Anno 7 numero 49. Maggio 2007. € 3,50
valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Fotoreportage > Cina
PATRICK ZACHMANN / MAGNUM PHOTOS
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Inserto speciale > Terra futura
Dossier > Oltre la delocalizzazione tornano d’attualità reddito e occupazione
Lavoro del futuro Finanza etica > La sfida di Intesa San Paolo si chiamerà Banca Prossima Honduras > Il microcredito oltre il chicco, si tocca con mano Vestire > La filiera eco solidale raddoppia la convenienza Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.
| editoriale |
Terra Futura: scegliere
per cambiare la vita di Ugo Biggeri
E BPM NUOVA
QUATTRO!!!
Chi l’avrebbe detto 4 anni fa che l’idea di un incontro tra attori diversi per mostrare che un altro mondo è possibile avrebbe fatto tanta strada. E che questi temi diventassero sempre più attraenti per i cittadini, gli imprenditori, le istituzioni come dimostra il fiorire in Italia di altri eventi piccoli e grandi. Quando ci chiedono di descrivere Terra Futura abbiamo sempre difficoltà, perché ciò che la muove non è un’esigenza commerciale e non è solo la voglia di fare cultura; Terra Futura è mossa da un sogno di un mondo diverso, di riuscire a innescare un forte cambiamento della globalizzazione in modo non violento, dal voler dare a tutti la possibilità di confrontarsi. Allora come si fa a dare un “nome” a una edizione a dire qualcosa dell’evento senza trascurare pezzi importanti? Quest’anno il convegno di Terra Futura si occupa del Lavoro, del suo futuro, dei cambiamenti necessari per rispondere alle sfide ambientali e sociali del nostro tempo. Ma accanto a questo convegno ne troviamo decine di altri su temi altrettanto importanti: dagli imprenditori per la decrescita felice, alla legge sui semi della commissione internazionale del cibo presieduta da Vandana Shiva, dallo slow trade alla presentazione dello “state of the world”, dall’ecoefficienza ai biocarburanti, dalla medicina non convenzionale alle azioni di governo locale, dalla finanza etica ai fondi pensione, dal commercio equo agli acquisti pubblici e ancora, campagne sugli accordi di partenariato economico dell’Ue con i paesi africani, sui lavoratori della Birmania, sulla responsabilità sociale di impresa. Il tutto accompagnato da numerosi appuntamenti di animazione culturale ed insieme a centinaia di espositori che autocertificano le proprie “buone pratiche”. Ecco perché da quest’anno Valori è la rivista di riferimento di Terra Futura, per continuare tutto l’anno lo spirito dell’evento approfondendo i mille rivoli di idee e pratiche che in tre giorni affollano l’evento. Cos’è, dunque, Terra Futura? Una fiera? Una mostra? Un mega congresso? Un appuntamento culturale? Terra futura è un crogiuolo, un intreccio di reti che innescano processi di cambiamento, una fucina di idee, una mostra di buone pratiche in tutti i campi del quotidiano, una festa per sognare un futuro equo, un futuro desiderabile in cui semplicità, bellezza, felicità, e giustizia prendano il posto dell’insoddisfazione programmata dei nostri desideri vero motore della società dei consumi. È un caos di proposte che hanno proprio nella loro complessità e varietà, la ricchezza creativa che ci sta dando un domani migliore. Ci proviamo perché ci crediamo e anche per questo di anno in anno ci sforziamo per quanto possibile di rendere l’evento stesso “sostenibile”, dalle scelte di allestimento, ai materiali usati, al riciclaggio per il quale abbiamo bisogno del coinvolgimento di tutti. Nell’ultimo libro di Wolfgang Sachs, presidente del comitato di garanzia di Terra Futura, presentato nel supplemento, troviamo la forza positiva di un movimento capace di forte critica, ma anche di intravedere nel mondo e nelle realtà attuali, i semi di un futuro equo. Questo è Terra Futura: cercare tra le pieghe delle contraddizioni dell’oggi le buone idee per il futuro, capire quali processi possono portare imprese governi e cittadini a cambiare modelli di produzione, di consumo, di vita.
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maggio 2007 mensile www.valori.it
anno 7 numero 49 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore
Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano promossa da Banca Etica soci
Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa, Federazione Trentina delle Cooperative, Rodrigo Vergara, Circom soc. coop. consiglio di amministrazione
L’uscita dalla Aokang, la fabbrica che produce scarpe per la Geox. Gli operai si cibano velocemente prima degli straordinari serali. Il più grande calzaturificio cinese si trova a Yancheng. Vi lavorano 12.000 operai che producono 50 milioni di scarpe all’anno destinate a 5000 negozi.
Cina, 2007
bandabassotti
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fotoreportage. Cina
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dossier. Delocalizzazione
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Oltre la delocalizzazione tornano d’attualità reddito e occupazione Dalla globalizzazione alla localizzazione Disoccupazione soprattutto giovane Paesi dell’est vi dico addio
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lavanderia
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finanzaetica
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Intesa San Paolo, dopo la fusione la banca non profit Armi e nucleare la nostra etica è il profitto Le banche parlano europeo ma gli stili sono diversi Giacimenti verdi
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fotografie
macroscopio
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Roberto Caccuri, Augusto Casasoli, Fabio Cuttica, Paolo Pellegrin, Gueorgui Pinkhassov, Massimo Sciacca, Patrick Zachmann (Contrasto/Magnum Photos/A3)
economiasolidale
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Il viaggio responsabile è un incontro tra persone Vestire critico la nuova via di sviluppo per il mercato etico
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utopieconcrete
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internazionale
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A piccoli passi per trovare una via d’uscita L’economia della diaspora Farmaci ai poveri del mondo un obiettivo ancora lontano
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altrevoci
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globalvision
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numeridivalori
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paniere
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padridell’economia
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Ugo Biggeri, Stefano Biondi, Pino Di Francesco Fabio Silva (presidente@valori.it), Sergio Slavazza direzione generale
Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci
Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone direttore editoriale
Ugo Biggeri (biggeri.fondazione@bancaetica.org)
TERRA FUTURA NUOVA
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| bandabassotti |
Coopservice
Un tesoretto pieno di spine cooperative di Giovanni Vignali
A QUOTAZIONE AL SEGMENTO EXPANDI della Borsa Italiana di “Servizi Italia”, azienda parmigiana controllata dalla cooperativa di servizi reggiana “Coopservice”, ha creato un vero e proprio terremoto nell’Emilia rossa, patria di alcuni dei maggiori colossi nazionali della cooperazione. Il 40% di quest’azienda - “Servizi Italia” è leader nel noleggio e nella sterilizzazione di articoli tessili per ospedali - poco prima del collocamento a Piazza Affari era finito in Lussemburgo, al prezzo di 1,149 euro ad azione, in pancia alla “First Service Holding”. La società di diritto anonima domiciliata nel Granducato, una volta avvenuto lo sbarco sul listino milanese (con un valore di 8,5 euro per azione), ha potuto così realizzare plusvalenze esentasse per 36 milioni di euro. Lo scandalo è esploso una volta scoperto che dietro la “Fsh” ci sono i principali manager della medesima “Coopservice”: il presidente Pierluigi Rinaldini, Luciano Facchini, ex direttore generale di Servizi Italia ed ex consigliere di amministrazione di “Coopservice”, Barbara Piccirilli vicepresidente di “Coopservice”, Enea Righi e Ilaria Eugeniani, rispettivamente amministratore delegato e consigliere di amministrazione di “Servizi Italia”. Per loro, e per altri 300 soci o ex soci della coop reggiana (un numero decisamente esiguo, raffrontato agli oltre 4mila soci totali) lo sbarco in Borsa ha rappresentato una vera e propria manna. Ma ai piani alti di Legacoop di Reggio Emilia la spregiudicata operazione finanziaria non è apparsa altrettanto illuminata. E non soltanto perché prestava il fianco agli immediati attacchi del centrodestra, che da tempo critica i benefici fiscali concessi alle cooperative, insiste sull’esistenza di un “conflitto di interessi” fra politica La “stangata” di trecento ed economia in Emilia, e mette in dubbio le finalità da dirigenti e soci della grande mutualistiche e sociali dell’azione economica delle coop. società di servizi reggiana La vendita del 40% di “Servizi Italia” espatriato scatena un nuovo putiferio in Lussemburgo non è avvenuta, infatti, tutta sul mercato: quando le ferite del caso Consorte non sono ancora chiuse il 27,5% è stato collocato a Piazza Affari (incasso complessivo: quasi 29 milioni di euro), ma la restante parte - il 12,5%, pari a oltre 13 milioni di euro - è passato di mano da “First Service holding” di nuovo a “Coopservice”. La coop reggiana ha dunque ricomprato al prezzo di 8,5 euro ad azione quanto era già di sua proprietà e aveva scelto di cedere nel Granducato meno di un anno prima (era il settembre 2006) a soli 1,149 euro per azione. Un guadagno milionario, per un ristretto manipolo di uomini e donne che erano stati così previdenti da credere «nell’avventura lussemburghese». Un guadagno dal sapore alquanto amaro però per tutti gli altri soci della cooperativa e per la stessa Legacoop che, costituito un comitato di saggi, ha invitato i responsabili a sanare la situazione. La risposta dei vertici è stata affermativa, una volta che il loro nome era stato pizzicato nel prospetto informativo approntato da Unipol Merchant per la Borsa: «Restituiremo tutto, con una donazione retrocederemo i nostri guadagni alla stessa cooperativa» hanno affermato gli interessati. Ora la parola passa al fisco. Su quei 36 milioni di plusvalenze maturate all’estero infatti pende quanto si prevede debbano riconoscere all’erario le società con sede all’estero, ma prive di storia di attività consolidata alle spalle, considerate a tutti gli effetti come operanti sul territorio nazionale: circa il 40%. Fuori l’elenco dei 300, tuonano intanto a Reggio Emilia coloro i quali vogliono conoscere l’identità di tutti i beneficiari della trasferta in Rue de l’Eau 18, Lussemburgo, sede della “Fsh”. Dopo la bordata di critiche al presidente di “Coopservice” e ai dirigenti già noti in questo intreccio cooperativo-borsistico c’è grande curiosità, rispetto a quali ulteriori sorprese potrebbe riservare la società lussemburghese partecipata dagli emiliani.
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PROVINCIA ROMA
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| fotoreportage | PATRICK ZACHMANN / MAGNUM PHOTOS
> Cina foto di Patrick Zachmann / Magnum Photos
Qualsiasi paragone con la Cina è impossibile da fare. In quel Paese la normalità è una parola sconosciuta. Tutto è amplificato nel bene e nel male. Crescita economica, mercato potenziale, prodotti a basso costo. Diritti negati, impatto ambientale disastroso, consumi insostenibili, urbanizzazione selvaggia. Per l’Europa niente sarà più come prima.
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umeri. Quando si parla della Cina, sono da capogiro. È quella la prima distanza tra l’Impero Celeste e il Vecchio Continente. I numeri di questo Paese sono disorientanti, nel bene e nel male. Ogni cosa in Cina assume una dimensione a noi sconosciuta che finisce per generare paura e stupore. I cinesi sono circa un miliardo e 273 milioni. Si stima che da quando Deng Xiaoping all’inizio degli anni Ottanta lanciò le riforme di mercato, la popolazione cinese sia cresciuta di 320 milioni di abitanti. E gran parte di questo aumento si è riversato nelle città: ogni anno 15 milioni di cinesi abbandonano le campagne per approdare nelle metropoli in cerca di lavoro. Sterminati quartieri dormitorio, alveari densi, fumanti e brulicanti di umanità. In Cina le fabbriche sono grandi come città. Alla Senda di Yancheng, ad esempio, il più grande calzaturificio del mondo, lavorano 12.000 operai che producono 50 milioni di scarpe all’anno destinate a 5000 negozi sparsi per il globo, con i nomi delle marche occidentali più importanti, nessuna esclusa. I numeri possono persino trasformare il concetto di arte, come è avvenuto a Dafen, poco distante dal polo industriale di Shenzen e conosciuta in Cina come “la città dei pittori”. Il pensiero corre immediatamente a Montmartre o a Cadaqués. Niente di più sbagliato. È vero, a Dafen vivono e lavorano sodo 2700 pittori, ma la loro è una produzione industriale. Dipingono di giorno e di notte, riproducendo le opere dei più grandi artisti della storia che andranno ad abbellire le case di tutto il mondo, comprese quelle ancora da costruire. Ogni notte da Dafen partono alla volta del porto di Shenzen decine di tir carichi di Matisse, Van Gogh, Picasso, Tintoretto, Klimt, rigorosamente clonati. Le dimensioni del mercato cinese sono tali da rappresentare un piatto appettitoso per i produttori europei. I cinesi, però, hanno saputo usare il loro mercato interno come una formidabile arma contrattuale. Lo sa bene il francese Dominique de Villepin che due anni fa ha firmato un contratto di 9,7 miliardi di euro per la fornitura di 150 aerei progettati e costruiti dal consorzio europeo Airbus. Un colpo notevole perché per la prima volta veniva battuta la Boeing, regina del mercato. Fu solo però una vittoria di Pirro, perché il colosso aeronautico europeo dovette accettare di produrre l’intera commessa in Cina, con manodopera cinese. I figli di Mao sanno sognare e per farlo non si fanno colonizzare. A Shanghai è nata Chinawood la risposta orientale a Hollywood. Oltre 200 film prodotti nel 2006, 200 milioni di dollari incassati e crescita annua del 50 per cento di spettatori. Il cinema made in Cina ha conquistato gli europei e gli americani a colpi di Oscar, come nel caso della “Tigre e il dragone”. Il kung fu di Ang Lee ha messo ko anche Rocky Balboa. ANNO 7 N.49
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L’AUTORE Patrick Zachmann nasce nel 1955 in Francia. Fotografo freelance dal 1976 e membro della Magnum Photos dal 1990, Patrick Zachmann lavora per i principali periodici del mondo. Il primo ambiente culturale è stato la mafia di Napoli, sulla quale ha pubblicato nel 1982 il libro Madonna! Per i due anni successivi, ritrae immagini di giovani immigrati della periferia nord di Marsiglia. Dopo aver lavorato su un progetto personale sul tema dell’identità ebraica, pubblica nel 1987 il suo secondo libro, Enquête d'identità. Nel 1989, la sua storia su Tiananmen a Pechino viene ampiamente diffusa dalla stampa internazionale. Insieme ad altri fotografi, crea, e presiede fino al 1992, l’associazione Droit de Regard, per la tutela e la promozione dei diritti di autore nel fotogiornalismo. Tra il 1986 ed il 1992, studia a fondo la diaspora cinese. Due anni dopo, il suo sguardo di etnologo si dirige sulla comunità maliana che vive in Francia. Nel 2004, completa uno studio sulla comunità musulmana di Parigi. Patrick Zachmann ha pubblicato il suo lavoro sul Cile del post Pinochet, intitolato Chili: Les routes de la mémoire. Il fotografo ha colto quest’opportunità per approfondire il suo tema preferito, la memoria o la sua assenza, che è la chiave per la costruzione della propria identità.
Zhejiang province. Wenzhou. Il salario medio orario in Cina è pari a 50 centesimi. Contro i 2,3 dollari di un messicano, i 5 dollari di Taiwan e i 20 dollari negli Stati Uniti d’America. Cifre che si riducono ulteriormente quando a lavorare sono i minori, che in Cina guadagnano dai 50 agli 80 euro al mese.
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> Cina
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Provincia di Zhejiang. In alto a sinistra, un lavoratore immigrato (mingong) ricicla pelle per scarpe da bambino. Qui a sinistra, “mingong” a Pechino, l’arrivo, a casa e la coda per l’acqua.
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| fotoreportage |
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L’arrivo alla Aokang, fabbrica di scarpe associata alla Geox. In alto e a destra, il dormitorio dove i “mingong” vivono. 2000 persone lavorano qui, la fabbrica produce 10 milioni di scarpe all’anno. Cina, 2007
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| fotoreportage |
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Sopra, un corso di danza. In alto a sinistra, una “hostess” mingong (molte sono prostitute) attende il turno al KTV karaoke. Sotto, il cantante della band Xue Ji Hua Shuo. A sinistra, Wenzhou, provincia di Zhejiang.
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dossier
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a cura di Cristina Artoni, Antonio Barbangelo, Piero Bosio e Stephen Roach
La vecchia economia sconfigge la speculazione >18 Dalla globalizzazione alla localizzazione >20 Il capitalismo odierno: un parassita anarchico >21 La Cina, fabbrica della flessibilità di Stato >25 Delocalizzazione di ritorno >28
Sobborghi di Wenzhou. Provincia dello Zhejiang.
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Lavoro
La variabile indipendente: la finanza La globalizzazione senza regole ha cambiato gli equilibri nei paesi ricchi la quota di reddito da retribuzioni e salari è scesa al livello più basso di sempre
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| dossier | lavoro |
La vecchia economia può sconfiggere gli speculatori di Piero Bosio
ettete insieme un padrone “ illuminato”, un commissario del Governo che lavora 12 ore al giorno, degli operai pronti a fare dei sacrifici ma non a cedere ai ricatti, un sindacato pragmatico, le istituzioni locali che fanno il loro mestiere e una speculazione sventata. Mescolate tutto e salvate un’azienda, rilanciandola sul mercato. Forse è una ricetta difficile da esportare, ma sicuramente ha funzionato per la ex Lares Cozzi, oggi Metalli Preziosi Lares, di Paderno Dugnano, paese della provincia di Milano. Facciamo un passo indietro: la Lares Cozzi, azienda che produce circuiti stampati negli anni ‘80, si espande puntando sull’innovazione tecnologica tanto che, nel decennio successivo, diventa una società leader del settore a livello europeo con clienti di primo piano: Nokia, Siemens, Ericson, Motorola e Alcatel.
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Pingyang, Provincia dello Zhejiang. Lavoratrici nella fabbrica “Giuseppe”, che produce in modo quasi esclusivo per brand italiani. L’azienda ha anche 30 negozi a Shangai.
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Nel 2001 la crisi, improvvisa e pesante, scatenata dagli errori dell’azienda: un eccesso di investimenti ma anche fattori esterni a partire dagli effetti dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York sull’economia mondiale e, quindi, anche nelle telecomunicazioni in cui operava la Lares Cozzi. Solo in Europa chiusero 600 aziende del settore. La concorrenza delle imprese del sud-est asiatico, con un costo del lavoro molto basso, dà il colpo finale alla Lares Cozzi che, con i suoi 360 dipendenti, finisce in amministrazione controllata regolata dalla Legge Prodi bis. La legge prevede per le aziende con più di 200 dipendenti l’intervento di un commissario straordinario del Governo con il compito di risanare l’azienda, salvare il più possibile l’occupazione, pagare i creditori.
Un commissario manager per salvare la Lares Toccò all’avvocato Salvatore Castellano del Ministero del Lavoro tentare di rimettere in sesto la Lares Cozzi. «Arrivai alla Lares - racconta Castellano - nel dicembre 2004 e rimasi colpito dalla volontà degli operai di salvare l’azienda». Il commissario studia la pratica e verifica che la Lares ha un patrimonio tecnologico di qualità: è stata una
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RIFLESSIONI SUL PRECARIATO NEL CAPITALISMO CONTEMPORANEO la condizione di precarietà della forza lavoro è accompagnata dalla predominanza della contrattazione individuale. Sono le individualità nomadi a essere messe al lavoro e il primato del diritto privato sul diritto del lavoro induce a trasformare l’apporto delle individualità, soprattutto se caratterizzate da attività cognitive, relazionali e affettive, in individualismo contrattuale. La connaturata mobilità del lavoro si trasforma così in precarietà soggettiva del lavoro. In questo contesto, la condizione di precarietà assume forme nuove. Il lavoro umano nel corso del capitalismo è sempre stato caratterizzato da precarietà più o meno diffusa a seconda della fase congiunturale e dei rapporti di forza di volta in volta dominanti. Ma si è sempre parlato di precarietà della condizione di lavoro, in quanto lo svolgimento di un lavoro prevalentemente manuale implicava in ogni caso una distinzione tra il tempo della fatica e il tempo del riposo, cioè tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro (o tempo libero). La lotta sindacale del XIX e del XX secolo è sempre stata tesa a ridurre il tempo di lavoro a favore del tempo di non lavoro. Nella transizione dal capitalismo industriale-fordista a quello cognitivo, il lavoro digitale e immateriale si è sempre più diffuso sino a definire le modalità principali della prestazione lavorativa. Viene meno la separazione tra uomo e la macchina che regola, organizza e disciplina il lavoro manuale. Nel momento stesso in cui il cervello e la vita diventano parte integrante del lavoro, anche la distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro perde senso. Ecco allora che l’individualismo contrattuale, che sta alla base della precarietà giuridica del lavoro, tracima nella soggettività degli stessi individui, condiziona i loro comportamenti e si trasforma in precarietà esistenziale. Nel capitalismo contemporaneo e cognitivo, inoltre la precarietà tende a diventare strutturale e generalizzata. È condizione strutturale interna al nuovo rapporto tra capitale e lavoro immateriale, esito della contraddizione tra produzione sociale e individualizzazione del rapporto di lavoro, tra cooperazione sociale e gerarchia. La precarietà è condizione generalizzata perché anche chi si trova in una situazione lavorativa stabile e garantita è perfettamente cosciente che tale situazione potrebbe terminare da un momento all’altro in seguito a un qualsiasi processo di ristrutturazione, delocalizzazione, crisi congiunturale, scoppi della bolla speculativa, ecc. Tale consapevolezza fa sì che il comportamento dei lavoratori/trici più garantiti sia di fatto molto simile a quello dei lavoratori/trici che vivono oggettivamente e in modo diretto una situazione effettivamente “precaria”. La moltitudine del lavoro è così o direttamente precaria o psicologicamente precaria. Da qui la considerazione che nell’attuale capitalismo cognitivo, gli interventi a sostegno del reddito e l’esigenza di una riformulazione dello stesso intervento di welfare diventano sempre più interventi a sostegno del mercato del lavoro. Diritti di cittadinanza, quali la garanzia di un reddito continuativo, e diritti del lavoro - quali salario minimo, riduzione del numero delle tipologie contrattuali e rispetto della dignità umana - sono in realtà due facce della stessa medaglia, che vanno a definire i contorni di una nuova conflittualità sociale e moltitudinaria. Andrea Fumagalli
Il caso emblematico di un azienda in crisi: il sindacato si è opposto ai nuovi compratori, ha cercato un imprenditore che desiderava investire in attività produttive difficili come quella dei circuiti elettronici stampati
delle prime aziende nel mondo a usare il laser per la foratura. L’obiettivo è abbattere le perdite, oltre 16 milioni di euro. Castellano valuta che il rilancio è possibile. «Io questa azienda la risano, la rendo appetibile e poi la vendo: fu questo il mio piano», dice Castellano che decide di rinnovare gli impianti facendoli funzionare a pieno ritmo, con tre turni di otto ore di lavoro. Il piano di ristrutturazione del commissario straordinario indirizza l’azienda verso produzioni di nicchia e, accompagnato dalla cassa integrazione e la mobilità, porta in due anni la Lares Cozzi a risalire la china e ad aumentare il fatturato.
I sacrifici degli operai. La speculazione dell’azienda. «Passavo 12 ore al giorno a studiare i circuiti stampati - aggiunge il commissario - e agivo da manager, ma se ce l’abbiamo fatta è merito delle maestranze». Castellano li chiama i “suoi operai”. Gli operai lo apprezzano. «Noi abbiamo fatto i sacrifici, alcune decine di noi sono ancora in mobilità e il commissario ci ha messo la sua abilità», dice Giuseppe Rendina, uno dei dipendenti più anziani dell’azienda; ci lavora da 33 anni. Oggi Rendina fa il preparatore della scelta dei materiali e ogni tanto anche l’autista. «Ci abbiamo creduto - aggiunge la fabbrica non poteva morire, abbiamo lottato e siamo stato mesi senza stipendio». La lotta dei lavoratori e la determinazione del commissario del Ministero impediscono che tutto finisca nell’ennesima speculazione finanziaria a scapito del lavoro e della produzione. Racconta Castellano: «Scoprii, esaminando le carte, che il vero obiettivo della proprietà non era risanare l’azienda ma la speculazione immobiliare sui terreni dove si trova, circa 45 mila mq». La Lares Cozzi , nell’aprile del 2006, viene venduta attraverso un bando approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico: è la società Sima del gruppo CST a vincere la gara. La Sima si scontra subito con il sindacato e i lavoratori che si oppongono alla nuova proprietà mentre la Fiom Cgil prosegue - atto singolare per un sindacato - alla ricerca di un altro imprenditore che voglia rilanciare l’attività della Lares Cozzi. Ma perché tanta avversione per la Sima? A spiegarlo è Antonio Cribiù, sindacalista della Fiom Cgil: «Il padrone della Sima era colle-
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gato a un azienda in perdita, voleva solo appropriarsi del know how della Lares Cozzi e poi chiudere la fabbrica». Dopo proteste e mobilitazioni la Sima è costretta a lasciare l’attività.
molto ridotto con una rosa di prodotti ampia e qualificata. Per questo io ho deciso di accorpare le proposte commerciali creando un’interconnessione, per favorire i clienti tra la produzione elettromeccanica della Metalli Preziosi e quella elettronica della Lares».
La Fiom alla ricerca di un padrone La ricerca di un “padrone buono” non è stato un percorso facile per la Fiom Cgil. «Nel mio sindacato si è aperto un dibattito con posizioni contrastanti - dice Cribiù - perchè andare alla ricerca di un padrone non appartiene alla nostra, alla mia cultura. Ma alla fine abbiamo deciso che andava fatto, si trattava si salvare un’azienda con 200 posti di lavoro». «L’industriale illuminato», trovato dal sindacato, si chiama Marcel Astolfi, è italo - danese, ha 46 anni. «Non mi chiami cosi - esordisce Astolfi - non mi sento un padrone illuminato ma uno che punta sul gioco di squadra per far crescere l’azienda». L’industriale ha buone credenziali: ha già salvato un’altra fabbrica, la Metalli Preziosi, e ora punta a una sinergia con la ex Lares Cozzi. Le due aziende, a dicembre 2006, hanno formato la nuova società Metalli Preziosi Lares che ha clienti come Marelli, Ericsson, Siemens. La sua scelta Astolfi la spiega così: «Oggi le grandi multinazionali non puntano più ad avere tanti fornitori nel mondo, ma un numero
Più industria, meno finanza. Verso il polo produttivo Astolfi ha una sua visione critica dell’economia: «In questo paese la finanza spesso sovrasta l’industria, il lavoro. Basti pensare alla Pirelli, un’impresa che, ceduto per esempio il settore Cavi, ha messo in disparte la produzione, per lanciarsi in scelte finanziarie. Ma se noi imprenditori non produciamo, cosa facciamo?». Astolfi è pronto a rilanciare. «Faremo un polo industriale nella zona di Paderno Dugnano per un estensione di 100 mila mq , di cui 50 mila coperti. Li trasferiremo
“
In questo paese la finanza spesso sovrasta l’industria, il lavoro. Basti pensare alla Pirelli e altre grandi
”
la Lares, la Metalli Preziosi, costruiremo una centrale per la produzione dell’energia. Ma creeremo anche - aggiunge Astolfi - una scuola di Arti e Mestieri , studio e lavoro per i giovani, in collaborazione con la Provincia di Milano». Un ruolo importante in questa vicenda lo hanno giocato Comune e Provincia. Il Comune ha accolto la richiesta del sindacato di modificare il piano regolatore per salvare l’azienda. Una scelta difficile e delicata. «La città - ha detto il sindaco Gianfranco Massetti - ha pagato un prezzo per mantenere la Lares sul territorio. L’obiettivo ora non è solo quello di salvaguardare l’occupazione, ma anche di riqualificare la città». Soddisfatto l’assessore al Lavoro e al contrasto delle crisi industriali Bruno Casati: «In molte situazioni di crisi, come alla Lares, se ne va l’industriale e arriva il palazzinaro che compra per chiudere la fabbrica e speculare sui terreni. Questa volta - aggiunge Casati - non è andata così, siamo riusciti come Provincia a fare da raccordo tra tutti i protagonisti di questa vicenda evitando la deindustrializzazione della zona, permettendo il rilancio di un’ azienda». Una buona notizia in un’economia in cui prevale spesso la speculazione finanziaria che brucia posti di lavoro, professionalità, e ricchezza per il territorio.
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IL CAPITALISMO ODIERNO: UN PARASSITA ANARCHICO PAOLO LEON, docente di Economia Pubblica alla Facoltà di Economia Federico Caffè dell’Università di RomaTre. Professor Leon come definirebbe oggi il capitalismo italiano?
«Lo definirei un’ameba anarchica». Addirittura un parassita, perchè un giudizio così duro?
«Perchè il capitalismo di oggi è un parassita anarchico, cioè non ha nemmeno una direzione univoca e quindi provoca molti guai. I sistemi bancari stanno incominciando a comandare, in modo pesante, le imprese sia nell’industria che nel terziario. È un capitalismo sempre più senza proprietari. Questa anarchia rende impossibile indirizzare l’economia, evitare fallimenti e contraccolpi sulle economie reali». Dunque il dominio della finanza, della rendita sulla produzione e sul lavoro.
«Sì, le famiglie capitaliste si stanno indebolendo, basta vedere il caso Telecom o la stessa Fiat, che ormai non si può più definire un’impresa familiare. Il risultato è che la finanza internazionale detta le regole e domina gli elementi della produzione. I Fondi di investimento internazionali - compresi quelli delle pensioni - continuano a raccogliere soldi e prima o poi acquisteranno nel nostro paese industrie strategiche come quelle delle telecomunicazioni, dell’energia». Quali effetti sta provocando tutto ciò sul lavoro?
Dalla globalizzazione alla localizzazione Dopo l’era del capitale e della rendita torna il lavoro, spiega il capo economista della banca d’affari Morgan Stanley che ritiene maturo il momento di un profondo cambiamento.
D
A UNA PARTE SEMBRA CHE LE FORZE della globalizzazione non si
vogliano fermare. L’economia mondiale ha fatto registrare negli ultimi quattro anni la crescita più consistente dai primi anni settanta. E nel 2006, per la prima volta nella di Stephen Roach storia, gli scambi commerciali hanno toccato il 30% del PIL a livello mondiale; quasi il triplo rispetto al boom ecotraduzione a cura di Emanuele Valenti nomico di più di trent’anni fa. Un successo enorme per la globalizzazione! Ma dall’altra parte arrivano segnali inquietanti. Dovuti all’implacabile asimmetria con la quale vengono distribuiti i benefici della globalizzazione. Mentre nei paesi in via di sviluppo molti settori hanno visto migliorare la qualità della vita, i paesi ricchi devono fronteggiare, al contrario, crescenti pressioni sociali. In sostanza, nelle zone maggiormente industrializzate c’è stata una fortissima compressione delle rendite del lavoro: un risultato che sfida la stessa premessa della globalizzazione, cioè il modello “guadagno porta guadagno”. È una grande teoria, ma non funziona come da enunciato. Il primo guadagno, quello che va al mondo in via di sviluppo, è fuori discussione. In testa c’è la Cina, che rispetto ai primi anni Novanta ha più che quadruplicato il suo PIL pro-capite. Gli altri paesi in via di sviluppo sono andati più a rilento, ma sono comunque riusciti a migliorare, in media, la loro qualità della vita.
La globalizzazione ha prodotto una grande asimmetria | 20 | valori |
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Il problema arriva con il secondo guadagno, i presunti benefici accumulati dai paesi ricchi del mondo sviluppato. Ed è proprio lì dove le cose sono andate peggio. Qui, negli ultimi anni, i benefici del guadagno sono andati soprattutto a chi ha in mano il capitale, ai danni dei lavoratori. Ci troviamo quindi di fronte ad una potente asimmetria nell’impatto della globalizzazione, della competizione globale, sulle principali economie industrializzate: un grosso ritorno per il capitale e un piccolo ritorno per la forza lavoro.
Il salario ai livelli più bassi La distribuzione del lavoro su scala mondiale ha provocato, nel cosiddetto mondo sviluppato, fortissime pressioni sull’occupazione e sui salari. Il risultato: nei paesi industrializzati, a metà del 2006, le rendite del lavoro costituivano il 53,7% delle rendite totali. Il livello più basso di sempre. Visto che la maggior parte delle spese, per chi fa affari, è rappresentata dai costi del lavoro, questo si è tradotto in un grande vantaggio per il capitale: nel 2006, nei principali paesi del mondo industrializzato, i profitti hanno toccato il tetto storico del 15,6% sul totale delle rendite nazionali. Questa asimmetria nel secondo guadagno ha una serie di importanti conseguenze. Una volta, quando i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali avevano un certo potere, l’attuale compressio-
ne delle entrate per il lavoro avrebbe sicuramente prodotto una grossa protesta, una reazione vigorosa. Ma nel mondo di oggi, sempre più globalizzato, i lavoratori non hanno più quel potere. Pero lo hanno i loro rappresentanti politici. E agli osservatori non può essere sfuggito il recente spostamento politico nei paesi industrializzati, con la maggioranza che sta lasciando la destra pro-capitale a vantaggio della sinistra più vicina ai lavoratori. Questo non è successo solo negli Stati Uniti, ma anche in Germania, in Francia, in Italia, in Spagna, in Giappone, e probabilmente anche in Australia. Il sorprendente risultato delle ultime elezioni di medio-termine negli Stati Uniti è un ottimo esempio. Il nuovo Congresso, a maggioranza democratica, si troverà proprio nel mezzo di questa battaglia tra capitale e lavoro. Tutti sanno quale fu, al riguardo, la posizione del precedente Congresso, che dall’inizio del 2005 introdusse ben 27 leggi miranti a restringere il commercio con la Cina. L’attuale Congresso potrebbe andare oltre, non solo sul fronte commerciale, ma anche mettendo in atto un’agenda con diversi elementi a difesa dei lavoratori. Non a caso i nuovi leader democratici hanno già promesso di alzare il livello del salario minimo. Sarebbe la prima volta in dieci anni. E a mio modo di vedere questi non sono che i primi passi di un Congresso che ri-
«Che il lavoro diventa sempre più subordinato, difficilissimo da difendere in tema di diritti, chiamati così in quanto non sono merce. Il diritto di un lavoratore a vedere difesa la propria dignità è subordinato al suo rendimento. Questo mercifica il lavoro e rende più debole il sindacato ma anche i Governi che sono costretti a erodere le fondamenta dello stato moderno: Welfare e rappresentanza sindacale». Cosa vuol dire?
«Che c’è uno spettro che si aggira per l’Europa: l’assenza di uno Stato europeo e se non c’è questo elemento fondamentale, portante, come si fa a reggere l’onda d’urto dei mercati finanziari, a difendere il modello sociale di tutele europeo?» Come è cambiata la distribuzione dei redditi?
«La distribuzione del reddito è molto peggiorata per salari e stipendi, a vantaggio delle rendite e dei profitti. Negli ultimi quindici anni il lavoro ha perso il 10% di quota del reddito nazionale. Nello stesso tempo c’è stata una forte concentrazione della ricchezza finanziaria, una crescita monopolistica» Quindi il governo dovrebbe sostenere i redditi delle famiglie?
«Sì, le imprese hanno aumentato in modo consistente i profitti, quindi non hanno bisogno di ulteriore sostegno finanziario da parte dello Stato. Le aziende non hanno problemi di redditività, ma di competitività perchè investono poco in innovazione e ricerca. Bisogna quindi sostenere i redditi delle famiglie e il modo migliore sarebbe quello indiretto, con risparmi per le famiglie derivati da una sanità pubblica che funzioni, da scuola, università e servizi pubblici efficienti». Ritorniamo sul lavoro. Che giudizio dà della flessibilità?
«La flessibilità è un buona cosa se permette a coloro che sono fuori dal mercato del lavoro da tempo di entrarci, ma poi deve diventare un’occupazione di qualità, sicura. Il guaio è che oggi non c’è un’occupazione di qualità, i posti di lavoro crescono ma sono in buona parte a termine e la maggioranza delle donne continua a essere esclusa dal mercato del lavoro. La svalorizzazione del lavoro, attraverso la flessibilità, determina anche la svalorizzazione del prodotto. E alla fine è un danno per tutta l’economia». P.B.
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spetto al passato sarà molto più vicino ai problemi del lavoro. E non è solo l’America ad andare verso una sinistra sensibile a queste problematiche. In Francia l’ascesa di Segolene Royal offre un altro buon esempio: un misto tra una politica a favore dei lavoratori e un approccio protezionistico. Anche l’italiano Prodi è vicino alle esigenze del lavoro, e in Spagna Zapatero è molto più sensibile a tutto questo rispetto ad Aznar. In Germania, Angela Merkel, dopo aver quasi perso le elezioni per una campagna elettorale incentrata sulle necessità del mercato, sembra aver cambiato idea. In Giappone il nuovo governo di Shinzo Abe si è alleato con il centro-destra per appoggiare la “società della seconda chance”, per fare in modo che le vittime della concorrenza globale abbiano almeno una seconda opportunità. E in Australia, Kevin Rudd, il nuovo leader dell’opposizione, sembra aver centrato la sua piattaforma elettorale proprio sulla battaglia del lavoratore medio.
Rischio protezionismo Non sto annunciando la morte della globalizzazione. Ma credo che in questo momento sia possibile, almeno parzialmente, ritornare sulla retta via. Visto che nel mondo industrializzato la classe politica guarda sempre più a sinistra, dando voce ad una forte protesta per l’incredibile disparità tra la ricompensa del capitale e quella dei lavoratori. L’esito di tutto questo è nelle mani dei politici. Il risultato finale dipenderà dalla loro volontà di scrivere e approvare leggi in grado di restringere quel divario. A questo punto, visto che i singoli interessi statali diventano sempre più importanti, il pendolo del potere politico dovrebbe spostarsi dalla globalizzazione alla “localizzazione”. E questo dovrebbe tradursi in una situazione macro-economica molto diversa. La conseguenza più immediata: i salari dovrebbero salire, e i profitti delle grandi corporazioni dovrebbero scendere. Ma non solo. È ragio-
nevole, per esempio, aspettarsi che i politici vogliano controllare molto da vicino i profitti in eccesso del capitale. A partire dai guadagni eccessivi sui mercati finanziari (cioè i fondi di investimento e di private equity) e dalle disparità nella redistribuzione del reddito a vantaggio delle fasce sociali più alte (i tagli alle tasse per i cittadini più ricchi e le retribuzioni eccessive per i grandi manager). Inoltre la localizzazione, portata agli estremi, potrebbe anche voler dire maggiori rischi di protezionismo. A maggior ragione se come da previsione nel 2007 la corsa dell’economia globale dovesse rallentare e la disoccupazione, invece, dovesse crescere. In questo caso l’inflazione potrebbe accelerare, provocando un innalzamento dei tassi d’interesse, una maggiore volatilità dei mercati finanziari, e una potenzialmente pericolosa apertura di un ciclo di credito troppo esteso. E naturalmente le ramificazioni protezionistiche della localizzazione potrebbero andare a sfidare anche i beneficiari del primo guadagno della globalizzazione, cioè le nuove dinamiche compagnie nei paesi in via di sviluppo e la crescita d’impiego che loro hanno generato. Ma non confondiamo la prognosi con la difesa. A mio parere molti di questi potenziali sviluppi, soprattutto la virata verso il protezionismo, non porteranno con sé alcuna valida ricompensa. Ma questo è quello che succede quando si raggiungono i limiti estremi. Nei sistemi a mercato aperto il pendolo del potere economico, quindi, va nella direzione opposta. L’era della localizzazione sarà caratterizzata da più scontri e frizioni, rispetto al periodo del capitalismo e della globalizzazione degli ultimi dieci anni. La domanda vera, a questo punto, riguarda piuttosto l’entità di questo spostamento: cioè fino a che punto il pendolo si sposterà dalla globalizzazione alla localizzazione? La risposta sta dentro le istituzioni politiche. Le conseguenze, invece, nelle economie e nei mercati finanziari.
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*Capo economista della banca d’affari Morgan Stanley
Disoccupazione: soprattutto giovane L’analisi dell’Ilo: trecento milioni di giovani sono lavoratori poveri con un reddito inferiore a due dollari al giorno. di P.B.
Medio Oriente, Nord Africa, Europa centrale e orientale sono in testa alla classifica | 22 | valori |
Creare occupazione non è sufficiente. Oggi i giovani hanno bisogno di un lavoro che li metta nella condizione di dare un contributo anche come cittadini e portatori del cambiamento. Questa la sfida che ci attende». Sono parole solenni quelle pronunciate, a fine 2006, da Juan Somavia, presidente dall’Ufficio internazionale del lavoro - ILO -, ma che si infrangono contro i dati della disoccupazione giovanile nel mondo: sono 86 milioni i giovani, tra i 15 e i 24 anni, senza un lavoro, il 44% del totale dei
«U
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N LAVORO DIGNITOSO, UN FUTURO.
LA DISOCCUPAZIONE NEL MONDO 1996, 2001, 2003-2006* (IN MILIONI)
TABELLA 1
PARTECIPAZIONE DELLA FORZA LAVORO 1996, 2001, 2003-2006* (IN MILIONI)
TABELLA 2
ANNO
1996
2001
2003
2004
2005
2006*
ANNO
1996
2001
2003
2004
2005
2006*
TOTALE
161.4
185.2
188.9
192.7
194.7
195.2
TOTALE
66.7
66.1
65.8
65.7
65.6
65.5
MASCHI
94.7
108.3
110.2
112.5
113.2
113.4
GIOVANI
58.2
55.7
54.7
54.5
54.3
54.2
FEMMINE
66.7
76.9
78.7
80.2
81.5
81.8
ADULTI
69.7
69.6
69.5
69.5
69.4
69.3
*I dati del 2006 sono ancora stime preliminari
*I dati del 2006 sono ancora stime preliminari
Sono stati raggiunti limiti estremi oltre i quali si mettono a rischio i meccanismi stessi che hanno governato la globalizzazione favorendo il ritorno delle barriere protezionistiche FONTE: ILO, IL MODELLO DELLA TENDENZA MONDIALE DELL’OCCUPAZIONE, 2006; FMI, RIASSUNTO DELL’ANDAMENTO ECONOMICO MONDIALE, SETTEMBRE 2006.
Stephen Roach, capo economista della Morgan Stanley.
| dossier | lavoro |
FONTE: ILO, IL MODELLO DELLA TENDENZA MONDIALE DELL’OCCUPAZIONE, 2006.
| dossier | lavoro |
TABELLA 3
GLI INDICATORI DEL MERCATO DEL LAVORO CAMBIO NEL TASSO DI DISOCCUPAZIONE
TASSO DI DISOCCUPAZIONE
REGIONE
2001-2006*
1996 2005
MONDO
-0.2
6,1
ECONOMIE SVILUPPATE ED UNIONE EUROPEA
-0.4
EUROPA CENTRO-ORIENTALE (EXTRA UE) ED EX-REPUBBLICHE SOVIETICHE
TASSO DI CRESCITA DEL PIL
OCCUPAZIONE IN RAPPORTO ALLA POPOLAZIONE
TASSO CRESCITA DELLA FORZA LAVORO SU BASE ANNUA
TASSO DI CRESCITA DEL PIL SU BASE ANNUA
1996 2006*
1996-2006
1996-2006*
2006*
2005
2006*
2007P
6,4
6.3
4.9
5.2
4.9
62.6
61.4
1.6
4.1
7.8
6.8
6.2
2.5
3.0
2.6
55.9
56.7
0.7
2.6
-0.5
9.7
9.4
9.3
6.4
6.3
6.1
54.8
53.0
0.3
4.3
ASIA ORIENTALE
-0.3
3.7
3.5
3.6
9.2
9.2
9.1
75.1
71.6
0.9
8.2
SUD EST ASIATICO E PACIFICO
0.7
3.7
6.6
6.6
5.8
5.4
5.7
67.5
66.1
2.2
4.1
ASIA MERIDIONALE
0.2
4.4
5.2
5.2
8.2
7.9
7.2
58.4
56.5
2.1
6.1
AMERICA LATINA E CARAIBI
-0.5
7.9
8.1
8.0
4.3
4.7
4.2
58.5
60.3
2.4
3.0
MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA
-1.1
13.0
12.3
12.2
5.5
6.1
5.5
44.9
47.3
3.5
4.6
AFRICA SUB-SAHARIANA
-0.4
9.2
9.7
9.8
5.6
4.8
5.9
68.8
67.0
2.5
4.0
*I dati del 2006 sono ancora stime preliminari, p=proiezioni.
disoccupati. Una cifra al ribasso perchè circa 20 milioni di giovani hanno rinunciato, sfiduciati, a cercare un’attività e quindi scompaiono dalle statistiche ufficiali. «La disoccupazione giovanile è solo la punta di un icerberg - dice a Valori Giovanna Rossignotti, coordinatrice per il programma sull’ Occupazione Giovanile dell’ILO - altri 300 milioni di ragazzi e ragazze sono lavoratori poveri che guadagnano circa 2 dollari al giorno». Inoltre quasi 400 milioni di giovani lavorano con sottosalari, contratti a termine, a chiamata, in affitto, senza tutele sindacali e protezioni sociali. Siamo dunque in presenza di un’emergenza mondiale tanto che anche l’Onu è intervenuta: il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite si è impegnato nel 2006 a promuovere - dice il documento conclusivo - “strategie che offrano ai giovani un pieno impiego, un lavoro dignitoso”. Impegni anche in questo caso
solenni ma che in realtà devono fare i conti con il liberismo e una globalizzazione che punta sempre più a ridurre i costi del lavoro e a comprimere verso il basso i salari, utilizzando come arma di pressione e ricatto verso gli occupati o chi cerca un lavoro, l’esercito industriale di riserva di paesi come Cina e India.
La disoccupazione giovanile non cala L’unica area del mondo dove la disoccupazione giovanile è statisticamente diminuita in modo considerevole, negli ultimi 10 anni, è l’Europa. Ma questo fenomeno - ci ricorda l’ILO - è imputabile al fatto che le imprese ricorrono meno ai giovani, più che a efficaci strategie per l’occupazione. Il tasso di disoccupazione giovanile più alto si ha nel Medio Oriente e nel Nord Africa con un percentuale ufficiale del 25.7%. Al secondo posto troviamo l’Europa centrale e orientale (paesi non Ue), e le regio-
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| dossier | lavoro |
ni della ex-Unione sovietica. Le economie sviluppate e l’Unione Europea hanno un tasso di senza lavoro pari al 13%.
Giovani donne: ultime assunte, prime licenziate.
ANDAMENTO GLOBALE DELL’OCCUPAZIONE...
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...E DELLA DISOCCUPAZIONE NEL PERIODO 1996-2006*
CINA, LA FABBRICA DEL MONDO DOVE LO STATO ORGANIZZA LA FLESSIBILITÀ INTERVISTA A OSCAR MARCHISIO, docente all’Università di Urbino e direttore di China News. Lei considera la Cina fabbrica del mondo. Ci spiega perché?
«Per capirci partiamo da un esempio: la Nike ha 40 mila dipendenti negli Usa e ben 500.000 operai cinesi, che io chiamo dipendenti, che lavorano per i fornitori della Nike in Cina. Ciò vi può dare la dimensione di quello che rappresenta questo immenso paese per il mondo capitalista. Pensate che 10 anni fa i lavoratori delle aziende private in Cina erano 3 milioni oggi sono decuplicati, sono oltre 30 milioni. Una crescita imponente. E poi ci sono milioni di contadini, mano d’opera per la Cina e non solo». Qual è il ruolo dei contadini cinesi nel ciclo produttivo?
TOTALE DEGLI OCCUPATI (IN PERCENTUALE)
200 190
68% 66%
2.7
64% 2.6 62% 2.5 60% 2.4 58% 2.3 56% 2.2
54%
7.7%
TOTALE DEI DISOCCUPATI (IN MILIONI) TASSO DI DISOCCUPAZIONE (IN PERCENTUALE)
7.4%
180
TOTALE DEI DISOCCUPATI (IN MILIONI)
2.8
7.1%
170 6.8% 160 6.5 150 6.2 140 5.9 130 5.6
120
2.1
52%
110
5.3
2.0
50%
100
5.0
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
«I contadini sono un formidabile esercito industriale di riserva, nel senso marxiano del termine, non solo per la Cina ma per tutto il mondo. C’è una città che si chiama Shenzhen, ha 3 milioni di abitanti e si trova nel Guandong (sulla costa meridionale della Cina continentale Ndr), ed è l’esempio estremo del modello di nuovo mercato del lavoro funzionale alle imprese private». TASSO DI DISOCCUPAZIONE
70%
TOTALE DEGLI OCCUPATI (IN MILIARDI)
OCCUPAZIONE IN RAPPORTO ALLA POPOLAZIONE
2.9
TOTALE DEGLI OCCUPATI (IN MILIARDI)
FONTE: ILO, IL MODELLO DELLA TENDENZA MONDIALE DELL’OCCUPAZIONE, 2007.
Le più penalizzate sono le donne. La differenza del tasso di partecipazione alla forza lavoro tra giovani donne e giovani uomini - dice l’ILO - è più evidente nelle regioni industrializzate; in Asia del sud è stata verificata una differenza del 35% , del 29% in Medio Oriente e nord Africa. Un altro elemento importante è l’istruzione: aumenta il numero dei giovani che non ha nè un lavoro né un’istruzione. L’ILO stima che ben il 34% dei giovani dell’Europa centrale e orientale non
abbia un’occupazione e non vada a scuola; il 13% nelle economie sviluppate e nell’Unione Europea. Una strategia efficace per promuovere l’occupazione giovanile - sostiene l’ILO - richiede una azione basata su tre assi tra loro interconnessi che Giovanna Rossignotti riassume così: «politiche economiche che favoriscono la creazione di impiego (vedi TABELLA 1 ); interventi mirati che agiscono tanto sulla domanda quanto sull’offerta di lavoro per i giovani (vedi TABELLA 2 ) ; misure volte a migliorare la qualità dell’occupazione giovanile, in particolare attraverso l’applicazione di una legislazione del lavoro basata sulle norme internazionali dell’Ilo e il dialogo sociale (vedi TABELLA 3 )».
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 *I dati del 2006 sono ancora stime preliminari.
Le nuove rotte della delocalizzazione
Perché?
«Perché siamo davanti a un liberismo di Stato in quanto è il potere centrale che giuridicamente ha organizzato tutto: Shenzhen è la rappresentazione fisica del lavoro flessibile, atipico, interinale. In questa città tutto è organizzato in modo scientifico a partire dalla rotazione semestrale dei lavoratori che vengono dalle campagne, lavorano e poi tornano nelle campagne lasciando il posto ad altri, una rotazione flessibile della forza lavoro. Sono migranti legali e illegali, la loro presenza permette il controllo sociale dei comportamenti e dei salari. Tutto ciò è promosso da agenzie dello Stato. Il modello di questa città inizia a riproporsi in altre». Quanti sono i contadini cinesi, quello che lei chiama l’esercito industriale di riserva?
«Ci sono stime diverse. È credibile che tra contadini e pescatori siano intorno ai 100 milioni, una massa imponente che rappresenta il vero volano dell’economia cinese. Ma non solo per quella cinese. Molti emigrano in Usa, in Europa e si propongono come manodopera a basso costo, un vero affare per molte imprese». In Cina stanno crescendo in modo esponenziale i consumi, quale
conseguenza comporta?
«Negli ultimi 20 anni i consumi in Cina sono cresciuti a un ritmo annuo del 15% e oggi con 628 miliardi di dollari è il terzo mercato del mondo e si avvia a diventare il primo. In questo contesto si sono sviluppate le reti dei grandi magazzini, dei supermercati che sono diventati protagonisti dello sviluppo. Tutto ciò ha dato ulteriore potere alla Cina verso i fornitori stranieri. Nello stesso i cinesi continuano nella loro corsa alle esportazioni tanto da condizionare economicamente e politicamente altri stati: pensate che gli Usa hanno un deficit commerciale con la Cina di 157 miliardi di dollari, sintomo che il mercato americano dipende dai cinesi». Dunque un paese in ebollizione con conseguenze su tutto il mondo.
«Non c’è dubbio. Dai ritmi di crescita del prodotto interno, dall’immigrazione nelle città come le descrivevo prima, dal sistema delle relazioni commerciali, dalla riconversione di intere aree geografiche arriveranno cambiamenti e ripercussioni mondiali. Le ricordo una previsione della Banca Mondiale: nei prossimi anni in Cina saranno creati 100 milioni di posti di lavoro, una base per tutto il settore manifatturiero mondiale». Quali sono le condizioni degli operai cinesi?
«Dipende dalle zone e se un dipendente è pubblico o privato. I pubblici hanno ancora alcune garanzie sia pensionistiche che assicurative legate alla propria impresa, i privati non hanno queste coperture ma guadagnano un pò di più. Comunque a Shanghai un metalmeccanico ha un salario tra i 200 e i 400 euro al mese. Certo che lo sviluppo imponente della Cina travolge diritti, tutele e sicurezza sul lavoro. La Cina ha un bisogno formidabile di energia e quindi è in corso una ristrutturazione delle miniere di carbone e ciò comporta conflitti e tensioni: vi sono 5/6000 morti sul lavoro all’anno nelle miniere mentre si sono ridotte da 80 mila a 20 mila le miniere illegali. Ci sono stati i primi scioperi e proteste come ad esempio a Shenyang (città a nord di Pechino, Ndr) non solo come reazione ribellista ma organizzati dalla base, dal basso, dagli stessi operai delle fabbriche. Sono scioperi che pongono la questione dei tempi dello sviluppo e quella dello sfruttamento della manodopera in un meccanismo infernale di crescita economica».
Appena partono le proteste sindacali i sub fornitori delle multinazionali cambiano i loro insediamenti produttivi.
A
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NCHE NEL COMMERCIO OCCORRE MOLTA CREATIVITÀ E FANTASIA. Lo dimostrano gli imprenditori che puntano tutto e sempre più sulla delocalizzazione, anche in luoghi finora impensabili. Il processo investe tutti i continenti senza distinzione. L’unico denominatore comune si materializza nel momento in cui nel paese dove è stata installata una nuova impresa vengono avanzate richieste per un aumento dei salari. Immediatamente riparte la ricerca di nuovi lidi dove poter sfruttare a dei prezzi irrisori. È il caso della società Bj&B della Repubblica Dominicana che ha annunciato la chiusura questo mese dopo otto anni di attività. L’impresa è di proprietà del gruppo coreano Yupoong, uno dei più importanti produttori mondiali
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nel settore dei cappelli. La Bj&B ha sin dalla fondazione avuto come principale committente la Nike e per un certo periodo anche Reebok (ora diventata Adidas). Dal 2002 i lavoratori costretti a turni massacranti e salari mortificanti hanno iniziato una battaglia per ottenere migliori condizion di lavoro. Il risultato è che l’outsourcing avviato una decina di anni fa sta per naufragare. Nike e Reebok hanno cominciato già nel 2004, di fronte alle richieste dei lavoratori, a trasferire gli ordini fin a quel momento rivolti a Yupoong, verso altre industrie localizzate in Asia. Nike in particolare si è rivolta a nuovi gruppi emergenti in Vietnam e in Banglandesh. I lavoratori della Repubblica Dominicana, con l’aiuto di associazioni
internazionali, sono ora impegnati in un lotta per sensibilizzare l’opinione pubblica ed evitare la chiusura della fabbrica che porterebbe al licenziamento 350 persone (www.cleanclothes.org/urgent/07-03.20.htm). Finora per molti settori del mercato i paesi dove delocalizzare venivano individuati in Cina e in India. Ma ora anche Nuova Dehli rischia di venire colpita a sua volta, dopo che nel paese i costi per i salari stanno lievitando sensibilmente. Il valore dei sub-appalti in India per tutto il settore dell’alta tecnologia ha superato i 17 miliardi di dollari l’anno, contro i 4 miliardi nel 2001. Secondo l’associazione nazionale delle imprese di servizi informatici, nel settore sono impiegate più di un mi-
lione di persone. Ma la minaccia all’orizzonte è già più che concreta con la presenza sul mercato di nuovi rivali, rappresentati soprattutto dalle Filippine. La minaccia coinvolge tutti e sotto diverse forme. È il caso dell’escamotage utilizzato da molte multinazionali specializzate nella tecnologia e nell’informatica e con sede in Gran Bretagna. Attraverso le filiali all’estero i gruppi inglesi reclutano manodopera a basso costo, che fanno direttamente arrivare in Gran Bretagna per lavorare ad alcuni progetti specifici. Per ogni lavoratore viene garantito un visto temporaneo di ingresso nel paese e una
Una corsa senza fine al basso salario e allo sfruttamento disumano e illegale |
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Wenzhou. Azionisti seguono l’andamento del mercato.
IL CASO DELL’AMIANTO: EMBLEMA DEL PROFITTO CHE UCCIDE LAVORATORI E CITTADINI
PATRICK ZACHMANN / MAGNUM PHOTOS
Cina, 2007
retribuzione pari a un terzo o alla metà di un impiegato inglese allo stesso livello di qualificazione. In Europa un altro esempio di outsourcing alla ricerca di nuove rotte coinvolgono da vicino l’Italia e l’alta moda. Finora il mercato tessile e l’abbigliamento avevano puntato sulla
produzione nell’Europa dell’est e in parte del Maghreb. Ora che la concorrenza delle marche diventa spietata, anche l’alta moda ha deciso un salto verso i paesi in via di sviluppo dove lo fruttamento è più immediato. Stilisti come Valentino e Armani hanno deciso già da due anni di investire in paesi terzi lasciandosi alle spalle il reale “made in Italy”. Celine, un’impresa legata a Valentino avrebbe il subappalto per la produzione di alcune borse in Cina, poi vendute sul mercato europeo a 400 euro. Alcuni vestiti vengono confezionati in Egitto e riportati in Italia prima della fase dell’imballaggio. Malgrado la linea più chic resta in Italia, anche Armani produce il 18% della sua Armani Collezioni, tra cui pantaloni a 350 euro e abiti in seta a 1200 euro, in alcuni paesi dell’est. Gucci da alcuni anni ha delocalizzato la cucitura delle scarpe sportive in una fabbrica in Serbia. La marca Tod’s invece è già sull’onda di un nuovo trasferimento per abbattere i costi sul personale e inviare la fase ultimativa delle sua linea di scarpe dall’Ungheria alla Cina, dove i prezzi restano tra i più competitivi nel settore.
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Romania: delocalizzazione made in Italy
il Brasile, Lo Zimbabwe, la Grecia, gli Stati Uniti e la Bulgaria. A livello POTENZIALMENTE INDISTRUTTIBILE. RESISTE AL FUOCO E AL CALORE, europeo, la direttiva 18 del 2003 CE del Parlamento e del Consiglio agli agenti chimici e biologici, abrasione e usura. Asbesto, più noto come amianto: un silicato che per le sue caratteristiche è stato utilizzato e prodotto prevedeva la cessazione dell’utilizzo di amianto entro il 15 aprile del 2006. Ma il divieto europeo ha portato molte multinazionali, come i gruppi Turner in enormi quantità, sempre crescenti, in tutto il mondo. Quando già gli studi and Newall e la Etex Eternit, ad applicare un “doppio standard”: lavorano medici e scientifici avvertivano della pericolosità delle microfibre che senza amianto in Europa, ma continuano a utilizzarlo nel resto del mondo. si insinuano nell’aria e nei polmini, provocando malattie mortali, i grandi Altro caso simbolo è la politica di esportazione dalle gruppi che producevano e commercializzavano amianto fabbriche statunitensi, dove il minerale è considerato hanno silenziato e ignorato un’informazione semi-illegale, verso il territorio ‘colonizzato’ del Messico. che avrebbe potuto salvare decine di migliaiai di vite. Lo spicchio di globo più minacciato, dicono gli studi, E anche le legislazioni di diversi paesi, schiacciate è quello che riguarda il continente asiatico. Sono dirette da una lobby potentissima, hanno accumulato macabri là le navi stracariche di scorie, non solo di asbesto, che vengono ritardi nel prendere le prime contromisure. Oggi smantellate in condizioni disastrose rispetto alla messa si producono 2 milioni di tonnellate di amianto. E troppo in sicurezza degli operai, nei cantieri dell’Asia. Oltre alla spesso potenze industriali che hanno vietato l’utilizzo Russia, che resta il primo produttore di amianto al mondo, del minerale a casa propria, lo commercializzano altri casi limite riguardano Cina e India. Mentre l’Africa viene nei Paesi in via di sviluppo. Senza tenere in conto Amosite, o amianto bruno. Le fibre spesso utilizzata come discarica o come meta finale i drammatici dati diffusi dall’Ufficio internazionale piccolissime che uccidono. di sacchi, spesso aperti, con amianto cemento commercializzato del lavoro: ogni anni si registrano oltre 100.000 dall’Europa. In Cina il marchio commerciale Kangyn fa affari decessi, legati all’esposizione all’amianto. Nel 2004 con tonnellate di amianto scavate senza protezioni nelle colonie penali, senza la conferenza mondiale, che si celebrò in Giappone, stabiliva che di questi che si conoscano i reali effetti sulla popolazione. L’India, grande consumatore, 100.000 morti, circa 70.000 venivano colpiti da cancro polmonare e 40.000 più che produttore vive un dato preoccupante: c’è una correlazione evidente per mesotelioma pleurico. Queste cifre sono destinate a salire, per via fra l’utilizzo del minerale e l’aumento di problemi respiratori per la popolazione del periodo di incubazione delle malattie: secondo gli esperti fra il 2015 indiana. Infine il Latino America: il Brasile, nonostante la presidenza e il 2025 si registrerà il picco dei decessi. La quantità mondiale complessiva progressita Lula, continua a produrre, utilizzare ed esportare amianto verso di amianto utilizzata fra il 1900 e il 2000 è stata di 173 milioni di tonnellate. Colombia, Ecuador e Guatemala. I maggiori produttori, ad oggi, sono la Russia, la Cina, il Canada, il Kazakistan,
La provincia “italiana” di Timisoara: 1830 aziende e oltre diecimila residenti con passaporto del nostro Paese. “UNA PROVINCIA VENETA” IN ROMANIA. Eppure Timisoara è a non meno di 700 km da Venezia. Lo stravolgimento risale agli inizi degli anni Novanta, poco dopo la caduta del muro di Berlino. Una mutazione che con rapidità si sta estendi Cristina Artoni dendo anche ad altre regioni del paese dell’est. A Timisoara i residenti italiani hanno toccato quota 10 mila, mentre le aziende sempre a capitale italiano sono 1.850 su un totale di circa 13.000. Nel corso di pochi anni la Romania occidentale è diventata una delle regioni europee punto di riferimento per realizzare la delocalizzazione della manodopera, tanto che l’Italia continua ad essere dal 1997 il primo partner commerciale del paese. La materia prima viene di solito importata dall’Italia e lavorata in Romania poi i prodotti vengono esportati. Per mantenere il marchio “made in Italy” spesso molti imprenditori fanno eseguire la maggior parte della produzione in Romania e alcune ultime rifiniture in Italia. Secondo una ricerca realizzata nel paese, nella provincia di Timisoara, delle 479 aziende venete trapiantate nella regione, tra coloro che hanno almeno un socio residente in Veneto (Treviso in testa, seguita da Vicenza, Venezia, Verona, Rovigo e Belluno), 152 operano nell’edilizia,
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100 nell’alimentare, 60 nel tessile, abbigliamento e calzaturiero e il resto 42 nei servizi alle imprese. Tra le aziende italiane che hanno aperto stabilimenti in Romania ci sono anche Benetton, Max Mara, Iveco, Agip, Ansaldo e Zoppas Industries. Ma i primi a investire a Timisoara sono stati i proprietari dell’impero del calzaturificio Geox, che del proprio articolo in ogni promozione sfoggia l’italianità. Costruito 6 anni fa, l’impianto di produzione completa di Timisoara, dà lavoro direttamente a 1.800 operai e ad altre 3.000 persone nell’indotto. Insieme allo stabilimento di Prievidza in Slovacchia (700 dipendenti che però svolgono solo alcune fasi della lavorazione) realizza il 20 % della produzione Geox, mentre il rimanente è prodotto in out sourcing in 28 paesi del mondo tra cui Brasile, Vietnam, Indonesia e Cina. Quotidianamente a Timisoara, arrivano due Tir di materie prime (tutte provenienti dal centro di distribuzione di Signoressa) e altri due, con il prodotto finito (7.000 paia si scarpe al giorno), partono in contemporanea verso Giavera del Montello, sede del centro logistico per l’Europa. Altra caratteristica dell’impianto rumeno sono i quattro reparti a «flusso teso», piccole catene a ciclo continuo in grado di soddisfare in tempo brevissimo eventuali riordini non in programma. Un esempio concreto: Londra ordina,
Montebelluna riceve, Timisoara va immediatamente in produzione in uno o più dei flussi tesi. L’ordine viene così portato a termine in due settimane, a tempo di record. Un universo iper-tecnologico che contrasta con la realtà di un Paese come la Romania ancora arretrato in molti settori. La manodopera a basso costo è senza dubbio il motivo principale che ha spinto gli imprenditori a delocalizzare. La forza lavoro impiegata ha raggiunto la cifra di 500 mila persone con contratti di lavoro tipici soprattutto nel settore tessile, calzature, abbigliamento. Gli interessi sono altissimi per gli imprenditori italiani che sono di fatto riusciti a dimezzare i costi grazie ai salari ben al di sotto delle medie europee. In Romania lavorare nel settore tessile per 12 ore al giorno significa avere in busta paga a fine mese uno stipendio sui 55-60 euro. In altri casi i salari, come in alcuni calzaturifici, si aggirano sui 100-150 al mese. L’Unione Europea ha stabilito lo scorso anno che il salario minimo in Romania dovrà adeguarsi a partire dal 2007 sui 500 euro mensili. Ma i cambiamenti sono lenti e il percorso per ottenere i diritti basilari è ancora molto lungo. La nuova via per molti non resta che quella dell’emigrazione. Già in Spagna, come in Italia, Germania, Irlanda e in altre parti del mondo oltre 2 milioni di romeni lavorano contribuendo con le loro ri-
messe al 4% del PIL della Romania. Sono tutti lavoratori che hanno lasciato il paese per guadagnare di più o spesso spinti dalla disperazione della lotta quotidiana contro la povertà. In Romania gli imprenditori sembrano sempre più determinati a trovare nuovi escamotage pur di mantenere gli stipendi a cifre irrisorie. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello di impiegare lavoratori stranieri. Il caso denunciato dalla Confederazione nazionale Sindacale “Cartel Alfa” è solo uno dei più scandalosi. Dal 2006 l’impresa tessile Ware Company, con sede a Bacau, nell’est del paese e legata al gruppo italiano Sonoma ha assunto 300 operai cinesi ed ha già previsto di aumentare a 1000 lavoratori provenienti dalla Cina entro la fine del 2007. La paga media per loro è di 300 dollari al mese. Un’aperta violazione della legge romena del Codice del Lavoro che stabilisce che i datori sono obbligati a pagare un dipendente straniero il corrispettivo del salario minimo nazionale (circa 250 euro netti). Inoltre gli operai cinesi vengono alloggiati nelle sale di una fabbrica dismessa e trasformata in un dormitorio. Lo scorso gennaio gli operai hanno iniziato uno sciopero per chiedere l’aumento della paga. La ritorsione è stata immediata con il licenziamento di 200 operai e l’”importazione” di altri 300 dal nord
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SWG CERCA VIE ALTERNATIVE ALLA DELOCALIZZAZIONE E LE TROVA!
ta economica e sociale del paese sta alzando il costo del lavoro che dai 100 dollari al mese per operaio di qualche anno fa, dovrebbe essere oggi almeno quintuplicato. Col risultato che anche dal paese si comincia a delocalizzare verso Ucraina e Moldavia, coerentemente con la logica garantita dal processo di globalizzazione liberista. Tra i motivi che spingerebbero gli imprenditori italiani a lasciare la Romania anche l’introduzione del nuovo Codice del Lavoro romeno che attraverso l’articolo 18 italiano, tutela di più lavoratori e aumenta i vincoli contro i licenziamenti.
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C’è anche chi come la Wear Company del gruppo Sonoma ha “importato” lavoratori cinesi quando i locali hanno alzato la testa
della Cina, dopo l’assicurazione che non avrebbero avanzato alcun tipo di richiesta. «A Bacau siamo di fronte a una tipica situazione triangolare spiega - Bogdan Iuliu Hossu, leader della confederazione Alfa Cartel con finanziamento italiano, sede in Romania e lavoratori cinesi, in cui il proprietario punta solamente alla realizzazione rapida del profitto senza pensare ad investimenti appropriati per assicurare la minima decenza nella condizione lavorativa Questa purtroppo è la tendenza generale della maggioranza degli industriali stranieri in Romania». Ora però c’è un’ombra che incombe sul paese: la cresci-
Paesi dell’Est vi dico addio! C’è chi ci sta pensando, e chi si è già mosso: alcune aziende decidono di tornare indietro e investire nuovamente nella Penisola. Per le produzioni a più alto valore aggiunto, ma non solo. ASTA CON L’ASSALTO A TIMISOARA. Un freno alle jont venure con Budapest e Lubiana. Alcune imprese italiane (poche, per ora) dopo essere state presenti sui mercati esteri con stabilimenti e intese di vario tipo, decidono di investire nuovamente nei terridi Antonio Barbangelo tori da cui erano partite. Il fenomeno delocalizzazione cambia passo: c’è anche chi decide di ‘tornare’ in Europa, dopo un’esperienza positiva in Cina. Com’è accaduto alla 3A Antonini, la società calzaturiera veronese che negli anni ‘80 ha creato il marchio Lumberjack: dopo aver trasferito i propri impianti di produzione in Cina, farà il percorso inverso, dall’Asia all’Europa. Presso alcuni mercati infatti, in particolare quello canadese, l’etichetta “made in China” non piace a molti potenziali acquirenti. «Per assicurare la massima qualità dei materiali e della lavorazione», ha spiegato Andrea Martini Antonini, vicepresidente e amministratore delegato dell’azienda, «le nostre linee saranno prodotte in Italia e in Paesi europei. Solo la nostra tradizione manifatturiera è in grado di garantire quel valore aggiunto che vogliamo offrire al consumatore». Insomma, al “made in China” è preferibile il “made in Italy”, o anche il “made in Ue”. Infatti, dopo aver chiuso gli stabilimenti cinesi, la produzione delle scarpe della 3A Antonini si concentrerà per il 70% in Romania. Si continuerà a produrre fuori dell’Europa, solo nella Repubblica Dominicana e in Salvador (10%) oltre che in India (5%). Il 15% rimarrà in Italia. Ma la delocalizzazione di ritorno riguarda soprattutto il tragitto dall’Est-Europa all’Italia. Nel 2000 Federico Vitali, presidente e a.d. di Faam Spa, una delle maggiori realtà italiane nel settore accumulatori e veicoli elettrici, ha chiuso una joint venture in Ungheria con una locale azienda governativa, e ha aperto uno stabilimento
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ritorno “Un favorito anche dalla presenza di migranti a basso costo
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a Monte Sant’Angelo (Foggia), nel Polo industriale di Manfredonia, a due ore di macchina dalla sede principale del gruppo (a Monterubbiano, Ascoli Piceno). «Sono stato uno dei primi imprenditori a fare una delocalizzazione alla rovescia», afferma Vitali. Nel percorso dall’Est Europa all’Italia poi, le operazioni di “retromarcia” interessano in particolare le vie che vanno dalla Romania al Veneto. Secondo i dati del Centro Estero Veneto, sono oltre 2.500 le imprese venete attive in Romania, il 22% di quelle italiane; una presenza che, dagli anni ‘90, si è rafforzata tanto da far parlare della Romania come della “ottava provincia veneta”. Cosa sta succedendo? «Siglare accordi all’estero può essere difficile», sostiene Donatella Depperu, professore ordinario Economia Aziendale presso la sede di Piacenza dell’Universtià Cattolica Sacro Cuore. «Nodi possono nascere dalla differente cultura, dalla diversa mentalità, al di là delle norme giuridiche che fissano paletti certi. Ma il freno maggiore è costituito dai costi: non più così competitivi per gli imprenditori italiani, come un paio di anni fa. Da gennaio Romania e Bulgaria fanno parte del’Unione Europea: ci sono regole su sicurezza e ambiente di lavoro che devono essere rispettate. Essere presenti a Est può essere meno conveniente». E aggiunge Giorgio Brunetti, presidente Centro Ricerca Enter, dell’Univestità Bocconi di Milano: «La delocalizzazione di ritorno al momento è molto lieve; abbiamo solo qualche segnale. Ma è presente. Perché? La prima fase delle delocalizzazioni è stata superata. Oggi per alcuni imprenditori il costo di produzione basso conta meno. Il costo non è più un fattore primario. Assistiamo sempre più a una differenziazione del prodotto e a un ampliamento della gamma di offerta, costituita anche da beni di qualità. Ciò significa che se il marchio dei blue jeans diventa una vera e propria griffe, venduta a un prezzo maggiore e rivolta a consumatori di gamma alta, è meglio tornare in Italia». Nel novero delle società che stareb-
bero per riportare in Italia una parte della produzione estera figura anche Diesel, la società di Molvena (Vicenza), fondata nel 1978 da Renzo Rosso, che produce abbigliamento casual (conta 15 filiali in Europa, Asia e nelle Americhe). E tanto per rimanere in Veneto (a Santa Giustina in Colle, Padova), si è già mossa su questa strada Morellato Spa, presente sui mercati italiani e non con le collezioni di cinturini e gioielli di moda: il gruppo ha ridotto il personale della propria unità produttiva in Ungheria, da 110 a 40 unità, rafforzando la propria presenza in Italia. «La delocalizzazione sta fortemente rallentando, in particolare per i settori principali che lo hanno caratterizzato: tessile, calzaturiero, l’abbigliamento», osserva Pierluigi Bolla, presidente di Informest (agenzia per lo sviluppo e la cooperazione economica internazionale, partecipata dalle Regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige, Ice e UnionCamere). «Registriamo anche una delocalizzazione di ritorno di qualità: le imprese, infatti, stanno riportando in Italia le produzioni di maggiore specializzazione e quelle di alto valore aggiunto». «Da un lato le aziende hanno un minor vantaggio competitivo nei Paesi dell’Est, e dall’altro lato aumentano gli immigrati qualificati in Italia a costi relativamente contenuti», afferma Maurizio Belli, partner di Financial Innovations. È un fenomeno sempre più evidente nelle realtà produttive delle province di Vicenza, Padova e Treviso. «Operai asiatici e africani, che conoscono già almeno un po’ il mestiere, lavorano nelle piccole industrie calzaturiere, meccaniche, nei mobilifici. All’interno delle aziende conciarie del Vicentino ci sono molti capireparto nigeriani e pakistani. Persone inserite bene nel contesto locale. Che spesso, soprattutto in provincia di Treviso, hanno facilitazioni per trovare la casa in affitto». Intanto i segnali di disaffezione per quello che era un piccolo Eldorado nell’Est Europa si moltipicano. Qualche mese fa la Regione Veneto ha svolto un’indagine, intervistan-
GRANDI DELOCALIZZAZIONI ANCHE NEL MONDO DEI CALL CENTER e delle società di sondaggi e di ricerche telefoniche. In Francia questi servizi sono per buona parte appaltati ai paesi del Maghreb, l’Inghilterra li delega all’India, la Spagna al Sudamerica. E l’Italia? È la Romania il paese che ospita alcuni call center e fild (così si chiamo in gergo tecnico le postazioni telefoniche per ricerche di mercato e sondaggi) di diverse società italiane. Anche il Gruppo SWG, una delle più importanti società italiane del settore, nell’ottobre del 2005 ha compiuto un esperimento di prova in un call center della Romania, ma poi ha scelto di non portare avanti la delocalizzazione. “L’esperimento del 2005 in Romania - spiega l’amministratore delegato Maurizio Pessato – nacque dal bisogno di cercare di stare al passo con alcuni nostri competitor. Per un paio di mesi testammo la possibilità di lavorare delocalizzati. Ma i risultati non ci sembrarono soddisfacenti: infatti ci rendemmo conto che in Romania era possibile fare solo lavori semplici, mentre per le ricerche più complicate non riuscivamo ad ottenere i nostri normali standard qualitativi”. Questo tentativo venne ovviamente accolto molto male dai lavoratori italiani di Swg e dai sindacati. Ma ben presto Swg decise che la delocalizzazione non era la strada giusta da intraprendere e per rimanere economicamente competitivi vennero attuate altre strategie. “Innanzitutto ciò che va considerato – racconta Pessato – è che le interviste telefoniche non hanno più un grande futuro: il primo motivo è che con la diffusione dei cellulari ormai solo l’83% delle famiglie italiane ha l’apparecchio fisso e quindi inizia ad esserci una notevole distorsione del campione, il secondo è che l’aumento esponenziale delle vendite telefoniche ha reso le persone meno disponibili a rispondere alle nostre ricerche rispetto a vent’anni fa. Quindi abbiamo ritenuto più utile adottare altre strade: alzare i livelli di difficoltà dei nostri lavori, tornare ad usare un panel (ovvero un campione fisso di tremila famiglie disposte a rispondere alle nostre inchieste), incrementare le interviste online, favorire le ricerche qualitative (focus group, colloqui in profondità), riprendere le interviste “face to face”. È soddisfatta delle scelte intraprese da Swg anche Loredana De Marchi, dipendente part time, rappresentante sindacale del Nidil Cgil (Nuove Identità del Lavoro, la categoria sindacale nata quattro anni fa per i lavoratori precari di tutte le categorie): “Per i lavoratori fu un duro colpo quando Swg decise di fare un’ indagine-test in un call center della Romania ma poi per fortuna l’esperimento finì lì. A me piace pensare che la direzione abbia deciso di favorire i lavoratori italiani non solo per garantire l’alto livello qualitativo delle ricerche, ma anche per una scelta etica nei nostri confronti”.
do alcune decine di imprenditori presenti da lunga data nella città di Timisoara, per capire vantaggi e difficoltà della delocalizzazione. I risultati sono stati molto contrastanti. Sullo sfondo, però, è emerso un forte disagio per la debolezza del “sistema Italia” in Romania. L’Italia nel Paese balcanico ha il primato per numero di aziende e per numero di occupati locali, ma sono le aziende più piccole (“poco tutelate dalle istituzioni nazionali”, sostengono gli imprenditori intervistati). Al primo posto per capitale medio investito per azienda c’è l’Olanda (810 mila euro); seguono Austria, Francia e Germania. Le imprese tricolori si trovano solo al quinto posto (42 mila euro). Se poi si vede il dato delle aziende venete siamo ancora sotto: 20 mila euro in media per impresa.
In alto, Provincia di Zhejiang. Wenzhou, il centro della città è un cantiere aperto. L’urbanizazzione selvaggia è uno dei problemi più pressanti della Cina. Ogni anno 15 milioni di cinesi si trasferiscono in città in cerca di lavoro.
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L’erede di Dos Santos: gran gusto negli affari di Paolo Fusi
ORMALMENTE, PER CERCARE DI SEQUESTRARE I BENI SOTTRATTI AL SUO PAESE da un dittatore, si aspetta che sia stato
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CONTRASTO
trucidato, deposto o che sia dato alla fuga. Non nel caso del presidente angolano José Eduardo Dos Santos (nella foto). I processi sull’Angolagate si sono conclusi in barzelletta. L’intermediario americano ha pagato per tutti. Il trafficante d’armi francese Pierre Falcone è divenuto eroe nazionale ed è oggi uno stimatissimo cittadino di una ridente località degli Stati Uniti. Il suo socio, il faccendiere russo Arkadi Gaydamak, ha comprato una squadra di calcio inglese al figlio Aleksander (il FC Portsmouth) e se l’è filata in Israele, dove ha comprato una squadra di calcio, una di basket ed fondato un partito di estrema destra che vuole presentare come candidato principale l’ex capo del Likud Benjamin Netanjahu. Me lo ricordo, questo ex primo ministro israeliano, nel settembre scorso, ad una conferenza di un Centro Studi ad Herzliya, finanziato da un galantuomo come Marc Rich, applaudire coloro che in sala dicevano: «Il problema non è se e perché buttare una bomba atomica su Teheran. Il problema è solo il quando». Come ha diversificato Dos Santos, tenendosi il più possibile lontano dai suoi compari troppo esposti? Dunque: dapprima ha creato una Fondazione benefica, con sedi a Luanda, ma anche in Canada, Portogallo, Spagna e Brasile, che raccoglie soldi da non si sa chi per non si sa quale scopo – oltre acquisire partecipazioni in società di intermediazione di diamanti. Già, i diamanti, di cui l’Angola è ricca, e che fino a pochi anni fa venivano raccolti in regime di monopolio dalla multinazionale con base Incurante delle inchieste olandese De Beers. Oggi costoro hanno un avversario temibile: il faccendiere la famiglia del dittatore russo Lev Leviev, amicone di Putin, che gli ha regalato Alrosa – il gruppo continua a trafficare che controlla la produzione di preziosi dell’intero territorio della ex Unione in diamanti e annessi Sovietica. Leviev è vecchio socio di Gaydamak e vecchio amico della senza alcuna bellissima figlia del presidente angolano, Isabel, che guida l’intero impero preoccupazione finanziario della famiglia. È lui ora l’uomo forte del commercio ufficiale di diamanti, lasciando le briciole a De Beers. “Ufficiale” perché ogni Stato africano ha anche un mercato parallelo di contrabbando, sorretto da licenze governative. A chi hanno pensato di dare una licenza i Dos Santos e Leviev? Ma ad una altro galantuomo, perbacco, ovvero tale Vito Roberto Palazzolo, padrino della mafia siciliana, già condannatto alla fine degli anni ’80 per il suo ruolo nella Pizza Connection ed ora pezzo grosso in Sudafrica. Isabel ha venduto la banca di famiglia, fin troppo chiacchierata, il Banco Internacional de Credito, e l’ha fatto risucchiare dal banco Espirito Santo – una delle quattro più grandi banche del Portogallo. Le è andata male. Una magistrata di Lisbona, frugando fra le carte di un avvocaticchio che faceva le truffette all’Unione Europea in nome e per conto di quelle quattro grandi banche, ha scoperto come la famiglia Dos Santos abbia nascosto il proprio patrimonio (soprattutto commerciale e finanziario) attraverso un paio di offshore a Gibilterra e tre holding: una a Montevideo (Uruguay), una a Funchal (isola di Madeira) e l’altra a Grand Turk (Turks & Caicos). Non so se si può dirlo senza essere insultati, ma si vede la mano di una donna. Sono posti bellissimi e tuttora esotici. Gli uffici delle società sono dei piccoli gioielli di buon gusto – del resto il marito di Isabel di mestiere fa il miliardario, il mecenate nel mondo della pittura moderna e contemporanea, ed a tempo perso il consulente di una società inglese che gestisce gli appalti per i grandi contratti di costruzione nell’Africa meridionale. La mafia di casa nostra ha ancora tanto da imparare. Lo stile, ragazzi, lo si ha nel sangue, o non lo si ha affatto.
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Intesa San Paolo, dopo la fusione la banca non profit >32 Armi e nucleare la nostra etica è il profitto >36 Le banche parlano europeo ma gli stili sono diversi >38
finanzaetica LA REGIONE TOSCANA PROMUOVE LA LEGALITÀ
ACCESSO ALLE CURE PER GLI IMMIGRATI, A PADOVA PROGETTO DI BANCA ETICA E FARMACIE COMUNALI
CRAC PARMALAT, CONDANNATI I FIGLI DI TANZI
NELLA CLASSIFICA DELLE NUOVE BANCHE ARMATE ITALIANE ANCHE PICCOLI ISTITUTI DI CREDITO
IERI PROLETARI OGGI PRECARI. LO SLOGAN DI SPARTACO
NASCE IL PRIMO OSSERVATORIO SUI FONDI ETICI ITALIANI
La Regione Toscana ha emesso il bando 2007 per “La promozione della cultura della legalità democratica”. Il bando è rivolto alle scuole, agli enti e alle associazioni toscane per favorire la realizzazione di progetti di dimensione regionale sui temi dello sviluppo della coscienza civile e democratica. I temi di quest’anno riguardano: le devianze giovanili (comportamenti asociali nella scuola e nella società); la dipendenza da gioco e le sue implicazioni sociali; la storia del terrorismo e la memoria delle vittime nell’Italia del dopoguerra; esperienze innovative di educazione alla democrazia; le forme di partecipazione democratica per i giovani. I progetti dovranno avere dimensione regionale e con un budget di oltre 60.000 euro. I partecipanti potranno consorziarsi per gestire direttamente i progetti o collaborare con altri soggetti che possano sostenere il peso economico delle iniziative in modo da beneficiare del contributo in quanto destinatarie dell’azione. La scadenza per la presentazione delle domande è il 1°giugno 2007. Si può scaricare il bando all’url www.regione.toscana.it/cld
L’accesso alle prestazioni mediche e alle medicine per gli immigrati spesso rappresenta un vero e proprio problema. A Padova Banca Etica e Farmacie Comunali spa hanno promosso una campagna di informazione e sensibilizzazione per l’accesso ai servizi sanitari e ai medicinali rivolta agli immigrati. Un progetto che ha pochi precedenti a livello regionale e nazionale, soprattutto per il numero dei soggetti coinvolti. Infatti, oltre ai due già citati, partecipano: la struttura Immigrazione dell’Ulss 16 di Padova, le Cucine popolari, gli Avvocati di strada, la Pastorale dei migranti e i Missionari comboniani. L’iniziativa nasce dal lavoro svolto, in questi mesi dal Tavolo di confronto “specializzato” sul tema immigrazione, promosso da Farmacie Comunali di Padova SpA. La prima necessità evidenziata dal gruppo di lavoro era rappresentata proprio dall’urgenza di accompagnare gli immigrati nell’accesso ai servizi sanitari, come primo passo per un più ampio percorso di educazione alla salute: fare informazione in questo caso vuol dire fare prevenzione. «Verranno distribuiti migliaia di volantini e locandine realizzati in quattro lingue: francese, inglese, arabo e tagallo (lingua parlata dai filippini Ndr). Servono a spiegare in modo semplice ma dettagliato quali sono i diritti degli immigrati regolari o meno, in materia di accesso ai servizi sanitari e ai farmaci, quali sono gli adempimenti burocratici necessari e quali le forme di tutela» ha sottolineato Maurizio Bertipaglia di Banca Etica.
Si è chiuso il primo capitolo giudiziario del crac Parmalat. Francesca e Stefano Tanzi, figli dell’ex proprietario della Parmalat, hanno patteggiato la pena: rispettivamente tre anni e 5 mesi e 4 anni e 10 mesi di reclusione, uscendo definitivamente di scena dal processo per il crac dell’azienda di famiglia. Il gup Sinisi ha accolto anche le richieste di patteggiamento, di altri 18 imputati. Inoltre gli imputati sono stati condannati al pagamento delle spese di costituzione delle parti civili, essenzialmente risparmiatori danneggiati dai fallimenti delle tante società del gruppo Parmalat. Sono stati liquidati 121 mila euro complessivamente. Con la stessa ordinanza, il giudice ha deciso il dissequestro dei beni sequestrati dalla Guardia di finanza nei giorni del crac. Le somme sequestrate a Francesca Tanzi finiranno al curatore della Sata, la vecchia cassaforte di famiglia. Lo stesso accadrà ai 200 mila euro trovati dalle Fiamme gialle sui conti di Stefano Tanzi. Il Gup ha disposto il sequestro conservativo dei beni, già sottoposti a sequestro preventivo, dell’ex contabile Claudio Pessina. Tra questi beni anche una Rolls Royce.
Superano i 530 milioni di euro le esportazioni di armamenti che nel 2006 sono state autorizzate dal governo italiano verso l’Africa e il Medio Oriente. Tra le banche armate spicca il gruppo San Paolo-Imi che triplica il volume d’affari, passando dai 164 milioni del 2005 agli oltre 446 milioni del 2006. Banca Intesa nel 2006 realizza operazioni per 46,9 milioni tra cui spicca un’autorizzazione di 41 milioni dell’Agusta agli Emirati Arabi Uniti per una “prima fornitura” di elicotteri CH-47C ammodernati e altri equipaggiamenti per un valore complessivo di 58,9 milioni. Il Gruppo Bnp-Paribas si attesta su 370,9 milioni. La sola Bnp-Paribas con 290,5 milioni è la prima banca estera operante in Italia attiva nel settore. In un solo anno sestuplica il volume delle proprie operazioni (44,8 milioni nel 2005) per uno share che ormai sfiora il 20% del totale. Le maggiori autorizzazioni riguardano la Polonia (oltre 210 milioni), ma numerose e consistenti sono quelle verso Emirati Arabi Uniti, India e Cina. L’istituto francese ha acquisito lo scorso anno il controllo della Banca Nazionale del Lavoro e questo deve aver influito anche sull’incremento dell’attività della Bnl che nel 2006 accresce del 33% il proprio volume d’affari nel settore portandolo a oltre 80,3 milioni con operazioni riguardanti principalmente paesi Ue-Nato. Seguono Unicredit con 86,7 milioni, l’Ubi Banca, di cui fa parte il Banco di Brescia che riceve incassi per oltre 70 milioni, Dello stesso gruppo fa parte il Banco di San Giorgio con quasi 7,5 milioni di autorizzazioni. Tra le banche medio-piccole, ci sono due nuove entrate: il Credito Valtellinese (42,5 milioni) e Banca Valsabbina (1,8 milioni). E aumenta il peso della Banca popolare dell’Emilia Romagna (4,8 milioni). In diminuzione le operazioni della Deutsche Bank (78,3 milioni di euro).
Lo hanno chiamato Spartaco, proprio come il gladiatore originario della Tracia che si era ribellato alla schiavitù imposta da Roma. A dar vita a questo movimento “Contro la schiavitù del precariato” è stato un gruppo di lavoratori precari in età matura, stanchi di attendere da anni una legge di sostegno al reddito e di accompagnamento alla pensione e sfiniti da lavori precari e sottopagati. I fondatori del movimento si propongono di mettere in contatto lavoratori precari di tutte le età per combattere una battaglia comune. «Spartaco simbolo storico della lotta contro la schiavitù - scrivono i promotori dell’iniziativa è l’immagine più forte e solida per rappresentare il nostro movimento che nasce per spezzare le catene, con la determinazione di una sorte migliore della sua». Nel sito, www.spartaco.eu, si trovano una serie di documenti (articoli, link a siti di partiti, associazioni, libri) che trattano il tema del precariato. È possibile anche scaricare banner con tanto di slogan in movimento: “Ieri proletari oggi precari”.
Nasce il primo Osservatorio sui fondi d’investimento etici in Italia. L’iniziativa è di Of-Osservatorio finanziario, network che monitora i servizi e-banking e i prodotti delle banche italiane, dai mutui ai prestiti, fino alle carte prepagate. L’iniziativa si propone di esaminare i 37 fondi di investimento etici italiani (secondo la classificazione di Assogestioni), attraverso un’analisi della performance economica e del “rating” etico. Per ogni fondo d’investimento, gli analisti compileranno una sintetica scheda informativa e attribuiranno un punteggio che esprime il grado di “eticità del fondo”, sulla base di 7 parametri: criteri e processo di selezione delle società e dei mercati su cui investire, presenza di un consulente etico esterno alla società di gestione, trasparenza del materiale informativo messo a disposizione della clientela, adozione, da parte del gestore, di una politica di azionariato attivo nei confronti delle imprese che compongono l’universo del fondo. Con l’Osservatorio Fondi Etici, tutte le informazioni sui prodotti di investimento socialmente responsabili saranno accessibili gratuitamente online.
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Intesa San Paolo, dopo la fusione la banca non profit
ROBERTO CACCURI / CONTRASTO
LA BANCA NON PROFIT DI INTESA SAN PAOLO: UNA BUONA NOTIZIA?
Un nuovo istituto, dedicato al non profit: il piano industriale del nuovo gruppo Intesa San Paolo prevede la costituzione di una vera e propria banca, con una rete commerciale dedicata, sportelli distinti e un’identità propria rivolta a 40000 già clienti. Il non profit vale 48 miliardi di euro con oltre 250000 organizzazioni che operano su tutto il territorio nazionale. dedicata, propri sportelli (si parla di 14 punti operativi), che opererà nel settore non profit. Poche righe nel piano industriale 2007-2009 del nuovo colosso bancario italiano di Jason Nardi risultato dalla fusione di Banca Intesa e San Paolo Imi, presentato il 14 aprile dall’amministratore delegato Corrado Passera. E grande riservatezza; ma già appare chiaro che entro la fine dell’anno dovrebbe venire alla luce “la prima tra le grandi banche nel settore della finanza etica”, una banca specializzata “capace di offrire agli operatori il meglio degli strumenti e dei prodotti esistenti sul mercato” e che “convertirà gli utili della sua attività in disponibilità di credito a favore del settore”, un fondo di garanzia per lo sviluppo del non profit, de-
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ARÀ UNA NUOVA BANCA, CON UNA RETE COMMERCIALE
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La sede di Banca Intesa. L’entrata del caveau che custodisce le cassette di sicurezza
ERA NELL’ARIA DA TEMPO E NELL’ACCENNARVI l’amministratore delegato Passera ne ha parlato inserendola nel contesto della finanza etica. Certo ne è passata di strada da quando l’associazione verso la Banca Etica, nata nel 1994, avviava il percorso per l’ideazione della prima banca fondata dalle organizzazioni non profit in Italia, facendo nascere nel 1999 Banca Popolare Etica. In quegli anni è stato definito con un bel lavoro collettivo il manifesto della finanza etica. Sembrava una scommessa impossibile ed invece non solo ha funzionato, ma oggi i grandi gruppi bancari si confrontano anche sul terreno della responsabilità sociale ed ambientale usando perfino (senza però riconoscerne l’originale percorso) le idee e gli orizzonti di quella finanza etica nata dal mondo dell’impegno civile riconosciuta dalla Commissione Europea come una delle pratiche finanziarie più innovative degli ultimi 20 anni. È quindi una notizia positiva, la dimostrazione che le idee buone sono destinate a produrre contagio: l’ideale ultimo infatti che sostiene i “volontari” della finanza etica in Europa è quello di cambiare il sistema, non di fare un unica grande banca alternativa. Attendiamo di capire in che modo la nuova banca opererà e come saprà rispondere anche ai requisiti fondamentali nella finanza etica della trasparenza, della partecipazione, della coerenza e soprattutto alla fondamentale domanda di cambiamento del sistema economico verso la sostenibilità ambientale e sociale che la finanza etica porta con sé. Ma l’arrivo di nuovi grandi attori pone alcune domande fondamentali al mondo della finanza etica. Saprà evitare di rientrare nella nicchia di una finanza per pochi risparmiatori consapevoli o sarà sempre capace di porre domande di senso all’intero sistema finanziario ed ai risparmiatori? E come saprà rispondere alla potenza mediatica dei nuovi attori per non creare confusione tra i risparmiatori e il mondo del non-profit? Non sono sfide da poco e forse sono sfide che faranno bene a tutta la finanza etica e alla consapevolezza collettiva del ruolo determinante che hanno le istituzioni finanziarie per realizzare un futuro equo. Ugo Biggeri Fondazione culturale responsabilità etica
Milano, 2002
finito dallo stesso piano d’impresa “quarto settore” [sic]. Il nuovo istituto di credito per il non profit si chiamerà probabilmente Banca Prossima - la procedura per la sua apertura è già stata presentata a Banca d’Italia ed è in attesa di approvazione. Secondo indiscrezioni raccolte, Banca Prossima potrà fare affidamento oltre che su propri sportelli, alla più estesa rete di filiali presente in Italia: oltre 5700, per una quota di mercato italiano di quasi il 18%. Il settore del non profit italiano ha un giro di affari stimato intorno ai 48 miliardi di euro, con oltre 250.000 organizzazioni. Intesa Sanpaolo ha già 40.000 clienti – è di fatto leader del settore - ma intende conquistarne nuovi e per questo già alla fine del 2006 aveva stipulato convenzioni con la Compagnia delle Opere e la Federazione dell’Impresa Sociale, studiate appositamente per soddisfare le loro specifiche esigenze finanziarie. Quali siano le proposte studiate per il
resto del terzo settore è tuttavia ancora da scoprire. Nel piano industriale di Intesa Sanpaolo si accenna anche alla responsabilità sociale d’impresa, facendo riferimento “all’attenzione all’ambiente, al risparmio energetico, alla tutela e valorizzazione del territorio e del patrimonio artistico e culturale, con una serie di iniziative a sostegno degli investimenti ecologici, fondi speciali, supporto alla creazione di imprese specializzate”. La “finanza etica” e “il supporto alla comunità” sono indicati tra i valori a cui viene dedicata una rinnovata attenzione. Peccato che Banca Intesa negli ultimi due anni si era impegnata a “dare l’addio alle armi” e non partecipare più a finanziare “operazioni finanziarie che riguardano l’esportazione, l’importazione e transito di armi e di sistemi di arma”. Nel 2006, dall’ultima relazione parlamentare sull’export di armi, però ri-
sulta che abbia ripreso le operazioni in quel settore con operazioni per 46 milioni di euro, mentre la San Paolo Imi nel 2006 si attesta per il secondo anno consecutivo come la prima “banca armata” italiana (oltre 446 milioni di euro), triplicando il volume d’affari. Tutto questo nonostante la policy della banca vieterebbe l’appoggio a transazioni verso Paesi extra Ue-Nato: l’istituto di credito torinese convoglia a sé quasi il 30% (29,9%) di tutte le operazioni di incassi e pagamenti relative all’export di armi. Con la fusione dei due istituti, la tendenza non sembra quella del disarmo. Come si concilia con la nuova iniziativa di Banca per la finanza etica e in generale con la policy restrittiva di responsabilità sociale? In attesa della presentazione ufficiale di Banca Prossima, questa come altre domande rimangono per ora senza risposta.
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| finanzaetica | considerate un problema?», chiede timidamente una ragazza. «Perché? Non è etico dare ai bambini cinesi un’opportunità di occupazione?», risponde sicuro Smith.
Chiusura ingiustificata
“Armi e nucleare, la nostra etica è il profitto “
Ottobre 2006, a Bruxelles apre la ACE Bank, prima banca che, come mission, cerca il profitto a tutti i costi. Dopo una settimana l’autorità di vigilanza belga la fa chiudere. domande? È per una ricerca, siamo un nuovo operatore nel mercato finanziario belga». Si presentano così i funzionari della ACE Bank ai passanti. È l’11 ottobre 2006 e la nuova banca ha appena aperto il suo di Mauro Meggiolaro primo sportello in Muntplein, pieno centro di Bruxelles. «Causeremo una rivoluzione nel sistema bancario perché non siamo ostaggi di pensieri politicamente corretti», spiega Guy Pieters a un gruppo di giovani che entra in sede per sottoporsi a un questionario. «Abbiamo un unico obiettivo: il profitto per il cliente. Il resto è politica, idealismo. Noi siamo una banca, non un partito». La sede è molto curata, non ci sono vetri antiproiettile né impiegati in cravatta. L’atmosfera è cool, sembra un locale alla moda dove si passa il tempo a sorseggiare cocktail. Tavoli e sedie in legno pregiato, enormi tele pop appese alle pareti e una grande vetrata che per-
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UONGIORNO, POSSIAMO FARLE DELLE
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mette di vedere da fuori tutto quello che succede dentro. «La trasparenza per noi è tutto», spiega Ines, collega di Guy. «A differenza di quello che succede nelle altre banche, diamo la possibilità ai nostri clienti di sapere in ogni momento dove stiamo investendo i loro soldi». In effetti i settori di investimento sono indicati chiaramente sul sito www.ace-bank.eu: armi, petrolio, nucleare, sfruttamento del lavoro minorile. «Con noi ogni euro è l’inizio di una fortuna», continua Ines. «Gli armamenti sono la seconda industria del mondo e le guerre sono in aumento. Ci sembra scontato investire in società come Lockheed Martin, che rifornisce l’esercito americano in Iraq, o Halliburton, che, sempre in Iraq, ricostruisce gli edifici e le infrastrutture distrutte. Così possiamo guadagnare sia dalla distruzione sia dalla ricostruzione». Il tasso garantito sui depositi è del 6,66%. «Veramente ottimo!», si lascia scappare un potenziale cliente. Ma con i fondi di
investimento i rendimenti promessi sono molto più elevati. C’è il fondo “Enduring Freedom”, specializzato in armi, che ha in portafoglio appunto Lockheed, ma anche EADS e la nostra Finmeccanica. Il “Colonial Blues Fund”, invece, punta sulle imprese del settore minerario, come Freeport McMoran, che “nelle miniere di Papua è riuscita a ridurre notevolmente i costi utilizzando un fiume per trasportare i rifiuti pericolosi”. Mentre il “Free Labour Fund” scommette tutto sulle corporation che delocalizzano in Paesi nei quali la manodopera ha costi bassissimi. Come Wal Mart, Nike o Sara Lee. «Etico per noi significa rendere ricchi i clienti», spiega Steve Smith, portavoce di Ace Bank, «è per questo che ci concentriamo solo sui settori a più alta redditività attesa. Certo, anche le altre banche lo fanno, ma alla fine, per non risultare sconvenienti, diluiscono gli investimenti ad alto potenziale con altri investimenti meno redditizi». «E il lavoro minorile non lo
Bassora. Donne irackene presenti sulla piazza controllata dai militari statunitensi.
Iraq, 2003
Nel giro di pochi giorni le gesta di Guy, Ines, Steve, Phillipe e degli altri pionieri della ACE sono sui maggiori giornali del Belgio e anche il telegiornale della sera comincia a parlare della “banca misteriosa”, di cui continuano a non essere resi noti i proprietari. «Non vogliamo dare vantaggi alla concorrenza», spiega Smith. «Si tratta di un Gruppo di fama internazionale. Non appena avremo finito la ricerca di mercato comunicheremo pubblicamente il suo nome nel corso di una conferenza stampa». In realtà la conferenza viene convocata molto prima del previsto. Dopo una settimana dall’apertura del primo sportello, la CBFA (Commissione Belga per la Finanza e l’Assicurazione) ordina la chiusura della sede di ACE Bank. «Sono girate molte indiscrezioni sul nostro conto», dichiara Steve Smith. «Ora vi spiegheremo tutto». E in effetti nel corso della conferenza non mancano i colpi di scena. Smith prende la parola davanti a una trentina di giornalisti. È visibilmente alterato e non risparmia attacchi a nessuno: «Fortis (uno dei maggiori Gruppi bancari del Belgio, ndr) investe 37,74 miliardi di dollari nelle armi di Lockheed Martin, perché non puo’ farlo la ACE Bank?». E continua: «molte altre banche investono miliardi nei settori su cui stiamo puntando nei nostri portafogli: armamenti, nucleare, miniere, petrolio. Se ci chiudono per motivi etici devono chiudere anche tutte le altre banche». La conferenza prosegue con la presentazione di un elenco puntiglioso di cifre sugli investimenti irresponsabili di grosse società finanziarie internazionali. «Perché loro possono e noi siamo costretti a chiudere?». Intanto, in sala, qualcuno ha capito. Sorride, scuote la testa e si prepara al colpo di scena finale. Che arriva dopo pochi minuti. Siamo riusciti a tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica per una settimana sulla scarsa trasparenza delle banche, sui loro finanziamenti a imprese che creano ingiustizia, miseria, inquinamento», spiega Smith. «Ci hanno fatto chiudere, ma abbiamo vinto la nostra battaglia». Quale? Quella di una ONG belga, Netwerk Vlaanderen, che, con l’aiuto di Steve, Ines, Guy e di altri quattro attori e una serie di consulenti di marketing e design, ha messo in piedi ACE, una banca che non è mai stata una banca, ma solo un modo, geniale, per raccontare i risultati della campagna “My money. Clear conscience?”. Da alcuni anni, su iniziativa di Netwerk, la campagna mette il dito nella piaga delle “banche armate” del nord Europa. E si inventa di tutto per raggiungere il maggior numero possibile di risparmiatori. www.netwerkvlaanderen.be. Provare per credere.
L’Ong belga Netwerk Vlaanderen ha messo a nudo l’ipocrisia e le falsità dei grandi istituti di credito
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Le banche parlano europeo Ma gli stili sono diversi
Unicredit si lancia alla conquista dell’Europa e del mondo. Le Casse Rurali Trentine creano alleanze dal basso per competere con i colossi. Percorsi obbligati con alcuni punti in comune e molte differenze di stile. Con un obiettivo: crescere in termini dimensionali guardando soprattutto ai paesi dell’Est europa. e acquisizioni, lo sviluppo graduale, passo dopo passo, non fa parNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’EUROPA. È quello degli accorte della tabella di marcia di Profumo», continua Utkin. di, delle fusioni e acquisizioni bancarie. A nord e a sud delle Alpi, ma anche ad est, oltre l’ex cortina di ferro. In Italia ha le sembianze di un banUn piccolo accordo in Boemia chiere scaltro, preparato, insofferente di Marco Atella Di fronte al tornado Unicredit che tutto ingloba e travolge, è passato alle logiche di quartierino, agli inciuci quasi inosservato un piccolo accordo internazionale tra reti di bandi casa nostra: Alessandro Profumo. Numero uno di Unicredit, ha che di credito cooperativo. È stato siglato a Praga il 28 ottobre deliniziato la sua espansione internazionale nel 2000, dopo che, due l’anno scorso. Prevede l’ingresso di DZ Bank, che riunisce oltre 1.100 anni prima, Cuccia e Fazio gli aveBCC tedesche (1/4 del credito navano reso impossibile la scalata alla zionale), nel capitale della Cassa Banca Commerciale. “Il periodo Centrale delle rurali trentine: 105 nero della mia vita”, ha dichiarato Casse e BCC tra Trentino, Veneto e recentemente il banchiere al settiFriuli. I tedeschi entrano con il 25% manale russo Expert. Un periodo a e portano in dote nuovi servizi ficui segue una lunga serie di connanziari, dal credito al consumo ai quiste fuori dai confini, troppo finanziamenti per le imprese, oltre stretti, della Penisola. Quattro banai fondi comuni di Union Investche in est Europa, il fondo ameriment, che le Casse propongono già cano Pioneer e, nel 2005, il colpo da alcuni anni. «DZ Bank è un cogrosso: l’acquisizione di HypoVelosso rispetto alle dimensioni di Casreinsbank, la seconda banca tedesa Centrale, ma non è venuto per sca che, attraverso la controllata conquistarci né per occupare i nostri Bank Austria, gli ha aperto le porte mercati», spiega Franco Senesi, preAlessandro Profumo, amministratore delegato all’Europa centrale ed orientale. «Il sidente di Cassa Centrale. «In altri del Gruppo Bancario UniCredit. mercato bancario russo si sta sviPaesi europei ha stipulato accordi Roma, 2004 luppando molto rapidamente e con lo stesso spirito: promozione di Unicredit vuole esserci», spiega Evgeny Utkin di Expert. «Possiede collaborazioni a livello locale e creazione, in partnership, di nuove già l’International Moscow Bank e la banca di investimenti Aton, iniziative imprenditoriali». È così che il credito cooperativo si sta prema Profumo punta più in alto». In effetti il suo scopo è quello di parando a una concorrenza internazionale sempre più dura. «Non costruire una Citigroup europea, un impero finanziario capace di vogliamo andare alla conquista di niente», continua Senesi, «ci intecompetere con i pesi massimi americani e di espandersi in India e ressa solo fornire risposte adeguate ad una serie di piccole banche che in Cina. «Creare un gigante del genere è impossibile senza fusioni devono competere con i grandi nomi. Ecco perché, nelle aree e nei AUGUSTO CASASOLI / A3 / CONTRASTO
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prodotti in cui siamo scoperti, cerchiamo di collaborare con reti di BCC più ampie della nostra: per continuare ad essere efficienti in una dimensione ancora governabile a livello cooperativo».
Nemo profeta in patria Le marce forzate di Profumo e gli accordi pazienti dei banchieri cooperativi. Sembra difficile trovare dei punti in comune tra queste due strategie di integrazione europea delle banche. In realtà almeno un’analogia c’è: nessuno è profeta in patria. Non lo è Profumo, costretto ad espandersi a nord delle Alpi per fuggire dai cerimoniali bizantini delle piazzette e dei salotti. E non lo sono nemmeno DZ e le Casse Centrali. In Germania DZ cerca di fondersi con WGZ, l’altra grande centrale delle Volks- und Raiffeisenbanken (banche popolari e di credito cooperativo), dal 2004. Ma i tentativi sono già falliti tre volte, l’ultima nel dicembre del 2006. Insieme, le due Centrali, potrebbero creare il terzo Gruppo bancario tedesco e risparmiare, grazie alle possibili sinergie, fino a 100 milioni di euro all’anno. Ma non c’è verso. Francoforte (DZ) non dialoga con Düsseldorf (WGZ), ogni volta con un pretesto diverso. Un problema che coinvolge anche le grandi banche private tedesche. Mentre in Europa è tutto un fiorire di fusioni e acquisizioni, in Germania negli ultimi anni si è fatto ben poco. Commerzbank ha acquisito Eurohypo, Postbank si è presa BHW e Deutsche Bank, la prima banca del Paese, ha inglobato Berliner Bank e Norisbank. Se si eccettua l’acquisizione di Eurohypo si tratta però di piccole operazioni, di dimensioni trascurabili. Anche se in Italia la situazione è più dinamica dal lato delle banche commerciali, per il Credito Cooperativo gli spazi di collaborazione sono limitati. Politicamente le Casse Rurali e le Banche di Credito Cooperativo fanno a capo ad un’unica famiglia, Federcasse, ma dal punto di vista imprenditoriale sono divise in tre
sottogruppi: Iccrea Holding (la grande maggioranza), Cassa Centrale delle Casse Rurali Trentine - BCC Nordest e Cassa Centrale di Bolzano. «Con Cassa di Bolzano collaboriamo da tempo», spiega Senesi, «mentre con Iccrea è in atto una competizione imprenditoriale». Che si gioca in particolare sulle BCC del Veneto e del Friuli. Non è un caso che, anche per espandersi in est Europa, Cassa Centrale non abbia scelto partner italiani, ma si sia affidata alle Raiffeisen austriache.
Un modello che funziona Nonostante i mal di pancia in patria e gli inevitabili battibecchi di campanile, a livello europeo le banche cooperative, quelle che fanno del principio “una testa un voto” la propria ragione di esistenza, continuano a rappresentare un modello che funziona. Partecipazione, trasparenza e soprattutto prossimità, vicinanza alle necessità dei risparmiatori e rapporti duraturi con i clienti sono gli ingredienti base del successo. «In Italia le BCC e le Popolari hanno una quota di mercato del 35% che è aumentata dell’8% negli ultimi 8 anni», ha dichiarato Giuseppe De Lucia, segretario generale dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari. Anche fuori dall’Italia i numeri sono incoraggianti. In Europa sono presenti 4.500 banche cooperative per un totale di 60.000 sportelli, 60 milioni di soci e una quota di mercato media del 20%. L’espansione si spiega anche con l’efficienza economica. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, che in gennaio ha pubblicato lo studio “Cooperative Banks and Financial Stability” (banche cooperative e stabilità finanziaria), le banche cooperative sono più stabili rispetto a quelle commerciali perché, grazie alla loro straordinaria capacità di raccogliere risparmi, sono in grado utilizzare il surplus di depositi come cuscino nei periodi di crisi economica. Un ottimo biglietto da visita per nuovi accordi internazionali.
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| finanzaetica | foreste sostenibili |
Giacimenti verdi
Con l’abbandono delle coltivazioni nelle aree montane e l’urbanizzazione, la gestione delle foreste in Italia è stata trascurata per anni. Ma ora si stanno moltiplicando le iniziative comunitarie e regionali per tornare a valorizzare questa antichissima risorsa che fa bene al pianeta, se viene bene utilizzata. esca per gli incendi boschivi» dice Antonio Brunori, seEGNAME DA ENERGIA, per la produzione della gretario generale di Pefc Italia, uno degli Enti che si occarta, per l’industria del mobile, per l’edilizia, cupa di certificazione della gestione forestale sostenibile per l’imballaggio, utilizziamo il legno tutti i (vedi box Certificazioni). giorni, senza valutare in quale entità, ma quotidianadi Paola Baiocchi mente scompare una superLe foreste, stoccaggi di Co2 ficie forestale pari a 25 mila campi da calcio, soprattutto In tempi di allarme diffuso sulle conseguenze dell’effetto nei paesi tropicali, dove il taglio delle foreste segue logiserra, si torna a considerare la coltivazione dei boschi inche da estrazione mineraria che sfrutta la teressante: le foreste sono produttrici di risorsa fino al suo esaurimento, lasciando ossigeno e sono stoccaggi naturali dell’aPELLET E CIPPATO alle comunità locali territori devastati. In nidride carbonica (Co2); l’energia caloriIL PELLET viene fabbricato dalla Italia e in altri paesi non tropicali, il voca del legno viene rivalutata anche dal segatura vergine residua dalla lume dei boschi cresce: l’avanzamento punto di vista economico, visti i prezzi fabbricazione del legno, seccata naturale del bosco è un fenomeno diffudei combustibili fossili e gli incentivi cone compressa ad alta pressione in modo da ottenere piccoli so, legato all’abbandono delle aree moncessi alle rinnovabili. Con tutte le loro cilindri di varia grandezza. Grazie tane e boschive in genere e anche al manstorture perché: «Gli impianti a biomasse alla capacità legante delle lignina, una sostanza naturale contenuta cato sfalcio di prati e pascoli che vengono ideali - dice Brunori - sono centrali di rinella legna, non è necessario riconquistati dagli alberi. scaldamento di piccole dimensioni, da aggiungere alcun tipo di additivo; Gianfranco Nocentini, responsabile 0,5 fino a 1 megawatt (MW), che si riforva conservato in luoghi asciutti. Lascia ceneri inferiori all’1% Fonti energetiche rinnovabili dell’Arsia, niscono di legna da un’area distante al del peso del combustibile, Agenzia della Regione Toscana per lo svimassimo 40/50 Km, nella logica delle fiche possono essere aggiunte luppo e l’innovazione agricolo-forestale, liere corte, che danno lavoro alle comual compost. La densità energetica del pellet è circa il doppio del legno. ci spiega: «L’inventario forestale regionanità locali. Come le circa 300 reti e minile della Toscana attesta una provvigione reti di teleriscaldamento che in Alto CIPPATO: il termine deriva di oltre 120 milioni di metri cubi; l’acAdige già riscaldano piccole e grandi paedall’inglese chip, scaglia e viene prodotto da macchine cippatrici crescimento medio annuo dei boschi è il si. Questo uso del legno risparmia la comche sminuzzano la legna 4%, che in Toscana vuol dire 5 milioni di bustione di oltre 11 milioni di litri di gain scaglie di dimensioni variabili metri cubi di legno, di cui solo 2 milioni solio per riscaldamento. Non hanno con lunghezza e spessore di pochi centimetri. La frammentazione vengono tagliati». Se il dato in sé fa ben nessun senso ecologico invece - continua ne permette lo stoccaggio pensare, nei fatti ha i suoi rischi: «Dove Brunori - megacentrali come quelle in in silos, la movimentazione le foreste sono abbandonate si possono provincia di Crotone (tre da 74 MW comcome un fluido e il caricamento automatico nelle caldaie. innescare più facilmente fenomeni fraplessivi), alimentate a biomasse per proLe caldaie a cippato sono nosi dovuti all’aumento del peso della durre energia elettrica, ma con metà del utilizzate per il riscaldamento vegetazione arborea non più diradata e legname che arriva via mare da altri Paesi di edifici o gruppi di edifici. l’eccessiva massa legnosa diventa facile e continenti, come per esempio dal Sud
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| finanzaetica | America. L’energia elettrica che si produce è economicamente conveniente solo perché incentivata». Secondo Gianni Tamino, biologo dell’università di Padova, le centrali a biomasse dovrebbero essere al massimo di 0,3 MW elettrici e il dottor Stefano Montanari, direttore scientifico di Nanodiagnostics, è d’accordo con lui: «L’Emilia Romagna ha in programma 8 centrali a biomasse di grandi dimensioni per produrre energia elettrica; per alimentare queste centrali, se non si vuole andare a comprare le biomasse, bisognerebbe piantare delle canne, infestanti che i contadini italiani hanno impiegato almeno un secolo a debellare, e poi – continua il dottor Montanari – servirebbe tre volte la superficie dell’intera regione. Devono esistere biomasse in zona, provenire dal taglio del bosco, da sfalci, ma non da piantagioni trattate con pesticidi e le distanze di approvvigionamento devono essere al massimo 10 km, perché altrimenti si omologano alle biomasse altri tipi di materiali, che provengono da scarti di fabbriche (che possono essere impregnati da formaldeide o altro), oppure addirittura i rifiuti. Quindi conclude Stefano Montanari – le centrali a biomasse sono valide per dimensioni piccole, se esiste un bosco vicino e qualcuno che abbia voglia di lavorarlo». Progetti regionali ed europei, che sono stati avviati a cascata da diversi anni, cercano proprio un recupero delle tradizioni locali di gestione delle foreste; è il caso di Woodland Energy, progetto interregionale coordinato dall’Arsia-Toscana, a cui partecipano Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Sicilia e Umbria. Il progetto, collegato anche ai programmi Leader della Comunità europea e ai Gal (Gruppi di Azione Locale) prevede la realizzazione e il monitoraggio di impianti pilota legno-energia; la Toscana ha realizzato cinque centrali a cippato (vedi box) che riscaldano edifici pubblici o, nel caso di Cetica, l’intero paese.
Energia e lavoro dal territorio
Stabilimento Aboca, una delle più importanti aziende italiane di prodotti erboristici che per le proprie produzioni coltiva tutte le piante in modo biologico. Il bosco di Pini Neri
Arezzo, 2006
IMBALLAGGI ECOSOSTENIBILI PER LA RIDUZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE DELLE CONFEZIONI non ci sono solo le azioni dimostrative delle inglesi del Women’s Institute, che celebrano il loro Day of Action annuale contro il packaging scaricando nei supermercati gli imballaggi dei prodotti che hanno acquistato durante la settimana. Ma anche le imprese che per movimentare le merci scelgono i pallets in legno, invece che in plastica, perché i bancali in legno possono essere rigenerati con la sostituzione delle parti danneggiate e una volta “ricondizionati” possono tornare al lavoro e finire poi il loro ciclo vitale diventando pannelli truciolari. La Palm Spa di Viadana fa questo, ma ha anche fatto parecchio per realizzare una produzione che non danneggi l’ambiente: utilizza solo legnami provenienti da foreste certificate Pefc e Fsc e tutto il ciclo produttivo è alimentato solo da energia da fonti rinnovabili. Per prevenire la diffusione degli organismi nocivi che potrebbero infestare intere foreste (ha fatto notizia il caso dei cipressi di Bolgheri, infestati da un fungo trasmesso dalle cassette di legno che contenevano armi Usa) la Palm ha scelto il trattamento termico HT in essiccatoio. Un’altra iniziativa è Palm Work & Project, cooperativa sociale che facilita l’inserimento di persone svantaggiate. www.palm.it
Cetica è un piccolo centro di 500 abitanti nel Casentino, in provincia di Arezzo, dove la gestione del bosco ha una tradizione millenaria e si è differenziata in cento attività, che ora un ecomuseo diffuso sul territorio documenta, con raccolte straordinarie come il museo della polvere da sparo e del contrabbando o quello del carbonaio. «Una prima ipotesi – dice Nocentini dell’Arsia – prevedeva di servire solo metà paese, ma poi c’è stata la corsa di tutti gli abitanti all’allacciamento. L’investimento per questo impianto si ripagherà in meno di 4 anni. Per ottenere il cippato – continua Nocentini – oltre al normale taglio di manutenzione del bosco e gli sfridi delle segherie, possono essere utilizzati legni che normalmente non hanno valore commerciale, come la potatura degli alberi delle aree pubbliche o degli argini» tutte masse legnose che rappresentano un problema per i Comuni che devono smaltirle, perché spesso le potature finiscono nelle discariche. Completare la filiera del legno, |
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L’HI-TECH IN FINLANDIA NASCE DALLE FORESTE L’86 PER CENTO DELLA SUPERFICIE del paese di Babbo Natale, la Finlandia, è coperta da boschi, al 60 per cento di proprietà privata con appezzamenti medi da 4 ettari. Dall’inizio degli anni ‘90 l’organismo statale che si occupa della gestione delle foreste, il Finish Forest Research Institute, ha messo a punto un sistema di mappatura satellitare dei boschi chiamato National Forest Inventory (Nfi), che oggi divide il territorio forestale finlandese in pixel di 25 metri quadrati. Ognuna di queste fotografie fornisce dati sulla quantità di alberi presenti, la loro età, la loro specie, la loro maturità commerciale. La gestione attraverso il Nfi riduce i costi di monitoraggio sul terreno e contribuisce alla sostenibilità dello sfruttamento delle foreste. La tecnologia interviene anche nel trasporto degli alberi abbattuti, con un sistema satellitare Gsm e Gprs per individuare i percorsi più efficienti dal punto di vista economico e per minimizzare gli spazi vuoti dei carichi sui camion. Le foreste sono la più importante risorsa di materia prima e la seconda fonte energetica della Finlandia dopo il petrolio. Il legno, assieme ai suoi derivati, raggiungono il 47 per cento del totale delle esportazioni. I prodotti elettronici rappresentano il 31 per cento delle esportazioni; tra questi Nokia è il marchio finlandese più conosciuto. Eppure nell’Ottocento Nokia era solo una falegnameria sulle sponde del fiume omonimo, che estraeva polpa di legno, ma con un metodo meccanizzato estremamente innovativo.
La non coltivazione delle foreste ha fatto perdere molte professionalità LA CERTIFICAZIONE FORESTALE LA GESTIONE FORESTALE CHE RISPONDE A REQUISITI DI SOSTENIBILITÀ può essere certificata da organismi indipendenti, attraverso procedure di verifica riconosciute e collaudate. PEFC e FSC sono i due standard internazionali di certificazione forestale che, assieme ai principali standard boschivi nazionali, certificano complessivamente una superficie di 297 milioni di ettari, equivalenti al 7% delle foreste mondiali. Vengono certificate sia la gestione sostenibile delle foreste (GSF) che la rintracciabilità dei prodotti forestali (Catena di Custodia, Coc). FSC
Il Forest Stewardship Council è una Ong internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, creata nel 1993 che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali (Greenpeace, WWF, Legambiente, Friends of Earth, Amnesty International, etc.), comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, grandi gruppi della distribuzione (Castorama, Home Depot, Ikea, etc.), scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Dal 2001 è attiva FSC Italia che ha sede a Legnaro (Pd) presso il Dipartimento TeSAF dell’Università di Padova. www.fsc-italia.it
PEFC Il sistema PEFC (Programma per il mutuo riconoscimento degli schemi di certificazione forestale nazionali) è nato nel 1998 come iniziativa volontaria del settore privato per il mutuo riconoscimento degli schemi di certificazione forestale nazionali o regionali; si sono finora formati 31 enti nazionali nei diversi Paesi europei che hanno aderito. Gli enti hanno dato vita all’Associazione PEFCC, (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes Council) con sede operativa in Lussemburgo, che ha come scopo la promozione della gestione sostenibile delle foreste, agire come ente di gestione dello schema PEFC, valutare la conformità degli schemi di certificazione dei partecipanti rispetto ai requisiti dello schema generale. Il PEFC Italia è attivo dal 2001 e riunisce 43 membri di differenti categorie: amministrazioni pubbliche, proprietari boschivi, industrie di prima trasformazione del legno, industrie di seconda e terza trasformazione del legno, sindacati e rappresentanti di categoria, cooperative, liberi professionisti ed aziende, associazioni di categoria. PEFC Italia - Via Catanelli 19 - 06087 Perugia - Ponte San Giovanni www.pefc.it
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con impianti di teleriscaldamento e centri per la cippatura, può offrire entrate aggiuntive sia per gli agricoltori, che per le amministrazioni pubbliche. Ma soprattutto può creare posti di lavoro: «La filiera legno-energia per la produzione di calore – riprende Brunori del Pefc - crea lavoro in loco in rapporto di 5 ad 1 a parità di Joule generati, rispetto agli addetti del settore petrolio-energia». Il non coltivare più le foreste ha fatto perdere anche molte professionalità, che vanno ricostituite. Per questo scopo a Rincine, nell’Appennino fiorentino la Comunità montana ha ristrutturato (in legno) la cella climatica di un ex vivaio e l’ha resa autosufficiente dal punto di vista energetico: l’energia elettrica viene, infatti, prodotta da un impianto miniydro che sfrutta un piccolo lago vicino, mentre per alimentare la caldaia a cippato si utilizza il taglio delle conifere. Buona parte dei 4000 ettari boschivi che circondano l’azienda, dove è stata localizzata la scuola che formerà 700 operai forestali, è composta da conifere esotiche piantate 50 anni fa per la cellulosa, ma ormai fuori mercato. «Già ora – conclude Nocentini – in Toscana esistono 1200 imprese forestali a carattere famigliare, con 2500 addetti, e 37 cooperative che danno lavoro a 650 addetti a tempo indeterminato, più 300 stagionali».
Certificazioni contro i tagli illegali Quando si lascia la dimensione locale, i problemi legati allo sfruttamento industriale delle foreste sono grandissimi: la deforestazione, perché vengono tagliate specie tutelate in aree protette, o in violazione alle norme che ne regolano la quantità. Ma soprattutto sono gravi i problemi di sfruttamento dei lavoratori e le violazioni dei diritti delle comunità locali condannate, soprattutto nelle zone tropicali, all’estinzione perché private dei diritti della proprietà e dell'uso della terra. In altri casi, le attività forestali illegali si accompagnano ad altri traffici (es. coca, oppio etc.), non ultimo quello delle armi. Il commercio di legname proveniente da tagli illegali copre, in Europa, percentuali oscillanti tra l'1% ed il 5% del totale, a seconda del Paese. L'eccezione più rilevante è la Russia, dove secondo l'Unece/Fao (2005) i tagli illegali rappresenterebbero un volume pari a circa il 35% dei tagli legali. Un giro d'affari complessivo di circa 150 miliardi di dollari (dati Ocse) che, secondo altre stime, avrebbe percentuali più rilevanti: più del 50% delle importazioni europee, secondo l'Ong Friends of the Earth, sarebbe di dubbia provenienza. Per contrastare questi abusi sono nati organismi ed enti che certificano che la gestione forestale sia attuata in modo sostenibile, cioè in modo che mantenga intatta la biodiversità delle foreste, la loro produttività, la capacità rigenerativa e il loro potenziale, retribuendo in modo equo i lavoratori.
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Acqua
Il petrolio... trasparente di Walter Ganapini
A DIRETTIVA 60/2000 DELL’UNIONE EUROPEA RECITA: “l’acqua non è un prodotto commerciale, bensì un patrimonio che va protetto“. L’acqua è una risorsa ciclica (evapo-traspirazione, trasporto, precipitazione) criticissima per la vita: se le precipitazioni annue fossero distribuite non in funzione delle tendenze meteoclimatiche, ma di quelle demografiche, vi sarebbe enorme disponibilità di risorsa rispetto al fabbisogno. Ciò, ancor più se comportamenti razionali generalizzati prevenissero l’inquinamento delle acque usate e rilasciate dagli insediamenti antropici civili, industriali o agricoli, garantirebbe la sopravvivenza della specie senza dover intaccare neppure in minima parte la quota sotterranea delle risorse idriche. Così evidentemente non è. L’incultura dell’acqua “ res nullius “, in Italia, porta al paradosso che ci vede consumare 170 litri di acqua imbottigliata/abitante x anno, contro una media europea di 85 ed una mondiale di 15, equivalenti a 5 miliardi di contenitori plastici che si trasformano in 100.000 tonn/anno di rifiuto urbano. L’acqua imbottigliata, assoggettata a regimi di controlli spesso lacunosi, ha un costo variabile tra 30 e 50 cent, cui si dovrebbero sommare i costi di smaltimento del contenitore, mentre 1000 litri di acqua da acquedotto, certo più controllata sul piano chimico-batteriologico, non costano più di 1 Euro. Ciò nonostante, gli italiani dichiarano che alla base di questo paradosso c’è la convinzione che l’acqua imbottigliata sia più sicura (51%), più “buona” (35%), meno “dura” (14%). Il nostro Paese, sin qui collocato in una fascia climatica temperata, è dotato di una ricca orografia e di una importante articolazione idrologica superficiale Mille litri di acqua (l’acqua naturalmente o artificialmente invasata ammonterebbe a circa che sgorga dall’acquedotto 10 miliardi di metri cubi), ma risulta anche ricco di acquiferi sotterranei, costa non più di 1 euro la cui capienza è stimata tra i 5 e i 12 miliardi di metri cubi. La maggior mentre un litro in bottiglia parte della risorsa, in virtù dell’andamento delle precipitazioni da 30 a 50 cent e delle caratteristiche pedologiche, è concentrata al Nord, il 15% al Centro, il 12% al Sud, il 4% tra Sardegna e Sicilia. Ciò nonostante, la crisi idrica è alle porte in tutto il Paese , anche come effetto del cambiamento climatico globale in atto che vedrà l’aridificazione interessare il Centro-Sud e la sub-tropicalizzazione il Nord, con decremento del volume totale delle precipitazioni in un minor numero di eventi, ciascuno dei quali potrebbe diventare “estremo” in termini di effetti. Di ciò ben si stanno accorgendo le Compagnie di Assicurazione. Cosa sta all’origine di questa scarsità annunciata? Le cause prevalenti sono così sintetizzabili: decennale incuria/mancata manutenzione delle reti di collettamento ed adduzione, che porta ad un livello di dispersione della risorsa idrica captata variabile tra il 30% della Emilia-Romagna e l’oltre 50% dell’Acquedotto Pugliese. inquinamento dei corpi fluviali da parte di insediamenti industriali ed urbani ormai insostenibile idroesigenza di un settore primario caratterizzato per decenni da monocolture intensive e da tecniche irrigue (es. a pioggia) dissipatrici di oltre il 30% dell’acqua erogata, peraltro a costo marginale. mancata generalizzazione di apparati ( diffusori , ecc ) per la minimizzazione dei consumi a parità di prestazione a livello dei consumi domestici .L’eccellente esperienza condotta al riguardo a Bagnacavallo da Legambiente con la Regione Emilia-Romagna ha mostrato come questa sola misura , il cui bassissimo costo ( 2-3 Euro/abitante ) si ripaga comunque con i certificati bianchi per la minore spesa energetica del servizio idrico , consenta di ridurre i consumi familiari di almeno il 10-12 %.
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Il viaggio responsabile è un incontro tra persone >46 Vestire critico la nuova di sviluppo per il mercato etico >48
economiasolidale CON EXODUS RIVIVE IL PARCO LAMBRO
HOPEANDSCAPE L’ARCHITETTURA POVERA DI COSTI MA RICCA DI CONTENUTI
COW PARADE MUCCHE D’ARTISTA IN BENEFICENZA
L’UMBRIA VARA UNA LEGGE SULL’EQUO E SOLIDALE
OPERAI ARGENTINI STAGISTI IN ITALIA PER SVILUPPARE LA FILIERA DEL TESSILE PULITO
ADOTTA UN ORTO E DIVENTA PRODUTTORE CONSUMATORE
Dal 6 maggio al 3 giugno, il Parco Lambro di Milano ospiterà “MayLive Exodus”, la festa organizzata dalla Fondazione Exodus Onlus di don Antonio Mazzi. Il Parco Lambro vivrà momenti di sport, convivialità, musica e cultura. Un ricco programma che è anche un invito ai cittadini di Milano a riappropriarsi di questo spazio verde. Nel parco ci sarà un punto di ristoro per spuntini di alta qualità all’aria aperta, un mercatino biologico delle aziende agricole del territorio, del commercio equo e solidale e di altre cooperative sociali che inseriscono al lavoro persone svantaggiate. Sarà inoltre possibile acquistare i prodotti realizzati dai ragazzi della Fondazione Exodus e visitare gli stand di aziende che promuovono progetti di responsabilità sociale. I convegni e gli incontri culturali vedranno istituzioni ed esperti confrontarsi su argomenti di stretta attualità. A tutti i dibattiti è previsto l’intervento di don Antonio Mazzi e di personalità del mondo della politica, della scienza e della cultura, tra cui: Livia Turco, ministro della Salute, Clemente Mastella, ministro della Giustizia, Giuseppe Fioroni, ministro della Pubblica istruzione. Tra gli esperti gli psichiatri Vittorino Andreoli e Paolo Crepet. www.exodus.it
È nata hopeandspace, la prima firma italiana di architettura specializzata esclusivamente in interventi in contesto umanitario. Hopeandspace collabora con organizzazioni, fondazioni, enti e privati nell’intento di promuovere nell’ambito di progetti umanitari architettura povera in costi e ricca in contenuti. A cavallo tra uno studio di architettura e una ong, hopeandspace funziona come un network di professionisti con esperienza pluriennale in grado, in tempi brevi e costi ridotti, di coprire aree di intervento nelle zone più remote del pianeta. I diversi progetti sono realizzati con un interesse particolare per l’uso di “tecnologie appropriate”, di sistemi energeticamente sostenibili e di tipologie pienamente integrate con i diversi contesti culturali. Negli ultimi cinque anni hanno realizzato diversi progetti nel Sud-Est Asiatico. In Sri Lanka hanno costruito una scuola e venti case, finanziate dal ministero degli Affari Esteri Italiano nell’ambito delle attività di ricostruzione postmaremoto. Sul Lago Inle in Birmania è stato costruito un orfanotrofio per centoventi bambini disabili con soli 12 mila euro. Sempre in Birmania è stata creata una fattoria per sviluppare sia una sperimentazione agrotecnica sia infrastrutturale facilmente trasmissibile alle comunità locali. Per l’approvvigionamento idrico sono stati istallati collettori per l’acqua piovana e pompe solari. Bambù, teak, legno di palma, argilla e blocchi di terra e calce sono tra i materiali che sono stati più usati nelle costruzioni realizzate da hopeandspace (www.hopeandspace.org).
A Milano sono più di cento. Quella in piazzale Cadorna, a fianco al gigantesco ago di Oldenburg, è placidamente accovacciata, porta un paio di occhialoni rayban, ha il mantello viola costellato da tanti fiorellini e indossa un turbante tra le corna. Insomma, una esponente bovina della beat generation. Si tratta di una delle partecipanti alla “Cow parade”, ovvero una manifestazione artistica che ha come soggetto la mucca. Una sorta di “mucche di tutto il mondo unitevi” sostenuta da artisti provenienti da ogni parte del globo. Agli ideatori del concorso sono arrivati oltre cinquecento bozzetti, tra questi ne sono stati selezionati cento. L’idea originaria è stata dello scultore svizzero Pascal Knapp. Fino a oggi questa mandria in movimento ha toccato 40 città diverse, tra cui New York, Chicago, Sidney, Londra, Parigi, San Paolo, Tokyo e Firenze. Le mucche , tutte reaalizzate in vetroresina e riprodotte a grandezza naturale, pascoleranno tranquille in vari punti della città fino al 17 giugno. Alla fine della mostra tutte le mucche saranno messe all’asta e il ricavato sarà devoluto in beneficenza. www.cowparademilano.it
L’Umbria è la prima regione italiana a dotarsi di una legge regionale sul commercio equo e solidale. Si tratta di un’iniziativa concreta e non di facciata, visto e considerato che è già stata finanziata e resa operativa fin da subito. La legge, infatti, potrà già contare per l’anno in corso su uno stanziamento di 100 mila euro che serviranno per sviluppare progetti di educazione e formazione nelle scuole, sostegno delle attività delle botteghe del mondo e alla realizzazione della giornata regionale del commercio equo. Il presidente del Consiglio regionale ha già provveduto a far inserire nei luoghi della ristorazione dell’ente gli alimenti del commercio equo e solidale e biologici accanto a quelli tradizionali. Vicino agli erogatori tradizionali e a fianco degli snack convenzionali, consiglieri e dipendenti si stanno abituando alla presenza di prodotti di ottima qualità quali “BriBon”, “Guarnito”, “Guiro”, “Pequena”, “Barrita Nuts”, tutti provenienti dalle centrali di importazione del commercio equo. In Parlamento a Roma è già stata depositata una proposta di legge analoga.
I primi sono stati due operai della cooperativa de trabajo textiles di Pigué, alle porte della Patagonia (Argentina). Sono arrivati in Italia per partecipare a uno stage presso la tintoria Randi di Busto Arsizio. Durante lo stage Carlos Prost e Mariano Ceppe, così si chiamano i due lavoratori, hanno imparato ad usare la taglierina circolare, un macchinario complesso che useranno anche al loro rientro in Argentina. Carlos e Mariano sono due dei centosedici operai costituitisi in cooperativa e rimasti a lavorare dopo il fallimento della fabbrica tessile Gatic, che fino al 2001 produceva per marchi internazionali specialmente sportivi, tra cui le divise di molte nazionali di calcio, e dava lavoro ad oltre 400 persone. La crisi ha avuto un impatto fortemente negativo sul territorio, ma allo stesso tempo la scelta dei lavoratori di recuperarla è stata di grande stimolo per tutto il contesto. Oggi la Textiles Pigué gestisce per la filiera di Altromercato tutto il processo di tintura e tessitura dei filati. A maggio sarà il turno di altri due operai che verranno nelle tessiture italiane per imparare alcune lavorazioni da applicare poi nella creazione e confezionamento di magliette da vendere nel circuito dei prodotti equo e solidali. Negli ultimi cinque anni questi operai hanno cercato di autorganizzarsi, produrre e vendere, salvaguardando la dignità e il proprio posto di lavoro in maniera solidale. Con la campagna “Tessere il futuro” il commercio equo sta sostenendo le loro attività. www.tessereilfuturo.org/it
Adottare un orto per procurarsi il cibo quotidiano, facendolo diventare un gesto di sostenibilità colturale e culturale. Nessuna coda al supermercato e in più verdura e frutta fresca di stagione a disposizione. L’idea è stata di Mario Arnò, che ha lanciato il progetto “Adotta un orto” su un’area di circa 4.000 metri quadrati sul terreno della cascina Santa Brera Grande, a San Giuliano Milanese. L’esperienza ora coinvolge circa quaranta famiglie. Il costo è di 50 euro al mese (la partecipazione economica al progetto) e poi ogni settimana ognuno va raccogliere quel che gli serve. Le decisioni vengono prese collegialmente. La condivisione dell’orto comprende anche la condivisione dei rischi, come si fa normalmente in agricoltura. Quindi se il raccolto è magro per scelte errate o a causa di complicazioni climatiche, il rischio è di tutti, perché tutti sono produttori oltre che consumatori. E poi male che vada si possono sempre scambiare quattro chiacchere con i vicini contadini.
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Il viaggio responsabile è un incontro tra persone
TURISMO SOSTENIBILE, CHI LO CONOSCE? DONNA TRA I 30 E 40 ANNI, abitante nel nord Italia, impiegata che ama viaggiare soprattutto in Marocco, Brasile, Zambia, Senegal, regalandosi ogni tanto qualche week end in giro per il Bel Paese. Questo il ritratto dell’utente medio del turismo responsabile in Italia, secondo quanto emerso dai questionari compilati da coloro che hanno viaggiato con l’agenzia Viaggi Solidali di Torino. Una statistica stilata su un campione di circa duemila persone. Ricerche vere e proprie sul turismo sostenibile in Italia non ne sono mai state fatte. Tra i pochi dati disponibili in questo campo emerge una ricerca francese condotta nel 2004 dalla società parigina Unat su un campione di 402 persone che rappresentano il 29.8% della popolazione francese. Il 28,8% degli intervistati ha già sentito parlare di turismo solidale dalla carta stampata (54%), dalla televisione (29%), dalla radio (22%). Il 71% di coloro che conoscono già il turismo responsabile hanno almeno una volta sostenuto un’associazione umanitaria, e nella maggior parte dei casi si tratta di dirigenti, quadri aziendali, insegnanti, assidui viaggiatori. Il 7% dichiara di essere molto interessato a questo tipo di turismo, il 59% abbastanza interessato, il 21% poco interessato, il 13% per nulla interessato. Tra coloro che si sono detti interessati (66%) le attese rispetto ad un viaggio di questo tipo emergono così: avere contatti con la popolazione locale (45%), conoscere e rispettare la natura e il patrimonio locale (20%), sapere esattamente a chi vanno i soldi (18%), sentirsi utile presso il paese visitato (21%), viaggiare in piccoli gruppi (3%). Il 52% delle persone interessate dichiara di essere disponibile a spendere di più per un viaggio solidale, il 56% preferisce che il viaggio sia organizzato, il 15% preferisce che sia indipendente, il 61.5% sceglie come destinazione l’Africa, il 58.1% il Sudamerica, il 55.5% l’Asia. I motivi percui il campione non ha mai fatto un viaggio responsabile sono diversi: per il 32.6% l’opportunità non si è mai presentata, per il 29.4% per la mancanza di informazioni, per il 17.6% la difficoltà di trovare questo tipo di turismo una volta scelta la destinazione.
Il libro di Renzo Garrone è la bibbia del viaggiatore responsabile. Una sorta di manifesto per chi vuole viaggiare nel Terzo Mondo. L’impatto del turismo in alcune regioni puo’ essere devastante se chi viaggia non si pone certe domande. Si possono avere benefici per le popolazioni locali, solo se c’è la consapevolezza della ricaduta delle nostre scelte di turisti. UESTO È L’ANNO GIUSTO, VE LO DITE DA TEMPO. Adesso basta.
ganizzare viaggi solidali nel nostro Paese. Dal suo libro emerge bene come nonostante la vastità del fenomeno e l’incredibile numero di persone che viaggia ogni anno (oltre 800 milioni gli arrivi internazionali, almeno otto volte tanti gli spostamenti entro confini nazionali) è ancora poco noto al grosso pubblico quale impatto abbia il turismo su ambiente, società e culture. Questo discorso vale in particolare per i paesi del Terzo Mondo, dove il turismo è spesso stato spacciato come l’unica possibilità per risolvere le decennali ed enormi difficoltà economiche. Dopo cinquant’anni di sviluppo economico il bilancio non è molto positivo perché il turismo porta con sé anche grandi contraddizioni: sfruttamento sociale, devastazione culturale e ambientale, neocolonialismo. Il turismo sostenibile , invece, arricchisce chi lo pratica e chi lo accoglie sul suo territorio. È la punta avanzata dei consumi solidali, è il settore del terziario incluso dall’ONU tra gli strumenti sostenibili e equi per la lotta alla povertà. Per questo motivo anche nel nostro paese sono in grande aumento coloro che scelgono di viaggiare solidale. Turisti che scelgono di dormire in alloggi a gestione familiare, di mangiare i piatti della FORUM TURISMO SOSTENIBILE cucina locale, di spostarsi grazie ai trasporti pubDAL 25 AL 27 MAGGIO A ROMA si svolge il Forum del Turismo responsabile, dedicato ai rapporti tra Nord e Sud blici in modo tale che i soldi spesi arrivino il più del mondo. Il Forum è organizzato dall’Aitr, Associazione Italiana per il Turismo Responsabile, che promuove possibile alla gente del posto e si ridistribuiscano la cultura e la pratica di viaggi di Turismo Responsabile e favorisce il coordinamento tra gli ottanta enti che nell’economia locale. Turisti che scelgono di dene sono soci, tra cui: Arci Turismo, Chiama l’Africa, CTS, Icei, LegaCoop, Legambiente, Pindorama, Planet Viaggi, Ram, Viaggi e Miraggi, Viaggi Solidali e Wwf Italia. A Colle Vecchio il primo giorno del Forum è dedicato volvere una quota di solidarietà nell’ambito della ad una riflessione sull’America Latina con testimonianze dalle diverse esperienze: partecipano Eugenio Yunis, spesa del viaggio. Questa quota va a finanziare i dell’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite, Patrizia Sentinelli, viceministro del Ministero degli Esteri, Donato Di Santo, Sottosegretario con delega per l’America Latina. Il secondo giorno è rivolto all’Africa, progetti di sviluppo ed emancipazione delle realtà anche in questo caso sono presenti agli incontri numerose autorità ed esperti. In chiusura, il 27 maggio, sociali incontrate durante il viaggio: le donne insi tiene l’assemblea delle Ong di Aitr. In concomitanza con il Forum si chiuderà la campagna internazionale diane che realizzano capi d’abbigliamento per il di promozione del turismo responsabile “Equoturismo”, promosso in Italia da Aitr, Cisv, Icei e Mlal, e sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, il Ministero degli Affari Esteri Francese, il Ministero del Turismo Francese, mercato equosolidale, gli artigiani africani che il Ministero dell’Ecologia e dello sviluppo Sostenibile Francese, le Regioni Piemonte, Toscana, Lombardia, creano manufatti in legno, attività sempre più la Provincia di Genova e l’Unat (associazione di turismo sociale francese con 1900 soci). Il 27 ottobre dal Word difficile e precaria per via della deforestazione, i Tourism Organisation è stato designata come la “Giornata mondiale del turismo sostenibile”. bambini lavoratori peruviani. Fino al 2005 l’agen-
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Per l’estate 2007 un bel viaggio solidale non ve lo impedisce nessuno: né i bambini piccoli, né i cani da sistemare, né i genitori anziani da intrattenedi Ilaria Bartolozzi re, né gli amici con cui da vent’anni fate le vacanze. È deciso: a luglio diventate un turista responsabile, siete ormai maturi per questa scelta. Basta con viaggi a ritmi forsennati in cui si corre come pazzi perché «già che siamo qui dobbiamo vedere tutto», basta dormire in alberghi con piscina, la cui acqua viene sottratta al fabbisogno della gente del posto pur di giovare al turista occidentale, basta sollazzarsi sulle spiagge del Sud del Mondo senza mai venire a contatto con gli abitanti locali, basta. È appena stata ripubblicata la terza edizione di “Turismo responsabile - nuovi paradigmi per viaggiare in terzo mondo” di Renzo Garrone. In Italia questo libro è considerato un po’ come il manifesto del turismo responsabile: Renzo Garrone con la sua associazione Ram è stato il primo ad or-
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VIAGGIARE RESPONSABILI IN ITALIA
LIBRI
Renzo Garrone Turismo responsabile Nuovi paradigmi per viaggiare in terzo mondo Associazione Ram Appena uscita la seconda edizione, si trova nelle Botteghe Altromercato.
SE NON AVETE SOLDI SUFFICIENTI per farvi un viaggio di turismo sostenibile in India, in Madagascar o a Cuba potete pensare ad una meta italiana. Le proposte sono molte, anche per week end. In questo modo potrete guardare il nostro paese con occhi tutti diversi. Viaggi Solidali organizza insieme alla Cooperativa A.L.I. (Ambiente Legalità Intercultura) viaggi di turismo responsabile in Sicilia (max gruppi di 8 persone) non solo per conoscere i classici luoghi di cultura e storia ma anche le associazioni che fanno della lotta antimafia un punto cardine della loro attività. Per esempio a Partitico (Pa) si visita TeleJato, la piccola televisione comunitaria che ha ereditato il lavoro iniziato da Peppino Impastato con Radio Aut e che ha come obiettivo la denuncia degli affari della mafia locale. A Mazara del Vallo, nel cui centro storico vive un’ampia comunità tunisina, è previsto l’incontro con la piccola cooperativa Amal, che produce tappeti secondo la tradizione magrebina. Il viaggio si svolge dal 20 al 24 giugno, 480 euro. Per chi preferisce un fine settimana immerso nel verde Viaggi e Miraggi offre tre giorni nella Val di Merse, tra borghi medievali e castelli, alla scoperta delle erbe spontanee che crescono nella campagna di Siena. Nei boschi attorno all’Ecoturismo la Casa Gialla, dove si pernotta, si svolge la passeggiata guidata per il riconoscimento e la raccolta delle erbe. A seguire si svolge un piccolo corso di cucina per imparare ad utilizzare le erbe raccolte. Il giorno successivo si visita il comune di Bagnaia, da trent’anni esiste una comune che condivide la vita sociale e la coltivazione biologica. Questo week end si svolge il 13-15 luglio e il 24-26 agosto. Il prezzo è di 160 euro.
zia Viaggi Solidali ha raccolto un totale di quote di solidarietà pari a 107.302 euro. Come ben sottolineato nella “filosofia turistica” di Renzo Garrone il viaggio responsabile non è altro che un incontro tra persone, la cui dimensione umana è fondamentale. Qui non ci sono guide turiste bensì mediatori culturali. I viaggi sono organizzati in gruppi ristretti, per aiutare la convivialità molto spesso i pranzi sono consumati con i rappresentanti delle realtà incontrate. Il tempo è un altro elemento dirimente del turismo consapevole: ogni viaggio comprende poche destinazioni selezionate in modo tale da poter approfondire le conoscenze, e per la stessa ragione il programma è flessibile, soggetto a variazioni a seconda degli incontri e dei desideri del gruppo. Ora lo avete imparato: come si consiglia sul sito di Ram Viaggi la macchina fotografica non si tira fuori appena arrivati, bensì solo quando si è creato un rapporto con le persone che abbiamo incontrato.
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Vestire critico La nuova via di sviluppo per il mercato etico
Nuovi tessuti, nuove fibre biologiche prive di ogm risvegliano l’interesse del mercato. Il tessile-bio è ancora una nicchia ma le aziende italiane che puntano alla qualità delle confezioni iniziano a prenderlo in seria considerazione. Due concetti come biologico e fashion formano oggi la nuova tendenza anche nella moda. Il saper fare italiano lancia una nuova sfida ai consumatori.
L di Jason Nardi
E NUOVE FILIERE DEL TESSILE ECO-COMPATIBILE e biologico in Ita-
lia stanno vivendo un momento di crescita e affermazione straordinari nell’ultimo anno: bio-cotone, canapa, kenaf, e altre fibre minori sono passate da una lavorazione artigianale a un ciclo di produzione e trasformazione industriale di tessuti di alta qualità, tanto che il settore della moda sembra essersi finalmente accorto delle potenzialità dei nuovi tessuti, e stanno nascendo linee moda tutte bio. La crescita è enorme: fino a due anni fa, il tessile biologico in Italia era quasi inesistente. Nel giro di poco tempo, da tre piccole imprese siamo passati a 20 grandi, con una dimensione economica che secondo le ultime stime di ICEA (Istituto per la certificazione etica ambientale), supera i 3 milioni di euro. Il volume di affari del tessile bio rappresenta appena un centesimo rispetto ai 370 milioni di euro realizzati nel 2006 in Europa, ma sta uscendo dalla nicchia. Oltre ad impiegare fibre naturali, prive di Ogm, coltivate e lavorate senza l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi o inquinanti, il prodotto tessile biologico su standard AIAB certificato da ICEA (che controlla praticamente tutte le filiere in Italia) rispetta i diritti dei lavoratori e si affida a tecniche di ridotto impatto ambientale in ogni fase del processo produttivo, per minimizzare l’inquinamento e i rifiuti. “Per il bio-cotone,” afferma Paolo Foglia, responsabile ricerca e sviluppo di ICEA, “nell’ultimo anno e mezzo l’interesse è cresciuto molto e sta trainando la moda, aumentando esponenzialmente la domanda e stimolando una serie di produzioni industriali. Ieri, facevano fatica a lavo-
Bio-cotone, canapa, kenaf. I nuovi tessuti biologici entrano nell’industria
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rare un quintale di cotone. Oggi, chi fa il denim ne lavora trenta tonnellate per ogni ciclo produttivo. Da imprese molto piccole che non si occupavano dell’intera filiera produttiva ma dovevano esternalizzare a imprese tessili tradizionali le lavorazioni specifiche, oggi sono entrati nel settore quei soggetti industriali che stanno effettivamente organizzando una filiera completa, mettendo a disposizione la loro capacità tecnica e cambiando i loro prodotti che immettono sul mercato”. Nella filiera del tessile bio stanno anche entrando delle filature, imprese capaci di mettere sul mercato dei filati con la qualità italiana, con cotone che va dal mohair all’altafibra, e che hanno caratteristiche interessanti per quell’industria italiana che vende produzione di qualità e fa moda. Entrano anche delle tintorie che assorbono una produzione di qualità per finissaggi che all’estero non sembrano capaci di fare. “L’impresa italiana,” sottolinea Foglia, “non può fare le t-shirt o le polo bio, perché su quel livello di mercato non può competere con l’India o la Cina. Lavora invece sulla specializzazione, l’alta qualità dei tessuti e la produzione per la moda. Ad Arconate, nel milanese, c’è la ItalDenim (www.italdenim.com), che realizza il primo tessuto denim per jeans italiano in cotone da agricoltura biologica (certificato ICEA) e integra verticalmente tutte le fasi del processo produttivo: dalla balla di cotone tira fuori il tessuto pronto da confezionare, semplificando molto la produzione.
Bio di tendenza Ma la scommessa per l’industria italiana sembra essere l’approdo del tessile bio nel mondo della moda. “Abbiamo
LA FELPA DELLA SOSTENIBILITA’ TOTALE DIRETTAMENTE DALLA RICHIESTA DEI CONSUMATORI FINALI della Rete Nazionale dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) con il contributo dell’agenzia [fair] (http://www.faircoop.it/equofelpe/). Confezionata in India dalla Rajlakshmi Cotton Mills e distribuita dalla cooperativa sociale LiberoMondo alle Botteghe del Comgioni certificate biologiche da un marchio internazionale come Skal (www.skal.com), organizzazione olandese di certificazione accreditata da IFOAM, con standard estremamente elevati. La costruzione della felpa è stata lunga e articolata perché non si è voluto fare un prodotto qualunque, ma un prodotto co-progettato e partecipato insieme ai produttori di cotone indiani, associati nel Mahima Organic Project e nel Chetna Organic Cotton Project. La felpa che ne risulta, pur non essendo confezionata in Italia, ha comunque una parte della filiera (quella iniziale della progettazione e quella finale della distribuzione) che è italiana – oltre alle caratteristica di essere ecologica (grazie all’impiego di cotone biologico), equa (grazie al giusto prezzo pagato ai produttori di cotone), etica (grazie all’impegno dell’impresa di confezionamento che rispetta i diritti dei lavoratori). La Mahima Organics, vicino a Indore, garantisce formazione, coordinamento attività e vendita dei semi di cotone pagati con un premio superiore del 15-20% ai prezzi del mercato convenzionale a 1020 famiglie di coltivatori biodinamici, su 2400 ettari. È orientato alla nonviolenza e al rispetto per la vita. Il Chetna Organic Cotton Project, in Andhra Pradesh, lanciato nel 2003 dalla organizzazione olandese Solidaridad, coinvolge 19 villaggi di agricoltori per un totale di 405 coltivatori su 600 ettari, che, attraverso metodi partecipativi e competenze tecniche avanzate, vengono formati per la riconversione dei campi di cotone convenzionale in organico. Un’ultima curiosità: la campagna di sensibilizzazione su tessile e diritti è recentemente sbarcata sul mondo virtuale di Second Life (www.secondlife.com) con una piccola mostra fotografica sul mercato internazionale del cotone e sulla tutela dei diritti del lavoro, allestita nell sul mondo reale e sulle sue contraddizioni all’interno di un mondo totalmente virtuale.
certificato anche un’impresa di questo tipo, l’Atelier Stimamiglio di Vicenza, con una linea dedicata chiamata Nathu (www.nathu.it)”, prosegue Foglia. “Questa piccola impresa artigiana con una trentina di occupati, che fa alta sartoria realizzando i capi da sfilata e i capi unici, ha avuto l’idea di combinare il concetto di biologico con quello di fashion con una nuova linea, utilizzando 3-4 tipologie di tessuto che sono state subito selezionate e portate alle fiere specializzate di settore, da Milano a Parigi, da Tokyo a New York. E li ci sono delle reti di negozi che cominciano a investire su questo prodotto completamente nuovo”. Non a caso un recente documento del Pitti ribadisce che gli orientamenti moda 2008 includono anche il biologico. Ma bisogna stare attenti – avverte Foglia - e avviare la filiera con degli operatori economici stabili e non solo di tendenza, “perché la moda è propulsiva e ha bisogno di grandi ricambi, ma di fatto non fanno alcun approfondimento e il prossimo anno possono cambiare completamente e andare alle resine sintetiche o dire che l’anno
prossimo dobbiamo tutti vestirci con poliestere riciclato”. E l’attenzione va diretta anche alla grande distribuzione, con l’entrata di grandi soggetti come il gigante americano Walmart, che con un’ordine test di cotone biologico lo scorso anno ha fatto raddoppiare la domanda in tutto il mondo. Ma al contrario della produzione “tradizionale”, gli agricoltori di cotone biologico ci mettono anni per cambiare la produzione e adottare tecniche nuove che permettano di aumentare il raccolto. I tempi della moda sono ristrettissimi e stanno innescando un meccanismo di aumento della capacità produttiva, che può andare a discapito della qualità bio.
Un Tavolo nazionale per il cotone bio&equo Occorre inoltre, secondo Foglia, consolidare i canali distributivi e soprattutto la cultura del consumatore finale. Per questo, dopo il lancio della campagna di sensibilizzazione “La via del cotone”, promossa dall’osservatorio nazionale sul commercio internazionale Tradewatch (promosso da Rete Lilliput, Campagna Riforma della Banca Mondiale, la centrale di commercio equo Roba dell’Altro Mondo e l’ong Mani Tese), alcune organizzazioni a tutela del biologico e dell’ambiente (Icea, Aiab e Legambiente), la Fondazione Banca Etica e Ethimos, realtà del commercio equo (Roba, Ctm Altromercato, Transfair, Commercio Alternativo), ong di sviluppo (come il Gvc), oltre a aziende del tessile biologico, enti locali, Federmoda Cna e le associazioni dei consumatori, hanno scelto di dare vita al primo Tavolo Nazionale per il Cotone Biologico ed Equo e Solidale. “Da tre anni”, racconta Foglia, “facciamo incontri pubblici - come a Sbilanciamoci o a Terra Futura - e cerchiamo di far capire che c’è una differenza tra una t-shirt a 5 euro e una a 15, e che forse conviene quest’ultima non solo per cambiare il modello d’acquisto da un usa e getta di bassa qualità a un prodotto che dura, ma anche perché dietro c’è la qualità dell’industria, del design, del saper fare, delle conoscenze che sottendono il processo produttivo, dell’attenzione agli aspetti ambientali e di giustizia sociale. Se la gente non capisce e non apprezza un lavoro fatto bene, con dietro una filiera di alta qualità, non può capire perché c’è un prezzo più alto, che però è un prezzo giusto. L’anomalia casomai è quella del prezzo stracciato, dietro il quale si nasconde una filiera distorta”. Il tavolo si propone inoltre di promuovere una stretta collaborazione con gli enti di ricerca operanti sia sul fronte delle tecniche e dei metodi di produzione agricola che nell’ambito dei processi e delle tecnologie manifatturiere; coinvolgere operatori economici ad ogni livello della catena del valore al fine di promuovere la costituzione di una filiera produttiva del Tessile Biologico ed Equo-Solidale; sensibilizzare i soggetti istituzionali al fine di promuovere l’introduzione di prodotti Tessili Biologici ed Equo-Solidali nell’ambito delle politiche di Green Public Procurement. |
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Grazie al sostegno del Tavolo Nazionale del Cotone Biologico ed Equo e Solidale, a Carpi è stato realizzato il primo prodotto simbolo: una bio t-shirt fabbricata con cotone biologico prodotto in India e in Tanzania (in vendita nelle botteghe del mondo). Carpi è uno dei distretti tessili più importanti d’Italia (con imprese che lavorano conto terzi per colossi mondiali), che ha risentito del calo drammatico del prezzo del cotone. Ed è proprio da qui che riparte il biotessile, con il lavoro del Consorzio Vis (Vivere in salute), sostenuto dall’amministrazione
comunale. Secondo Federico Poletti, amministratore di Tessitura Florida e vicepresidente del Consorzio Vis, tra gli obiettivi vi è anche quello di “arrivare ad ottenere l’etichettatura di non allergenicità per riuscire a mettere in commercio un prodotto bio finito. Per questo continuiamo ad investire nella ricerca. Questa ulteriore certificazione crediamo sia il modo per mantenere il “made in Carpi”, ma anche per poter presentarci al cliente con un’assicurazione in più. Tanti sono interessati a questo tipo di prodotto, in particolare tra le aziende che commercializzano abbigliamento per bambino”.
Vestire equo e solidale è bello e conveniente La Ctm ha creato in Argentina la prima filiera tessile basata sul cotone “pulito”. Senza la griffe il prezzo è ragionevole. sfruttamento e dell’impoverimento dei contadini: sono ormai noti i EANS A 25,90 EURO, CAMICIE A 19,90 EURO, magliette a 14 eucasi ripetuti di suicidi da parte di lavoratori dei paesi poveri che si troro. Vestire equo e solidale non è solo giusto ma pure convano presi in una spirale di indebitamento legata all’aumento coveniente! Il settore del tessile è uno dei campi più prometdi I. B. tenti per lo sviluppo del consumo critico. Lo dimostrano stante dei costi di produzione (derivante dall’uso sempre più massiccio di fertilizzanti e pesticidi) e alla riduzione costante del prezzo delle iniziative intraprese da CTM Altromercato e da Coop. Il la materia prima sul mercato, quindi dei loro ricavi. Infatti il prezzo consorzio del commercio equo di Verona, il più grande in Italia, il internazionale del cotone è stato in costante calo dal 1953 ad oggi. Il secondo a livello mondiale, ha creato in Argentina la prima filiera fenomeno, che nel periodo 1960-1984 si assestava su una media del tessile equa e solidale, dalla produzione del cotone al confeziona–0,2% annuo, dopo quella data ha subito una forte accelerazione dimento. Mentre la Cooperativa dei Consumatori ha realizzato e diminuendo dello 0,9% all’anno, con un picco negativo nel 2002. Il stribuisce la prima linea di capi di abbigliamento prodotti nel riprezzo del cotone è crollato per via della sovrapproduzione causata spetto dell’ambiente e dei lavoratori. Ma come fanno i prezzi di quedalle sovvenzioni agricole degli Stati Uniti d’America: la materia priste magliette, felpe, camicie e jeans ad essere così concorrenziali rima viene pagata dalle multinazionali spetto ai capi d’abbigliamento del cirmeno del costo reale di produzione e cuito tradizionale? Certo, acquistando PIERLUIGI TRAVERSA, DI CTM ALTROMERCATO questo genera grossi problemi impedenquesti vestiti non si paga la griffe, il salaIL TESSILE È LA NUOVA FRONTIERA DEL MERCATO ETICO. do ai coltivatori di coprire i costi di mato costo del brand viene eliminato. Come ci si muove in questo settore? “Il nostro progetto di una intera nodopera, di estinguere i debiti contratti Ma il punto non è solo questo. Anfiliera tessile equa e solidale è unico al mondo. Quando due anni per iniziare la produzione e di mantenediamo a scoprire cosa succede nel monfa abbiamo iniziato a lavorarci erano veramente pochi gli attori che si stavano lanciando in questo settore. Ora sono molti di più, re la propria famiglia. do del tessile. Più di 300 milioni di persia nel profit che nel no-profit. È una campo in grande espansione”. La prima iniziativa delle organizzasone nel mondo, per lo più in paesi in via I prezzi dei prodotti del mercato equo e solidale sono ormai concorrenziali rispetto a quelli del circuito tradizionale? zioni che agiscono secondo i principi di sviluppo, lavorano in questo campo. Il “Direi proprio di sì, da qualche anno sono sovrapponibili. del commercio etico e solidale per cer2,5% della superficie agricola mondiale è Con l’introduzione dell’euro sono aumentati i prezzi del circuito care di modificare l’andamento della fioccupato dalla produzione del cotone, tradizionale mentre i nostri sono rimasti uguali: in questo modo abbiamo recuperato un po’ lo svantaggio che avevamo liera riguarda proprio la rivalutazione per lo più in monocultura, che determiinizialmente. Inoltre, man mano che sono aumentate le vendite del prezzo del cotone, che viene acquina un forte impoverimento del terreno, dei prodotti solidali, i loro prezzi sono leggermente diminuiti. stato ad una cifra maggiorata del 25-35 la riduzione della biodiversità. Circa il Quindi possiamo dire che ora sono concorrenziali”. Quali sono i settori che vanno meglio nelle vendite % in più rispetto al costo del mercato. In 50% dell’acqua utilizzata in agricoltura di Altromercato? “L’anno scorso è cresciuto molto l’artigianato: Argentina nella prima filiera tessile equa serve per l’irrigazione dei campi di cotoè aumentato del 20%, molto più dell’alimentare, ed è un settore e solidale di CTM Altromercato sono ne, dove viene sparso circa il 25% dei peche rende più solido tutto il nostro consorzio. Pensiamo che questo successo sia dovuto al nostro particolare modo do lavorare: stati coinvolti contadini e operai delle sticidi usato nel mondo. I pesticidi e i ferAltromercato non si limita a importare gli oggetti d’arredamento fabbriche: dalla coltivazione al confetilizzanti intaccano l’ecosistema, entrano prodotti dagli artigiani del sud del mondo, come fanno altre zionamento, la tracciabilità di tutto il nella catena alimentare, inquinano le falorganizzazioni del mercato critico. Noi chiediamo agli artigiani di rielaborare i loro prodotti seguendo i gusti e le mode ciclo produttivo rappresenta un elede freatiche e provocano gravi danni alla del mercato occidentale ma nel rispetto delle loro tradizioni mento distintivo e rivoluzionario risalute dei coltivatori. Negli ultimi tempi e della loro creatività. Un altro settore che è in forte espansione spetto al modello tradizionale. Il cotone la produzione del cotone ha assunto un è quello della cosmesi, la nostra linea Natyr è cresciuta del 30%”. viene coltivato con metodi naturali darisvolto sociale drammatico per via dello
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Paolo Foglia conclude preannunciando l’organizzazione di “una conferenza internazionale sul tessile nel giugno 2008 che si svolgerà tra Modena e Carpi, in tre parti: relatori internazionali, dibattito pubblico tra gli stilisti e i designer (moda - etica - responsabilità, in un salotto pubblico con Wolfgang Sachs, Vandana Shiva, Susan George da una parte e Armani e altri stilisti dall’altra) e un concorso internazionale rivolto alle principali scuole di moda e design (Accademia italiana moda e costume, Saint Martin di Londra, Royal Academy di Anversa, Polimoda, e altre) portando un contenuto informativo e formativo”.
FABIO CUTTICA / CONTRASTO
La bio t-shirt di Carpi
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Un campo di cotone in fiore. Sullo sfondo, un momento della “Vuelta”, la gara ciclistica più importante d’America. Il cotone biologico sta vivendo un periodo di crescita straordinaria.
Colombia, 2005
gli indigeni Toba di Pampa del Indio, nella regione del Chaco. Alle porte della Patagonia, nella cittadina di Pigué vengono tessute le magliette dalla Textiles Pigué Ltda, una fabbrica abbandonata con la crisi economica del 2001 e recuperata dai lavoratori, che si autogestiscono in una cooperativa. Mentre il confezionamento delle magliette viene realizzato a la Matanza, un quartiere periferico di Buenos Aires, dove, sempre dopo il 2001, è nata un’esperienza comunitaria di lavoro: un laboratorio di taglio e cucito, che confeziona magliette realizzate con il cotone della filiera di Altromercato, alcune a firma CTM, altre a firma Coop per la sua linea equa e solidale. Mentre le camicie Solidal Coop, di taglio classico, vengono
prodotte in una fabbrica dello stato del Kerala (India meridionale), creata nel 2004 dalle suore francescane di S. Elisabetta di Firenze, dove lavorano più di 120 donne, che artigianalmente realizzano il capo dal taglio del tessuto fino alla confezione. Una parte degli utili serve per risolvere uno dei problemi sociali più drammatici di questo paese: la creazione del fondo per la dote necessario ad ogni giovane indiana per potersi sposare (0,50 euro per ogni camicia è la cifra destinata al fondo dote delle lavoratrici), un’altra quota viene usata per garantire il salario sicuro con superamento del pagamento a cottimo, nessuno sfruttamento del lavoro minorile, assistenza sanitaria e maternità.
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Stili di vita
Protagonisti di una vera rivoluzione di Massimiliano Pontillo
OLTEPLICI OPPORTUNITÀ, ANCHE INASPETTATE, per cambiare il nostro stile di vita ci vengono continuamente offerte da nuove tecnologie o da nuove proposte di mercato, cui, il più delle volte, non sappiamo resistere. Pochi di noi si sono resi conto di essere alla vigilia di una vera e propria rivoluzione nel nostro modo di vivere. Dopo quarant’anni sta cambiando il modo di costruire e di abitare le case. L’elettronica sta invadendo la nostra vita quotidiana. Per le strade delle città si vedono più biciclette, ma l’auto del futuro ancora non sappiamo come sarà. Le radio e le televisioni, così come i telefoni e l’energia, non sono più gestiti da un monopolista. Leggi e regolamenti comunali ci impongono il risparmio d’acqua e il riciclo dei materiali, ci vietano di circolare con auto inquinanti, finanziano l’acquisto di frigoriferi meno energivori e incentivano la produzione di energia solare sui nostri tetti. Ecco, come tutte le rivoluzioni che si rispettino, anche quella in corso sarà una rivoluzione di tecnologie, di mercato, di valori e leggi. Tutto insieme: in altre parole, di un intero sistema. E come in tutti i grandi cambiamenti, è in gioco il potere. Nello specifico, quello sui nuovi mercati del futuro, delle risorse, dell’accesso ai nuovi servizi. La questione, sembra incredibile, è che non ci è data abbastanza libertà di scelta, non ci sono fornite informazioni sufficienti per decidere, non sono disponibili facilmente beni di consumo e servizi adeguati per vivere in case più accoglienti, uffici e luoghi di lavoro più sani, strade più sicure, ambienti naturali meno inquinati. L’acqua, l’aria e il clima sulla terra, il suolo, la natura, non sono abbondanti, puliti, disponibili, scontati. L’uso che facciamo Indietro non si può tornare: dell’energia in casa, ad esempio, incide oggi sempre di più sul i cambiamenti climatici nostro conto corrente in banca e sull’inquinamento dell’aria. E impongono di abbracciare sommata a tutti i consumi energetici delle nostre case, insieme a nuove abitudini e convinzioni quella degli edifici in cui studiamo, lavoriamo e “viviamo”, la quantità di energia che consumiamo acquista una indubbia rilevanza sia geopolitica che rispetto alle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla Terra. Noi, gli amici dell’ambiente e del vivere sostenibile, dobbiamo giocare dalla parte dei cittadini che vorrebbero contribuire a determinare come saranno fatte le abitazioni del domani, a scegliere i beni che acquisteremo e le tecnologie che useremo. Nella telefonia siamo stati inondati di opzioni e piani tariffari, aumentando la nostra spesa pro capite. Nel nuovo mercato dell’energia dovremmo poter decidere in primo luogo quanta energia ci occorre, in che forma, e di quale origine. A cambiare siamo in molti, più di quelli che sono disposti a riconoscerlo. In pochi se ne sono accorti e sono protagonisti di un simile cambiamento. Ne fanno parte, tra gli altri, i consumatori che acquistano prodotti equi e solidali o alimenti biologici. Quelli che cercano mobili in legno naturale o vernici prive di solventi dannosi. Quelli che si sono comprati la bicicletta, il motorino elettrico o che si sono iscritti al car sharing. Sono pochi, ma fanno tendenza! Saranno sempre di più in futuro. Perché le scelte che fanno sono funzionali a migliorare la qualità della vita propria e delle future generazioni. Sono consumatori esigenti, consapevoli che non si difenderà il proprio mondo rovinando quello degli altri. Il cambiamento auspicato è anche necessario. Il nuovo rapporto sul clima e l’energia della Commissione europea si apre con “serve una rivoluzione”. Le rivoluzioni nascono anche dalla convinzione che indietro non si può tornare, che i cambiamenti nel mondo, nelle economie, nelle relazioni tra i paesi, nella natura, nel clima sempre più incerto, ci impongono di abbracciare nuove abitudini e nuove convinzioni.
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DIARIO
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A piccoli passi per trovare una via d’uscita >56 L’economia della diaspora >62 Farmaci ai poveri del mondo: un obiettivo ancora lontano >64
internazionale IL FIUME PIÙ LUNGO DELLA CINA È ANCHE IL PIÙ MALATO
INAUGURATA PELAGOS LA PRIMA AREA PROTETTA D’ALTO MARE NEL MEDITERRANEO
AMNESTY INTERNATIONAL: CHIUDETE GUANTANAMO I
WINSCONSIN, STAMINALI LIBERE DAL BREVETTO
PIGMEI VITTIME DI UN GENOCIDIO CULTURALE
PARTE LA CAMPAGNA “L’AFRICA NON È IN VENDITA” CONTRO L’APERTURA DEI MERCATI DELLE EX COLONIE
Lo Yangtze è malato e forse senza speranze. Secondo un rapporto dell’Istituto geografico di Nanjing , il più lungo fiume cinese ha un decimo dei suoi 6.200 km inquinati in modo quasi irreversibile. E lo stesso discorso vale per il 30 per cento dei maggiori affluenti del fiume. Secondo i ricercatori, ogni anno vengono gettati nel fiume circa 14 miliardi di tonnellate di rifiuti, una situazione che ha gravemente compromesso l’ecosistema acquatico. Nel fiume sono presenti in grande quantità pesticidi, fertilizzanti, scarichi delle grandi navi passeggeri. Il dato del pescato lascia pochi dubbi: la produzione annua di pesce e altre specie pescate dal fiume è scesa dalle 427.000 tonnellate degli anni Cinquanta alle 100.000 degli anni Novanta. Anche il grande bacino creato dalla gigantesca diga delle tre gole è ormai pesantemente inquinato. Lo Yangtze fornisce acqua a quasi 200 città lungo il suo corso e rappresenta il 35 % delle riserve totali di acque dolci del paese asiatico. Pechino ha detto di voler varare leggi per evitare l’inquinamento del fiume, ma correre ai ripari potrebbe essere già troppo tardi.
Dopo sette anni dalla sua istituzione è stato inaugurato Pelagos il santuario dei cetacei del Mediterraneo, la prima area d’alto mare protetta. La sua sede ufficiale sarà a Genova, presso il Palazzo Ducale. L’idea di preservare quest’area nel bacino corso-liguro-provenzale è stata promossa dall’ong Tethys Institute fin dal 1991; nel 1998 il governo italiano approvò la richiesta dell’istituzione di un’area di alto mare per la tutela della biodiversità e dei cetacei e la inviò ai governi di Francia e Principato di Monaco. L’accordo internazionale fu poi firmato dai tre stati nel 1999. Nel 2001 venne emessa la legge di ratifica ed esecuzione dell’accordo, in vigore dal febbraio del 2002. Uno studio condotto dai ricercatori dell’istituto Tethys e dal comitato tecnico scientifico di Pelagos, rivela che oltre l’80 per cento delle collisioni con la Balenottera comune avvengono proprio nelle acque del Santuario. In Spagna, poiché hanno lo stesso problema, hanno imposto il rallentamento dei traghetti super veloci che attraversano lo stretto di Gibilterra da nord a sud, fino a una velocità massima di 13 nodi. Ci sono però non pochi problemi da risolvere. L’area si trova in acque internazionali e quindi le leggi emanate per preservare l’area dovrebbero essere prese di concerto dai tre stati membri, che devono tener conto delle indicazioni internazionali. Perché il santuario si traduca in una reale area protetta occorre che i tre stati agiscano in armonia e si coordino sulle prescrizioni da attuare.
Nuova denuncia e nuovo appello di Amnesty International per le condizioni di detenzione a Guantanamo. I prigionieri rimangono reclusi per 22 ore al giorno in gabbie buie e metalliche in completo isolamento. La grande maggioranza dei prigionieri è detenuta in palese violazione degli standard internazionali sul trattamento umano. Ragioni più che sufficienti, secondo l’organizzazione per i diritti umani, per chiederne la chiusura. Sono 385 le persone recluse a Guantánamo e stanno per un buon 80 per cento in isolamento. A dicembre è stata aperta la nuova struttura “Campo 6” dove il Pentagono avrebbe trasferito 165detenuti, in condizioni ancora più dure. Le celle non hanno finestre, sono senza luce e aria naturale. I detenuti non possono svolgere nessuna attività, sono sottoposti a illuminazione costante, 24 ore su 24, e sorvegliati ininterrottamente. Possono svolgere esercizio fisico uno per volta, in un cortile circondato da alte mura perimetrali che lasciano filtrare poca luce naturale. Spesso, portati fuori dalle celle di notte, non vedono la luce del sole per vari giorni.
La protesta dei consumatori e degli scienziati, secondo cui sarebbe soffocata la ricerca attraverso il controllo commerciale delle cellule staminali, è stata accolta. L’ufficio marchi e brevetti (Pto) americano ha infatti revocato i brevetti di fondamentali cellule staminali embrionali umane (ESCs), rigettando tutte e tre le richieste di brevetti rilasciati dal Warf (Wisconsin Alumni Research Foundation). I responsabili del Pto hanno preso questa decisione perché sono giunti alla conclusione che le cellule studiate nell’università del Wisconsin sembrano identiche alle cellule descritte in precedenti brevetti già rilasciati. Un giorno importante per il mondo della ricerca sia in termini scientifici che economici. Le prime cellule staminali umane coltivate all’università del Wisconsin risalgono al 1998. Da allora la Warf, che gestisce le proprietà intellettuali dell’università, ha fatto pagare tariffe molto care per concedere l’uso delle cellule del Wisconsin, una situazione che di fatto bloccava la ricerca. Secondo la comunità scientifica questa decisione del Pto è importante, perché aiuterà la ricerca sulle cellule staminali, perché libera dal rischio di infrangere un brevetto.
I pigmei, popolazione dell’Africa centrale, hanno lanciato un appello e un grido di aiuto «Siamo vittime di un genocidio culturale». È accaduto durante il primo Forum internazionale delle popolazioni autoctone delle foreste dell’Africa centrale, tenutosi in Congo e a cui hanno partecipato 200 tra rappresentanti delle popolazioni locali, delegati delle agenzie delle Nazioni Unite e di Ong internazionali. I pigmei vivono nelle foreste pluviali e si sostengono con la caccia, la pesca e la raccolta dei frutti della terra, in totale armonia con la natura. Sono stati spesso sfrattati dalle loro terre da parte dei governi dei paesi in cui vivono, i quali hanno ceduto la proprietà di ampie zone delle foreste alle industrie del legname, o perché hanno istituito parchi nazionali. Ai pigmei non sono garantiti i diritti di base, perché non viene loro riconosciuta la cittadinanza, proprio ciò che i circa 250 mila indigeni che vivono tra il Gabon, il Camerun, la Repubblica centrafricana, il Burundi, il Ruanda, la Repubblica democratica del Congo, l’Uganda e il Congo, rivendicano con forza, ovvero il diritto di vivere nella loro terra.
Si chiamano Epa e sono i nuovi accordi di partnership economica che Bruxelles vuole imporre alle ex colonie. L’Europa ha infatti avanzato una proposta commerciale alle ex colonie del cosiddetto gruppo Acp (Africa, Carabi, Pacifico), in base alla quale chiederebbe l’apertura degli ex-mercati coloniali alle esportazioni europee, eliminando le tasse e le quote che proteggono i deboli mercati dei paesi di quell’area. L’Unione Europea chiede dunque con insistenza che i Paesi in via di sviluppo aprano i loro mercati. L’esperienza degli ultimi anni però insegna che quando i prodotti europei sono arrivati sui mercati africani più deregolamentati hanno danneggiato le economie locali. Questo accade perché la gran parte delle esportazioni dei paesi Acp si concentra su pochi prodotti: cacao, pesce, zucchero, caffè e banane coprono più del 55% delle esportazioni. Questo ha comportato che negli ultimi 30 anni, le politiche di liberalizzazione abbiano ridotto dal 3,4 all’1% la partecipazione di questi paesi al commercio mondiale. Inoltre dai Paesi Acp partono generalmente beni non lavorati, che hanno poco valore aggiunto. Ad esempio solamente il 25% del cacao esportato ha subito una prima trasformazione locale. La maggior parte dei prodotti alimentari importati sono invece trasformati e quindi diretti concorrenti delle filiere di produzione di questi paesi. http://www.faircoop.it/epa07.htm
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ELISABETTA TRAMONTO
| internazionale | ELISABETTA TRAMONTO
| internazionale | Honduras |
A sinistra, il mercato a Santa Rosa di Copan. Sopra, José Aiala assaggiatore di caffé della Central de Cooperativas Cafetaleras de Honduras che valuta la qualità dei chicchi per l’esportazione. A destra, Caludia Isabela Argon, davanti al suo forno, cuoce i “totoposte”.
OLTRE LE APPARENZE
A piccoli passi per trovare una via d’uscita
MICROCREDITO e tassi di interesse: una questione delicata, oggetto di critica dai detrattori del modello. Il 3% mensile, applicato in molti Paesi poveri, corrisponde a oltre il 30% annuo. Altissimo, verrebbe da pensare. Ma bisogna conoscere i retroscena. Microcredito significa piccoli prestiti a molti clienti, che non potrebbero accedere a un credito in banca. Clienti da seguire passo passo. Il personale delle associazioni di microcredito fa loro visita quasi ogni giorno, con costi di gestione altissimi e ricavi, con prestiti così piccoli, bassissimi. Riducendo i tassi le organizzazioni non sopravviverebbero. Lo stesso vale per le istituzioni europee di microfinanza: costi gestionali altissimi e un ricavo molto basso su ogni credito, oltre agli interessi da pagare agli investitori. Una sfida per queste organizzazioni: sopravvivere senza gravare troppo sulle associazioni di microcredito e sui clienti.
Tasche vuote, fagioli nel piatto, caffè tutt’intorno e i coyotes alle calcagna. Un viaggio nel cuore del paese centramericano dove con pochi euro si possono fare grandi cose. Ma un prestito da solo non basta. LAUDIA ARGON HA 28 ANNI, abita con il marito e due figli, di 3 e 8 anni, in una casa malandata nei sobborghi di Santa Rosa de Copan, in Honduras. Per vivere prepara “totoposte”, crostini grandi come di Elisabetta Tramonto mandarini, tipici della zona. Passa ore a impastarli la sera e ore il giorno dopo a infornarli, rigirarli nel forno a legna e sfornarli, per poi venderli ad altre piccole imprenditrici, come Olivia, che, a sua volta, li rivende al mercato del paese. Claudia guadagna 5.000 lempiras al mese, circa 220 euro, che, insieme agli altri 220 che porta a casa il marito, devono bastare per tutte le spese. «Riusciamo a pagare il mutuo per la casa (130 euro al mese), luce e gas (30 euro), libri e quaderni per i bimbi, quando servono le medicine e naturalmente il cibo» racconta Claudia. Una voce, gli alimenti, che incide pochissimo sul portafogli. Il pasto tipico in Honduras è composto da una monotona ripetizione degli stessi economici ingredienti: fagioli, riso e tortillas (piccole piadine insipide di farina di granturco) e, come elemento a sorpresa, il piatto forte:
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uova strapazzate o formaggio? Altro, la maggioranza della popolazione, non può proprio permetterselo. Di carne, neanche a parlarne. «Qualche volta, quando gli affari vanno bene, riusciamo a mangiarla il sabato», spiega Claudia. Ma manca ancora una voce importante nel suo budget mensile: le 1.200 lempiras (52 euro) della rata del prestito.
Poco denaro, molta fiducia Certo, per comprare la legna e gli ingredienti per i totoposte, Claudia ha dovuto chiedere un prestito, piccolissimo, ma senza il quale non sarebbe riuscita a portare avanti la sua attività: 10.000 lempiras (430 euro), da restituire in 10 mesi, con un tasso di interesse del 3% mensile (vedi BOX ). A concederglielo una cooperativa di risparmio e credito made in Honduras, Comixmul, dedicata esclusivamente a sostenere attività imprenditoriali di donne, soprattutto senza marito. Le casse di Comixmul sono alimentate dai prestiti erogati da organizzazioni di microfinanza dei “Paesi ricchi”, come l’italiana Etimos, l’olandese Oikocredit o la francese Sidi, a tassi di interesse che al momento si aggirano,
prendendo come esempio Etimos, attorno all’8,50% annuo in euro, al 9-9,75% in dollari (vedi BOX ). A loro volta queste organizzazioni raccolgono fondi dai risparmiatori dei loro Paesi, che alla scadenza ricevono un interesse. Le istituzioni di microfinanza italiane o europee quindi non si rivolgono direttamente ai piccoli imprenditori sudamericani, che sono invece seguiti da organizzazioni locali. Le banche, invece, non ci pensano minimamente a concedere un credito, neanche per somme così piccole, a chi non mostri solide garanzie, una casa ad esempio. Peccato che la maggior parte di queste famiglie non possano neanche “garantire” un pasto ai propri figli, figuriamoci le garanzie chieste da un istituto di credito. Parliamo di Stati con tassi di disoccupazione al 30-40%, una povertà dilagante e una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Paesi come l’Honduras dove il 64% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno, in Guatemala siamo al 56%, in Perù al 54% (dati del Fondo Monetario Internazionale). Oppure la Bolivia dove il salario minimo è di 60 dollari al mese (50 euro), percepito, si stima, dal 40% dei lavoratori del Paese. In contesti del
LA CRESCITA DEL MICROCREDITO NEL MONDO ANNO
ISTITUZIONI DI MICROCREDITO
NUMERO DI CLIENTI
POVERI CHE HANNO BENEFICIATO DI UN MICROCREDITO
1997
618
13.478.797
7.600.000
1998
925
20.938.899
12.221.918
1999
1.065
23.555.689
13.779.872
2000
1.567
30.681.107
19.327.451
2001
2.186
54.932.235
26.878.332
2002
2.572
67.606.080
41.594.778
2003
2.931
80.868.343
54.785.433
2004
3.164
92.270.289
66.614.871
2005
3.133
113.261.390
81.949.036
genere 50, 100, 400 euro possono cambiare la vita di una famiglia, permettono di inventarsi un lavoro, di creare da soli la propria fonte di reddito, di avviare una micro-impresa. Questo è il microcredito, quell’idea semplice ma geniale che Mohammed Yunus mise in pratica per la prima volta 30 anni fa in Bangladesh e che l’anno scorso gli ha fatto meritare il Nobel per la pace. Prestare piccole somme al maggior numero di persone possibile. Il Microcredit Summit stima che siano più di 100 milioni i beneficiari di un microcredito in tutto il mondo, di cui 80 milioni tra le fasce più povere della popolazione (vedi TABELLA ). I prestiti in Centro-Sud America si aggirano tra 150 e 400 euro, ma possono arrivare anche a 2.000, se il cliente si dimostra affidabile e gli affari vanno bene. Possono essere individuali o collettivi, cioè concessi a un gruppo di persone, il “gruppo solidale”, dove ciascuno dovrà restituire la sua parte di debito e di interessi e, contemporaneamente, fare da garante per tutti gli altri. È una formula molto diffusa, una garanzia più morale che materiale, che però fa sì che il tasso di ritorno dei crediti sia altissimo. Juan Carlos, ad esempio, fa par|
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FONTE: MICROCREDIT SUMMIT CAMPAIGN REPORT 2006
Honduras, 2007
| internazionale | FONTE: ANNUAL REPORT 2006 DI ETIMOS
ELISABETTA TRAMONTO
| internazionale | EVOLUZIONE DEL PORTAFOGLIO CREDITI DI ETIMOS
16.202.753 12.789.468
7.590.025
8.337.276
2003
2004
3.968.427
FONTE: ANNUAL REPORT 2006 DI ETIMOS
2002
A sinistra, Olivia e sua figlia Clara, al mercato di Santa Rosa, vendono “totoposte”. Sopra, tre bambine al villaggio garifuno di Sambo Creek e le rovine Maya di Copan. Nella pagina a fianco, Marco Santori, presidente di Etimos.
2005
2006
PORTAFOGLIO CREDITI DI ETIMOS PER AREA GEOGRAFICA (2006)
AMERICA LATINA 49% AFRICA E M.ORIENTE 8% ASIA 21%
EUROPA 22%
La microfinanza in soccorso del duro mondo del caffè Se dai contesti “urbani” ci spostiamo nelle aree rurali dell’Honduras, lo scenario cambia, i problemi anche. Improvvisamente ci troviamo dall’altro capo di quella lunga catena che porta sugli scaffali dei nostri supermercati prodotti come caffè, zucchero o cioccolato. Sono alcune delle cosiddette “commodities”, materie prime prodotte solitamente nei Paesi poveri ed esportate nei Paesi ricchi. Quella che per noi è una semplice tazzina di caffè, per la popolazione honduregna è spesso l’unica fonte di reddito. In Honduras la vita di 112 mila famiglie circa, ol| 58 | valori |
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tre 600 mila persone, ruota attorno al caffè. Purtroppo dietro un bene così prezioso si nascondono enormi ingiustizie, da un lato, ed enormi interessi economici, dall’altro. Oltre la metà del mercato del caffè è controllato da cinque multinazionali: Nestlé, Kraft, Procter & Gamble, Sara Lee e Tchibo. Oxfam, una delle più importanti ong internazionali, dedicata soprattutto al commercio con il Sud del mondo, ha calcolato che Nestlè ricava almeno un quarto dei suoi profitti dal commercio del caffè. Intanto in Centro e Sud America i coltivatori sono sfruttati, sottopagati e spesso non possono neanche accedere a servizi di base come l’acqua, l’elettricità, l’assistenza sanitaria. La colpa è del meccanismo che regola il mercato delle commodities. Prendiamo ad esempio il caffè. Tra i chicchi raccolti in Honduras e il pacchetto che troviamo al supermercato, ci sono moltissimi passaggi che contribuiscono a comprimere il guadagno dei coltivatori, aumentando quello degli anelli intermedi della catena. Prima ancora di varcare la frontiera dell’Honduras, il caffè passa da 5 mani diverse. Ma l’elemento più grave è il modo in cui è fissato il prezzo da pagare al produttore. Esattamente come il petrolio, o le azioni, è stabilito in Borsa, a Londra e New York, a migliaia di chilometri da dove viene effettivamente coltivato il caffè. I produttori cioè non hanno nessuna voce in capitolo. È tutta una questione di comprare e vendere pezzi di carta che rappresentano partite di caffè, terreno ideale per la speculazione. A guadagnarci è chi gioca in Borsa e le multinazionali che commerciano caffè. A perderci i piccoli produttori che devono accettare impotenti il prezzo stabilito. Ma questo meccanismo può essere scardinato. Tra i diversi strumenti da usare c’è anche la microfinanza. È stato uno dei temi chiave affrontati in Honduras alla fine di marzo, durante Compartimos: una settimana di in-
31 MARZO 2007, LA CEIBA, HONDURAS. Una sala piena, un dibattito acceso, facce che annuiscono e bocche che borbottano contrariate. Non si può certo dire che l’assemblea dei soci di Etimos sia stata insipida. Sarà stato merito del sangue latinoamericano della maggioranza dei presenti, fatto sta che, sia durante l’assemblea, sia durante tutti i momenti di confronto che l’hanno preceduta, i soci honduregni o arrivati da tutto il Centro e Sud America, ma anche dallo Sri Lanka, dalla Costa d’Avorio e naturalmente dall’Italia, non hanno perso occasione per porre domande, obiettare, denunciare, proporre nuovi spunti di riflessione. Una settimana intensa quella che ha preceduto l’assemblea, un’occasione continua per toccare con mano la vita difficile nei Paesi poveri, per capire l’utilità vera del microcredito, per entrare in alcuni meccanismi come quello del mercato del caffè, che al di là dell’Oceano non si riescono a immaginare. Anche il presidente di Etimos Marco Santori sembrava colpito da tanta partecipazione dei soci…
«Sì, quest’anno mi sono ancor più reso conto di quanto Etimos, in realtà, sia i suoi i soci. Sono loro che hanno usato lo spirito cooperativo di Etimos per far germogliare delle esperienze».
Honduras, 2007
te di un gruppo solidale di tre persone. Abita a Sambo Creek, un villaggio sul mare, in Honduras. Per vivere fabbrica amache, circa tre al giorno. Acquista i rotoli di nylon colorato per costruirle nella città vicina, La Ceiba, dove poi le vende al mercato, a 300 lempiras l’una (13 euro). Alla fine del mese si ritrova in tasca dalle 6.000 alle 9.000 lempiras (126-390 euro) per pagare luce, gas, cibo, libri per i suoi due bimbi e restituire le rate del prestito di 5.000 lempiras (200 euro) ricevuto dall’istituzione di microcredito Wanigù. Un mese fa Juan Carlos ha avuto un incidente stradale ed è finito in ospedale. Un mese di guadagni in meno e 3.000 lempiras (130 euro) al giorno di medicine da pagare. In Honduras il sistema sanitario è a pagamento, gli ospedali pubblici ci sarebbero, ma bisogna aspettare mesi o anni per un ricovero. La copertura assicurativa invece è riservata ai dipendenti pubblici o di imprese private. E il debito? A pagare la sua parte ci hanno pensato gli altri due membri del gruppo solidale. Nei prossimi mesi Juan Carlos dovrà restituire loro il favore.
TEMPO DI BILANCI PER ETIMOS
Anche voi di Etimos e, in generale le organizzazioni che intervengono nei Paesi poveri, fate la vostra parte… contri e di confronto tra i soci di Etimos, in occasione dell’assemblea annuale del consorzio di microfinanza per il Sud del mondo (vedi BOX ). Oltre ai finanziamenti alle organizzazioni di microcredito locali, distribuiti poi, sotto forma di piccoli prestiti, ad imprenditori, artigiani e commercianti, le organizzazioni europee possono anche scegliere di finanziare direttamente le cooperative di produttori, un aiuto fondamentale per impedire che cadano nella rete delle multinazionali e degli intermediari. La produzione di caffè infatti necessita di elevati capitali in un periodo molto ridotto. Il momento clou è la cosecha, la raccolta. Nell’arco di tre, quattro mesi, tra dicembre e marzo, si gioca tutto. Il caffè maturo deve essere raccolto, “sbucciato” e fatto seccare rapidamente, altrimenti è da buttare. I proprietari dei campi hanno bisogno di molta manodopera. Nei mesi della raccolta lavorano tutti i membri delle famiglie, anche donne e bambini. Ogni famiglia può guadagnare 350 euro al mese, che per molti è l’unica entrata di tutto l’anno: 1.400 euro, nella migliore delle ipotesi, che devono bastare per 12 mesi per famiglie con 4, 8, 10 figli. È in questo momento delicato che entrano in azione gli intermediari, i coyotes, come li chiamano in America centrale. I piccoli proprietari della piantagione di caffè, infatti, vedranno i primi guadagni solo dopo due, tre mesi, quando il caffè sarà stato venduto. I lavoratori, però, pretendono di essere pagati subito, alla fine di ogni settimana. Dove trovare i soldi? Nessun problema, ci pensano i coyotes, con una proposta “molto interessante”: acquistare la partita di caffè con pagamento anticipato, a un prezzo anche dimezzato rispetto a quello di mercato. «A volte non abbiamo alternative, piuttosto che perdere la manodopera, fondamentale durante la raccolta, ci conviene accettare un prezzo più basso pur di avere i soldi su-
«Certo, anche se le solite parole che si usano come “impatto sociale”, “sviluppo locale”, “lotta alla povertà”, risultano inadeguate. Mi piacerebbe che si riuscisse a superare il concetto di rapporto Nord-Sud e pensare invece a un dialogo tra due parti che vogliono collaborare per crescere entrambe». Ma il micro-credito ha ancora un’utilità?
«Credo che l’idea che trasmette il microcredito per cui non occorrono grandi patrimoni per sviluppare processi di cambiamento locale, sia fondamentale. Ma penso si debba superare il metodo microcredito per pensare a nuovi strumenti finanziari che cerchino di sviluppare economie locali, valorizzando le peculiarità di alcuni luoghi, comunità, realtà». E che ruolo ha e avrà il commercio equo?
«Resta uno straordinario strumento di giustizia nei rapporti Nord-Sud. Siamo abituati a misurarne i risultati qui. Ma la vera rivoluzione è avvenuta nei Paesi poveri, dove ho visto i produttori evolversi a ritmi incredibili: sanno consultare la Borsa telematica, scrivere contratti internazionali, gestire futures. La filiera dei consumatori, organizzata in botteghe e centrali di importazione, non è cresciuta alla stessa velocità. Questa è la nostra sfida oggi, recuperare il tempo perso.».
volte non abbiamo “ Aalternative: piuttosto che perdere la manodopera accettiamo un prezzo più basso dai coyotes |
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RIVINCITA ROSA
bito», ammette Maria Ercilia Rivera, presidente della cooperativa di cafetaleros Cocaol. È in questo momento che è fondamentale l’intervento delle istituzioni di microfinanza, che concedono prestiti alle cooperative di produttori di caffè perché possano prefinanziare i piccoli proprietari delle piantagioni, che a loro volta pagheranno i raccoglitori di caffè. Dopo un paio di mesi, una volta venduto il caffè, le cooperative potranno estinguere il debito. Etimos dedica una fetta consistente dei propri finanziamenti proprio alle cooperative di produttori. La garanzia richiesta sono i contratti di vendita del caffè firmati con gli acquirenti europei.
Non solo credito Ma un prestito non è certo la soluzione a tutti i problemi del Sud del mondo. I microcrediti e i prefinanziamenti ai produttori di caffè sono solo un punto di partenza. Chi riceve il finanziamento deve essere seguito, formato, accompagnato nell’organizzazione del lavoro. «Non ci limitiamo a prestare denaro alle nostre socie, ma ci dedichiamo alla loro educazione - spiega Olivia Castellanos, presidente della giunta direttiva di Comixmul - Devono imparare a gestire i soldi che si trovano in mano, migliorare la qualità del loro lavoro e dei prodotti». Per quanto riguarda invece le trappole e le ingiustizie del mondo del
caffè, le possibili vie d’uscita sono molte. Un ruolo importante, ma, purtroppo, quantitativamente limitato, è giocato dal circuito del commercio equo e solidale, che da un lato accorcia la catena dal produttore al consumatore, facendo crescere la fetta di guadagno dei coltivatori, dall’altro fissa periodicamente un prezzo, considerato equo, per i prodotti venduti nelle botteghe del mondo, ad esempio il caffè, che quindi non è più in balia degli alti e bassi della borsa. Ma il commercio equo copre una nicchia piccolissima del mercato internazionale, circa l’1%, insufficiente a creare un impatto degno di nota. Un’altra strada è la produzione di caffè biologico, che garantisce ai produttori un prezzo superiore a quello del caffè tradizionale anche di un 30%. Ma trasformare le colture da tradizionali a bio e ottenere la certificazione comporta costi che pochi produttori possono permettersi. Oxfam insieme a molti operatori del mondo del caffè da tempo chiede che venga ripristinato una sorta di Opec del caffè. «È fondamentale però modificare la mentalità e il modo di produrre dei cafetaleros», spiega Hugo Valdés (vedi INTERVISTA ) di Sin Fronteras un’associazione che raggruppa produttori del Sud e del Nord del mondo «Per ridurre i rischi è necessario diversificare la produzione, aggiungendo al caffè altre colture, frutta, ortaggi. Bisogna portare la torrefazione nei paesi dove il caffè viene prodotto. E i produttori devono unirsi per aumentare il proprio potere di mercato».
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Cafetaleros contro coyotes una battaglia da vincere
DONNA CRISTINA È UNA FORZA DELLA NATURA. Seduta alla macchina da cucire con il suo vestito vivace a quadretti rossi, gli occhi neri, sorridenti che ti scrutano da dietro le lenti degli occhiali. Un pezzo di africa trapiantato in Honduras. Con la voce roca parla con orgoglio della sua comunità, i Garifuni, un’etnia africana. Arrivati in Honduras ai primi del ‘700, hanno creato 45 villaggi, tutti sul mare, mantenendo le loro tradizioni, la musica, la cucina, la lingua. Cristina vive a Sambo Creek: case dai colori sgargianti, da cui escono musiche ad alto volume, per lo più reggae. Donna Cristina (nella foto) parla del gruppo di danze africane che coordina, della sua attività di sarta, del prestito di 5.000 lempiras (220 euro) che ha ricevuto dall’organizzazione di microcredito Wanigu. È preparatissima su tutte le questioni contabili, le rate, gli interessi. Altro che sesso debole. Sarà una reazione ad anni di discriminazione, ma le donne honduregne oggi appaiono tutt’altro che fragili. Le differenze di trattamento esistono ancora in un Paese in cui casi di donne sole con figli o maltrattate o sottomesse all’interno della famiglia sono all’ordine del giorno. «Ma la situazione sta cambiando, stiamo acquisendo sempre più consapevolezza e più potere», afferma con orgoglio Francisca Lopez, qui la chiamano tutti “Panchita”, venti anni fa ha fondato con altre 11 donne la cooperativa di risparmio e credito Comixmul, nata per aiutare le madri sole. Oggi concede microcrediti a 12 mila clienti, esclusivamente donne. Il microcredito sembra essere uno strumento particolarmente utile e utilizzato dal mondo femminile. Dai dati del Microcredit Summit emerge che l’84% dei 113 milioni di persone al mondo che stanno beneficiando di un microcredito sono donne, ben 69 milioni. «Se per un uomo è difficile ricevere un prestito da una banca, per una donna è impossibile –
spiega Panchita – ma è solo una forma di discriminazione ingiustificata. Nei nostri vent’anni di esperienza abbiamo confermato che le donne sono molto più affidabili e puntuali degli uomini nei pagamenti. Il microcredito è l’unico modo per una donna di riprendere il controllo della sua vita, di essere autosufficiente». Lo dimostra la storia di Gladis. È sola e ha tre figli. Con un prestito di 7000 lempiras (300 euro) da Comixmul, ha avviato un negozio di vestiti con cui mantiene da sola la famiglia. Ma anche la storia di Sara che riesce a mantenere da sola i suoi 5 figli, vendendo tortillas o di Alma Luz che commercia latticini, entrambe con un prestito di 7.000 lempiras per un anno. «Ma il risultato più importante che il microcredito ha portato a queste donne è la fiducia in loro stesse», commenta Rosina Valverde Delgado, responsabile della ong di microcredito peruviana Mide e consigliera di Etimos. Lavora con le donne campesine della zona andina del Sud-Est del Perù. Appartengono all’etnia quechua, eredi degli Inca, sono analfabete, sottomesse al marito e spesso maltrattate. «Grazie a un microcredito, a volte davvero piccolissimo, e a una grande attività di assistenza e formazione le aiutiamo a tirare fuori la loro creatività e a ritrovare la fiducia in loro stesse – conclude Rosina Valverde – A volte anche 10 euro di prestito bastano a iniziare un’attività e una nuova vita».
Diversificare la produzione, allearsi, creare reti di vendita. Hugo Valdes è convinto che si possa spezzare lo sfruttamento dei produttori di caffè, cacao e di tutte le materie prime che viaggiano dal Sud al Nord del mondo. Ma la strada è ancora lunga.
“U
N CAFFÈ PER FAVORE”. Una frase che milioni di italiani dico-
no ogni mattina entrando in un bar. Una tazzina di caffè, un cucchiaino di zucchero e, magari, un cioccolatino appoggiato dal cameriere sul piattino. Che cos’hanno in comune questi ingredienti? Sono di Elisabetta Tramonto commodities, cioè quei prodotti, solitamente di origine coloniale, che arrivano dal Sud del mondo, Africa e America Latina, al Nord. Sono tra le principali voci dell’economia dei Paesi latinoamericani o africani. Ma hanno un trattamento tutto particolare. «I prezzi, del caffè per esempio, sono decisi in borsa, come fossero azioni, senza che il produttore abbia voce in capitolo. Risultato i coltivatori di caffè vivono in condizioni di povertà estrema, mentre le multinazionali che lo commercializHugo Valdes zano si arricchiscono sempre più. In più sono trattate comembro me merci omogenee, come se non ci fossero differenze tra dell’associazione di cooperative Sin le diverse qualità di caffè. Perché non si vende indiscriFronteras che unisce minatamente Barolo, Cabernet o Sangiovese, senza alcui produttori del Sud e Nord del mondo. na etichetta?», domanda provocatoriamente Hugo Valdés. È membro dell’associazione di cooperative Sin Fronteras, che unisce produttori del Sud e del Nord del mondo per creare un mercato più trasparente e giusto, in particolare nel settore delle commodities. Come si possono evitare le conseguenze negative del meccanismo che regola le commodities?
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I produttori devono sottrarsi a questo meccanismo, riducendo la dipendenza da un unico prodotto. La maggior parte dei coltivatori di caffè sono convinti che aumentare la produzione significhi guadagnare di più. Invece è il contrario. Il modo migliore per evitare di essere in balia degli alti e bassi della borsa del caffè, è produrne meno. Negli stessi terreni possono crescere ortaggi, piante da frutta, che rendono molto di più del caffè e in modo sicuro. Ma come si può evitare di cadere nella rete degli intermediari? Cercando di non avere bisogno di loro: diversificando la produzione e stabilendo relazioni di lungo periodo con clienti e soci. Il commercio equo e solidale contribusce a contrastare la speculazione del mercato del caffè? Non dico che sia inutile, ma non basta. Il fatto in sé di ricevere un prezzo più alto non cambia la situazione dei produttori. Il denaro da solo non genera sviluppo. L’importante è che quel guadagno extra sia reinvestito nello sviluppo dell’impresa e del mercato locale. Inoltre il meccanismo del commercio equo non comunica dei messaggi importanti: non fa capire l’importanza di trasformare il caffè in loco e non mandarlo alle torrefazioni in Europa. E lascia intendere che se il caffè si può vendere a un buon
prezzo conviene produrlo. Invece la dipendenza da una sola coltura, in balia delle condizioni climatiche e della speculazione, è un rischio enorme. Quanto pesa la crescita e l’autosufficienza dei piccoli produttori? I piccoli produttori per essere competitivi devono strutturarsi e crescere, aumentando la terra coltivata e creando alleanze forti. Solo così possono proporsi alla grande distribuzione con un’offerta all’altezza. Se Carrefour volesse aumentare l’assortimento di miele nei suoi supermercati, penserebbe a coprire la domanda del mercato italiano, francese, spagnolo e portoghese, con una sola offerta. Quale piccolo produttore o cooperativa potrebbe competere? Che cosa fa concretamente Sin Fronteras per raggiungere questi scopi? In Costa Rica abbiamo creato un’impresa per vendere prodotti biologici sul mercato locale, in tre catene di supermercati. Per completare l’offerta, abbiamo stabilito un’alleanza con le italiane Conapi e Alce Nero e abbiamo iniziato a importare dall’Italia pasta, olio, aceto balsamico e miele. Qual è il ruolo del microcredito in questo? È molto importante. Solo con una buona base finanziaria
un produttore può pensare al lungo termine. Lo stesso vale per le cooperative. Devono assorbire tutta la produzione di caffè dei soci e collocarla sul mercato, che comporta lavorazione, infrastrutture, parte commerciale. Che cosa può fare in più un istituzione di microfinanza come Etimos per aiutare i produttori? Lavorare con loro, predisporre una pianificazione strategica a 3, 4, 5 anni. Potrebbe creare un’impresa di importazione, che faccia arrivare i prodotti dal Sud America e li venda in Italia e in Europa, per poi investire i profitti nello sviluppo del mercato locale dei Paesi poveri. Di strada da fare ce n’è ancora molta… Ma non bisogna avere fretta, solo fare tutto il possibile per favorire uno sviluppo che poi seguirà i suoi tempi. Le racconto un aneddoto. Un indios prese in affitto una macchina, un modello molto veloce, con un autista che doveva portarlo in una città vicina. A un certo punto l’indios chiese all’autista di fermarsi, scese dalla macchina e rimase immobile, assorto. “Possiamo andare signore?” chiese l’autista dopo un po’. “Non ancora” rispose l’indios. Rimasero così a lungo. “Signore ma perché non ripartiamo” chiese alla fine l’autista. “Siamo andati talmente veloci che la mia anima è rimasta indietro, sto aspettando che mi raggiunga”.
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HONDURAS Sette milioni di abitanti in 112.000 km quadrati (1/3 dell’Italia). L’economia si basa sulle esportazioni di banane e caffè, con una forte dipendenza dagli Usa. Nonostante una crescita del 5%, è tra gli Stati più poveri del Centro America: il 64% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno (dati Fmi). «Ci sono due mondi: pochi ricchi che frequentano scuole private e si curano nelle cliniche statunitensi e molti poveri che non hanno nemmeno i servizi basici», racconta Daniela Luppi, responsabile finanziaria di Etimos, da 6 mesi in Honduras. «Il denaro c’è, soprattutto per le rimesse degli immigrati, ma non è investito».
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L’economia della diaspora
MASSIMO SCIACCA / CONTRASTO
| internazionale | Filippine |
L’ERA ARROYO
GLORIA MACAPAGAL ARROYO, che ha resistito a un tentativo di destituzione nel 2005, ha puntato negli ultimi due anni alla ripresa economica per poter restare al potere. La politica economica nel 2006 si è basata soprattutto sull’abbassamento del costo del debito, che rischia di allontanare gli investitori e di gettare il paese in una nuova crisi. Il successo è affidato soprattutto alle sorti di Napocor, la società elettrica pubblica che finora ha portato in rosso le casse dello Stato. Manila punta alla privatizzazione di alcuni settori dei servizi legati alla Napocor.
Sotto il segno degli Stati Uniti: questa è stata la storia del paese asiatico. Ma i tempi sono cambiati: la Casa
Bianca ha dovuto chiudere nel 2000 le più grandi basi militari statunitensi all’estero per i costi sempre crescenti delle guerre in Irak e Afghanistan. E la Arroyo si è affidata sempre di più alle gerarchie militari invece di affrontare i drammi della povertà. OTTO IL SEGNO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA. In questo modo si può sintetizzare la storia recente delle Filippine, trascorsa sotto la pressante influenza americana. L’appoggio più compromettente da parte di Washington risale alla dittatura di Ferdinando Marcos, caduto nel 1986, ma non prima di aver saccheggiato all’economia nazionale tra i 5 e i 10 miliardi di dollari stornati su conti esteri. Solo di fronte a questa evidi Cristina Artoni dente corruzione il presidente Ronald Reagan scaricò Marcos. Ora i tempi sono cambiati. La Casa Bianca ha dovuto chiudere nel 2000 nelle Filippine le più grandi basi militari che abbia mai avuto all’estero, e guarda con maggior discrezione alla politica interna dell’arcipelago. Il compito di dare stabilità ad una democrazia sempre vacillante è nelle mani di Gloria Macapagal-Arroyo, che fino ad ora non sembra essere stata in grado di condurre il paese alla svolta tanto attesa. Lo scorso anno, la presidente, ha proclamato lo stato d’emergenza ed ha proposto una modifica della Costituzione per trasformare il regime presidenziale in Parlamentare a camera unica. Da una parte la Arroyo ha ammesso i timori di una possibile svolta autoritaria per mano dei militari, ma dall’altra si è attirata le critiche dell’opposizione per LA CARTA DELLA SICUREZZA aver dato maggior potere ai dirigenti politici attualmente in carica. TEMA ORMAI CARO IN OGNI CAMPAGNA dell’arcipelago filippino. Nella stessa zona Mosse azzardate che si inscrivono in una democrazia debole, seELETTORALE CHE SI RISPETTI, anche nelle è presente anche il gruppo Abou Sayyaf, gnata ancor più da un’economia nazionale lacunosa e senza sbocFilippine la questione della sicurezza, è stato affiliato alla rete terroristica di Al Qaida chi lavorativi. Un dramma sociale che ha spinto dieci milioni di fiuno degli argomenti maggiormenti dibattuti e che mantiene come punto di riferimento nel corso dei mesi che hanno preceduto l’isola di Jolo, nell’estremo sud del paese. lippini a lasciare il paese e a trasferirsi all’estero per sostenere la fale elezioni generali. La carta l’ha giocata Ma è storicamente il movimento miglia a distanza. Le Filippine sono il terzo paese nella classifica per prima la presidente Gloria Macapagaldi guerriglia di impronta comunista Arroyo, che ha puntato tutto, nel nome a preoccupare il governo e l’esercito. mondiale per emigrazione, dopo il Messico e l’India. Secondo uno della stabilità del paese, nella lotta contro Il New People’s Army dal 1969 ha lanciato studio della Banca per lo sviluppo asiatico si stima che nel 2003 i file diverse guerriglie. Ma gli elementi la “guerra del popolo” contro il potere lippini che vivevano all’estero hanno inviato nel paese d’origine di fragilità, malgrado qualche passo avanti, centrale e con un certo successo è riuscito permangono. Tanto che nelle Filippine a raccogliere tra le proprie fila 40 mila 6,2 miliardi di euro, ossia il 10,5% del PIL filippino e equivalente al i movimenti ribelli cominciano ad assumere membri, ex soldati fuoriusciti dall’esercito 20% delle esportazioni. la forma di realtà permanenti. Tra queste e civili. Malgrado il crollo del Muro di Berlino, Nel 1999 il totale dei versamenti si limitava a 36 milioni di euro, il Fronte islamico di liberazione Moro (MILF) l’NPA è sopravissuto. con cui però sono in corso i negoziati di pace La realtà che segna il paese è drammatica: una cifra cinque volte meno rispetto al 2003. I versamenti dei lavoche potrebbero anche sfociare in un accordo. povertà, corruzione e disoccupazione. ratori filippini all’estero (Overseas Filipino Workers, OFW) si sono Rimangono attivi invece la guerriglia Circa il 40% degli 87 milioni di filippini vivono New People’s Army (NPA) legata al partito con meno di due dollari al giorno e in migliaia poi rivelati nel corso degli anni come il principale toccasana per l’ecomunista filippino e soprattutto il gruppo sono stati costretti ad emigrare all’estero per conomia filippina: il paese si è risollevato dalla crisi asiatica del 1997 terrorista Abou Sayyaf, anche se recentemente riuscire a sopravvivere. La presidente Arroyo, e queste entrate rappresentano il 45% delle riserve finanziarie interha perso due alti dirigenti. L’area rieletta nel maggio del 2004, per un mandato politicamente più calda e instabile rimane di sei anni, aveva dichiarato che la priorità del nazionali. Dal punto di vista sociologico questo fenomeno ha anche il sud del paese, dove si concentrano i gruppi suo esecutivo sarebbe stata di “lottare contro un costo molto oneroso: famiglie con un unico genitore, sindrome armati che ingaggiano scontri con le forze povertà, disoccupazione e intavolare negoziati governative. È qui che hanno la base con la guerriglia separatista musulmana e dei di dipendenza in alcune comunità rurali, tendenza a consumare bedi appoggio gli indipendentisti musulmani, ribelli comunisti”. La Arroyo si è affidata alla ni di prima necessità piuttosto che investire in attività produttive. che in parte agiscono nelle fila del MILF. gerarchia militare, di cui ha disperatamente Emerge poi un altro elemento che riconduce strettamente alla poliIl gruppo è stabile a Mindanao, l’isola a sud bisogno per rimanere in sella. tica, ma che potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso. Molto spesso
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Commemorazione dei veterani filippini della base Usa di Clark, chiusa nel 1991 dopo l’eruzione del Pinatubo.
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corso nel paese di origine. La dimostrazione, ad coloro che partono, oltre ad essere tra i più motivati soFILIPPINE esempio, è arrivata con le iscrizioni al voto per le no anche i lavoratori più qualificati. Le cifre sono imPopolazione: consultazioni elettorali. pressionanti, soprattutto per quello che riguarda alcuni 89 milioni Nelle elezioni del 2004 dei filippini espatriati si settori, come la sanità. Negli Stati Uniti, nel 2001 erano Principali città: Manila (13,4 milioni sono iscritti alle liste solo 368 mila su un milione e state aperte le porte per 2400 infermiere appena diplodi abitanti); Quezon City 700 mila degli aventi diritto. mate nelle scuole filippine. Nel giugno del 2005 il nu(2,1 milioni); Davao In questo quadro politico non può non essere conmero è lievitato a 18 mila. Complessivamente in dieci (1,1); Cebu (662.000) Speranza di vita: 70 anni siderata la presenza spesso incombente delle forze aranni sono 100 mila le infermiere che hanno lasciato le Alfabetizzazione: 95,1% mate. Malgrado l’esercito non abbia mai avuto un ruoFilippine e in due anni nel paese asiatico sono state aperCrescita demografica annuale: 1,8% lo dirigente, il corpo degli ufficiali è diventato a tutti gli te un centinaio di scuole professionali. La rotta della Religioni: cattolici (85%) effetti una forza politica di rilievo. Il legame con il pomaggior parte del personale medico filippino si dirige protestanti (3%) tere si è rafforzato sotto la dittatura di Marcos, che poi verso gli Stati Uniti, creando un grave problema nel paemusulmani (6%) Popolazione sotto soglia diede all’esercito mano libera con la legge marziale del se di origine. Infatti il 10% degli ospedali filippini ha dodi povertà: 40% 1972. Per restare al “trono” Marcos accordò privilegi alvuto chiudere recentemente a causa della carenza di perTasso di disoccupazione: 7,9% le alte gerarchie che ancora difficilmente vengono messonale. Sono 164 mila le infermiere che lavorano all’eSviluppo economico se in discussione. La violenza politica non è fatta solo stero. Le filippine sono seconde solo all’India nell’esporannuale: 4,5% di tensione. Lo denuncia l’organismo di difesa dei ditazione di assistenti sanitarie verso l’Occidente, dove la Risorse principali: fosfati (primo estrattore ritti fondamentali Karapatan in un rapporto in cui si popolazione invecchia in maniera esponenziale. mondiale), carbone. precisa che dal 2001 gli omicidi a sfondo politico-soLa perdita di lavoratori di questa statura significa ciale sono stati 83. Almeno 70 delle vittime erano dei privarsi di quegli attori che potrebbero essere utili sia contadini o dei proprietari terrieri, deceduti nel corso di scontri leper l’economia ma anche per traghettare il paese verso il rinnovagati al lavoro agricolo; 18 erano sindacalisti o operai; 26 dei prigiomento. In passato i filippini residenti negli Stati Uniti hanno connieri politici musulmani ma non legati alla guerriglia e 24 erano tribuito ad abbattere la dittatura di Marcos. Ma ora la nuova genegiornalisti e attivisti dei diritti umani. razione degli OFW non sembrano essere interessati alle vicende in
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Farmaci ai poveri del mondo: un obiettivo ancora lontanto
Ndunde. Giovani pazienti aspettano il loro trattamento anti virale distribuito da MSF al centro sanitario. Nel grafico sotto, I paesi poveri assorbono una quota molto piccola del mercato farmaceutico mondiale. I dati si riferiscono ai guadagni delle industrie farmaceutiche nel 2004, che hanno raggiunto un totale di 518 miliardi di dollari.
Malawi, 2004
SENZA SOLDI NIENTE CURE
GIAPPONE 58 MLD$ 11,1%
ASIA AFRICA AUSTRALIA 40 MLD$ (7,7%) SUDAMERICA 19 MLD$ 3,8%
EU 144 MLD$ 27,8% NORD AMERICA 248 MLD$ 47,8%
Una speranza, affidata solo alle organizzazioni umanitarie: per le donne, i bambini e gli uomini del Ciad, Malawi
o Mozambico. La battaglia per mettere a disposizione dei Paesi poveri i farmaci essenziali è ben lontana dall’essere vinta. Secondo l’Unaids oltre 40 milioni di persone vivono con l’HIV\AIDS e spesso sono in una fase avanzata della malattia.
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Solo un milionetrecentomila persone affette dall’HIV/AIDS sono curate. Almeno altri 40 milioni non possono accedere alle costose cure | 64 | valori |
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nerico corrispondente, da vendere a basso costo rendendo vani gli investimenti di anni.
ultimi anni abbiamo assistito a una netta diminuzione del costo delle terapie antiretrovirali. Fino al 2000 il prezzo che si doveva pagare in un anno era di 10mila dollari perché esistevano solo i farmaci delle multinazionali. Il prezzo è sceso oggi a 150-200 dollari l’anno grazie all’immissione sul mercato dei generici indiani, che pur essendo di qualità certificata dall’OMS costano molto meno.
L’eterno problema dei brevetti
Carenza anche di operatori Spesso nei Paesi più poveri la diffusione delle terapie è ostacolata dalla forte carenza di operatori sanitari, soprattutto nelle zone rurali; le strutture sono fatiscenti, gli strumenti di diagnosi sono inadeguati. Una situazione drammatica che alimenta il problema: continua a salire il numero di bambini che nascono con l’Hiv a causa di insufficienti strategie e azioni di prevenzione della trasmissione madre-figlio. E se in qualche caso si riesce a garantire l’accesso ai farmaci di prima linea, è pressoché impossibile somministrare quelli di seconda, i farmaci di ultima generazione, per intenderci, non producibili a basso costo perché coperti da brevetto per vent’anni. Dove c’è una grande disponibilità di medicine, infatti, come il Brasile, gli Stati Uniti o l’Europa, si è visto che dopo alcuni anni di assunzione delle cure di prima linea, inevitabilmente insorgono resistenze o pesanti effetti collaterali. I malati devono passare quindi a un regime di seconda linea, con trattamenti nuovi e più efficaci, che però sono coperti dai brevetti, inventati per proteggere prodotti costati molto in fase di ricerca e sviluppo. Senza protezione, chiunque può appropriarsi della formulazione e produrre il farmaco ge-
La tutela della proprietà intellettuale è regolamentata dai Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) siglati nel 1996 dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). I Trips prevedevano l’introduzione dei brevetti sui farmaci da parte dei Paesi in via di sviluppo, come l’India, a partire dal 2005, mentre quelli più poveri dovranno farlo entro il 2016. Sulla carta, per garantire il diritto alle cure da parte di chi non può permettersi di sottostare alle regole della proprietà intellettuale, le norme del Wto consentono ai Paesi più svantaggiati di produrre farmaci a basso costo nonostante il brevetto non sia ancora scaduto. Si tratta delle cosiddette licenze obbligatorie, in base alle quali il governo di un Paese che si trova in una situazione d’emergenza impone la produzione di generici. “Di fatto è un meccanismo che finora non è mai stato utilizzato – dice Gianfranco De Maio, responsabile medico della sezione italiana di Medici Senza Frontiere – anche perché Paesi come il Malawi, dove il sistema produttivo, così come quello sanitario, è arretrato, non sono in grado di produrre farmaci da soli”. Sono le multinazionali del farmaco che tentano GUEORGUI PINKHASSOV / MAGNUM PHOTOS
RRIVANO ALL’OSPEDALE DI GOUNDI, nel Ciad meridionale, percorrendo anche 40-50 chilometri a piedi. Donne incinte sieropositive, che abitano in piccoli villaggi, circa 60, in una zona rurale tra le meno svidi Andrea Danese luppate al mondo. Per loro la speranza di cure, ma soprattutto la speranza che i loro figli nascano sani, dipende dall’assistenza delle organizzazioni umanitarie e dai farmaci a basso costo che arrivano dall’India. È uno dei tanti progetti, quello a cui partecipa Acra, Associazione di Cooperazione Rurale in Africa e America Latina, che tentano di rendere accessibili le terapie antiretrovirali per i più poveri del mondo. “Nell’arco di due anni – spiega Francesco Giulio Croce, del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano – ne beneficiano circa 2.500 persone, di cui 2000 donne incinte”. Iniziative come questa ne esistono molte nei Paesi del Terzo Mondo: in Malawi, ad esempio, o in Mozambico. Ma la battaglia per portare nei Paesi poveri i farmaci essenziali è ben lontana dall’essere vinta. Secondo i dati di Unaids, oltre 40 milioni di persone al mondo vivono con l’HIV/AIDS, molte delle quali si trovano in una fase avanzata della malattia e hanno un estremo bisogno di ricevere assistenza. Attualmente sono in cura solo un milione e 300 mila persone. Il prezzo dei medicinali continua ad essere un ostacolo, nonostante in questi
RESTO EUROPA 9 MLD$ (1,8%)
LOTTA ALL’AIDS, BOCCIATA BIG PHARMA SONO POCHE LE AZIENDE farmaceutiche che raggiungono la sufficienza nell’impegno per la lotta all’Aids e ad altre malattie dimenticate. A stilare una classifica è l’Interfaith Center on Corporate Responsibility (Iccr), una coalizione di 275 investitori responsabili, soprattutto di ispirazione religiosa, che gestiscono fondi per 110 miliardi di dollari. Il rapporto esamina quindici imprese produttrici e distributrici di farmaci: nove statunitensi, (Pfizer, Johnson & Johnson, Abbott, Merck, Bristol-Myers Squibb, Wyeth, Eli Lilly, Schering-Plough, Gilead
Sciences), due britanniche (GlaxoSmithKline e AstraZeneca), due svizzere (Novartis e Hoffmann-La Roche), una francese (Sanofi-Aventis) e una tedesca (Boehringer Ingelheim). A ciascuna azienda viene dato un voto, da 1 a 5, su dodici materie, che vanno dalla produzione di farmaci “tre in uno” contro l’HIV, alla formulazione delle dosi per i bambini, alla ricerca sulle malattie dimenticate. La pagella di Iccr su Big Pharma parla chiaro: in pochissimi casi la media dei voti di tutte le aziende su ciascuna categoria raggiunge la sufficienza.
La materia in cui vanno peggio è quella dei brevetti, che fa segnare un misero 1,6. Scarso anche il risultato (2,9) sulla produzione di antiretrovirali con le “combinazioni in dose fissa”, cioè i tre principi attivi in un’unica pillola che facilitano la somministrazione nelle zone più povere del mondo. Sul fronte della differenziazione dei prezzi dei medicinali in base ai Paesi in cui vengono venduti, le cose vanno un po’ meglio (3,9). Se si considera il punteggio complessivo di tutte le aziende su tutte le materie, invece, il giudizio è impietoso: 2,7.
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di ostacolare ad ogni costo questa pratica. La loro preoccupazione è che i farmaci prodotti in questo modo possano rientrare nei mercati occidentali. Gli accordi, però, prevedono che i Paesi a reddito più basso, quelli che ancora non hanno firmato i Trips, possano acquistare i farmaci laddove costano meno. “Fare shopping in India è un modo oggi molto diffuso per garantire l’accesso ai medicinali per molte popolazioni – continua Gianfranco De Maio –. La fortu-
na è che l’India, pur avendo già aderito alle regole del Wto, ha una legislazione molto flessibile in materia di brevetti. Un sistema che alcune multinazionali del farmaco definiscono ‘legge truffa’. Secondo noi la legge indiana contiene alcuni elementi importanti che consentono un equilibrio tra brevetti e diritti dei pazienti. L’industria farmaceutica indiana, ad esempio, può opporsi alla deposizione di un brevetto. E in attesa di un pronunciamento della corte, può cominciare a
produrre il farmaco generico corrispondente”. Molte case farmaceutiche, comunque, non sono disposte tanto facilmente a rinunciare ai loro guadagni. Un caso emblematico è rappresentato da Novartis, che ha presentato ricorso, in discussione all’alta corte di Madras, contro la legge indiana sulla proprietà intellettuale, dopo aver incassato all’inizio del 2006 il rifiuto a brevettare un farmaco usato nelle terapie contro il cancro. La normativa dell’India, infatti, non im-
pedisce alle industrie di apportare modifiche, ma non riconosce le modifiche banali come motivazione per concedere un nuovo brevetto su un farmaco già esistente, ottenendo un’ulteriore copertura ventennale per medicinali che non portano alcuna novità. Se il colosso farmaceutico svizzero vincesse la causa, si creerebbe un pericoloso precedente che metterebbe a rischio la salute di milioni di malati che vivono nei Paesi poveri.
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Sviluppare nuovi farmaci per malattie dimenticate Patologie che colpiscono i paesi poveri. La cura non è redditizia e la ricerca si ferma. Ma oggi ci sono delle alternative: RIPANOSOMIASI AFRICANA UMANA, meglio conosciuta come malattia del sonno; ulcera di Buruli, dengue e, ancora, Kala-azar. Malattie poco conosciute, che molti di noi non hanno neppure sentito nominare. Sono solo alcuni esempi di patologie che nei Paesi occidentali sono di A. D. scomparse da tempo o che non sono mai esistite, ma che altrove colpiscono, ogni anno, centinaia di migliaia di persone. Per molte non ci sono cure o in alcuni casi i farmaci sono antiquati. Curare il Kala-azar, ad esempio, significa somministrare la stessa terapia che si usava negli anni ‘30, a base di antimonio, un composto altamente tossico che necessita di praticare iniezioni per le quattro settimane di trattamento. Una circostanza di per sé difficile per un Paese in cui il sistema sanitario è sottosviluppato, le strutture sono poche e fatiscenti, e il personale, quando c’è, non ha una formazione adeguata. Per curare queste malattie la sfida non è solo quella di produrre farmaci a basso costo. Spesso i farmaci non esistono, perché non è mai stata fatta ricerca scientifi-
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malattie dimenticate ha calcolato, in base agli sviluppi attuali, che queste iniziative potrebbero far arrivare sul mercato otto o nove farmaci nei prossimi cinque anni. Sarebbe già qualcosa, anche se poco. Ma il successo di queste organizzazioni dipende dalla loro capacità di raccogliere i soldi sufficienti a realizzare i progetti fino in fondo. Dopo la fase di ricerca, infatti, occorre destinare tempo e denaro alla sperimentazione clinica, e poi alla fase successiva della produzione e distribuzione. I fondi destinati a queste iniziative provengono per il 79% da organizzazioni filantropiche, come la Bill Gates Foundation, il 16% da finanziamenti pubblici, il 3% da agenzie della Nazioni Unite e il 2% da privati. «È fondamentale che i governi comincino a stanziare fondi per queste realtà – dice Nicoletta Dentico, analista sulle politiche della salute per DNDi – per poter finanziare progetti di ricerca anche di lungo periodo». Spesso, infatti, da quando si comincia a fare ricerca al momento in cui un farmaco è pronto per essere immesso sul mercato passano almeno dieci anni. In questo scenario le case farmaceutiche si comportano con atteggiamenti e opportunismi diversi. Alcune organizzazioni puntano a creare delle joint ventures con le aziende. È il caso, ad esempio, del colosso farmaceutico Sanofi Aventis, che attraverso una partnership con DNDi ha contribuito a produrre un farmaco per curare la malaria, rinunciando al brevetto (vedi BOX ). «La rinuncia dei brevetti è una condizione per noi essenziale – spiega Nicoletta Dentico – dato che i diritti sulla proprietà intellettuale non sono l’incentivo giusto per la cura di malattie legate alla povertà, dove i pazienti non hanno potere d’acquisto. E lo dimostrano i recenti rapporti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)». Naturalmente la maggior parte delle case farmaceutiche non vuole rinunciare alla regolamentazione del mercato dei farmaci che si basa sui brevetti. La speranza è che casi come quello di Sanofi Aventis diventino dei precedenti su cui costruire nuovi business model, cioè approcci diversi alla produzione farmaceutica. «Sono esperienze che vorremmo discutere con il gruppo di lavoro istituito lo scorso dicembre dall’Oms – continua Nicoletta Dentico – e che possono dimostrare la possibilità di fare ricerca in modo nuovo, ad esempio lavorando su modelli simili a quello del-
Gli investimenti da parte dei colossi farmaceutici hanno superato i 100 miliardi di dollari l’anno. Ma il 90% viene utilizzato per affrontare patologie che interessano solo il 10% della popolazione mondiale ca. I numeri degli investimenti, da parte dei colossi farmaceutici, parlano chiaro: gli investimenti mondiali in ricerca sanitaria negli anni sono cresciuti fino a superare, oggi, i 100 miliardi di dollari all’anno. Ma il 90% di questo denaro viene utilizzato per risolvere i problemi di salute che interessano il 10% della popolazione mondiale: il cosiddetto “squilibrio 10/90”.
Farmaci “open source” Oggi la carenza di attività di ricerca e sviluppo è un fatto riconosciuto. Negli ultimi anni sono emerse diverse iniziative incoraggianti: sono nate associazioni non a scopo di lucro per lo sviluppo di nuovi farmaci, test diagnostici e vaccini per le malattie dimenticate. È il caso, ad esempio, di International AIDS Vaccine Initiative (IAVI), Medicines for Malaria Venture (MMV) o Drugs for Neglected Disease Initiative (DNDi). Un recente rapporto della London School of Economics sul panorama della ricerca sulle | 66 | valori |
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fondi delle fondazioni filantropiche e delle istituzioni internazionali per sostenere l’open source nelle tecnologie biomediche. ASAQ: IL PRIMO FARMACO NON-PROFIT CONTRO LA MALARIA COSTA UN DOLLARO A CONFEZIONE. Molto poco, se si pensa che è un farmaco nuovo, efficace contro la malaria e studiato soprattutto per i bambini, le prime vittime di questa malattia tropicale. Costa poco perché non è coperto da brevetto ma può essere copiato da chiunque e non ha come scopo il profitto. Asaq, questo è il nome del farmaco, è stato prodotto grazie a una partnership tra la nota azienda farmaceutica Sanofi Aventis e Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi), ente no-profit di ricerca e sviluppo per le malattie dimenticate, fondato nel 2003 da varie organizzazioni internazionali. La malaria è un flagello che ogni anno causa oltre un milione di morti, nel 90% dei casi bambini. Secondo le stime dell’Oms, inoltre, il tasso di mortalità
per questa patologia è raddoppiato fra il 1990 ed il 2002. La malaria rimane la principale causa di decesso per i bambini fra zero e cinque anni in Africa, dove uccide un piccolo ogni 30 secondi. Malgrado questi numeri, non esisteva finora un farmaco in formulazione pediatrica. Asaq ne presenta invece tre tipologie (per i bambini da 2 ad 11 mesi, da 1 a 5 anni, da 6 a 13 anni): un risultato importantissimo per raggiungere uno degli Obiettivi del Millennio, che prevede il dimezzamento della malaria entro il 2015. La semplicità nella somministrazione è tra le maggiori novità del medicinale: consiste in una pillola al giorno per i bambini, due per gli adulti (a fronte delle otto oggi in uso) per tre giorni consecutivi. L’Asaq testimonia un nuovo modo di progettare, sviluppare e produrre farmaci.
l’open source». Ormai affermato nelle tecnologie informatiche, l’open source si sta facendo strada anche nelle tecnologie biomediche. «La diffusione di Internet potrebbe favorire la collaborazione fra scienziati, – spiega ancora Nicoletta Dentico – e la creazione di piattaforme scientifiche che mettano insieme scienziati, conoscenze ed esperienze del Nord e del Sud del mondo. Una strada che vale la pena provare a percorrere». Per capire meglio, non basta produrre farmaci sicuri, efficaci e abbordabili dal punto di vista economico per i pazienti poveri, ma anche farmaci che siano adattati alle loro esigenze. Tra le terapie efficaci contro la malattia del sonno, ad esempio, c’è quella a base di eflornitina, distribuita in flaconi da somministrare in infusioni quattro volte al giorno per circa un mese. È difficile credere che questo tipo di somministrazione sia sostenibile nei villaggi isolati della calda savana africana.
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economiaefinanza
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altrevoci FINANZA E DEMOCRAZIA, BINOMIO PERICOLOSO MA NECESSARIO ALL’ECONOMIA
SPIONI E GIORNALI UNA STORIA ITALIANA
ECONOMIE DAL BASSO LA STRATEGIA VINCENTE
L’AMBIGUITÀ DEL POTERE FINANZIARIO GLOBALE
FRED VARGAS IL GIALLO CHE DIVENTA LETTERATURA
CARNE SENSI E FANTASIE DI PAESE
La finanza in questi ultimi anni è un fenomeno in grande crescita. A fronte di questo dato oggettivo la valutazione di questa ascesa oscilla tra pareri discordanti: da un lato è considerata un perno fondamentale della vita economica, dall’altro una sorta di degenerazione o escrescenza parassitaria dell’economia. A ben vedere però la finanziarizzazione dell’economia ha radici profonde e lontane nel tempo, che risalgono ai banchieri toscani e genovesi del Rinascimento, anche se nell’ultimo secolo ha subìto un’accelerazione determinata dalle ideologie e dalla globalizzazione. La finanza è comunque necessaria, perché la sua funzione è rendere più efficienti i sistemi economici. I problemi sorgono quando vengono elusi i controlli democratici e viene meno il giusto equilibrio tra controllati e controllori. Il legame tra finanza e politica potrebbe essere mortale per la democrazia, perché i poteri decisionali vengono svincolati da qualsiasi controllo, come se facessero capo a un diverso ordine costituito. Nell’era della supremazia del mondo degli affari, dunque, i luoghi della democrazia - come spiega il politologo Ralf Dahrendorf - devono ritrovare la loro centralità. In questo quadro le spinte vitali per il sistema democratico arrivano dal basso, dai nuovi soggetti di rappresentanza (ad esempio, dal movimento dei consumatori) che sono in grado di influenzare i mercati e l’economia.
La sera del 5 novembre 2004 Vittorio Colao, amministratore delegato del gruppo editoriale Rcs, entra nell’ufficio di Massimo Mucchetti, giornalista esperto di economia e vicedirettore ad personam del “Corriere della sera”. Colao prende un pezzo di carta e scrive «Dove possiamo parlare in sicurezza?» I due si trovano fuori dal palazzo di Via Solferino e Colao fa la grande rivelazione: «Sei stato oggetto di un tentativo di spionaggio. Qualcuno ha tentato di penetrare nel disco locale del tuo computer...la stessa operazione è stata fatta ai danni miei e dei miei più stretti collaboratori». Non si trattava di hacker da strapazzo. L’attacco al più importante giornale italiano era frutto di una guerra condotta dai quartieri alti. Seguirà uno scandalo in cui verrà coivolta la security deviata di Telecom. Una storia vera e tutta italiana.
Un lungo lavoro di indagine sulle politiche di sviluppo locale che hanno fatto emergere un potenziale di risorse umane essenziale per risollevare l’economia nazionale. Nel volume si traccia un bilancio di questa stagione di protagonismo dal basso, valutandone gli esiti, sia in termini di qualità istituzionale e di allargamento dell’arena democratica, sia di efficacia economica. Ne emerge un quadro controverso: i successi sul piano dell’ampliamento della platea dei partecipanti e del capitale sociale si accompagnano a esiti meno positivi sul piano strettamente economico. Come superare l’impasse? Occorre introdurre nelle decisioni territoriali elementi di maggiore intenzionalità per aumentare il grado di innovazione progettuale. Occorre, soprattutto, perseguire l’idea secondo cui una maggiore democrazia porta anche a risultati economici migliori.
Nella “società proprietaria” ciò che era pubblico diviene privato, ciò che era politico diviene economico, ciò che apparteneva alla produzione decolla nell’etere dell’immateriale. Nei movimenti del mercato azionario si riflettono processi non lineari e strategie ben calcolate da pochi attori avvantaggiati sul piano dell’informazione e della posizione. Gli ultimi scandali hanno toccato solo la parte più visibile del nuovo capitalismo finanziario globale, che si muove senza luogo né peso, mentre ondate anomale di incertezza minacciano il lavoro e le pensioni, i salari e i piccoli risparmi. Il nuovo accento sulla privatizzazione e sulle opportunità individuali risulta promettente per minoranze privilegiate. La politica può ancora mantenere un ruolo solo cooperando con poteri finanziari che influenzano gli organismi mondiali e le agende dei governi. .
“Nei boschi eterni”, prima di essere presentato in Italia, è stato un long seller in Francia. Fred Vargas - nome de plume dietro cui si cela una nota medievalista francese è ormai abituato a frequentare i piani alti delle classifiche. In questo libro ripropone la figura del commissario del tredicesimo arrondissement di Parigi Jean-Baptiste Adamsberg. Lui non ama la fretta, i suoi pensieri sono contorti, insegue tracce tenui, spesso senza senso, ma che vengono ricondotte all’ordine delle cose e puntualmente la soluzione gli arriva tra le mani. L’autrice non gli rende la vita facile. Un caso contorto che ha degli strani legami con un passato remoto. Adamsberg, dopo essersi trasferito in una casa, che dicono essere infestata dal fantasma di una monaca che alla fine del ‘700 sgozzava le sue vittime, indaga sull’uccisione di due addetti al mercato delle pulci, a loro volta sgozzati a Porte de la Chapelle.
“Il segreto di Ortelia”, ovvero il microcosmo di un paese dove si svolge una “Dinasty” di provincia, un po’ malinconica e ironica allo stesso tempo. Una storia di segreti svelati da una madre alla figlia. Una vicenda, quella di Amleto Selva, che nasconde un’esistenza complessa. Era solo un garzone, senza arte né parte ma molto ambizioso, quando arriva in paese nel 1919 al seguito di un mercante di bestiame. Tanto per cominciare c’è il vero motivo del suo matrimonio con Cirene, timida e bruttina ma destinata a ereditare la macellleria del padre. Poi c’è la sua lunga guerra con la bottega rivale, quella del Bereni: una guerra commerciale che dura da decenni, fatta di colpi bassi dai risvolti esilaranti. E poi c’è la passione del Selva per un’altra carne, un’esuberante vitalità sessuale che nel quieto tran tran paesano genera turbolenze e scandali subito soffocati ma destinati a gettare lunghe ombre sul futuro.
TREDICI ROSE MACCHIATE DAL SANGUE INNOCENTE
ALESSANDRO CASICCIA DEMOCRAZIA E VERTIGINE FINANZIARIA
FRED VARGAS NEI BOSCHI ETERNI
ANDREA VITALI IL SEGRETO DI ORTELIA
LE TREDICI ROSE
MASSIMO MUCCHETTI IL BACO DEL CORRIERE
SILVANO ANDRIANI L’ASCESA DELLA FINANZA
Feltrinelli, 2006
Donzelli Editore, 2006
DOMENICO CERSOSIMO E GUGLIELMO WOLLEB ECONOMIE DAL BASSO
Donzelli, 2006
Bollati e Borighieri, 2007
Einaudi, 2007
narrativa
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LIBERTÀ VADO CERCANDO IN MARE La libertà in tutte le sue manifestazioni. Un filo rosso che collega tutte le stagioni della vita dello scrittore che ama la libertà disperatamente, Uno degli episodi più neri del dopo guerra civile ma non si pone come in Spagna. Una vicenda brutale, prima quasi un modello nei confronti dimenticata tra le pieghe della storia, dei lettori. Anche questo libro, poi diventata un simbolo: quello della dignità al pari dei precedenti successi di fronte all’abisso. Gran vía edizioni propone di Larsson, si contraddistingue in questi giorni in libreria il romanzo “Le tredici per il ritmo intenso e serrato. rose” di Jesús Ferrero (traduzione di Attilio Un percorso introspettivo Castellucci), sesto titolo di m30, collana che cerca di rispondere alle di narrativa dalla Spagna plurale. La storia domande sulla vita. Il mare, si svolge a Madrid, nel 1939. Tredici ragazze, simbolo di libertà e al tempo quasi tutte minorenni, sono detenute, stesso luogo di libertà reale, sottoposte a un processo-farsa e giustiziate. è una presenza costante sia A partire dai fatti reali che danno corpo nella vita da adulto che al romanzo, Jesús Ferrero riporta alla luce in quella da bambino. le storie tragiche e commoventi di tredici “rose” Un racconto autobiografico travolte e cancellate dalla Storia. Esulando dal che è un’attraversata della dramma politico e dalla semplice cronaca degli propria esistenza, delle proprie avvenimenti, l’autore configura le tredici rose passioni, dei sentimenti come una narrazione squisitamente letteraria, e degli affetti a partire un romanzo corale che dà contemporaneamente dal padre, scomparso in mare, spazio alla memoria e all’immaginazione, alle fino ad arrivare alla figlia passioni di un decennio feroce e alle voci Cathrine, di appena dodici spezzate delle giovanissime protagoniste. anni. Lui in nome della libertà Un’anticipazione: “Le tredici rose” arriva anche ha dichiarato guerra alla al cinema con un film per la regia di Emilio normalità, cravatta compresa, Martinez Labaro, in uscita in Spagna ben consapevole però che a novembre 2007 e sugli schermi italiani il simbolo senza un gesto nei primi mesi del 2008. o una scelta concreta non basta a rendere JESUS FERRERO una vita libera da catene. Gran via edizioni, 2007
BJORN LARSSON LIBERTÀ
Garzanti, 2007
Iperborea, 2007
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fotografia
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LA LEGGERA VERITÀ DELLE FOTO DI ERWITT TEMPO DI BILANCI PER LA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA ITALIANA
Elliott Erwitt è considerato uno dei maestri della fotografia. Membro storico di Magnum Photos, ha girato il mondo con la sua macchina fotografica, immortalando i soggetti più diversi e nei momenti più disparati. Celebre la foto che ritrae Marilyn Monroe mentre con sguardo divertito e ammiccante legge un libro. Erwitt con le sue foto trasmette leggerezza, diverte. «Uno dei successi più importanti che puoi raggiungere è quello di far ridere la gente. Se poi riesci, come fa Chaplin, a far alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto… C’è chi dice che le mie fotografie sono tristi, mentre altri le trovano buffe. Buffe e tristi, non sono in realtà la stessa cosa? Sommati, costituiscono la normalità. Forse non dovrei rivelare questo segreto: la fotografia è una professione per pigri. Non sei costretto ad allenarti, come fanno i musicisti o i medici o i ballerini».
Dal 27 aprile al 3 giugno si terrà a Roma la sesta edizione del Festival internazionale della fotografia (www.fotografiafestival.it). Il tema di quest’anno è “Indagine sulla fotografia contemporanea”. Una sorta di bilancio, come ha sottolineato il direttore artistico Marco Delogu: «Abbiamo sentito l’esigenza di fare un punto sul “sistema Italia”, sullo stato della nostra fotografia». Il festival si articola in un circuito di esposizioni per esplorare i territori della fotografia contemporanea, analizzare prospettive, spazi e opportunità in un panorama di grandi cambiamenti. Il risultato è una sorta di “censimento della fotografia italiana contemporanea” che viene presentato nel corso di due mesi di programmazione. Oltre 150 mostre, 30 produzioni e anteprime, tra cui 21 mostre collettive, oltre 500 fotografi partecipanti, circa 100 curatori, 90 location e decine di progetti speciali e proiezioni. «Un bilancio - scrive Delogu - che arriva in un momento di svolta della fotografia, alla luce anche dei tre filoni che da sempre l’hanno caratterizzata: quello che ne vede una commistione e continuo scambio con l’arte contemporanea; quello della fotografia di paesaggio; la fotografia “documentaria”, segnata da forti tensioni e dibattiti interni».
ELLIOT ERWITT ELLIOT ERWITT
FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA FOTOGRAFIA INDAGINE SULLA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA
Contrasto Due, 2007
Fino al 3 giugno, Roma
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IL MEDIO ORIENTE VISTO SENZA PREGIUDIZIO
MUTATION I IL NUOVO VOLTO DELL’EUROPA
ITALIANI POPOLO DI NAVIGATORI E SCARICATORI
Negli ultimi cinque anni Gillian Laub ha fotografato gli abitanti di Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv, Ramallah, Hebron e altre località della regione. Ebrei e arabi israeliani, profughi libanesi e palestinesi: tutti personalmente coinvolti dal contesto geopolitico in cui vivono. Ogni ritratto è accompagnato da un commento scritto dagli stessi protagonisti. Le loro testimonianze rivelano forza, orgoglio, disprezzo, rabbia, vulnerabilità e, a volte, anche sorprendente ottimismo. I contributi della scrittrice Ariella Azoulay e dell’avvocato israelopalestinese Raef Zreik esperto di diritti civili, approfondiscono sfumature e contraddizioni e alla fine esprimono la speranza di una risoluzione pacifica del conflitto in corso in Medio Oriente.
“Mutations I” è il primo risultato dei lavori del Mese europeo della fotografia, un progetto transnazionale che ha coinvolto 7 capitali europee nella selezione di una panoramica inedita della giovane fotografia continentale e delle sue mutazioni tecnologiche e artistiche, attraverso i lavori di otto fotografi: AES+F (Mosca), Nina Dick (Vienna), Eva Frapiccini (Roma), Beate Gütschow (Berlino), Elisabeth e Carine Krecké (Lussemburgo), Marek Kvetán (Bratislava) e Philippe Ramette (Parigi). I partecipanti fanno parte della vasta rete di relazioni su cui poggia l’Europa e per tutti l’azzeramento delle frontiere confonde i riferimenti delle identità, dello stesso e dell’altro, del vicino e del lontano. Le pratiche e i territori artistici si adattano a questo nuovo scenario in una costante ridefinizione in cui gli artisti diventano investigatori, sabotatori di immagini,pubblicitari o illusionisti.
Una ricerca di eMarketer svela che tra le principali applicazioni scaricate in Italia la maggior parte servono per riprodurre file audio e video. Il primo posto spetta a windows Media Player, mentre il software peer to peer e Mule colleziona sei milioni di download; 2, 4 milioni di copie scaricate per l’applicazione voip Skype. Mentre Msn di Microsoft è l’applicazione usata dai navigatori per più tempo durante la giornata. Aumenta anche la presenza giornaliera in rete: gli italiani trascorrono 4,8 giorni a settimana. Uno studio di EIAA (www.eiaa.net) svela che grazie alla maggior penetrazione della banda larga in Europa, i consumatori hanno maggiori opportunità di interazione con il mezzo. I siti di incontri vengono visitati almeno una volta al mese dal 23% degli Europei, mentre i forum hanno registrato un aumento di utilizzo del 30% anno su anno.
GILLIAN LAUB, AZOULAY ARIELLA; ZREIK RAEF TESTIMONI
Contrasto Due, 2007
UNA COMUNITÀ TELEVISIVA ONLINE PER GLI AMANTI DEI VIDEOGAMES Si chiama GameTribes.tv ed è la prima televisione italiana online dedicata alla comunità degli appassionati di videogiochi. L’idea è nata da un gruppo di quattro amici che condividevano la stessa grande passione: i videogiochi. Il passaggio dall’antica passione all’odierna professione è avvenuto nel 2006. Oggi il palinsesto della tv comprende circa cinquanta video, caricati in flash media player e conta circa 4000 contatti unici al mese, ma ha grandi prospettive di crescita considerato che la comunità dei videogamers italiani è tra le più grandi d’Europa. Naturalmente i picchi di accesso si concentrano durante le pause della giornata. I frequetantori di Gametribes.tv non sono giovanissimi, oscillano tra i venticinque e i trentacinque anni. L’intento dei promotori dell’iniziativa è quello di creare un punto di aggregazione per gli amanti del genere. Tre i canali attivi: cinema, dove vengono proposti i promo più spettacolari; trailer dedicato alle novità nel mondo dei videogiochi; infine un canale dedicato alle interviste ai vari programmatori e autori. WWW.GAMETRIBES.TV
multimedia
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IMMIGRATI ED EMIGRANTI NELL’ITALIA MODERNA
LOGICA FIGLIA DELLA RAGIONE DI ODIFREDDI
“Lettere dal Sahara” del regista Vittorio De Seta è un film sull’immigrazione e anche sull’emigrazione nel nostro Paese. Il protagonista è un ragazzo senegalese, Assanne, che è costretto a lasciare l’università per lavorare. Decide così di partire per l’Italia, affrontando uno dei tanti viaggi clandestini. Dopo un naufragio e l’approdo a Lampedusa, inizia a lavorare in nero nel meridione. Lui, però, vuole altro e decide di trasferirsi a Firenze dove vive la cugina che ha un lavoro regolare ma che ormai ha dimenticato le sue tradizioni e la sua religione e per questo la convivenza risulta difficile. Parte ancora, verso Torino dove ad attenderlo c’é un altro lavoro in nero, ma dopo un pò di tempo riesce ad ottenere il permesso di soggiorno e a trovare un lavoro in fabbrica, ma si rende conto che per integrarsi completamente, l’unico modo è quello di rinunciare alla propria cultura.
La logica è lo studio della ragione, e la logica matematica è lo studio matematico della ragione matematica. Il lavoro di Piergiorgio Odifreddi, scienziato impertinente, è spiegare e rendere facile ciò che in genere facile non è. Attualmente è il più grande divulgatore scientifico in Italia. Spazia dalla matematica alla filosofia, dall’arte alla letteratura fino alle religioni, nel nome di una visione culturale della scienza e di un intento divulgativo affidato a uno stile accessibile e persino divertente. Odifreddi ritrova dentro le pieghe della conoscenza matematica e scientifica i nodi problematici del nostro tempo, facendo insieme elegante divulgazione e critica del presente. In questo dvd c’è lo spirito giusto per avvicinare la gente al meraviglioso mondo della logica matematica. PIERGIORGIO ODIFREDDI CHE COS’È LA LOGICA
Luca Sassella editore, 2006
WWW.EMARKETER.COM MUSEO DI VILLA BORGHESE MUTATION I
VITTORIO DE SETA LETTERE DAL SAHARA
fino al 3 giugno Roma
20th Century Fox Home Entertainment, 2007
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COTONE COLORATO AL NATURALE DAL BRASILE VIDEOGIOCO GRATUITO PER IMPARARE A RISPARMIARE ENERGIA
Il mercato delle confezioni e del tessile richiede sempre di più materie prime non trattate chimicamente, che rispettino l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Natural Fashion va in questa direzione. Costituita solo da donne, nello stato di Paraiba, nel nord est brasiliano, la cooperativa Natural (Natural Fashion è solo il nome commerciale) risponde a quei requisiti. Infatti, vengono lavorate solo qualità di cotone autoctono colorato, studiate e individuate da l’Embrapa, ente di ricerca brasiliano. Questo cotone è stato ottenuto solo con innesti e senza utilizzare prodotti geneticamente modificati. E dopo anni di studio sono riusciti a renderlo lavorabile nelle colorazioni di marrone, beige e verde. Il cotone viene coltivato secondo i dettami dell’Istituto Biodinamico Brasiliano, per cui non sono utilizzati prodotti chimici, non è irrigato ma sfrutta le stagioni piovose. La cooperativa compra il cotone a prezzi superiori rispetto al mercato ordinario. Tutti i prodotti della casa sono tessuti con il telaio a mano. www.naturalfashion.com.br
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Noa mette la testa fuori dalla porta di casa. Una casa nel piccolo paese di Kloa sull’altipiano. Annusa il vento, che in quella stagione proviene da est e nel paese si divide in mille correnti. Sorride ed esce correndo, braccia aperte e piedi nudi. Arriva al centro del paese, sale per il sentiero che porta al campo degli aerogeneratori e si siede sul prato appena prima del ponte sul ruscello, che nasce dal lago Dora ed attraversa l’altipiano. Guarda i campi coltivati, il paese: le grotte dei Jojk, le case degli uomini. Si sdraia sull’erba con le mani dietro alla testa. Nel cielo passa una grande nuvola scura. Noa la osserva. Ad un tratto intravede un forte luccichio, che subito sparisce. Benvenuti nel mondo del videogame più avvincente della storia dell’energia: “Noa e la Gola di Olduvai”. È un videogioco 3D che tratta temi come il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale. I programmatori hanno pensato a un gioco dove il divertimento consiste nel risolvere, aggiustare e costruire con uno stile particolarmente intuitivo e piacevole. Nel sito è presente un’area beta testing. Infatti, per realizzare il secondo episodio di “Noa e la Gola di Olduvai” i programmatori hanno pensato di far partecipare attivamente i navigatori. Il videogame è stato progettato dallo StudioBASE2 di Crema per la 220. www.noagame.org.
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DOPPIO SOLE PER AUTO E CASE
INTERREG IIIC FINANZIA LO SVILUPPO SOSTENIBILE
EMOZIONI COME NUOVA FRONTIERA HI TECH
ProRinnovabili é un’associazione di promozione sociale la cui missione é far crescere la cultura sulle energie rinnovabili. Sarà presente a Terra Futura con due progetti: Heliots, legato all’ottimizzazione dei pannelli fotovoltaici e Solar vehicle, un furgone alimentato con energia solare. Nel primo progetto La WsEnergia Lda e gli scienziati del centro ricerche Iscat s.r.l hanno sviluppato una linea di sistemi opto-meccanici in grado di raddoppiare la produzione di energia dei pannelli fotovoltaici. Nel secondo, invece, i ricercatori hanno scelto di partire da un veicolo elettrico esistente il “Porter Glass Van”, utilizzato per il trasporto leggero in città. Questo veicolo ha la possibilità di alloggiare un’ampia superficie di pannelli fotovoltaici sul tetto, mentre il vano di lavoro posteriore consente di alloggiare comodamente il sistema motore/generatore e i sistemi di controllo. Il sistema propulsivo é caratterizzato da un motore elettrico alimentato da un sistema di batterie posizionate nella parte inferiore nell’abitacolo.
Quattro regioni coinvolte, due italiane, Umbria e Friuli Venezia Giulia (partner capofila), una greca (Ovest) e un’altra della Repubblica Ceca (Hranicko Region). Il progetto Aur-innoref mira all’attivazione, con bando europeo, di otto sottoprogetti applicativi nei settori dell’energia, prodotti tipici, turismo, uso del territorio, valorizzazione delle risorse locali. In ciascuna regione è stato creato un Professional Service Center (Psc, in Umbria attivato presso l’Agenzia Umbria Ricerche). Il Psc avrà il compito di dare informazioni, competenze e servizi di assistenza tecnica ai partecipanti ai sottoprogetti, alle imprese e alle comunità locali. Il tutto rientra nell’ambito del programma Interreg IIIC East, la cui finalità è realizzare attività innovative di uso efficiente delle risorse come motori per lo sviluppo sostenibile, attivando processi di partecipazione dal basso. www.aur-innoref.it
La ricerca di Xin Li, ricercatore dell’Università di Pittsburgh e consulente di Google Inc., è incentrata su come rendere più emotiva la comunicazione via e-mail. Negli Stati Uniti il tema dell’emozione è di grande importanza, sia sotto il profilo strettamente accademico della ricerca, sia sotto il profilo della ricerca orientata al marketing e allo sviluppo di prodotti e tendenze. Face Alice Icons! è il primo progetto creato dall’equipe di Xin Li, un progetto apparentemente semplice (un programma che trasforma autoritratti in “emoticon”, le faccine utilizzate nelle mail per descrivere gli stati d’animo, ad esempio :-) per la felicità o ;-) per una strizzata d’occhio complice). Che non solo di un gioco si tratti lo dimostrano le trattative subito aperte da Google Inc. con il suo consulente per acquisire il software e il rilievo dato alla ricerca dal magazine statunitense Technology Review. Il punto d’arrivo della ricerca, come sottolinea nel suo blog l’interaction designer Leandro Agrò, è colmare la distanza tra i vecchi emoticons e il mercato crescente di esperienze come Second Life.
UBIQUITOUS, ESPERIMENTO TICINESE PER UNA DIDATTICA CON IL CELLULARE Sfruttare il percorso verso la scuola e gli spazi liberi durante la giornata per un ripasso delle lezioni scolastiche via telefono cellulare. “Ubiquitous” è un progetto sviluppato nella Svizzera Italiana dalla Divisione della Formazione Professionale e dal Laboratorio di ingegneria della formazione e innovazione della locale Università. Destinatari principali i giovani stranieri che devono integrarsi nei corsi scolastici della Svizzera Italiana e che, per via del differente percorso formativo precedente, possono soffrire di lacune di base rispetto ai loro compagni di studi. «Il cellulare è uno strumento comunicativo così importante nella nostra società che abbiamo deciso di sviluppare dei progetti per il suo possibile inserimento nella didattica - spiega Marco Sassi, responsabile del progetto - Siamo in una fase iniziale che coinvolge cinque docenti delle scuole professionali che preparano delle attività didattiche ad hoc per questo supporto». I test sviluppati dalle docenti vengono adattati all’innovativo supporto da un tecnico informatico. I test prevedono esercizi di lessico, grammatica, ortografia con risposte inviate via sms/mms. La risposta con autocorrezione e segnalazione degli errori è immediata. «Utilizziamo il medesimo principio dei concorsi che prevedono l’uso del cellularespiega Davide Krahenbuhl, tecnico informatico di Ubiquitous - basato sul principio del 2-way Sms, che prevede l’inoltro di un pacchetto di dati al server e l’elaborazione immediata di un messaggio di verifica e risposta che viene inoltrato al mittente».
future
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RFID E MAPPE VIRTUALI TATTILI PER NON VEDENTI
CASSONETTI APRIBILI PER RIFIUTI CON AFFETTO
La tecnologia rivolge una particolare attenzione di studi e sperimentazione al mondo dei non vedenti. Sesamonet (Secure and Safe Mobility Network) è un progetto europeo creato dall’istituto Ipsc (Institute for the Protection and the Security of Citizen) di Ispra, in provincia di Varese, e dall’Università La Sapienza di Roma. Prevede l’utilizzo di percorsi urbani guidati via Rfid, letti tramite un trasponder portatile (Pda o cellulare). La tecnologia Rfid è stata acquisita dai macelli civici (il bestiame viene marchiato con targhette Rfid per la rintracciabilità). Un diverso esperimento, basato sull’utilizzo di mappe virtuali interattive sonore (haptic map) è stato condotto da Konstantinos Moustakas, ricercatore del “virtual mapping project” della Aristotele University di Tessalonica in Grecia. Le mappe sviluppate da Moustakas prevedono una visualizzazione tridimensionale del corpo urbano e una interazione sonora, in grado di svolgere una funzione di addestramento a nuovi percorsi per non vedenti, per esempio, poter visitare per la prima volta senza assistenza una metropoli come New York.
Rifiuto con affetto: lo slogan scelto da tre studentesse dello Iuav (facoltà di design di Venezia) sintetizza in tre parole l’idea di utilizzare il cassonetto come luogo di condivisione, scambio e valorizzazione affettiva del rifiuto. «Una operazione di riaffezione - spiegano le autrici del progetto ed un nuovo servizio di raccolta rifiuti. L’operazione effettuata non è né di riciclo né di riutilizzo ma di riaffezione. “Rifiuto con affetto” permette di raccogliere e rimettere a disposizione dei cittadini oggetti che verrebbero abbandonati per puro spreco o per mancanza di spazio». Il cassonetto della spazzatura viene ripensato e trasformato in luogo di scambio tra oggetti che riacquistano utilità e persone che vi si riaffezionano. Venezia, spiegano le autrici del progetto, è una città che deve necessariamente confrontarsi, anche visivamente, con il tema dei suoi rifiuti per la particolare struttura urbanistica. Per questo è stato ripensato il tradizionale cassonetto in modo da renderlo interoperativo con i cittadini, che possono prelevare senza imbarazzo gli oggetti ripostivi. Il Comune di Venezia ha adottato il progetto per una fase sperimentale.
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| globalvision |
L
A GRANDE FRENATA DELL’ECONOMIA PIÙ FORTE DEL MONDO È COMINCIATA. Dopo ben quattordici trimestri
(tre anni e mezzo) di aumenti dei profitti, all’inizio del 2007 quello stesso capitalismo getta la spugna e probabilmente farà vedere una crescita degli utili di poco superiore al 3 per cento. E non si tratta di un incidente di percorso. C’è una frenata “di sistema”: l’economia americana ha cominciato a rallentare e tutti si domandano fin dove porterà questa frenata. I più maligni ricordano che in realtà gli Stati Uniti devono ancora fare i conti con la loro “recessione interrotta”. Si doveva fare (si era già cominciato a fare) nel 2001, quando venne l’attacco alle Twin Towers, il sistema fu inondato di liquidità e da allora si è vissuto sulla montagna di soldi immessa nel sistema da Greenspan, allora capo della Fed. Ma alle spalle del boom di questi anni (boom di consumi, di Borsa, di ricchezze) c’è sempre stata l’ombra di quella recessione non consumata. Recessione che non si è potuta fare per ragioni politiche. Adesso è arrivato il momento di saldare il conto, sia pure con sei anni di ritardo. La recessione è inevitabile perché per sei anni l’economia più grande del pianeta è andata avanti come su una nuvola, fuori dal mondo, sorretta da una massa sterminata di dollari messa in giro solo per ragioni politiche. Il rallentamento dell’economia americana che si registra in queste ultime settimane e l’annunciato crollo della crescita degli utili sarebbero i segnali di allarme. D’altra parte, economisti del peso di Stephen Roach (capo economista di Morgan Stanley) hanno talmente pochi dubbi in proposito da aver pronosticato l’arrivo della recessione americana nel giro di dodici mesi. Quando ci fu l’attacco In realtà, si sa ancora poco su come potrebbe essere fatta questa alle Twin Towers il sistema recessione. Certo non avrà le dimensioni di alcune crisi del passato fu inondato di liquidità anche recente, potrebbe anche assumere una forma a noi europei e da allora ha vissuto abbastanza nota: quella della stagflazione. Cioè di crescita zero su quella montagna di soldi del pil assommata a bassa inflazione. Per evitare la recessione (e quindi il calo degli utili) bisognerebbe rifinanziare l’economia (e soprattutto i consumi) con tanto bel denaro a buon mercato. Ma poiché l’inflazione preme, il rischio è che alla fine la Federal Reserve sia costretta (proprio dentro la grande frenata) a alzare i tassi di interesse, spingendo quindi ancora più giù l’economia. In che misura la recessione americana (che magari assumerà la forma di qualche trimestre di crescita al di sotto del 2 per cento) si ribalterà sul resto del mondo, e in particolare sull’Europa? Secondo alcuni analisti in questi sei anni l’economia è molto cambiata e, in un certo senso, si è resa indipendente dalla locomotiva americana. Ci sono l’Asia, i paesi dell’Europa dell’Est e anche l’Europa in quanto tale ha via via integrato i propri mercati e oggi è molto più forte di qualche anno fa. Secondo i sostenitori di questa tesi, insomma, ci sarebbe stato un mutamento antropologico del capitalismo mondiale (proprio in questo periodo) e il risultato è che il peso dell’economia americana sarebbe diventato meno determinante. La parola magica, in questo caso, è “decoupling”, cioè disaccoppiamento, divergenza, scollamento, ecc. Si dovrebbe verificare in sostanza un distacco, una separazione del resto del mondo dall’America. Gli Stati Uniti, se avranno ragione i teorici del decoupling, potranno vivere la loro recessione da soli senza per questo deprimere tutti gli altri paesi.
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Italia
Portogallo
Polonia
Cipro
Spagna
Irlanda
R. Ceca
Lituania
Malta
Belgio
Ungheria
R. Unito
Stovacchia
FinIandia
P. Bassi
Austria
Germania
Svezia
Slovenia
9,3
15,3 16,3 16,5 13,3 13,5 13,7 14,0 12,7 12,5 12,1 11,8 11,8 9,9 10,2 10,3 11,2
Francia
20,5 20,5
Lettonia
Estonia
Danimarca
24,1
26,7
numeri 7,7
7,9
8,1
123
Poca occupazione soprattutto femminile
dia». Per contro, «un miglior disegno delle politiche a sosteresta tra i più bassi del gno dei carichi familiari avrebbe il duplice effetto di innalzare mondo avanzato: nel 2005 era pari al 57,6% contro una il tasso di partecipazione femminile e di sostenere le scelte di media Ue del 63,8 per cento. E il gap è fortissimo nel camaternità». so delle donne: la quota di occupate di età compresa fra i 15 e L’altra anomalia italiana sulla quale il Governatore si è sofi 64 anni è pari in Italia al 45,3%: si tratta di 11 punti in meno fermato riguarda il peso elevato dei lavoratori autonomi: si tratdella media Ue. «È un valore superiore solo a quello di Malta ta del 27% degli occupati contro il 15% medio dellaUe. La quo– ha osservato il Governatore Mario Draghi – lontano dal trata del lavoro autonomo ricorda Draghi, risulta più ampia dove guardo del 60% fissato dall’Agenda di Lisbona». Tra le cause di la regolamentazione del mercaquesta anomalia italiana c’è il to dei prodotti è più intrusiva, mancato rientro nel mercato TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE PER CLASSI DI ETÀ [Dati 2005 in %] come nei casi in cui è diretta a del lavoro dopo la maternità. mantenere una struttura com«La perdita di risorse umane è 80 UE 25 merciale tradizionale. evidente: circa un quarto delle Centro Nord Italia Altri elementi pesano a rendonne italiane tra i 25 e i 45 anSud e isole dere anomalo il mercato del lani con istruzione superiore non 60 voro italiano causando anche partecipa al mercato del lavoro, danni alla crescita del Pil. L’aucontro l’8% tra gli uomini» ha 40 mento tasso di dipendenza despiegato Draghi, ricordando mografica (il rapporto tra popoche «questa minore presenza lazione giovane e anziana e sul mercato del lavoro non si as20 quella in età da lavoro) ha consocia a una maggiore propentribuito a frenare la crescita del sione ad avere figli: l’Italia, inprodotto pro-capite nel decensieme con la Spagna e la Grecia, 0 nio scorso, per una quota pari alpresenta tassi di fecondità signi20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 lo 0,3% del Pil ogni anno. ficativamente inferiori alla meL TASSO DI OCCUPAZIONE ITALIANO
I
FONTE: ETABORAZIONI SU DATI ISTAT ED EUROSTAT
di Alberto Berrini
30,0
Ue25=15,2%
Lussemburgo
Ovvero la recessione non consumata
FONTE: DAB. SU DATT ISTAT ED EUROSTAT
La frenata americana
QUOTA LAVORO INDIPENDENTE [Dato 2005 - Dati in %]
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| numeridell’economia |
La febbre cinese spaventa con l’inflazione ultimi tre mesi del 2006 la crescita era stata del 10,4%. Intanto l’inflazione a marzo avanza al 3,3% annuale, superando per la prima volta in due anni il 3%. Adesso gli esperti si aspettano un rialzo dei tassi cinese e comunque nuove restrizioni monetarie. Non è un caso che la Borsa di Shanghai
L PIL CINESE SALE DELL’11,1%
nel primo trimestre, spinto dagli investimenti e dal boom dell’export, e si fa sempre più preoccupante l’inflazione. Le misure monetarie restrittive introdotte dal governo per raffreddare l’economia non sono quindi riuscite a frenare la crescita. Negli
I
PIENO DI IMMIGRATI: +178MILA NEL 2006 [Variazione assoluta tra 2006 e 2005]
NORD +178.000 STRANIERI +247.000 ITALIANI
abbia riposto ai dati con un tonfo. L’innalzamento dei tassi potrebbe avere un effetto domino su tutte le economie asiatiche anche perchè per la prima volta nella storia il Giappone invece di seguire l’andamento statunitense potrebbe decidere di adeguarsi alle scelte di Pechino.
114.000
+ 425.000 TOTALE ITALIA
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I SETTORI
I CONTRATTI
Terziario +405.000
43.000
Dipendente 381.000 III II II II II III II II II II II II II II II I II II II II II II II
Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Agosto Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre
+14,7 +11,4 +6,2 +3,6 -7,0 +7,6 +16,3 +2,1 +5,0 +6,6 +1,3 -2,6 +12,5 +5,0 +9,9 +12,7 +4,0 +8,1 +1,9 +4,0 +5,8 +11,8 +11,7 +4,1
PREZZI AL CONSUMO
Ott. Sett. Ago. Sett. Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Ago. Sett. Ago. Ago. 2005 Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett.
+1,4 +2,1 +6,3 +3,3 +5,4 +0,4 +2,1 -1,2 +2,8 +10,4 +3,3 +2,1 +4,2 +4,3 +1,9 +8,7 +9,6 +1,3 +5,3 +10,0 +2,7 +6,3 +1,2 +9,2
I PAESI DEL SALARIO MINIMO [Dati 2007, euro per ora]
9,08 9,30 8,27 7,96
Ott. Sett. Sett. Sett. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott. Ott. Ott. Ott. Sett. Sett. Sett. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott.
BILANCIA COMMERCIALE
+177,5 Dicembre -48,8 Novemb. +38,5 Novemb. +28,6 Novemb. -4,1 Agosto +33,7 Settem. +16,7 Dicembre +21,3 Dicembre +1,3 Novemb. +12,0 Novemb. +46,1 Dicembre +22,1 Dicembre +0,3 Ottobre -5,9 Novemb. +8,0 Settem. +36,8 III Trimestre -11,1 II Trimestre -7,9 Dicembre -9,6 Novemb. -53,2 Novemb. +2,0 Novemb. - 2,8 Novemb. -4,1 Novemb. +140,8 Novemb.
3,10 7,98 6,20 5,37 6,13 3,06 4,97 2,08 4,97 10,19 13,19 5,16 6,71 7,05 4,45 10,00 9,67 4,60 9,35 19,60 2,57 8,05 5,18 11,00
GLI STIPENDI DEL METATMECCANICI IN GERMANIA Salario lordo annuale 2006. In migliaia di euro
1% 9%
ANNO 7 N.49
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MAGGIO 2007
Bulgaria
Estonia
Polonia
Ungheria
Stati Uniti
Spagna
Regno Unito
Francia
Irlanda
Lussemburgo
3,99 3,98
1,50 1,34 1,33 0,53
|
meno di 22 da 22 a 30 da 30 a 38 da 38 a 46 da 46 a 54 oltre 54
Agricoltura +32.000 Costruzioni Industria -12.000 0
TASSI INTERESSE
94.000
SUD
Autonomo 44.000
21.000
105.000
LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE
PIL
Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro FONTE: ILSOLE24ORE
Cina +10,4 India +8,9 Indonesia +5,2 Malesia +5,9 Filippine +5,5 Singapore +7,1 Corea del Sud +5,3 Taiwan +4,6 Tailandia +4,9 Argentina +7,9 Brasile +1,2 Cile +4,5 Colombia +6,0 Messico +4,7 Perù +9,2 Venezuela +9,2 Egitto +5,9 Israele +6,2 Sud Africa +3,6 Turchia +7,5 Repubblica Ceca +6,2 Ungheria +3,8 Polonia +5,5 Russia +7,4
PRODUZIONE INDUSTRIALE
FONTE: ILSOLE24ORE
PIL
FONTE: ILSOLE24ORE
PAESE
226.000 CENTRO
LE NAZIONI EMERGENTI
| 76 | valori |
FONTE: ILSOLE24ORE
| numeridell’economia |
MIN/MAX 2006
MIN/MAX 2007
2,3/3,7 1,8/2,4 1,7/2,5 1,7/2,6 2,7/3,4 2,5/3,3 1,5/2,2 1,5/2,2 1,0/1,5 1,9/3,5 1,6/3,1 2,8/3,5 3,0/4,1 1,7/2,8 2,8/3,9 1,8/2,4
2,7/3,9 1,2/2,2 1,6/2,2 1,9/2,8 2,6/3,1 2,0/3,1 1,6/2,4 0,2/2,1 0,6/1,7 1,4/3,8 1,4/2,4 2,4/3,1 2,5/3,1 0,9/2,5 2,4/3,5 1,3/2,4
INFLAZIONE MEDIA 2006
MEDIA 2007
3,2 2,3 2,4 2,4 3,2 2,7 2,0 1,7 1,3 3,0 2,2 3,3 3,6 2,8 3,4 2,2
3,3 2,0 2,0 2,5 2,9 2,3 2,0 1,3 1,1 2,4 2,1 2,8 2,9 2,0 2,7 1,8
2006
2,9 2,0 2,2 1,9 2,1 1,9 1,7 1,6 2,1 0,3 1,5 3,3 1,4 1,1 2,9 2,1
2007
BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2006 2007
2,7 1,8 1,9 1,9 2,2 1,9 1,6 2,3 1,9 0,6 1,5 2,8 1,9 1,2 2,3 2,1
-5,4 +0,2 +2,2 -2,3 2,0 2,9 -1,3 3,9 -1,5 3,7 5,2 -6,9 6,7 13,1 -6,8 -0,1
-4,0 +0,2 2,3 -2,3 1,4 2,7 -1,1 3,9 -1,4 3,5 5,1 -7,0 6,3 12,4 -6,8 --------
TASSO DI OCCUPAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA [Dati destagionalizzati] 11 10
14%
35%
15%
9 8
7,7 26%
7
6,8 6
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
|
2005
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2006
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indiceetico
| numeridivalori |
VALORI NEW ENERGY INDEX NOME TITOLO
ATTIVITÀ
BORSA
Abengoa Ballard Power Biopetrol Canadian Hydro Conergy EOP Biodiesel Fuel Cell Energy Gamesa Novozymes Ocean Power Tech Pacific Ethanol Phönix SonnenStrom Q-Cells RePower Solarworld Solon Südzucker Sunways Suntech Power Vestas Wind Systems
Biocarburanti/solare Tecnologie dell’idrogeno Biocarburanti Energia idroelettrica/eolica Pannelli solari Biocarburanti Tecnologie dell’idrogeno Pale eoliche Enzimi/biocarburanti Energia del moto ondoso Biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche Pannelli solari Pannelli solari Zucchero/biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche
Siviglia, Spagna Vancouver, Canada Zug, Svizzera Calgary, Canada Amburgo, Germania Pritzwalk, Germania Danbury, CT-USA Madrid, Spagna Bagsværd, Danimarca Warwick, Gran Bretagna Fresno, CA-USA Sulzemoos, Germania Thalheim, Germania Amburgo, Germania Bonn, Germania Berlino, Germania Mannheim, Germania Konstanz, Germania Wuxi, Cina Randers, Danimarca
CORSO DELL’AZIONE 30.03.2007
RENDIMENTO DAL 30.09.06 AL 30.03.2007
31,02 € 6,37 CAD 6,60 € 6,30 CAD 54,00 € 9,54 € 7,86 $ 27,10 € 499,00 DKK 119,00 £ 17,03 $ 21,48 € 48,04 € 152,00 € 58,13 € 40,99 € 14,30 € 9,40 € 34,61 $ 312,50 DKK
36,71% -8,41% -20,48% 8,57% 41,77% -9,66% -1,88% 56,83% 11,31% 70,02% 15,23% 46,12% 48,73% 173,38% 34,16% 38,62% -26,59% 25,00% 27,29% 99,20%
+33,30% € = euro, $ = dollari USA, £= sterline inglesi, CAN $ = dollari canadesi, DKK = corone danesi
Il solare tedesco è pronto per il grande salto di Mauro Meggiolaro e Annegret Kolerus NA CELLA SOLARE OGNI TRE È PRODOTTA IN GERMANIA. Sei miliardi di euro di 6,47% esportazioni nel 2006, + 30% rispetto al 2005. Per l’industria tedesca del Amex Oil Index [in Euro] solare è boom. Anche nei posti di lavoro. “Entro il 2020 i tedeschi im33,30% piegati nelle tecnologie ambientali saranno di più di quelli che lavorano nell’industria Valori New Energy Index [in Euro] automobilistica”, prevede Torsten Henzelmann della società di consulenza Roland Rendimenti dal 30.09.2006 al 30.03.2007 Berger. E tutti si aspettano che, tra gli eco-pionieri tedeschi, cresca prima o poi un fuoriclasse globale, capace di riportare in auge i fasti di Gottlieb Q-Cells www.qcells.de Sede Thalheim, Germania Daimler e Karl Benz. Il golden boy potrebbe essere Borsa FSE – Francoforte sul Meno proprio Q-Cells, l’impresa dell’indice Valori New Rendimento 30.09.06 – 30.03.07 + 48,73% Energy che vi presentiamo questo mese. Da inizio Attività Q-Cells produce celle fotovoltaiche di silicio per panelli solari. gioco (settembre 2006) in borsa ha reso quasi il Partita con appena 16 dipendenti nel 2001, oggi l’impresa impiega 50% contribuendo a portare l’indice ai massimi: 964 persone ed è il secondo produttore di celle solari al mondo. + 33,30%. Oltre 25 punti in più rispetto all’Amex Ricavi [Milioni di €] Utile [Milioni di €] Numero dipendenti 2005 Oil, l’indice che misura il rendimento medio del2006 le maggiori compagnie petrolifere. Riusciranno 964 539,5 767 299,4 Q-Cells e compagni a fare il salto di qualità? Sì, se uniranno le forze e usciranno dal ristretto mercato domestico, dicono i consulenti. Altrimenti ri97,1 schieranno di diventare un ottimo boccone per i 39,9 soliti pesci grossi. Non ultimi i big del petrolio.
UN’IMPRESA AL MESE
U
.
in collaborazione con www.eticasgr.it | 78 | valori |
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MAGGIO 2007
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ECOR
PREZZO TRASPARENTE ZUCCHERO DI CANNA INTEGRALE MASCOBADO CTM ALTROMERCATO 1KG
Prezzo di vendita al pubblico – IVA Prezzo al pubblico (IVA esclusa) Margine medio dettagliante Margine Ctm Altromercato Costi accessori
Prezzo Fob _ al produttore
3,55€ 0,32€ 10% 3,23€ 100% 0,96€ 29,0% copertura costi struttura e lavoro 0,72€ 22,3% copertura costi struttura e lavoro 0,56€ 17,4% – nolo mare 2,4% – sdoganamento, dazio, trasporto terra, soste, altre spese 14,3% – oneri finanziari (prefinanziamento, assicurazione) 0,8% 0,99€ 30,8% prezzo “free on board”
| numeridivalori | NUTRIENTI ENERGETICI PER 100G DI ZUCCHERO DI CANNA INTEGRALE DULCITA
Valore energetico 384,0 kcal carboidrati (zuccheri) 95,0 g proteine 0,5 g lipidi 0,2 g
MINERALI PRESENTI (MG/110G)
potassio calcio sodio magnesio fosforo ferro
MASCOBADO DI CANNA INTEGRALE
BIANCO RAFFINATO
326 126 30 26 22 6,5
2 1 1 0,2 0,3 0,3
FONTE: WWW.SOLIDEA.ORG
| numeridivalori | FONTE: CTM ALTROMERCATO
paniere
FONTE: CTM ALTROMERCATO, 2005
|
QUANTO COSTA LA SPESA [IN GRASSETTO IL PREZZO AL KG] BOTTEGA DEL MONDO
Usando come combustibile i residui di canna essiccaA CANNA DA ZUCCHERO (Saccharum officinarum), anticati al sole, si concentra il succo per evaporazione dell’acmente chiamata “canna nobile”, è una pianta tropicale qua e si ottiene lo zucchero; in quello integrale la mandella famiglia delle Graminacee, che comprende oltre canza di trattamenti chimici fa sì che il prodotto 5000 specie importanti nell’economia mantenga sapori tipici della zona di produzione che lo della biosfera e dell’uomo (basti pensadi Anna Capaccioli differenziano nettamente dallo zucchero bianco raffinare ai cereali). Originaria del sud-est to, dal punto di vista organolettico, e lo rendono un inasiatico, è simile alla canna comune ma ha il midollo grediente ricercato in alta cucina. Come composizione, i dolce e succoso. Dal fusto principale sotterraneo partodue tipi di zucchero si differenziano principalmente per no più fusti aerei, alti da 3 a 6 m, con diametro di 2-7 il contenuto in minerali (vedi tab.), mentre sono molto cm. Quando lo zucchero accumulato nella polpa biansimili per le calorie. Le linee guida alimentari raccomanca che riempie il fusto raggiunge il suo massimo (10dano un consumo moderato di zuccheri semplici, ma un 12% del peso), la canna viene tagliata con il machete cucchiaino di zucchero apporta circa 20 kcal e quindi 2(alcuni pezzi di 20-30 cm vengono piantati per ripro3 cucchiaini al giorno possono durla) e lavorata appena raccolMOVIDO A ALCOOL EVENTI SUI BIOCARBURANTI essere consumati senza demota, affinché non diminuisca il nizzare un alimento che fornisce contenuto di zucchero. Nel 1975, in seguito 4-6 maggio Agrienergie 2007, mostra convegno, Arezzo, Italia alla grande crisi energia prontamente disponibiNei paesi d’origine (vedi petrolifera mondiale, 7-11 maggio le al nostro organismo. Cronologia), la pianta viene in Brasile viene lanciato 15th European Biomass Conference and Exihibition Proalcol, piano From Research to Market Deployment, Berlin, Germany Da tempo materia prima di spesso utilizzata come alimento di incentivazione 8 maggio prodotti molto diversi (zucchero, immediato: pezzi di circa 10 cm, del biocombustibile. Renewable Fuels - Road to Energy Independence, Nel 1979 viene prodotta rum, carta, combustibile, ecc.), la delle varietà adatte, vengono Belgrade, Serbia la prima auto ad alcool, canna da zucchero è di attualità masticati estraendone il dolce la 147 della Fiat; 8-10 maggio nel 1984 le auto vendute World Refining and Fuels Conference: Europe, in seguito agli accordi internasucco; il midollo di canna frullaad alcool sono il 94%, Brussels, Belgium zionali (vedi tab.) sulla produzioto e addizionato di succo di lime nel 2000, in seguito 22-24 maggio al ribasso del prezzo ne di bioetanolo, che hanno e spezie è una bevanda diffusa; il World Biofuels 2007, Seville, Spain del barile, solo l’1%. aperto un conflitto sull’utilizzo succo estratto mediante spremiCon lo sviluppo del motore flex fuel dei prodotti agricoli come carbutura può essere bevuto fresco o Fiat, un’inversione ranti, viste le ricadute economiutilizzato come dolcificante e, di tendenza renderà il Brasile leader che sul mercato alimentare e come il decotto della polpa, posnel mercato mondiale l’aumento dei prezzi di siede proprietà benefiche del bioetanolo. alimenti base per per l’apparato respiraNel 2007 l’accordo con il Giappone numerose popotorio, tonificanti e rine con gli Usa. lazioni. frescanti.
L
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MAGGIO 2007
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SOLIDALE2
El Ceibo bio Altromercato 13,00 €/kg
Perugina
Solidal
8,00 €/kg
Esselunga bio e Ctm Altromercato 14,70 €/kg
10,00 €/kg
8,66 €/kg
Twinings Earl Grey 38,50 €/kg
Tè nero Esselunga bio e Ctm Altromercato 44,70 €/kg
Altromercato tè nero Earl Grey 61,60 €/kg
Twinings English breakfast 37,60 €/kg
Tè Solidal
Twinings Lemon scented 38,00 €/kg
Tè nero al limone Solidal 32,00 €/kg
BIO E CTM ALTROMERCATO
CACAO AMARO IN POLVERE
El Ceibo bio Altromercato 12,00 €/kg
Perugina
Altromercato tè nero Earl Grey 61,00 €/kg
36,57 €/kg
Altromercato basmati 5,50 €/kg
Scotti basmati 3,24 €/kg
Altromercato basmati 5,50 €/kg
Altromercato thai integrale 3,45 €
Suzi Wan basmati 4,36 €/kg
Altromercato thai aromatico bio 3,85 €
SUCCO D’ARANCIA 100%
Altromercato 2,00 €/l
Santal non zuccherato 1,50 €
Altromercato
ZUCCHERO DI CANNA
Altromercato Dulcita bio 3,70 €/kg
Demerara Sugarville Toschi Mauritius 2,84 €/kg
CREMA SPALMABILE AL CACAO
Altromercato Cajta con anacardi e nocciole 6,25 €/kg
Ferrero Nutella bicchiere 200g 7,45 €/kg vaso 750g 4,52 €/kg
Altromercato
Esselunga
2,85 €/kg
1,69 €/kg
CIOCCOLATO FONDENTE TAVOLETTA 100G
Commercioalternativo Antilla cacao 70% 15,50 €/kg
Perugina Nero cacao 70% 12,00 €/kg
Altromercato bio Mascao cacao 73% 15,50 €/kg
Fondentenero Novi Solidal extra amaro extra amaro cacao 72% bio cacao 70% 9,20 €/kg 9,80 €/kg
CIOCCOLATO AL LATTE TAVOLETTA 100G
Altromercato Companera cacao 32% 11,00 €/kg
Lindt Lindor al latte 13,20 €/kg
Altromercato bio Mascao cacao 32% 15,50 €/kg
Novi cacao 30% 8,50 €/kg
Solidal bio cacao 39% 9,80 €/kg
CIOCCOLATINI ASSORTITI
Altromercato al latte ripieni 16,50 €/kg
Perugina Fantasia Grifo 13,12 €/kg
Altromercato al latte ripieni 16,50 €/kg
Perugina al latte e fondenti 11,60 €/kg
Solidal ripieni assortiti 11,00 €/kg
Altromercato bio caffè 13,00 €/kg
Lindt cioccolatini assortiti 24,32 €/kg
BANANE
Esselunga bio e Ctm Altromercato 3,38 €/kg
Altromercato Dulcita bio 3,70 €/kg
Demerara 2,88 €/kg
Solidal biologico 2,80 €/kg
Altromercato Cajta con anacardi e nocciole
Ferrero Nutella
Solidal con nocciole
6,25 €/kg
4,92 €/kg
5,00 €/kg
Chiquita
Solidal biologico 2,70 €/kg
2,00 €/kg
Altromercato miscela pregiata arabica 100% 11,00 €/kg
Lavazza qualità oro arabica 100% 11,16 €/kg
1516 Dai Caraibi parte per l’Europa il primo carico di zucchero di canna
Solidal arabica 100% bio 9,60 €/kg
[1] MEDIA DI PREZZI DI VENDITA APPLICATI IN PUNTI DI VENDITA IPERCOOP E COOP DIVERSI, IN PERIODI COMPRESI TRA FINE 2006 E APRILE 2007
[2] PREZZI MEDI NAZIONALI
ACQUISTI DOMESTICI NAZIONALI DI ZUCCHERO DI BARBABIETOLA E DI CANNA NEL PERIODO 2002-2006 2002
2003
2004
2005
2006
di barbabietola 275.194
248.529
254.444
235.744
232.770
4.752
4.682
5.554
6.122
6.995
di barbabietola 259.001
235.342
244.352
221.437
214.840
10.347
12.422
13.487
16.291
di canna VALORI (.000 EURO)
di canna PREZZO MEDIO (EURO/KG)
10.028
di barbabietola
0,94
0,95
0,96
0,94
0,92
di canna
2,11
2,21
2,24
2,20
2,33
1100 Prime coltivazioni nei Paesi mediterranei: Creta, Marocco, Cipro, Spagna meridionale, Sicilia 1493 La canna da zucchero passa dal Portogallo alle Indie Occidentali, portata da Cristoforo Colombo
Altromercato bio caffè 13,00 €/kg
QUANTITÀ (TONN.)
CRONOLOGIA ESSENZIALE alcuni millenni a.C. Prime coltivazioni di canna da zucchero in Asia e Nuova Guinea
Solidal senza zuccheri aggiunti 1,15 €
Esselunga bio e Ctm Altromercato 2,85 €/kg
Esselunga bio e Ctm Altromercato arabica 100% 12,60 €/kg
Solidal thai profumato 2,80 €/kg
Skipper Zuegg senza zucchero 1,33 €
2,00 €/l
Compagnia Arabica Colombia Medellin arabica 100% 12,72 €/kg
CAFFÈ MACINATO PER MOKA 250G
FONTE: ISMEA-ACNIELSEN HOMESCAN
.
MARCHIO1
MARCHIO
RISO
Il commercio dello zucchero è stato il motore per gli imperi colonialisti nei secoli scorsi; oggi la canna da zucchero è origine di nuovi grandi interessi economici internazionali e di tensioni sociali.
COOP
SOLIDALE
SOLIDALE
TÈ IN FILTRI
Carburante per l’organismo
ESSELUNGA
PRODOTTO
secolo XVII Inglesi, olandesi e francesi stabiliscono piantagioni caraibiche di canna da zucchero 1747 Il chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf dimostra che i cristalli dal sapore dolce ricavati dal succo di barbabietola sono gli stessi che si ottengono dalla canna da zucchero secolo XIX Lo scienziato tedesco Franz Karl Achard mette a punto il metodo di estrazione dello zucchero dalla barbabietola e inizia la produzione industriale del prodotto che, insieme all’abolizione della schiavitù, rende la coltivazione della canna da zucchero meno redditizia, provocando una flessione della produzione di zucchero di canna fine anni ‘60 In Olanda nascono i Cane Sugar Groups (Gruppi dello Zucchero di Canna), che manifestano gli obiettivi politici attraverso la vendita dello zucchero di canna e danno vita alle prime “Botteghe del mondo”, in cui si vendono anche prodotti dell’artigianato 1985 Crisi mondiale dello zucchero
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ANNO 7 N.49
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MAGGIO 2007
| valori | 81 |
| padridell’economia |
Reinhard Selten
Anno 7 numero 49. Maggio 2007. € 3,50
valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Dieci numeri annui di Valori
+
9
Fotoreportage > Cina
Undici numeri annui di Nigrizia
PATRICK ZACHMANN / MAGNUM PHOTOS
La teoria dei giochi “non cooperativi”
788888 856230
Inserto speciale > Terra futura
Dossier > Oltre la delocalizzazione tornano d’attualità reddito e occupazione
Lavoro del futuro
di Francesca Paola Rampinelli
Finanza etica > La sfida di Intesa San Paolo si chiamerà Banca Prossima Honduras > Il microcredito oltre il chicco, si tocca con mano Vestire > La filiera eco solidale raddoppia la convenienza
a
47 euro
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.
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| 82 | valori |
ANNO 7 N.49
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MAGGIO 2007
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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità 788888 856230
Inserto speciale > Terra futura
maggio 2007
Dieci numeri annui di Valori
+
Fotoreportage > Cina
Dieci numeri annui di Italia Caritas Dossier > Oltre la delocalizzazione tornano d’attualità reddito e occupazione
Lavoro del futuro Finanza etica > La sfida di Intesa San Paolo si chiamerà Banca Prossima Honduras > Il microcredito oltre il chicco, si tocca con mano Vestire > La filiera eco solidale raddoppia la convenienza
a
40 euro
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
valori
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L - N U M E RO 4 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
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ha ricevuto il premio Nobel per avere svolto un lavoro fondamentale nell’ambito della teoria dei giochi. Selten, nato in Germania nel 1930 e laureato in Matematica all’Università di Francoforte nel 1957, ha ottenuto il Ph.D. in Matematica nel 1961 e la Habilitation in Economics nel 1968. Ha insegnato presso le Università di Berlino, Bielefeld e Bonn ed è stato uno dei pionieri dell’economia sperimentale. «Si osservava il comportamento economico effettivo dell’uomo che non sempre è razionale come vorrebbe la teoria», ha spiegato il professore. Lo studioso tedesco però si è occupato da subito delle teorie delle strategie e dei comportamenti umani e, in particolare, ha lavorato alla teoria dei giochi, nata negli anni ’40 ad opera di Von Neumann e Morgenstern. Si tratta di un modello matematico di situazioni di conflitto e competizione tipiche di diversi giochi come le carte, gli scacchi, la dama, in cui il risultato dei singoli partecipanti dipende non solo dalle proprie azioni (mosse) ma anche da quelle degli altri. Selten, partendo da questo modello, ha studiato lo sviluppo della teoria dei giochi “non cooperativi” che ha illustrato chiarendo che “la teoria non cooperativa è semplicemente una modellazione più dettagliata di quella cooperativa. Non si tratta di una teoria con cui non può essere compresa la cooperazione, ma di una teoria in cui la cooperazione non è considerata come ovvia, deve essere per così dire spiegata in maniera endogena attraverso l’analisi di giochi che, fin dall’inizio, non sono Il premio Nobel tedesco per forza di cose cooperativi”. Reinhard Selten ha sviluppato In pratica i campi di applicazione di queste teorie si sono rivelati il modello matematico che può molto ampi infatti Stelten stesso ha spiegato che “la teoria dei giochi, essere applicato in discipline oltre che nel campo dell’economia, è utilizzata in maniera molto quali la politica, le scienze importante in diverse discipline quali ad esempio la politica, militari, la scienza della pace le scienze militari, la scienza della pace. È molto forte, inoltre, e anche la biologia la relazione con la biologia, poiché in biologia si parte dal presupposto che l’evoluzione, la selezione naturale, provochi una tendenza all’ottimizzazione; quando in situazioni di conflitto è presente la tendenza alla selezione, essa porta all’equilibrio teorico del gioco. Per questo si è rivelato molto fruttuoso utilizzare l’analisi della teoria dei giochi per spiegare il comportamento degli animali”. In pratica si è dimostrato che il comportamento economico dipende da utilità che spesso si trovano in conflitto tra loro: se è vero che l'esito dei "giochi economici" è nelle mani di almeno due giocatori, che determinano solo in maniera congiunta le "partite" condizionandosi a vicenda, essi valutano però individualmente le proprie strategie, in base a "funzioni di utilità" discordi. Il giocatore ha cioè il diritto irrinunciabile di scegliere la strategia che preferisce. Supponiamo, però, che uno dei partecipanti proponga una certa soluzione, lasciando poi liberi gli altri di decidere, autonomamente e in isolamento, se seguire o no il consiglio. Certamente un giocatore razionale non vi si atterrebbe, se pensasse di ottenere un risultato migliore sfruttando un'altra strategia; dunque, condizione necessaria perché la soluzione proposta sia rispettata da ciascun giocatore è che essa rappresenti l'utilità massima di ognuno quando tutti vi si attengono, di modo che nessuno, preso singolarmente, ricaverebbe un'utilità maggiore dall'uso di un'altra strategia. Questa situazione, ribattezzata "equilibrio di Nash", dimostra che la cooperazione non è tra i presupposti del gioco e nemmeno ne costituisce un esito obbligato, ma uno tra i suoi risultati possibili.
Anno 7 numero 49. Maggio 2007. € 3,50
PATRICK ZACHMANN / MAGNUM PHOTOS
N MATEMATICO PRESTATO ALL’ECONOMIA, Reinhard Selten, che, nel 1994, insieme a John Nash e John Harsanyi,
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