVITÀ ECONOMICA PROVINCIA DI ROMA VALORI TASSO OCCUP. ASSOLUTI IN % 2004 2005 2004 2005

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ITALIA VALORI TASSO OCCUP. ASSOLUTI IN % 2004 2005 2004 2005

Agricoltura

14

14

0,43

0,43

990

947

2,01 1,90

Industria

241

244

7,53

7,53

6.868

6.940 13,92 13,92

di cui attività manifatturiere 156 146

4,87

4,50

5.036

5.028 10,21 10,08

Servizi

1.294 1.306 40,37 40,30 14.546 14.675 29,48 29,43

Totale

1.549 1.564 48,33 48,26 22.404 22.563 45,41 45,25

Roma, operazione traffico Strade, parcheggi e la cura del ferro

“C di Luisella Berti

GRANDE RACCORDO ANULARE, sulle vie consolari che portano al centro della città”. Un bollettino sul traffico intorno e dentro la Capitale immutabile almeno cinque giorni su sette, almeno 10 mesi su 12, almeno nelle ore di punta. Roma è in emergenza traffico e non potrebbe essere altrimenti. Nella capitale vivono quasi tre milioni di abitanti e il tasso di motorizzazione è preoccupante: 77 veicoli ogni 100 abitanti. Ogni giorno, oltre 6 milioni di spostamenti dei residenti e di questi solo poco più di un milione avviene usufruendo del trasporto pubblico. Poi ci sono le migliaia di automobili che ogni giorno percorrono il Grande Raccordo Anulare e altre direttrici di accesso alla città. Sono i pendolari dei comuni limitrofi e delle zone periferiche della città. È nei comuni dell’hinterland e delle aree periferiche che la popolazione negli ultimi 20 anni si è trasferita. Un fenomeno dovuto soprattutto alla crescita dei costi, ormai insostenibili, delle abitazioni. Il risultato è che sono aumentate le distanze negli spostamenti casa-lavoro e la congestione del traffico nelle arterie principali di accesso alla città. Roma è in emergenza traffico da anni, ma solo il 26

ODE E RALLENTAMENTI SUL

capitale è in “La emergenza traffico. Ogni giorno 6 milioni di spostamenti dei residenti

Mauro Calamante assessore alla mobilità del comune di Roma. Dal settembre 2006 al sindaco Walter Veltroni sono stati conferiti poteri speciali per combattere i problemi della mobilità e dell’inquinamento.

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PARCO MEZZI PUBBLICI A ROMA, 2001–2005 [V.A. E VAL.%] 2001

2002

2003

2004

2005

VAR% 01–05

Bus Tram Metropolitana Ferrovie concesse

2.580 2.633 2.475 2.487 2.790 +8,1 152 157 147 146 149 –2,0 438 438 438 456 480 +9,6 254 257 278 281 287 +13,0

Totale

3.424 3.486 3.338 3.370 3.706 +8,2

Età media bus [anni]

9,6

6,6

6,0

5,2

5,7 –40,6

settembre 2006 al sindaco Walter Veltroni sono stati conferiti poteri speciali per contrastare i problemi legati alla mobilità e all’inquinamento cittadino. Il presidente del Consiglio dei ministri ha firmato, su proposta del capo dipartimento della Protezione civile, un’ordinanza relativa "agli interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare l'emergenza nel settore del traffico e della mobilità a Roma". L'ordinanza dà due anni di tempo per porre in essere gli interventi necessari. Un pacchetto di provvedimenti è già stato messo a punto, 800 milioni di euro già pronti per essere investiti. Inoltre, ben due opere già cantierate di nuove linee della metropolitana: la linea C, lunga oltre 25 chilometri, collegherà i quartieri del Nord-Ovest a quelli del Sud-Est fino al limite orientale del territorio di Roma. La gigantesca opera, sarà conclusa nel 2015. L’altra nuova linea è la B1, 4 chilometri per alleggerire il traffico della zona Nord-

FONTE: BIL SOC. COMUNE DI ROMA ‘01-’05

Poteri speciali al sindaco per combattere il traffico. 800 milioni di euro stanziati e una lista di progetti interminabile. Li descrive l’assessore alla mobilità del comune Mauro Calamante. Est di Roma, tra le più congestionate. Chiusura dei lavori a fine 2010. Il costo delle due linee metropolitane? 120 milioni di euro a chilometro. Inoltre, c’è il progetto di prolungare le due linee già esistenti, ma il discorso dei finanziamenti in questo caso è ancora aperto. Intanto, nel breve termine, con il conferimento dei poteri speciali per fronteggiare l’emergenza traffico, Roma si prepara a realizzare una mole notevole di interventi. Sono già previsti ben 38 progetti che riguardano la rete viaria e 35 mila posti auto in più. «Il piano per le nuove infrastrutture – dichiara l’assessore alle politiche della mobilità del Comune, Mauro Calamante -, oltre a migliorare la viabilità, dovrà assicurare una razionalizzazione degli spostamenti individuali incentivando lo scambio tra trasporto privato e pubblico limitando, per quanto possibile, la convergenza dei mezzi privati nelle zone centrali della città e fluidificando il traffico nelle cinture semi-periferiche e periferiche. In questo, però, sarà altrettanto utile l’assunzione di 1000 nuovi vigili urbani che, a mio avviso, dovranno effettuare un servizio dedicato proprio alla fluidificazione del traffico lungo la viabilità principale». Potenziare la rete viaria e realizzare nuovi parcheggi, non potrebbe essere un incentivo a usare ulteriormente il mezzo privato anziché il trasporto pubblico? Messa in questi termini è un’affermazione cha ha un senso ma non dimentichiamo che il pacchetto di opere comprende anche interventi a tutela del trasporto pub-

FONTE: ISTAT

roma

CI SONO BELLE IDEE CHE RIMANGONO SULLA CARTA, ALTRE CHE DIVENTANO REALTÀ. A Roma l’epoca delle giunte Rutelli-Veltroni, il periodo più lungo di governo democratico della capitale, si vuole caratterizzare con l’efficienza: ci valorizzano tutte le mete raggiunte, nonostante le tante contraddizioni. Una città che sa gestire un evento di portata mondiale come il Giubileo, che sa vivere senza incidenti le sue notti bianche, ma che non sa ancora trovare una sua mobilità. È la città dell’Auditorium, della nuova Ara Pacis, dei grandi lavori disegnati da prestigiosi architetti stranieri. Città meravigliosa, dove tutte le mattine le strade diventano fiumi in piena che trascinano suv, station wagon, smart, auto blu, moto e motorini e dove gli unici mezzi che riescono a districarsi nel labirinto metallico sono paradossalmente i più rigidi: i tram e le metropolitane. Tutti riconoscono che il problema del trasporto è il segno di un ritardo che ha innumerevoli spiegazioni (a partire dalla conformazione della città e dal fatto che Roma è il sito archeologico più grande del mondo). La rete del trasporto pubblico è stata estesa da 2.184 chilometri a 2.351. Sono stati stanziati 809 milioni di euro per i nuovi treni delle metropolitane, per i nuovi autobus e i tram. Anche sulle strade si è lavorato: sono stati spesi 736 milioni di euro nel quinquennio, 347,8 milioni per la manutenzione e 322,5 milioni per la costruzione di nuove vie di comunicazione. Molto è stato fatto anche sul fronte dei parcheggi. Dal bilancio sociale risulta che ne sono stati aperti 101 negli ultimi cinque anni. Ma il grosso della progettazione risulta ancora nella sezione cose da fare. Basti pensare al metrò. Roma, secondo tutte le progettazioni urbanistiche, dovrebbe imitare Londra. Dovrebbe cioè diventare la città delle metropolitane. Ma per ora le linee sono ancora scarse, la linea A e la linea B. Sono però avviati i lavori della linea B1 e della linea C, considerati entrambi strategici perché riusciranno a collegare zone della città che ora sono come mondi separati e che per raggiungerli è necessario stare in automobile per ore. L’amministrazione Rutelli aveva già intrapreso la “cura del ferro” nel 1994. Ora la cura è stata confermata nel nuovo Piano Regolatore approvato nel marzo di quest’anno. Il nuovo Piano Veltroni prevede una crescita del 400 per cento dei chilometri complessivi delle metropolitane che passeranno dagli attuali 36 a 129. Anche le stazioni della metro, conseguentemente, dovranno crescere passando dalle 49 di oggi a 157. Molto si insiste, tra gli esperti, sulla metropolitana C. I primi sette chilometri saranno agibili nel 2011, con convogli senza macchinista da San Giovanni a Malatesta. Tutta l’opera sarà però conclusa nel 2014: 25 chilometri complessivi con 30 stazioni da piazzale Clodio a Pantano. Solo per la metro C – il primo esempio di metropolitana archeologica come ama dire il sindaco Veltroni – verranno spesi circa 3 miliardi di euro, mentre altri 15 miliardi sono già stanziati per i prossimi quindici anni per tutte le altre ferrovie metropolitane. Ma i progetti sono ancora più ambiziosi visto che si parla già anche di una linea D della metro, di nuovi corridoi per la mobilità verso l’Eur, e di prolungamento delle linee attuali della metro, la A e la B fino al Grande raccordo anulare. Punti di orgoglio della giunta Veltroni sono due: l’estensione delle aree verdi e protette e la realizzazione di nuove opere architettoniche e di rivisitazioni dei monumenti. Tra le opere: l’Auditorium della musica, progettato da Renzo Piano, il museo Maxxi dell’architetta angloirachena Zaha Hadid e la ricostruzione dell’Ara Pacis dell’architetto Richard Meier che con le sue scelte ha suscitato montagne di polemiche a destra e a sinistra. Roma che è ridiventata un grande cantiere. Il Giubileo del 2000 è stato solo l’inizio. Un cantiere che nelle intenzioni delle giunte Rutelli e Veltroni dovrà essere l’opposto di quelli abusivi degli anni Sessanta. È sulla difesa delle aree verdi che il Campidoglio ottiene i maggiori successi, vanto in particolare dell’assessore Roberto Morassut. Augusto Scacco, che lavora da anni con lui, sottolinea un dato secco: nel piano regolatore del 1962 si prevedeva una colata su Roma di 120 milioni di metri cubi di cemento, con il nuovo Piano Regolatore, frutto del compromesso tra politica e poteri economici, i metri cubi da costruire saranno 60 milioni, la metà esatta. Scacco ci ricorda anche che Roma vanta la più alta percentuale di aree protette, 88 mila Paolo Andruccioli ettari, ovvero due terzi di tutto il territorio.

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roma

nuove povertà

TEMPO DI ESAMI

LA PERIFERIA DI ROMA: I QUARTIERI PIÙ DIFFICILI, MISURATI IN TERMINI DI ACCESSIBILITÀ

FONTE: ISTAT

SUPERFICIE [HA]

TOTALE PUNTEGGIO POPOLAZ. ACCESSIB. RESIDENTE [MIN 0 [2000] MAX 10]

COSTO MEDIO ABITAZIONI [€/MQ]

LAUREATI DIPLOMATI [%] [%]

LICENZA SENZA MEDIA TITOLO DI [%] STUDIO [%]

Magliana 1.147 Corviale 461 La Rustica 181 Fidene 106 Acilia Sud 728 Labaro 1.175 Laurentino 486 Torre Maura 280 San Basilio 606 Trullo 676

1.453 15.771 10.253 12.089 22.611 21.895 26.613 21.263 26.202 31.356

0,02 0,30 0,65 0,66 0,69 0,90 1,10 1,27 1,32 1,68

1.664 2.100 1.350 2.000 2.158 1.835 2.400 1.587 1.684 2.400

1,1 3,2 1,6 2,1 2,2 3,4 9,7 1,8 1,9 2,7

10,9 22,8 19,2 20,8 21,7 20,8 29,5 20,0 15,0 21,1

70,3 64,5 66,0 65,6 64,7 63,2 51,3 67,7 69,2 64,0

17,6 9,4 13,2 11,5 11,4 12,7 9,4 10,6 13,9 12,2

Parioli Trieste

23.190 56.012

2,00 5,72

4.544 3.300

26,3 19,9

33,8 34,5

33,7 39,5

6,2 6,0

209 290

blico per renderlo più competitivo. Su strade più scorrevoli, che prevedono corsie riservate ai mezzi pubblici, la concorrenza tra mobilità privata e pubblica sarà meno impari e l’obiettivo resta quello di attrarre verso il mezzo pubblico tutti i potenziali utenti, che oggi preferiscono ricorrere alla propria auto. Quali sono gli interventi previsti per decongestionare il traffico sul Grande Raccordo Anulare e incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico, o alternativo? In prima battuta attraverso le nuove metropolitane e i parcheggi di scambio a ridosso del Grande Raccordo Anulare, come prevede il nuovo Piano regolatore, ma soprattutto attraverso il potenziamento della rete di ferrovie regionali per il quale abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con il Gruppo Fs nel febbraio scorso. Già entro il 2008, l’offerta di treni regionali aumenterà sensibilmente per proseguire entro il 2010 e completare il piano entro il 2015.

UNA CITTÀ COSTOSA, DOVE SI CONSUMA MOLTO E SI RICICLA POCO, con molte macchine e poche piste ciclabili. La pagella di Roma è costellata di insufficienze. Consola il fronte cultura, nel quale i voti sono invece ottimi. È il profilo che emerge dal QUARS, l’indice di Qualità Regionale dello Sviluppo, costruito dalla Campagna Sbilanciamoci!. Anziché la crescita economica, considera parametri come l’attenzione per l’ambiente, i diritti umani, le politiche pubbliche, la distribuzione della ricchezza. «L’analisi del QUARS è effettuata a livello regionale, ma nel caso del Lazio, dato il peso della capitale, gran parte dei risultati sono attribuibili alla provincia di Roma», spiega Elisabetta Segre, che ha seguito la ricerca sul Lazio. Nella classifica generale del QUARS il Lazio si colloca al 14° posto. Pesano soprattutto i pessimi indicatori ambientali (17° nella categoria ambiente). Nel rapporto di Legambiente sull’ecosistema urbano 2006, Roma si è classificata al 68° posto. Promossa dal punto di vista delle politiche energetiche, per gli incentivi a favore del risparmio energetico e delle fonti di energie rinnovabili. Bocciata sul fronte riciclaggio dei rifiuti (13,4% di raccolta differenziata) e piste ciclabili (0,67 metri per abitante). I cittadini

romani poi risultano dei gran spreconi. Roma infatti è una delle città dove si consuma più elettricità (1382 Kwh di uno domestico per abitante all’anno) e dove è più alto il numero di auto per abitante (77 auto per 100 abitanti). Agli ultimi posti anche nell’indice di Legambiente sulle ecomafie, per il quale il Lazio si colloca al pari della Sicilia. Brutte notizie per Roma anche per la distribuzione dei redditi, tra le più ineguali in Italia. La situazione non migliora per quanto riguarda la categoria “diritti e cittadinanza” (17° posto nel QUARS): bene l’inserimento di persone svantaggiate, male l’integrazione degli immigrati e l’assistenza sociale. Drammatica l’emergenza casa, con oltre tre sfratti ogni mille famiglie, più del doppio della media delle altre regioni. Capillare l’offerta sanitaria, ma la soddisfazione dei cittadini per i servizi è bassa (14° posto nella categoria salute). 13° posto sul fronte pari opportunità, con una buona partecipazione delle donne in politica nel Lazio, non nel mercato del lavoro. Roma guadagna però ottimi voti a scuola. Nell’indice QUARS infatti conquista il secondo posto per istruzione e cultura, merito dell’alto livello di scolarizzazione, del numero di università presenti, dell’elevata spesa pubblica pro capite in cultura. E.T.

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La Sala operativa sociale (Sos). È nata nel 2002 ci lavorano 130 persone che si alternano 24 ore su 24. Oltre 8 mila le telefonate in un mese con punte di 10 mila nei mesi invernali. Se ci sono emergenze si attivano le unità di strada.

A Roma tutto è più grande anche la povertà

T di E.T.

FONTE: CENSIS SU DATI BILANCIO SOCIALE ROMA

FONTE: ISTAT

POPOLAZIONE RESIDENTE

Comune di Roma Comuni di prima corona Altri comuni Provincia di Roma di cui comuni con oltre 20.000 abitanti Italia

2001 [CENSIMENTO]

2003 [31 DICEMBRE]

2004 [31 DICEMBRE]

VAR% [20O4–2003]

2.546.804 566.326 587.294 3.700.424

2.542.003 598.308 517.704 3.758.015

2.553.873 617.470 636.649 3.807.992

0,47 3,20 3,07 1,33

3.215.333 56.995.744

3.246.231 57.888.245

3.304.463 58.462.375

1,79 0,99

GLI UTENTI DEI SERVIZI SOCIALI DEL COMUNE DI ROMA [2001–2005]

244.213

251.000

208.823

184.773 150.337

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UTTO COME DA COPIONE. Gli ingredienti della povertà, vecchia e nuova, a Roma sono gli stessi che si trovano in qualsiasi altra città italiana. Una popolazione che invecchia sempre più, il potere d’acquisto che cala, stipendi e pensioni che non bastano a tirare a fine mese, affitti e prezzi delle case ormai irraggiungibili, persone insospettabili che finiscono a vivere per strada, un evento esterno qualsiasi come una malattia o la perdita del lavoro che fa precipitare una famiglia sotto la soglia di povertà. Succede, purtroppo, in tutta Italia. A Roma però è amplificato. Niente di strano considerando le dimensioni della città: 2,5 milioni di abitanti (dal censimento del 2001), molti di più se si considerano anche gli immigrati irregolari. «Ci troviamo a dover gestire una popolazione anziana fatta di 350 mila persone con più di 65 anni, gli abitanti di una città media italiana come Firenze (356 mila abitanti ndr). Abbiamo 200 mila over 75 e 1.100 ultra centenari – racconta Enrico Serpieri, portavoce dell’assessorato alle politiche sociali del Comune di Roma – Non tutti versano in condizioni economiche critiche, ma molti sì. Soprattutto gli over 75 anni, che, spesso, sono donne, molte volte sole, che vivono con una pensione che permette a mala pena di pagare l’affitto. In condizioni simili la rottura della lavatrice o l’arretrato di una bolletta del gas si trasformano in eventi drammatici». Ma le categorie più colpite da povertà e disagio sociale, non sono solo gli anziani: da quelle che balzano all’occhio più facilmente, come i senza fissa dimora, «è difficile stimare quanti possano essere, ma sommando il numero delle persone ospitate nei centri di accoglienza, a quello stimato di chi vive per strada o in baracche e magazzini abbandonati, si può arrivare a 9-10 mila persone

Risposte multiple per un mix di problemi

ELSIABETTA TRAMONTO

I problemi sono gli stessi delle altre città italiane, ma ingigantiti. Il Comune tenta di offrire risposte articolate, che vadano al di là delle emergenze. Intanto i poveri si spostano sempre più fuori dalla città.

che vivono per strada in tutta Roma. Al 90% sono stranieri e la loro età media si sta abbassando, anche sotto i 40 anni», precisa Enrico Serpieri. Per passare poi alle categorie di poveri nascoste nell’intimità delle case. Secondo il rapporto sulla povertà della Caritas diocesana di Roma le principali cause da cui hanno origine le cosiddette “carriere di povertà” sono eventi che potrebbero davvero capitare a chiunque, e che, anzi, capitano piuttosto di frequente come la perdita del lavoro o una malattia. «Ci sono casi di precipitazione sociale tra le persone più insospettabili: impiegati che vanno alla mensa dei poveri, famiglie che fanno la fila per ricevere vestiti usati», precisa Serpieri. «La causa delle povertà più gravi ai giorni nostri è la solitudine, la rottura dei legami familiari, scatenata da un evento traumatico, come un lutto o una separazione, che spingono le persone più insospettabili in mezzo a una strada – testimonia Fabio Vando, tra i curatori del rapporto della Caritas sulla povertà – Con queste categorie di persone è più difficile intervenire. Strumenti come un aiuto economico, strutture come i dormitori o le case famiglia servono a poco».

«Serve un intervento articolato, perché i problemi a cui si deve rispondere sono complessi e spesso si condensano in una stessa persona o in una sola famiglia – aggiunge Enrico Serpieri – . Possiamo ad esempio trovarci di fronte a una famiglia di 5 persone, sotto sfratto, con il padre disoccupato, il figlio disabile e la nonna da assistere. Cerchiamo quindi di pensare ogni volta a pacchetti di interventi, coordinati a livello centralizzato, ma lavorando a stretto contatto con i municipi (le 19 zone amministrative in cui è suddivisa Roma e a cui il Comune ha delegato la maggior parte dei servizi sociali n.d.r.)». Lavora in questo modo la Sala operativa sociale, Sos, «una specie di 118 del sociale nata nel 2002, dove 130 persone si alternano 24 ore su 24 e ricevono le chiamate di chiunque abbia qualsiasi tipo di problema. Al numero verde 800440022 arrivano 8 mila telefonate al mese, 10 mila in inverno – racconta Serpieri – Le emergenze vengono gestite attivando le dieci unità di strada sparse per tutta Roma, attrezzate con personale specializzato a bordo. Ma nel lungo termine la Sos lavora in rete con i municipi, che vengono attivati per seguire i casi che necessitano assistenza: minori, anziani, immigrati, famiglie in difficoltà».

I poveri escono da Roma Il problema più grave a Roma, come nel resto delle città italiane, resta quello della casa. Se acquistare o affittare un appartamento in città è ormai impossibile, per i prezzi volati alle stelle, i più poveri si spostano nei comuni limitrofi, collegati meglio con il centro di Roma rispetto alle periferie e con i costi delle case ancora abbordabili. «Co|

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muni come Ladispoli, Ardea, Guidonia, Tivoli si sono trovati a dover affrontare un’improvvisa crescita della popolazione e una serie di problemi, a cui non erano affatto preparati – spiega Fabio Vando della Caritas diocesana – I problemi nascono dalla quantità di persone che si sono trasferite in pochissimo tempo, ci sono punte di crescita del 150%, e dalla tipologia dei nuovi abitanti. Appartengono infatti alle

fasce più povere, italiani quanto stranieri, e portano con sé gravi problemi sociali. I comuni dell’hinterland però non hanno le risorse per affrontarli». Sebbene gravitino maggiormente sul tessuto urbano di Roma, la competenza di queste categorie di persone cade sulle singole amministrazioni comunali. Sembra un gioco al rimpallo delle responsabilità. Se un’emergenza come la povertà si sposta fuori Roma non si capisce più chi se ne debba occupare. È compito del Comune della capitale? Dei piccoli comuni? Della Provincia o della Regione? Per ora nessuno sembra aver dato risposta a questa domanda.

ROBERTO KOCH / CONTRASTO

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Dimenticare di chiamarsi Corviale Dovevano essere case popolari. Eppure ancora oggi, nonostante i miglioramenti, per qualcuno “è meglio non andarci”. 20,30 DI UN QUALSIASI GIOVEDÌ DI SETTEMBRE. «Buona sera, vorrei un taxi, in largo Domenico Trentacoste». «…è a Corviale? ». «Si». Silenzio. «Un attimo, attenda in linea». Attendo, a lungo, con l’immancabile sottofondo musicale, di Elisabetta Tramonto molto a lungo. Poi una voce registrata: «Siamo spiacenti, ma non ci sono taxi disponibili per la sua zona». Provo con un altro numero: 4994. Stesso copione: comunico la via, individuano la zona, attesa, nessun taxi disponibile. Provo con il 6645, poi ritento con il 3570, il primo che avevo chiamato. Niente da fare. Quarantacinque minuti di tentativi inutili. Nessun taxi è “disponibile” per Corviale. Strano, l’ora di punta è ormai passata, non è giorno di partenze, non piove, non ci sono scioperi dei mezzi pubblici. Perché non si riesce a trovare un taxi? Mi verrebbe da pensare che le auto bianche ci siano eccome, ma non vogliano venire da queste parti. Non voglio trarre conclusioni affrettate, anche se la tentazione è forte. Grazie a un passaggio raggiungo la stazione di taxi più vicina, cinque minuti in macchina, c’era un’auto che

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OMA, ORE

aspettava (per fortuna che non c’erano taxi disponibili). Le parole del tassista alimentano i miei dubbi: «Cosa vuole signorina, Corviale è fuori mano». Undici chilometri da San Pietro, non mi sembra poi così fuori mano, dall’aeroporto di Fiumicino alla stazione Termini di chilometri ce ne sono trenta. «E poi lì è pericoloso – aggiunge il tassista – non voglio essere derubato o, peggio, picchiato». È questa l’immagine che Corviale non riesce a scrollarsi di dosso. Ormai per tutti, a Roma e non solo, è l’emblema della periferia degradata, della criminalità, dell’emarginazione sociale. A dire la verità, camminando per le vie del quartiere non mi sono sentita più in pericolo che in molte altre strade di Roma, anche in pieno centro. La sensazione che si percepisce è, invece, di essere fuori dal mondo. «Siamo ghettizzati – racconta Ida D’Orazi, del comitato di quartiere, C.a.p.i.c. – Eppure negli ultimi anni la situazione è migliorata molto, anche grazie agli interventi del Comune». Oggi Corviale è ben collegato con il centro grazie a diversi autobus, c’è una scuola materna, una elementare e

una media. Ci sono supermercati, una biblioteca e, poco distanti, due piscine comunali. C’è anche l’incubatore d’impresa aperto dall’ufficio autopromozione sociale dell’assessorato alle periferie (vedi INTERVISTA ), che alimenta le idee imprenditoriali dei giovani della zona. «Eppure agli occhi di tutti siamo ancora il quartiere dove è meglio non andare – denuncia la signora D’Orazi – Corviale è il “serpentone” », qui odiano che lo si chiami così. Un palazzo lungo un chilometro e alto nove piani, che a cavallo degli anni Settanta (i primi appartamenti furono consegnati nel 1982) voleva concretizzare l’utopia delle unità abitative di Le Corbusier. 1204 appartamenti, di residenza popolare, che avrebbero dovuto dare un tetto a 6500 persone. Un intero piano, il celebre quarto piano, come punto di incontro per la comunità con servizi, negozi, spazi comuni. Tutto rimasto sulla carta. Il quarto piano è stato occupato da 150 famiglie che, dopo aver vissuto lì anche per vent’anni, oggi rischiano in qualsiasi momento di essere sgomberate, magari dopo aver pagato migliaia di euro all’istituto delle case popola-

ri, l’Ater. Carlo ha trent’anni, occupa un appartamento al qarto piano da 6. Ha già pagato una multa da 5 mila euro per l’occupazione abusiva e gli è appena arrivata una lettera, come a lui a molti altri, in cui l’Aler gli chiede altri 77 mila euro di arretrati e gli comunica che in ogni caso verrà fatto sgomberare. Sono questi i problemi di Corviale, non tanto la sicurezza. «Di problemi ne abbiamo moltissimi, noi che viviamo qui – racconta Ida D’Orazi – Sono gli ascensori, che in alcune scale ci sono e in altre no, che non si fermano a tutti i piani, che spesso non funzionano. Sono le pulizie, che dobbiamo farci da soli perché il Comune non manda l’impresa. È la manutenzione ordinaria, se si rompe qualcosa dobbiamo pagare noi la riparazione, se vogliamo che venga aggiustata. È l’assurdità di un affitto a 15 euro e una bolletta del riscaldamento da 120 euro al mese, che dobbiamo pagare noi. Comune e Regione avevano stanziato 32 milioni di euro per la riqualificazione del quartiere. All’Ater ci dicono che non hanno visto un centesimo. Che fine hanno fatto? Si sono forse dimenticati di noi?»

Il quartiere di edilizia pubblica di Corviale, un palazzo lungo un chilometro e alto nove piani, 1204 appartamenti, 6500 abitanti. Sopra, Alessandro Messina, dirigente dell’ufficio autopromozione sociale, l’unità organizzativa dell’assessorato alle Politiche per le periferie e il lavoro a Roma.

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Seminare impresa per far crescere le periferie Un assessorato dedicato alle periferie. Un ufficio, autopromozione sociale, che prende per mano le piccole imprese e le fa crescere. Il comune di Roma punta a rivitalizzare i quartieri più difficili. di Elisabetta Tramonto

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si puo’ fare impresa “Non se prima non c’è società. Mettere in comune soluzioni e problemi ” | 44 | valori |

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N’IMPRESA DI ANIMAZIONE NEL CUORE DI

CINECITTÀ che dà lavoro a 30 persone e vende prodotti alla Warner Bross. Una cooperativa sociale, fondata da dieci donne immigrate di nazionalità diverse, che ha aperto un centro multiculturale a Boccea. Una gelateria alla Tuscolana che offre gelato biologico ed equo e solidale e compare nella guida del Gambero rosso. Sono solo alcuni esempi di imprese nate negli ultimi anni nei quartieri periferici di Roma. «Riportare il lavoro nelle periferie è un modo per riqualificarle, perché qui l’etica del lavoro è scomparsa. I piccoli alimentari hanno chiuso, schiacciati dai grandi centri commerciali, gli uffici sono tutti in centro, gli artigiani anche. Le micro-imprese diventano così uno strumento per rivitalizzare le periferie in modo sostenibile», spiega Alessandro Messina, dirigente dell’uf-

ficio Autopromozione sociale (www.autopromozionesociale.it), l’unità organizzativa dell’assessorato alle Politiche per le periferie e il Lavoro del comune di Roma, che si occupa di sviluppo e promozione di piccole imprese nelle periferie. In che modo intervenite nelle periferie? Innanzitutto con una serie di strutture di assistenza. Abbiamo avviato cinque incubatori d’impresa, dove le nuove imprese possono stabilirsi per tre anni per muovere i primi passi in un ambiente protetto, ricevendo assistenza e avendo a disposizione attrezzature (computer, internet, segreteria, sala riunione) e servizi. Abbiamo aperto due centri servizi, che forniscono assistenza tecnica, e sei pun-

ti di animazione territoriale nelle aree più difficili (Quartaccio, Corviale, San Basilio, Acilia, Laurentino, Tor Bella Monaca) per creare coesione sociale. Non si può fare impresa se prima non c’è società. Bisogna far incontrare la gente, farla parlare, mettere in comune problemi e soluzioni. Poi un giorno arriveranno idee d’impresa. E abbiamo avviato lo sportello antiusura a Quartaccio. In secondo luogo interveniamo con i contributi economici alle nuove imprese. Dal 1999 ad oggi abbiamo stanziato 72 milioni di euro, grazie alla legge 266 del 1997. Naturalmente finanziamo solo una parte delle spese della nuova impresa. Per permettere di coprire anche le parte restante abbiamo costituito un fondo di garanzia di 500 mila euro con la Banca di Credito Cooperativo e uno di 250 mila con |

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Banca Etica. Le due banche erogano quindi il prestito. In più Banca Etica fornisce assistenza e consulenza per la gestione finanziaria. A quali imprese fornite aiuto? Alle imprese che possono contribuire alla riqualificazione delle periferie, creando posti di lavoro, o anche solo occasioni di incontro. Spesso indiciamo bandi mirati ad alcune categorie che vogliamo sostenere, come le librerie per portare un servizio così importante in periferia. Ne sono state da poco aperte 15. Ci sono stati anche bandi per le imprese verdi, per gli artigiani, per gli immigrati. Quali sono i problemi che devono affrontare le periferie di Roma? Il problema principale è l’accentramento delle funzioni nel centro di Roma e, di conseguenza, l’isolamento delle periferie, che diventano luoghi dove abitare e ricevere solo servizi essenziali, a volte neanche

A PIAZZA VITTORIO TUTTI I COLORI DI ROMA quelli. Per il resto, istruzione, lavoro, divertimento, si va in centro. È necessario valorizzare le risorse delle periferie. Vicino a San Basilio, tra i quartieri più degradati, c’è una villa romana quasi abbandonata. Se fosse a New York verrebbe visitata da 100 mila persone. Ma qual è questa “periferia” romana? È meglio parlare di periferie, al plurale, perché esiste un’incredibile varietà di situazioni in senso geografico, demografico, economico e sociale. i quartieri più problematici sono Tor Bella Monaca, Laurentino, Corviale, Ponte di nona, Labaro, San Basilio, Tiburtina, zone nate sulla scia della crescita irrazionale degli anni ‘60 e ’70, quando sono sorti enormi addensamenti urbani, senza che ci fosse un disegno, strutture adeguate come strade, trasporti pubblici, scuole, elettricità, acqua. Oggi la situazione è molto complessa e mutevole, è difficile scattare una fotografia. Ma ci sono alcuni fattori comuni, come un tasso di disoccupazione più alto e un livello di scolarizzazione più basso. Se prendiamo un indicatore usato dalla Commissione europea, l’accessibilità (intesa come la possibilità di accedere alle infra-

strutture e a servizi di prima necessità) emerge una mappa dei quartieri periferici con i problemi maggiori (vedi TABELLA con i quartieri agli ultimi dieci posti della classifica sull’accessibilità paragonati ai primi due, Parioli e Trieste). Questi stessi quartieri sono quelli con i tassi più bassi di scolarizzazione e di occupazione. C’è il rischio che la situazione si aggravi come nelle banlieux parigine? Non tanto nelle periferie di Roma, quanto nella provincia. Gli immigrati e i romani con i redditi più bassi non vivono nei quartieri periferici, ancora troppo costosi e non ben collegati con i trasporti pubblici. Vivono a Fiumicino, a Fregene, ai castelli, nei comuni intorno alla città. Qui le sacche di disagio sono maggiori. Ma noi del Comune non ce ne possiamo occupare, è fuori dalla nostra giurisdizione. A Roma manca il concetto di hinterland, sia culturalmente sia amministrativamente. Si ragiona in termini separati tra la capitale e i paesi intorno e non si riescono a costruire politiche per l’interland. La provincia dovrebbe fare da coordinatore ma ancora non ci riesce.

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Uno sguardo su Roma, luminosa e disincantata Amanda Sandrelli e Blas Roca Rey. Da una bella casa, affacciata sui tetti di Roma, una chiacchierata sulla città, con i suoi pregi e i suoi difetti, sulla politica e sulle scelte di una vita etica.

“Q

Gli attori Amanda Sandrelli e Blas Roca Rey abitano nel Quartiere Trieste, hanno due figli, un conto con Banca Etica di cui sono soci. | 46 | valori |

Anche investire in moto etico fa parte di queste “regole di vita”? BLAS. Sì, certo. Cerchiamo il più possibile di vivere seguendo quello che pensiamo. Per certe cose è facile per altre meno. In finanza fino a poco tempo fa era difficile. Poi abbiamo sentito parlare di Banca etica e abbiamo capito che era esattamente quello che volevamo. Abbiamo subito aperto un conto e poi Amanda è diventata socia. Banca etica ha aperto una strada, lottando contro un sistema, quello delle grandi banche. Adesso quasi tutti gli istituti di credito hanno fondi etici con cartelline decorate con paesaggi toscani. Dimostra come nella sensibilità delle persone la domanda di investire il proprio denaro in modo etico era forte. Ci sono altre scelte etiche nella vostra vita?

BLAS. Tutte le piccole cose: dalla raccolta differenziata, al-

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l’attenzione agli sprechi, alla nutrizione. Le merendine in casa nostra sono bandite e spesso compriamo alla bottega del commercio equo. Ci viene spontaneo. Certo, a volte essere etici è un po’ più costoso, ma è un investimento in salute. Credo che, se il conto in banca lo permette anche solo un po’, ne valga la pena.

BLAS. I romani hanno una sorta di distacco disincantato rispetto a quello che succede, da non confondere con l’indifferenza. Deriva dall’essere abituati a vedere gente di tutti i tipi, dall’essere stati attraversati da mille popoli e mille culture. Influenza anche il rapporto con gli immigrati.

A Roma però c’è anche chi in banca non ha niente. Che percezione avete della povertà intorno a voi? AMANDA. Mi sembra che la città sia migliorata molto negli ultimi anni. Spesso mi capita di prendere il trenino che dall’aeroporto porta in centro. Si attraversano alcuni quartieri periferici. Fino a qualche anno fa si vedevano scene disastrose, di miseria, sporcizia, gente accampata per strada. Pensavo “è possibile che non si possa fare niente?”. Ultimamente è stato fatto molto. Veltroni è accusato di aver realizzato solo iniziative come il festival del cinema, in realtà ha fatto molto altro e ha pensato anche a quella parte di Roma più invisibile.

AMANDA. Il traffico, che influisce sul carattere delle perso-

STRANIERI TITOLARI DI IMPRESE NEL COMUNE DI ROMA [2001–2005]

2005 11.512 Quali sono gli aspetti peggiori di Roma?

Che rapporto ha Roma con gli immigrati?

BLAS. I romani hanno una grande disponibilità verso il prossimo

AMANDA. Sì, Roma è una città aperta ma anche molto provinciale. È talmente grande e piena di quartieri diversi che è difficile definire un’unica reazione nei confronti degli immigrati. Dipende molto dal quartiere. In generale però credo che i romani non la vivano male e non la vedano come un’invasione. Anche perché sono abituati ai turisti.

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ne. Molti romani sono cafoni quando sono al volante, ma è inevitabile perché la città è invivibile. Bisognerebbe eliminare le doppie file e i pullman che circolano per il centro. Sarebbe sufficiente allestire dei piccoli pulmini elettrici che non inquinano e non ingombrano. BLAS. Sì, prima di tutto il traffico. Poi la cafonaggine, che sta prendendo piede un po’ in tutta Italia. Il fatto di ospitare a Roma il cuore della politica italiana non è un bene, si assiste ad arroganze e prevaricazioni …e i lati più belli di questa città? AMANDA. La luce. Il clima, il cielo e le nuvole che corrono. Poi quel meraviglioso disordine che segna l’inizio del Sud Italia, con tutti i suoi difetti che adoro. BLAS. Veltroni è una delle cose più belle che ci sono capitate, il modo in cui sta facendo il sindaco. È una persona che parla di tutto, con un livello culturale alto, ma non spocchioso, attento agli anziani, agli studenti, alle periferie. Roma e la cultura che voto le dareste? AMANDA. 10. Roma è diventata una capitale europea

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2003 8.345 2002 7.026

2001 5.672

FONTE: CENSIS SU INFOCAMERE

TRIESTE, UNO DEI PIÙ ESCLUSIVI DI ROMA. Casa Roca Rey-Sandrelli, un bell’appartamento al quinto piano da dove si vedono i tetti della città. Una coppia di attori, entrambi innamorati di Roma. In salotto due bambini, i figli di Amanda e Blas, che di Elisabetta Tramonto giocano alla Playstation. «Non più di mezzora alla settimana - precisa il papà – ci sono regole che vanno rispettate, sempre, fin da bambini». Amanda e Blas hanno un conto e sono soci di Banca etica. UARTIERE

È L’ORA DI PUNTA, IN METROPOLITANA c’è il solito via vai di gente che corre in ufficio, all’altoparlante si sente un notiziario. Tutto normale, se non fosse che la voce che legge le notizie parla in spagnolo e poi in rumeno. È una delle ultime iniziative del Comune di Roma per rispondere alle esigenze della popolazione degli immigrati. La capitale è un punto di attrazione fortissimo per gli stranieri, regolari e irregolari, molti anche solo di passaggio, magari richiedenti asilo e permessi di soggiorno per motivi religiosi. Tra Roma e provincia si concentra il 90% degli immigrati del Lazio, 340 mila quelli con un regolare permesso di soggiorno secondo il Dossier Caritas-Migrantes 2005 (dati Istat e ministero dell’Interno). “Negli ultimi anni sono arrivati soprattutto rumeni, che oggi rappresentano la comunità più consistente a Roma (circa 70.000 ndr), ma anche bengalesi, cinesi e indopakistani”, spiega Giulia Cortellesi che si occupa di immigrazione per l’associazione Lunaria. Per avere una visione d’insieme di tutti i colori dell’immigrazione a Roma basta fare un salto a piazza Vittorio, nel quartiere Esquilino, a due passi dalla stazione Termini. Al centro un grande giardino dove la domenica i sudamericani fanno il pique-nique, intorno i portici, in perfetto stile torinese, che ricorda il periodo dopo l’unità d’Italia, quando la classe impiegatizia piemontese si trasferì a Roma, in questo quartiere. Piazza Vittorio è il punto di riferimento per tutti gli stranieri della capitale. Non abitano qui, le case costano troppo. Preferiscono la periferia, o, meglio ancora i comuni fuori Roma, soprattutto Ladispoli, Fiumicino, Anzio, Guidonia, Mentana, Nettuno e Pomezia. Ma piazza Vittorio è la loro casa. Qui si incontrano, si scambiano informazioni sul lavoro, acquistano cibo o vestiti. Una volta c’era il mercato più famoso di Roma, dove venivano a fare la spesa da tutta la città. Nel 2001 fu trasferito nel deposito di una caserma poco distante. Negli anni però si è trasformato, orientandosi verso le esigenze degli stranieri, che, oltre a essere i principali clienti, sono diventati anche i venditori. Non solo il mercato, anche la maggior parte dei negozi in piazza Vittorio e nelle vie intorno sono in mano agli immigrati, che piano piano hanno preso il posto dei vecchi negozianti romani. Macellerie islamiche, negozi di bigiotteria pakistana o di abiti indiani. Ma il primato va senza dubbio ai cinesi, che dominano l’offerta commerciale della piazza. “Hanno addirittura stampato una mappa e le pagine gialle dei negozi cinesi – racconta Giulia Cortellesi – Purtroppo però sono una comunità chiusa che non accetta alcuna proposta di inserimento nel tessuto sociale, molti non provano neanche a parlare italiano. Dietro molte insegne, poi, acquistate per il commercio al dettaglio, si nascondono dei grossisti, che importano merce dalla Cina, la tengono in magazzini fuori Roma, per poi venderla, non solo a piazza Vittorio”. A questo luogo è dedicato il film, intitolato appunto “L’orchestra di piazza Vittorio”, nelle sale dal 23 settembre, che racconta l’avventura, tutta vera, di un gruppo di romani, capeggiati da Mario Tronco degli Avion Travel e da Agostino Ferrente, regista della pellicola, che nel 2001 hanno messo insieme una vera orchestra multietnica con 16 componenti, tutti di nazionalità diverse. Un’idea per unire culture, vite e storie sotto una stessa musica e per proporre ai romani questa idea di accoglienza. In effetti la convivenza tra romani e immigrati a piazza Vittorio non è delle migliori. Molti abitanti del quartiere non amano questa presenza massiccia di stranieri e chiedono più sicurezza, tanto che una macchina della polizia non manca mai, nonostante il tasso di criminalità non sia superiore al resto della città. E.T.

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Bruxelles

Verheugen all’assalto delle regole di Roberto Ferrigno

2007 SARÀ UN ANNO CRUCIALE PER IL MERCATO INTERNO DELL’UNIONE EUROPEA. Entro marzo la Commissione presenterà un rapporto preliminare di valutazione dei primi 20 anni di vita del mercato unico. Al Consiglio Europeo di fine anno, la Commissione rivelerà infine i suoi piani per il nuovo mercato interno del XXI secolo, in contemporanea con l’entrata ufficiale di Bulgaria e Romania nell’Unione Europea a 27 Paesi e con oltre 500 milioni d’abitanti. I diversi protagonisti del dibattito politico sul futuro del mercato unico si stanno gia posizionando, le prime mosse sono già state effettuate. Ha suscitato scalpore a Bruxelles l’ultima uscita pubblica di Gunther Verheugen, tedesco, commissario all’industria e vice-presidente della Commissione. Verheugen è in prima fila nella battaglia per una liberalizzazione spinta del mercato interno, scavalcando a volte lo stesso presidente Barroso. La scorsa settimana, Verheugen ha rilasciato con grande enfasi le cifre del costo per le aziende del mancato successo della Commissione nel semplificare la vigente legislazione europea. Secondo Verheugen, le imprese potrebbero spendere fino a 600 miliardi di Euro l’anno per rispettare gli obblighi amministrativi comunitari se il processo di semplificazione non procede ai ritmi previsti. Secondo i piani di Verheugen e Barroso, nel 2006 la Commissione avrebbe dovuto completare la “semplificazione” (spesso si trattava semplicemente di “eliminazione”) di almeno 54 misure legislative esistenti, sulle 222 identificate nel 2005 come inutili La bandiera al corretto funzionamento del mercato interno. Priorità erano della semplificazione ostacoli la legislazione ambientale - in particolare quella sui rifiuti - e quella altro non è che concernente le autovetture. In realtà le leggi semplificate alla fine l’abbattimento dei pilastri comunitari di quest’anno saranno al massimo una trentina, nessuna delle quali di particolare rilevanza, una piccolissima percentuale delle 80.000 pagine di legislazione comunitaria esistente. Questo ha fatto infuriare il commissario che ha pubblicamente addossato la responsabilità della lentezza del processo alla “burocrazia interna” della Commissione. I sindacati della Commissione hanno risposto per le rime, denunciando l’eccessivo protagonismo del commissario. È riecheggiata addirittura la richiesta di dimissioni. In singolare coincidenza con il pesante attacco del vice-presidente della Commissione, il più prestigioso “think-tank” economico di Bruxelles, l’istituto Bruegel, presieduto da Mario Monti, ha pubblicato uno studio in cui si evidenzia come gli europei, a dispetto di oltre un ventennio di politiche mirate a stimolare lo sviluppo del mercato interno, continuino a comprare, investire e lavorare all’interno dei propri confini. Oggi noi acquistiamo prodotti e servizi nazionali pari all’86% del totale, con una quota del 10% proveniente dal resto d’Europa; investiamo e lavoriamo fuori dei confini nazionali per un 18% e 2%, rispettivamente. Insomma, secondo Bruegel, il progetto di integrazione economica europea è ancora ben lungi dall’essere realizzato. Nella sua analisi del diverso grado d’integrazione economica dei Paesi europei, Bruegel indica i piccoli Belgio ed Austria come i più integrati mentre Italia, Spagna e Grecia sono al fondo di questa speciale classifica. Le soluzioni? In pratica, molto vicine a quelle indicate dalla Commissione Barroso: ulteriore liberalizzazione dei servizi, riforma del mercato del lavoro, maggiore competitività. La battaglia per imporre il modello economico prossimo venturo ai cittadini dell’UE è già iniziata.

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NUOVA ECOLOGIA

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Il lungo cammino della Repubblica dello Zambia >52 Shanghai la nuova capitale del business mondiale >56

internazionale CIUDAD JUAREZ DOVE UCCIDERE UNA DONNA NON È REATO

L’EUROPA SPRECA TROPPA ENERGIA. PRESENTATO IL PIANO DI EFFICIENZA ENERGETICA

RIPRENDE LA CACCIA ALLE BALENE IN ISLANDA

LA COCA COLA TRATTA CON IL SINDACATO COLOMBIANO

DA GULAG PER INTELLETTUALI A INFERNO DI NICHEL

IL MERCATO DELLE ARMI IN CONGO CONTINUA INDISTURBATO, NONOSTANTE L’EMBARGO

Si chiama Ciudad Juarez e si trova in Messico al confine con gli Stati Uniti. Qui negli ultimi dieci anni sono scomparse centinaia di donne e bambine. Sono vittime dei trafficanti di organi e prostituzione. I loro resti vengono trovati qualche tempo dopo nel deserto, con i segni di torture e violenze. Le vittime hanno tratti comuni: sono giovani, minute, i capelli neri lunghi stirati e sciolti sulle spalle. Sono perlopiù operaie nelle maquiladoras, fabbriche dove assemblano apparecchiature elettroniche giapponesi e americane. Le prime ragazze scomparse risalgono al 1995. Il numero esatto non si conosce: per Amnesty International le giovani scomparse sarebbero 470. Secondo il governo messicano fino all’ottobre 2003 i casi erano 326. Per la Commissione interamericana per i diritti umani, invece, 285. Delle scomparse restano un nome dipinto su una croce rosa e una foto nelle mani dei familiari che chiedono giustizia. Una tragedia resa ancor più pesante dal sospetto di connivenze, confessioni di comodo estorte con la tortura, inchieste confuse e affrettate, l’impunità dei colpevoli, le minacce di morte e sequestro contro chi cerca la verità. Ciudad Juarez è diventato un caso internazionale, ne parlano libri, film e siti internet, il più attendibile è www.mujeresdejuarez.org.

L’Europa deve imparare a risparmiare energia. Il Vecchio Continente infatti spreca il 20 per cento dell’energia che utilizza. È con questo spirito che la Commissione Europea ha presentato il piano d’azione per l’efficienza energetica. Si tratta di un pacchetto articolato di interventi per ridurre gli sprechi energetici di elettrodomestici, edifici, trasporti e impianti di produzione di energia. Vengono inoltre proposte nuove norme di efficienza energetica più rigorose, incentivati i servizi energetici e presentati meccanismi specifici di finanziamento a favore di prodotti più efficienti. La Commissione istituirà inoltre un patto tra i sindaci delle città europee maggiormente all’avanguardia in questo campo e proporrà un accordo internazionale sull’efficienza energetica. Sono misure che, secondo gli esperti europei, se prese subito, possono far ridurre il costo diretto dei nostri consumi energetici di oltre 100 miliardi di euro l’anno entro il 2020. Inoltre ogni anno eviteremo di produrre circa 780 milioni di tonnellate di CO2. Il piano d’azione dovrebbe entrare in vigore nei prossimi sei anni. Il Governo italiano ha approvato un decreto legislativo che impone efficienza energetica e uso di rinnovabili nelle nuove costruzioni. Si punta a eliminare dal mercato i prodotti che consumano troppo, a informare i consumatori sui prodotti migliori e rendere più efficiente il mercato sotto il profilo energetico. Saranno elaborati requisiti minimi di rendimento anche per gli edifici nuovi e ristrutturati e verranno incentivati gli edifici a bassissimo consumo di energia, la cosiddetta “casa passiva”. Presentata anche una serie di misure per migliorare l’efficienza energetica nel settore dei trasporti, riconoscendo l’importanza di intervenire sulle abitudini della mobilità dei cittadini. A questo proposito è prevista una specifica azione di formazione e sensibilizzazione.

Per i cetacei dei mari d’Islanda ricomincia la guerra con le baleniere. L’annuncio della cessata tregua della caccia alle balene lo ha dato il governo di Reykjavík. Dal settembre 2006 al 31 agosto 2007 la quota della pesca nelle acque nazionali sarà di 30 piccoli balenotteri di Minke e di 9 esemplari comuni. L’Islanda sostiene che cifre così basse non avranno effetti reali sulla presenza dei mammiferi marini. Secondo stime internazionali, nell’Atlantico settentrionale vivono 100mila esemplari di balene. Invece, secondo gli ambientalisti, la ripresa della caccia indiscriminata mette a rischio la sopravvivenza delle due specie, soprattutto la balenottera comune. Greenpeace contesta il ritorno alla caccia dei cetacei anche da un punto di vista commerciale, visto lo scarso mercato della carne di balena. Si stima, infatti, che la maggior parte delle nuove generazioni di islandesi non l’abbia mai assaggiata. Una scelta scellerata anche alla luce del successo dell’ecoturismo, il whale watching, cioè la possibilità di osservare le balene nel loro habitat naturale senza minacciarne l’integrità. Ad oggi nel paese sono presenti 12 compagnie di whale watching per un giro d’affari stimato in 8,5 milioni di dollari. Per un piccolo paese come l’Islanda il turismo costituisce un importante risorsa e un’industria in forte crescita.

Alla fine tre anni e due mesi di boicottaggio hanno avuto la meglio. La celebre multinazionale produttrice della Coca Cola ha deciso di sedersi a un tavolo e trattare con Sinaltrainal, il sindacato colombiano che l’ha accusata di essere responsabile della feroce strategia antisindacale. Dal 1990 a oggi, in Colombia sono stati uccisi 9 sindacalisti della Coca Cola dagli squadroni della morte dei paramilitari e sono 179 le violazioni dei diritti umani denunciate. Una strage che vede come unica responsabile la company di Atlanta produttrice della celebre bevanda e che finalmente potrebbe aver fine. L’intesa prevede: una politica generale dell’azienda sui diritti nei luoghi di lavoro, non solo in Colombia, ma in tutto il mondo; un metodo per il risarcimento proporzionale dei sindacalisti e dei loro famigliari che dal 1990 ad oggi hanno subito violazioni dei diritti umani e sindacali; un accordo generale per la creazione di un procedimento che consenta alla Coca-Cola e alla Ong statunitense International Labor Rights Fund di trattare le questioni relative al rispetto dei diritti sindacali che dovessero presentarsi all’interno del Coca Cola System. In cambio il Sinaltrainal deve assicurare la sospensione del boicottaggio della bevanda, almeno fino a che l’azienda non avrà il tempo di adempiere agli accordi sottoscritti.

Si chiama Norilsk. Uno spazio gelido e sconfinato a nord-est di Mosca, 200 chilometri oltre il circolo polare artico. Lì per nove mesi all’anno la temperatura è sottozero, con punte che toccano anche - 57 gradi. Per oltre 45 giorni all’anno è completamente al buio a causa della notte polare. A Norilsk ci vivono 210 mila persone, di cui 60 mila lavorano per la Norilsk Nichel, una società di estrazione che produce quasi il 2 per cento della ricchezza nazionale. Le imprese Norilsk group realizzano complessivamente il 4,3 per cento dell’export nazionale. La Norilsk Nichel, primo produttore mondiale di nichel, è nelle mani di due oligarchi: Vladimir Potanin e Mikhail Prokhorov, che la comprarono per pochi spiccioli nel periodo delle privatizzazioni volute da Eltsin. Un tempo era un gulag dove venivano mandati gli intellettuali scomodi, oggi è diventato uno dei luoghi più inquinati dell’ex Unione Sovietica. Si stima che le imprese del gruppo Norilsk immettano nell’atmosfera due milioni di tonnellate di anidride solforica all’anno. L’area della tundra, intorno a Norilsk, è bruciata per 180 chilometri di lunghezza e 90 di larghezza. La società ha varato un piano decennale di ristrutturazione con una spesa di tre miliardi e mezzo di dollari, ma si prevede che solo entro il 2015 sarà possibile portare le emissioni inquinanti entro i livelli massimi.

La denuncia arriva dagli osservatori della campagna Control Arms. In barba all’embargo dell’Onu, proiettili prodotti in Grecia, Cina, Russia, Serbia e Usa sono stati trovati nelle mani dei gruppi ribelli che agiscono nella regione orientale della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Secondo gli osservatori, il fatto che per la prima volta proiettili prodotti in Grecia e in Usa vengano trovati in Congo, è la prova del crescente flusso globale di armi che sta alimentando i combattimenti nella regione. Si ritiene che dal 50 al 60 per cento delle armi usate nella Rdc siano Ak-47 cinesi. Il meccanismo grazie al quale arrivano gli armamenti è tale che permette ai paesi produttori di chiamarsi fuori da qualsiasi accusa di aver violato l’embargo. Infatti armi e munizioni in questione non vengono vendute direttamente ai ribelli del Congo, ma vi entrano dai paesi confinanti. Si stima che dal 1998 il conflitto nella Rdc abbia provocato quasi 4 milioni di morti. Nonostante l’accordo di pace del 2002, nell’est del paese i combattimenti infuriano ancora, alimentati da armi e munizioni provenienti da ogni parte del mondo. La campagna, che è sostenuta da 20 premi Nobel per la pace, chiede dal 2003 l’adozione di un Trattato internazionale che impedisca i trasferimenti di armi e altre forniture militari dove vi sia il chiaro rischio che esse verranno usate per compiere gravi violazioni dei diritti umani, per alimentare i conflitti o pregiudicare lo sviluppo. I numeri di serie e altri segni rilevanti, come i codici di fabbricazione stampati su cartucce e fucili, sono stati identificati da esperti internazionali in materia di armi e hanno condotto all’individuazione di armi prodotte in Grecia, Sudafrica, Serbia, Cina, Russia e Usa. Questi ultimi tre paesi sono tra i più freddi sull’adozione del Trattato internazionale sul commercio di armi.

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GIAMPAOLO MUSUMECI

Il lungo cammino dello Zambia Una grande ricchezza naturale. Una grande povertà materiale. Ha le debolezze e i disagi strutturali di una ex colonia inglese. Il debito pubblico e una popolazione senza educazione scolastica e produttiva non consentono al Paese di decollare. Il diario di viaggio di una turista responsabile. IVINGSTONE È SEGNALATA DALLE GUIDE TURISTICHE come la seconda città più sviluppata dello Zambia, con un flusso turistico mobilitato dalle bellezze naturali uniche, le Cascate Victoria e i parchi naturali ricchi di fauna al confine con lo Zimbabwe. Secondo fonti ufficiali, gli abitanti sono 100.000. Le suore della clinica St. Francis Home Base Care, che eseguono visite a domicilio, ne contano 168.000, divisi in otto compound, ovvero quartieri vasti. Fin dall’inizio del viaggio di Micol Carmignani si ha la percezione di una realtá sfuggente di persone e numeri, che si perde nella polvere rossa delle strade e nelle capanne d’argilla che sorgono e scompaiono ad ogni stagione. La povertá è dilagante, potremmo dire invadente. Nonostante l’attenzione riposta nella cura dell’aspetto, i più acquistano vestiti di seconda mano e le scarpe sono un lusso. Il lavoro non risparmia nessuno: è norma che bambini e ragazzi aiutino quotidianamente i genitori nei contesti domestici come in quelli lavorativi. La gestione dell’economia domestica è lasciata spesso alle donne, che risultano le più affidabili nell’amministrazione. Non è un caso che alcuni progetti di microfinanziamento alle cooperative vedano come intestatari preferenziali proprio le donne: a Siavonga, città a sud-est di Lusaka, CeLIM ha avviato un progetto che offre insieme servizi finanziari e formazione. Piccoli prestiti e incontri permettono agli abitanti di avviare attività produttive, generatrici di reddito. Nel 2005 i corsi di formazione in campo tecnico produttivo hanno coinvolto 140 persone, con l’erogazione di crediti a 400 clienti, di cui il 96% donne, per un totale di 28.000 euro. Il turismo è ancora allo stato embrionale e sicuramente al di sotto delle potenzialità. I dati del 2003 stimano che il settore abbia generato solo il 2,5% del PIL, principalmente legato ai locali e i lodge di proprietà di stranieri. I lodge hanno un target selezionato di clienti perché i prezzi sono alla stregua degli alberghi a cinque stelle del vecchio continente, i proprietari non badano a spese per comfort e scenografie africane e si vivono giornate in un’atmosfera esotica e da safari, che stride con la realtà che si incontra nella strada più vicina. Durante il nostro viaggio con CTA Viaggi Solidali abbiamo avuto modo di vivere un’esperienza di turismo responsabile. Attraverso l’organizzazione CELIM siamo entrati in contatto con la realtà delle scuole non governative, radicate e volute dalle comunitá locali, abbiamo visitato luoghi di cura per malati, orfanotrofi, conosciuto responsabili ed organizzatori di progetti per lo sviluppo. Quello che ci siamo chiesti è se davvero uno sviluppo sia possibile qui, se e come potrebbe essere diversa l’Africa da quello che è oggi.

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L’agricoltura è il settore trainante anche se praticata con vecchi metodi. I terreni migliori sono degli stranieri

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Un intero compound trae sostentamento attraverso l’acquisto di grossi blocchi di pietra, per ridurli in pietrisco e rivenderli. Ogni persona adulta riesce a lavorare un intero blocco di pietra in circa una settimana. Per un ricavo, al netto delle spese, di 20.000 Kw. L’equivalente di 4 €. A sinistra, le capanne ngwenja.

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IL CELIM CELIM, NATA NEL 1954, è un’associazione di Volontariato Internazionale senza scopi di lucro. È un’organizzazione non governativa riconosciuta dal ministero degli Affari esteri dell’Unione Europea, membro della Federazione Volontari nel Mondo –Focisv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario). Con altre quattro Ong ha costituito la rete Iris (In Rete Innovazione per lo Sviluppo). CeLIM attua interventi di cooperazione allo sviluppo e di educazione alla mondialità in Africa e nei Balcani, per favorire l’autosviluppo della popolazione locale. In Italia CeLIM opera con CeliMondo, spazio educativo per la mondialità e punto di incontro tra culture diverse nel cuore di Milano.

Sebbene i giorni siano una convivenza con la mancanza di beni per lo sviluppo fisico-culturale e la morte sia fatto quotidiano, c’è qualcosa di affascinante e coinvolgente che resta nell’animo del visitatore. Andando oltre il decantato mal d’Africa o il mito del buon selvaggio, possiamo provare a confrontare queste impressioni del turista responsabile con i punti di forza, le debolezze, le opportunitá e le minacce di Livingstone, cittá che assieme alla capitale Lusaka risulta essere il polo economico-amministrativo di tutta la nazione.

Dove l’economia è abbandonata alla sussistenza Lo Zambia ha le debolezze e i disagi strutturali di una ex colonia inglese, lasciata al primo presidente, Kenneth Kaunda, negli anni ’60 col fardello di 50 milioni di Kwacha di debito ed una popolazione senza alcuna educazione scolastica o produttiva. L’economia del |

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LO ZAMBIA LO ZAMBIA È UN PAESE RELATIVAMENTE VASTO, circa due volte e mezzo l’Italia, diviso in 9 province e 72 distretti, per una popolazione assai ridotta (10 milioni e 700 mila abitanti). La densità media risulta quindi scarsa, 12 ab/kmq, con un 45% della popolazione residente nei centri urbani: il che fa del Paese uno dei più urbanizzati dell’Africa Sub-Sahariana. LO ZAMBIA È UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE con parlamento unicamerale, l’Assemblea Nazionale, composta da 150 membri. Dal 1964, anno della raggiunta indipendenza dalla Gran Bretagna, il potere è rimasto per 27 anni nelle mani del presidente Kenneth Kaunda. Nel 1991 e per i successivi 10 anni il Paese è stato governato da Frederick Chiluba, ex sindacalista. Le elezioni del 2001, dall’esito contestato, hanno confermato la presidenza al candidato del partito in potere, l’avvocato Mwanawasa. Nell’Ottobre 2006 si svolgono le nuove elezioni, che vedono tre partiti in gara per il Governo, e da mesi impegnati in animati comizi elettorali, completi di magliette omaggio e chitenga (la tipica gonna locale) con la stampa del volto del candidato. LA SPERANZA DI VITA DELLO ZAMBIA, in linea con il suo PIL pro-capite, è assai bassa, 33 anni, e la mortalita’ infantile sotto i cinque anni di vita raggiunge il 19.2%. La rapidissima e capillare diffusione dell’epidemia di AIDS ha modificato l’assetto sociale e demografico del Paese: si calcola che circa il 20% della popolazione sia affetta dal virus, che si è diffuso principalmente tra giovani adulti privando il Paese della fascia d’età più produttiva, creando una schiera di 500.000 minori orfani, e ostacolando la formazione naturale di una vera e propria classe dirigente in un Paese in crisi economica. Questo quadro pone lo Zambia al 164esimo posto su 177 Paesi scelti per indice di sviluppo umano (United Nations Development Program, Report: 2004).

I genitori versano la quota annua i 10.000 Kw (2€) per mandare i loro bambini a scuola. I due insegnanti, volontari, utilizzeranno questo denaro per costruire una toilette e una struttura in cemento che consenta di essere riconosciuti dal Governo come scuola, ottenendo così un insegnante di ruolo, pagato dallo Stato.

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Paese è caratterizzata da una forte prevalenza del settore agricolo, che assorbe circa il 70% della popolazione, pur concorrendo solo nella misura del 10-12% all’intera produzione nazionale. Si tratta per lo più di agricoltura di sussistenza, praticata dalla gran parte della popolazione su terreni di qualità mediocre e con tecniche arretrate, accanto alla quale coesistono coltivazioni commerciali praticate su grandi terreni, più fertili, posseduti da stranieri. A causa delle difficoltà economiche e di un management arretrato, sono ancora poche le imprese zambiane che avviano attività produttive su larga scala. Dai dati riportati on line dalla camera di commercio (www.zacci.org.zm) solo una decina sono rilevanti su tutto il territorio nazionale per la produzione di beni primari, come mais e riso, base dell’alimentazione locale, olio di semi “Amanita”, prodotti dolciari “Rivonia”, latte “Finta”. In numero superiore compaiono le aziende straniere, americane e sudafricane, che stringono rapporti commerciali senza una produzione in loco: il capitale torna nel Paese d’origine e non genera un reddito o un’occupazione rilevante per lo Zambia.

La dipendenza dal capitale estero Le cooperative certificate FLO (fairtrade labelling organization) sono solo quattro e producono canna da zucchero, miele, caffè e olio di semi, nelle province di Lusaka e nel Nord-Ovest. L’industria estrattiva offre un esempio dei rischi che minano lo sviluppo dei settori e la valorizzazione delle risorse. L’estrazione contribuisce per il 15% al Pil zambiano e, grazie ai giacimenti di rame del Copperbelt, il Paese è il quarto produttore al mondo: tuttavia il settore potrebbe dare molto di più. Nei primi anni settanta, la caduta del prezzo del rame e le tecnologie obsolete causarono un declino vertiginoso delle estrazioni da 700,000 a 280,000 tonnellate annue. Dopo la privatizzazione della parastatale Zambia Consolidated Copper Mines, si registrò un lento recupero nel 2002, ma alcuni degli investitori stranieri non hanno dato fiducia al Paese. Il governo ha lavorato assieme alla Banca Mondiale per un accordo, ma l’intenzione degli Anglo-Americani di ritirare gli investimenti dalla cruciale miniera di Konkhola (Gen. 2002) resta il sintomo di una sostanziale dipendenza dai capitali esteri, che possono arrivare a compromettere un intero settore industriale. La pesantezza di questa dipendenza dall’estero si misura nel debito: il servizio del debito/esportazioni è del 27,1% e le importazioni continuano a superare di gran lunga le esportazioni. Non si lascia respiro ad una crescita del PIL, che è stata di -1,2% nell’ultimo decennio. Gli aiuti economici avvengono in modo disorganico, senza una linea politica internazionale definita nei confronti di questo Paese. Nel Febbraio 1999 il Governo Finlandese annunciò la cancellazione di 7,5 milioni di dollari dal debito dello Zambia. Nel marzo dello stesso anno il F.M.I. decise di dare un impulso ulteriore rispetto al prestito già stanziato; anche la Banca Mondiale, nonostante il problema della vendita delle miniere, promise 65 milioni di dollari. Sulla scia di queste iniziative infine il Paris Club accordò la cancellazione di 670 milioni di dollari. Nel 1999 è di fondamentale importanza il riconoscimento come Paese povero (Highly Indebted Poor Country), che avrebbe aperto la strada a nuove agevolazioni da parte dei creditori. Le aspettative di quegli anni si rivelarono ben al di sopra della realtà: la liberalizzazione e le altre iniziative economiche dall’esterno hanno avuto impatto negativo sul Paese nel breve periodo. Solo per fare

Gli aiuti economici esterni non hanno una linea politica definita. L’unico punto fermo è il riconoscimento di Paese povero un esempio, il fenomeno del dumping nel settore manifatturiero dell’abbigliamento ha causato dal 1991 al 2002 la chiusura di 132 stabilimenti tessili che hanno lasciato disoccupate 30.000 persone. Il 73% della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta, il PIL pro-capite è intorno ai 361 dollari. Il debito insormontabile, 7,1 milioni di dollari nei dati 2004, provoca un’assenza de facto del Governo nelle migliorie e amministrazione della cosa pubblica. Un esempio è la gestione dei rifiuti, totalmente assente, lasciata alle abitudini: si deposita l’immondizia ai bordi delle strade o in apposite buche scavate nel terreno cui viene dato fuoco circa una volta alla settimana, con esalazioni nocive di plastica, metalli o materiali di varia composizione chimica. Le infrastrutture ferroviarie si limitano ad un’unica linea, lenta e prevalentemente ad uso merci, che collega le due città principali. Le strade asfaltate sono rare e dissestate, realizzate per promesse elettorali e interrotte dalla scarsità di fondi. Gli ospedali, al limite del collasso. Come ci spiega Loveness, manager del General Hospital di Livingstone, di 388 posti letto neanche la metá puó essere coperto dal personale medico e paramedico. Solo dodici sono i medici che esercitano operazioni e visite specifiche (di cui solo 2 zambiani), mentre infermieri uomini e donne, circa 40, non risultano sufficienti. La paga per tanto lavoro non incentiva infermieri e medici a rimanere: la maggior parte di loro esercita la stessa professione all’estero: la spesa sanitaria su PIL si attesta, nel 2004, al 3%. Quello che sembra mancare, nel caso dello Zambia, è una congiuntura favorevole e duratura di spinta interna alla crescita, prezzi di mercato ed investimenti stranieri.

Quando l’uomo è risorsa Sicuramente la forza dello Zambia è la ricchezza di materie prime. Una densità demografica ancora bassa e concentrata in grandi città lascia vasti spazi fruibili per l’agricoltura. Le grandi risorse idriche rendono lo Zambia autosufficiente ed esportatore a livello energetico: esse costituiscono il 40% delle risorse idriche di tutta l’Africa del sud. Esiste però un capitale che sfugge alla stima, ma che spicca subito dal primo impatto con la popolazione locale. Il filo comune che avvicina tutti i progetti di sviluppo che abbiamo osservato a Livingstone, su cui si sono concentrate ONG straniere e abitanti locali, è l’enorme potenzialità in termini umani. L’alta disponibilità di giovani aperti all’apprendimento e all’innovazione è indubbiamente una risorsa. La forte percezione dello stato di necessità in cui versa la gente è molla per iniziative di volontariato che partono spontaneamente dalla stessa popolazione scavalcando ogni individualismo. Gli insegnanti delle Community School prestano un servizio volontario di docenza che ha come fine la sola collettività, non sono di solito vincolati da contratti o salari fissi: sono i genitori degli alunni che versano loro una quota volontaria di rimborso o

una simbolica quota annuale per sostenere la struttura scolastica. I progetti di sviluppo messi a punto qui dalle Ong estere e dalle chiese presenti sul territorio puntano principalmente a due obiettivi: il raggiungimento di un livello di salute e mortalità tali da permettere uno sviluppo sociale, l’insegnamento del sapere e saper fare tali da rendere la popolazione autosufficiente ed autonoma. L’obiettivo di queste iniziative è far uscire lo Zambia dallo stato di necessità, per svincolarsi dal debito, e raggiungere un benessere uniforme e indispensabile per lasciare spazio allo sviluppo culturale. I ragazzi che frequentano le scuole, infatti, come gli stessi insegnanti, sono costretti a lavorare nel pomeriggio per avere denaro sufficiente in famiglia; le famiglie più numerose mandano a scuola solo il primogenito per non togliere eccessivo tempo all’attività lavorativa.

La strategia della formazione La Ong CeLIM svolge un progetto che getta le basi per la formazione di persone competenti in mestieri specifici: sarti, cuochi, fabbri, carpentieri, cioè professionalità che possono interagire con una domanda già esistente sia tra la popolazione locale che nel settore turistico. Questi corsi, offerti gratuitamente ai giovani, hanno durata di due anni o sei mesi secondo le esigenze, ma un aspetto fondamentale è che costituiscono, oltre all’apprendimento di un’attività produttiva, un momento di educazione a livello più ampio per la socializzazione, il senso etico e civico, tra i ragazzi stessi e con i gruppi di turisti responsabili e volontari che vengono ospitati periodicamente all’interno del complesso scolastico. L’etica lavorativa, l’impegno e il trattamento equo diventano strumenti quotidiani che si intersecano con l’attività lavorativa. Le comunità cristiane presenti a Livingstone offrono uno spunto interessante perché intervengono sul territorio in modo diretto e organizzato in termini di persone e tempi, con un’attività che va a colmare le lacune della sanità. Molti sono i parrocchiani che gravitano attorno alle strutture ecclesiastiche, sia per prendere parte alle attività di volontariato che per ricevere aiuti spirituali e materiali. Il parroco Father John è un cittadino burundiano scampato alla guerra, che da anni fornisce sostegno ai malati e ai loro familiari nel difficile contesto del General Hospital di Livingstone. Per rimediare al problema dello spostamento, le suore del St. Francis Home Base Care eseguono quotidianamente visite su circa sessanta malati, spostandosi in ogni compound con le ceste di medicine (per la maggior parte cure omeopatiche e vitamine): il giro completo di tutta la città è svolto in due settimane. Il St.Francis Home Base Care conta sugli aiuti di CAFOD e di piccole associazioni europee per medicine e attrezzature, ma si basa sulla volontà di collaborazione dei cittadini: ogni compound vede la disponibilità di due persone che accolgono i malati durante le visite delle suore, che segnalano ogni settimana il numero ed il tipo di malati da visitare. Uno dei meriti specifici del gruppo è la raccolta minuziosa di dati e l’elaborazione di statistiche, condivisi col General Hospital per elaborare le strategie operative. Se un’Africa diversa sia possibile, questo pare certo per chi sta lavorando per la comunità. Il cammino dello Zambia è ancora lungo e appesantito dal debito, la crisi economica toglie alla popolazione la reale possibilità di scelta di vita. La presenza dei presupposti per lo sviluppo, la volontà e determinazione presente nelle parole di volontari e cittadini fa sperare che il problema sia solo una questione di tempo.

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| internazionale | RICCARDO VENTURI / CONTRASTO

Shanghai la nuova capitale del business mondiale La sua imponenza architettonica ha superato di gran lunga quella di Manhattan e il centro direzionale di Dupong sarà il fulcro della finanza mondiale. Per ora è la capitale dell’economia che corre più veloce. Sono solo i mendicanti ad indossare ancora la tradizionale giacca di Mao. E RAGAZZE DI SHANGHAI si separano raramente dai loro tacchi alti. E quando lo fanno è per calzare l’ultimo modello di Puma o Adidas, lo stesso che impazza tra le loro coedi Giampiero Rossi tanee di Parigi, Milano o Budapest. Il telefonino, poi, anche lungo le vie perennemente affollate della megalopoli cinese è il protagonista assoluto, incollato alle orecchie di milioni di persone, soprattutto giovani. Tutt’intorno, nella vastissima area che può vantare di essere “centro” di una città da 16 milioni di abitanti, i negozi e i centri commerciali strillano mille griffe e marchi: da Penny Black a Maserati,da Mercedes Benz a Mont Blanc non ne manca davvero nessuno all’appello. E a Xin Tian Di, a pochi passi dalla casa in cui Mao Zedong tenne l’assemblea che fondò il Partito comunista cinese ancora oggi al governo della più grande e popolosa nazione del mondo, c’è una stradina pedonale che ricorda da vicino il milanese corso Como: una sequenza ininterrotta di locali che ogni notte (ma anche di giorno) attirano folle di shanghainesi, termine che ormai non definisce più soltanto cittadini cinesi ma anche i tantissimi espatriati occidentali che si sono insediati nella nuova capitale economica mondiale. Anche ai tavolini di Starbuck, della birreria tedesca, del pub irlandese O’Malley o del Cafè Latina si parla di business, ci si scambia notizie sulle novità politico-amministrative e, anche, sul nuovo locale trendy aperto lungo il Bund, lo storico e suggestivo lungofiume.

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Una città ostaggio Per capire che a Shanghai si stanno facendo affari a ritmi vertiginosi non ci sarebbe neanche bisogno di consultare statistiche ed esperti. Basta guardarsi intorno. La città è ostaggio di un traffico inesorabile, apocalittico nelle ore di punta ma costante lungo le ventiquattr’ore. Guidare un | 56 | valori |

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autobus a Shanghai è un mestiere per gente dai nervi d’acciaio, trovare un taxi quando comincia a piovere è un’impresa da videogame. Insomma, tutti si muovono e tanti posseggono un’auto. Più Volkswagen che Fiat. Ma a testimoniare l’opulenza di Shanghai c’è anche il panorama di grattacieli che invade la visuale da qualsiasi punto della città e, ancor di più, quello di Pudong, la «nuova Manhattan» di vetrocemento che sorprende qualsiasi visitatore. Fino agli inizi degli anni novanta in quella porzione di terra di là dal fiume Yangpu c’erano solo una grande palude e qualche appezzamento coltivato, oggi sorge una città del business che sembra strappata alla scenografia di un film di fantascienza degli anni sessanta. E nelle ambizioni cinesi il centro direzionale di Pudong dovrebbe diventare presto il nuovo epicentro della finanza mondiale, scalzando prima la vicina Hong Kong e poi il simbolo dell’occidente, New York. Per il momento, però, Shanghai deve accontentarsi di essere la capitale dell’economia che corre più veloce, quella che divora mercati e abbatte primati. Al punto che mentre i governi europei si dannano per inventarsi politiche che permettano di strappare qualche decimale a percentuali di crescita che oscillano attorno al 2% annuo, in Cina chi ha in mano le leve dell’economia suda vanamente la proverbiale pazienza orientale per contenere il tasso di crescita. Nel 2006, per esempio l’obiettivo di Pechino era quello di evitare una percentuale a due cifre, dopo il 10% dell’anno precedente, ma di tentare di frenare la crescita all’8%. Ma non c’è stato niente da fare: già dopo sei mesi gli indicatori economici misuravano un tasso del 10,9%.

Crescita con scompensi enormi Paradossi cinesi. Giustificati però da molte e decisive preoccupazioni. Una crescita troppo veloce, infatti, crea

scompensi enormi: in primo luogo aumenta la domanda di energia a livelli difficilmente sopportabili, anche dal punto di vista ambientale, visto che oltre a bruciare tonnellate di barili di petrolio la Cina consuma anche tantissimo carbone; e poi ne soffrono anche il sistema previdenziale, già fragile di suo, e la possibilità di selezionare le iniziative economiche di maggior valore, perché di fronte all’oceano di soldi che affluiscono ogni anno in Cina non c’è proprio modo di scegliere cosa fare e cosa lasciar perdere. Un problema nuovo, poi, è dato dalle ambizioni dei governi locali, che spingono per far crescere le proprie città, talvolta spendendo cifre smodate per progetti faraonici e non del tutto necessari. Contraddizioni che vanno ad aggiungersi alle distanze che separano l’economia costiera - finanziaria, industriale e commerciale - da quella del vasto entroterra rurale. «Lungo la costa la Cina assomiglia all’Europa – ha detto senza mezzi termini Chang Si Wei, il numero cinque della nomenklatura di Pechino, durante la sua visita settembrina in Italia – ma all’interno assomiglia all’Africa». Ecco cosa spinge milioni di persone ad abbandonare i villaggi di campagna, per tuffarsi in una delle metropoli che sembrano grondare soldi e opportunità. Allora la grande contraddizione del paese comunista che sta tornando a essere il più ricco del mondo come ai tempi delle dinastie imperiali si rende visibile a occhio nudo: lungo il Bund, davanti ai portoni degli ultimi edifici coloniali risparmiati dalle ruspe del boom edilizio, nel salotto turistico di Shanghai incorniciato da chioschi targati Coca Cola, è difficile aggirare i mendicanti e la loro insistenza. E sono loro gli unici a indossare ancora la tradizionale giacca di Mao.

Il lavoro non è sempre infernale

Nei pressi della stazione ferroviaria. Trovare un taxi a Shanghai quando piove è un’impresa da videogioco. La città non si ferma mai.

Shanghai, 2004

Per gli altri, quelli che lavorano, almeno in una città come Shanghai, non è affatto detto che la fabbrica sia l’inferno seminterrato e buio dove si resta reclusi 14 ore al giorno. Certo, è difficile entrare in uno stabilimento industriale al di fuori di una visita guidata. Alla Captaino, per esempio, un’azienda tessile che produce e commercializza sul mercato cinese manifatture in «stile italiano» sulla base del design e dei tessuti spediti dalla lombarda Gammatex, i 680 addetti lavorano in ambienti “normali”, non dissimili da quelli di tanti altri loro colleghi occidentali. Magari le macchine sono più vecchie, così come i ventilatori schierati ovunque per aerare i locali non sono proprio l’ultimo ritrovato nel campo della climatizzazione, ma esistono anche alcuni diritti, che accompagnano il salario di 200 dollari al mese, che diventano 300-400 per le figure più qualificate e addirittura 20.000 all’anno per l’amministratore delegato. Si lavora cinque giorni su sette, con l’aggiunta di un sesto giorno di “straordinario” che è pressoché automatico. Per questi lavoratori, come per molti altri delle grandi aziende si Shanghai, esiste un contratto collettivo sottoscritto da |

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LA GARA DI LI QING LI QING È UNA BELLA SIGNORA, DAI MODI GENTILI E DALL’ETÀ INDEFINIBILE. Oggi si trova ai vertici del sindacato di Shanghai, si occupa delle relazioni internazionali. Conosce bene la realtà fuori dalla Cina, ma la sua storia personale è intrisa della storia e della cultura cinese di questi decenni. È una storia che comincia in un piccolo villaggio dell’entroterra cinese. Li nasce contadina e, in piena rivoluzione culturale, si distingue per la sua produttività nel lavoro nei campi. La svolta nella sua vita è proprio la vittoria di una “gara di produttività”: il premio, per la giovane Li Qing è una borsa di studio in città e di premio in premio arriva alla laurea e a un incarico dopo l’altro nell’apparato politico. Oggi, anche se continua a restare fedele alle idee in cui è cresciuta e che le hanno permesso di studiare, garantendogli una vita tutt’altro che disagiata, Li è una donna consapevole di quanto la circonda e dei cambiamenti che hanno modificato la società cinese. La combinazione tra vecchio e nuovo è la sua lente di osservazione sulla realtà femminile, che anche in Cina merita attenzioni politiche e culturali del tutto analoghe a quelle rivendicate dall’universo femminile a tutte le latitudini, occidente in testa. «In Cina le donne sono state abbastanza fortunate – premette – perché dopo la rivoluzione di Mao hanno potuto beneficiare di molte leggi in loro favore, a partire da quella che riserva loro una certa percentuale di posti di lavoro». «Una donna che lavora ha diritto al mantenimento del posto di lavoro quando va in maternità – spiega Li elencando i pilastri introdotti dal comunismo – e per due mesi riceve lo stipendio intero, che si riduce all’80% se la lavoratrice vuole restare a casa per un anno e al 70% per il secondo anno. E se il bambino si ammala l’azienda paga la metà delle spese mediche. Ma è anche vero che nelle imprese più piccole è più difficile far valere questi diritti. Poi può contare su un buon numero di asili, quelli popolari sono praticante gratuiti, ma ora ce ne sono molti privati che costano parecchio». Oltre il lavoro, per le donne il sistema previdenziale permette una pensione ampiamente anticipata, rispetto a quella degli uomini: a 50 anni (55 per chi lavora nella pubblica amministrazione) contro i 60 previsti per i maschi. Fin qui i diritti, quelli “classici”. Poi c’è la realtà e una serie di nuovi bisogni che le donne delle metropoli cinesi manifestano: la vita è dura, in una città come Shanghai, i prezzi salgono insieme al benessere e alla possibilità di consumare. E alle donne, comunque, spettano gli oneri di sempre: occuparsi dei figli, della vita domestica, di tutto. E allora anche Li Qing sente il bisogno di sottolineare quali siano i nuovi servizi dedicati alle donne: «Psicologi, consultori familiari, e centri di salute riservati soltanto a loro. Shanghai è all’avanguardia in questo…». Già, qualcuno ai piani alti del partito ha capito che senza nuovi sostegni anche nella nuova opulenza GP.R. le donne di Shanghai rischiano grosso un’altra volta».

SINDACATO: VOGLIA DI SCIOPERO WU SHEN YAO, VICEPRESIDENTE DELLA SHANGHAI MUNICIPAL TRADE UNION COUNCIL (il sindacato di Shanghai), avrebbe un grande sogno: indire uno sciopero. «Quello che invidio di più al sindacato occidentale è la sua forza, quella che gli deriva dal fatto di poter minacciare e poi dichiarare scioperi quando il negoziato con l’imprenditore non porta risultati. Ecco, questa è una cosa che ci piace studiare dei vostri sindacati…». C’è poco da studiare, però, in un Paese in cui il sindacato è indipendente dalla politica soltanto sulla carta intestata. E infatti la diplomazia di Wu riporta subito il discorso nei binari a scartamento cinese: «Però il sindacato italiano dimostra più debolezza del nostro nel momento in cui ha la necessità di ottenere qualcosa dalla politica. Voi dovete scioperare, magari tante volte e magari senza poi ottenere niente. Noi no: a noi basta andare a chiedere e, senza alcun bisogno di protestare. L’aumento annuale dei minimi salariali a Shanghai, per esempio, arriva così: noi facciamo una richiesta, gli imprenditori la loro, c’è una mediazione politica e poi è fatta…». Semplice, in una realtà dove la politica decide ancora, magari con grande discrezione, ancora moltissimo. Ma lentamente, assicura Wu Shen Yao, le cose si muovono. «Stiamo studiando la contrattazione collettiva e possibili correttivi per migliorare la nostra legislazione sul lavoro. L’indipendenza del sindacato? Forse sì – dice più che altro con il tono di chi vuole compiacere l’interlocutore – forse arriverà anche quella. Ma di sicuro non nei prossimi dieci anni». GP.R.

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un sindacato. Ma attenzione: il contratto viene di fatto applicato soltanto nelle grandi aziende (e prevalentemente nelle grandi aree urbane e industriali); quanto al sindacato, non si tratta proprio di una controparte dei datori di lavoro, ma semmai di una struttura - di derivazione politica - che “affianca” l’azienda nella gestione del personale. In pratica tra i compiti dei sindacati rientrano sia la contrattazione dei salari, degli orari e degli ambienti di lavoro, sia la garanzia nei confronti dell’imprenditore che tutto funzioni al meglio «Abbiamo a cuore sia il bene dei lavoratori che il bene dell’azienda – spiega, con asiatica seraficità, Wang Suigan, leader del sindacato dei tessili shanghainese – quando c’è un problema discutiamo, negoziamo…». E se la soluzione non si trova? «Discutiamo ancora, fino a quando non salta fuori».

Comunisti sì, ma imprenditori Quello cinese è un sistema che da un lato cancella molti problemi di natura sindacale che in Europa sono ben più complessi, ma dall’altro implica un’ingombrante presenza della politica nell’economia, sorvegliata speciale dal regime comunista che ha aperto all’impresa privata. Anche per questo una joint venture con un partner cinese diventa la via maestra per avviare un’impresa nella Repubblica popolare. Non solo: «Un buona sinergia tra personale espatriato e personale cinese, soprattutto i livelli manageriali e operativi, è fondamentale per il buon andamento dell’attività – dice Gian Gherardo Aprile, consulente per le imprese italiane in Cina con la sua Ssg e coordinatore dell’Osservatorio Asia di Shanghai – questo è un aspetto che non bisogna assolutamente dare per scontato né sottovalutare. Questo, nonostante tutto, resta un ambiente piuttosto chiuso e loro, i cinesi, quando si dedicano agli affari hanno l’ansia di cancellare il secolo comunista quanto prima per ritornare a mostrare il loro volto economico dei millenni precedenti». Il vero problema delle aziende italiane che guardano al ghiotto mercato cinese è il volume degli investimenti: investire in treni o aerei, come fanno francesi e tedeschi, non è la stessa cosa che produrre cravatte e camicine. La Volkswagen o la Basf, da sole, mettono in campo più capitali dell’intera pattuglia italiana. In questi numeri sta la differenza di prospettiva per il futuro prossimo. E intanto la Cina cambia. Adesso il governo ha deciso un ritocco dei salari che ha subito messo in allarme i mercati di tutto il mondo, terrorizzati all’idea che anche la produzione cinese possa rincararsi. Ma da Pechino arrivano messaggi rassicuranti: un operaio cinese costa comunque solo mezzo dollaro all’ora, contro i 17 di quello americano e i 4 dollari orari del collega messicano; c’è ancora margine, quindi, per aumentare i salari prima che la produzione cinese perda competitività a causa del costo del lavoro. Vero. Però le aziende tessili di Shanghai stanno iniziando a delocalizzare la produzione in Vietnam.

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Biodiesel

Incentivarne l’uso senza danni per l’erario di Walter Ganapini

la prospettiva dell’agricoltura europea. In tale concetto trova spazio sia la nozione di custodia sia quella di miniera di nuove materie prime, soprattutto energetiche. È dalla multifunzionalità che originerà il nuovo assetto reddituale degli operatori agricoli, essendo il precedente entrato in crisi a fronte della competizione deregolata tipica dell’attuale fase della globalizzazione dei mercati. Lo sviluppo del settore bioenergetico in Italia risulta condizionato da fattori quali gli aspetti finanziari ed i limiti nelle percentuali di utilizzo dei nuovi biocombustibili (in particolare i biocarburanti). Esaminiamo il caso del biodiesel: dal punto di vista dell’incentivazione con risorse pubbliche occorre assicurare l’invarianza del gettito proveniente dall’accisa sul gasolio ad uso autotrazione, considerato che la defiscalizzazione del biodiesel immesso al consumo (indispensabile per conseguire equivalenza del prezzo fra il biocarburante e il corrispondente gasolio minerale) implica minori introiti per lo Stato. Lo strumento finanziario più adeguato potrebbe essere l’incremento dell’accisa sul gasolio in considerazione del fatto che, tenuto conto dei quantitativi distribuiti annualmente in Italia, un piccolo aumento per litro (da cui si potrebbe esentare , per i probabili effetti inflazionistici, il settore dell’autotrasporto commerciale) è sufficiente È importante assicurare per assicurare il necessario gettito, senza gravare un gettito uniforme maniera eccessivamente sfavorevole sui consumatori. realizzando un mix tra accise in In effetti, un aumento dell’accisa sul gasolio per autotrazione sul gasolio e incentivi di un solo centesimo al litro sarebbe di gran lunga meno per i biocombustibili influente sul rincaro dei prezzi dei carburanti della quotidiana oscillazione del prezzo del greggio. Considerato il maggior costo industriale del biodiesel rispetto al gasolio, la spesa erariale per sostenere l’offerta al mercato di ulteriori 100.000 tonn. di prodotto risulterebbe di circa 60 milioni di Euro, mentre un aumento di 2 centesimi per litro di gasolio genererebbe maggiori introiti per oltre 400 milioni di Euro, sufficienti a finanziare, agli attuali costi industriali di produzione dello stesso, quasi 700.000 tonnellate /anno di biocarburanti sostitutivi. Il differenziale da coprire con il contributo erariale corrispondente all’agevolazione o esenzione fiscale potrebbe ridursi ulteriormente con il migliorare delle tecniche di produzione dei nuovi biocarburanti. Di conseguenza, una volta determinato il maggior costo industriale del biocarburante da agevolare, l’incremento dell’accisa dovrà riguardare tutti i quantitativi di gasolio immessi al consumo, compresi quelli di biodiesel, per i quali sarà esentata la quota parte dell’accisa corrispondente ai predetti costi ed a quelli di distribuzione del biodiesel (superiori a quelli del gasolio, essendo le unità produttive e gli stoccaggi dedicati non confrontabili con quelli del settore petrolifero). Va anche ricordato il diverso potere calorifico e la diversa densità del biodiesel rispetto al gasolio fossile: in fase di combustione questa differenza non genera un incremento dei consumi di pari entità, in ragione del recupero di efficienza termica che caratterizza il biodiesel (dovuto all’assenza di zolfo), della minor formazione di incombusti, dell’elevata presenza di ossigeno molecolare.

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A STRATEGIA COMUNITARIA INDIVIDUA NELLA MULTIFUNZIONALITÀ

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Costruire e abitare, secondo l’uomo e l’ambiente >62 “Chi global?” Chi ha vinto e chi ha perso >66

economiasolidale UN SITO CHE PORTA ACQUA A CHI NON CE L’HA

L’OMBRA DEL DOLO DIETRO IL ROGO DELLA LUCIERNAGA

CRESCONO GLI ENTI PUBBLICI EQUI E SOLIDALI

JEANS ALLA MODA E POLITICAMENTE CORRETTI

GARANTIRE I DIRITTI FONDAMENTALI NEL MERCATO GLOBALE

UNA BUSTA IN “PLASTICA” VEGETALE PER FARE LA SPESA

Un bicchiere in primo piano e l’area dello schermo del computer divisa in tanti quadratini (pixel), alcuni dei quali occupati da banner e sponsor. A cosa servono? A garantire il diritto all’acqua nel Sud del Mondo. Il sito www.unmilionedilitri.it è un’iniziativa di Acra (Associazione di Cooperazione Rurale in Africa e America latina) per sostenere concretamente il diritto all’accesso e alla gestione dell’acqua e per affermare la sua natura di bene pubblico e diritto fondamentale. L’iniziativa garantirà 50 litri di acqua al giorno a chi non ce li ha. Chiunque, cittadino, azienda, associazione, istituto scolastico, ente locale potrà contribuire in prima persona imprimendo sullo schermo il proprio marchio o banner. Il ricavato dell’iniziativa servirà a sostenere i progetti di Acra per il diritto all’acqua in Italia, Bolivia, Ecuador, Tanzania, Ciad, Senegal, Nicaragua. Una parte invece sarà destinata a iniziative per la promozione dell’acqua come bene comune dell’umanità. Un esempio: in Tanzania Acra sta costruendo un acquedotto che darà acqua potabile a 14 villaggi e che verrà distribuita con 241 fontane pubbliche, garantendone 40 litri al giorno per ogni abitante. L’acquedotto verrà poi gestito da un consorzio tra villaggi eletto democraticamente dalla popolazione locale.

La Luciernaga (ovvero lucciola), comunità che si trova in Honduras e che ha dato vita ad alcuni progetti legati al commercio equo e solidale, il 5 ottobre scorso è stata colpita da un incendio di enormi proporzioni. È stata ridotta in cenere la casa rifugio dove, in quel momento, erano ospiti quattordici persone, perlopiù donne e bambini, nove delle quali hanno perso la vita. La casa rifugio era una casa comune che accoglieva, appunto, donne e bambini che avevano subito violenze e vessazioni di ogni tipo. Il lavoro comunitario era parte integrante della vita nella Luciernaga, il cui laboratorio confezionava candele decorative, diventate un simbolo di riscatto per tante donne dell’Honduras. Grazie al circuito del commercio equo e solidale, le candele della Luciernaga erano e sono tuttora note e apprezzate in Italia e negli Stati Uniti d’America. Negli ultimi anni la casa rifugio accoglieva le lavoratrici della maquilla, la fabbrica, che, a causa delle loro rivendicazioni o per la semplice rivolta contro condizioni di lavoro disumane, subivano minacce e violenze. Che sulla Luciernaga spirasse un vento di violenza lo si era già capito nella notte del 5 giugno 2006, quando un incendio ridusse in cenere il laboratorio. Anni di lavoro, investimenti ed energie azzerati in un battibaleno. Il 5 ottobre scorso il secondo tragico incendio. Questa volta con la morte di nove persone. Subito dopo il fatto i quotidiani parlarono di tragedia dovuta ad un corto circuito dell’impianto elettrico. Nello stesso giorno, però, il comandante dei Vigili del Fuoco di Tegucigalpa dichiarava che il corto circuito poteva essere l’ipotesi più accreditata, ma non si potevano escludere altre piste. Un secondo comunicato dei vigili del fuoco apriva ipotesi più inquietanti perché ammetteva che l’impianto elettrico era stato ripristinato dalla Luciernaga e certificato dai vigili stessi cinque mesi prima dell’incendio.

Dopo il comune di Roma, quello di Concorezzo e la Province di Cremona e Ferrara, arrivano anche i comuni di Modena, Padova e la Provincia di Milano. Sono questi i nuovi enti pubblici riconosciuti equosolidali dal Comitato tecnico della campagna “Città equosolidali” promossa da Agices (l’Associazione più rappresentativa delle organizzazioni di commercio equo in Italia), Fairtrade TransFair Italia (marchio di certificazione), Coordinamento Agende 21 locali italiane e Coordinamento Enti locali per la pace e i diritti umani. Si tratta di un riconoscimento per il loro impegno a favore del commercio equo e nelle scelte amministrative fatte nel quotidiano per diffondere questa buona pratica tra i cittadini. Per diventare equosolidali gli enti devono dimostrare di aver inserito i prodotti equi nei capitolati d’appalto per le mense pubbliche o per i distributori automatici o di utilizzarli per i buffet interni; documentare di svolgere attività di informazione e di promozione del commercio equo, attivando relazioni con i soggetti locali che operano in quest’ambito; approvare una mozione di indirizzo che impegni l’amministrazione a operare in questa direzione. Gli enti pubblici hanno un ruolo chiave per la diffusione di questo commercio. Ogni anno, infatti, in Europa, le amministrazioni pubbliche investono 1.500 miliardi di euro in beni e servizi.

Jeans confezionati senza sfruttare i lavoratori del Sud del Mondo e con cotone certificato da Fairtrade TransFair Italia, il marchio che certifica la provenienza da aziende e consorzi di produttori che lavorano secondo i criteri del commercio equo e solidale. I capi sono stati firmati da Rica Lewis, numero uno nelle vendite all’interno del circuito della grande distribuzione francese. In Italia sono commercializzati in 25 Iper del centro-nord. Il cotone, una delle materie prime che causa maggiore sfruttamento nel mondo, proviene da organizzazioni di produttori del Camerun, viene tessuto in Italia e confezionato in Tunisia. Tutta la filiera viene controllata dal sistema Fairtrade: FLO (il coordinamento internazionale dei marchi) per la parte produttori, Max Havelaar France e Fairtrade TransFair Italia per la parte aziendale. La Rica Lewis, accanto alla storia aziendale, alle campagne di pubblicità, al marketing, ha anche un preciso impegno di responsabilità codificato. Tra gli obbiettivi: favorire il commercio equo e solidale, creare le condizioni per uno sviluppo economico e sociale, riequilibrare i rapporti di forza del mercato, favorire una solidarietà basata sulla reciprocità e condivisione e non sull’assistenzialismo, migliorare le condizioni di lavoro e rispettare l’ambiente nelle produzioni.

Quale strada per garantire i diritti umani nel campo di accordi commerciali internazionali? Nel convegno “Diritti fondamentali e mercato globale” che si svolgerà a Milano il prossimo 1-2 dicembre 2006, si partirà dalla risoluzione Agnoletto approvata lo scorso 14 febbraio dal Parlamento europeo sulla Clausola diritti umani e democrazia negli accordi tra Unione europea e Paesi terzi. L’aula di Strasburgo ha assunto una posizione netta nei confronti dell Commissione e del Consiglio europeo, dichiarandosi indisponibile ad avallare nuovi accordi commerciali che non contengano una clausola democratica chiara, valida per tutti i Paesi partner (non solo per i più deboli), applicata a tutti gli accordi commerciali (compresi quelli settoriali come il tessile e l’agricoltura) e inclusiva delle responsabilità delle multinazionali. La clausola lontana dall’essere risolutiva delle ingiustizie strutturali tra Nord-Sud, può essere uno spunto importante per discutere come può essere trasformato il rapporto tra diritti e mercato e come si possano aprire nuove strade verso una reale partecipazione popolare ai processi politici. Una due giorni intensa di dibattiti, che vedranno confrontarsi tra gli altri Vittorio Agnoletto (europarlamentare Sinistra unitaria europea); Aminata Traorè (Forum sociale del Mali), Susan George (Attac France), Samir Amin (Forum mondiale delle alternative), Wahu Kaara (Comitato organizzatore Nairobi 2007), Patrizia Sentinelli (vice ministra degli Esteri), Chico Whitaker (Commissione brasiliana per la pace e la giustizia), Valerio Onida (Università degli Studi di Milano), Emilio Molinari (Contratto mondiale sull’acqua). Il convegno “Diritti fondamentali e mercato globale”, iniziativa verso il Forum Sociale di Nairobi 2007, si terrà alla Camera del Lavoro di Milano in corso di Porta Vittoria 43.

Molti se lo saranno chiesto: perché, se esistono già i sacchetti completamente biodegradabili, quando facciamo la spesa continuano a darci i sacchetti di plastica, che inquinano e si smaltiscono con costi ambientali enormi? Qualunque essa sia, non importa più conoscerla perché la Commissione ambiente della Camera dei deputati ha approvato un emendamento alla finanziaria che dice stop ai sacchetti non biodegradabili. L’addio alle buste di plastica avverrà dal 1 gennaio 2010, perché gli shopper saranno realizzati con materiale biodegradabile. Una decisione importante perché oltre a ridurre l’abbandono dei rifiuti, abbatterà le emissioni di gas serra. In Italia si stima che vengano prodotte circa 300mila tonnellate di shopper in polietilene, che equivalgono a 430mila tonnellate di petrolio, con una emissione di Co2 in atmosfera di circa 200mila tonnellate. Una notizia che arriva nel momento in cui a Terni sta nascendo la prima bio- raffineria a base di mais e di semi di girasole. La società italiana Novamont, infatti, pioniera nel settore dei prodotti biodegradabili, ha inaugurato un impianto capace di produrre dei bio-poliesteri a base di oli vegetali. Anche in Francia a partire dal primo gennaio 2010 sarà vietato dare al consumatore finale, a titolo gratuito o oneroso, dei sacchetti in plastica non biodegradabile.

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Costruire e abitare secondo l’uomo e l’ambiente

LA SOSTENIBILITÀ A JOB&ORIENTA I.E.S. SOSTENIBILITÀ – ITINERARI EDUCATIVI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE si candida a valorizzare le diverse esperienze e progettualità di enti pubblici, privati e non a scopo di lucro che desiderano investire nella sfida per un nuovo mondo possibile mettendosi a disposizione delle più diverse occasioni (Saloni, fiere, meeting, ecc.) di promozione culturale ed educativa per rafforzare il messaggio di unitarietà e di globalizzazione sostenibile ambientale, sociale ed economica. Dal 23 al 25 novembre prossimi, presso la Fiera di Verona, torna JOB&Orienta, la mostraconvegno nazionale dedicata alla scuola, l’orientamento, la formazione, il lavoro, giunta alla 16a edizione ospiterà la prima edizione di I.E.S. Soteniibilità. Si tratta di una delle più importanti e prestigiose vetrine, a livello nazionale, per presentare e conoscere i nuovi percorsi di orientamento e formazione, l’editoria di settore, i servizi per la didattica più innovativi, i progetti nazionali ed europei in ambito di politiche attive per il lavoro. “I giovani crescono, cresce l’Europa. Educare alla cittadinanza, formare al lavoro” è il titolo di questa edizione che indagherà sui temi della mobilità e della cittadinanza europea, evidenziando il fondamentale ruolo che il sistema educativo svolge nella formazione dei cittadini e lavoratori del futuro. Per informazioni: Segreteria organizzativa - Layx, tel: 049 8726599, fax: 049 8726568, www.veronafiere.it/joborienta mail: job@layx.it .

La bioedilizia non è una moda: basta recuperare criteri e tradizioni dell’edificazione secondo criteri naturali. Ambienti più salubri, meno inquinamento e malattie, risparmio energetico. La Comunità Europea ha indicato la bioedilizia tra le strategie del suo modello di sviluppo.

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ROBERTO CACCURI / CONTRASTO

dell’atto del costruire e delle sue conseguenze sulla salute degli abitanti e sul territorio circostante. Tutte le scelte relative alla ristrutturazione o alla nuova costruzione di un edificio hanno un impatto più o meno forte sull’ambiente esterno e sulle condizioni di salubrità dei locali chiusi. Qualsiasi scelta relativa alla ristrutturazione o alla costruzione della propria abitazione ha un effetto più o meno evidente sull’ambiente interno ed esterno. Occorre quindi capire qual è la condizione reale dell’aria interna delle abitazioni, cercando di far sì che i propri comportamenti e le proprie scelte non vadano ad aggravare ulteriormente la situazione. A ben vedere, guardando le abitazioni dall’antichità fino alla metà del ventesimo secolo, si nota che l’uomo ha sempre realizzato le proprie case con pochissimi materiali tutti locali, soprattutto per la facile reperibilità e per evitare i costi di trasporto di materiali alternativi, se non a scapito di energie eccessive. Nei secoli, inoltre, sono stati usati e sono state migliorate le loro condizioni applicative, ma più di tutto sono stati “vissuti” e se ne è potuta sperimentare la totale innocuità. Tali materiali sono la calce, il cotto, la pietra, il legno, la terra cruda, più tutti i materiali di derivazione vedi Andrea Di Stefano getale o animale che si originavano da un ciclo economico chiuso e senza impatto o quasi sull’ambiente. GLI STRUMENTI DELLA BIOEDILIZIA Con l’avvento dell’industrializzazione e l’uso sempre più masI materiali da utilizzare in una costruzione siccio della chimica pesante nell’edilizia, sono stati creati materiao ristrutturazione bio-edile devono garantire la soddisfazione di alcuni requisiti tra cui: li nuovi, non sempre testati e di cui in breve tempo si è riconoigroscopicità e traspirabilità sciuta la tossicità per l’uomo. Sono state così individuate nuove paantistaticità e ridotta conducibilità elettrica tologie legate ai materiali da costruzione e si sono formulate taassenza di emissioni nocive in fase di produzione, posa, uso e smaltimento finale belle in cui ai vari componenti di sintesi chimica viene parallelabuona resistenza al fuoco mente correlato un disturbo fisico. Molto più difficile è individuaassenza di fumi nocivi e tossici in caso di incendio stabilità e durevolezza nel tempo re l’effetto combinato di tali sostanze. Occorre ricordare che circa inattaccabilità da muffe, insetti e roditori il 40% e oltre dell’inquinamento interno è da riferirsi alle attività elasticità e resistenza a sbalzi di temperatura e umidità che si svolgono dentro gli ambienti: fumo da tabacco, cucine a gas, resistenza a sollecitazione chimica e meccanica assenza di radioattività camini a vista, prodotti per la pulizia e la disinfezione, peli degli elevata inerzia termica animali, acari, ecc. Tali agenti inquinanti permangono poi sopratprovenienza da risorse rinnovabili o riciclate tutto nelle nuove costruzioni, a causa della presenza di materiali reperibilità il più possibile in loco biodegradabilità o riciclabilità poco traspiranti e impermeabili che costituiscono le murature peprovenienza da processi produttivi rimetrali degli edifici. Anche i serramenti sebbene garantiscano un il più possibile esenti da nocività per i lavoratori e di ridotto impatto ambientale notevole risparmio dal punto di vista energetico, contribuiscono facilità di applicazione, praticità e qualità collaudate all’ingenerarsi di tale fenomeno. La casa non respira più e l’aria gradevolezza al tatto, alla vista e all’olfatto non può veicolare all’esterno il vapore acqueo prodotto a cui si po-

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N APPROCCIO NUOVO ALLA COSTRUZIONE, CHE TENGA CONTO DEGLI ASPETTI AMBIENTALI

Alcuni inquilini dell’edificio plurifamiliare di edilizia popolare Maso della Pieve. Il condominio, progettato dall’architetto Antonio Lescio, ha vinto nella sua categoria il concorso Casa Clima 2005 per il risparmio energetico.

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trebbero legare gli agenti inquinanti: si può quindi parlare di casasacchetto di plastica.

Gli obiettivi della bioedilizia L’edilizia bio-ecologica considera la salubrità degli ambienti e il minimo impatto ambientale possibile, contribuendo in questo modo a migliorare nell’ambito edile le condizioni di vita dell’uomo. Oltre ai ma-

teriali, vengono presi in considerazione il sito, il clima locale, l’ ottimizzazione energetica, il risparmio dell’acqua potabile, ecc. Va ricordato che tale multidisciplina nasce in ambito centro-nordeuropeo, in paesi in cui le condizioni climatiche (con inverni lunghissimi e rigidi) e la situazione territoriale (paesi montani come la Svizzera e l’Austria, o sotto il livello del mare come i Paesi Bassi) imponevano, per la loro stessa sopravvivenza, un’attenzione maggiore agli aspetti ambientali di quella prestata da paesi come l’Italia o i paesi mediterranei. Gli edifici dovrebbero essere concepiti già in fase di progettazione come smontabili, adattabili e recuperabili, una volta che il loro ciclo di vita e la loro funzione originaria venga a mancare di utilizzo. Nel caso in cui non si possano recuperare, i materiali devono essere il più possibile biodegradabili e non inquinare le falde acquifere. Queste caratteristiche devono poter essere garantite e per questo sono nati, soprattutto all’estero ma ora anche in Italia, enti di certificazione in grado di valutare il singolo materiale nella sua complessità chimica e ambientale, oltre agli eventuali effetti che può produrre sulla salute umana. I materiali diffusi sul mercato italiano sono quasi tutti certificati e come tali garantiti per tutti gli aspetti suddetti, anche se si può assistere a casi di autocertificazione interna delle aziende produttrici che comunque non ne pregiudica la qualità globale. In alcuni paesi europei, dove la bioedilizia è nata e si è diffusa, non tutti gli interventi edili presentano caratteri di totale uniformità ai criteri sopra espressi. Si può parlare, quindi, di un maggiore o minore grado di ecologicità di un intervento costruttivo: ciò non toglie nulla al fatto che, per potersi diffondere, sono benvenuti, anche in una realtà ancora agli inizi come quella italiana, esempi di interventi di costruzione o recupero, anche parziali, con l’utilizzo soltanto di alcuni materiali o tecniche costruttive bioecologiche. In un recente congresso, “La casa ecologica dalla sperimentazione all’ordinarietà” – Roma 21 Gennaio 2004, sono stati presentati i risultati di un’indagine, condotta da Federabitazione in collaborazione con ANCI, Istituto di Bioarchitettura e Legambiente, in circa 250 comuni italiani tra grandi, medi e piccoli, che con i loro 10 milioni di abitanti rappresentano oltre il 17,5% della popolazione italiana. Più della metà dei Comuni interpellati ha creato le condizioni per la realizzazione di case ecologiche. Un altro 10% è sul punto di farlo e solo 35 su 100 ancora non hanno messo mattoni sostenibili nel programma di governo del proprio territorio. Tra i comuni che hanno |

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IL PRIMATO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA LA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA è stata una delle prime ad approvare una legge in materia di edilizia sostenibile, con l’obiettivo di perseguire il principio di uno sviluppo sostenibile in urbanistica ed edilizia, privilegiando nel contempo le peculiarità storiche, ambientali, culturali e sociali del suo territorio. La legge promuove architettura ed edilizia ecologica nella costruzione e/o nella ristrutturazione di edifici pubblici o privati. Ai fini della legge si intendono per interventi in edilizia ecologica, bio-eco-eticocompatibile, edilizia bioecologica, edilizia naturale e sostenibile, quegli interventi in edilizia pubblica o privata che possiedono alcuni requisiti. Devono prevedere uno sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio e dell’ambiente urbano; tutelare l’identità storica degli agglomerati urbani e favorire il mantenimento dei caratteri storici e tipologici legati alla tradizione degli edifici. Ma anche favorire il risparmio energetico, l’utilizzo delle fonti rinnovabili e il riutilizzo delle acque piovane; ed essere concepiti e costruiti in maniera tale da garantire il benessere, la salute e l’igiene degli occupanti. A questo fine le tecnologie applicate devono essere sostenibili sotto il profilo ambientale, economico, sociale ed energetico; i materiali da costruzione, gli impianti, gli elementi di finitura, gli arredi fissi non devono sviluppare gas tossici, emissione di particelle, radiazioni o gas pericolosi, inquinamento dell’acqua o del suolo, requisiti che devono durare per tutto il ciclo di vita del fabbricato. La regione ha identificato nel Protocollo regionale per la valutazione della qualità energetica e ambientale di un edificio, lo strumento attuativo per disciplinare la valutazione del livello di biosostenibilità dei singoli interventi in bioedilizia e per graduare i contributi previsti dalla legge e concessi dalla regione a fronte dei maggiori oneri connessi con la realizzazione di interventi di costruzione e/o ristrutturazione di edifici eseguiti da soggetti pubblici e/o privati, sulla base dei criteri e della gradualità previsti dal protocollo. Sono inoltre previsti incentivi per strumenti di indagine territoriale in materia di bioedilizia.

LA BIOEDILIZIA FA GIOCO DI SQUADRA già deliberato una forma d’incentivo in favore di costruzioni ecocompatibili, la percentuale più alta (28%) prevede uno sconto sugli oneri di urbanizzazione, uno su 5 (il 21%) un incentivo volumetrico ovvero la possibilità di aumentare le cubature degli edifici, il 16% vincola l’edificabilità di alcune aree all’edilizia sostenibile, il 12% uno sconto sull’ICI, un altro 12% concede finanziamenti con bandi di concorso. Anche tra i comuni favorevoli che stanno valutando quali forme d’incentivo attuare, lo sconto sugli oneri di urbanizzazione rimane il favorito, scelto dal 44% delle amministrazioni, seguito dallo sconto sull’ICI (35%), gli obblighi nelle convenzioni per le aree (34%), l’incentivo volumetrico (32%), i bandi (29%) e altro (5%). «Perché si realizzi una concreto cambiamento verso un’edilizia sostenibile, quella degli incentivi pubblici è la strada giusta – ha dichiarato Angelo Grasso, presidente di Federabitazione – Il sistema degli incentivi, infatti, mette gli operatori di fronte alla scelta fra le soluzioni ordinarie e quelle incentivate. Quello che s’innesca è un processo culturale

che modifica le prassi edilizie correnti. Questo non accade nel caso degli obblighi, di fronte ai quali l’operatore cerca di ridurre al minimo la ricaduta della norma sul proprio operato». È ancora la Comunità Europea a indicare il modello di sviluppo e gli obiettivi per i prossimi cinque anni ed è significativo che all’interno di queste strategie un posto di rilievo assume la bioedilizia: «L’edilizia sostenibile migliora l’efficienza energetica con la conseguente diminuzione delle emissioni di CO2. La Commissione incoraggia gli Stati membri e le autorità regionali e locali a elaborare programmi per la promozione dell’edilizia sostenibile. Per promuovere l’efficienza energetica e il ricorso a fonti energetiche rinnovabili tra gli attori locali e regionali, la Commissione continuerà, a sostegno della propria politica energetica, l’attuazione del programma “Energia intelligente – Europa”. Il Libro verde sull’efficienza energetica pone la questione dell’opportunità di estendere la direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia agli edifici più piccoli al momento della ristrutturazione».

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SCAMBIO TECNOLOGICO A BOLZANO

SITI E ISTITUZIONI

APPUNTAMENTI

APPUNTAMENTO A BOLZANO, IL 26 GENNAIO 2007, per la prima edizione di GreenVillageTechs (http://gvt.ircnet.lu), la giornata di intermediazione tecnologica dedicata alle tecnologie innovative dei settori della bioedilizia, delle energie da fonti rinnovabili, della salvaguardia dell’ambiente. GVT2007 vuole essere una preziosa opportunità per dare visibilità alle proposte o richieste di tecnologia/know-how ed innovazione, per prendere contatto diretto con potenziali partner nazionali e internazionali. Organizzato da Agenzia per lo Sviluppo (l’Agenzia per lo Sviluppo della Provincia Autonoma di Trento) in collaborazione con TIS, Veneto Innovazione, Area Science Park e la rete degli Innovation Relay Centre europei, GVT2007 si terrà in concomitanza con Klimahouse 2007, la seconda edizione della fiera internazionale dell’efficienza energetica e dell’edilizia sostenibile. Per partecipare a GVT è sufficiente registrarsi sul sito Internet http://gvt.ircnet.lu entro il 22 dicembre 2006, inserendo uno o più “profili” delle proprie offerte e fabbisogni tecnologici. Tutti i profili confluiranno nel catalogo on-line, attraverso il quale i partecipanti registrati potranno selezionare i potenziali partner di maggiore interesse e richiedere un incontro bilaterale da tenersi a Bolzano. Si potranno richiedere fino a cinque incontri.

Laboratorio CAAD - DIPSA Dipartimento di Progettazione e Scienze dell’Architettura Via della Madonna de’ Monti, 40 00184 Roma Tel. 06.48.19.437 Fax 06.48.18.625 www.arch.uniroma3.it Corso di Architettura Bioecologica in 3 livelli

Ecomondo, Fiera del recupero di materia, energia e sostenibilità 8-11 Novembre, Rimini www.ecomondo.it

ANAB - Associazione Nazionale Architettura Bioecologica via G. Morelli, 1 I 20129 Milano Tel. 02.76.39.01.53 Fax 02.76.39.97.98 www.anab.it Corso di perfezionamento in Edilizia Bioecologica

Eolico e Italia: un connubio possibile? 10-11 novembre, Rimini, Ecomondo www.prorinnovabili.unmondodi.it /Ecomondo/index.html Congresso nazionale Istituto nazionale bioarchitettura 24 Novembre, Roma web.bioarchitettura.it Klimahouse 2007, Fiera internazionale per l’efficienza energetica e l’edilizia sostenibile 25 - 28 gennaio 2007, Bolzano www.fierabolzano.it/klimahouse2007

Università degli Studi di Bologna Facoltà di Ingegneria - DAPT Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale Viale Risorgimento, 2 40136 Bologna Tel. 051.20.93.155 www.dapt.ing.unibo.it Corso Nazionale di Bioarchitettura in 3 livelli

Greenbuilding, prima mostra convegno internazionale su efficienza energetica e architettura sostenibile 19-21 aprile 2007, Verona www.greenbuildingexpo.eu /greenbuilding/ita/index.asp

INBAR - Istituto Nazionale di Bioarchitettura Vicolo Cà de Pezzi 39100 Bolzano Tel. 0471.97.30.97 www.bioarchitettura.org

Alessandro Fassi e Laura Maina L’isolamento ecoefficiente Guida all’uso dei materiali naturali 2006 - pagine 208 - euro 40,00 Edizioni Ambiente

HSA - Habitat Salute e Architettura Via Piave, 28 10098 Rivoli (Torino) Tel. 011.95.66.393 Fax 011.95.66.440 www.reteambiente.it Bioedilizia Italia Via Carrara 167 16147 Genova Tel. 010.37.76.705 www.bioediliziaitalia.org

LIBRI

Dominique Gauzin-Müller Architettura sostenibile (29 esempi europei di urbanistica, qualità ambientale, sviluppo sostenibile) Edizioni Ambiente 2003 Wienke Uwe Manuale di bioedilizia 2004 - euro 34,00 - Editore DEI La casa bioecologica - Guida alla bioedilizia e all’arredo ecologico 2003 - euro 20,00 Editore AAM Terra Nuova

LA PECULIARITÀ DEL DISTRETTO TREVIGIANO DELLA BIOEDILIZIA, nato a fine 2003 per iniziativa degli artigiani locali (Cna), è quella di mettere insieme nella filiera, realtà aziendali e professionali molto eterogenee. Oggi sono 420 le organizzazioni che aderiscono distribuite su 7 province del Veneto, con prevalenza delle imprese di costruzione ed edili (149); ben rappresentati anche i produttori di materiali con 51 aziende e i piastrellisti e dipintori con 42 realtà; più limitata ma molto qualificata la presenza degli studi professionali. Il volume d’affari si aggira sui 250 milioni e le aziende occupano mediamente 10 persone ciascuna. «Abbiamo verificato - spiega Alessandro Conte, presidente Cna Treviso che c’è un grande interesse soprattutto nella nostra zona per un modo di abitare più ecosostenibile. Il ruolo fondamentale è quello di offrire ai partecipanti opportunità di lavoro aggregando attorno al progetto, presentato da un’impresa o da uno studio, tutte le competenze necessarie per la realizzazione». L’interesse per la bioedilizia si fa largo anche presso le amministrazioni locali. «Ai Comuni della Provincia - continua Conte - stiamo proponendo di adottare le “Linee guida per la sostenibilità ambientale e per la qualità dell’abitare”. In questa ottica si potrebbero prevedere anche incentivi economici a favore di chi propone progetti di bioedilizia». I Comuni che hanno aderito sono già otto: Asolo, Crocetta del Montello, Pederobba, Povegliano, Riese Pio X, S. Biagio di Callalta, Ponte di Piave, Volpago. Quelli che hanno espresso la volontà di farlo sono sei: Casale sul Sile, Godega, Oderzo, Possano, S. Zenone degli Ezzelini, Mogliano Veneto. «I progetti portati avanti dal distretto - afferma Angelisa Tormena, coordinatrice del distretto - riguardano aspetti fondamentali quali la promozione del marchio del distretto, la presentazione alle fiere specialistiche e, soprattutto, un progetto per il riconversione di un’area produttiva dismessa alle porte di Treviso. Questi progetti del valore 1,6 milioni sono stati ammessi al contributo regionale della legge 8/2003. In questo momento il settore che tira di più è quello del risparmio energetico, anche perché va ad incidere direttamente nelle tasche della gente. Quindi parliamo di pannelli solari, di nuovi sistemi di riscaldamento o raffrescamento a pavimento o a irraggiamento, di sistemi di coibentazione di pareti e soffitti. C’è anche una buona prospettiva nel settore delle ristrutturazioni edilizie, con l’utilizzo di materiali ecocompatibili». I presupposti dell’edilizia sostenibile sono semplici e riguardano tutti. «Il punto di partenza è quello di mettere in condizione le persone di vivere in abitazioni più sane in un rapporto di armonia con l’ambiente e la natura - sottolinea Paolo Giordano, componente consigliere nazionale Inbar, l’Istituto nazionale di bioarchitettura - Grande importanza viene attribuita in primis ad una corretta progettazione, che tenga conto di aspetti fondamentali ma sottovalutati quali il microclima, la disposizione degli edifici, gli spazi comuni e di verde». Lorenzo Vittori, componente del comitato tecnico-scientifico del distretto e presidente regionale dell’Anab, l’Associazione nazionale di architettura biologica, completa il ragionamento: «Rileviamo un forte degrado avvenuto negli ultimi anni nella qualità delle abitazioni soprattutto in relazione ad aspetti relativi alla salubrità dei materiali impiegati. Si pensi che la qualità dell’aria che respiriamo nelle case costruite in questi ultimi 30-40 anni è 4-5 volte peggiore rispetto all’ambiente esterno per la presenza di elementi tossici quali benzene, formaldeide. Questo sia per la scarsa aerazione dei locali che per la presenza di additivi chimici nei materiali edili utilizzati».

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Chi ha vinto e chi ha perso

Premio Areté

Comunicazione responsabile

Il 4, 5, 6 novembre a Riva del Garda (Tn), Mani Tese organizza il convegno internazionale “Chi Global?”. Economia, cultura e politica ai tempi della globalizzazione. Tra i relatori: Nicola Bullard, Samir Amin, Laura Carlsen, Asha El Khari. UAL È IL DISEGNO DEL MONDO GLOBALIZZATO? L’Ong Mani Tese con un convegno internazionale ha messo a fuoco l’immagine del pianeta attraversato da un processo che ha cambiato gli equilibri mondiali. L’obiettivo è capire chi ha vinto e chi ha di Cristina Artoni perso con questa globalizzazione, un processo che ha disegnato un mondo non più diviso lungo un asse immaginario Nord-Sud, ma centri di potere e periferie globali. È un’immagine difficile da fissare perchè la globalizzazione neoliberista è sempre in movimento influenzata dai numerosi aspetti locali, economici, politici e sociali che necessariamente si mettono in gioco. Uno degli aspetti più evidenti è però la disparità che questo processo ha acuito con immediate ricadute sociali catastrofiche. L’analisi dei processi di globalizzazione economica e l’attuale fase di crisi è stata affidata da Nicola Bullard, ricercatrice e attivista di Focus on the Global South, in Thailandia. Nella sua relazione i concetti di Nord e Sud del mondo, di centri e periferie globali, vengono analizzati alla luce delle dinamiche degli ultimi anni, per tracciare i contorni del fallimento del neoliberismo e una realtà di pochi centri di potere economico-finanziario globale, capaci di trarre vantaggi enormi dalle ferite sociali che la globalizzazione ha inferto alle periferie del pianeta.

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Ruolo del Wto

di Massimiliano Pontillo

sviluppo che ignora gli individui diventa un’unica voce. Centri globali ristretti ed elitari contro periferie globali sempre più grandi e pronte a mobilitarsi contro un’evidente ingiustizia sociale. Ad interloquire con la Bullard anche Juraci Portes De Oliveira, rappresentante del Movimento brasiliano dei Sem Terra, portatore di un modello di sviluppo auto-centrato, basato sulla preminenza del mercato locale. Una sessione importante è stata dedicata al ruolo della politica nei processi di globalizzazione. In gioco ci sono due strade: vedere se prevarranno regole globali oppure assisteremo ad un proliferare di regionalismo. La relazione principale è stata affidata a Samir Amin, presidente del Forum Mondiale delle Alternative e autore di numerose pubblicazioni di analisi dello sviluppo ineguale tra Nord e Sud del mondo. Le tesi di Amin prefigurano un mondo multipolare dove ampie aree regionali siano in grado di darsi una strategia politica di ampio respiro, capace di contrapporsi allo strapotere USA e di strutturare un ordine mondiale più democratico. Ad animare la tavola rotonda con l’economista e storico egiziano sono stati chiamati due attivisti provenienti dai poli opposti della gerarchia geopolitica: Laura Carlsen, dell’International Relations Center degli Stati Uniti d’America, autrice di articoli e saggi sulla questione americana (l’integrazione tra Nord, Centro e Sud America) e Asha El Kharib, di ACORD, in rappresentanza dei movimenti sociali africani.

Il WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, è l’espressione massima di questa deriva. L’istituzione sulla carta avrebbe dovuto garantire prosperità, piena occupazione, la riduzione della povertà e la Gli aspetti culturali protezione dell’ambiente. Per arrivare a questi obiettivi l’unica straNelle terza sessione Mani Tese analizza l’aspetto culturale della globada individuata sembra essere stato l’accesso a un commercio totallizzazione, quello in base al quale sentiamo di poter definire “globali” mente liberalizzato. Le ricadute sono state ben differenti dai presupquei cittadini che sono capaci di cogliere la ricchezza dell’incontro posti che i fondatori del WTO si erano dati nel 1994. Infatti siamo di con l’altro. Ad introdurre questa tematica complessa, che intreccia il fronte a un mondo in cui progressivamente aumenta la povertà e i piano antropologico, la sociologia dei processi migratori e la politica, divari economici. Un secolo fa il solco tra i più poveGeneviéve Makaping, antropologa di origine cameruri del pianeta era di 1 a 10, quindi di 1 a 30 negli annese, professoressa all’Università di Reggio Calabria e ni Settanta, poi 1 a 70 negli anni Novanta, per arrigiornalista televisiva. Presenti anche Gloria Muñoz vare all’attuale rapporto di 1 a 80. Un divario che non Ramirez, giornalista meticcia messicana che ha scelto, si limita ai paesi del sud del mondo. Nel 1973 l’aerea da dieci anni, di condividere il percorso delle comudei paesi più industrializzati aveva 10 milioni di dinità indigene del Chiapas, e due intellettuali italiani soccupati. Oggi nelle stesse aree geografiche ci sono Marco Revelli e Bruno Amoroso. 40 milioni di senza lavoro. Una sessione speciale è stata dedicata all’Italia e alIn questo mondo globale, carico di diversità, nala perdita di competitività delle industrie nazionali per La locandina del convegno internazionale di Mani Tese scono così tante “periferie” dove la critica verso uno l’ascesa di nuovi concorrenti globali, Cina in testa.

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A COMUNICAZIONE RESPONSABILE È ELEMENTO STRATEGICO CHIAVE della coscienza collettiva per un futuro sostenibile. È chiara, precisa, rispetta la persona, le diversità, l’ambiente; tutela la lingua italiana, i valori etnici e culturali del nostro Paese. Si rifà ai principi di legalità, trasparenza, autoregolamentazione». Così possiamo sintetizzare i risultati dei lavori svolti durante la terza edizione del Premio Aretè, svoltosi a Siracusa il 6 e 7 ottobre scorso. Nato da un’idea di Enzo Argante, direttore di Tempo Economico, vuole diffondere la cultura di una comunicazione responsabile “basata sulla capacità di rendere responsabile il messaggio; non una comunicazione di solidarietà o di funzione sociale, ma da ascrivere alle attività correnti di una azienda pubblica o privata che veicola informazioni chiare, concrete e di valore, sia nell’ambito delle iniziative editoriali e di intrattenimento che sui prodotti e sui servizi che vende”. Il Premio Aretè (dal greco, un corso virtuoso di pensiero, sentimento e azione) segnala, sia alla business community che all’opinione pubblica, i soggetti che si sono distinti per l’efficacia della comunicazione nel rispetto delle regole della responsabilità. Alla Convention, promossa dall’Associazione Pentapolis Interesse crescente e dal Club Santa Chiara, hanno aderito con i loro progetti aziende, per il Manifesto enti pubblici, onlus, radio, televisioni, giornalisti. Quasi 200 che mira a rendere i candidati iscritti, suddivisi in più categorie. Gli elaborati anche il messaggio sono stati esaminati dalla giuria, presieduta da Alberto Contri, responsabile Presidente della Fondazione Pubblicità Progresso, chiamata a premiare i lavori più rappresentativi, espressione di quel sistema di valori a cui le imprese, i comunicatori, i giornalisti, i pubblicitari dovrebbero ispirarsi per veicolare i messaggi ai rispettivi pubblici nel modo più corretto e veritiero. Il forte interesse per l’iniziativa siracusana dimostra come queste tematiche siano pesantemente entrate a far parte delle problematiche aziendali e professionali. Ma, mentre il mondo delle imprese già dispone di strumenti più delineati (come il bilancio sociale) per la messa in pratica della propria responsabilità sociale, più vaghi e meno chiari appaiono i principi generali destinati a tutti gli altri attori del “pianeta” comunicazione. Da qui l’esigenza di affiancare all’etica personale, sempre auspicabile, un preciso sistema di regole che rappresenti una bussola per tutti coloro che intendono addentrarsi nel percorso della “responsabilità”. Obiettivo del Manifesto è, dunque, stabilire norme e principi validi per tutti: per la pubblicità, per il mondo della ricerca, ma esteso a tutti i nuovi modi di comunicare. Quelli creati da Internet (blog e forum) fino alle altre tecnologie ormai parte del nostro vivere quotidiano: gli sms, il mezzo più amato dai giovani per parlarsi in ogni momento e a poco prezzo, ma spesso utilizzati anche come strumento più istituzionale, come raccolta fondi o competizioni elettorali.

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economiaefinanza

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altrevoci OLIVETTI UN MODELLO DA CUI L’ITALIA POTREBBE ANCORA IMPARARE

ASTENSIONE, IL VERO MALE DELLA DEMOCRAZIA

NEL XXI SECOLO IL MONDO È PIATTO

MERCATO, L’ASSENTE PIÙ INVOCATO IN ITALIA

LA VITA È AMBIGUA QUANTO LA POESIA

HANNO RAPITO L’EROE DEL ROMANZO

Su di lui si è scritto di tutto. La sua storia di imprenditore illuminato è stata portata persino in teatro (dal regista Gabriele Vacis e dal Teatro Settimo). In verità, prima di Adriano Olivetti, era toccato al padre Camillo, uomo visionario (nel senso buono del termine) capace di inventare un prodotto che è diventato marchio dell’italianità migliore e iniziare una storia che è diventata mito. Venticinque protagonisti di quella avventura industriale parlano della grande stagione vissuta nell’azienda di Ivrea dal Dopoguerra al 1960, anno in cui muore Adriano Olivetti. Ingegneri, tecnici e operai raccontano di quel miracolo economico scaturito da un Paese devastato dalla guerra e dal fascismo. Un successo basato sulla capacità di innovare nel prodotto, nel rapporto con i sindacati e con i dipendenti. Nel 2003 il ministro del Welfare italiano presentò la proposta di inserire l’asilo nido nei luoghi di lavoro. Ebbene, nel 1934 i dipendenti della fabbrica Olivetti potevano già contare su questo servizio interno, insieme ad un servizio di pediatria e alle colonie estive per i loro figli, in Val D’Aosta e in Versilia. Già nel 1940 alle lavoratrici madri si riconosceva un permesso retribuito di nove mesi. Una lista che potrebbe essere ben più lunga. Ciò però che più colpisce di Adriano Olivetti è quella sua concezione di sviluppo sostenibile, di crescita economica mai disgiunta da quella sociale e dal benessere collettivo. Un’eredità economica, civile e morale che stride contro le speculazioni finanziarie e i furbetti del quartierino dell’Italia contemporanea.

Un fenomeno preoccupante e costante di tutte le democrazie è l’astensionismo. In Italia la percentuale dei non votanti è in crescita dagli anni Settanta. Un altro fenomeno parallelo e in crescita è quello del voto bianco, nullo e non valido. Per quanto riguarda il primo aspetto, raramente gli appelli dei politici (con l’unica eccezione delle elezioni politiche del 2006) hanno convinto gli astensionisti. C’è una correlazione forte tra chi non vota e marginalità sociale, soprattutto tra gli anziani ultrasettantenni con bassa scolarità. Diverse, invece, sono le ragioni che spiegano il fenomeno. Spesso si tratta di persone che con la propria astensione mostrano un disinteresse per un mondo che sentono estraneo, ininfluente per la propria vita. Ci sono poi quelli che non votano perché delusi dalla politica. Una categoria che è cresciuta negli ultimi anni e che rappresenta un terzo dell’universo astensionista. Poi ci sono quelli che vanno al mare anziché alle urne. In genere ben informati e poco arrabbiati.

Il giornalista Thomas L. Friedman - vincitore di ben tre premi Pulitzer - si trovava sul campo di golf di Bangalore. Un suo compagno di gioco gli indicò due splendidi palazzi di vetro e gli disse: «Mira alla Microsoft o all’Ibm... quelli della Hp e della Texas Instruments sorgevano all’altezza della decima buca». Friedman non era in Kansas, ma era nella Silicon Valley indiana nel bel mezzo della globalizzazione. Un nuovo mondo sul cui terreno appiattito si scontrano multinazionali, aziende e singoli individui che lottano per la sopravvivenza. Un processo da cui non si torna indietro e che, secondo Friedman, è paragonabile all’invenzione della stampa, alla nascita dello Stato nazione e alla rivoluzione industriale. Un fenomeno che ha cambiato profondamente la vita delle persone, il modo di produrre, il modo di fare affari, di governare e di combattere le guerre. L’appiattimento del mondo ci costringe a correre sempre di più per non perdere la sfida. Quanto si può resistere a questa sollecitazione? E quanto tempo passerà prima che ci si possa adattare in modo stabile?

In questo libro si contribuisce a fare un pò di pulizia su false credenze, miti e negatività ingiustamente attribuite al mercato. In suo nome si giustifica il peggio, per colpe che non ha, e si esalta il meglio, per virtù che gli sono estranee. Se il mercato non è in grado di risolvere tutti i problemi, non va nemmeno guardato con sospetto. Con un linguaggio semplice, Giuseppe Bertola (economista e docente universitario), un bell’esempio di divulgazione scientifica, spiega alla gente che cosa succede nell’era della globalizzazione e della liberalizzazione dei mercati. Il mercato è un meccanismo potente e insieme delicato che per funzionare bene e generare benessere e sviluppo ha bisogno di regole e istituzioni. L’autore dedica un intero capitolo al caso italiano. Il decreto del ministro Bersani, con l’apertura del mercato, ha generato molto malumore. Una sorta di paradosso, perché proprio in Italia i problemi di cui spesso si lamentano gli italiani non derivano dalla presenza del mercato, bensì dalla sua assenza.

L’Australia è più vicina a noi di quanto pensiamo, per lo meno dopo aver letto il romanzo di Elliot Perlman. “Sette tipi di ambiguità” è un affresco preciso e disincantato della nostra società, quella occidentale, e della disgregazione dei suoi valori. Simon Heywood è un maestro che ha dovuto lasciare l’insegnamento perché implicato in un caso di pedofilia. Anna è la donna di cui dice di essere ancora innamorato, nonostante la loro relazione risalga a dieci anni prima. A lui non manca niente: bello, colto, umano ma dipendente da una persona che non ha mai più rivisto. Un’ossessione che né il suo psichiatra, né le prostitute riescono a curare. La soluzione per riannodare i fili di quei due destini persi la trova lo stesso Simon che decide di rapire Sam, il figlio di Anna. Da qui una serie di reazioni a catena che trascinano il protagonista in una vicenda complessa e tragica: il carcere, l’accusa di pedofilia e il processo. Un thriller psicologico, una storia che si svolge sullo sfondo di una crisi collettiva.

C’è un mondo dove i libri sono il bene più prezioso. È il mondo creato dallo scrittore Jasper Fforde e dove vivono: Thurdasy Next, una detective letteraria, e Jane Eire, protagonista del manoscritto di Charlotte Brontë. Tutta colpa di un vecchio con il pallino delle invenzioni e fissato con il concetto dell’elasticità del tempo, tale Mycroft, che è riuscito a trovare il modo per entrare di persona nei romanzi e nelle poesie. Come in tutte le storie serie che si rispettino, anche in questa c’è un soggetto malvagio, tale Acheron Hades, il quale si impossessa dell’invenzione e rapisce Jane Eyre dal manoscritto originale di Charlotte Brontë. Chiamata ad investigare sul caso e a placare la disperazione dei numerosi fan della Bronte, è la detective letteraria Thursday Next, un soggetto con un po’ di questioni irrisolte nella vita, ma forse l’unica a poter sbrogliare questa strana matassa. Tutti gli indizi la riportano nella sua città natale, Swindon. Un mondo particolare quello di Fforde dove le avvertenze principali sono: dimenticare le leggi del tempo e dello spazio, mettersi comodi e lasciarsi andare totalmente all’avventura

THOMAS L. FRIEDMAN IL MONDO È PIATTO

GIUSEPPE BERTOLA IL MERCATO

ELLIOT PERLMAN SETTE TIPI DI AMBIGUITÀ

JASPER FFORDE IL CASO JANE EYRE

Saggi Mondadori, 2006

Il Mulino, 2006

Guanda, 2006

Marcos y Marcos, 2006

A CURA DI FRANCESCO NOVARA, RENATO ROZZI E ROBERTO GARRUCCIO UOMINI E LAVORO ALLA OLIVETTI

DARIO TUORTO APATIA O PROTESTA? L’ASTENSIONISMO ELETTORALE IN ITALIA

Bruno Mondadori, 2006

Il Mulino, 2006

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L’OMAGGIO DI MAGRIS ALLA FEMMINILITÀ HO FATTO GIARDINO. IL RITORNO DI LAZZARO SANTANDREA AL TAVOLO DA POKER

Una confessione, un luogo chiuso, una donna, un misterioso interlocutore, forse un presidente. Forse un carcere o magari un ospedale. È andata come la racconta Andrea G. Pinketts. L’unica certezza sono le sue L’istrionico scrittore si trovava in una villa parole che parlano di un amore sulla Costa Azzurra, ospite di una festa insieme totale e profondo. Una alla fidanzata modella. Nella villa c’era un sacco consapevolezza della passione, di gente: ricchi rampolli di famiglia, donne delle sue miserie e delle sue del jet set internazionale, modelle e stilisti, gioie, che fuoriesce con forza parrucchieri dal bigodino d’oro e un nutrito da un’oscurità di luoghi gruppo di danarosi giapponesi. Com’è abitudine e di persone. Rinunciare all’uomo di Pinketts, scatta il classico pokerino: che si ama per proteggerlo, «Mi ricordo che c’erano squali dappertutto, per non scalfire le tante incerte anche in piscina. Perdevo molto, anzi moltissimo. sicurezze che tappezzano Circa trentamila euro. Ad un certo punto della una vita. Una stanchezza partita ho guardato il giapponese davanti a me. che nessuno tranne il misterioso Io non avevo niente in mano, avevo le carte interlocutore, a cui la donna una diversa dall’altra. Lui cala un tris. Io esito si rivolge, puo’ comprendere. un attimo e con fare professionale dico: “Je fait Ha ottenuto un permesso, jardin” (ho fatto giardino ndr.)». Il giapponese una concessione eccezionale lo guarda un po’ attonito e risponde: «Qu’est per le circostanze in cui ce que c’est Jardin? (che cos’è giardino ndr.)». si trova, ma alla fine ha deciso Pinketts, prontissimo, replica: «Jardin è quando di non utilizzarlo e ne spiega hai in mano tutte le carte diverse». Il giocatore, le sue ragioni. Questa volontà un po’ perplesso, accetta la strana combinazione. di sapere, però, si scontra La partita continua e subito dopo il giaponese con l’oscurità dei motivi s’illumina in volto. Pinketts cala un tris e lui profondi che l’hanno indotta contento esclama: «Je fait jardin». «Mi dispiace - a non seguire l’uomo che ama gli risponde lo scrittore milanese - la regola vuole e che amerà sempre. che si puo’ fare jardin una sola volta nella serata». Questo racconto di sole Questo romanzo era molto atteso dai lettori 55 pagine, dai toni a volte di Pinketts. Erano tre anni che l’antieroe drammatici e a volte leggeri, Lazzaro Santandrea mancava dalle librerie. è un grande e disincantato Ora è ritornato, più ironico e surreale che mai. omaggio alla femminilità. ANDREA G. PINKETTS HO FATTO GIARDINO

CLAUDIO MAGRIS LEI DUNQUE CAPIRÀ

Mondadori, 2006

Garzanti, 2006

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fotografia

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FRECKLES OVVERO LE LENTIGGINI DI NEUGEBAUER Semplicemente lentiggini. Un eccesso di melanina. La tradizione dice che il lentigginoso è stato baciato dal sole. La stessa cosa deve aver pensato il bravo ritrattista Michael Neugebauer che ha dedicato a questo tema una serie di fotografie raccolte nel libro “Freckles”, ovvero “Lentiggini”. Compaiono su visi anonimi e su volti famosi. Una lentigginosa di rango è Joanne Kathleen Rowling, la scrittrice madrina di Harry Potter. Spesso, però, le lentiggini vengono considerate un difetto, magari fascinoso, ma sempre un dettaglio esteticamente infelice per chi deve fotografare. Con Neugebauer, invece, diventano un elemento da valorizzare. Un plusvalore estetico per il fotoritratto. Il fotografo utilizza con saggezza alcuni filtri. I suoi scatti in bianco e nero, con una leggera “deviazione” color seppia, fanno risaltare meglio il ritratto nel suo complesso. Così un bad boy dallo sguardo furbo e un po’ accigliato diventa più interessante grazie alle sue freckles. I modelli di Neugebauer sono adulti e ragazzi. Per ogni ritratto è riportata la data di nascita e il nome del modello e alcune righe sul loro rapporto con le lentiggini. MICHAEL NEUGEBAUER FRECKLES

Edition Stemmle, 2006

EX FABRICA. DISMISSIONI INDUSTRIALI A MILANO Giampietro Agostini, Francesco Giusti e Tancredi Mangano. Tre fotografi che abitano e lavorano a Milano, città simbolo della produzione industriale italiana e del miracolo economico, hanno fotografato le aree industriali della cintura nord di Milano: Sesto San Giovanni, Pero, la Bovisa. In queste aree fino a pochi anni fa c’erano le grandi industrie del ferro, dell’acciaio e della gomma, come la Falk o la ex Magneti Marelli. Anche la grande Milano, alla pari di altre metropoli nel mondo, ha subìto silenziose ma profonde trasformazioni, conseguenti ai mutamenti economici, sociali e culturali che hanno investito la stessa nozione di città. Questi luoghi, un tempo teatro della produzione industriale, si sono trasformati in terre di confine, dove l’immigrazione clandestina convive con i cantieri per le nuove aree residenziali e commerciali. Le grandi fabbriche che un tempo brulicavano di vita, oggi nella loro assenza di vita (o presenza clandestina), sono costruzioni monumentali, che appaiono come grandi templi, testimonianza scheletrica, ma reale, di quel saper fare che contraddistingueva la città. Tre fotografi che documentano il passato, l’assenza e le nuove presenze. Il volume è completato dall’introduzione di Claudio Salsi e dai saggi di Silvia Paoli e Guido Martinotti. GIAMPIETRO AGOSTINI, FRANCESCO GIUSTI, TANCREDI MANGANO EX FABRICA. IDENTITÀ E MUTAMENTI AI CONFINI DELLA METROPOLI

multimedia

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NOSTALGIA DI UNO SGUARDO PERDUTO

MENO TRENTUNO, FOTOGRAFIA EMERGENTE

PRIMAVERA MUSICALE SBOCCIA IN BELGIO

“La nostalgia di uno sguardo perduto” è il lavoro fotografico di Boris Savelev, uno dei maggiori fotografi russi contemporanei. 62 immagini realizzate in diverse città europee: Mosca, Londra, Madrid, Roma e Reggio Emilia. Savelev proviene da Chernowitz, dove è nato nel 1948. Gran parte della sua popolazione è di origine ebraica. Una città simbolo della cultura yiddish, tanto da essere considerata, fino al momento dell’occupazione nazista, uno dei centri culturali più importanti della Mitteleuropa. Le foto di Savelev ricordano molto i racconti dello scrittore yiddish Shalom Aleichem, sempre in bilico tra l’ironia tipica dell’ebraismo dell’Europa orientale e la malinconia di un tempo e un luogo che non ritorneranno più, se non nei frammenti residui della memoria. Proprio come i suoi soggetti, raramente colti nella loro interezza, riflessi o coperti da qualcos’altro e spesso avvolti da una luce tenue. Le foto di Savelev fanno parte di collezioni pubbliche tra cui: il MoMA di New York, la Corcoran Gallery di Washington, la Staatsgalerie di Stoccarda, il Museum of Fine Arts di Santa Fe, la Calcografia di Madrid.

“Menotrentuno” è una rassegna fotografica che raccoglie lavori di giovani fotografi con meno di 31 anni provenienti da diversi paesi d’Europa e selezionati da FotoGrafia Festival Internazionale di Roma. I lavori hanno fatto parte della selezione del Photo Festival Union, network dei maggiori festival internazionali della fotografia, di cui il Festival Internazionale di Roma è membro fondatore. L’idea di fondo che guida il progetto è la realizzazione di un appuntamento internazionale della fotografia in Sardegna, parte integrante del programma FotoGrafia. Il progetto riunisce 20 fotografi, 650 immagini, esposte in 20 mostre singole, ognuna con un piccolo cataloghi (uno per autore), più 1 catalogo generale multilingue. I fotografi si sono cimentati con lavori originali sul tema: “Tourism revolution. La rivoluzione del turismo”. Le mostre sono allestite in 15 località della Sardegna: Alghero, Arzachena, Atzara, Gavoi, Ittiri, Mamoiada, Mara, Monteleone Rocca Doria, Montresta, Osilo, Ploaghe, Santulussurgiu, Sassari, Uri, Villanova Monteleone.

Si chiama Sundays in spring che vuol dire “domeniche di primavera”. È una piccola etichetta discografica belga, di Andenne per la precisione, presente solo su Internet e che rende il suo catalogo musicale accessibile a tutti per il download gratuito. I visitatori del sito possono scaricare sia i brani che le copertine dei dischi. Le ragioni di questa operazione le spiegano gli stessi autori del sito: «Il nostro scopo, come etichetta indipendente on-line, è quello di privilegiare i colori intimi, sensitivi e bucolici. Difendiamo quei musicisti che condividono con noi questo tipo di sensibilità». La home page è a dir poco naif: uno sfondo carta da pacchi con violette, gatti che cadono in piedi, pezzi di nastro adesivo al posto dei tasti, fiorellini e uccellini in fila sui fili elettrici. Insomma, un’etichetta un po’ new age. Sono 20 gli artisti che hanno pubblicato virtualmente le loro canzoni per la Sundays in spring. Nomi di gruppi bizzarri, più delle loro canzoni: “Degrees Taurus”, “The london apartments”, “Chauchat, “Sepia hours”, “Sun, canceled”, “loobke” e anche un filosofico “Feuerbach”.

BORIS SAVELEV LA NOSTALGIA DI UNO SGUARDO PERDUTO

Skira, 2006

WWW.MENOTRENTUNO.IT

BUSH IN TRENTA SECONDI. QUANDO LO SPOT DENUDA UN PRESIDENTE Come fare a riavvicinare la gente alla politica? Se lo è chiesto anche l’associazione “Move On” che da anni si batte per questo obiettivo e che alla domanda ha dato una risposta semplice e geniale: raccontare Bush in 30 secondi. L’iniziativa di questa associazione parte da un presupposto: contestare le ragioni che l’amministrazione presidenziale americana utilizza per giustificare una guerra, sempre meno amata dall’opinione pubblica, e per la poca trasparenza in interessi di grandi gruppi industriali. E poiché questa amministrazione ha fatto dell’utilizzo dei mass-media la sua arma in più, “Move On” ha pensato bene di ripagarla con la stessa moneta mediatica. Il presidente Bush, infatti, si è servito per la sua scalata politica proprio degli spot pubblicitari. Il concorso lanciato dall’associazione richiedeva spot di 30 secondi. Ne sono stati selezionati cinquantasei, raccolti in dvd e acquistabili con una donazione di 30 dollari tramite il sito www.bushin30seconds.org. I sei filmati ritenuti migliori si possono vedere gratuitamente sulla rete. Il vincitore della competizione è stato “Child’s pay” (salario minorile) del regista Charlie Fisher. Nello spot, privo di dialoghi, si vedono immagini di bambini che svolgono faticose occupazioni da adulti, come operai e meccanici. Al termine compare la scritta: «Indovinate un po’ a chi toccherà pagare per il deficit di un biliardo di dollari provocato da Bush?» Fra i membri della giuria i musicisti Moby e Michael Stipe, l’attore Jack Black, i registi Gus Van Sant e Michael More.

CAFFÈ UNA RICCHEZZA SOLO PER IL NORD

L’INCUBO DI DARWIN IN AFRICA È REALTÀ

Il caffé da sempre muove un giro di affari enorme. Ogni giorno se ne consumano due miliardi di tazze, ma nelle tasche dei piccoli produttori del Sud del Mondo rimane ben poco perché a stabilirne il prezzo sono le borse occidentali, quella di New York e quella di Londra. A partire dalla fine degli anni Ottanta, a causa del termine dell’accordo internazionale sul prezzo, il valore del caffé è precipitato tornando in pratica alle quotazioni di trent’anni fa: nel 1995 una libbra valeva tre dollari, oggi meno di cinquanta centesimi. Se da un chilo di caffé può derivare un guadagno al dettaglio di oltre duecento euro, quello che finisce nelle tasche dei coltivatori sono venti centesimi. Dalla produzione al consumatore finale i passaggi di mano sono sei, ma le uniche a guadagnarci sono le multinazionali. Il documentario intitolato “Black gold” (“Oro nero”), diretto da Mark e Nick Francis, svela questo perverso meccanismo legato al caffè. Gli autori partono dall’Etiopia, il paese dove la tradizione vuole che abbia avuto origine la pianta del caffé.

Buona parte del filetto di pesce persico che arriva sulle tavole europee viene dal Lago Vittoria, nel cuore dell’Africa Nera. In quel lago, però, non era mai esistito fino a quando qualcuno ha pensato di fare un bell’esperimento scientifico con dei risvolti commerciali. L’introduzione del pesce persico del Nilo in breve tempo ha provocato l’estinzione di quasi tutte le razze ittiche locali, perché era un vorace predatore d’acqua dolce. E si è moltiplicato così rapidamente che il suo filetto bianco oggi viene esportato in tutto il mondo. Enormi cargo dell’ex Unione Sovietica atterrano ogni giorno nella zona per caricare il pescato quotidiano e scaricare le loro merci dirette al sud, tra cui armi e munizioni per le innumerevoli guerre dimenticate che si combattono in Africa. Il boom delle multinazionali del cibo e delle armi ha creato una diabolica alleanza globale sulle rive del più grande lago tropicale del mondo: un esercito di giovani pescatori, di coltivatori indiani, di ministri africani, di commissari europei, di piloti russi e di prostitute tanzanesi.

MARK E NICK FRANCIS BLACK GOLD

HUBERT SAUPER L’INCUBO DI DARWIN

Speak-it Films, 2006

WWW.DERIVES.NET/SIS

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Feltrinelli, 2006

WWW.BUSHIN30SECONDS.ORG |

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stilidivita SCRIVERE CONTRO LA CAMORRA È IL MIO COMPITO

NON SOLO PUNTAPEROTTI. MMS PER DENUNCIARE GLI ECOMOSTRI

ENERGIA PULITA DAL LETAME

NOINK L’INCHIOSTRO CHE SI PUO’ MANGIARE

ABOLIRE I SACCHETTI DI PLASTICA PER IL 2010

Nel numero 43 di Valori abbiamo recensito il romanzoinchiesta del giornalista Roberto Saviano: “Gomorra”. Un’opera prima che ha conquistato subito pubblico e critica e anche la giuria del premio Viareggio. Saviano ha ricevuto continue minacce dai capi dei clan camorristici, perché il suo libro ha acceso i riflettori nazionali su una realtà erroneamente confinata negli ammazzamenti di Scampia e nei sobborghi napoletani e casertani. È l’economia “legale” la vera chiave di volta del fenomeno e Saviano lo spiega bene e in modo chiaro. I capi dei clan camorristici non hanno gradito tanta attenzione e così hanno deciso di far sentire il fiato sul collo a Saviano. Il prefetto di Caserta, Maria Elena Stasi, e il comitato provinciale per l’ordine pubblico si sono decisi ad assegnargli misure di protezione. L’Espresso, il settimanale con cui Saviano collabora, aveva denunciato le minacce ricevute dallo scrittore e sottolineato la necessità di non isolarlo. Saviano era stato protagonista a Caserta con il presidente della Camera Fausto Bertinotti, dell’ultima di quattro giornate di mobilitazione anticamorra aperta dal ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Si è conclusa la prima edizione del concorso ”Non solo Puntaperotti” (dal nome dell’ecomostro demolito sulla costa barese), ovvero 75 immagini di brutture sparse per la Lombardia, scattate con i telefonini e inviate via mms. Un’iniziativa voluta dai consiglieri regionali dei Verdi Carlo Monguzzi e Marcello Saponaro. Quest’ultimo ha coinvolto nella giuria molte personalità lombarde, tra cui l’imprenditore edile e giornalista Luca Beltrami Gadola, il fotoreporter Uliano Lucas, il musicista blues Fabio Treves, la fotografa Silvia Tenenti, il giornalista di “Nuova Ecologia” Marcello Volpato, il conduttore televisivo e parlamentare Roberto Poletti, il giornalista freelance Matteo Cundari. E ancora gli ambientalisti Guido Pollice e Fabio Fimiani, la consigliera regionale di An Silvia Clementi Ferretto e il consigliere dei Ds Pippo Civati. I quattro finalisti sono: Alessio Strambini che nella località alpina Aprica, in provincia di Sondrio, ha immortalato una mansarda che si arrampica per ben quattro piani; Marco Ponzi che ha fotografato un palazzo dirigenziale che minaccia viale Forlanini a Milano; Alessandra Semprebianco che ha immortalato un ex cinema a luci rosse con la parte finale simile ad un gigantesco asciugacapelli in cemento armato a Zingonia in provincia di Bergamo; Alberto Micheli, infine, ha scovato un grande albergo che domina le spiagge di Mandello al Lario, in provincia di Lecco, un vero e proprio pugno nell’occhio, una macchia di cemento volgare in un contesto naturale sontuoso. Fotografie che, oltre a denunciare la speculazione edilizia in atto, raccontano la storia del territorio e del suo sfruttamento. Gli organizzatori, visto il successo dell’iniziativa, danno già appuntamento all’anno prossimo.

A Vedelago, in provincia di Treviso, hanno risolto il problema dell’energia grazie al letame. Dai liquami, infatti, potrebbero arrivare i watt necessari per illuminare le case del paese. In un’area di due ettari e mezzo, di proprietà della cooperativa Santa Fosca, dovrebbe sorgere una struttura che trasformerà i liquami raccolti negli allevamenti del paese in energia. A Vedelago a causa della presenza consistente di aziende zootecniche c’è un problema azoto. Se un tempo il letame veniva sparso nei campi, oggi normative regionali dettano limiti ben precisi per questa operazione, soprattutto in un’area come quella del bacino a cui appartiene il paese così prossimo alla laguna. L’energia pulita alimenterà in un anno 580 abitazioni di 100 metri quadri ciascuna. Le ceneri che avanzeranno come scarto dalla lavorazione potranno essere usate come concime. Nell’area è prevista anche la realizzazione di un campus in cui si combinano i cicli tradizionali dell’agricoltura, le tecnologie di recupero energetico da fonti alternative e quelle relative all’abbattimento degli agenti inquinanti prodotti dagli allevamenti.

Una piccola azienda di Bientina, in provincia di Pisa, ha inventato un prodotto innovativo. Si chiama Noink, un inchiostro che si puo’ mangiare. Questo prodotto è stato creato impiegando solo additivi alimentari. Noink è un inchiostro che puo’ essere utilizzato per la stampa industriale, adatto per carta, cartone, cartoncino e carta “tissue”, come i rotoli da cucina, utilizzabile tramite le macchine di stampa tradizionali. Visto che non contiene né derivati del petrolio, né metalli pesanti né altre sostanze tossiche, Noink può venire a contatto anche con gli alimenti senza per questo pregiudicarne la commestibilità. Insomma, un inchiostro da mangiare. Non permette stampe in esacromia, lucide e di altissima qualità. Ma tra una scatola ben stampata e la sicurezza che il colore della stessa non contamini il contenuto alimentare, è gioco forza che tra i consumatori prevalga la sicurezza del materiale usato per l’imballaggio del cibo. Le applicazioni di Noink sono molteplici, soprattutto come supporto di stampa per le materie plastiche o nei libri per bambini, che vengono spesso messi alla bocca.

In Italia, a partire dal 2010, dovranno essere messi al bando i sacchetti per la spesa in plastica e sostituiti con prodotti biodegradabili. La sfida è stata lanciata dalla Coldiretti in occasione dell’ampliamento della bioraffineria di Terni, dove si producono bioplastiche di origine vegetale Mater-Bi e Origo-Bi. Nell’azienda, infatti, arriveranno nuove applicazioni nel campo degli intermedi chimici, aumentando l’autonomia dell’impianto da materie di provenienza estera. Oltre all’attuale amido di mais non Ogm, a Terni si utilizzeranno anche oli vegetali. Novamont e Coldiretti hanno costituito una società paritetica con una cooperativa partecipata da 600 imprenditori agricoli locali. In questo modo la bioraffineria sarà in grado di massimizzare la specializzazione delle colture, utilizzando a pieno gli scarti e accorciare così la catena del valore. L’impianto sarà, dunque, integrato nel territorio. A partire da inizio 2008, Novamont prevede di raggiungere una capacità produttiva annua di 60 mila tonnellate di bioplastiche completamente biodegradabili, compostabili e con limitato impatto ambientale lungo tutto il ciclo di vita.

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FAMIGLIE FLESSIBILI, IL FUTURO DELL’ITALIA È AFFIDATO A SAN PRECARIO Il futuro sarà delle famiglie precarie. Lo dicono le cifre (quasi otto milioni di persone vivono in famiglie messe su senza un reddito sicuro e garantito) e uno studio (pubblicato da Il Mulino) del sociologo Luca Salmieri, docente a Roma, che ha analizzato a fondo 163 famiglie che vivono su buste paga a intermittenza e che hanno fatto della precarietà il loro modello. Fino a pochi anni fa il passaggio alla vita adulta veniva identificato con l’ingresso nel mondo del lavoro, la costruzione di una famiglia, l’arrivo dei figli. Le trasformazioni economiche e sociali nell’ultimo decennio mettono in discussione queste premesse, modificando i percorsi della realizzazione professionale, della vita di coppia, dell’esperienza di genitore. Solo 4 intervistati su dieci hanno un orario d’ufficio rigido mentre per tutti gli altri la libertà induce a invadere spazio e tempo privati: fine settimana, feste comandate e le sere, da 5 a 15 ogni mese, sono occupate per lavoro. Il tempo da dedicare a se stessi e alla famiglia, dunque, non è più sacro. In Italia la crescita demografica è uguale a zero e forse la precarietà qualche colpa ce l’ha. Se il primo figlio è una scommessa sul secondo nemmeno si inizia a ragionare. Il rischio è che tutto questo diventi regressione, rifiuto del senso di responsabilità, rifugio nell’egoismo esistenziale. Il conto corrente è la cartina tornasole di questa condizione: in 76 casi su cento, infatti, è cointestato quando solo uno dei due partner è flessibile. Conti separati, invece, se precari sono tutti e due. Ciascuno si tiene i suoi soldi. Nemmeno la possibilità di dire: mal comune, mezzo gaudio.

CREDITO PER PERSONE E IMPRESE IN DIFFICOLTÀ

GOOGLE FUNZIONERÀ GRAZIE AL SOLE

Dopo il premio Nobel per la pace a Muhammad Yunus il “banchiere dei poveri”, l’argomento microcredito gode di grande attenzione. A Firenze è stato siglato un protocollo d’intesa tra il Fondo Essere del Quartiere 4 e la Banca del Chianti Fiorentino, al centro del quale c’è un progetto di microfinanza per aiutare le famiglie del sud-ovest della città che si trovano in difficoltà economica. Si potranno ottenere prestiti fino a 5.000 euro (il fondo erogava prestiti fino a 2.500 euro) e un massimale fino a 10.000 euro, per le piccole e medie imprese. Il protocollo prevede anche un incremento del fondo di garanzia attraverso prodotti finanziari di risparmio etico. L’istituto di credito emetterà infatti obbligazioni che potranno essere sottoscritte da persone, associazioni e organizzazioni sensibili alla povertà urbana che persiste nella periferia fiorentina. Fino ad oggi sono stati garantiti 147 prestiti (fino a 2.500 euro) per un totale di 196.000 euro. È previsto anche un programma di formazione per operatori finanziari da impiegare presso le associazioni aderenti al Fondo Essere; la realizzazione di seminari e convegni di informazione e sensibilizzazione sui temi della finanza etica.

Google si appresta a battere un nuovo record, questa volta sul fronte energetico. La società leader della ricerca su web prevede di installare un sistema di elettricità a pannelli solari, tanto da diventare negli Usa il più grande complesso di uffici ad essere alimentato dalla luce solare. La società è pronta a iniziare la costruzione del tetto per il suo edificio di Mountain View, in California, che sarà dotato di un sistema che permetterà di generare fino a 1,6 megawatt di elettricità sfruttando i raggi solari. Una capacità elettrica sufficiente a fornire energia a mille abitazioni californiane. Google, grazie al sole, fornirà il 30 per cento circa dell’elettricità consumata dai propri dipendenti negli uffici. I pannelli solari impiegati saranno 9.212, per un investimento di 10 milioni di dollari, che saranno ammortizzati nel giro di 10 anni. La nuova installazione è in grado di produrre energia in più, che Google potrebbe poi rivendere alla Pge company, costituendo un’ulteriore fonte di guadagno. Le ragioni della scelta sembrano comunque legate non solo a questioni ambientaliste, ma anche all’attravità che la scelta potrebbe avere nei confronti dei giovani ingegneri informatici.

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future

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RFID PER PASSEGGERI PERSI AL DUTY-FREE

LOBBY ONLINE PER INCONTRI RANDOM

Optag (optag-consortium.com) è un consorzio finanziato dall’Unione Europea che sta realizzando con University College di Londra un test all’aeroporto di Debrecen che prevede la mappatura dei passeggeri attraverso l’utilizzo di una catenina con chip Rfid da indossare dall’ingresso fino all’imbarco. Il test viene condotto per ora su volontari e per un arco di tempo limitato ma secondo Paul Brennan, ingegnere alla guida di Optag, presto saranno numerosi gli aeroporti che verranno dotati di un sistema di controllo basato sull’interazione tra network di telecamere panoramiche combinate a lettori di Rfid. Il segnale del chip sarà leggibile in un raggio compreso tra dieci e venti metri e sarà collegato agli altri sistemi di sicurezza dell’aeroporto. Saranno così individuati, tra i migliaia di passeggeri in transito, quanti hanno prolungato senza motivo apparente la loro permanenza nell’aerostazione, per esempio dopo la partenza del loro volo o hanno cercato di inoltrarsi in aree riservate agli operatori autorizzati. Il rischio di scambio di braccialetti e la facile aggirabilità del sistema sono il punto critico del progetto che Optag vorrebbe rafforzare con l’inserimento di dati biometrici.

Il fascino dell’hotel, come luogo di transito e passioni, colpisce anche i giovanissimi. I party a tema nelle capitali europee sono frequenti, così i riferimenti cinematografici. Una catena di hotel design per under 30 è stata recentemente lanciata da un operatore del settore moda trendy e gli operatori di voli low cost hanno approntato più proposte per coniugare tariffe accessibili alla suggestione esercitata dai nuovi ostelli europei, come il Zirkus di Berlino dove è disponibile una lobby con segnale wi-fi, una caffetteria con riviste internazionali e alle classiche camerate, che hanno accompagnato l’esperienza del biglietto ferroviario Inter Rail, si sono ora affiancate camere doppie con bagno, arredate con un mix sapiente di design innovativo e mobili Ikea. Il fascino dell’hotel coinvolge anche la Rete. Habbo Hotel (habbohotel.co.uk) è una lobby virtuale in cui si ritrovano oltre venti milioni di utenti, perlopiù teenagers. Come in Second Life, il proprio doppio virtuale permette di intraprendere relazioni e scambi di informazioni all’interno di un hotel virtuale. Molti utenti utilizzano la possibilità di contatto online per organizzare incontri “random” in cui poi conoscersi di persona.

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MEDIA DIGITALI E INTERESSI CONDIVISI TRANSIT E TRASPOOL, PROPOSTE DAL MONDO INFORMATICO PER IL TRASPORTO Transit è un progetto di Google che offre informazioni immediate per consentire di raggiungere una data località sfruttando i mezzi pubblici. Il servizio, di cui Google sta sperimentando l’utilizzo in cinque città statunitensi, si appoggia alla tecnologia Google Maps e in Rete sono già nati blogs che sostengono il progetto. Worldchanging descrive il sistema di Transit suggerendo di ampliare il servizio a livello mondiale sfruttando in termini propositivi questo sistema e plaudono al rilascio di una specifica che permette a chiunque, nel mondo, di aggiungere i dettagli dei trasporti pubblici e ampliare così il numero di città in cui si può usufruire di Transit. In un intervento pubblicato sul sito di informazione tecnologica Punto Informatico da Simone Brunozzi,si prevede che «in pochi mesi, milioni di persone potrebbero sfruttare questo servizio per ottimizzare i loro movimenti» unendo Transit all’esperienza del car sharing. Oltre ai dettagli dei servizi pubblici, Transiti potrebbe essere integrata con le disponibilità di passaggi su vetture private, con una partecipazione alle spese di viaggio. Appoggiandosi alle Google Maps chiunque potrebbe così agevolmente organizzarsi un lungo viaggio. Unendo le funzionalità della telefonia cellulare, diffusissima in Italia, a questi progetti potrebbe nascere un servizio combinato a basso costo, eventualmente scalabile dal credito telefonico, che consentirebbe al trasportatore la sicurezza di poter conoscere tramite la compagnia telefonica l’identità del trasportato in caso di problemi.

Kewin Roberts, ceo Worldwide di Saatchi & Saatchi e ricercatore, è autore di alcuni testi che hanno segnato lo stato dell’arte della comunicazione e del marketing. Lovemarks era un testo dedicato ai marchi «molto speciali, carismatici, che la gente ama e difende strenuamente; i prodotti, i servizi e le esperienze che creano con i consumatori legami duraturi ed emozionali». “Sisomo, the Future on Screen” riprende il tema del legame emozionale affrontandolo sotto il profilo dei nuovi media. La sfida che si pone alle nuove compagnie mediatiche è quella di essere sempre più interattive, creando una relazione di partnership tra produttore e consumatore. Le maggiori compagnie televisive e catene informative stanno allestendo in questo senso dei canali informativi paralleli in cui viene coinvolto attivamente lo spettatoreutente cui viene proposto di essere protagonista della realizzazione di filmati. You Tube, che permette la pubblicazione di video online, ha trovato l’interesse di Google disposto ad acquisire il sito e sulla stessa scia sono sorti numerosi canali, come Flux Tv, esperienza di ponte tra utenti e creatori di contenuti varata da Mtv.

contrasto


LE RIMESSE DEGLI EMIGRATI Ripartizione per Paese in milioni di dollari nel 2004

Più di 20.000 Da 10.000 a 20.000

Russia 3.575 Francia 12.650

FONTE: MONTHLEY

Da 4.000 a 10.000 Da 3.000 a 4.000 Da 2.000 a 3.000 Da 1.000 a 2.000 Da 100 a 1.000 Da 1 a 100

Libano 2.700

Usa 3.038

Cina Bangladesh 21.283 India 3.272 Egitto Giordania 21.727 Vietnam 2.287 3.341 Pakistan 3.200 3.395

numeri Messico 18.143 Guatemala 2.591 El Salvador 2.564

Marocco 4.218

Rep. Domenicana 2.471

Brasile 3.575

Algeria 2.460

Filippine 11.634

Niger 2.751

Australia 2.744

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Le rimesse dei migranti un business crescente UN TESORO. MA I CIRCUITI finanziari italiani, a differenza di quelli di altri Paesi, sembrano non averlo ancora “scoperto”. Sono i risparmi degli immigrati. In particolare le rimesse di quelli dall’area mediterranea: 12 miliardi di euro nel 2005, secondo elaborazioni della Camera di commercio di Milano, il 73% dei quali l’anno scorso LE RIMESSE IN EUROPA hanno preso la via del Marocco. L’IIn milioni di dollari talia è il secondo Paese in Europa per Francia livello di flussi di denaro in uscita, ma solo se si considerano i flussi non Spagna formali. In base alle statistiche ufficiali l’Italia finirebbe in fondo alla Belgio classifica, dietro persino all’Austria Germania nonostante la popolazione sia meno di un quinto dell’Italia. Solo un imGran Bretagna migrato su tre risulta, infatti, incluso nel circuito finanziario formale, a 4.129 Serbia e Montenegro tutto vantaggio delle agenzie di mo3.212 Portogallo ney transfer, per non parlare delle organizzazioni informali, quando non 2.709 Polonia illegali. È l’ennesima riprova di quanto il Sistema Paese non abbia saputo 2.475 Austria giocare la carta della Sponda Sud, disItalia 2.172 sipando così il vantaggio di una posizione geostrategica invidiabile nel

È

cuore del Mediterraneo, al centro delle rotte dei commerci. Poco lungimiranti le istituzioni, ma poco presenti le imprese. Assenti le banche: a questo punto prive di una propria rete di sportelli (a differenza di quanto è accaduto nell’Est Europa) ma anche miopi sul fronte di un flusso di rimesse destinato a crescere di anno in anno e a portare nei Paesi della Sponda Sud uno sviluppo di cui probabilmente altri attori stranieri si potranno av12.650 vantaggiare. Non più solo occidentali, ma ormai asiatici, giapponesi e ci6.859 nesi in testa, come opportunamente avverte l’ambasciatore italiano in 6.840 Egitto, Antonio Badini, nell’articolo 6.497 qui sotto. Eppure la cooperazione economica con i Paesi della Sponda 6.350 Sud avrebbe dovuto risultare centrale nella strategia della nostra politica estera economica. Ma essere oggi presenti in queste aree significa anche mettere una testa di ponte in un continente che ha iniziato una sua marcia allo sviluppo. Altri Sistemi Paese, con più lungimiranza, hanno mandato le loro avanguardie. Anche bancarie. FONTE: MONTHLEY

ECORADIO

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NOVEMBRE 2006

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| numeridell’economia |

Il mercato immobiliare Usa mette paura a tutto il mondo

GLI IMMIGRATI NEL MONDO 18,9

9,1 10,7

12,3

10,1

5,4

12,1

25,9

6,5

sentirebbe l’intera economia mondiale. Stephen Roach, capo economista di Morgan Stanley, vede ancora una volta nubi scure addensarsi sul Pianeta. Qualche numero aiuta a capire meglio la situazione in cui ci troviamo. I consumatori americani non hanno eguali in nessun’altra parte del

Germania 6,4

Francia 39,6

11,1

Arabia Saudita 38,4

.

2,0 1,6

4,8 12,9

2,5

4,3

Italia

In percentuale sul Pil 27,1

| 78 | valori |

ANNO 6 N.44

|

NOVEMBRE 2006

|

Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro

2,3/3,7 1,8/2,4 1,7/2,5 1,7/2,6 2,7/3,4 2,5/3,3 1,5/2,2 1,5/2,2 1,0/1,5 1,9/3,5 1,6/3,1 2,8/3,5 3,0/4,1 1,7/2,8 2,8/3,9 1,8/2,4

2,7/3,9 1,2/2,2 1,6/2,2 1,9/2,8 2,6/3,1 2,0/3,1 1,6/2,4 0,2/2,1 0,6/1,7 1,4/3,8 1,4/2,4 2,4/3,1 2,5/3,1 0,9/2,5 2,4/3,5 1,3/2,4

INFLAZIONE MEDIA 2006

MEDIA 2007

3,2 2,3 2,4 2,4 3,2 2,7 2,0 1,7 1,3 3,0 2,2 3,3 3,6 2,8 3,4 2,2

3,3 2,0 2,0 2,5 2,9 2,3 2,0 1,3 1,1 2,4 2,1 2,8 2,9 2,0 2,7 1,8

2006

2,9 2,0 2,2 1,9 2,1 1,9 1,7 1,6 2,1 0,3 1,5 3,3 1,4 1,1 2,9 2,1

Dati in percentuale 25,3

2007

BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2006 2007

2,7 1,8 1,9 1,9 2,2 1,9 1,6 2,3 1,9 0,6 1,5 2,8 1,9 1,2 2,3 2,1

-5,4 +0,2 +2,2 -2,3 2,0 2,9 -1,3 3,9 -1,5 3,7 5,2 -6,9 6,7 13,1 -6,8 -0,1

-4,0 +0,2 2,3 -2,3 1,4 2,7 -1,1 3,9 -1,4 3,5 5,1 -7,0 6,3 12,4 -6,8 --------

24,9 17,8

11,2

11,1

10

Finlandia

11,3

Olanda

5,6

Belgio

Australia

Svizzera

Tagikistan

Samoa

11,5 9,6

12,4 12,4 12,1

Libano

Rep. Domenicana

12,2

Italia

13,3 15,5

Filippine

Giamaica

15,1

Irlanda

15,3 16,2 16,2

13,5 13,2

Giordania

Bosnia Erzegovina

Haiti

Lesotho

Maldive

Tonga

MIN/MAX 2007

...E IL PESO SUGLI OCCUPATI

20,4

Usa

MIN/MAX 2006

Gran Bretagna

13,6

Arabia Saudita

Svizzera

Germania

Lussemburgo

Russia

Spagna

Francia

3,9 5,5

PIL

17,4

5,3 5,5 5,6 4,7 4,9

Italia

Olanda

3

Malaysia

Gran Bretagna

Belgio

Corea del Sud

Israele

Kuwait

Austria

2,1 2,4 2,5 2,7

PAESE

24,8

17,2

2

LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI

Germania

12,8

Australia Numero di immigrati in milioni nel 2005 Incidenza % degli immigrati sulla popolazione totale

Svezia

31

Costa d’Avorio

FONTE: MONTHLEY

...E QUANTO PESANO SUI PAESI BENEFICIARI

25,8 10,4

3,00 6,59 10,96 3,80 7,75 3,50 4,61 1,84 5,30 10,13 14,16 5,16 6,23 7,05 4,47 10,00 9,61 5,40 8,60 20,26 2,69 8,25 4,22 11,50

Usa

38,8

In miliardi di dollari

+143,6 Settem. -41,8 Agosto +36,4 Agosto +28,0 Agosto -4,1 Luglio +33,7 Settem. +15,6 Settem. +21,7 Settem. -1,9 Luglio +11,5 Luglio +46,3 Settem. +20,0 Settem. +0,7 Luglio -4,2 Agosto +7,4 Agosto +37,2 II Trimestre -11,2 I Trimestre -7,9 Agosto -8,2 Agosto -50,6 Agosto +1,7 Agosto - 3,1 Agosto -3,6 Agosto +142,3 Agosto

Austria

DA DOVE PARTONO I TRASFERIMENTI...

Set. Ago. Ago. Set. Set. Ago. Set. Set. Set. Set. Set. Set. Set. Set. Set. Set. Ago. Set. Set. Set. Set. Set. Ago. Set.

4,1

2,4

Canada

+1,5 +6,3 +14,5 +3,3 +5,7 +0,7 +2,4 -1,2 +2,7 +10,4 +3,7 +2,8 +4,6 +4,1 +2,0 +15,3 +8,9 +1,3 +5,4 +10,6 +2,7 +5,9 +1,6 +9,6

Israele

TASSI INTERESSE

FONTE: MONTHLEY

+15,7 Ago. +9,7 Ago. +12,2 Lug. +5,0 Ago. -10,4 Lug. +5,5 Ago. +10,6 Ago. +4,8 Ago. +7,4 Ago. +7,6 Ago. +3,2 Ago. +1,2 Ago. +13,6 Lug. +5,8 Ago. +5,6 Lug. +7,8 Lug. +4,0 2005 +13,4 Lug. +4,2 Ago. +4,8 Ago. +7,4 Ago. +9,0 Ago. +11,7 Set. +5,6 Ago.

Honduras

II I II II II II II II II

Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Agosto Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre

BILANCIA COMMERCIALE

El Salvador

III II II II II III II II II II II II II II

PREZZI AL CONSUMO

FONTE: MONTHLEY

Cina +10,4 India +8,9 Indonesia +5,2 Malesia +5,9 Filippine +5,5 Singapore +7,1 Corea del Sud +5,3 Taiwan +4,6 Tailandia +4,9 Argentina +7,9 Brasile +1,2 Cile +4,5 Colombia +6,0 Messico +4,7 Perù +9,2 Venezuela +9,2 Egitto +5,9 Israele +6,2 Sud Africa +3,6 Turchia +7,5 Repubblica Ceca +6,2 Ungheria +3,8 Polonia +5,5 Russia +7,4

PRODUZIONE INDUSTRIALE

Serbia

PIL

20,3

0,5 India

2,7

Usa

LE NAZIONI EMERGENTI

Giappone

5,7

Spagna 13,2

PAESE

Russia

Canada

Spagna

l

8,4 Gran Bretagna

6,1

mondo. Nel 2005 le spese per consumi negli Stati Uniti hanno raggiungo gli 8,7 milioni di miliardi di dollari. A tassi di cambio costanti, si tratta di circa il 20% in più della spesa per consumi dell’Europa, 3 volte i consumi del Giappone, 9 volte quelli della Cina e 17 volte quelli dell’India.

Francia

immobiliare hanno archiviato un bel -6% ad agosto. Le abitazioni realizzate ad agosto si fermano a quota 1,66 milioni, molto al di sotto delle previsioni (il consensus si aggirava sugli 1,74 milioni). Se scoppiasse la bolla immobiliare negli Stati Uniti, ne riDATI USA SUL MERCATO

FONTE: MONTHLEY

| numeridell’economia |

2,6

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ANNO 6 N.44

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|

indiceetico

| numeridivalori |

VALORI NEW ENERGY INDEX NOME TITOLO

ATTIVITÀ

BORSA

Abengoa Ballard Power Biopetrol Canadian Hydro Conergy EOP Biodiesel Fuel Cell Energy Gamesa Novozymes Ocean Power Tech, Pacific Ethanol Phönix SonnenStrom Q-Cells RePower Solarworld Solon Südzucker Sunways Suntech Power Vestas Wind Systems

Biocarburanti/solare Tecnologie dell’idrogeno Biocarburanti Energia idroelettrica/eolica Pannelli solari Biocarburanti Tecnologie dell’idrogeno Pale eoliche Enzimi/biocarburanti Energia del moto ondoso Biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche Pannelli solari Pannelli solari Zucchero/biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche

Siviglia, Spagna Vancouver, Canada Zug, Svizzera Calgary, Canada Amburgo, Germania Pritzwalk, Germania Danbury, CT-USA Madrid, Spagna Bagsværd, Danimarca Warwick, Gran Bretagna Fresno, CA-USA Sulzemoos, Germania Thalheim, Germania Amburgo, Germania Bonn, Germania Berlino, Germania Mannheim, Germania Konstanz, Germania Wuxi, Cina Randers, Danimarca

CORSO DELL’AZIONE 29.09.2006

INVESTIMENTO AL 29.09.2006

21,72 € 6,40 CAN $ 8,30 € 5,34 CAN $ 38,09 € 10,56 € 7,61 $ 17,28 € 448,50 DKK 69,98 £ 14,04 $ 14,70 € 32,30 € 55,60 € 43,33 € 29,80 € 19,48 € 7,52 € 25,83 $ 157,00 DKK

1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 € 1.000 €

€ = euro, $ = dollari USA, £= sterline inglesi, CAN $ = dollari canadesi, DKK = corone danesi

CISL TI SOSTIENE

Le nuove energie di Valori di Mauro Meggiolaro GATES HA INVESTITO 84 MILIONI DI DOLLARI in Pacific Ethanol, un’impresa americana che produce bio-carburanti. Il miliardario Richard Branson, direttore della compagnia aerea Virgin, reinvestirà gli utili del suo gruppo nelle energie rinnovabili. La Svezia si è data quindici anni di tempo per convertire l’intero sistema energetico nazionale al sole, al vento e all’etanolo. Perfino Bush ha annunciato un aumento del 22% dei contributi per le ricerche sull’energia pulita. I tempi sono maturi, non possiamo più stare a guarSolarworld www.solarworld.de dare. A partire da questo numero abbiamo deSede Bonn, Germania Borsa Xetra - Francoforte Rendimento 30.09.05 – 30.09.06 –179% ciso di proporvi un nuovo indice azionario. Si Attività Nata come piccola società commerciale, in pochi anni Solarworld è diventata un’impresa internazionale che copre l’intera catena di produzione dei pannelli chiama Valori New Energy e raccoglie i titoli di solari: dal silicio alla cella, dal modulo all’assemblaggio finale. Nel 2005 venti imprese che producono pannelli solari, ha realizzato un fatturato di 356 milioni di euro (+78% rispetto all’anno precedente) dando lavoro a quasi 800 persone. Negli ultimi anni le azioni carburanti naturali, pale eoliche, turbine per di Solarworld hanno alternato rendimenti eccezionali (+498% nel 2004) sfruttare l’energia delle maree, tecnologie per a lunghi periodi negativi (-179% negli ultimi dodici mesi). l’idrogeno. In ognuna di queste società abbiaFatturato [Mil. Euro] Utile [Mil. Euro] Numero dipendenti 2004 mo immaginato di investire 1.000 euro. Mese 2005 per mese controlleremo i rendimenti e li con52 759 356 fronteremo con quelli dell’Amex Oil Index, 616 composto dai titoli delle maggiori compagnie 199,9 petrolifere del mondo. L’energia pulita è so18,1 stenibile anche in borsa? Lo scoprirete nelle prossime puntate. ILL

UN’IMPRESA AL MESE

B

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in collaborazione con www.eticasgr.it | 80 | valori |

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mokadesign.it

| padridell’economia |

James Meade

Il cuore a sinistra e il cervello a destra di Francesca Paola Rampinelli

O IL CUORE A SINISTRA, MA IL CERVELLO A DESTRA» affermò una volta James Meade, premio Nobel per l’economia nel 1977, per spiegare la sua fiducia nei meccanismi di mercato ed il suo contemporaneo deciso interventismo per quel che riguarda i rapporti fra Stato ed economia. James Edward Meade nasce in Inghilterra, a Swanage, nel 1907 e, nel 1936, pubblica il suo primo saggio che ha lo scopo di divulgare e approfondire il pensiero di Keynes, An introduction to economic analysis and policy, testo che si rivelerà decisivo per la diffusione delle nuove idee e costituirà il primo passo avanti per integrare l’analisi macroeconomica con quella microeconomica. Meade si forma alla scuola della Grande depressione e fa parte di quel gruppo di economisti inglesi detto “il circo” che, sotto l’influenza di Keynes, cercano, pieni di entusiasmo e di buone intenzioni, di migliorare il mondo partendo dal problema della la disoccupazione di massa che va sanata rifondando su nuovi principi il governo dell’economia. Più tardi, seguendo la teoria delle forme di mercato sviluppata negli anni 20 da Edward Chamberlin, Piero Sraffa e Joanne Robinson, Meade tenta di spiegare il comportamento delle grandezze macroeconomiche, quali reddito, occupazione, investimenti, livello generale dei prezzi, a partire dalla ipotesi che il mercato dei beni sia di concorrenza imperfetta. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’opinione corrente Il pensiero del premio Nobel è che, per consentire la ripresa degli scambi internazionali, occorre inglese: fiducia nei creare un sistema di cambi fissi come quelli che saranno fissati nel 1945 meccanismi di mercato con gli accordi di Bretton Woods. Meade, in disaccordo con Keynes, e interventismo nei rapporti non condivide questa linea perché secondo lui non è possibile ottenere fra Stato ed economia la stabilità monetaria senza stabilire prima un sistema di libero scambio, visto che la politica del cambio non è in grado di correggere gli squilibri macroeconomici che si riflettono sul cambio stesso (The economic basis of a durable peace, 1947). L’opera che gli vale il Nobel per i suoi contributi in tema di teorie del commercio internazionale è Theory of international economic policy, con cui Meade coniuga elementi dell’approccio macroeconomico keynesiano con elementi della teoria e dell’equilibrio economico e generale. L’economista continua ad insegnare fino al 1969, prima alla London School of Economics, e poi a Cambridge. Come presidente del Brithish Committee on Tax Reform pubblica il rapporto The structure and reform of direct taxation, in cui, rifacendosi alle tesi di Luigi Einaudi sulla doppia tassazione del risparmio, si sostiene la necessità di spostare l’imposizione dal reddito al consumo. Per quanto riguarda la tassa di successione l’economista inglese sposa la teoria dell’imposizione del 100%, basandola sul principio dell’economia che vede gli incentivi a guadagnare e innovare come reali motori dello spirito del profitto latenti per coloro che hanno l’avvenire assicurato da una ricca eredità. Fare tabula rasa a ogni generazione realizzerebbe insomma l’assioma “più crescita e più giustizia”. L’ultimo lavoro di Meade è Agathothopia, del 1989, in cui si ipotizza il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dell’impresa attraverso l’indicizzazione di almeno una parte del salario. L’economia di Agathotopia non è pianificata ma fondata sulla partnership, metodo che viene considerato come una possibile soluzione del problema distributivo che il socialismo della pianificazione ha posto, ma che non è riuscito a risolvere.

«H

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ANNO 6 N.44

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NOVEMBRE 2006

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vecchi valori nuovi valori il mensile di economia sociale e finanza etica

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