Anno 7 numero 51. Luglio/Agosto 2007. € 3,50
valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
PETER MARLOW / MAGNUM PHOTOS
Fotoreportage > Aeroporti
Dossier > La nuova filosofia del basso costo sta devastando l’economia
Low contro slow Contrabbando > L’Italia ancora paradiso per i signori delle armi Australia > Il continente tocca con mano i cambiamenti climatici Economia solidale > Prima mappa ragionata dei Distretti Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.
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Low cost
Una falsa democrazia di Andrea Di Stefano
«L BDL SGR
A “RYANAIR SOCIETY” TENDE A SPOSTARE IL “BASTONE DEL COMANDO” dai produttori ai consumatori: più offerte a basso costo, più potere d’acquisto, più capacità della “classe senza classe” di incidere sulle scelte produttive. Tutto è alla portata di tutti: vacanze, case, beni di un certo valore, cure mediche, merci e servizi un tempo destinati a ceti più affluenti. E tutto ciò grazie al nuovo modello di business creato dalla società low cost e basato su un’offerta semplice ed economica, standardizzata ma anche personalizzata, e sull’eliminazione di tutti i costi e di tutti gli intermediari inutili fra imprese e consumatori. Un modello che taglierà definitivamente fuori quelle imprese che “si ostineranno a produrre o a organizzare modelli di offerta pensati per un consumatore che non c’è più”. Una “rivoluzione” – quella del low cost – non priva di contenuti democratici, dunque, anche se molto “insidiosa” per il mondo politico che appare al momento impreparato a raccogliere questa sfida. C’è bisogno di una classe politica che comprenda questa realtà e agisca di conseguenza smussando la tendenza al “totalitarismo consumistico” della società low cost e spingendo in direzione di un’umanizzazione di questa nuova realtà sociale». Parole molto chiare quelle usate da Giacomo Nardozzi e Massimo Gaggi che al tema del low cost hanno dedicato un libro-manifesto, La fine del ceto medio. Significativo dell’ultima rivoluzione imposta dal business. Che nasconde in tutti i modi i costi del basso costo che descriviamo e svisceriamo nel dossier di questo numero di Valori. La società low cost è all’insegna della fretta, del mordi e fuggi, del consumo senza se e senza ma, della pecunia non olet. Un modello che si regge non tanto e non solo sui bassi salari e sul lavoro precario, ma soprattutto che sfrutta il danaro pubblico per indirizzare orde di persone verso località turistiche, che sfrutta al meglio le logiche federative nel senso peggiore per il territorio. Non si sviluppano le eccellenze ma si sfruttano le indecenze, il consumo di aria, salute, territorio, cultura. Ci si muove alla rincorsa della fretta azzerrando tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Non è un caso che la società principe del low cost, Ryanair, sia anche l’artefice dello sviluppo di decine di piccoli scali aeroportuali in aree potenzialmente depresse o al di fuori dei circuiti convenzionali. E le amministrazioni locali sono pronte a mettere sul tavolo decine e centinaia di milioni di euro per finanziarie grandi opere e infrastrutture pur di attrarre il turismo che arriva con i voli a basso costo. Una filosofia che subito si è estesa alle vetture, al cibo, ai vestiti e perché no alla fruizione della cultura. Dove si sostituisce al cittadino il consumatore, o meglio la dittatura del consumo che rade al suolo qualsiasi domanda, riflessione, approfondimento. Scandagliare anche in termini economici il fenomeno del low cost significa ragionare sul valore dello slow, a partire dal cibo che è e rimane una delle poche bandiere che grazie a Carlin Petrini possiamo issare sul paese Italia ed esportare nel mondo. All’insegna di ben altri slogan. Buono, pulito e giusto saranno le idee forti del Salone del Gusto e di Terra Madre del prossimo anno. L’auspicio è che diventino un vero manifesto per chi pensa che la sobrietà possa essere un punto di riferimento per i cittadini che non si rivendicano di essere tali.
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| sommario |
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anno 7 numero 51 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore
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MASSIMO SIRAGUSA / CONTRASTO
luglio/agosto 2007 mensile
Londra, Stansted. Gli aeroporti londinesi sono tra i più trafficati d’Europa per numero di passeggeri.
Gran Bretagna, 2003
bandabassotti
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fotoreportage. Aeroporti
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dossier. Low cost Cieli arati e caos climatico in volo Alati privilegi da abbattere Ciampino: un'anomalia europea al servizio del low cost Malpensa, una coperta troppo stretta
16 18 20 24 28
lavanderia
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finanzaetica
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Assemblea ad alto tasso di partecipazione Nostro signore delle guerre
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bruttiecattivi
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economiasolidale
stampa
Una. Nessuna. E centomila Dal pane al telefono, la produzione condivisa Un territorio difficile, unirsi per cambiarlo Africa il copyright sul continente
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| bandabassotti |
Cesare Geronzi
Il gran elemosiniere degno erede di Cuccia di Andrea Di Stefano
L FINANCIAL TIMES C’È ANDATO GIÙ DURO. Ma forse ha peccato di un errore di valutazione. «Roma alla nuova conquista di Milano», ha scritto il quotidiano della city londinese. Che ha poi aggiunto: «Mr Cuccia si starà rigirando nella tomba». Paul Betts, nella sua corrispondenza, ripercorre la rivalità che da sempre divide la capitale e il capoluogo lombardo. E non può non notare che «le credenziali romane» di Geronzi «sono semplicemente impareggiabili». Mentre Cuccia, rileva Betts, «può anche essere stato un discepolo di Machiavelli ma il suo grande risultato è stato mettere Mediobanca al servizio finanziario del paese senza renderla mai schiava dell’establishment romano». Ma forse la sorte di Mediobanca non è poi così anomala. La carriera di Geronzi nasce alla Cassa di Risparmio di Roma: il primo colpo fu l’acquisizione del Banco di Santo Spirito dall’Iri di Romano Prodi. Il secondo l’assorbimento del Banco di Roma dall’Iri di Franco Nobili, manager legatissimo ad Andreotti, con un’incredibile operazione a costo zero, «intorno alla quale», commentò il futuro commissario della Consob Salvatore Bragantini, «i registi dell’operazione hanno saputo creare un insolito consenso politico». Mica tanto insolito, se si considera che quell’operazione aveva la targa del Caf, l’asse Craxi-Andreotti-Forlani che allora governava l’Italia. Il potere di Geronzi cresceva comprensibilmente incontrastato. Siccome il denaro non ha odore, tutti (o quasi) Nonostante le sospensioni a raffica i partiti si abbeveravano alla Banca di Roma. per i tanti scandali bancari Il Psi, la Dc, i liberali e i socialdemocratici. l’artefice del capitalismo Uno snodo centrale fu quando Geronzi intuì di relazione, ovvero dei furbetti che Silvio Berlusconi e le sue reti televisive non solo del quartierino, avevano un futuro: mentre le altre approda alla guida di Mediobanca banche gli voltarono le spalle, il banchiere romano intervenne a fianco del leader di Forza Italia. Ma anche il Pds, che nel 1997 arrivò ad essere esposto con l’ istituto di Geronzi per 203 miliardi di lire. Soprattutto, quel rubinetto alimentava molti imprenditori considerati parte integrante di quel mondo nel quale la politica c’entra sempre qualcosa, come Domenico Bonifaci, Giuseppe Ciarrapico, Sergio Cragnotti. Fino all’inevitabile coinvolgimento nell’affare del calcio, che ha portato Capitalia ad essere addirittura il primo azionista della Lazio. In un intreccio di rapporti, anche personali, sempre più fitto, che la fine politica di Andreotti non ha affatto scalfito e che negli anni successivi ha conosciuto nuovi sviluppi. Un’altra tappa fondamentale è stata l’acquisizione del Mediocredito centrale, avvenuta con il sostegno di Fazio e il benestare del governo di Massimo D’Alema, ha consentito alla Banca di Roma di acquisire il Banco di Sicilia. Prima di conquistare, dopo un durissimo scontro politico, la Bipop. Operazione che ha completato la lunga metamorfosi della Banca di Roma in Capitalia. Grazie all’ appoggio sempre più esplicito (e da molti criticato) dell’allora Governatore di Banca d’Italia. È con l’appoggio di Fazio che Geronzi ha pilotato la privatizzazione della banca, dosando sapientemente il peso degli azionisti. Ed è con l’appoggio di Fazio che Capitalia e le banche alleate hanno conquistato le Generali e scalzato da Mediobanca Vincenzo Maranghi.
I
CISL
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| fotoreportage | PETER MARLOW / MAGNUM PHOTOS
> Aeroporti foto di Peter Marlow / Magnum Photos
L’aeroporto è uno dei simboli della modernità. Un “nonluogo” dove si vive un’esperienza di solitudine collettiva, dove l’esistenza è in attesa di una nuova collocazione. Eppure i “nonluoghi”, antitesi della dimora e dell’utopia, sono sempre affollati da individui che non integrano nulla tra passato e presente e dove l’identità è solo un incidente burocratico.
L’
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antropologo francese Marc Augé li annoverava tra i “nonluoghi” della terra civilizzata, al pari degli autogrill, delle stazioni ferroviarie e dei supermercati. Il “nonluogo” è l’esatto contrario di una dimora, di una residenza. È uno spazio di transito, dove le esistenze aspettano una nuova destinazione, sospese nell’attesa. Spesso sono senza barriere, per questo scelti dagli ultimi e dai primi, dai poveri e dai ricchi. Luoghi dove gli incontri più bizzarri sono probabili, oltreché possibili, perché vi regna l’anonimato, anche se a volte bisogna dar prova della propria identità. Gli aeroporti sono terra di tutti e di nessuno. I passeggeri sono identificati dalla loro destinazione e tutto ciò che incontrano sul loro cammino non integra nulla tra passato e presente, antico e moderno. I cartelli pubblicitari posizionati in punti precisi scorrono come icone esotiche che propongono un mondo da imbonitori medioevali, lontanissimo dalla realtà, e autorizzano i viaggiatori anonimi a una coesistenza inutile, giusto il tempo di percorrenza. Gli uomini nei luoghi sono abituati a organizzare il loro tempo e il loro spazio. Si incontrano, si riconoscono, si alleano sulla base delle loro identità, politiche, sociali, etniche ed economiche. In aeroporto si è identificati solo all’entrata e all’uscita. Del viaggiatore si sa tutto, ma a chi interessa? Si conquista l’anonimato solo dopo aver presentato il passaporto. Un luogo simbolo della modernità è la negazione del “durante”, della socializzazione, del sogno e dell’utopia. Forse è anche per questo che i terroristi prendono di mira per le loro azioni stazioni e aeroporti. I “nonluoghi” sono molto frequentati anche da chi non deve viaggiare, comprare o pernottare. In qualsiasi aeroporto, supermercato o stazione c’è sempre gente. C’è sempre qualcuno in cerca di qualche cosa. Una forza d’attrazione che cresce, nonostante le analisi negative, le critiche, gli scongiuri degli esperti. La risposta a questo fenomeno è da ricercare nella mancanza di attrattività dei territori, del loro scarso peso e di quello delle loro tradizioni. La solitudine collettiva dei “nonluoghi” e soprattutto la loro coesistenza con i luoghi sono ormai necessari all’esperienza umana. Scrive Augé: «...mai le storie individuali sono state così coinvolte nella storia generale, nella storia tout court. A partire da qui tutti gli atteggiamenti individuali sono concepibili: la fuga, ma anche l’intensità dell’esperienza o la rivolta contro i valori stabiliti. Non c’è più analisi sociale che possa tralasciare gli individui, né analisi degli individui che possa ignorare gli spazi attraverso i quali essi transitano».
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L’AUTORE Peter Marlow Nato a Kenilworth, in Gran Bretagna, nel 1952, Peter Marlow viene spesso definito un fotogiornalista. Il suo progetto fotografico si è tuttavia negli anni connotato per una forte ricerca formale. La sua fama di reporter è legata alle immagini realizzate in Libano e alla documentazione del conflitto armato nell’Irlanda del Nord. La ricerca sul colore e sugli aspetti formali della composizione dell’immagine lo rendono un fotografo particolare, che coniuga i dettagli sociali e antropologici del fotogiornalismo con una accurata analisi cromatica e dell’inquadratura. Fotografa utilizzando prevalentemente il medio formato. All’inizio degli anni ‘70 ha iniziato la sua collaborazione con l’agenzia parigina Sygma, reduce da un incarico come fotografo su navi da crociera italiane che si dirigevano verso i Caraibi, da cui è rientrato con un reportage su Haiti. Una ricerca fotografica su Liverpool negli anni di Margaret Thatcher ha ricevuto numerosi premi e nel 1986 la sua raccolta di fotografie, Remembering Vietnam, è stata premiata dall’Arts Council of Great Britain. Nel 1998 ha vinto Photographers Gallery Award e il National Headline Award. Autore di numerosi reportage in Giappone e Usa, ha documentato l’ascesa del leader laburista Tony Blair con un esclusivo lavoro di ripresa fotografica. Dal 1980 è membro di Magnum Photos rappresentata in Italia da Contrasto.
Il “Gallatin Field” aeroporto di Bozeman nel Montana. Due bambini appena sbarcati attendono i genitori agli arrivi. Secondo l’ultimo rapporto Enac, i passeggeri commerciali tra Italia e Usa ammontano a 3 milioni e il 4,8% del traffico aereo totale è diretto verso il Nord America.
> Aeroporti
Usa, 2002
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| fotoreportage |
A sinistra, l’aeroporto di Rodi. Da sopra a sotto, il Marco Polo a Venezia, il Narita a Tokyo e quello di Gatwick a Londra. Il primato in Italia per trafficio passeggeri spetta a Malpensa e Fiumicino. A livello europeo il più trafficato è quello di Londra, a livello mondiale è l’aeroporto di Atlanta negli Usa (dati rapporto Enac 2005).
Grecia, 1999 / Italia, 2005 Giappone, 2003 / Gran Bretagna 2005
> Aeroporti
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Heathrow. Un pubblico numeroso cerca di riportarsi a casa uno scatto dell’ultimo volo del Concorde, il primo risaliva al 1976. Era un aereo supersonico costruito dalla francese Aérospatiale e dalla britannica British Aerospace.
> Aeroporti
Inghilterra, 2003
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| fotoreportage |
A destra, un aereo sta decollando dall’aeroporto di Heathrow a Londra. Da sopra a sotto, Darwin, Mykonos e New York. Il 73 per cento del traffico aereo italiano è diretto verso paesi dell’Unione Europea, il 6,3 per cento verso l’Asia, il 6,6 verso Paesi africani e il 6,9 per cento verso Paesi che non sono ancora entrati a far parte della Ue (dati rapporto Enac 2005).
Grecia, 1999 / Australia, 2004 Usa 2002 / Gran Bretagna, 2003
> Aeroporti
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a cura di Paola Baiocchi, Marinella Correggia e Elisabetta Tramonto
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Cieli arati, terreni consumati >18 Epidemia: l’Italia soffre di aeroportite >22 Ciampino: anomalia europea >24 Lavoro molto troppo precarrio >26
dossier
Heathrow, Londra. Viabilità slow per favorire i voli.
Gran Bretagna, 2003
Low cost
Corto respiro Il boom dei voli a basso costo alimenta un sistema di trasporrti dannoso per l’ambiente anche grazie allla presunta liberalizzazione dei cieli, finanziata con ingenti risorse pubbliche
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Cieli arati terreni consumati per business privati di Marinella Correggia
aso per aria fra le casupole lamierate, lo guardano passare basso e rombante nel cielo lattiginoso. Su quell’Airbus 380, l’aereo più grande del mondo tre piani letti matrimoniali sauna, gli abitanti delle baraccopoli vicine all’aeroporto di Mumbai non saliranno mai; né saliranno, probabilmente, su un charter o un volo low-cost. Solo il 5 per cento della popolazione mondiale vola. Quanto agli altri, gli aerei passano sulle loro teste e sui loro corpi, contribuendo a renderli vittime del caos climatico. Il trasporto aereo di persone e merci ha di gran lunga il maggiore impatto climatico fra tutti i mezzi di trasporto, sia che lo si misuri in termini di passeggero/chilometro, tonnellata/chilometro o euro speso.
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Copenhagen. Uno scivolo nella zona bimbi dell’aeroporto: tutto all’insegna del volo.
Danimarca, 2003
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È attualmente responsabile di una percentuale che varia fra il 4 e il 9 per cento sul totale delle emissioni di gas serra imputabili alle attività umane. Perché un’oscillazione così importante? E perché l’industria aeronautica sostiene che il settore produce solo il 3 per cento delle emissioni totali di CO2 (anidride carbonica)? Il fatto è che l’anidride carbonica non è l’unico gas serra prodotto dagli aerei: l’effetto climalterante (radiative forcing) combinato di CO2, ozono, vapore acqueo, scie di condensa, moltiplica il dato sulla CO2 per un fattore variabile fra 2 e 4, il fattore più probabile essendo 2,7. Lo ha fatto notare per la prima volta l’ormai famoso Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) nel 1999 con il suo studio Special Report on Aviation and the Global Atmosphere. Anche uno studio del 2005 pubblicato sulla rivista scientifica Meteologische Zeitung ha stimato il contributo dell’aviazione in un range fra il 3,7 e il 9,2 per cento del totale delle emissioni man-made. Per il California Institute of Technology la responsabilità climatica del settore è già a un tondo 10 per cento. In Europa varia fra il 5 e il 12 per cento delle emissioni totali del continente. Ma ciò che preoccupa di più è il fatto che il trasporto aereo cresce in modo forsennato e così le sue emissioni di CO2: più 100% rispetto al 1990, anno di riferimento del protocollo di Kyoto. E nell’Ue
LA BEI FINANZIA IL CAOS CLIMATICO IL NUOVO ACCORDO RAGGIUNTO DAL CONSIGLIO EUROPEO lo scorso marzo, che prevede una riduzione del 30% delle emissioni di gas serra entro il 2020, ha trascurato due elementi importantissimi: la crescita esponenziale in Europa del settore dei trasporti, in particolare quello aereo, e il ruolo chiave svolto dalla Bei. La Banca Europea per gli Investimenti (Bei), con il suo portfolio di prestiti superiore ai 45 miliardi di Euro l’anno, è attualmente la più grande istituzione finanziaria internazionale. In qualità di banca dell’Ue, dovrebbe rispettarne e attuarne i fini fondamentali: sviluppo sostenibile, lotta ai cambiamenti climatici, protezione della biodiversità, contributo al raggiungimento degli obiettivi del Millennio. Ma i suoi prestiti disegnano un quadro ben diverso. La Bei gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del trasporto in Europa, settore responsabile del 30% dei gas serra. Negli ultimi dieci anni ha realizzato investimenti in questo settore per più di 112 miliardi di Euro, circa un terzo del suo bilancio. Questo enorme esborso è avvenuto, e avviene tuttora, in assenza di una politica e di criteri chiari per la concessione dei prestiti. L’impatto climatico dei progetti, ad esempio, le sfugge. Sembra piuttosto preoccupata degli interessi dei suoi clienti. Infatti gran parte del capitale è investito in opere che alimentano il cambiamento climatico: oltre alla costruzione di nuove autostrade, lo sviluppo degli aeroporti e il finanziamento di imprese quali Easyjet o Jaguar. Un rapido sguardo ai dati rende la portata delle responsabilità della Bei: le emissioni totali di CO2 derivanti dai progetti di ampliamento aeroportuale da essa finanziati - il Terminal 5 di Heathrow e di Schipol, il Terminal 4 di Madrid Bajaras - a pieno regime, superano le emissioni totali annue di paesi quali Nuova Zelanda, Svizzera, Irlanda, Norvegia, Slovacchia. Un confronto impressionante considerando gli impegni assunti dall’Europa. Gli investimenti della Bei sono in palese contraddizione con gli obiettivi dell’Ue sul cambiamento modale dei trasporti e la riduzione dei gas serra. Ma non è tutto. La Bei, per statuto ed in qualità di banca pubblica, non potrebbe sostenere progetti finanziabili con altri strumenti o settori in forte crescita in grado di reperire capitali dal mercato. In questo quadro appare inaccettabile che la Bei stia valutando un terzo prestito di 120 milioni di euro per un’ulteriore estensione della capacità cargo dell’aeroporto di Malpensa: uno degli scali europei con la più alta crescita di passeggeri e di voli cargo e con un ente gestore, la Sea, che ha registrato nel 2006 un utile netto di quasi 35 milioni di euro. Per queste ragioni l’organizzazione europea Cee Bankwatch Network ha condotto uno studio approfondito circa i finanziamenti della Banca europea per gli investimenti nel settore trasporti, sul periodo 1996-2005. Il risultato è il recente rapporto Lost in Transportation: Bankwatch chiede di interrompere immediatamente la concessione di prestiti al trasporto aereo e di ridirezionare lo sviluppo del trasporto urbano, intermodale e ferroviario. L’Italia è uno dei paesi che detiene la maggiore quota di capitali della Bei (16,1%), insieme a Francia, Germania e Inghilterra. Partecipa ai suoi organi direttivi, il Consiglio dei Governatori e il Consiglio dei Direttori, attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Può quindi giocare un ruolo chiave nel promuovere una profonda riforma, per trasformare la Bei in uno strumento al servizio del pubblico interesse e delle politiche di sviluppo sostenibile in Europa. Anela Steffanova Bankwatch Caterina Amicucci CRBM
La congestionata aviazione civile (trasporto di persone e merci) è la minaccia contro il clima che cresce più velocemente. Finanziata con denaro pubblico che invece dovrebbe tagliare la CO2
a 25 stati, il numero dei voli - dunque l’entità delle emissioni - raddoppierà nel 2020 rispetto al 2003 secondo le stime di Eurocontrol, riportate dal Progetto di relazione sulla riduzione dell’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici, della Commissione ambiente del Parlamento europeo. Responsabili dell’enorme aumento i voli low cost e la deregulation del settore che ha portato a una corsa verso il basso delle tariffe. Secondo lo studio Delft To Shift or Not to Shift del 2003, le emissioni di CO2 per chilometro per passeggero di un aereo sono in media dieci volte maggiori di quelle di un treno Intercity; ma volare costa meno della ferrovia e così si vola tanto anche sulle brevi distanze: il 45% del totale dei voli europei sono di meno di 500 km (e il 70% di meno di 1.000). Non per nulla un deputato inglese ha proposto una soluzione drastica: vietare i voli di meno di 500 km. Anche il trasporto merci per via aerea cresce velocemente. Ma la media dei costi climatici esternalizzati per gli aerei è di 271,3 euro per 1.000 t/km (mille tonnellate trasportate per un km), per i treni di 17,9 euro, per le navi di 22,5, per i camion di 87,8. Il rinnovo della flotta ridurrà le emissioni? Improbabile. Secondo uno studio del Dutch Aerospace Laboratory (Nlr 2005) rispetto agli anni ‘50 l’efficienza dei velivoli è cresciuta pochissimo. Per darsi un look verde la compagnia low-cost Easy Jet ha chiesto ai governi europei di sussidiare la rottamazione da qui al 2012 i 700 aerei più “vecchi” (ante 1990) e inquinanti; il che farebbe risparmiare il 5% delle emissioni, nulla di fronte alla crescita dei voli. Del resto gli aerei sono costosi e hanno una lunga vita; chi pagherebbe per il loro babypensionamento? La congestione dei cieli inquina anche a terra, e vicino a terra. La moltiplicazione delle grandi opere aeroportuali risponde a un aumento dei voli e al tempo stesso lo favorisce. Oltre a occupare e cementificare i suoli, gli aeroporti sono fonti di inquinamento acustico (giorno e notte) e atmosferico (particolato e ossidi di azoto) che colpiscono milioni di persone in tutta Europa (vedi ARTICOLO Ciampino. Un’anomalia europea al servizio dei low-cost).
Voli a basso prezzo: diritto o privilegio? I costi ecologici e perfino economici dell’aviazione sono i più
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SITI DA CONSULTARE www.comitatoaeroportociampino.it (sito della rete dei comitati e movimenti contro l’aeroporto di Ciampino) www.notangenziale.it (sito del Comitato contro la tangenziale per Malpensa) www.enac-italia.it (sito dell’ente nazionale aviazione civile: si occupa della gestione del traffico e assegna gli slot alle compagnie) www.assaeroporti.it (sito dell’associazione italiana gestori aeroporti che sostiene l’espansione degli scali) www.trasportenvironment.org (in inglese, sito della federazione europrea transport and Environment, la principale organizzazione del continente sul tema del trasporto sostenibile, sostenuta da 49 associazioni in 21 paesi). www.airportwatch.org.uk (rete inglese di associazioni ambientaliste nazionali e comunità residenti vicino agli aeroporti; conduce un’intensa campagna contro la politica governativa e industriale di espansione dell’aviazione e degli aeroporti) www.planestupid.com (coalizione di cittadini inglesi specializzati in azioni dirette nonviolente contro l’espansione dell’aviazione e degli aeroporti) www.chooseclimate.org (modello che calcola le emissioni individuali di Co2 per un determinato tragitto in aereo) www.seat61.com (un sito per aiutare ad andare in treno o in nave dalla Gran Bretagna in quasi tutto il mondo) www.loco2.co.uk (avventure di viaggio no-fly a basse emissioni di CO2) www.soilassociation.org/airfreight (per partecipare alla consultazione di Soil Association sugli alimenti bio ma trasportati in aereo)
esternalizzati di tutti (per le enormi esenzioni fiscali e altrettanto giganteschi sussidi, vedi ARTICOLO Alati privilegi da abbattere) . Così volare costa poco. Significa che l’aereo è (diventato) un mezzo democratico, popolare, il diritto alla mobilità regalato ai poveri? Non proprio. Il Progetto di relazione 2005/2249 della Commissione ambiente del Parlamento europeo se ne rende conto: «Volare è per i più abbienti a livello europeo e mondiale». Altro che diritto umano esteso ai poveri: la British Civil Aviation Authority, organo governativo che regola il settore in Gran Bretagna, ha verificato che il segmento più ricco della popolazione - un quarto degli inglesi - copre il 50% dei voli in partenza dagli aeroporti del paese, mentre il segmento più basso - il 27% degli inglesi - è fermo al 6-7%. Anche uno studio sociologico in Germania ha rilevato che treni e pulman sono i mezzi di trasporto utilizzati dalle frazioni di reddito più modeste; analisi confermata da una ricerca condotta nel principale aeroporto low-cost tedesco, Colonia-Bonn: dove il reddito mensile medio dei passeggeri (ripetiamo: low cost!) si è rivelato essere il doppio di quello del paese. Quanto alla nazionalità, sono i cittadini occidentali a totalizzare l’80 per cento dei voli sulla Terra. Dovrebbe infine far riflettere il fatto che il settore contribuisce al prodotto interno lordo globale nella misura dell’1% e crea lo 0,1% dei posti di lavoro. Tanto effetto serra per nulla.
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LA DECRESCITA DELLE AUTO LA PAROLA D’ORDINE L’HA LANCIATA Katsuaki Watanabe, capo della Toyota: «Puntiamo sulla tecnologia low cost» materiali, design e processi produttivi a costi ridotti. . I costruttori di auto a basso costo, soprattutto in Cina e India, sono interessati ad conquistare una fetta dei mercati del Nord America e dell’Europa. Nuovi marchi provenienti dai mercati emergenti cattureranno sicuramente parte del mercato, sia domestico che straniero. I maggiori costruttori di auto al mondo ne sono consapevoli e hanno deciso di sfidare i Paesi emergenti sui costi, piuttosto che sulla ricerca. E l’intero mercato automobilistico, si è lanciato alle spalle il discorso ecologico per puntare alla conquista del nuovo boom economico asiatico con delle auto da 2000 euro. Per arrivare al prezzo si toglie tutto quello che è superfluo, a cominciare dai dispositivi di sicurezza e antinquinamento; per questo le economiche macchinine per il momento non saranno destinate ai mercati occidentali, molto regolamentati. E mentre tutti i grandi hanno stretto o stringono alleanze con i produttori dei nuovi mercati, assieme alla decrescita si espande la tendenza al low cost, anche sulle nostre strade. Ne è una prova la ricerca TNS Infratest, commissionata da Renault da cui risulta che il 35% del campione di italiani consultati acquista in base al prezzo e che 1 italiano su 5 sarebbe propenso ad acquistare auto low cost. La ricerca non era del tutto asettica, visto che preludeva al lancio
della Logan, una station wagon da 8000 euro prodotta dalla Dacia, la marca rumena della Renault. Centomila auto vendute in due mesi di commercializzazione e tempi d’attesa di circa sei mesi: come una volta nella DDR per la Trabant. Un successo tale da portare la casa francese alla joint venture con Mahindra per la costruzione della Logan in India. Volkswagen ha messo in campo un’operazione identica a quella del colosso francese: ha intenzione di sfornare nel futuro impianto di Kaluga, a Sudovest di Mosca, non solo la Skoda Octavia, ma anche un’auto a meno di 10.000 euro studiata per il mercato locale, prendendo spunto dalla Polo. Nel recente studio sulle auto low cost (prezzo al di sotto dei 10.000 $ negli USA o dei 10.000 euro in altri mercati), Roland Berger Strategy Consultants ha calcolato che il numero di auto in questo segmento raggiungerà i 18 milioni di unità entro il 2012. Con una crescita di 4 milioni di unità nei prossimi 6 anni, il segmento di mercato delle auto low cost sarà quello più dinamico dell’intero settore automobilistico, raggiungendo quella fascia (crescente) di automobilisti che non possono permettersi di comprare delle auto nuove perché troppo costose. Mentre si aspetta l’invasione delle auto asiatiche sono già arrivate le moto dalla Cina: sono le Keeway, il marchio che ha acquistato la Benelli e ora sta lanciando i suoi modelli, che costano un terzo in meno dei modelli equivalenti europei. Pa.Bai.
Alati privilegi da abbattere Niente tassa sul kerosene, niente Iva, niente Kyoto e sussidi a pioggia per gli aeroporti, le compagnie, la costruzione
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NDOVINA INDOVINELLO: COME MAI I PREZZI DEI BIGLIETTI AEREI, an-
che mettendo da parte i low-cost, non fanno che scendere e permettono al mezzo di trasporto peggiore dal punto di vista climatico di esercitare una concorrenza slealissima nei confronti dei mezzi di tradi Marinella Correggia sporto ben più ecocompatibili come treni e bus? Esenzioni fiscali e sussidi diretti e indiretti trasferiscono al protettissimo settore del trasporto aereo una massa di denaro dei contribuenti europei dell’ordine di almeno 50 miliardi di euro all’anno. Neanche fosse Madre Teresa.
A quando la tassa sul kerosene avio? Il kerosene è il carburante dei velivoli; a differenza dei carburanti fossili per veicoli stradali, gode di un’esenzione fiscale totale, come spiega il rapporto Clearing the Air, the Myth and Reality of Aviation and Climate Change, della federazione europea di associazioni ambientaliste Transport and Environment;“non sarebbe saggio e desiderabile eliminare i privilegi di un settore molto impattante per il clima, tassando il carburante utilizzato, piuttosto che ad esempio il lavoro? Lo dice anche l’Ocse; ma quel che avviene è esattamente il contrario”. Un aiuto agli inquina-
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tori che costa alle casse pubbliche dei paesi europei oltre 35 miliardi di euro all’anno. Una tassa sul kerosene di 0,65 euro al litro, analoga a quella sugli altri carburanti, non solo procurerebbe enormi introiti ma indurrebbe il settore a una maggiore efficienza: già una tassa pari a 0,125 euro al litro potrebbe indurre una riduzione delle emissioni del 10 per cento. Perché l’Europa o l’Italia non danno il buon esempio tassando il kerosene? “Non si può!” strilla l’industria del settore; “Non si può!” strillano gli statunitensi ma anche molti paesi europei. Il richiamo è alla Convenzione internazionale di Chicago (1944): la bibbia del trasporto aereo, la Costituzione dell’International Civil Aviation Organization (Icao), assai conservatrice agenzia Onu. In realtà un limitato divieto menzionato nella Convenzione è stato elasticizzato in seguito fino a un totale tax-free. I movimenti ambientalisti no-fly rivolgono ai paesi europei proposte precise e “legalmente fattibili”: 1) imporre in tempi rapidi una tassa sul kerosene usato nei voli nazionali come hanno fatto, anche se con molta mitezza, solo tre paesi, Ue e non: Paesi Bassi, Norvegia, Svizzera; 2) creare una zona “che tassa il kerosene”, con più paesi confinanti attraverso accordi bilaterali (e in questo modo si colpiranno so-
di aerei: il settore pesa sulla collettività, anche su chi non può o non vuole volare prattutto i voli a corto e medio raggio); 3) lavorare per una tassa sul kerosene usato per i voli interni all’Ue. Fino a poco fa pareva impossibile toccare quel 3 per cento di carburante impiegato da vettori non europei, ma dopo un recente accordo bilaterale Usa-Ue non ci sono più divieti normativi; il tutto è una questione politica. Nessun ostacolo normativo, infine, vieta l’applicazione dell’Iva almeno sui biglietti relativi a voli intraeuropei. A sorpresa i conservatori inglesi hanno proposto una tassa progressiva sui biglietti che penalizzerebbe i frequent flyers, ovvero i frequentatori abituali di aerei, una categoria di consumatori particolarmente inquinante. Ma le chance che la tassa passi sono ridottissime.
Europa: la parzialissima “soluzione” del commercio delle emissioni Su sollecitazione del Parlamento europeo, nel dicembre 2006 la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva del Parlamento e del Consiglio “per includere le attività del trasporto aereo nel sistema comunitario delle quote di emissione dei gas a effetto serra”. Ovvero: si inizierebbe a conteggiare anche le emissioni
dei voli - quelli in arrivo e in partenza da aeroporti europei - e al superamento di un certo tetto le compagnie dovrebbero acquistare sul mercato le quote necessarie. Come fanno tutti i settori dell’economia. Bene, no? Più o meno. Intanto, molti sono i punti controversi. Per esempio: a quale altezza si metterebbe il tetto (cap) delle emissioni a partire dal quale scatta l’obbligo di approvvigionarsi di quote all’esterno? Per rispondere agli obblighi di riduzione imposti dal Protocollo di Kyoto, il tetto dovrebbe essere dimezzato rispetto alle emissioni attuali; invece la Commissione intende porlo al 100 per cento delle emissioni medie degli anni 2004-2006. E si prenderanno in considerazione anche le ingenti emissioni di gas serra non CO2 (vedi ARTICOLO Voli pesanti)? La Commissione dice no. E il settore aereo quante quote di diritto a inquinare potrà acquistare all’esterno? Per il Documento di lavoro della Commissione ambiente del Parlamento europeo (12 aprile 2007) occorrerà imporre un limite agli acquisti permessi. Ma non è detto. La campagna sulla limitazione del trasporto aereo sostiene però che anche nella più ambientalista delle soluzioni una simile direttiva avrà esiti molto limitati quanto a riduzione dell’impatto climatico dell’aviazione. Comprare le emissioni
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UNO SCENARIO INQUIETANTE LO DELINEA IL CENTRO STUDI BRITANNICO Tyndall Centre for Climate Change: per fare la propria parte nel contenere entro due gradi il riscaldamento dell’atmosfera, l’Europa dovrà ridimensionare di molto le proprie emissioni. In questa necessaria ipotesi, se il settore aereo continuerà invece a crescere incontrollato, nel 2050 esso rappresenterà il 40 per cento delle emissioni permesse; e nella peggiore delle ipotesi, fra trent’anni le emissioni del solo settore aereo saranno pari al totale di quelle “permesse” all’Europa. Come dire: per rispettare gli impegni senza toccare il settore aereo, gli altri settori dovrebbero quasi annullare le loro emissioni... e vendere i relativi crediti all’aviazione. di CO2 costa ridicolmente poco: 20 euro alla tonnellata. Del resto la valutazione di impatto economico condotta dalla Commissione (http://ec.europa.eu/environment/climat/aviation_en.htm) ha rassicurato i già vocianti vettori aerei: la crescita della domanda continuerà: più 135 per cento fra il 2005 e il 2020. Dunque, una eventuale maggiore efficienza nell’uso del kerosene, indotta dalla Direttiva, non basterà a evitare l’aumento di emissioni. Significativamente, l’industria europea dell’aviazione, ferocemente contraria alle ipotesi di tasse, non è contraria a un inserimento nel sistema di commercio delle emissioni purché sia mitigato, con un tetto elevato e senza limiti nell’acquisto delle quote. Quel che piace di più alle compagnie - e alle agenzie turistiche - è la “compensazione vo-
lontaria”: emetti una tonnellata di CO2 nel tuo viaggio? Paga 20 euro e pianteremo alberi in Costarica che se la mangeranno. Un quasi inutile escamotage, denunciato come lavaggio di coscienza.
Sussidi a tutto cielo Tutti i segmenti dell’industria dell’aviazione - compagnie aeree, aeroporti, costruzione di apparecchi - godono non solo di esenzioni fiscali ma di sussidi” (da Clearing the Air). Esenzioni fiscali a parte,un documento della compagnia tedesca Lufthansa (2006) rende noto che dal 1991 i governi europei hanno destinato 20 miliardi di euro a titolo di “aiuto” alle compagnie. Gli americani hanno fatto peggio: dal 2001, ben 32 miliardi di dollari. L’Unione Europea ha legalizzato le elargizioni al volo nel 2005 con le Community guidelines on financing of airports and startup aid to airlines departing from regional airports: aiuti di stato fino al 50 per cento a titolo di aiuto al...decollo, per gli aeroporti regionali e per chi li usa. Ad esempio il pirata del low-cost Ryan Air ha avuto lauti finanziamenti per impossessarsi di Ciampino. Inoltre, in Italia ogni legge finanziaria e ogni ente locale si sente in dovere di non abbandonare le povere compagnie aeree e aeroportuali. La Banca europea degli investimenti fa il resto (vedi BOX La Bei finanzia il caos climatico). Regalie non si contano anche per la costruzione degli aerei. Airbus è il cocco dell’Europa e Boeing degli Usa. Per finire, chi acquista un aereo non ci paga su l’Iva.
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Epidemie: l’Italia soffre di aeroportite Il paese dei 1000 campanili e dei 100 aeroporti. Per costruire, ampliare, rinnovare uno scalo piovono finanziamenti. MILANO E VENEZIA C’È UN AEROPORTO OGNI 40 KM.: Malpensa, Linate, Brescia, Bergamo, Verona, Belluno, Vicenza, Padova, Trento, Bolzano, Asiago, Treviso, Istriana, Ghedi, Aviano e Venezia. Un centidi Elisabetta Tramonto naio di scali in tutta Italia, tra grandi e piccoli, militari, civili e da turismo. Ma perché sbocciano come funghi? Semplice: sono un ottimo affare. Merito della pioggia di finanziamenti pubblici sugli aeroporti. Per costruire, convertire da militare a civile, rinnovare o ampliare uno scalo, infatti, si attinge alle tasche dei contribuenti, attraverso gli stanziamenti del Ministero dei Trasporti, dell’Unione europea o delle società di gestione degli aeroporti, che per la maggior parte appartengono a Comuni, Province o Regioni. E la continua crescita del traffico aereo in Italia, seppur vera, non giustifica tutti gli aeroporti di cui è cosparsa la penisola. Gli ultimi dati diffusi dall’Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, parlano di 122 milioni di passeggeri nel 2006, con un incremento di circa l’8% rispetto al
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2005, superiore al 5% della media mondiale. «Certo, il traffico aereo in Italia sta aumentando, ma siamo ancora molto al di sotto dei principali paesi europei», precisa Dario Balotta, segretario generale FitCisl Lombardia. «Da un indagine realizzata dalla Commissione europea emerge che tra Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, siamo al primo posto per dotazioni infrastrutturali aeroportuali (scali, piste, hangar, ecc.), ma ultimi per numero di passeggeri (nel 2006, secondo i dati dell’Enac n.d.r.) ». E il Governo sta a guardare senza intervenire? Finora sì. Le concessioni aeroportuali vengono decise dall’Enac e dal ministero dei Trasporti. Se siamo invasi da scali e piste di decollo, quindi, è anche colpa della compiacenza della pubblica amministrazione. «Abbiamo troppi aeroporti, è mancata una pianificazione del settore», l’illuminazione è arrivata al ministro ai Trasporti, Alessandro Bianchi, che ha portato in Consiglio dei ministri un atto di indirizzo per la riforma del trasporto aereo nazionale, ora in discussione in Parlamento. Il ministro Bianchi punta a una classificazione degli aeroporti italiani per eli-
TRAFFICO AEREO NEGLI AEROPORTI ITALIANI (Esclusi gli scali militari e quelli dedicati al trasporto merci) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46
Aeroporto ROMA Fiumicino MILANO Malpensa MILANO Linate VENEZIA Tessera CATANIA Fontanarossa BERGAMO Orio al Serio NAPOLI Capodichino ROMA Ciampino PALERMO Punta Raisi BOLOGNA Borgo Panigale TORINO Caselle VERONA Villafranca PISA San Giusto CAGLIARI Elmas BARI Palese Macchie OLBIA Costa Smeralda FIRENZE Peretola LAMEZIA TERME TREVISO Sant’Angelo ALGHERO Fertilia GENOVA Sestri BRINDISI Papola Casale TRIESTE Ronchi dei Legionari FORLÌ REGGIO CALABRIA ANCONA Falconara PESCARA RIMINI TRAPANI BRESCIA Montichiari PARMA CROTONE BOLZANO PERUGIA CUNEO ALBENGA FOGGIA SIENA AOSTA TARANTO SALERNO REGGIO EMILIA GROSSETO MARINA DI CAMPO VICENZA TORTOLÌ
Società di Gestione ADR Aeroporti di Roma S.p.a. SEA Società Esercizi Aeroportuali S.p.a. SEA Società Esercizi Aeroportuali S.p.a. SAVE Società Aeroporto Venezia S.p.a. SAC Società Aeroporto Catania S.p.a. SACBO S.p.a. GESAC Gest. Serv. Aerop. Campani S.p.a. ADR Aeroporti di Roma S.p.a. GESAP Gest. Serv. Aerop. Palermo S.p.a. SAB Aeroporto G. Marconi di Bologna S.p.a. S.A.G.A.T. S.p.a. Aerop. Civ. Catullo di Verona V.franca S.p.a SAT Società Aeroporto Toscano S.p.a. SO.G.AER. S.p.a. Aeroporti di Puglia S.p.a. GEASAR S.p.a. AdF Aeroporto di Firenze SACAL Soc. Aerop. Calabrese S.p.a. AERTRE Aeroporto di Treviso S.p.a. So.Ge.A.AL Aeroporto di Genova S.p.a. Aeroporti di Puglia S.p.a. Consorzio Aeroporto Friuli Venezia Giulia Aeroporto di Forlì S.p.a. SO.G.A.S. S.p.a. Aerdorica S.p.a. SAGA Soc. Abruzzese Gest. Aeroporto S.p.a. AERADRIA S.p.a. Airgest S.p.a. Aerop. Civ. Catullo di Verona V.franca S.p.a SO.GE.AP. S.p.a. Aeroporto S. Anna S.p.a. ABD Airport A.G. S.p.a. S.A.S.E. S.p.a. OLIMPICA S.p.a. Aeroporto di Villanova d’Albenga S.p.a. SEAP Aeroporto di Siena S.p.a. AVDA Aeroporto Valle d’Aosta S.p.a. Aeroporti di Puglia S.p.a. Aeroporto di Salerno S.p.a. Aeroporto di Reggio Emilia S.p.a. SEAM S.p.a. ALA TOSCANA S.p.a. Aeroporti Vicentini S.p.a. GEARTO S.p.a.
Passeggeri 25.747.710 18.607.580 8.225.860 5.489.183 4.705.789 4.451.565 4.417.340 4.113.844 3.675.064 3.445.746 2.760.406 2.697.166 2.609.537 2.176.948 1.677.778 1.676.247 1.270.777 1.205.489 1.132.709 925.842 911.964 698.696 573.553 544.377 514.762 407.367 298.722 296.133 262.517 208.519 105.098 90.361 60.487 35.137 19.622 17.578 5.187 1.669 -
2005-2006 5,20% 10,90% 8,10% 8,10% 4,50% 21,30% 10,30% 17,90% 11,00% 6,80% 3,80% 13,30% 28,70% 6,60% 20% 10,50% -13,00% 18,30% 3,70% -2,10% 7,30% 2,10% 10,10% 10,10% 61,20% -1,10% -3,90% 16,80% -22,40% -42,30% 109,10% 22,90% 12,10% -25,10% 107 14,80% 1,90% -29,70% -
minare la concorrenza eccessiva. Secondo quali criteri e che fine faranno gli scali considerati di troppo ancora non è dato sapere. «Vorremmo creare dei sistemi aeroportuali coordinati, con un coordinatore che smisti il traffico nei vari scali, ad esempio dedicando un aeroporto al traffico internazionale, uno al low cost e uno al trasporto merci», spiega Geraldo Pelosi, funzionario del ministero dei Trasporti. «Il ministro Bianchi dovrebbe però chiarirsi le idee: oggi parla di ridurre gli aeroporti, mentre ieri (il 30 aprile n.d.r.) ha inaugurato il nuovo scalo siciliano di Còmiso», denuncia Dario Balotta.
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Al primo posto con oltre 100 scali ma i passeggeri sono meno del resto dei paesi Europei 100 piste, una miniera d’oro Còmiso è uno dei nuovi nati nella nidiata degli aeroporti made in Italy: una base missilistica nucleare trasformata in scalo civile, alla modica cifra di 47 milioni di euro. La Sicilia del resto è un caso esemplare di capacità di attirare finanziamenti pubblici per il sistema aeroportuale: 300 milioni di euro piovuti sugli scali dell’isola negli ultimi cinque anni, 230 per rinnovare o ricostruire tre aeroporti e realizzarne un quarto che entrerà in funzione nel 2008; e una sessantina per le nuove aerostazioni delle isole di Lampedusa e Pantelleria. E nel bel mezzo della Valle dei Templi di Agrigento, sta per sbocciare un altro scalo: quello di Racalmuto. «L’aeroporto si farà, non c’è dubbio» ha dichiarato in un’intervista il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, che alla fine di aprile ha destinato all’aeroporto 35 milioni, circa metà del costo stimato. Il resto dovrebbe arrivare con un project financing: tra gli interessati, si parla della Save, la società che gestisce l’aeroporto di Venezia, del gruppo Flughafen Wien (ae-
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roporti di Vienna e Malta) e del gruppo Milo Radice. La Puglia non è da meno. Ad aprile l’Ap, Aeroporti Pugliesi, la società che gestisce gli scali locali e di cui la Regione è il principale azionista, ha ricevuto il via libera dall’Unione europea a uno stanziamento di 63 milioni di euro per “incrementare il traffico aereo”. Non ci sarebbe quindi bisogno di tutti questi aeroporti? «Assolutamente no, tranne in alcuni casi isolati», risponde Oliviero Baccelli, vicedirettore del CERTeT Bocconi, il Centro di Economia regionale, dei trasporti e del turismo. «Ci sono aree del Paese che avevano bisogno di avere più aeroporti, co-
me il Lazio o la Campania, perché erano sottoserviti. Sono scali con grandi bacini di mercato nell’arco di 2 ore, con un numero di passeggeri elevato, che hanno tratto certamente vantaggio dalla presenza di compagnie aeree low cost, ma che sarebbero riusciti a stare in piedi anche autonomamente da un punto di vista economico e finanziario». Ma sono la minoranza… «Purtroppo sì - continua Baccelli - Il problema sono tutte quelle realtà, e sono molte, che sopravvivono solo grazie a finanziamenti pubblici, costruite senza alcuna motivazione di traffico. In Toscana, ad esempio, perché scegliere tra
ma due terzi, circa un miliardo, finisce nelle tasche delle due aziende principali: la Sea che gestisce gli scali milanesi di Linate e Malpensa e Aeroporti di Roma. La miriade di altre società di gestione si spartiscono i 600 milioni restanti». Ma la presenza di un aeroporto non ha un impatto positivo sull’economia locale? «Solo oltre una soglia minima di traffico. Sopra il milione di passeggeri si possono ottenere vantaggi economici per il territorio, sotto diventa difficile gestire lo scalo da un punto di vista economico e i benefici per economia locale sono ridotti».
Grosseto e Siena? Lo stesso vale per la Calabria, la Puglia, il Veneto o l’Emilia Romanga, dove fioriscono aeroporti senza alcuna ragion d’essere. Sono frutto di un campanilismo spinto e di una caccia al finanziamento pubblico. In questo modo però drogano mercato e provocano una concorrenza tra scali che va solo a loro discapito. Il rischio è anche quello della cannibalizzazione tra aeroporti vicini. Se non c’è una reale domanda che giustifichi due scali in una zona ristretta, uno soccomberà. Si pensi che il fatturato totale delle società di gestione degli aeroporti è di circa 1,6 miliardi di euro,
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Ciampino: un’anomalia europea al servizio del low cost
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VOLI NAZIONALI Esempio 4: linea aerea con tre voli giornalieri. AdR offre un incentivo di 0,50 euro per ogni passeggero in partenza. Esempio 5: linea aerea con 6 voli giornalieri. AdR offre un incentivo di 1 euro per ogni passeggero in partenza.
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TRAFFICO PASSEGGERI NELL’AEROPORTO DI CIAMPINO DAL 1955 AL 2006 (DATI ADR) 6.000.000
PRIMA DEL 2003 SOLO PER LE OLIMPIADI DI ROMA DEL 1960 SI È SUPERATO IL MILIONE DI PASSEGGERI
2006: 4.945.000
5.000.000
2005: 4.234.000 4.000.000
1960: 2.007.000 OLIMPIADI DI ROMA
2004: 2.556.000
3.000.000
GENNAIO 1961: TRASFERIMENTO DEI VOLI DA CIAMPINO A FIUMICINO
2.000.000
2001: 718.000
2002: 960.000
2003: 1.794.000
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FONTE: ADR
Soltanto in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 il traffico nell’aeroporto di Ciampino ha superato 1 milione di passeggeri all’anno. Dal 1961 al 2002 è rimasto sempre decisamente sotto a questo limite. A partire dal 2002, con l’arrivo delle compagnie low cost e senza alcuna analisi dell’impatto sul territorio e sulla popolazione, si è passati da 718.000 a 5 milioni di passeggeri.
2006
2003 2004 2005
1997
1977
1961
1.000.000
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Ciampino: una delle manifestazioni promosse dal comitato contro l’aeroporto dell’Urbe.
illegalità sia per i voli che per le infrastrutture viabilistiche
VOLI INTERNAZIONALI Esempio 1: linea aerea con 4 voli al giorno. AdR offre 1,50 euro per ogni passeggero in partenza Esempio 2: linea aerea con 8 voli gionralieri. AdR offre un incentivo di 2,80 euro per ogni passeggero in partenza con i primi sei voli e 4,20 euro per i passeggeri in partenza con il settimo e ottavo volo. Esempio 3: linea aerea con 15 voli giornalieri. AdR offre un incentivo di 2,80 euro per ogni passeggero in partenza con i primi sei voli, 4,20 euro per i passeggeri in partenza con i voli dal settimo al dodicesimo, 5 euro per i voli dal tredicesimo al quindicesimo.
2001 2002
crescita “Una all’insegna della totale
UNO SCHEMA DI INCENTIVI “PER CONTRIBUIRE ALLE SPESE DELLE LINEE AEREE CHE INTENDONO INVESTIRE NELLO SVILUPPO DEL TRAFFICO A CIAMPINO”
2000
stenza tra la popolazione residente e l’aeroporto è continuata in modo tollerabile sino al 2001: non si superavano quasi mai il milione di passeggeri all’anno (fonte Aeroporti di Roma), trasportati per lo più da voli di Stato - è un aeroporto militare - e da pochi charter. Quel livello, sia pur fastidioso, era sostenibile per la popolazione. Poi sono arrivate le compagnie low-cost ed è l’unica situazione in Europa in cui a queste compagnie si regala l’aeroporto più vicino alla capitale. Adesso il Pastine va annoverato tra gli “ecomostri” che flagellano il nostro paese e mettono a repentaglio la salute dei cittadini. Il traffico passeggeri è cresciuto del 700% in 5 anni ed è causa di una vera e propria emergenza: il gravissimo inquinamento acustico e dell’aria si riflettono negativamente sulla qualità della vita di decine di migliaia di persone. Nelle case con vista sulla pista, poste a 150 m dalla bocca di un reattore di un Boeing 737, la gente vive immersa nel cherosene e nel frastuono ininterrotto, di giorno e di notte. Il problema è percepito in modo sempre più pesante anche nelle zone limitrofe a Ciampino, soprattutto nel X Municipio di Roma, sottoposto al traffico in atterraggio, e a Santa Maria delle Mole che si trova sotto la rotta di decollo. L’aeroporto è “prosperato” nell’illegalità, in modo del tutto incontrollato, malgrado tutte le promesse di concertazione. La società Aeroporti di Roma (AdR, che
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A
CIAMPINO UN AEROPORTO C’È SEMPRE STATO: dal tempo dei dirigibili - alcuni anziani ancora li ricordano - che però non facevano rumore; sembrava che volassero con il vento. Dopo la guerra arrivò il boom economico, gli aerei a reazione, e il problema del rumore e dell’inquinamento. Il governo si rese conto che il “Pastine” di Ciampino, con tutte quelle case lì intorno, non era adatto a sostenere i voli di linea e promosse il nuovo aeroporto internazionale “Leonardo da Vinci” a Fiumicino. A Ciampino fu concessa la costruzione di altre case, vicine alla pista, perché tanto l’aeroporto (per i voli di linea) non c’era più. La coesi-
a basso costo. Invece in cinque anni il traffico è cresciuto del 700% grazie ad incredibili incentivi. FONTE: DOCUMENTAZIONE DELLA RETE DEI COMITATI E MOVIMENTI CONTRO L’AEROPORTO DI CIAMPINO, ELABORATA DA UN DOCUMENTO AEROPORTI DI ROMA
Enormi danni da inquinamento atmosferico e acustico per uno scalo che non avrebbe dovuto puntare sulle compagnie
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A sinistra, Ryanair a Ciampino con una delle sue innumerevoli campagne provocatorie contro la compagnia di bandiera. A destra, sempre l’area giochi dell’aeroporto di Copenhagen.
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Rete dei cittadini dei movimenti contro l’aeroporto di Ciampino
Lavoro molto precario
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gestisce anche Ciampino) avrebbe dovuto produrre un’impronta acustica dell’aeroporto mediante modelli teorici; la stiamo ancora aspettando. Né è stata prodotta da AdR nessuna valutazione dell’impatto ambientale, nessun sistema di monitoraggio del rumore. L’Enac, l’ente nazionale dell’aviazione civile, e l’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente, che avrebbero dovuto controllare e tutelare i cittadini, non hanno fatto nulla. Persino l’infrastruttura dell’aeroporto è stata sviluppata abusivamente, e nonostante un’ingiunzione del Ministero dell’ambiente che imponeva il blocco del lavori. I cittadini
non sono rimasti a guardare inerti. Nel 2005 si sono costituiti in Comitato a Ciampino estendendo poi le adesioni a tutto il territorio, formando una Rete di comitati e di associazioni che si battono per tutelare l’interesse delle persone contro gli abusi dell’aeroporto. Insieme con Legambiente i cittadini hanno misurato l’inquinamento: nel parco degli acquedotti, a Cinecittà, 301 microgrammi al metro cubo di PM10, 6 volte oltre i limiti di legge. In assenza delle centraline AdR, il Comune di Ciampino ha finanziato a sue spese la messa in esercizio di centraline di monitoraggio dell’aria e del rumore, e i risultati, ora ufficiali, confermano l’insostenibilità della situazione. Insieme con i cittadini ci sono le istituzioni locali, i sindaci di Ciampino e Marino, il presidente del X Municipio, che sostengono la battaglia contro l’illegalità e l’inquinamento aeroportuale, sono più volte scesi in piazza con i cittadini.
Costi della formazione a carico dei dipendenti, niente congedi maternità o parentali, dietro la convenienza delle compagnie low cost ci sono lavoratori senza garanzie. E negli scali aeroportuali si diffonde il lavoro precario. TEFANIA HA 27 ANNI E RISIEDE A PISA. Con la sua laurea in economia e un lavoro nel turismo, ha provato a entrare in Ryanair: saputo che la compagnia aerea stava assumendo per lo scalo toscano, ha cercato sul sito (completamente in di Paola Baiocchi inglese) l’indirizzo a cui mandare il proprio curriculum. Non ha trovato nessun numero di telefono, ma la mail di un’agenzia da contattare per sapere la data del recruitment day. Alla “giornata del reclutamento” poi Stefania non c’è andata, perché ha saputo che se avesse superato il colloquio avrebbe dovuto pagare €100 subito per la formazione come cabin crew, e poi altri € 400 le sarebbero stati trattenuti dalle prime buste paga di un contratto a tempo determinato per tre anni. Un contratto non da subito con Ryanair, ma con Crewlink o una delle altre agenzie che gestiscono le assunzioni dei lavoratori della compagnia. Per quanto tempo? Dipende se non fai malattie e se ti adegui allo “stile” della società. Se Stefania ha detto no perché pensa che la formazione specifica per l’azienda debba essere pagata dal datore di lavoro, ad altri l’idea è andata bene e a Pisa, che sta diventando uno degli scali più importanti in Italia per la compagnia irlandese low cost, dove ha cominciato ad atterrare nel 1998, ci sono ormai circa un centinaio di addetti, tra piloti, tecnici e assistenti di volo (tra queste molte ragazze dei Paesi dell’Est, soprattutto ungheresi e ceche). Ma nemmeno un iscritto ai sindacati. E qui sta la prima irregolarità, ci spie-
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ga Tito Ribechini, segretario generale Filt Cgil Trasporti di Pisa: «Ci sono molti iscritti al sindacato anche tra gli addetti delle cooperative di carico-scarico o di trasporti che servono l’aeroporto. In Ryanair - continua Ribechini - non c’è neanche un iscritto e questo è un problema perché Ryanair sta sbaragliando la concorrenza delle compagnie di bandiera e il loro modello si sta diffondendo». Anche le società di gestione scaricano sui dipendenti la formazione, spiega sempre Ribechini: «Nel settore della sicurezza per esempio la Sat, la società aeroportuale che gestisce il Galilei di Pisa, fa dei “corsi di formazione” di due mesi non retribuiti». E se due mesi senza paga vi sembrano pochi, c’è chi se ne è sentiti proporre da quattro a sei di “stage” negli uffici della Sat. Senza nemmeno un rimborso spese per i trasporti. Le compagnie low cost che fanno scalo a Pisa sono ora 12, più numerose delle tradizionali che sono 9. Un lavoratore assunto dagli anni ‘90 al Galilei di Pisa, ci racconta che ha visto esplodere la precarietà a partire dalla liberalizzazione e con l’arrivo dei voli low cost: «Dopo la formazione si è assunti a tempo determinato per un paio di anni, poi si passa ancora per un anno di contratto di inserimento: insomma ci vogliono tre, anche quattro anni prima di essere assunti a tempo indeterminato, ma part time. In aeroporto i lavoratori part time non dovrebbero superare il 35% degli addetti, invece sono oltre il 50%. Per gli stagionali il limite è il 10% e siamo al 20-25%. È una precarizzazione che prima non esisteva e un abuso».
Nessun iscritto al sindacato tra i dipendenti Ryanair che devono formarsi da soli per un assunzione a lungo precaria
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Il costo nascosto della convenienza REGOLE PER GLI SPOSTAMENTI RESPONSABILI A CORTO RAGGIO IN ITALIA, EUROPA E PERFINO NEL MEDITERRANEO 1. Calcolare l’impatto del viaggio aereo, informarsi sulle alternative (anche con sconti: ferrovie, Eurolines, traghetti) 2. Viaggiare dunque in treno, bus, nave 3. Considerare le ore di viaggio come parte della vacanza: si possono vedere luoghi diversi da quelli dell’arrivo, si incontrano persone, è un percorso mentale diverso 4. Portare la borraccia e la busta di tela: il kit del viaggiatore che non usa plastica usa e getta; sul posto usare i mezzi pubblici 5. Considerare se abbiamo già esplorato tutta l’Italia: magari regalarci un bel viaggio a piedi (una volta in zona) SULLE LUNGHE DISTANZE 1. Calcolare l’impatto del viaggio aereo (irresponsabilità climatica che danneggia soprattutto proprio quelli del sud con i quali ci diciamo solidali) 2. Concedersi un viaggio ogni tanto (anni...) se proprio abbiamo avuto una bassissima impronta ecologica negli altri settori (tutto il turismo dovrebbe diventare responsabile ma i viaggi dovranno essere molti di meno) 3. Se sono viaggi per incontri ecologisti o movimentisti: forse è più giusto ed equo rimanere a casa e pagare il viaggio a qualcuno del sud. Reciprocità! M.C.
Nessuno regala niente, nell’economia di mercato e così bisogna sapere che dietro i bassi costi di Ryanair ci sono orari di lavoro saturi, magari con tre/quattro viaggi al giorno sulle tratte nazionali e sei giorni di lavoro su sette. Chi lavora per RA deve pagarsi tutto: l’affitto della divisa (un euro al giorno anche se non voli), i manuali (obbligatori), il pasto consumato a bordo. Mauro Rossi, segretario nazionale Filt-Cgil ci spiega: «Ryanair è in completa evasione delle leggi italiane e per lo Stato italiano i dipendenti Ryanair è come se fossero dei disoccupati, perché non hanno nessun tipo di contratto riconosciuto. Non esiste tutela della maternità, la società non versa i contributi previdenziali all’Inps. Tutto quello che è stato conquistato come diritto, i lavoratori devono pagarselo: il primo anno di lavoro i piloti giovani lavorano praticamente gratis, per pagare i costi della formazione». E la sicurezza? «Relativa - risponde Rossi molti piloti sono pensionati di altre compagnie. Ma il fatto più grave è che altri paesi, come la Francia, hanno più difese nei confronti di RA, mentre in Italia Ryanair ha il suo profitto non solo dal biglietto, ma dalle condizioni che impone agli aeroporti, dove ottiene servizi gratis perché assicura grandi quantità di passeggeri. Paradossalmente - continua il segretario generale Filt Cgil - dato che molte delle società aeroportuali sono a partecipazione pubblica di province, comuni e regioni, si può configurare che Ryanair ottenga quello che Bruxelles vieta: cioè gli aiuti pubblici alle compagnie». Molto ci si aspetta dal punto di vista della regolamentazione del settore low cost dal disegno di legge Bianchi, che però non è ancora approvato. Per il momento si moltiplicano le inter-
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ce non volessimo basarci sulle previsioni fatte dalla società irlandese, ma sui dati dichiarati per il 2005, a fronte di oltre 30 milioni di viaggiatori c’erano 2700 dipendenti, cioè 90 posti di lavoro ogni milione di turisti. Gli occupati nelle strutture ricettive, nelle attività commerciali, nella ristorazione ecc. dovrebbero fare il resto. Sicuramente la propensione nella principale compagnia low cost che opera in Italia, è più verso l’estrazione del profitto, che sulla distribuzione del reddito da lavoro o da investimento, perché anche verso i propri azionisti Ryanair si dimostra piuttosto “tirato”: a marzo la liquidità netta di RA ammontava a 336 milioni di euro. Ciononostante Michael O’Leary, numero uno della società, non prevede di restituire cash ai suoi azionisti.
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rogazioni parlamentari e regionali per chiedere che vengano applicati i contratti di lavoro italiani con tutte le istituzioni di protezione che prevedono. Mentre sul web si moltiplicano i siti che celebrano i voli low cost come fossero una conquista del proletariato e quelli, invece, dove i passeggeri si lamentano per aver perso i soldi del viaggio a causa del maltempo, mancano degli studi indipendenti sulle ricadute occupazionali delle low cost sui territori. Ci sono le dichiarazioni dell’Ad del Galilei, Pier Giorgio Ballini che valuta 1000 posti di lavoro ogni milione di viaggiatori (calcolando anche l’indotto) in base a uno studio del Sant’Anna di Pisa. Tuttavia il calcolo sembra ottimistico, almeno se confrontato con il rapporto tra addetti Ryanair e passeggeri trasportati: 50 milioni di viaggiatori previsti nel 2007 e 4200 dipendenti, cioè 1000 lavoratori ogni 11.904.000 turisti (100 ogni 1.190.400). Se inve-
Sopra, due immagini del Business Park di Malpensa. A sinistra, l’aeroporto Narita a Tokyo.
Giappone, 2000
Malpensa, una coperta troppo stretta La necessaria riduzione della domanda passeggeri e merci e le alternative, al tempo del caos climatico. NORD ITALIA, baricentro dei principali corridoi europei (Lisbona-Kiev, Genova-Rotterdam e Palermo-Berlino). Passare da 20 a 40 milioni di passeggeri all’anno entro 15 anni. Nuove strade, collegamenti ferroviari e un megacomplesso di Elisabetta Tramonto composto da otto edifici, per ospitare negozi, banche e servizi, e un parco. 270 mila metri quadrati in tutto, un antipasto di quella che dovrà diventare la città aeroportuale. Idee in grande per l’aeroporto di Malpensa. Le ha più volte illustrate l’assessore alle Infrastrutture Raffaele Cattaneo. Sulla stessa linea Giuseppe Bonomi, il presidente della Sea, la società di proprietà di Provincia e Comune di Milano, che gestisce gli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa. Bonomi promette un piano di sviluppo dello scalo da 3 miliardi di euro da og-
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IVENTARE L’HUB DEL
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gi al 2020. Uno scenario che fa tremare gli abitanti degli 89 comuni che da oltre dieci anni combattono, prima contro l’ampliamento di Malpensa, oggi per cercare di limitare i danni provocati dalla presenza dell’aeroporto così vicino ai centri abitati. «Abbiamo perso almeno 8 km quadrati del nostro comune, che non sono più abitabili, per colpa dell’eccessivo rumore, causato dagli aerei in fase di decollo e atterraggio - lamenta Piergiulio Gelosa, sindaco di Lonate Pozzolo, comune proprio a ridosso dell’aeroporto - Disegnando le curve isofoniche è risultato che in molte aree del paese il rumore superava i 65 decibel, un livello dichiarato “incompatibile con la residenza”, cioè non ci si poteva più abitare». «L’aeroporto produce livelli elevati di inquinamento at-
NO FLY: SIAMO INGLESI LA LOBBY DELL’INFLUENTE INDUSTRIA AEREA è riuscita nel suo intento: il governo inglese ha in programma un’espansione a tutto campo di venti aeroporti, con nuove piste e nuovi terminal; un progetto funzionale alla prevista - ma insostenibile - crescita del trasporto aereo. Perché e per cosa, tutto ciò? Sul lato della domanda, è ormai diffusissima la cultura del “week end volante” - due giorni a Praga, la seconda casa in Spagna; sul lato dell’offerta, il governo e l’industria del settore assecondano la tendenza, la agevolano, la spronano con i piani di espansione aeroportuale (sempre più voli, sempre più passeggeri). Un assoluto circolo vizioso reso possibile dal fatto che il governo esclude da qualunque suo obiettivo ambientale di riduzione proprio le emissioni del trasporto aereo (ignorate anche nel protocollo di Kyoto e finora nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas serra. Nel prossimo mese di agosto, tanti turisti atterreranno o partiranno da Heathrow, l’aeroporto più trafficato del mondo; ma ci saranno anche migliaia di attivisti, per un’azione diretta a impatto elevato: pianteranno le loro tende per il secondo “Campo d’azione a favore del clima”. L’iniziativa sarà il culmine di un anno di crescente protesta pubblica per la crescita del settore aereo. Plane Stupid, il gruppo di cui sono cofondatore, lavora con le comunità locali direttamente colpite dal rumore, dall’inquinamento atmosferico e dai piani di espansione territoriale degli aeroporti; siamo riusciti a concludere alleanze fino a qualche anno fa improbabili. In passato, i residenti si contentavano di chiedere: “non qui”. Adesso, insieme ai gruppi ambientalisti e a quelli di azione diretta, chiedono che cambi l’intero modello; qui e lì. Nei mesi scorsi i nostri attivisti - molti dei quali nuovi alle tecniche di azione diretta - hanno occupato uffici di linee aeree, interrotto discorsi pubblici del ministro dei trasporti, fino a bloccare una pista! Le nostre tecniche hanno fatto balzare il trasporto aereo sulle prime pagine dei giornali e anche nell’agenda politica, hanno alimentato la consapevolezza del danno provocato da questa crescita verticale. Sempre più persone ora sanno, anche grazie alle nostre azioni dirette, che salire su un aereo significa determinare un grande impatto sul clima, oltre che sulla salute e la qualità della vita di chi vive intorno agli aeroporti; alcuni gruppi si dedicano anche a informare su modi più sostenibili di viaggiare e incontrare. Il prossimo passo è far sì che la consapevolezza diventi azione politica, obblighi al cambiamento finché le emissioni non saranno contenute. Non ci siamo ancora arrivati, viste le intenzioni di ingrandire gli aeroporti; ma per la prima volta il governo ha avviato una consultazione popolare in merito all’espansione del terzo aeroporto della capitale; altre consultazioni seguiranno. È un segno. Altrimenti, la crescita dei voli cancellerà ogni risultato di riduzione delle emissioni realizzato dagli altri settori. Non basterà fermare ogni auto, spegnere ogni lampadina e chiudere ogni fabbrica; non riusciremo lo stesso a rispettare gli obiettivi di riduzione che ci siamo dati se non faremo scendere a terra l’industria aerea commerciale. Ce lo dice la scienza, facciamo in modo che il governo sia obbligato ad ascoltare. Joss Garman cofondatore di Plane Stupid, gruppo inglese di azione diretta contro l’insostenibile crescita del trasporto aereo
LA “PAZZIA” DEI VOLI A CORTO RAGGIO
La rete inglese Hacan che lotta contro l’espansione di Heathrow (Londra) ha verificato che da quell’aeroporto partono ogni anno 100.000 voli per dodici destinazioni facilmente raggiungibili in treno o pullman. Eccone alcuni esempi Destinazione
Voli al giorno
Tempo con l’aereo (*)
Tempo con il treno
Parigi
60
3 ore
3 ore
Edimburgo
40
2,5 ore
4,75 ore
Bruxelles
30
3,25 ore
2,75 ore
Manchester
36
2,5 ore
2,5 ore
Glasgow
28
2,75 ore
5,75 ore
Newcastle
12
2,75 ore
3,15 ore
(*) considerando lo spezzettato tempo necessario per i collegamenti per e dall’aeroporto alla città, per il check in ecc.
Come a Ciampino anche a Malpensa mancano le valutazioni di impatto ambientale anche se obbligatorie mosferico, acustico e luminoso, ma la società di gestione non ha mai realizzato uno studio di impatto ambientale delle infrastrutture dell’aeroporto - denuncia Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia - Il problema di Malpensa è che manca spazio. L’aeroporto sorge in un territorio densamente popolato, con le piste praticamente in mezzo alle case, al confine con il Parco del Ticino, che teoricamente sarebbe intoccabile, in pratica no». Nel territorio del Parco, un’area verde di 91 mila ettari, dovrà passare la bretella Boffalora-Malpensa (204 milioni di euro, già in costruzione), una trincea di 18 km interamente in mezzo a boschi e campi, pensata apposta per migliorare i collegamenti con l’aeroporto. Ma anche la variante SS 33 del Sempione (282 milioni
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di euro, in attesa dell’approvazione del CIPE), un tracciato che porterà in pieno parco oltre 35.000 veicoli giorno. E anche 5 nuovi ponti sul Ticino con relative opere stradali annesse. Oltre alla fantomatica terza pista, che, per il momento è ancora solo un’ipotesi. Una costosa pezza per rimediare a una progettazione sbagliata delle due piste esistenti, parallele, distanti 800 metri, una misura che non consente atterraggi e decolli indipendenti e riduce la capacità operativa dell’aeroporto. «Ci sarebbero molti interventi per migliorare l’efficienza di Malpensa senza grandi investimenti spiega Dario Balotta, segretario generale Fit-Cisl Lombardia - Penso a un moderno sistema di smistamento bagagli, che non vada in tilt appena cresce un po’ il numero dei passeggeri. A scalette, carrellini e rampe, oggi insufficienti, come i finger». «Nonostante tutto credo ancora che Malpensa sia un’importante risorsa economica per il territorio - continua Gelosa - Attorno
allo scalo ruotano 30 mila persone, oltre che milioni di passeggeri e migliaia di attività economiche. Ma l’aeroporto deve essere sfruttato molto meglio di quanto non lo sia ora». Il più grande handicap di Malpensa è sempre stato il suo isolamento. Raggiungere l’aeroporto, infatti, è un’avventura. Ci arriva una sola Statale, che si allaccia all’Autostrada Milano-Varese. E un unico collegamento ferroviario che porta a una stazione di Milano, non la Centrale, punto di arrivo dei treni da tutta Italia, bensì una secondaria, Cadorna, da cui partono solo due convogli all’ora diretti in aeroporto. In più per diventare un grande hub internazionale, Malpensa dovrebbe essere collegata con tutte le principali città del mondo. Invece, per il momento, non è così. Nonostante le 170 destinazioni servite, ci sono cattive notizie, per chi volesse recarsi a Pechino, Los Angeles o Sidney. Non ci sono voli da Malpensa.
A destra, l’aeroporto di Nizza. Lo scalo della Costa Azzurra non ha ancora intercettato molte compagnie low cost anche perchè in Francia il Tgv gode di notevoli sostegni.
SE LO CALCOLI, LO EVITI PASSEGGERI Conosci la distanza che intendi percorrere (o hai già percorso) in aereo e vuoi calcolare la tua personale responsabilità climatica?
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A terra, per la Terra! Per ridurre l’impatto ambientale le alternative ci sono. Boicottare voli a corto raggio, low cost, pensare prima di partire. NVITATO IN ITALIA COME RELATORE A UN INCONTRO sulla svendita del petrolio iracheno, Greg Muffit ha percorso in treno il tragitto Londra-Roma andata e ritorno. Coerenza oblige (sconosciuta agli attivisti italiani): anche se non è un campaidi Marinella Correggia gner no-fly, Greg lavora per l’organizzazione inglese Platform che con approccio interdisciplinare porta avanti “in modo interdisciplinare obiettivi di giustizia sociale ed ecologica”. Le pressioni dell’industria aeronautica non permetteranno di applicare tutti quei provvedimenti sul lato dell’offerta necessari a bloccare la crescita del settore: ma il clima lo richiede. Occorrerà dunque un’autoriduzione individuale e collettiva della domanda passeggeri e merci. La domanda crea l’offerta; una minore domanda si tradurrà presto in meno voli, meno espansione di aeroporti. Come è facile autocalcolare (vedi SCHEDA Se lo calcoli lo eviti), in un solo viaggio aereo di qualche ora possiamo provocare individualmente l’emissione di una tonnellata di gas serra: che è più di quello che ci spetterebbe in un anno per il totale dei nostri consumi (alimentari, trasporto, energia ecc.) se il mondo fosse a) giusto e b) sostenibile. Infatti per contenere il riscaldamento climatico entro i due gradi centigradi, a livello mondiale le emissioni di gas serra dovranno essere ridotte in pochi decenni
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Non ci sono solo le persone: anche le merci viaggiano in aereo e consumano incredibili quantità di petrolio per chilo trasportato | 30 | valori |
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dell’80 per cento rispetto al 1990: da circa 30 miliardi annui di tonnellate di CO2 equivalente a 6 miliardi, dunque meno una tonnellata per ciascun terrestre!
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Un calcolo “al ribasso” è quello di Air France-Klm (Rapport de développement durable 2005-2006): in media, considerando le molte variabili, occorrono 3,1 litri di kerosene per 100 km per passeggero. Ogni litro di kerosene corrisponde all’emissione di 3,15 kg di CO2. Dunque per 100 km la tua CO2 individuale sarà pari a 3,1 x 3,15 = 9,765 kg. Per un volo di 2.000 km all’andata, e altrettanti al ritorno, in media avrai prodotto 390 kg di CO2. Ma i ricercatori di Transport And Environment dicono che: il calcolo Air France-Klm presuppone un aereo pieno mentre in genere il tasso di riempimento è del 70 per cento (allora dovresti dividere la tua somma per 0,7); il calcolo si riferisce solo alle lunghe distanze, sulle brevi il maggior consumo di kerosene nelle fasi di decollo e atterraggio si “spalma” su meno chilometri; se si prende in esame l’effetto globale di radiative forcing (vedi ARTICOLO Voli pesanti), bisognerebbe moltiplicare di un fattore fra 2 e 4 volte. stenibile: oltretutto rischia di minare, causa caos climatico, l’esistenza stessa delle culture che vogliamo rispettosamente incontrare. Un viaggio “responsabile” ma in aereo per persona all’anno (o anche ogni due o tre anni) è decisamente troppo. Parliamo di decrescita o iniziamo a praticarla, intanto rendendo le vacanze più vicine ed ecologiche? (Lo chiede anche il principio di reciprocità: anche gli appartenenti alle culture di laggiù amerebbero venire a conoscere le nostre sul posto...)
MERCI Sai da dove viene una determinata merce e vuoi calcolare quanta CO2 è costato portarla fin qua? Secondo i calcoli di Azzero CO2 per la Coldiretti, ecco le emissioni di sola CO2, calcolate per t/km, cioè per il trasporto di una tonnellata di merce per un chilometro:
Alternative per i viaggiatori Prima di ogni viaggio, un pensiero e qualche calcolo. Scomodo, sed necesse est. E si aprono nuovi orizzonti. Tanto, non c’è più nulla di leonardesco nel volo. Evitare i voli a corto raggio: sì a treni, pulman, traghetti... Calcolando i tragitti da e verso l’aeroporto, il check-in e dintorni, spesso l’aereo non è più veloce del treno, che provoca emissioni di CO2 di dieci volte inferiori. Inoltre, con i treni notturni e relative cuccette non si perdono mattinate o pomeriggi e si risparmia sull’albergo. Su ferro o con pulman di linee internazionali si raggiungono in una notte o poco più anche molte città europee, con tariffe e promozioni low-cost. E quando c’è di mezzo il mare, Mediterraneo, Tirreno e Adriatico sono quasi dei laghi; si arriva economicamente in Sardegna e in Grecia in una notte e anche la Spagna è ben servita. Perfino negli incontri di lavoro, dovrebbe diventare un principio l’incorporare il mezzo (lo spostamento) nel fine (la riunione): come Gandhi insegnò. È arricchente. Boicottare i voli low cost e i charter. Perché è grazie alle compagnie a prezzi stracciati che i voli aerei continuano a crescere. Se rimanessero solo quelli di linea sarebbe già un passo avanti. Non partire! Le teleconferenze dovrebbero diventare la norma. E i megasocial forum mondiali a cui gli italiani partecipano più di tutti (in aereo)? Forse è più utile pagare il viaggio a qualcuno del Sud del mondo e mandare al massimo un de-
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aereo 0,90 kg nave transoceanica 0,00675 kg camion da 28 tonnellate 0,13 kg
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Svuotare i cargo
camion da 40 tonnellate 0,07 kg
Conoscendo le distanze percorse e il mezzo di trasporto utilizzato, si faranno le divisioni di peso e le moltiplicazioni di distanza per ottenere la CO2 “incorporata” nel trasporto di quel chilo di mele cinesi, fagiolini M.C. burkinabè, ceci messicani.
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legato per gruppo, chiedendosi se serve a qualcosa oltre che a socializzare. L’altro modo di far turismo (davvero responsabile). In Gran Bretagna esistono ormai siti dedicati alla bellezza e al senso dei viaggi in treno, pullman, nave ecc. Cambiamento che richiede un ripensamento delle vacanze. Anche del turismo “responsabile” in paesi esotici e lontani. La voglia di conoscere le altrui culture in modo solidale è cieca se fa dimenticare che anche un turismo convertito ai viaggi “solidali” ma fatti in aereo è inso-
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Attenzione ai “chilometri-cibo”. In un’orizzonte di sostenibilità, sicurezza e sovranità alimentare, secondo il rapporto Slow Trade Sound Farming del Wupperthal Institute il commercio internazionale deve diventare residuale. Tanto più se via aerea. Esempio Coldiretti: “per trasportare a Roma un chilo di ciliegie dall’Argentina in volo per una distanza di 12mila km si consumano 5,4 kg di petrolio, per un kg di pesche dal Sudafrica nel viaggio di 8mila chilometri si bruciano 4,35 kg di petrolio; gli arrivi di ogni kg di uva dal Cile richiedono 5,8 kg”. Dunque: mangiare alimenti coltivati e trasformati il più vicino possibile. Bioequo volante? Soil Association, la principale organizzazione britannica per la promozione e certificazione dell’agricoltura biologica, ha pubblicato Air Freight Green Paper, problematico rapporto che suggerisce sul rapporto fra l’impatto ambientale dei trasporti nella certificazione degli alimenti bio; e ha lanciato una consultazione: dobbiamo negare il marchio bio ai prodotti trasportati in aereo perché freschi e deperibili? Così fa già Biosuisse. Si potrebbe avanzare un’analoga richiesta agli attori italiani del commercio equo...
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Angola
Dalla Volskwagen al riciclaggio di Paolo Fusi
C’
FEST AMBIENTE
É GENTE CHE LE DISAVVENTURE SE LE VA A CERCARE. Per esempio Christian L., un venditore di Volkswagen
di un paesino della Baviera, che per festeggiare il proprio divorzio compie un viaggio in Africa e visita i maggiori rivenditori di Volkswagen di quel continente. Che romantico. In Namibia gli giunge voce del fatto che uno dei suoi referenti a Wolfsburg (la centrale della Volkswagen), responsabile di un settore della produzione, abbia avuto un’idea grandiosa per fare soldi. La cosa esige una fretta tale che il manager vola ad incontrare Christian L. a Windhoek. Dopo una serata al bar e si mettono d’accordo. Il manager della VW si mette a reclutare mendicanti cechi ed ungheresi che, per poche decine di Euro al mese, accettino di firmare come consiglieri d’amministrazione di società fittizie di vendita della VW. Detto, fatto. In quel modo la VW inventa delle fatture per circa 2 miliardi l’anno che finiscono (per circa la metà) nelle tasche dei congiurati. Christian e un paio di suoi amici del paesetto di Baviera, invece, organizzano un giro internazionale di prostitute per i dirigenti della Volkswagen coinvolti nell’impiccio, così che abbiano le mani e la bocca occupate. Christian perde i contatti con la realtà. Vola a Luanda (Angola) e rileva la fallimentare rappresentanza della Volkswagen, dell’Audi e di alcune delle marche più prestigiose insieme ad un intimo del presidente, tale Antonio Mosquito Mbakassy, noto per esser un riciclatore della corruzione del suo governo, sospettato di essere un un trafficante d’armi, temuto per la violenza L’avventura di uno scaltro, del suo servizio d’ordine e rispettato per essere stato fatto Cavaliere forse troppo, venditore Repubblica Italiana da Carlo Azeglio Ciampi – chissà perché. di auto che ha la malaugurata della Giunto alla firma del contratto, di fronte a lui ci sono idea di mettersi in affari il presidente angolano Dos Santos (nella foto) ed una sfilza con il clan Dos Santos. di tangheri. Se vuole la licenza deve dare il 49% della sua società E perde tutto con base a Marbella (gratis, s’intende) alla figliola del presidente, al figliolo di Mbakassy e ad alcuni altri maggiorenti di Corte. Ma non è finita. Il conto, per favore, lo facesse sul Banco Africano de Investimento, che ha una serie di conti ufficiali alla Commerzbank di Francoforte e quindi va bene per tutti. Christian firma, l’ignaro. Non sa che la banca appartiene alla famiglia Dos Santos e ai loro sodali. Sicché, quando un compratore paga, i soldi vanno a finire lì. A fine anno la banca gli comunica che i soldi non ci sono più, che faccia causa, se vuole. Christian vola a Luanda, perché nel frattempo la faccenda delle signorine è finita sulle pagine dei giornali tedeschi e quindi da quella fonte di soldi non ne vengono più. Tutti arrestati, i suoi referenti alla Volkswagen, un’ecatombe. A Luanda lo attende un avvocato inglese, che tra l’altro cura gli interessi di Nelson Mandela, che gli spiega che a causa di un’irregolarità formale il Tribunale di Marbella, d’accordo con i soci di minoranza angolani, ha congelato le sue azioni. Poche ore dopo i soci di minoranza hanno tenuto un’assemblea straordinaria, lo hanno dichiarato decaduto dal cda, e poi l’hanno licenziato. Qualora Christian L. avesse delle lamentele da fare, il nuovo direttore generale è il Generale Furrasco, capo della guarnigione delle milizie speciali a Luanda. Che vada a trovarlo, ma prima si faccia dare l’estrema unzione. Cosa fa Christian L. oggi? Protesta su un blog contro la corruzione e la violenza che dominano questo mondo globalizzato! Diceva il grande Fabrizio De Andrè: «Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio». La canzone, ironia della sorte, si chiama “Bocca di Rosa”.
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Assemblea ad alto tasso di partecipazione >36 Leonid Minin Nostro signore delle guerre >40 Sentenza legittima. Ma agevola i trafficanti >41
finanzaetica NUOVI FURBETTI NEL MIRINO DELLA PROCURA ROMANA
DOPO GLI ELICOTTERI ALLA CASA BIANCA FINMECCANICA FORNIRÀ AEREI AL PENTAGONO
MOBILI TRENDY DAI “RIFIUTI” UN PROGETTO CURATO DA CFE
IL DEBITO AFRICANO RECUPERATO ENTRO IL 2017
IL FEDELISSIMO DI BUSH AL VERTICE DELLA BM
MASTER IN MICROFINANZA PROMOSSO DA CONSORZIO ETIMOS E UNIVERSITÀ DI PARMA
Svolta nelle indagini della procura di Roma sulla scalata a Bnl. I magistrati che guidano l’inchiesta, Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli, avrebbero già provveduto all’iscrizione di nuovi nomi nel registro degli indagati. Il fascicolo venne aperto nel 2005 con l’iscrizione di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, già presidente e vicepresidente di Unipol, e il finanziere bresciano Emilio Gnutti. Sulla scalata alla Bnl c’è un nuovo dossier che la Guardia di Finanza ha già consegnato ai magistrati. Le fiamme gialle hanno seguito i movimenti di circa l’80% del capitale di Bnl tra la fine del 2003 e il 31 maggio 2005, data in cui ci fu un’assemblea fondamentale della banca. I magistrati attendono un secondo dossier, relativo al periodo successivo fino alla vendita del pacchetto posseduto dal contropatto formato dall’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto, i fratelli Lonati e Vito Bonsignore. Potrebbero sorgere nuovi elementi anche sul ruolo dell’ex Governatore di Bankilitalia, Antonio Fazio, già indagato a Roma nell’ambito dell’inchiesta Antonveneta per abuso d’ufficio.
Dopo essersi aggiudicata con Augusta Westland la gara per la fornitura degli elicotteri alla Casa Bianca, Finmeccanica ha vinto la commessa per gli aerei da trasporto del Pentagono. Un affare del valore pari a sei miliardi di dollari, per la fornitura di 145 aerei C 27 J Spartan, di cui 75 all’esercito e 70 all’aeronautica. Gli aerei, che dovranno essere consegnati entro il 2013 potrebbero anche essere di più. La previsione complessiva potrebbe arrivare a una fornitura di 207 aerei da consegnare entro dieci anni. La prima tranche del contratto prevede la consegna di 54 velivoli per un ammontare di due miliardi di dollari. La legge italiana, che regolamenta il commercio delle armi prodotte nel Bel Paese, vieta le esportazioni nei paesi belligeranti o i cui governi siano responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani. Tra questi rientrano gli Usa, che hanno guidato le guerre in Iraq e in Afghanistan, nonché appoggiato l’esercito etiope in Somalia. Inoltre il programma elettorale dell’Unione ha previsto un rafforzamento dei vincoli sulle vendite di armi e il nostro Paese ha approvato all’assemblea dell’Onu il Trattato sul commercio delle armi che rafforza i vincoli in materia di questi trasferimenti. Ma destino vuole che il maggior azionista di Finmeccanica sia proprio lo Stato italiano. Infine, la legge 185, approvata nel 1990, prevederebbe anche la riconversione produttiva dal settore militare a quello civile. Finmeccanica, evidentemente, come tutte le altre, non è stata riconvertita.
Sviluppare nuove idee nel settore dello smaltimento dei rifiuti; ricavare mobili di pregio realizzati con le doghe delle botti di barrique destinate al macero. Sono alcuni dei progetti “aiutati” dalla Compagnia di Finanza Etica, società finanziaria del cuneese, nata nel 2004, che incoraggia nuovi progetti che soddisfino i requisiti di sostenibilità etica e ambientale insieme con l’applicabilità a livello industriale. Ecco perché la finanziaria ha deciso di creare la prima catena del valore completa per il riciclo di materiali da discarica, salvando dai rifiuti i preziosi legni delle botti che ora sono utilizzate nelle cantine per non più di 3 anni, ma che in realtà possono durare un secolo. Tra i progetti più importanti già finanziati c’è “Eko Logic Shop to Shop”, che comprende MrPET, un sistema di recupero delle bottiglie di plastica (Pet, polietilene tereftalato) collegato a una fidelity card. MrPET genera un’economia significativa di Tep, tonnellate equivalente petrolio, evitando quindi anche importanti quantità di gas serra nell’aria. È un progetto pensato per il mercato della grande distribuzione e la Pubblica Amministrazione ed è anche un marchio di oggetti in Pet riciclato: cestini, porta cestini e carrelli ideati per il trasporto della spesa nei supermercati, nei grandi centri commerciali.
Secondo un nuovo rapporto del World Economic Forum, della Banca mondiale e della Banca Africana di Sviluppo, tenutosi a Città del Capo, il continente africano cresce ad un ritmo del 6%. Un andamento che gli consentirebbe di recupare nei prossimi dieci anni il proprio debito. Il rapporto, però, sottolinea che accanto alla competitività del continente, i governi africani e i loro partner internazionali devono migliorare l’accesso al finanziamento, ricostruire le infrastrutture e rinforzare le Istituzioni. La difficoltà di accedere ai servizi finanziari costituisce il principale ostacolo da sormontare per le imprese, mentre la mancanza di infrastrutture, la corruzione e la debolezza delle Istituzioni ostacolano la competitività dei beni e dei servizi africani sul mercato mondiale. I miglioramenti in campo giuridico costituiscono un altro passo indispensabile per liberare il potenziale finanziario necessario per alimentare la competitività in Africa. Le infrastrutture carenti, l’energia e i trasporti sono i principali problemi da affrontare per le imprese che si affacciano sul mercato.
La sua nomina era nell’aria, George Bush l’ha confermata: il nuovo presidente della Banca Mondiale è Robert Zoellick (foto), numero due del Dipartimento di Stato e amico intimo delle industrie farmaceutiche. Zoellick ha battuto l’ex-vice segretario del Tesoro, Robert Kimmit, anch’egli nella rosa dei candidati alla successione di Paul Wolfowitz (dimissionario dal 17 maggio scorso a causa di uno scandalo rosa). Difensore strenuo del protezionismo commerciale statunitense e sostenitore degli accordi commerciali bilaterali, Zoellick è riuscito a impedire l’accesso ai farmaci generici a migliaia di malati di Aids. Tra i candidati c’erano anche il leader della destra evangelica, Robert Frist; Henry Paulson, attuale segretario al Tesoro; John Bolton, già rappresentante degli Stati Uniti con poco successo presso l’Onu . Zoellick è un fedelissimo dei repubblicani e soprattutto del presidente americano e delle sue politiche. Inoltre è un discreto conoscitore del mercato cinese.
Parte in autunno la seconda edizione del master universitario di primo livello in “Finanza per lo sviluppo”, promosso e organizzato dalla facoltà di Economia dell’università di Parma, in collaborazione con Consorzio Etimos e Fondazione culturale responsabilità etica. Il master, che punta a formare operatori, tecnici e ricercatori specializzati nella gestione di servizi di microfinanza destinati ai Paesi in via di sviluppo, durerà un anno. Sono previste 1.500 ore di insegnamento, a partire dalla metà di novembre, con lezioni in aula concentrate prevalentemente al venerdì e al sabato, per favorire chi lavora, e due settimane a inizio e fine corsi di frequenza intensiva. Al termine delle attività in aula è previsto uno stage estivo, presso organizzazioni che fanno parte della rete nazionale e internazionale di microfinanza e cooperazione legata alle attività di Etimos. Le iscrizioni sono aperte dal 15 luglio al 29 settembre 2007. I docenti responsabili del master sono il professor Giulio Tagliavini e il professor Alessandro Arrighetti. È prevista la presenza di due tutor: Ilaria Urbinati, del Consorzio Etimos, e Lucia Poletti, ricercatrice dell’Università di Parma. Per informazioni contattare Ilaria Urbinati (Consorzio Etimos), tel. 049 656331, e-mail master@etimos.it. Oppure visitare il sito www.finanzaperlosviluppo.unipr.it
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Assemblea ad alto tasso di partecipazione
Preceduta da tre mesi di dibattiti e dure polemiche a colpi di appelli su giornali e blog, l’assemblea di Banca Etica è stata – a dispetto delle aspettative – molto ordinaria. Alta la partecipazione dei soci – 626 persone fisiche, in rappresentanza di altre 2.357 per delega – in tutto circa un decimo degli oltre 27.700 soci attuali. 26 MAGGIO È UNA TORRIDA GIORNATA A PADOVA, preannuncio di un’estate bollente. Nella sala Carraresi della Fiera di Padova, dove si svolge l’assemblea di Banca Popolare Etica, molti soci si sono fatti oltre un’ora di fila per registrarsi e farsi approvare le deleghe. Molti ne avevano dieci, il massimo consentito dal regolamento. Insieme al foglio per votare i candidati, i soci hanno ricevuto un corposo volume con una relazione di bilancio dettagliata e il Bilancio Sociale 2006. La sala è gremita, l’atmosfera appena tesa. C’è attenzione e aspettativa, l’attesa per qualche novità. Fuori, con prodi Jason Nardi verbiale efficienza, il gruppo scout Agesci Padova 8 distribuisce i cestini per il pranzo, a 5 euro l’uno. Le relazioni del Presidente Fabio Salviato, del direttore Mario Crosta e del presidente del Comitato etico Leonardo Becchetti si susseguono sfornado dati che mostrano una sostanziale crescita e buona salute economica di una realtà che ha compiuto 8 anni ed è riuscita a mettere in rete, tra la sua clientela e compagine sociale, un numero straordinario di soggetti molto diversi tra loro. La banca del terzo settore si presenta come “impresa sociale di mercato”, un pioniere che si muove all’interno di un’intricata serie di regole (di mercato) e aspettative (tensione etica), spesso in contraddizione tra loro. E dove «l’aspetto materiale deve necessariamente integrarsi con quello della sostenibilità ambientale e sociale», come afferma Becchetti. Ribaltando una “profezia” di Keynes del 1931, che sosteneva la necessità di “fingere a noi stessi e agli altri che ciò che è giusto ed equo è folle (o impraticabile) e che ciò che è folle (da un punto di vista etico) è giusto... perché crea valore economico e serve a far andare avanti l’economia”, il Comitato etico sostiene che la Banca ha un compito ambizioso: «rendere concreto un mondo nel quale il giusto è utile ed è dunque possibile creare valore con valori». Un sogno, un’utopia concreta? O semplicemente una banca responsabile, che crescendo sta rischiando di perdere per strada la sua forte spinta ideale e alternativa - una critica mossa da una parte dei soci, che vedono appannarsi la mission di Banca etica? «La criticità soci-management», sottolinea Becchetti, «è completamente differente da quella di una banca normale, centrata su aspetIL PROCESSO DI DECENTRAMENTO ti economici, mentre per noi il conflitto è sull’idealità. C’è un problema di sottocapitalizzazione: i soci non ritengono importante il Con i forum d’area continua il processo di decentramento. Oggi i numeri delle circoscrizioni sono, divisi per aree. capitale, e hanno difficoltà a distinguere e mediare tra ideale e realizNORD EST: 20 circoscrizioni, 203 aderenti nei coordinamenti zabile. In questa mediazione, soffriamo il fatto di essere del tutto pioeletti. Sono stati realizzati convegni e giornate per circa nieri: non possiamo neppure rifarci a esempi di altri paesi, siamo al60 giorni/anno. l’avanguardia a livello internazionale. Questo comporta che spesso, NORDOVEST: 22 circoscrizioni, circa 200 aderenti sperimentando, commettiamo anche errori». CENTRO: 12 circoscrizioni, 104 aderenti Gli esempi sono molti e dimostrano una capacità di sperimentaSUD: 11 circoscrizioni e 92 aderenti zione importante. Ma non basta. Da Banca etica si vuole di più. Oltre È prevista la formazione di 64 dirigenti. alla trasparenza e alla responsabilità, si esige la coerenza in tutte le sue azioni. Molti soci chiedono conto del rapporto di Banca Etica con due
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Bilancio in attivo (435 mila euro, +9,8%) e raccolta in crescita (418 milioni, +9,4%). Annunciata l’apertura di nuove filiali nel Sud Italia a Bari e Palermo
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I nodi della partecipazione I NUMERI DI BANCA ETICA NEL 2006 BANCA ETICA ha effettuato 2709 affidamenti, con una sofferenza dell’1,3% in calo, investe al sud 3 volte quanto raccoglie. Il 30% dei fidi è senza garanzie reali, ma questo ha paradossalmente effetti positivi sul rischio (0,7% di sofferenze sui mutui, sono più “sicuri” dei prestiti con garanzie). Nel 2006 la raccolta è stata di 416 mil. di euro, di cui accordato 322 (77%) e utilizzato 222,6 (53%). I 100 mil. rimangono comunque a disposizione, non impegnabili. L’utile netto di bilancio è stato 1,262 mil. il doppio dell’anno scorso. PARTECIPAZIONI. Etica Sgr (fondi di investimento etici) ha un trend di raccolta positivo in controtendenza rispetto al mercato (i fondi comuni in Italia hanno perso 47 miliardi di euro di raccolta nel 2006). Oggi Etica è al terzo posto nel mercato italiano dei fondi etici, con un patrimonio totale di oltre 230 milioni di euro. Il Fondo di garanzia per il microcredito collegato ai fondi ha raccolto 330.000 euro, ed è stato utilizzato per 43 finanziamenti di cui 32 a persone fisiche. ETIMOS. In crescita, con un processo di decentramento. Sono stati aperti uffici in Africa, Asia e America latina. In Europa ha iniziato ad operare attraverso Sefea SEFEA. È un consorzio che raggruppa 36 banche e finanziarie europee. Come priorità di intervento sono stati individuati progetti nel Sud Italia ed Est Europa Occorre cercare di creare nuove banche alternative. BANCA VERDE. Promozione di una Esco con legacoop veneto. Il modello delle ESCO consiste in ditte che realizzano interventi di risparmio energetico, con finanziamento dell’investimento, risparmio dell’ordine del 40%, e utilizzo del differenziale per i primi 8-9 anni per ripagare il finanziamento.
banche che nell’ultima relazione del Ministero del Tesoro sulle operazioni di export di armi (l.185/90), sono state segnalate nell’elenco delle “banche armate”: Banca Popolare di Milano e Banca Popolare dell’Emilia Romagna. La prima, in particolare, è stata citata in una lettera che il missionario comboniano Alex Zanotelli aveva inviato mesi prima al CdA. E che - resa pubblica - ha suscitato un acceso dibattito. Nella relazione del Comitato etico, Becchetti spiega la strategia decisa dalla Banca di confronto e dialogo - oltre che di pressione in accordo con varie associazioni e campagne - , perché i due istituti di credito abbandonino definitivamente il settore incriminato. Con il risultato di un impegno del presidente della banca Popolare di Milano, Roberto Mazzotta, che BpM chiuderà l’attività di appoggio alla fornitura di armi all’estero. Se su questo punto delicato per il “rischio reputazionale” della Banca si è insistito molto, mentre meno attenzione è stata data ad altri nodi critici, ma non meno rilevanti, come la scelta dei fondi pensione, i criteri di selezione delle società quotate in borsa per i prodotti di Etica sgr, la bassa percentuale di V.A.R.I. (il modello di valutazione socio-ambientale elaborato dalla banca alla sua nascita, con il quale vengono selezionati gli impieghi), le forme di partecipazione dei soci e la decentralizzazione della struttura. Qualche accenno di dibattito c’è stato, ma in un tempo estremamente limitato e senza reali spazi di confronto.
Marco Piccolo (Responsabile Area Sviluppo Socio Culturale e Progetti) sostiene che questa assemblea «ha portato alla luce dei nodi che si sono manifestati con forza. Banca Etica è anche il tentativo di mettere insieme delle cose che non dico siano agli antipodi, ma a volte contrapposte. Una cosa sono i soci individuali e capire come intendano partecipare all’iniziativa di Banca Etica. Un’altra i soci fondatori, che rappresentano delle reti consistenti che permettono di raggiungere una maggiore efficacia nelle nostre azioni, capillarmente su tutto il territorio nazionale». La partecipazione non dev’essere considerata come fine a se stessa in Banca Etica. Secondo Piccolo, «la politica si fa nella società e la Banca è solo una delle iniziative. Banca Etica non è la società civile: è uno degli strumenti che le persone hanno per il cambiamento e per trasformare la società attraverso strumenti finanziari e bancari. Molti però tendono a considerare Banca Etica come luogo di azione politica, aspettandosi da essa determinati obiettivi e l’esplicazione di determinati bisogni. Ma questo non è il suo ruolo. Si corre se no il rischio di sovraccaricare organizzazioni come Banca Etica che già operano in ambito di marginalità, creando notevoli difficoltà nella già difficile gestione quotidiana». «Il rischio – continua Piccolo – è quello di far diventare la banca solo uno strumento della partecipazione dal basso dei soci, oppure delle grandi organizzazioni nazionali: la sfida invece è quella di fare una sintesi. L’esito dell’assemblea è che non si possono più tenere separati questi due livelli e anche le circoscrizioni devono trovare il modo di coinvolgere i rappresentanti delle grandi associazioni insieme ai soci individuali. La consapevolezza è che per essere veramente uno strumento di promozione umana e sociale, dobbiamo sforzarci a trovare nuovi modi per farlo».
Un voto deciso Una novità dell’assemblea è stato il sistema di spoglio elettronico, che ha velocizzato e semplificato il conteggio dei voti per l’elezione del nuovo consiglio. Chiuse le votazioni, quasi in tempo reale si sono avuti i risultati, che hanno sostanzialmente riconfermato il vecchio Cda. Tra i consiglieri uscenti, il presidente Fabio Salviato ha ottenuto quasi un plebiscito (96% dei voti), seguito da altri otto consiglieri riconfermati: Luigi Barbieri, Mario Cavani, Pino Curcio, Sergio D’Angelo, Tommaso Marino, Marco Santori, Fabio Silva e Pino Di Francesco. Dei quattro nuovi amministratori eletti, tre sono donne: Marina Coppo, proposta dai soci del Nord-Ovest, Renate Goergen, proposta dai soci del Centro e Rita De Padova, proposta dai soci del Sud. A loro si aggiunge Sergio Morelli, già dirigente della Banca Agricola Milanese. Sul risultato ha certamente influito la forte presenza delle reti dei soci fondatori, dall’ARCI alle ACLI e in parte le cooperative sociali, come grossi collettori di voti in presenza e per delega. Il che dovrebbe far riflettere sugli aspetti della governance e «sul destino della banca: sarà governata da cordate delle maggiori reti e organizzazioni, oppure sarà in grado di mantenere l’equilibrio tra i grandi soci e i singoli rappresentanti dalle circoscrizioni territoriali?» Forse, un contenimento delle deleghe (attualmente ne sono permesse fino a 10) sarebbe necessario. Per il comitato etico, si è proposto un solo candidato, assente, ma votato unanimamente: Luigino Bruni, economista di calibro che ha dedicato numerosi studi sul rapporto tra valori non economici ed economia (nonché esponente di Economia di comunione). |
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Infine, nell’assemblea straordinaria che è seguita all’approvazione del bilancio, dell’utile netto di 1milione e 260mila euro, è stata accettata la proposta di impiegarne 330.000 come aumento di capitale sociale. In pratica ogni azione aumenta di valore di circa 1 euro, da 51,64 a 52,50 euro. L’incremento di capitale è stata una delle azioni necessarie per consolidare il patrimonio della Banca e al tempo stesso è un riconoscimento verso i soci, con un piccolo ma significativo aumento del valore del loro investimento in Banca Etica. Quei 330.000 euro di aumento del capitale sociale vanno anche ad aumentare il fondo di vigilanza, che permettono di erogare un credito maggiore. «Abbiamo solo 20 milioni di capitale sociale e con questo dobbiamo fare miracoli. Secondo i parametri di Basilea, e considerando i ritmi a cui cresciamo, in 3-4 anni arriviamo alla saturazione del credito accordabile», ha sottolineato Mario Crosta.
Coraggio e timidezza È la volta di Gabriele Giulietti, vicepresidente della Banca, che si lancia in una appassionata esposizione di quello che Banca Etica è riuscita a fare in questi anni. «Spesso non ci fermiamo a raccontare quello che abbiamo fatto, al di là dei numeri e dei risultati di bilancio, e che ci distingue da tutti gli altri. Non siamo Banca Intesa, quelli che fanno pubblicità con la Gialappa’s. Siamo quelli che finanziano i nostri temi e i bisogni della persona. Oggi siamo quelli che danno credito a quei lavoratori ritenuti non finanziabili, perché sono senza un lavoro definito. O alla Coop tirreno per il biologico. Le Ong italiane in Libano ci sono andate grazie alle nostre fideiussioni, altrimenti non sarebbe stato loro possibile. E il nostro impegno al sud è centra-
cando di mediare tra consumatori che si impegnano ad acquistare dove non si paga il pizzo, e i commercianti che non lo pagano. Insomma, il consumo critico nella lotta alla mafia! Banca Etica, che ha appena aperto a Palermo, può contribuire facilitando l’accesso al credito di questi commercianti, che subiscono isolamento».
Silenzio dissenso Se l’assemblea non ha risparmiato tempo sull’esposizione dei risultati raggiunti nell’ultimo anno, dall’altro parte non è stato lasciato spazio per una presentazione dei candidati, con la motivazione dei tempi stretti. Ciò ha creato una certa disparità comunicativa tra la dirigenza, che ha avuto ampli spazi, e i nuovi candidati proposti dalle circoscrizioni territoriali. Molti si aspettavano un intervento di Alessandro Messina, il candidato più apertamente critico della precedente dirigenza, proposto con una raccolta firme, ex presidente dell’Associazione Finanza Etica, animatore del blog “finansol.it” e tra gli autori dell’appello su “il futuro di Banca Etica” pubblicato sul quotidiano Il manifesto. «Non sono intervenuto in assemblea», dice Messina, perché «dopo un anno di discussioni in cui mi si era detto che queste cose si affrontano in assemblea e dopo aver constatato che l’assemblea era presieduta da una persona che stimo come Gianni Calligaris, ho aspettato il momento per intervenire. Invece ho assistito a un’autocelebrazione del presidente della Banca, a una difesa d’ufficio senza contraddittorio alle critiche fatte nelle settimane precedenti, senza che nessuno abbia riconosciuto che c’erano dei problemi da risolvere. Ho assistito a un’assemblea che ha deciso di votare prima di discutere. Di fronte a quella situazione, non c’era più nulla da dire. Era evidente che c’era una costruzione a tavolino finalizzata ad arrivare a un risultato predeterminato. In quel momento mi sono addirittura detto: ora ritiro la candidatura. Ma alcuni dei soci presenti con cui mi sono rapidamente consultato erano contrari. Ho ritenuto giusto assecondare il desiderio di chi mi aveva sostenuto. E così pure io ho dovuto votare Fabio Salviato, dal momento che il regolamento assembleare chiaramente induce a votare chi sarebbe sicuramente passato, per evitare di disperdere i voti con i candidati delle altre minoranze». Secondo Messina, manca un reale dibattito interno, che andrebbe stimolato in molti modi. «I livelli della partecipazione sono tanti: anzitutto fare l’informazione, e poi fare consultazioni con la base sociale», dice. Ad esempio, «se voglio fare un fondo pensione, posso fare un “referendum” tra i soci, e sulla base del risultato si può approfondire e poi fare una discussione strategica molto più partecipata. Invece, viene annunciato a cose fatte. In sintesi, essere partecipativi significa cedere sovranità - non vedo nessuno di quelli che ce l’hanno all’interno della Banca che hanno voglia di cederla. Cose forse normali, ma ci aspettavamo che Banca Etica non lo fosse...». Per la cronaca Messina ha raccolto circa il 20% dei consensi e non è entrato nel cda della Banca. Ugo Biggeri, consigliere uscente e presidente della Fondazione culturale responsabilità etica, replica senza usare mezzi termini: «In questi mesi che hanno portato all’assemblea, è emersa un’organizzazione dei soci che ha chiarito - con distanza di quasi 1000 voti tra l’ultimo e il primo dei non eletti - un’evidente stanchezza per una campagna di attacco mediatico, che non è stata apprezzata. E questo non tanto per
Un forte impegno per la legalità nelle regioni Meridionali. L’erogazione di oltre 1200 finanziamenti che raccontano una storia diversa per i conti di un istituto di credito to sulla legalità (con Libera), ed sul lavoro con Caritas e con gli enti locali sul microcredito. Abbiamo erogato 1.200 finanziamenti l’anno scorso, ma ciascuno è una storia, sono persone, che hanno cambiato qualcosa». Indossato il naso rosso da clown, Giulietti cita il coraggioso Milou, clown francese di origini marocchine che ha fondato una scuola a Bucarest per bambini di strada, e con cui Banca Etica ha cominciato a collaborare. Poi dà la parola a Pezzotta, di Lavoro e Non Solo, una cooperativa di tipo B che gestisce un’azienda agricola su terreni confiscati alla mafia nel territorio di Corleone e Monreale. «Siamo partiti con 100 ettari che davano lavoro a una quindicina di persone», racconta Pezzotta. Oggi siamo cresciuti, ma sono aumentate le attenzioni della criminalità organizzata, le intimidazioni. Siamo riusciti a mettere insieme un fondo di garanzia di 100 mila Euro. E un bel segnale è che nel consorzio delle cooperative che lavorano per la legalità c’è dentro anche Banca Etica: proprio ieri ha deciso la sua partecipazione. Ma c’è bisogno di più coraggio anche da parte di Banca Etica». Una proposta viene da un socio di Palermo: Preguglia del comitato Addio Pizzo. «L’80% dei commercianti di Palermo paga il pizzo», afferma Preguglia, «quindi l’80% dei consumatori, indirettamente, paga il pizzo. Cosa si può fare? In 3 anni abbiamo affrontato una realtà nuova, cer| 38 | valori |
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le critiche mosse, quanto per il modo in cui sono state fatte, mettendo a repentaglio la reputazione DOVE VA LA FINANZA ETICA IN ITALIA? della Banca. Credo che occorra comunque raccogliere lo stimolo di lavorare di più con la base dei soci e dei clienti della Banca», continua Biggeri. A GENNAIO 2007 È STATA DEFINITIVAMENTE SCIOLTA L’AFE, Associazione Finanza Etica. Al suo posto, «A partire dalle circoscrizioni, facendo funzionaper ora, non c’è niente. «Uno dei motivi di fondo per cui si è arrivati a questo risultato», afferma Alessandro re bene i meccanismi di partecipazione. Il nuovo Messina, che ne è stato presidente, «è perché i singoli soci non sentivano più l’esigenza di un luogo ufficio di comunicazione di sistema della Banca, di rappresentanza, essendosi affermata una cultura della parcellizzazione, dell’individualismo. Leggo per certi versi è una risposta alle osservazioni fatciò come una forte immaturità politica. In tutti i cartelli e associazioni di rappresentanza è normale te in questi mesi: serve a integrare le esigenze che ci siano forze centrifughe, ma poi si trovano gli elementi comuni per fare lobby, campagne, ecc. commerciali, quelle culturali e quelle di interesse Io trovo che ci sia stata dell’immaturità anche e soprattutto da parte di Banca Etica. Il movimento dei sociı. Paola Ferrara, che ne è responsabile, è del credito cooperativo è riuscito in una fase critica del suo sviluppo a fare la scelta federativa, che non molto convinta di ciò e viene da un’esperienza è stata indolore ed è stata vincente. La finanza etica doveva scegliere una strada simile o una originale, sia in RAI sia in Medici Senza Frontiere. comunque in quella direzione. Il giudizio che ne do io è che non viene sentito necessario un ruolo politico, Una delle novità annunciate in assemblea è nel senso di lobby culturale buona, un po’ come avevamo cercato di impostarlo quando ero presidente». la creazione della nuova area socio-culturale delManca insomma un tavolo di confronto e coordinamento per la Finanza etica italiana. la banca, che per la prima volta si unisce e alla Chi può assumere questo ruolo? Per Ugo Biggeri, «la Fondazione (culturale responsabilità etica) parte amministrativa e alla parte di indirizzo ponon può sostituire un luogo di elaborazione e coordinamento politico-culturale come era l’Associazione litico. «La banca», dice Marco Piccolo, «ha receFinanza Etica. Occorre un soggetto di concertazione e rappresentazione del mondo della finanza etica, pito che non può scindere la sua prassi dal penche oggi è venuto a mancare - forse occorre una forma più leggera, come un coordinamento invece siero che dovrebbe animarla. Il fatto che sia stata di un’associazione. Bisogna (ri)partire dal fatto che le esperienze di finanza etica in Italia oggi sono molto nominata una responsabile dell’ufficio comunivarie, come i soggetti coinvolti. Con il tentativo di grandi gruppi bancari come Intesa San Paolo, credo cazione di sistema è il riconoscimento della nesia necessario tracciare i confini al di là dei quali non si può parlare di finanza etica, con parametri cessità di coordinamento dei vari linguaggi e tecnici e non ideologici come trasparenza, coerenza e partecipazione». armonizzazione di una comunicazione che avveniva su più livelli e alle volte in contraddizione. La comunicazione diventa così una sola e più efficace possibile». ciale), Renate Goergen ha una lunga esperienza di imprenditrice sociale. «Per me è un grande onore far parte del nuovo Cda di Banca Etica», dichiara, «e sento una grande responsabilità... Il mio contriPre-pensionamento buto sarà indirizzato principalmente nell’ambito delle imprese soAltro argomento delicato e contestato – che è sfuggito al dibattito asciali, di cui ho una certa pratica. Uno dei problemi più grossi per sembleare – è l’opportunità per Banca Etica di proporre fondi pensioqueste realtà è sicuramente il rapporto con gli istituti finanziari e c’è ne integrativi, gestiti da terzi, e in questo caso da ITAS, una delle più sempre stata un’aspettativa enorme nei confronti di Banca Etica, antiche compagnie di assicurazione italiane, basata a Trento. Il fonche percepisco come un’impresa sociale a sua volta. Quindi in qualdo pensioni aperto di ITAS, AEquitas, ha un portafoglio che segue le che modo ritengo di poter essere in grado di sviluppare insieme al regole di EticaSgr ed è stato lanciato a Terra Futura. Il gestore potrà faconsiglio di amministrazione delle proposte innovative per aiutare re azionariato attivo, ma non è chiaro quanto Banca Etica potrà inciil settore delle imprese sociali a svilupparsi meglio». dere e determinarne la strategia. Poi, in coda all’assemblea, si scopre «Per l’assemblea, io ero molto emozionata», ammette Goergen. che la banca depositaria sarà Banca Intesa, e qualche dubbio sorge, co«Purtroppo non c’è stato un grande dibattito. Io sono molto legata me segnala Gianni Comoretto, coordinatore della circoscrizione dei ai problemi organizzativi: già il fatto di organizzare un’assemblea per soci di Firenze. Una risposta del perché sia stato deciso così esiste ed 27.000 soci, mi è sembrata un’impresa impossibile. C’era molta genera stata data mesi prima durante un incontro dedicato ai Fondi pente che aveva voglia di discutere. Bisognerà lavorare di più sulla cosione da Luca Mattiazzi, ex direttore di Etica sgr e attuale vicedirettomunicazione, sulla partecipazione - organizzando dei momenti - che re della Banca: «In Trentino Alto-Adige ci sono Casse di Risparmio e non possono essere durante l’assemblea - dove ci sia un reale scamaltre banche che per via dei processi di fusione sono finite nell’orbita bio e confronto. Anche su questo mi piacerebbe impegnarmi». di Banca Intesa. Queste fusioni hanno comportato il passaggio delle La questione della partecipazione dei soci è ripresa anche nella partecipazioni (di minoranza) in PensPlan Invest sgr da banche locali relazione del Comitato Etico, dove si «raccomanda la scrupolosa apa Banca Intesa. C’è però la volontà sia di Itas che della Cassa Centrale plicazione delle decisioni già prese per una puntuale e trasparente delle Bcc Trentine (che è socia di Banca Etica) di analizzare la possibicomunicazione, azione di strumenti innovativi nella conduzione di lità di avere una banca depositaria ad hoc per poter gestire autonoassemblee e riunioni (...) ed un adeguamento della governance e mamente anche questo aspetto. Nel corso dei dibattiti futuri sarà moldelle strutture che valorizzi tale partecipazione». E che andrà sperito interessante fare delle pressioni in questo senso». mentata dallo stesso Comitato Etico nel percorso di consultazione e d elaborazione del codice etico. È in fase di elaborazione anche il Nuove sfide nuovo Patto associativo (con i compiti delle circoscrizioni), che sarà Coordinatrice dell’AITR e direttore dell’Albergo in via dei Matti n.0 forse oggetto di un’assemblea straordinaria a dicembre. e di Le Matt (progetto Equal su lavoro decente con l’economia so-
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RICCARDO VENTURI / CONTRASTO
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Nostro signore delle guerre Si chiama Leonid Minin. Ha cinque passaporti e altri undici nomi. È conosciuto dalle polizie di mezzo mondo come un pericoloso trafficante d’armi. Per l’Onu è il capo della mafia ucraina in Europa. Per la Cassazione italiana è uno straniero non processabile. EZZO MILIONE DI DOLLARI IN DIAMANTI e 150mila in contanti. Cinquantotto grammi di cocaina sul tavolino. Un dvd porno proiettato sulla parete in penombra. Lui, il boss, seduto in poltrona. Nudo, pallido, madido di sudore. di Andrea Barolini e Emanuele Isonio Circondato da quattro prostitute. Un’italiana, una russa, un’albanese, una keniota. Sembrava il set di un film di Quentin Tarantino la suite 341 dell’hotel Europa di Cinisello Balsamo, il 4 agosto del 2000. Gli agenti della polizia di Milano - imbeccati da una squillo, risentita per un mancato pagamento - facevano irruzione in quello che Leonid Minin, considerato dalle Nazioni Unite il referente della mafia ucraina in Europa, aveva adibito a quartier generale delle sue attività illegali. Traffici che gli agenti seguivano dal ‘92. Da quella scena Minin uscì in manette. Ma il sipario non era calato. E probabilmente lui lo sapeva bene.
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Granate off-shore Leonid Minin, noto trafficante internazionale d’armi. Sopra, Freetown. Un giovane armato appartenente al “Civil Defence Group”.
Sierra Leone, 1999 | 40 | valori |
Leonid Minin – sessant’anni, israeliano di origine ucraina con passaporti tedesco, russo, greco, boliviano – il suo sporco lavoro lo conosce come pochi. Ufficialmente risiede a Ibiza, ed è stato presidente di una delle principali compagnie liberiane del legno, la Exotic Tropical Timber Entreprises (ETTE). Nei fatti, il suo ruolo è quello di “mediatore”. C’è il suo nome in una quantità di
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rapporti Onu per i suoi traffici di armi in Liberia e Sierra Leone. Nel marzo del 1999 riuscì a far recapitare dalla Bulgaria a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, un carico di 68 tonnellate di armi leggere (715 scatole di pistole e cartucce, 408 di esplosivi. E poi razzi anticarro, missili, granate e lanciagranate) e 112 di armi da guerra. In transito verso Liberia e Sierra Leone. Per passare le frontiere (e gli embarghi imposti dalle Nazioni Unite) gli bastarono un bel pacco di falsi certificati di utilizzatore finale, una compagnia aerea da lui controllata e un contratto a nome di una società registrata a Gibilterra. Documenti che, in parte, Minin aveva con sé il giorno dell’arresto a Cinisello Balsamo. Gli agenti trovarono perfino una sorta di “catalogo” della merce in vendita, con l’elenco dettagliato di prezzi, tariffe, offerte speciali. E un certificato, in lingua francese, con cui la Costa d’Avorio autorizzava una società di Mosca (la Aviatrend ltd., che acquistò fisicamente in Ucraina le granate e i kalashnikov, rappresentata dall’illustre sconosciuto Valere Cherny) a commerciare ingenti quantità di armi da guerra e munizioni. Documento rivelatosi falso, ovviamente. Così, con l’aereo Bac-111 Vp-Clm della Aeroleasing delle Isole Cayman (di proprietà dello stesso Minin), il carico di morte giunse a destinazione. E nei giorni seguenti lo stesso Minin volò in Liberia, con una compagnia monegasca.
IL TRAFFICO ILLEGALE DELLE ARMI IN AFRICA 30 MILIONI Armi leggere e di piccolo calibro presenti illegalmente in Africa 7 MILIONI Armi leggere circolanti in Africa nordoccidentale 20 MILIONI Morti per armi leggere in Africa nell’ultimo decennio (dati Onu) 500 MILA Armi da fuoco illegalmente in circolazione nella Repubblica Democratica del Congo 20 MILA Bambini soldato (con meno di 9 anni) in Liberia 7 MILA Bambini soldato in Sierra Leone 80% Percentuale delle armi in mano ai civili in Africa 30 DOLLARI Prezzo di una pistola al confine Liberia – Sierra Leone 90 DOLLARI Prezzo di un fucile semiautomatico 1 POLLO Prezzo di un kalashnikov AK 47
Al suo ritorno, la “vacanza” nell’hinterland milanese e l’arresto. Sul suo conto la polizia italiana indagava da tempo. Un rapporto dello Sco - il servizio centrale operativo della Polizia - parlava di lui come del «supremo leader delle attività criminali» della mafia ucraina in Europa. Lo stesso rapporto citava anche altri ben noti “signori della guerra”: da Victor Bout, ex ufficiale del Kgb, che trasferisce armi dagli arsenali ex sovietici all’Angola, al Congo, alla Liberia e alla Sierra Leone, al sudafricano Fred Rindel, specializzato nel reclutamento di mercenari. Gli indizi a carico di Minin erano evidenti. Tanto da indurlo (secondo quanto riferito alla commissione Antimafia del parlamento italiano) ad ammettere almeno in parte il suo coinvolgimento nel brokeraggio illegale di armi da guerra. Sospiro di sollievo: un pericoloso criminale, un bandito internazionale si dichiara colpevole. Il 20 giugno del 2001, il gip del Tribunale di Monza ordina la custodia cautelare in carcere di Minin perché responsabile, insieme ad altri trafficanti non identificati, di aver ceduto ai militanti del RUF della Sierra Leone (il Fronte Unito Rivoluzionario, tra i più spietati gruppi africani di massacratori di innocenti) centinaia di tonnellate di armi da guerra, munizioni ed esplosivi. Fine dei giochi? Nient’affatto: siamo in Italia. Per Minin il più grande problema, in realtà, sono stati quei 58 grammi di polvere bianca trovati nella sua suite il giorno dell’arresto: venne infatti imputato e condannato a 24 mesi dal tribunale di Pavia per possesso di cocaina. Per il resto, sarà rilasciato per impossibilità a procedere. Con sentenza del 15 novembre 2002 (la n. 38401), la prima sezione penale della Cassazione ha infatti dichiarato non perseguibile l’imputato, che ha così lasciato il carcere di Vigevano, nel quale era recluso. Mancavano le prove? Macché: la giustizia italiana, in realtà, non dava un giudizio di merito. La ragione era formale. Anzi, geografica: Minin è sì un bandito, ma non è italiano. Né i suoi traffici hanno mai toccato l’Italia. Tradotto: le armi non sono mai passate sul nostro territorio, perciò nessun reato sul suolo italiano e nessun processo nei tribunali italiani. Questo secondo l’interpretazione della Cassazione. Eppure esistono alcuni principi giuridici che sembrano in netto contrasto con la decisione della Corte.
“offesa” non è lo Stato italiano o un suo cittadino, ma una qualsiasi altra nazione. Con la sola differenza che il reato deve prevedere una pena minima di tre anni. Nel caso di Leonid Minin l’articolo 10 del codice penale pareva calzare perfettamente: è un cittadino straniero che in quel momento si trovava in Italia. C’era una richiesta di procedere, firmata successivamente all’arresto dall’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto. Ciò che ha convinto i giudici a non procedere nei confronti di Minin è stato, probabilmente, un ulteriore principio giuridico: quello della doppia incriminabilità. Per incriminare un cittadino straniero che non abbia commesso reati in Italia è necessario infatti che i suoi comportamenti siano punibili anche nel Paese in cui sono stati commessi. Nel caso di Minin i Paesi (giuridicamente) coinvolti erano certamente l’Italia, l’Ucraina e gli Stati africani destinatari degli arsenali. Più la Svizzera, dove Minin teneva i suoi conti correnti e i cui giudici avevano infatti dato la disponibilità a processarlo. Solitamente le cose si risolvono così: i due (o più) Paesi interessati convengono che determinati fatti
Leonid Minin è stato arrestato per traffico di armi verso i paesi africani e la Sierra Leone. In albergo un sacco di coca
Giurisdizione universale Prima di tutti l’articolo 10 del codice penale che, almeno apparentemente, non sembra prestarsi a speculazioni giuridiche. Recita, testualmente, che “lo straniero, che commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato e vi sia richiesta del ministro della Giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa”. Stesso discorso se la parte
costituiscono reato in entrambi i territori. Così si procede nei confronti degli imputati sia mediante l’arresto (e quindi l’estradizione), sia mediante il perseguimento penale da parte della giustizia ordinaria. Il pubblico ministero Walter Mapelli, che indagò sulla vicenda, sottolinea che «la legge è chiara. E l’articolo 10 è di una linearità disarmante. Bisognava solo applicarlo. Credo che l’interpretazione della Cassazione possa essere giudicata stravagante». Secondo la prima sezione penale della Corte di Cassazione, inoltre, non esistono norme interne che impongano pene o sanzioni per chi infrange decisioni delle Nazioni Unite. Perciò, sottolineano nella sentenza i supremi giudici, l’arresto e il processo «non possono trovare base giustificativa neanche nel fatto che il traffico d’armi è stato posto in essere in violazione dell’embargo stabilito da risoluzioni dell’Onu». Tali risoluzioni, prosegue la Cassazione, «impegnano gli Stati aderenti sul piano politico senza assumere valore vincolante, in mancanza di puntuali atti di produzione legislativa, all’interno dei singoli ordinamenti».
Diamanti di contrabbando Nel frattempo, contro Minin la giustizia si muoveva per altri reati minori. Dopo essere stato condannato in Germania per frode, in Francia per possesso e trasporto di sostanze stupefacenti ed espulso da Svizzera e Principato di Monaco per i suoi ben noti legami con le mafie dei Paesi dell’Est, l’11 marzo del 2003 il tribunale di Monza lo condannò al pagamento di una multa di 40mila euro per |
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LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE? LEGITTIMA. MA RISCHIA DI AGEVOLARE I TRAFFICANTI «Tutto sommato, se fossi un trafficante d’armi mi sentirei più tranquillo in Italia che in altri Stati europei». Maria Riccarda Marchetti, docente di Procedura penale all’università di Sassari, esperta di cooperazione internazionale in materia penale, evidenzia il paradosso sorto sul caso Minin: «Per chi commercia illegalmente armi l’orientamento giurisprudenziale rappresenta di fatto una tutela». Professoressa Marchetti, che giudizio si può dare della sentenza?
«Non mi permetto di polemizzare con la Suprema corte. Però l’articolo 10 del codice penale, nella sua linearità, permetteva di processare Minin. Erano soddisfatti tutti i requisiti necessari: il reato era grave, Minin era sul territorio italiano e c’era la richiesta del ministro di Giustizia. L’interpretazione data mi pare quindi restrittiva». Attorno all’articolo 10 ruota gran parte della sentenza. Qual’è la ratio di questa norma?
«L’articolo 10 risale al codice penale fascista, introdotto per tutelare lo Stato da soggetti pericolosi per il solo fatto di risiedere nel territorio italiano. All’epoca fu pensato per colpire soprattutto gli oppositori politici. Ma, in un sistema democratico, l’articolo contiene oggi una norma straordinariamente avanzata. Permette, infatti, all’Italia di porsi all’avanguardia nella lotta contro la criminalità internazionale. Perché autorizza a perseguire qualcuno per un reato grave. A prescindere dalla nazionalità dell’imputato, delle vittime e dal luogo in cui il fatto è avvenuto». Una “giustizia senza frontiere”…
«Contro certi crimini, quelli più gravi, sì. Per favorire la sicurezza della comunità internazionale. Ma, al tempo stesso, per aumentare il livello di sicurezza interno». La Cassazione dice anche: l’embargo Onu violato da Minin pone vincoli politici ma non giuridici.
«È vero. Ma per applicare l’articolo 10 non serve una norma Onu giuridicamente vincolante». La sentenza della Cassazione depotenzia il contenuto dell’articolo 10?
«Un depotenziamento c’è stato. Ma da noi una sentenza della Cassazione non è fonte normativa e non è perciò vincolante per le sentenze future. È un precedente. Autorevole quanto si vuole, ma non è obbligatorio seguirlo». Quindi in futuro ci potranno essere decisioni diverse?
«Può darsi, quando ci si renderà conto che la sentenza ha dato adito a casi simili. Oppure una sentenza a Sezioni unite potrà chiarire le cose». Senza la decisione della Cassazione non si sarebbe prodotto un vuoto normativo?
«Non c’è dubbio. Se i supremi giudici avessero confermato o ampliato le potenzialità dell’articolo 10 con un’interpretazione estensiva, il difetto di giurisdizione non si sarebbe avuto. Questo è innegabile». Il Parlamento non può fare nulla per evitare il ripetersi di casi simili?
«Al contrario, può fare molto. L’Italia ha ratificato il trattato che istituisce la Corte penale internazionale ma non ha mai approvato le norme attuative e di collegamento. Quelle norme sono essenziali e vanno introdotte rapidamente». E finché non verranno introdotte quali problemi ci saranno?
«Un esempio: se la Corte penale ci chiedesse la consegna di un soggetto rifugiato nel nostro Paese, al momento difficilmente potremmo esaudire la richiesta. Già nel 2001 la commissione ministeriale per la ratifica delle convenzioni internazionali aveva chiesto di superare questo problema. Inoltre, nulla vieta al legislatore di introdurre anche in Italia il principio della giurisdizione universale, come hanno già fatto Spagna e Belgio». E.I.
il possesso dei diamanti sequestrati nella camera d’albergo il giorno dell’arresto. Si trattava, secondo i giudici, di contrabbando. Minin non aveva documenti fiscali e contabili che attestassero l’acquisto delle pietre preziose né l’introduzione delle stesse in Italia. In veste di imputato, Minin si giustificò consegnando una dichiarazione giurata di un tale Aleksej Chejmucshev che riferisce di aver consegnato i diamanti a Minin per restituirgli un prestito di 350 mila dollari. Peccato che sempre Chejmucshev dichiara di aver consegnato i brillanti a Minin nel gennaio del 2000, e cioè oltre 3 mesi prima del giorno in cui Minin gli avrebbe prestato i dollari. Anche per questo, i giudici non gli credettero e lo condannarono.
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L’antesignano dei furboni di Andrea Di Stefano
ALORI AVEVA AZZECCATO IN PIENO.
Da imputato a ricorrente La gravità dei fatti e la pericolosità dei soggetti coinvolti però erano ormai noti a tutti. Anche all’Unione Europea che, qualche anno dopo, si è mossa direttamente contro Minin. Con due regolamenti del 2004 (l’1149 e l’872, relativi a “misure restrittive nei confronti della Liberia”) aveva disposto il congelamento dei fondi e delle risorse economiche di numerose persone implicate a vario titolo nella tragedia liberiana. Tra i quali l’ex presiSITI INTERNET dente Charles Taylor, sua www.controlarms.com moglie (e altre sue ex consorti), www.disarmo.org www.nigrizia.it suo figlio, i suoi ministri delle www.iansa.org Finanze, dell’Energia e del Terwww.disarmonline.it www.hrw.org ritorio, della Cultura e qualche parlamentare. Insieme, guarda caso, a Leonid Minin. Il quale non si è dato per vinto. Ha dato mandato ai suoi avvocati (italiani) di ricorrere al Tribunale di Primo Grado dell’Unione Europea. Motivazione? Dal momento che tutti i suoi beni sono stati congelati, «egli non è più in grado di occuparsi di suo figlio né di proseguire le sue attività di gestore di una società di import/export di legname». Il ricorso si basava su osservazioni relative all’applicabilità delle disposizioni di congelamento dei beni da parte degli organismi europei (per presunti vizi di competenza) e quindi al principio di territorialità. Ma il “mediatore” Leonid si spinse oltre, invocando una presunta violazione dei diritti fondamentali che il congelamento dei beni avrebbe provocato, privandolo del diritto alla proprietà. Per questo si appellò alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Comico, paradossale. Se non fosse tragicamente vero. Oggi Leonid Minin è un uomo libero. Un film, “Il signore della guerra”, sembra ispirato alla sua vicenda. Nella prima scena un trafficante d’armi ucraino fuma un sigaro. Ai suoi piedi un tappeto di pallottole. Sullo sfondo un sipario di fiamme. L’uomo si volta, sorride: «Ci sono più di 550 milioni di armi da fuoco in circolazione. Significa che c’è un’arma da fuoco ogni dodici persone sul pianeta. La domanda è: come armiamo le altre undici?».
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Fulchir & C.
Carlo Fulchir aveva la patente del furbetto, anzi del furbone. Ben prima e forse ben più di Ricucci, Fiorani, Consorte e C. perché a differenza dei raider de noiatri Fulchir ha lasciato a piedi migliaia di lavoratori e dilapidato, se così si può dire, molto, troppo danaro pubblico. Gli arresti scattati per ordine della procura della Repubblica di Venezia hanno aperto un piccolo squarcio su una vicenda che merita ancora di essere compresa a fondo. Gli elementi raccolti dal pool della polizia tributaria lagunare (guidato dal colonnello Pier Luigi Pisano e dal tenente Francesco Mora) disegnano un quadro inquietante. In base all’accusa, Fulchir e i suoi compagni d’avventura avrebbero sistematicamente svuotato le casse della società e delle sue controllate, distraendo 150 milioni di euro, creando voci di bilancio fittizie per 650 milioni ed emettendo fatture false per 140 milioni. In tutto un buco da un miliardo che ha affondato l’intera galassia Finmek, finita in amministrazione straordinaria a fine 2004, lasciando seimila persone senza lavoro e mandando in fumo in 150 milioni di bond emessi nel 2001 da Caboto Banca Intesa e sottoscritti da un migliaio di risparmiatori. Il responsabile numero uno del crac - secondo le carte degli inquirenti - sarebbe proprio Carlo Fulchir, l’ex enfant prodige dell’informatica italiana che grazie a una rete di relazioni bipartisan e a una grande capacità di comunicazione si era candidato a fine millennio al ruolo di risanatore dell’informatica Con l’arresto dell’ex imprenditore nazionale, rilevando per un piatto di lenticchie della Finmek sì è aperto uno in crisi (dagli ex pc Olivetti alla Telit fino squarcio su una clamorosa vicenda aziende ad alcuni rami d’impresa di Italtel) per rilanciarli. costata molti danni ai conti pubblici Strada facendo si era guadagnato - secondo la Finanza e migliaia di posti di lavoro il ruolo di consulente dell’innovazione nel governo D’Alema, aveva aperto il cda della sua Mekfin a Umberto Minopoli uomo di Bersani, ma strizzando però l’occhio anche al fronte opposto entrando nell’azionariato del Domenicale di Marcello Dell’Utri. Il sogno del polo elettronico italiano - oliato anche da 10 milioni di contributi pubblici per progetti poi mai realizzati - si è però rivelato subito un bluff. Le aziende sono andate in crisi, i dipendenti sono rimasti per strada mentre Fulchir - secondo l’accusa - ha spolpato le società trasferendo i soldi nei suoi conti svizzeri. Lo schema era articolato. Fulchir girava i soldi in alcune società estere grazie a contratti di consulenza fittizi, a vendite di materiali e magazzini inesistenti o accendendo finanziamenti. I contanti finivano poi in un vorticoso giro di conti correnti, da Londra alle Bahamas fino alla Svizzera, dove entravano nelle disponibilità personali del manager e di sua moglie. Gli altri arrestati sarebbero invece responsabili solo di aver avvallato il meccanismo con le loro firme. I primi a sentire puzza di bruciato sono stati nel 2003 gli uomini della Deloitte. I revisori hanno avvisato la magistratura di questi strani movimenti e gli inquirenti, dopo aver passato al setaccio 713 conti correnti (20 all’estero) e dopo 17mila ore d’intercettazione, 8 rogatorie sono entrati ieri in azione per evitare la dispersione di prove. Quanto sarà possibile recuperare? Un mese fa erano stati già congelati beni per 14 milioni di euro. E secondo la polizia tributaria all’appello mancherebbero almeno un altro centinaio di milioni spariti nel dedalo di conti esteri degli imputati. Gli inquirenti sono ancora in attesa dei risultati di nuove rogatorie che potrebbero consentire di recuperare almeno un altro pezzo del tesoretto di Fulchir.
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Una. Nessuna. O centomila >46 Dal pane al telefono. La produzione condivisa >48 Africa: il copyright sul continente >52
economiasolidale LA TOSCANA NOMINA LA COMMISSIONE ETICA
UNA NUOVA ALLEANZA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE
La Regione Toscana ha nominato la Commissione etica regionale (Cer) come previsto dalla legge sulla responsabilità sociale delle imprese. La Cer è un organo consultivo della giunta regionale e la partecipazione avviene a titolo gratuito senza nessun onere per il bilancio. I membri designati dal presidente della regione sono 38. Tra i vari compiti, dovranno formulare pareri a sostegno della promozione della cultura e delle pratiche di responsabilità sociale delle imprese e proporre strumenti utili a garantire la trasparenza e la qualità dei processi di certificazione e di rendicontazione delle imprese, anche nella filiera produttiva. La Commissione etica regionale è costituita da persone impegnate nel sistema economico-istituzionale e sociale regionale. Sarà presieduta da Ambrogio Brenna, assessore all’innovazione e alle attività produttive, assume in Toscana un ruolo particolare data la rilevanza della certificazione sociale delle imprese nella regione. La Toscana è infatti la regione leader a livello nazionale e mondiale per imprese certificate con lo standard internazionale SA8000. Le aziende certificate sono 177, mentre circa altre 350 hanno avviato la procedura.
Il Forum per la pace in Medioriente diventerà permanente e si riunirà tutti gli anni in Toscana fino a quando ce ne sarà bisogno. La richiesta emersa durante i lavori dell’ultimo forum, a cui hanno partecipato la società civile israeliana, quella palestinese e quella europea, attarverso il lavoro delle 150 Ong, è stata raccolta e rilanciata dal presidente della Regione Claudio Martini durante la tre giorni di lavori su “Il ruolo dell’Europa nella soluzione del conflitto israelo palestinese”.
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VAI IN VACANZA E PORTACI UN LIBRO. NASCE LA BIBLIOTECA INTERCULTURALE
Nasce a Varese la prima biblioteca interculturale. La sede sarà nella scuola primaria Pascoli di Varese e il servizio di prestito sarà aperto a partire da settembre. I primi libri sono stati acquistati grazie al contributo del Kiwanis club, dell’Ufficio scolastico provinciale e della Cooperativa mediazione e integrazione. Sugli scaffali della scuola Pascoli ci sono già 450 libri, molti dei quali acquistati presso i missionari comboniani. Per arricchire la biblioteca la scuola ha pensato bene di lanciare un appello: «Porta un libro dalla vacanze e regalalo alla biblioteca interculturale». Destinatari i molti bambini, italiani e stranieri, che vanno a trascorrere le vacanze all’estero. «Lanceremo il progetto anche fuori dalla scuola - spiega Margherita Giromini, dirigente scolastica dell’IC Pellico di Varese - nelle agenzie di viaggio e nei luoghi di partenza per le vacanze. Ci contiamo, perché ad esempio scarseggiano i libri provenienti Martini ha fatto propria anche un’altra dal sud est asiatico e dalla penisola indiana. Rari anche i libri in lingua Ucraina e in lingua romena, richiesta: il 10 agosto, ricorrenza mentre abbondano quelli in arabo e albanese. della morte di Angelo Frammartino, Diciamo che non c’è un grosso mercato in Italia il giovane cooperante italiano ucciso del 2006 da un coetaneo palestinese, a differenza della Germania. Basta andare alla fiera di Francoforte e vedere la disponibilità dovrà essere una ricorrenza di pace di testi nelle varie lingue». a Gerusalemme. Il presidente La scuola Pascoli è all’avanguardia per i programmi della Regione Toscana ha sottolineato interculturali: da qualche anno si tiene un corso l’importanza del lavoro svolto di arabo per i bambini con docenti di madrelingua in Toscana da tutti i protagonisti del Forum per la Pace, Ong di Palestina, pagati dal consolato marocchino e una volta alla settimana le mamme dei bambini, figli di immigrati, di Israele, dell’Italia e dell’Europa, frequentano un corso di italiano. «A Varese con la presenza e il supporto della - conclude la dirigente - ci sono molti studenti Regione, ma anche con la presenza figli di immigrati: alla Righi sono il 14%, del Governo italiano e dell’Unione Europea. Il documento finale contiene contro una media nazionale che si attesta al 7%. Mentre diminuiscono gli studenti autoctoni». anche le indicazioni su progetti
da realizzare in Israele e Palestina, riguardanti diritti civili e umani, aiuti umanitari, salute educazione e giovani, ambiente, ricerca e università; media e comunicazione.
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DANZA TERAPIA PER GLI ORFANI DELLA BOSNIA ERZEGOVINA
AUMENTANO IN ITALIA I RICHIEDENTI ASILO, I RIFUGIATI E I TITOLARI DI PROTEZIONE UMANITARIA
MICROCREDITO CON KIWA.ORG DECOLLA IN INTERNET
Sarà una nuova estate di impegno per il gruppo Krisis e l’ong Tanzelarjia. Gli artisti di queste due differenti realtà (italiana e bosniaca), realizzano insieme progetti di danza contemporanea in Bosnia-Erzegovina. Con dei cicli di iniziative terapeutiche rivolte anche ai bambini, attraverso la danza, gli artisti puntano a promuovere opportunità di benessere e di autocoscienza e anche scambi culturali tra i partecipanti alle iniziative. La prima esperienza di questo progetto era nato lo scorso settembre dopo il Festival di danza di Sarajevo. Dall’incontro del gruppo Krisis e Tanzelarjia è seguita poi l’idea di organizzare una due-giorni per i bambini di tutti gli orfanotrofi e delle perferie più disagiate della capitale bosniaca. Gli artisti per stimolare la creatività hanno organizzato gruppi di teatro e giochi dinamici per imparare l’occupazione degli spazi. Le nuove iniziative dopo l’estate, continueranno in ottobre prima in Italia e poi in Bosnia. Per info www.tanzelarija.org www.gruppokrisis.it
Sono 5.347 le persone accolte nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati nel 2006, il 20% in più rispetto al 2005: sono stati accolti 2.294 richiedenti asilo, 750 rifugiati e 2.303 titolari di protezione umanitaria. Questi i dati contenuti nel Rapporto Annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), anno 2006 che è stato presentato a Roma. Nello SPRAR sono stati coinvolti oltre 150 enti locali, di cui 95 titolari dei 102 progetti territoriali di accoglienza, 19 dei quali rivolti alle categorie più vulnerabili (minori non accompagnati, vittime di tortura e/o di violenza, disabili, soggetti che richiedono assistenza sanitaria specialistica a domicilio, anziani). In tutta Italia i posti a disposizione sono circa 2500. In totale, sul territorio nazionale, sono arrivati nel 2006, stando ai dati del Cir, circa 10 mila richiedenti asilo. Il rapporto contiene dati significativi sulla presenza in Italia di coloro che sono scappati da persecuzioni, guerre, violazioni dei diritti umani. Secondo la rilevazione, i beneficiari del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati sono in prevalenza di sesso maschile, con una predominanza di individui in età compresa fra i 26 e i 30 anni e con una forte percentuale di minori. Provengono da 75 Paesi: il 67,1% dall’Africa e i primi cinque Paesi di provenienza sono l’Eritrea, l’Etiopia, la Colombia, il Togo e la Somalia. La legge prevede che i richiedenti asilo possano restare in un progetto di accoglienza fino alla definizione del loro status, mentre rifugiati e titolari di protezione umanitaria possono goderne per 6 mesi prorogabili di altri 6 in caso di circostanze eccezionali.
Ci sono molti uomini e donne dei Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di accedere al credito. Il Nobel Muhammad Yunus ha indicato la via: basta cedere piccole somme, insieme a tanti altri creditori, per concedere un prestito prezioso a piccoli imprenditori che lo restituiranno non appena la loro attività sarà decollata. Ma cosa succede se abbiniamo la potenza del microcredito a quella di internet e dei blog? Questa è l’idea alla base di Kiva (www.kiwa.org), il sito web che di operare come microcreditori, per centinaia di progetti interessanti. Si puo’ partecipare con un piccolo finanziamento, partendo da un minimo di 25dollari. Attenzione i soldi non sono donati, ma solo prestati. Nel giro di 12-18 mesi gli affari per queste famiglie, che troveranno una fondamentale indipendenza economica, dovrebbero decollare. Le cifre vengono restituite nel 98% dei casi. Il sito Kiva.org non prende alcuna percentuale e chi presta denaro non prende alcun interesse e sarà tenuto al corrente in tempo reale sugli sviluppi della piccola attività, con tanto di feed RSS. Inoltre è possibile pubblicizzare ogni investimento sul proprio blog, con dei banner che hanno lo scopo di aggregare più persone in alcuni progetti, per raggiungere facilmente la quota necessaria.
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Una. Nessuna. O centomila
DONATELLO BROGIONI / CONTRASTO
“Altroconsumo”, bottega con i prodotti del commercio equo e solidale.
Roma, 1998
Dal commercio equo e solidale all’agricoltura biologica, dalla finanza etica ai Gas, l’economia solidale si declina in molte forme, che nella maggior parte dei casi restano realtà ben distinte. Non converrebbe che si unissero, creando delle reti? Di distretti però non è sempre possibile parlare. una bottega del commercio equo, non necessariamente investirà i propri risparmi in Banca Etica». Secondo i dati dell’IREF, riferiti al una bottega del commercio equo e solidale, una so2005, è emerso che più di un italiano su tre (il 36% del campione cietà di finanza etica, una banca del tempo e un’aconsiderato) segue in qualche modo i principi del congenzia di turismo reLIBRI sumo responsabile. Il settore che riscuote più successo sponsabile? Molto, si di Elisabetta Tramonto è quello del commercio equo e solidale, i cui prodotti direbbe. Sono tutte risono nelle case del 55,6% dei consumatori responsabisposte ad un’unica esigenza: trovare un’alternativa soli. Il fatturato totale delle Botteghe nel mondo nel 2005 stenibile all’attuale modello di sviluppo, che rispetti era di circa 100 milioni di euro. Il settore più trascurato l’ambiente, la persona, la salute e miri a una ripartizioinvece è quello della finanza etica, scelto per investire i ne equa della ricchezza tra nord e sud del mondo. «Quepropri risparmi solo dal 2% dei consumatori responsaste realtà però sono ancora molto separate e frammenbili. A dimostrazione di quanto i sostenitori dell’ecotate» spiega Davide Biolghini, tra i fondatori del grupDavide Biolghini Il popolo dell’economia nomia solidale siano frammentati, dal rapporto dell’Ipo di lavoro nazionale RES (Rete di Economia Solidale). solidale. Alla ricerca REF risulta che solo il 12% degli intervistati acquista «Dai rapporti dell’IREF, l’Istituto di Ricerche Educative di un’altra economia prodotti da due o più di questi diversi settori. e Formative, di Acli, emerge come anche i “pubblici” di Editrice EMI, 2007 Ma non sarebbe conveniente per tutte queste realtà, queste diverse realtà non coincidano. Chi compra in
C
HE COS’HANNO IN COMUNE UN AGRICOLTORE BIOLOGICO,
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ACQUISTI PENSATI, PER DIRE NO ALLA MAFIA
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DUECENTO COMMERCIANTI DI PALERMO non pagano il pizzo. Nove mila clienti hanno scelto di comprare da loro. Ci sono nomi e cognomi sul sito www.addiopizzo.org, di tutti quelli che hanno aderito pubblicamente alla campagna “contro il pizzo cambia i consumi”, altro che omertà. I ragazzi di Addio Pizzo, per lo più studenti universitari, hanno deciso di uscire alla luce del sole tre anni fa, quando hanno fondato l’associazione contro il racket e hanno iniziato a tappezzare le strade di Palermo di adesivi con la scritta: «un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». «Tutti pensavano che con quello slogan ci riferissimo ai commercianti, invece ci rivolgevamo a tutti, anche ai clienti, a chi entra in un negozio senza neanche porsi il problema se il proprietario paghi il pizzo oppure no», spiega Enrico Colajanni, uno dei fondatori dell’associazione Addio Pizzo, oggi formata da una cinquantina di ragazzi. «Abbiamo proposto l’idea del consumo critico per combattere l’indifferenza e la rassegnazione della gente, che pensa di non potere fare nulla contro la mafia. Noi abbiamo pensato a uno strumento semplice, di uso quotidiano, per permettere a tutti di scendere in campo. Un piccolo gesto come scegliere dove fare la spesa, in quale albergo alloggiare, in quale ristorante pranzare, può essere dirompente nella lotta alla mafia. Non era mai successa una cosa del genere, che così tante persone sfidassero sfacciatamente lo strapotere di Cosa Nostra in questo modo. Tra gli stessi commercianti, che all’inizio hanno dovuto compiere un atto di coraggio, si sta diffondendo un grande entusiasmo e il desiderio di coinvolgere sempre più esercizi nell’iniziativa». Duecento negozi di per sé non sono molti in una città delle dimensioni di Palermo. Ma questo risultato ha un peso enorme in un contesto dove pagare il pizzo è considerato la normalità. Secondo la procura di Palermo l’80% dei commercianti della
città paga il pizzo e Cosa Nostra intasca dieci miliardi di euro all’anno dalle estorsioni. «L’importante è creare un circuito virtuoso di chi si oppone alla cultura del pizzo, non lasciare l’imprenditore da solo nella sua battaglia contro la mafia», spiega Enrico. E la mafia? Non ha battuto ciglio di fronte alla ribellione dei negozianti? «Quando abbiamo iniziato ci aspettavamo una reazione, invece non è successo nulla», racconta Enrico. «In parte perché se da punto di vista culturale abbiamo creato una rottura, da punto di vista economico, invece, l’impatto non è stato così rilevante. Credo che Cosa Nostra non abbia reagito perché non le conviene intervenire con la forza contro 200 negozianti che non pagano il pizzo o 50 ragazzi che sfidano il suo potere. Tanto l’80% dei commercianti palermitani continua a pagare. In realtà sono loro i più deboli, i mafiosi. Basterebbe un pizzico di coraggio e un gran numero di persone che si ribella per vincerli. Sono forti quando la gente non si muove. Noi siamo riusciti a far muovere molta gente». C’erano venti mila persone all’ultima festa Pizzo Free, lo scorso maggio in piazza Magione a Palermo, con sei mila studenti delle scuole. La formazione e il lavoro con gli alunni di elementari, medie e superiori è una parte importante del lavoro di Addio Pizzo. «Una domanda che ci sentiamo rivolgere spesso è: ma davvero quei negozianti non pagano il pizzo?», rivela Enrico. «La mia risposta è sì. Noi eseguiamo delle indagini, anche grazie alla polizia, raccogliamo più informazioni possibili sul negoziante, verifichiamo che non abbia debiti e paghi regolarmente il personale. Ma è difficile che qualcuno dichiari di non versare il pizzo quando invece non è vero. Chi è il matto che penserebbe di aderire a un’iniziativa dove i vantaggi sono Info: www.robertolorusso.it pochi e gli svantaggi molti?»
le all’Università di Siena. «Il termine “distretto” è stato coniato neche appartengono comunque a uno stesso modo di vedere il mongli anni ‘80 per definire un modello imprenditoriale tipico italiano. do, unire le forze? «Decisamente sì ed è quello che stiamo cercanI distretti industriali erano, e in molti casi sono ancora, gruppi di do di ottenere con la Rete di Economia Solidale, un progetto nato piccole e medie imprese indipendenti l’una dall’alnel 2002 per mettere in relazione i protagonisti dei PER SAPERNE DI PIÙ tra, concentrate in un’unica zona, altamente spediversi settore dell’economia solidale. Non solo, con cializzate in fasi diverse di uno stesso processo proil progetto europeo Equal “NuovistilidiVita” stiamo www.retecosol.org duttivo. C’è il distretto della seta a Como, quello stimolando lo sviluppo di veri e propri distretti di www.aciges.org il sito dell’ACIGES, Associazione Generale Italiana della lana a Biella, delle calzature sportive a Monteeconomia solidale, che traggano origine dalle caratCommercio Equo Solidale belluna, del mobile in Brianza, degli occhiali a Belteristiche dei singoli territori e dalle realtà di econowww.finanzaetica.org il sito dell’AFE, luno, delle piastrelle a Sassuolo o del tessile a Prato, mia solidale presenti. Stiamo verificando le condiAssociazione Finanza Etica per citare i più noti. Sono tutti caratterizzati da un zioni perché questi distretti possano nascere». L’apwww.aitr.org il sito dell’AITR, Associazione Italiana Turismo forte legame con il territorio, da un’elevata capacità plicazione del modello di distretto a gruppi di imResponsabile innovativa, di cooperazione e di creare network. Caprese dell’economia solidale, però, non convince www.retegas.org il sito della rete ratteristiche che possono presentarsi solo se ce ne del tutto. «Quello di “distretti solidali” è un concetnazionale Gas, che raccoglie sono le condizioni. Non basta un gruppo di impreto un po’ forzato», dichiara il professor Andrea Voli gruppi di acquisto solidale italiani se vicine che condividano principi di economia soterrani, docente di teoria della pianificazione socia|
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| economiasolidale | lidale per creare un distretto. Possono formare una rete, collaborare, creare sinergie, ma un distretto è molto altro. Deve esserci una forte cultura del territorio. Sono stati eseguiti studi per capire se sia possibile riprodurre le condizioni culturali di un distretto da zone dove spontaneamente sono nati, come il Veneto, la Toscana o l’Emilia Romagna, in altre come la Calabria o la Sicilia dove questa cultura non c’era. Il risultato è stato negativo. Costruire in modo artefatto un distretto solidale dove non c’è cultura di distretto rischia di essere una forzatura da un punto di vista sociologico ed economico. Non si può trasferire e imporre una cultura». Negli ultimi anni in tutta Italia si stanno moltiplicando gli
esempi di imprese dell’economia solidale che hanno deciso di collaborare creando delle reti, se non talvolta dei veri e propri distretti. Lo scopo? Unire competenze diverse per essere più forti, più solide, ma anche più concorrenziali, rispettando i principi di un’economia solidale, di partecipazione, di condivisione. Le reti di economia solidale si stanno rivelando uno strumento efficace per raggiungere ottimi risultati, in termini di profitto e di occupazione, ma anche di inclusione delle fasce più deboli della popolazione e, soprattutto nel Sud Italia, un’arma contro le mafie e i poteri locali. Le storie, presentate nelle pagine che seguono, di Addiopizzo a Palermo e del Consorzio Goel nella Locride lo dimostrano.
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L’EX MACELLO DI ROMA DIVENTA LA CITTÀ DELL’ALTRA ECONOMIA QUARTIERE TESTACCIO, NEL CUORE DI ROMA. L’ex mattatoio è stato completamente rimesso a nuovo. Aspetta solo di essere riempito di frutta e verdura biologica, caffè e cacao importati con il commercio equo dal Nicaragua o dalla Costa d’Avorio, ma anche uffici di consulenza per installare pannelli solari, agenzie per organizzare viaggi responsabili e istituti di finanza etica. La Città dell’Altra Economia sta per aprire i battenti, probabilmente a ottobre. Un progetto nato quattro anni fa, da un’iniziativa dell’ufficio di Autopromozione sociale dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie del Comune di Roma (www.autopromozionesociale.it), completamente finanziato dal Comune. «Sarà un luogo fisico dove far incontrare le diverse anime dell’economia solidale: dal commercio equo e solidale all’agricoltura biologica, dai gruppi di acquisto solidale alle energie rinnovabili, dalla finanza etica al turismo responsabile, fino al software libero», descrive Alessandro Messina, dirigente dell’ufficio di Autopromozione sociale. I 3.500 metri quadrati dell’ex macello ospiteranno tutte queste realtà, che già esistevano nella capitale, ma erano sparse, senza strategie comuni. «Sarà un luogo di esposizione e di vendita, ma anche un catalizzatore di energie e un motore per lo sviluppo dell’altra economia», continua Messina.
«Unendosi in uno stesso luogo e in un unico progetto, tutte queste realtà hanno potuto fornire garanzie gestionali, patrimoniali e finanziarie che da sole non avrebbe potuto raggiungere. Vorremmo che questo focus nel cuore di Roma fosse un volano per lo sviluppo delle periferie. Ci sono 25 botteghe del commercio equo e solidale sparse per la città, 23 sono in periferia. Attirando una massa critica di consumatori in un luogo così centrale, evocativo, scenografico vorremmo stimolare l’interesse per l’altra economia, per poi veicolare le energie attivate verso le periferie». Ma chi entrerà nella Città dell’Altra Economia? «Ci attendiamo l’arrivo di diverse tipologie di consumatori. Quelli già critici e sensibili verso i temi dell’economia solidale, a cui offriremo solo qualche agevolazione logistica nel concentrare in un unico punto quello che avrebbero dovuto cercare in luoghi diversi: l’agricoltore biologico in campagna, la bottega del commercio equo in una zona della città e l’agenzia di turismo responsabile in un’altra. Ma arriveranno anche consumatori sensibili solo in modo occasionale. Per loro faremo un lavoro di approfondimento. Ci saranno infine i curiosi, chi visiterà la Città dell’Altra Economia senza saperne nulla. Quella nei loro confronti sarà per noi la vera sfida. Catalizzare la loro attenzione e introdurli in un argomento completamente nuovo».
Dal pane al telefono, la produzione condivisa I tanti progetti e tentativi in corso per andare oltre le produzioni agricole o artigiane ispirate a principi di economia solidale è stato seminato a novembre dell’anno scorso e da poco raccolto. Sarà quindi macinato in un mulino in pietra e impiegato da un panificio artigianale per preparare il pane di E.T. che finirà direttamente sulle tavole dei consumatori della zona appartenenti ai Gas, i gruppi di acquisto solidale, senza passare da alcun negozio o supermercato. Ecco una filiera corta. È già realtà nel distretto di economia solidale della Brianza, il Des.Bri. Il progetto si chiama “Spiga e Madia”, un modo per far arrivare il pane dal produttore al consumatore, tagliando tutti quei passaggi intermedi che fanno lievitare i prezzi. «Il nostro pane costa 2,20 euro al chilo, contro i 4,5-5 euro di un qualsiasi negozio di prodotti biologici», spiega Sergio Venezia, coordinatore del comitato ideatore del Des.Bri. Ma le realtà del distretto - una quarantina tra Gas, cooperative associazioni, volontari,
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Sopra, Spiga e madia. Il pane dal contadino al consumatore finale attraverso una filiera controllata e certifcata. | 48 | valori |
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L FRUMENTO, RIGOROSAMENTE BIO,
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botteghe del commercio equo, Comuni – non si sono unite solo per ottenere vantaggi economici, che comunque non guastano. Chi ci guadagna di più forse è l’ambiente. Il ciclo produttivo, infatti, dal seme alla pagnotta, si chiude nell’arco di una ventina di chilometri (vedi immagine), riducendo al minimo l’inquinamento legato ai trasporti. Per non parlare del fatto che destinare il terreno alla coltivazione di frumento, ne ha impedito la cementificazione selvaggia che sta invece colpendo tutta la Brianza. Qui la terra vale oro se la si usa per costruire. Roberto Brambilla e la sua famiglia, invece, i proprietari del campo a Concorezzo dove cresce il frumento bio, hanno deciso che sulla loro terra non sarebbe sorta nessuna villa per milanesi in vacanza e l’hanno invece affittata alla Cooperativa Agricola Fraternità, una scelta antieconomica ma molto ecologica. Nel distretto di economia solidale cambia la definizione dei ruoli di produttore e consumatore, perché c’è una condivisio-
che permettono di valorizzare le persone oltre alle cose ne dei rischi, una coproduzione. Tanto i proprietari del campo e la cooperativa agricola, quanto i consumatori, infatti, alimentano il Fondo di Solidarietà e Futuro destinato al distretto, i primi due versando l’1% dei profitti, i clienti l’1% della spesa. Ma il Des.Bri. non è solo pane. «Ci siamo lanciati una sfida - racconta Sergio – Perché non proviamo ad orientare gli stessi principi che applichiamo a al pane (la filiera corta, la condivisione…) ai servizi?». Detto, fatto. È nato “Cambia Banda” (www.cambiabanda.it), un progetto di telefonia per sfruttare la rete come bene comune. Protagonista è Livecom, il primo operatore telefonico non profit in Italia. È una cooperativa sociale di Padova dove lavorano anche adolescenti e giovani con problemi di disagio sociale e psichiatrico. Offre a privati e aziende servizi di telefonia in banda larga, sfruttando la linea Adsl, anziché le normali reti telefoniche, per ridurre i prezzi al consumo. «Anche in questo caso, il 2% della spesa del
Spiga di Grano Spiga di grano che cresci in Brianza / non ci lasciare più nell’ignoranza: dei diserbanti potrai fare senza? / E di nitrati avrai forse carenza? Con Spiga e Madia sostieni ad oltranza / questo progetto di grande importanza già l’ora è giunta per questa partenza / per dimostrare che abbiam la potenza di far coi GAS tutti uniti una danza / per fare il pane a breve distanza. Ti aspetteremo con grande impazienza, / senza di te siamo già in astinenza… Inviteremo con buona creanza / tutti i vicini nella stessa stanza: forse qualcuno con grande eloquenza / disserterà sulla crusca o senza? Ci riempiremo la bocca e la panza, / risponderemo senza intolleranza e gli diremo: su, porta pazienza, / lasciamo ai posteri l’ardua sentenza! Ritorneremo qui dalla vacanza / e troverem la tua buona sostanza. Noi disperati per la lunga assenza / non riusciremo mai più a star senza, faremo torte se il pane ci avanza, / questo buon cibo cresciuto in Brianza.
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| economiasolidale | cliente e del profitto dell’operatore finisce nel fondo del distretto», spiega Sergio. «Ci siamo però accorti che, nel caso dei servizi, per applicare principi di economia solidale, sono necessari grandi numeri. Per fare il salto di qualità e ridurre ulteriormente i costi Livecom dovrebbe raggiungere almeno 500 contratti, che permetterebbero di determinare anche le politiche commerciali, acquistando gli apparati necessari sulla dorsale di Internet». E nel progetto “Cambia Banda”
spunta anche una buona dose di solidarietà. «La banda larga è come l’acqua del rubinetto, se la sprechi la paghi comunque – spiega Sergio - Lo stesso avviene con la banda larga. La parte non utilizzata, la regaliamo alla Caritas». In cantiere Des.Bri. ha ora un progetto di energia con La220 e la realizzazione delle pagine Arcobaleno, una guida per censire tutti i soggetti della zona che potrebbero entrare nel circuito dell’economia solidale.
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UNA RETE PER CORRERE «CAMMINANDO CIASCUNA PER LA SUA STRADA, le cooperative si muovevano a rallentatore e arrivavano quasi a farsi la guerra tra loro, per esempio quando dovevano presentarsi a un concorso pubblico. Lavorando insieme, invece, hanno potuto condividere e quindi aumentare il proprio know how, il bagaglio di conoscenze e raggiungere risultati più ambiziosi anche in termini di fatturato». Una scelta vincente quella di unirsi per partecipare al progetto Equal Pist (Promozione Impresa Sociale Toscana Sud), secondo il coordinatore dell’iniziativa Adriano Scarpelli. È un progetto finanziato dal Fondo Sociale Europeo e dalla Regione Toscana che coinvolge un’ottantina di cooperative e trecento associazioni che operano nel campo del sociale, della cultura e dell’ambiente, nelle province di Arezzo, Grosseto e Siena. Per l’occasione sono stati stanziati 1,45 milioni di euro. «Ci siamo accorti che l’unico modo per produrre uno sviluppo locale di qualità è ragionare in termini di reti», continua Scarpelli. «Ci siamo limitati a dare degli stimoli, degli strumenti: attraverso la formazione, l’analisi dei bisogni, individuando possibili connessioni tra realtà diverse. Poi il processo di aggregazione è stato spontaneo.
I DISTRETTI SOLIDALI IN ITALIA TRENTO Progetti: Trentino Arcobaleno Informazioni: www.trentinoarcobaleno.it
TORINO Progetti: DESTO, il distretto di economia solidale di Torino COMO Progetti: L’Isola che non c’è Organizza la fiera dell’economia solidale e del consumo consapevole il 15 e 16 settembre a Villa Guardia (Co) Informazioni: www.isolachece.info
VENEZIA Progetti: a maggio è stata inaugurata la rete di economia solidale: “Venezia per l’altrAEconomia” nello Spazio ex PLIP, un ex latteria ristrutturata RES MARCHE Informazioni: web.resmarche.it
BRIANZA Progetti: “Spiga e Madia” e “Cambia Banda” (vedi articolo pag.48) Informazioni: laretina@brianzaest.it e desbri@lamondolfiera.it
PESCARA-CHIETI Progetti: Primo Vere Informazioni: www.emporioprimovere.it
BOLOGNA Progetti: Mercato Diverso Organizza la Fiera dell’Economia Solidale, il 22 e i 23 settembre a Bologna. Informazioni: www.mercatodiverso.it
Goel. campi centro Emmaus. Il consorzio raccoglie 14 soci che operano in diversi ambiti: dieci cooperative sociali, una cooperativa agricola, due associazioni di volontariato e una fondazione.
Un territorio difficile, unirsi per cambiarlo
ROMA Progetti: la città dell’Altra Economia Informazioni: www.altraeconomiaroma.org [vedi articolo pag.49]
LES NAPOLI Progetti: ancora in fase sperimentale, il Laboratorio di Economia Solidale di Napoli ha realizzato le pagine arcobaleno della provincia, con una mappatura delle realtà locali di economia solidale. Informazioni: checcaturato@hotmail.com LOCRIDE [REGGIO CALABRIA] Progetti: Consorzio Goel Informazioni: www.consorziosociale.coop [vedi articolo pag.50]
PALERMO Progetti: Controilpizzocambiaiconsumi Informazioni: www.addiopizzo.org [vedi articolo pag.47]
«La sfida nella Locride è giornaliera: contro la criminalità ma anche rassegnazione e sfiducia», sottolinea Vincenzo Linarello, presidente di una delle cooperative costituite nella Locride.
«È di E.T.
DIFFICILE VIVERE NELLA LOCRIDE. È difficile per un giovane guardare al domani senza la possibilità di avere un lavoro. Ma la cosa peggiore è questo spietato sistema di controllo della gente, in mano alle due centrali di potere che dominano il territorio, la ‘Ndrangheta e le Massonerie deviate, che annulla la libertà delle persone». Così Vincenzo Linarello descrive la sua terra. È il presidente del consorzio Goel, nato proprio per combattere questa situazione: «per creare occupazione, per dar vita a uno sviluppo imprenditoriale, per cambiare il territorio». Il nome Goel ha radici bibliche, significa liberazione e riscatto. Anche a questo può servire
La cooperativa Goel ha espliciti riferimenti a radici bibliche: significa liberazione e riscatto prima di tutto dalla paura | 50 | valori |
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un’impresa, anzi una rete di imprese solidali: a produrre lavoro e profitto, ma anche cambiamento sociale. Il consorzio riunisce quattordici soci: dieci cooperative sociali, una cooperativa agricola, due associazioni di volontariato e una fondazione. Operano negli ambiti più diversi: dalla ristorazione ai servizi web, dall’accoglienza di persone con handicap, alla raccolta differenziata di rifiuti, dall’assistenza degli anziani all’organizzazione di eventi. In una decina di anni, guidati dall’energia di Monsignor Bregantini, vescovo di Locri-Gerace, sono riusciti a creare una struttura solida ed economicamente forte, un’alternativa credibile alla mafia. «Abbiamo raggiunto risultati economici ottimi. Goel ha chiuso il 2006, escluse le attività agricole, con un fatturato aggregato di 1 milione e 660 mila euro, da 1 milione e 70 mila euro del 2005. Circa la metà proviene dal mercato privato», sottolinea fiero Vincenzo Linarello. «Questo è molto importante in Calabria, signifi-
ca che stiamo riuscendo a competere, pur restando fuori dalla rete di clientele e committenze pubbliche. È cresciuta anche l’occupazione: i dipendenti del consorzio sono passati da 83 del 2005 a 105 dell’anno scorso. E siamo orgogliosi dell’aumento della presenza femminile, che ha superato il 70%». Un successo che non è certo passato indifferente a quei poteri forti di cui parlava Linarello. La cooperativa agricola Valle del Bonamico, l’anno scorso ha subito una serie di attacchi, avvertimenti inconfondibili. La cooperativa coltiva piccoli frutti sulle montagne dell’Aspromonte. Grazie all’assistenza dei tecnici trentini specializzati, è arrivata a produrre 200 quintali all’anno tra more, lamponi e mirtilli. La Valle del Bonamico dà anche lavoro a ex-detenuti, spesso figli di boss della ‘Ndrangheta. Risultato: un incendio in un capannone della cooperativa e del diserbante versato nella cisterna del concime che ha bruciato più di diecimi-
la piantine, 120 quintali di frutti da buttare e circa duecentomila euro di danni. Ma i soci di Goel non sembrano affatto intimoriti. «La nostra forza deriva dall’essere uniti. Senza aggregazione saremmo destinati a restare realtà assistite o, peggio ancora, frutto di un patto con la politica. Nel nostro caso i legami tra le cooperative del consorzio sono strettissimi. Tanto che oggi stiamo sviluppando anche marchi unici che raggruppino aziende diverse, come Goel sapori, Goel artigianato, Goel consulting. E stiamo riuscendo ad avere un vero impatto sulla società», conclude Vincenzo Linarello, «Basta pensare a due anni fa quando eravamo gli unici a porre il problema della battaglia contro ‘Ndrangheta e Massonerie deviate. Oggi è una situazione denunciata da molti. È la dimostrazione di come imprese sociali e solidali possano, anzi debbano, avere ruolo politico di trasformazione del territorio e non limitarsi a uno scambio economico».
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Africa: il copyright sul continente
La regione montana del Guera nel Ciad.
Chad, 1995
Con la Data esclusivity diventerà impossibile l’uso anche straordinario della licenza obbligatoria
Accordi partenariato e Proprietà Intellettuale: l’Europa alla (ri)conquista del continente africano attraverso la firma di protocolli che sotto l’etichetta della partnership nascondono in realtà un tentativo di vero e proprio depauperamento delle risorse autoctone grazie all’abbattimento delle barriere doganali e l’apertura “reciproca” dei mercati.
L’
Diritto di proprietà? Uno degli aspetti più insidiosi dei nuovi accordi è il regime di difesa dei brevetti e in generale della proprietà intellettuale che secondo la Commissione europea dovrebbero essere rafforzati. I Paesi ACP che aderiranno agli EPA dovranno infatti non solo aprire i loro mercati domestici a quasi tutti i prodotti europei nel giro di un periodo di 12 anni (dal 2008 al 2020) e liberalizzare i loro servizi per permettere ai grandi gruppi privati europei di occupare e gestire nuovi mercati, ma rischiano anche di perdere il controllo diretto su molte delle proprie risorse e conoscenze. Gli accordi, infatti, prevedono un forte inasprimento della protezione dei diritti di proprietà intellettuale, che interessano molti campi relativi all’industrializzazione e allo sviluppo tecnologico, ma anche alla sicurezza alimentare, all’accesso ai medi| 52 | valori |
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cinali, al trasferimento e alla diffusione della conoscenza, alle biotecnologie e alla biodiversità. I Paesi ACP hanno ben poco da guadagnare dagli ulteriori impegni sui diritti di proprietà intellettuale (IPR-Intellectual Property Rights), già molto limitanti nel trattato di Cotonou. Basti pensare che i loro contadini non avranno più diritto di conservare e scambiare le loro sementi, mentre i malati non potranno acquistare medicinali se non a costi proibitivi, i ricercatori saranno penalizzati non potendo accedere gratuitamente a database scientifici, mentre le imprese sconteranno un’ulteriore svantaggio competitivo, in mancanza di risorse economiche e legali per brevettare o utilizzare marchi a tutela della produzione territoriale o tradizionale. Ad essere favorite saranno invece le imprese multinazionali farmaceutiche e agrochimiche europee, nonché i colossi dell’industria culturale e del biotech in grado di sfruttare le risorse biologiche e tradizionali di questi Paesi.
La trappola dei TRIPS(plus) Se l’Ue è realmente interessata a promuovere un “vero partenariato” con l’Africa, non dovrebbe forzare i Paesi africani ad accettare condizioni che vanno ben oltre quanto è permesso in base alla regolamentazione della WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Per esempio, le politiche industriali del continente sarebbero fortemente danneggiate se i Paesi africani fossero costretti a sottostare ad alcune delle condizioni più vincolanti, come quelle del Trattato sui diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (TRIPS). Se non ci saranno modifiche sostanziali alla configurazione di questi accordi, la loro implementazione, ad esempio, obbligherà i Paesi africani a garantire tramite brevetti ventennali il diritto esclusivo di produzione e commercializzazione dei farmaci essenziali alle grandi imprese farmaceutiche, impedendo la produzione e l’importazione da altri Paesi di versioni generiche meno costose. E soprattutto si toglierà l’opportunità di sviluppare un’industria nazionale o di adattare tecnologie al proprio contesto e bisogno. I Paesi africani saranno dunque costretti a legiferare per proteggere i diritti intellettuali di aziende dell’Ue che brevettano piante e prodotti “scoperti” sul loro territorio. In altre parole, le multinazionali che operano dall’Europa possono brevettare prodotti che si tro-
Accesso negato a farmaci essenziali
RAYMOND DEPARDON / MAGNUM PHOTOS
AFRICA È SOTTO ASSEDIO DA PIÙ PARTI e quest’anno è particolarmente difficile. Oltre al G8 con le sue mezze promesse e all’assalto da parte di Cina e India, che stanno acquisendo interi settori minerari, estrattivi e industriali, entro la fine del 2007 saranno sidi Jason Nardi glati i nuovi Accordi di Partenariato Economico (EPA) tra l’Unione Europea e i paesi ACP (Africa, Caribe e Pacifico), che andranno a sostituire gli accordi di Cotonou del 2000 e che prevedono una pressoché totale liberalizzazione dei mercati africani su base di assoluta reciprocità, abbattendo le difese doganali di questi paesi, aprendo indiscriminatamente i mercati locali agli investimenti internazionali, andando a minare ulteriormente l’integrazione interna, spostando le priorità verso l’esportazione e i mercati europei ed internazionali. Lo scenario che si profila con l’attuazione degli EPA, come scrive Roberto Meregalli nella pubblicazione promossa dalla campagna “L’Africa non è in vendita” dal titolo “Quale partnership è possibile tra un gatto e un topo?”, è quello di una “de-industrializzazione del continente, di un pesante impatto socio-ambientale (...) e per i contadini senza più lavoro non ci sarà altra alternativa se non cercare fortuna altrove, ingrossando il flusso di profughi in cerca di approdo sulle coste europee, pronti ad iniziare la difficile sfida della sopravvivenza nelle nostre città e campagne”.
cambiato la sua politica dopo il 2000, permettendo ai Paesi membri di produrre farmaci generici per l’esportazione esclusiva verso i Paesi non industrializzati. Però con i nuovi accordi che prevedono un regime di data exclusivity (esclusività dei dati) anche l’uso straordinario della licenza obbligatoria nei casi previsti dall’accordo TRIPS (emergenza sanitaria, epidemia, ecc.) rischia di non esser più applicabile.
vano in Africa e farsi proteggere dai governi di quel continente. La Ue dovrebbe invece sostenere una profonda trasformazione del TRIPS per limitare la minaccia allo sviluppo tecnologico africano, alla sovranità alimentare e sanitaria, alle sue forme di industrializzazione. L’UNCTAD (l’agenzia delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo) ha raccomandato di ridiscutere totalmente il rapporto tra diritti di proprietà intellettuale e sviluppo e di permettere l’uso della brevettazione obbligatoria per assicurarsi che i trasferimenti di tecnologia siano effettivi e risolvano i problemi di salute pubblica. Il Sud Africa è riuscito a far pressioni sulle aziende farmaceutiche per ottenere prezzi più bassi su una base di sostenibilità per il proprio mercato locale. Inizialmente, l’Ue si è opposta alla legge sudafricana, ma ha
La “Data exclusivity” si riferisce a un particolare tipo di “protezione della proprietà intellettuale” per cui Paesi dell’Unione Europea – così come gli Stati Uniti – concedono diritti di distribuzione esclusiva ad aziende farmaceutiche anche per medicinali che non sono protetti da brevetto e qualche volta anche se non c’è alcuna nuova invenzione. In base alla legislazione attualmente in vigore nell’Ue, una volta che un’azienda ha fornito i suoi dati originali sui test effettuati per la sicurezza e l’efficacia del farmaco alle autorità regolatrici del Paese membro, per periodi da 6 a 10 anni nessun produttore competitore può utilizzare quelle informazioni per richiedere l’approvazione alla vendita della propria versione del medicinale. L’effetto è quello di inibire i competitori generici dal produrre e distribuire tali medicinali a prezzi più accessibili, di fatto lasciando alle case farmaceutiche il monopolio dei prezzi. Tutto ciò non è solo ben oltre quanto previsto dal trattato TRIPS della WTO, ma va contro le stesse flessibilità per i Paesi in via di sviluppo contenute nella dichiarazione di Doha sul TRIPS e la salute pubblica. Tuttavia gli USA hanno già inserito tali condizioni nei loro accordi di libero scambio (FTAs) con svariati Paesi, incluso il Marocco. L’UE si accinge a fare lo stesso. Nella pratica, è molto difficile per i Paesi in via di sviluppo fare uso anche della flessibilità limitata offerta sotto il TRIPS e questo proprio per la pressione che esercitano le aziende farmaceutiche, non avendo gli Stati africani sufficienti competenze legali e risorse per interpretare e far |
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applicare l’accordo a proprio vantaggio. Se si confermeranno tali condizioni all’interno degli EPA, i produttori di farmaci generici non potranno mettere sul mercato africano le proprie versioni di farmaci conosciuti, a meno che non compilino nuovi dati di test clinici, un processo che può durare molti anni e risultare estremamente costoso. Ma le restrizioni di “data exclusivity” si applicano anche nel caso in cui non ci siano brevetti sul farmaco per quel mercato, come accaduto in Ghana, dove 6 farmaci anti-retrovirali (ARV) non sono brevettati. Secondo il nuovo regime sarebbe proibita la commercializzazione nonostante l’approvazione delle versioni generiche per quel mercato specifico.
controllo delle sementi dai contadini ai produttori di semi, con serie ripercussioni sulla sicurezza alimentare, sulla vita dei contadini e sulla protezione della biodiversità dei Paesi.
Saperi, copyright e protezione base dati
Invece di creare ulteriori livelli di diritti di proprietà intellettuale, i Paesi ACP potrebbero beneficiare di un partenariato generale per accrescere le capacità tecnologiche ed industriali locali, attraverso una diffusione più libera di saperi e know how. Ma gli EPA (art.3 della bozza di negoziazione EPA Cariforum) prevedono la protezione dei diritti di proprietà intellettuale su database specifici e non originali, l’adesione Risorse genetiche e sapere tradizionale al trattato sul copyright del WIPO (l’agenzia Onu sulla proprietà intellettuale), estendendo i diritti esclusivi alla comunicazione al pubUna recente versione degli EPA tra l’UE e 16 Paesi dell’Africa sud-orienblico e ai diritti di riproduzione. Ciò limiterebbe notevolmente la ritale (ESA) dà un’idea di quel che questi trattati possono comportare in cerca in Paesi che non hanno molte risorse da spendervi. termini di diritti alla biodiversità locale e al sapere tradizionale. Il capiPer i Paesi ACP che importano tecnologia, l’economia di un alto tolo sui diritti di proprietà intellettuale permette la brevettazione di maregime di proprietà intellettuale può solo portare ad un aumento dei teriale genetico (inclusi geni umani) e sapere indigeno da parte di costi di apprendimento tecnologico e di sviluppo dell’industria naaziende europee attraverso una procedura di “consenso-e-compenso”. zionale, come anche nuove e più dure sfide per salvaguardare il welCiò dovrebbe servire a “proteggere” l’Africa dalla “biopirateria”. In fare. I negoziati EPA dovrebbero escludere clausole sulla proprietà realtà apre la strada alla sottrazione di risorse e varietà genetiche con la intellettuale e, al contrario, fornire un quadro di riferimento per straprivatizzazione di fatto delle sementi e alla dipendenza dei contadini tegie difensive contro l’espansione dei diritti di proprietà intelletafricani dalle multinazionali agrochimiche europee. Se quei 16 govertuale che vadano a beneficio degli interessi di aziende private. In terni sottoscriveranno tali accordi, la brevettazione della vita sarà un fatmini di azione positiva, occorre facilitare lo scambio di capacità e coto accettato, dopo anni di battaglie politiche contro tale principio e nonoscenze tra agricoltori, che non solo possa contrastare la minaccia nostante l’Unione Africana abbia una direttiva che lo proibisce. di progressiva privatizzazione delle risorse genetiAd esempio, viene proposto di risolvere lo staINFO che di piante e animali, ma possa anche promuoto della varietà delle piante e della flessibilità nelvere un miglioramento delle tecniche di coltival’accordo TRIPS attraverso la ratifica della ConvenCampagna “L’Africa non è in vendita” zione e allevamento senza danneggiare l’ambiente zione Internazionale per la protezione di piante www.faircoop.it/epa07.htm e le comunità locali. (UPOV, del 1991), che prevede lo spostamento del
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Suolo
Sostanza organica da rifiuti e clima di Walter Ganapini
E RECENTI SESSIONI DEI G8 A ROSTOCK E DELL’IPCC A PARIGI hanno confermato che il clima sta vivendo il maggiore cambiamento mai avvenuto negli ultimi cinquemila anni. Per quanto concerne l’Italia , l’Enea evidenzia le aree aride, semi-aride e sub-umide, che tendono a diventare aree degradate, coprono attualmente il 47% della Sicilia, il 31% della Sardegna, il 60% della Puglia ed il 54% della Basilicata: si può perciò parlare di rischio di desertificazione nel Sud Italia, un emergenza con la quale ormai si confrontano anche gli agricoltori. I materiali organici di origine urbana e quelli derivanti dalle attività agricole possono essere in certa quota sostitutivi del fabbisogno di fertilizzanti necessari a sostenere e ad espandere la produzione agraria contribuendo a ridurre i consumi energetici e la pressione inquinante, provvedendo a reintegrare la dotazione organica dei terreni. I residui organici vengono cosi ad essere configurati come una risorsa scarsa da valorizzare: la prima carenza che si registra è quella inerente l’informazione circa gli aspetti quali-quantitativi della loro produzione. I dati relativi ai residui bovini e suinicoli sono sufficienti, c’è incertezza circa i residui di attività forestali, mentre dai rifiuti urbani italiani si possono teoricamente estrarre circa 8-10 Milioni di tonnellate l’anno di sostanze organiche che processi fermentativi di igienizzazione/ maturazione trasformerebbero in 5-6 milioni di tonnellate di ammendante organico stabilizzato. Molto più difficile è la valutazione del potenziale recuperabile da fanghi di risulta di impianti di depurazione di acque usate civili : in teoria, assumendo una producibilità di circa 70 grammi di fango digerito/ab giorno , qualora Cinque-sei milioni di tonnellate gli scarichi di tutti gli italiani venissero sottoposti a depurazione di ammendante organico alla produzione di circa 70 milioni di metri cubi potrebbero arrivare in agricoltura sidiperverrebbe fanghi per anno , equivalenti alla disponibilità di circa contribuendo a restituire 1,4 milioni di tonnellate di sostanza secca in base annua. nutrienti ai suoli italiani ad alto Il potenziale di materiali organici recuperabili dal flusso rischio desertificazione dei rifiuti potrà essere considerato con maggiore ottimismo se si diffonderanno anche nel nostro Paese, tecnologie produttive più pulite, tali da ridurre i volumi di rifiuto e da migliorarne grandemente la qualità sul piano igienico (raccolta selettiva all'origine, misure di contenimento della miscelazione e della diluizione, ecc), come nel settore urbano, grazie alla generalizzazione della pratica della raccolta differenziata “porta a porta” delle principali frazioni componenti i rifiuti. La funzione degli acidi umici negli equilibri ambientali deve favorire il reintegro nel terreno di materie organiche di recupero, fatta salva l’ovvia constatazione che esse debbono essere sottoposte a corretti trattamenti fermentativi in impianti ben progettati e ben gestiti, per quanto le analisi condotte sui compost prodotti attualmente nel Paese mostrino come le concentrazioni di metalli pesanti non superino mai valori del 50% rispetto al limiti OMS; oltre a ciò il 70% di tali concentrazioni deriva dalla folle pratica di riunire al flusso dei rifiuti domestici il raccolto dello spazzamento stradale , evitando il quale (e comunque prevedendo la selezione iniziale, in impianto, del particolato fine) si ridurrebbe il 50% prima citato a non più del 15% . Le possibili applicazioni (nel nostro Paese , purtroppo , ancor oggi mancano strumenti essenziali quali una rigorosa "Carta dei suoli" ed una affidabile "Carta delle colture") di ammendanti organici da RU in agricoltura, oltre allo spandimento agronomico in terreni destinati a colture da rinnovo, sono oggi le colture protette (sostituzione-integrazione della torba), la bonifica di siti contaminati, il ripristino del cotico erboso su piste da sci, in vista della ripresa vegetativa primaverile, il verde urbano, substrato per biofiltri.
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Senza pioggia, inaridita e impoverita >58 Libano, la lunga strada per la ricostruzione >62
internazionale RADIO PACIS MIGLIORE RADIO AFRICANA
UNANIMITÀ EUROPEA PER LA MORATORIA CONTRO LA PENA DI MORTE
SFOLLATI INTERNI LA NUOVA EMERGENZA
SCRITTORI NIGERIANI CONQUISTANO IL MONDO
UNA COMPILATION MUSICALE ISPIRATA A JOHN LENNON A SOSTEGNO DEL DARFUR
BOCCIATO IL GREEN DI CLINT EASTWOOD
Il BBC Africa Radio Awards ha premiato le migliori radio del continente africano. Tra i vincitori c’è anche Radio Pacis di Padre Tonino Pasolini, missionario comboniano che da 40 lavora nella diocesi di Arua. La radio è un punto di riferimento della zona e conta su uno staff di quindici giornalisti. Ha ottenuto il premio per la sua capacità di affrontare tematiche locali impegnative, fornendo consigli su problemi sanitari e organizzando dibattiti su argomenti e notizie di interesse dal locale al nazionale. Oltre al premio, la radio riceverà dalla BBC materiale tecnico del valore di 5 mila dollari americani. La radio è stata fondata nel 2001, conta di 5 milioni di ascoltatori al giorno, trasmette 24 ore su 24 con programmi in diverse lingue: inglese, lugbara, madi, kakwa, alur. Ha formato oltre 400 collaboratori distribuiti in maniera capillare nelle parrocchie. La radio copre un raggio di 200 km: raggiunge il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo; in Uganda si può ascoltare dalle province del Nilo Occidentale, Arua e Nebbi, fino a Gulu, Kitgum, Lira e Hoima.
Una decisione storica: l’Unione europea presenterà la proposta di moratoria della pena di morte alla prossima assemblea generale dell’Onu che si aprirà a settembre. Una decisione per niente scontata e un grande successo per l’Italia, promotrice dell’iniziativa. Non era la prima volta che ci si provava. Dopo anni di rinvii e due battaglie perse nel 1994 e nel 1999, è stato raggiunto un risultato ancor più importante perché la decisione ha avuto il consenso di tutti i 27 Stati europei, che potranno contare anche sull’appoggio di 35 Paesi co-sponsorizzatori della risoluzione. Si è preparata, dunque, una larga maggioranza per i prossimi lavori del Palazzo di Vetro. I voti favorevoli alla moratoria saranno, infatti, quelli di 93 paesi membri delle Nazioni unite. La Commissione Europea dovrebbe anche ufficializzare l’istituzione di una “Giornata europea per l’abolizione della pena di morte”. La Commissione europea ha infatti ultimato la preparazione di una dichiarazione congiunta che verrà proposta all’europarlamento, al Consiglio europeo e al Consiglio d’Europa. L’occasione per firmare la dichiarazione potrebbe essere il 9 ottobre, in occasione della conferenza internazionale che si terrà a Lisbona. Mentre il 10 ottobre 2007 potrebbe essere celebrata la prima “Giornata europea contro la pena di morte”.
Aumentano i rifugiati nel mondo. La stima è dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i Rifugiati (Unhcr) che ha annunciato che nel 2006 il numero di rifugiati è aumentato per la prima volta da quattro anni a questa parte, principalmente a causa della situazione di crisi in Iraq. Anche se nel 2006 il gruppo più numeroso sotto la competenza dell’Unhcr era ancora quello degli afgani (2,1 milioni), i primi dati dil 2007 mostrano un aumento sensibile nel numero di rifugiati iracheni, che sarebbero almeno 2,2 milioni. L’Unhcr si occupa ormai da parecchi anni anche di specifici gruppi di sfollati interni, o IDP (Internally Displaced People), persone che sono dovute fuggire a causa delle minacce alla loro sicurezza, ma che non hanno attraversato alcun confine riconosciuto a livello internazionale. Il Centro di monitoraggio sullo sfollamento interno del Consiglio norvegese dei rifugiati stimava in 24,5 milioni gli sfollati interni fuggiti dai conflitti alla fine del 2006 in tutto il mondo. Di questi, oltre la metà (quasi 13 milioni) appartengono alle zone coperte dall’Unhcr attraverso il meccanismo di coordinamento tra agenzie delle Nazioni Unite.
La letteratura nigeriana ha avuto due importanti riconoscimenti internazionali. Chinua Achebe, padre della letteratura moderna africana in lingua inglese, ha ricevuto il “Man Booker” premio internazionale alla carriera; la giovane Chimamanda Ngozi Adichie, il premio “Orange”. Achebe ha 76 anni. Il suo libro più famoso, tradotto in oltre 50 lingue e da molti considerato il suo capolavoro, è la sua opera d’esordio, nel 1958: “Things Fall Apart” (“Il crollo”, nella traduzione italiana), un libro che oltre ad essere entrato nelle case di milioni di lettori in tutto il mondo è stato adottato come testo ufficiale in molte scuole africane. Un riconoscimento che si aggiunge a quello vinto dalla giovanissima scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie: l’Orange Prize 2007, premio britannico dedicato alla letteratura femminile in lingua inglese. Il romanzo per cui è stata premiata è “Half of a yellow sun”, che parla della guerra del Biafra.
I musicisti si mobilitano per il Darfur reinterpretando brani di John Lennon.“Make some noise, the Amnesty International campaign to save Darfur”. Il titolo di questa compilation musicale indica il mezzo e le a finalità dell’iniziativa: mobilitarsi e mobilitare, attraverso la musica, in favore dei diritti umani. Un’iniziativa unica non solo dal punto di vista umanitario, ma anche musicalmente parlando, in quanto sono coinvolti una trentina tra gruppi e rockstar, tra i più amati dal pubblico, che reinterpretano brani dell’ex Beatle. Si possono ascoltare gli U2 interpretare “Istant Karma”, i Rem o Christina Aguilera cantare “Mother”. Gli Aerosmith, insieme con i Sierra Leone’s Refugee All Star si impegnano in una versione Reggae di “Give peace a chance”. Il doppio album si potrà acquistare nei negozi e via internet in tutto il mondo e i proventi andranno ai progetti di Amnesty International. Alcuni brani non si trovano nei cd e saranno acquistabili unicamente tramite internet, grazie al servizio iTunes Altri artisti e gruppi pop-rock che partecipano al progetto sono: Lenny Kravitz, Cure, Youssou N’Dour, Tokio Hotel, Green Day, Avril Lavigne, Duran Duran e molti altri. Coinvolti anche Jakob Dylan e Dhani Harrison, rispettivamente i figli di Bob Dylan e dell’ex beatle George Harrison.
La Commissione californiana che si occupa della costa ha bocciato il progetto per un campo da golf nella verde e selvaggia Pebble Beach, presentato da un gruppo di investitori celebri, guidati da Clint Eastwood. Il campo- il nono per la foresta Del Monte, nella penisola di Monterey - avrebbe comportato il taglio di oltre 15.000 pini, cancellato paludi e aree umide cruciali per il delicato equilibrio ambientale della costa. Al loro posto era prevista la costruzione di un green da 18 buche, una pista, un maneggio, 60 appartamenti per impiegati e un hotel del luxe da 160 stanze. La decisione è stata presa con otto voti sfavorevoli contro 4 favorevoli. Un momento importante, considerato che gli investimenti milionari legati al golf hanno porte aperte dappertutto. L’azienda di sviluppo Pebble Beach Co. - acquistata dai precedenti proprietari giapponesi nel 1999 per 820 milioni di dollari - oltre a Eastwood contava tra le sue fila anche il campionissimo di golf Tiger Wood.
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| internazionale | CIRCOSTANZE ECCEZIONALI (CE) E RICONOSCIMENTO PROVVISORIO (RP) Legenda Aree dichiarate CE Aree dichiarate RP Le zone dichiarate affette da circostanze eccezionali, ovvero dalla siccità, comprendono quasi tutto il Victoria e il New South Wales, gran parte del Queensland del sud, e ampie zone di South Australia e Western Australia.
Senza pioggia, inaridita e impoverita
PETER MARLOW / MAGNUM PHOTOS
Nelle aree a riconoscimento provvisorio gli agricoltori possono percepire sovvenzioni per un periodo di sei mesi.
Kilometri
La patria dei canguri tocca con mano i costi dei cambiamenti climatici che hanno prodotto sei anni di siccità. I mancati raccolti e le previsioni catastrofiche stanno facendo ammalare del male oscuro molti farmers, che chiedono sostegno psicologico. di Magica Fossati
ARCHED. INARIDITA. Così è intitolato il murale dell’artista Ash Keating che negli ultimi mesi è andato a sostituire, nel pieno centro di Melbourne, una delle tante fontane rimaste a secco da quando lo stato del Victoria è passato allo stadio tre delle restrizioni sull’uso dell’acqua. Il dipinto ritrae la terra rossa e screpolata del bush australiano, attraversata da fenditure sempre più grandi, riarsa da una siccità di cui non sembra avvicinarsi la fine: l’artista, si legge accanto al murale, promette di cambiare via via l’immagine per rispecchiare gli effetti della siccità sul paesaggio australiano. Parched diventa così un silenzioso monito per gli abitanti della città, meno lontani di quanto credano dagli effetti di quel che sta avvenendo out bush, nella campagna australiana. È da più di sei anni che l’Australia aspetta che torni a piovere. Quest’autunno australe sembrerebbe riportare un po’ di speranza, almeno in alcune delle zone ormai all’asciutto da tempo: precipitazioni al di sopra della media hanno rinverdito tra maggio e giugno parti del Victoria, l’interno del New South Wales, la parte meridionale del South Australia e la Tasmania, ma, avverte il Bureau of Meteorology nel suo ultimo comunicato sulla siccità, è troppo presto per cantare vittoria. Le temperature medie per il mese di maggio sono state comunque più alte della media, e a contrastare gli effetti devastanti degli ultimi anni non saranno sufficienti piogge sporadiche, e nemmeno quegli occa-
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Il murales di Ash Keating che ha sostituito una delle fontane di Melbourne, lasciata all’asciutto dall’amministrazione per risparmiare sull’acqua. Sopra, alcuni bambini giocano lungo lo steccato di recinzione dei Dingo che si estende nel New South Wales per più di 5.000 km.
sionali acquazzoni che talvolta arrivano ad allagare le strade delle città: le precipitazioni finora non sono bastate nè a riempire le riserve idriche i cui livelli sembrano scendere vertiginosamente, nè a ridare fiducia agli agricoltori e agli allevatori.
Prima vittima il bacino Murray Darling Tra le principali vittime del big dry c’è il Murray-Darling, il principale bacino fluviale d’Australia. La zona, che per dimensioni equivale a Francia e Spagna, si estende approssimativamente tra Brisbane, Adelaide, Melbourne e la capitale Canberra, e corrisponde a circa un settimo del continente. La popolazione che vive nell’area è di oltre 2 milioni di abitanti, ma almeno un altro milione di persone dipende dalle risorse idriche del bacino, da cui viene ad esempio l’acqua potabile consumata a Canberra. Le risorse idriche del bacino sono di fondamentale importanza anche per l’economia rurale dell’Australia: qui si produce il 40% del ricavato lordo dell’agricoltura nazionale. In aprile il primo ministro John Howard e tre premier statali hanno annunciato che con ogni probabilità, a meno che tornasse a piovere, il grande fiume Murray non avrebbe potuto più fornire acqua per l’irrigazione a partire dal primo luglio, ma solo acqua potabile ai residenti. È una minaccia non da poco per il food bowl australiano, già duramente messo
alla prova negli ultimi anni. Secondo proiezioni fatte da uno studio governativo, nel 2006-2007 la siccità ridurrà le entrate di coltivatori e allevatori di gran parte dell’Australia orientale e centrale, fino a toccare i livelli più bassi registrati negli ultimi trent’anni. Uno studio condotto da ABARE, agenzia governativa di ricerche economiche, prevede ad esempio che le entrate degli allevatori di bovini caleranno del 56% nel 2006-2007 e la produzione dei latticini subirà un calo del 10% nello stesso periodo. Ma l’emergenza non è soltanto economica. Secondo l’organizzazione per la lotta alla depressione Beyond Blue, fondata dall’ex premier liberale del Victoria Jeff Kennett, sono sempre di più i farmers che soffrono del male oscuro, piegati da anni di raccolti rovinati e greggi decimate. L’organizzazione ha fatto appello al governo affinché, oltre al sostegno finanziario, venga dato accesso ad un adeguato sostegno psicologico a chi vive in zone isolate e remote, dove l’etica del battler, basata sul mito della resistenza stoica alle avversità, rende soprattutto gli uomini poco inclini a chiedere aiuto.
Caso studio mondiale L’aridità in Australia, continente in gran parte desertico, non è un problema nuovo, nè lo sono episodi ciclici di siccità. Ma the big dry che imperversa da sei anni a questa parte si associa per la prima vol-
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40% entro il 2070, con concomitante aumento delle temperature di fino a 7 gradi. Uno scenario da brivido se si pensa che l’Australia è già un continente a prevalenza arido o L’AUSTRALIAN BUREAU OF STATISTICS semiarido, con una forte variabilità di precipitazioni anha pubblicato nue che la renderebbe particolarmente vulnerabile a camnel novembre scorso un nuovo rapporto biamenti climatici di questo tipo. da cui emerge che Il primo ministro John Howard è stato per lungo temil consumo d’acqua in Australia è diminuito, po uno scettico dichiarato in tema di riscaldamento glotra il 2001 e il 2005, bale. Come è noto, il governo australiano ha finora rifiudi quasi 3000 gigalitri, ovvero del 14%. tato di ratificare il protocollo di Kyoto per la riduzione delIl consumo complessivo le emissioni di gas serra, di cui l’Australia detiene il primaammontava per questo periodo a 18.767 to della maggior produzione pro capite. Ma giunto ormai gigalitri, due terzi al termine del suo quarto mandato governativo, Howard dei quali attribuibili al settore agricolo: tra sta rivedendo negli ultimi tempi le sue posizioni sull’argoi principali consumatori mento, opportunamente spronato dall’approssimarsi delil Bureau ha individuato le coltivazioni le elezioni federali e dai sondaggi, che rilevano la crescendi zucchero te preoccupazione dell’opinione pubblica. nel Queensland e l’industria dei Ad inizio giugno è stato pubblicato un rapporto sullo latticini nel Victoria. scambio di emissioni stilato da una commissione istituita Le dighe australiane avevano raggiunto dal primo ministro, secondo il quale, poichè il protocollo una portata di quasi di Kyoto rimarrebbe in molti modi inadeguato a rispon84000 gigalitri, meno della metà dere ai problemi posti dai cambiamenti climatici, l’Audella loro potenzialità. stralia dovrebbe puntare ad uno schema nazionale di scambio delle emissioni, da mettere in atto entro il 2012. Precipitazioni a -40% nel 2070 Un obiettivo troppo lontano nel tempo secondo l’opposizione laburiLa perdurante siccità ha sollevato in Australia un acceso dibattito sui sta, il cui portavoce per l’ambiente, l’ex cantante dei Midnight Oil Pecambiamenti climatici. Il Commonwealth Scientific and Industrial Reter Garrett, ha accusato senza mezzi termini il governo liberale di prosearch Organisation (CSIRO), il principale istituto di ricerca scientifica mettere troppo poco e, soprattutto, troppo tardi. Il leader del partito lain Australia, sostiene da tempo che il riscaldamento globale è ormai burista, Kevin Rudd, ha per parte sua promesso di ridurre le emissioni, una realtà con cui il paese deve fare i conti: secondo le più recenti proieentro il 2050, del 60% rispetto ai livelli del 2000. Inoltre ha commiszioni, le precipitazioni nell’Australia orientale potrebbero calare del ta ad un aumento delle temperature che fa temere che, anche se questa lunga siccità dovesse finire, non si ritornerebbe comunque allo status quo precedente. Anche il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite ha tratteggiato un quadro allarmante per l’Australia. I segnali che vengono ritenuti allarmanti sono, oltre alla diminuzione delle precipitazioni e ai conseguenti danni al settore produttivo, l’aumento delle temperature, l’allungarsi della stagione a rischio incendi e l’aumento di fenomeni meteorologici estremi, come i cicloni e le alluvioni. L’ultima estate australiana sembrerebbe corroborare queste fosche previsioni: tra dicembre e marzo la zona sudorientale dell’Australia, la più densamente popolata e coltivata, è stata colpita da incendi che, nel solo Victoria, hanno arso un’area di più di un milione di ettari (11164 km2). Ci sono voluti 69 giorni per contenere i focolai scoppiati in varie parti dello stato, e l’ampiezza del fronte degli incendi e la loro durata hanno costretto i premier statali del Victoria e del confinante New South Wales, interessato dagli incendi, a chiedere aiuto non solo alla vicina Nuova Zelanda ma anche agli Stati Uniti.
IL RAPPORTO
sionato all’economista dell’Australian National University Ross Garnaut uno studio sull’impatto dei cambiamenti climatici sull’economia, una sorta di versione australiana del rapporto Stern commissionato da Tony Blair. Il rapporto Garnaut non sarà tuttavia pronto che qualche mese dopo le elezioni federali previste per la fine di quest’anno.
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Obiettivo risparmio Se sull’entità dei cambiamenti climatici e sulle misure da adottare per far fronte ai loro effetti si è ben lontani da un consenso bipartisan, l’emergenza idrica è ormai da tempo protagonista nell’arena politica australiana. A livello governativo si cerca di fare guerra alla crisi idrica su più fronBambini lungo la via principale di Tiboobu. ti. Uno di questi è porre limiti al Australia, 1984 consumo domestico: la maggior parte degli stati ha già implementato restrizioni severe, che vanno dal 10% del consumo totale di acqua, una percentuale alta ma pur sempre divieto di riempire fontane e piscine, all’innaffiatura limitata dei giardi gran lunga inferiore a quella necessaria ad agricoltura e allevamendini. A Brisbane, nel Queensland, si è già raggiunto lo stadio 5 delle reto. Date le condizioni metorologiche a cui sembra che il paese stia anstrizioni, che stabiliscono un ambizioso obiettivo per il consumo indidando incontro, sono necessari cambiamenti strutturali più radicali. viduale di 140 litri per giorno. Con uno spot pubblicitario che ha imperversato nei mesi estivi su tutti i canali radiotelevisivi, il governo feDesalinazione e riciclaggio derale invitava dal canto suo la popolazione a limitare anche l’uso delNel Western Australia, lo stato più grande e a maggior desertificazione la doccia a non più di alcuni minuti. Alcuni governi statali hanno red’Australia, un impianto di desalinazione è già attivo da novembre so obbligatoria l’installazione di cisterne per la raccolta d’acqua piova2006, e copre il 17% del fabbisogno idrico della città di Perth. Nonona nei nuovi edifici, e previsto sovvenzioni per chi decide di installare stante la perplessità di alcuni detrattori relativa ai costi energetici e alcisterne nella propria casa. Tra le altre misure suggerite per ridurre il l’impatto ambientale di questo tipo di impianti, il governo statale preconsumo domestico ci sono anche l’uso di diffusori salva-acqua nelle vede già la costruzione di un secondo, e sulla costa est Sydney potrebdocce e il riciclaggio delle acque grigie per innaffiare le piante. be seguire a ruota. Anche i media hanno contribuito a diffondere il messaggio. DuUn’altra alternativa presa in considerazione è quella del riciclaggio, rante il periodo estivo il quotidiano Fairfax The Age di Melbourne riche tuttavia ha incontrato forti resistenze tra la popolazione. Nel Queensland, in una delle zone maggiormente colpite dalla siccità, la portava l’esempio virtuoso di cittadini responsabili che raccoglievano cittadina di Toowomba è stata chiamata a decidere, in un recente refel’acqua nella doccia per innaffiare le piante nel giardino, e a fine estate, rendum, sulla costruzione di un impianto di riciclaggio per la produalmeno nel Victoria, si registrava in effetti un calo notevole dei consuzione di acqua potabile. L’impianto ha incontrato la forte opposizione mi domestici di acqua. Tuttora sulle prime pagine dei quotidiani Fairdi un gruppo autobattezzatosi in modo eloquente Citizens Against fax viene riportata ogni giorno la percentuale di riempimento delle dighe, per ricordare che, a dispetto delle precipitazioni dell’ultimo mese, Drinking Sewage, cittadini contrari a bere acqua di fogna. Al termine di la situazione è ancora drammatica. Gli effetti della siccità hanno così couna campagna informativa che ha stentato a persuadere l’opinione minciato a diventare più palpabili anche per chi non vive out bush, e in pubblica locale della relativa innocuità della procedura, il 29 luglio 2006 più del 61% dei votanti ha detto no all’impianto. Una sconfitta tanti hanno accolto l’invito ad un uso più parsimonioso dell’acqua. che secondo il ministro federale per le risorse idriche, Malcolm TurnNel continente abitato più arido del mondo, i cui abitanti consubull, non può far escludere che impianti di questo genere, già utilizzamano in media centomila litri di acqua potabile all’anno, puntare sulti in altre parti del mondo, vengano costruiti altrove in Australia. Se l’ela riduzione del consumo domestico è senz’altro importante. Ma se da conomia australiana, sostenuta dal boom minerario, può per ora peruna parte, come insegna il cantautore melburniano Paul Kelly, “from mettersi di assorbire la crisi del settore agricolo, urgono misure che galittle things big things grow” (dalle piccole cose nascono grandi cose), rantiscano che i cittadini d’Australia non rimangano letteralmente a non basterà però coltivare il senso civico dei privati cittadini australiabocca asciutta. Una sfida che si giocherà nei prossimi vent’anni. ni a risolvere l’emergenza idrica. L’uso domestico è pari a meno del
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SU TRIBUNALE SPECIALE E INTREVISTA A RAOUL JENNAR
La lunga strada per la ricostruzione
Il paese dei cedri deve fare i conti con la devastazione prodotta dall’intervento israeliano costato oltre cinque miliardi
di dollari. Sul terreno anche 2,5 milioni di metri cubi di detriti e 1,2 milioni di bombe a grappolo sparse in oltre 800 località. In attesa degli aiuti internazionali indispensabili per ripartire il Libano deve sperare anche nel rinnovamento della classe politica. a storia contemporanea del paese dei Cedri sembra perennemente cadenzata tra due realtà: la guerra, con le devastazioni delle distruzioni, e la rinascita, con la ricostruzione dalle rovine. L’ultima fiammata di violenze dell’estate 2006, che ha visto affrontarsi l’esercito israeliano con le milizie Hezbollah, ha lasciato oltre ad una scia di morte e macerie, un’instabilità che a diversi livelli impedisce alla società libanese di risollevarsi. Le ferite provocate dalle bombe sono sempre presenti. Nel conflitto oltre a un migliaio di vittime tra i libanesi, in maggioranza civili, redi Cristina Artoni stano gli ingenti danni, con distruzioni di interi villaggi e quartieri rasi completamente al suolo. Tra i primi obiettivi dell’operazione definita da Tel Aviv di “autodifesa” c’era l’aeroporto civile della capitale. A seguire una lunga lista dei punti strategici da colpire nei bombardamenti: 97 ponti distrutti o danneggiati; 68 centrali di scambio per le telecomunicazioni telefoniche; 5 gruppi elettrici della stazione di Jiyeh; 612 scuole pubbliche. A queste rovine vanno aggiunte le 30 mila abitazioni residenziali e gli oltre 150 tratti di strade principali e secondarie danneggiati.
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Cinque miliardi di danni
LIBANO Superficie: 10,452 Kmq Popolazione: 4 milioni, Arabi (94,9%) e Armeni (4,1%) Popolazione urbana: 90% Densità: 383abitanti/kmq Città principali: Beirut ( 1.5 milioni di abitanti); Tripoli (160 mila); Saida (105 mila) Tasso di alfabetizzazione: 86% Lingua: Arabo (ufficiale) Francese, Inglese Religioni: 45% Musulmani ( di cui 20% sciiti; 20% sunniti; 5% drusi); cristiani 40% (11 comunità -maronite, greche, armene, protestanti); altre 15% Moneta: Lira Libanese Speranza di vita alla nascita: 72 anni Prodotto nazionale lordo pro capite: 6.180 dollari USA Mortalità infantile entro il primo anno di vita: 27 ogni mille nascite Crescita economica: (rilevata nel 2006): 5% (prima della guerra); -2% (attualmente) Debito pubblico: $ 38, 5 billion (prima della guerra); $ 41 billion (dopo il conflitto)
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Nel suo nuovo dopoguerra, il Libano, deve fare i conti con un paese che ha subito danni per oltre 5 miliardi di dollari. «L’operazione militare di Hezbollah – sostiene Gilbert Achcar, analista politico libanese e collaboratore di Le Monde Diplomatique – era stata preparata da tempo e concertata con gli alleati, ma anche l’offensiva militare israeliana (come ha rivelato la stampa di Tel Aviv) è stata pianificata molto tempo prima. Mirava a distruggere le infrastrutture del Libano. Mirava ad applicare con la forza la risoluzione 1559 fatta approvare dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 2004: ritiro delle truppe siriane dal Libano, disarmo dei gruppi armati nel paese, cioè gli Hezbollah e i palestinesi rifugiati nei campi profughi. Quando Israele dichiara di esigere l’applicazione integrale della risoluzione 1559 mostra una sfacciataggine inaudita: da quasi quarant’anni si attende ancora che Israele applichi la risoluzione 242, che esige il suo ritiro entro le frontiere precedenti la guerra del giugno 1967».
Detriti e cluster bombs Il paese dei Cedri con i suoi 2,5 milioni di metri cubi di detriti è ora da mesi in via di ricostruzione tenendo presente che tra gli interventi più
CON UNO SCHIAFFO ALLA SIRIA e a dispetto dell’opposizione della Russia e della Cina, gli Stati Uniti e i paesi europei hanno fatto approvare lo scorso maggio dal Consiglio di Sicurezza una risoluzione vincolante per la istituzione di un tribunale internazionale sull’assassinio dell’ex premier libanese Rafik Hariri. La risoluzione è stata approvata con 10 sì (uno in più del minimo necessario) e cinque astensioni: Russia, Cina, Sudafrica, Indonesia e Qatar. Immediata la protesta della Siria, secondo cui la creazione del tribunale viola la sovranità del Libano e rischia di destabilizzare ulteriormente il paese. Hariri, ex premier libanese anti-siriano, fu assassinato con altre 22 persone dal passaggio di un’auto-bomba a Beirut il 14 febbraio 2005. In seguito alla sollevazione internazionale che seguì l’attentato, la Siria fu costretta a ritirarsi dal Libano. Il testo per la creazione del tribunale internazionale era stato sponsorizzato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Belgio Italia e Slovacchia. Il Tribunale Speciale comincerà a funzionare in una data stabilita dal segretario generale dell’Onu. Ancora da definire la sede del nuovo tribunale.
Il principio della costituzione del tribunale era stata decisa nel 1005dalla risoluzione 1595 del Consiglio di Sicurezza. Nel 2006 Onu e governo libanese avevano sottoscritto una convenzione ma la ratifica del parlamento libanese non era mai arrivata. Per essere approvata una risoluzione aveva bisogno di nove voti favorevoli e nessun veto da parte dei cinque membri permanenti (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna). Raoul Jennar, docente di Scienze Politiche e consulente presso l’autorità provvisoria delle Nazioni Unite in Cambogia, considera la nascita del nuovo tribunale come un’ingerenza pesante per il futuro del Libano: «Il diritto internazionale è molto progredito da quando si svolsero i processi di Norimberga e di Tokyo dopo la Seconda guerra mondiale. Ma le Corti penali internazionali si occupano solo di tre tipi di crimini: contro l’umanità, di guerra e il genocidio. Non vengono contemplati gli omicidi politici. Mi chiedo se il diritto internazionale non è in pericolo quando per ragioni politiche si fa ricorso a un tribunale penale internazionale per degli assassini politici e lo si fa
urgenti resta la bonifica del terreno dagli ordigni inesplosi (cluster bombs) e dall’uranio impoverito, la cui presenza è stata confermata da uno studio condotto in Austria e Germania dal fisico nucleare Muhammad al Qubaisy su alcuni campioni di terreno prelevati dal cratere di una bomba nella zona di Khiam, vicino alla “linea blu” tra Libano e Israele. Secondo il Ministero dell’Industria libanese ci sono circa 1,2 milioni di bombe a grappolo in oltre 800 località. Oltre a queste rimangono almeno altre 430.000 mine terrestri inesplose, residui del ritiro israeliano del 2000. Il Governo libanese ha impegnato fondi per 4 milioni di dollari annui per lo sminamento, progetti finanziati dagli Emirati Arabi Uniti e dell’ONU. Si tratta solo di una minima parte degli aiuti che il Libano riceve a livello internazionale. Nella nuova Conferenza di Parigi i rappresentanti di trentasei paesi e quattordici organismi ed istituzioni internazionali hanno promesso aiuti per oltre 7,6 miliardi di dollari. Di tale importo, quasi il 10% (730 milioni) sono in doni e 1,9 miliardi di dollari dovranno essere versati entro la fine del 2007. Degli aiuti necessari per la ricostruzione sono , ma che impongono al Libano una dipendenza senza fine dai finanziamenti internazionali.
Pil in caduta I dati economici sono indicativi della crisi che ancora il paese risente per la ripresa. La variazione del PIL per l’intero 2006 si è attestata a –6,5%, rispetto al previsto +6,0% ante conflitto. Il debito pubblico lordo ha raggiunto a fine 2006 il valore di 40,4 miliardi di dollari (+4,9% dalla fine del 2005). La crescita del debito è da attribuire ad un incremento del debito estero del 6,2% rispetto ad una più contenuta crescita del debito interno (+3,6%). I dati che rispecchiano più direttamente la qualità della vita della popolazione, come ad esempio la disoccupazione, sono difficili da rilevare, ma secondo dati non ufficiali potrebbe essere aumentata dal 15% al 25% alla fine del 2006. Ne sono in-
per un solo caso e in un unico paese. Omicidi di questa natura ve ne sono in molti altri luoghi. Perché non c’è un tribunale internazionale per gli omicidi mirati compiuti dall’esercito israeliano nei confronti di personalità palestinesi?» Che tipo di ingerenza vede in questa risoluzione? «Sono state violate le procedure costituzionali libanesi. Era necessario che sul progetto di creare un Tribunale si pronunciassero il presidente della Repubblica e il Parlamento. Ma a causa della crisi politica che ha attraversato il paese, mi si risponde, non è stato fatto. In realtà c’è stato il pronunciamento perché Francia e Stati Uniti hanno voluto aggirare il presidente della Repubblica libanese e il Parlamento. C’è stata quindi un’ingerenza in un paese che sta già superando una grave crisi politica, che credo debba cercare di risolvere tenendo presente tutte le complessità che lo caratterizzano. Ricordo che il Libano è un paese con 18 differenti comunità. Non si può pensare di governare cercando di applicare il nostro metodo democratico con il 51% della maggioranza contro il 49%».
dicatori due settori in particolare: il turismo e l’agricoltura. Il primo, che ha un peso dell’11% sull’economia libanese ed occupa circa 140 mila lavoratori, ha registrato un danno pesante dal conflitto: i dodici mesi del 2006 indicano una contrazione del 6,8% del flusso di turisti rispetto al medesimo periodo del 2005. Il settore agricolo e la pesca hanno avuto invece perdite per circa 280 milioni di dollari. I danni diretti hanno riguardato le colture, gli allevamenti e le attrezzature agricole. Le perdite hanno fatto registrare delle ricadute negative sull’occupazione. In questo quadro c’è stata un’impennata dell’inflazione che ha raggiunto a fine 2006 un +6,75% rispetto all’anno precedente, un incremento dovuto soprattutto agli alimentari e bevande (+11,7%) ai servizi ( +10,2%) ed ai trasporti (4,13%). L’inflazione secondo le previsioni degli analisti dovrebbe ridursi nel 2007 al 3%. Ma il nodo per la svolta nel paese risiede soprattutto nella capacità della classe politica libanese di rinnovarsi, superando le divisioni fratricide. La storia del Libano è costellata da un uso strumentale a livello internazionale di qualsiasi realtà politica nascente. Infatti la maggior parte degli attori politici sono finiti in giochi che spesso travalicavano le frontiere del paese, movimenti con cui si manovrano le pedine dello scacchiere mediorientale. E’ anche in questa logica che si possono leggere le ultime fiammate di guerra nell’area e che hanno visto la resistenza delle milizie Hezbollah contrastare le forze israeliane: «Stati Uniti e Israele sono mossi dall’ossessione del nemico principale - dice Gilbert Achcar – Prima era l’Unione Sovietica, oggi in Medioriente è l’Iran e l’alleanza su forti basi regionali, che la sostiene: dagli sciiti in Iraq, al regime siriano, a Hezbollah e Hamas». Ma nel corso degli anni chi ha tratto benefici da una realtà frazionata come quella del quadro politico libanese è stato proprio il movimento Hezbollah, che dall’agosto scorso ha anche raccolto un consenso sempre maggiore, fino a cercare sbocchi sulla scena politica libanese.
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Pil
Beni e merci non sono sinonimi di Massimiliano Pontillo
N GENERE PENSIAMO CHE LA CRESCITA ECONOMICA consista nell’aumento dei beni materiali e immateriali
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CONTRASTO
che un sistema economico e produttivo mette a disposizione di una popolazione. In realtà l’indicatore che si utilizza per misurarla, il prodotto interno lordo (Pil), calcola il valore monetario delle merci, cioè dei prodotti e dei servizi scambiati con denaro. I concetti di bene e di merce non sono però equivalenti. Non tutti i beni sono merci e non tutte le merci sono beni. La frutta e la verdura coltivate in un orto a conduzione familiare per autoconsumo, sono beni qualitativamente migliori della frutta e della verdura acquistate al supermercato. Ma non passano attraverso un’intermediazione mercantile, per cui non sono merci. Soddisfano il bisogno di nutrirsi in modo più sano e più gustoso; non sono stati prodotti con veleni, non hanno impoverito l’humus, non hanno contribuito a inquinare le acque, ma fanno diminuire il Pil perché chi autoproduce la propria frutta e verdura non ha bisogno di andarla a comprare. Un comportamento asociale Oppure, l’automobile che consuma una certa quantità di carburante, contribuendo alla crescita del Pil. Più si sta in coda, più il consumo della merce carburante cresce; di conseguenza, anche il pil. Aumentano i disagi e la fatica, aumentano le emissioni di anidride carbonica e di inquinanti in atmosfera, i costi individuali e collettivi, ambientali e sociali. La maggior quantità della merce benzina consumata non è un bene. Eppure ogni volta che si sta fermi in coda a respirare gas di scarico si contribuisce ad accrescere il benessere collettivo e, di conseguenza, il proprio. Si agisce in modo socialmente virtuoso. Se, dunque, il Pil misura il valore monetario delle merci e non prende in considerazione L’obiettivo è una diminuzione i beni, la “decrescita” indica soltanto una diminuzione della produzione di merci della produzione di merci. Non dei beni. Poiché molte merci che non sono beni e un incremento della produzione non sono beni e molti beni non sono merci, la decrescita può diventare il fulcro di un nuovo paradigma culturale di beni che non sono merci e un obbiettivo politico se si realizza come una diminuzione della produzione di merci che non sono beni e un incremento della produzione di beni che non sono merci. Un sistema economico fondato sulla crescita del Pil ha bisogno di sostituire progressivamente i beni con le merci, inducendo a credere che queste sostituzioni siano miglioramenti della qualità della vita. Un sistema economico libero dall’obbligo della crescita non deve sostituire progressivamente la produzione di beni per autoconsumo con la produzione di merci, ma dovrebbe continuare a produrre sotto forma di beni tutto ciò che prodotto sotto forma di merce comporterebbe peggioramenti qualitativi, limitandosi a produrre sotto forma di merce soltanto ciò che non può essere autoprodotto sotto forma di bene. La crescita della produzione di merci consuma quantità crescenti di materie prime, energia e rifiuti. In un’economia basata sulla crescita, la produzione è un’attività finalizzata a trasformare le risorse in rifiuti attraverso un passaggio intermedio, sempre più breve, allo stato di merci. Le innovazioni di processo hanno la funzione di accelerare i tempi di percorrenza della prima parte del tragitto, da risorsa a merce; le innovazioni di prodotto hanno la funzione di accelerare i tempi di percorrenza della seconda parte del tragitto, da merce a rifiuto. Quanto più breve è la durata del percorso, tanto maggiore è la crescita del Pil. Ma la crescita economica si scontra ormai con i limiti fisici del nostro pianeta. Nel paradigma culturale della decrescita la sobrietà dovrebbe essere uno dei valori fondanti! La decrescita indotta dall’autoproduzione dei beni è allora fattore di felicità? Forse. Ma siamo pronti per cambiare rotta? Potremmo cominciare con la politica dei piccoli passi...
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Il corsaro della finanza di Andrea Montella
“ I milionari non usano l’astrologia, i miliardari la usano”
John Pierpont Morgan
OHN PIERPONT MORGAN, NACQUE A HARTFORD nel Connecticut nel 1837, ma visse a lungo in Europa: studiò in Inghilterra, in Svizzera e si laureò nel 1856 in Germania, a Gottingen. Tornò in America nel 1859 e cominciò la sua ascesa commerciando cotone e lavorando nella banca del padre, Junius Spencer (1813-1890). A 34 anni, nel 1871, fondò con Anthony Joseph Drexel la propria banca e fu uno dei banchieri più influenti della nascente industria americana. In quel periodo era in corso un enorme processo di centralizzazione, in cui la funzione classica del banchiere, prestare denaro, stava integrandosi con quella di industriale o gestore di affari commerciali. In quella nuova veste, John Pierpont Morgan, non era secondo ai suoi compagni di avventura: i Taylor, i Rothschild, i Belmont, i Seligman o i Morton, anzi si era rivelato il più arguto e il più spietato innovatore. Due anni dopo la nascita della sua banca Morgan lottò per il controllo dell’emissione di obbligazioni governative contro la Jay Cooke & Company, portandola al fallimento. In seguito, con un sindacato di banchieri di New York e Filadelfia, Morgan, condusse grandi operazioni di conversione che sostituirono il tasso di interesse del 6 per cento, del periodo della guerra civile americana, con in questa giostra di titoli, era di “riservarsi” la differenza quello del 4 per cento, producendo un importo di 235 risultante fra il prezzo fissato per il capitale e quello che milioni di dollari e quantitativi addizionali di prestiti goriuscivano a farsi pagare dai risparmiatori e dagli invevernativi, che furono impiegati allo scopo di acquistare stitori all’atto della distribuzione dei titoli. oro all’estero per tornare alla coniazione delle monete. Con i fondi che aveva messo da parte Morgan poteva Grazie a queste operazioni in pochissimo tempo le assicurarsi opzioni su capitali azionari ferroviari o indubanche associate guadagnarono provvigioni pari a 25 striali, facendo anticipi a chi aveva bisogno di prestiti, per milioni di dollari; la maggior parte di questa cifra entrò poi condurre campagne in Borsa per collocare il capitale nelle casse della banca Drexel, Morgan & C. all’interno del paese e all’estero. Lavorando in sinergia Nel far fruttare i soldi in poco tempo Morgan era un con altri banchieri che si suddividevano le commissioni e vero maestro: sono passati alla storia i due casi che raci compratori, Morgan poteva estendere all’infinito l’amcontiamo, famosi nel mondo della finanza dell’epoca bito delle sue operazioni e costruire monopoli. Inoltre per la mole di denaro che venne messa in gioco. William parte del denaro realizzato veniva lasciato in deposito nelVanderbild, nel 1879, incaricò Morgan di vendere 250 la sua banca e in quelle associate, pronto per essere usato mila azioni della New York Central; da questa operazioper l’acquisto o la vendita di altre partite di titoli, mentre ne il nostro banchiere incamerò 3 milioni di dollari, dile provvigioni su tutto questo movimento crescevano graventando anche uno degli amministratori della società. zie al cosiddetto effetto valanga. Un anno dopo la Drexel, Morgan & C. fa parte del La fine dell’800 ha visto negli Stati Uniti furibonde sindacato di banchieri che dovevano collocare 40 milotte tra i maggiori investitori nel settore ferroviario: nel lioni di dollari di obbligazioni (con una provvigione del 1884 cinque linee ferroviarie correvano fra New York e 10%) della Northern Pacific Railroad, che si trovava in Chicago e altre due erano in costruzione, anche se ne sapessime condizioni. rebbero bastate tre per il fabbisogno dell’epoca. Ma i Ma più che le provvigioni, l’obiettivo dei banchieri grandi banchieri e i finanzieri avrebbero continuato a
J John Pierpont Morgan nato nel Connecticut nel 1837, ebbe la possibilità di viaggiare a lungo nei paesi europei.
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Grande fiuto per gli affari, è stato uno dei protagonisti del grande business ferroviario attraverso la gestione e il commercio dei prestiti obbligazionari
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costruire strade ferrate, fintanto che il mercato avesse continuato ad acquistare azioni e obbligazioni del settore. Questo meccanismo aveva innestato una lotta all’ultimo sangue, che non escludeva l’autodistruzione. All’Est, la Pennsylvania si opponeva a che la Baltimore & Ohio arrivasse a New York. A Ovest, il finanziere James J. Hill incideva senza sosta nelle concessioni terriere della Northern Pacific e sospingeva Henry Villard verso il fallimento. Nelle gole delle Montagne Rocciose bande messe assieme dalle compagnie ferroviarie ingaggiavano lotte furibonde per impossessarsi dei nuovi centri minerari. Il banchiere promosse la “morganizzazione” dell’industria mediante nuove procedure e istituzioni finanziarie: era il periodo in cui si batteva per il consolidamento della sua egemonia, che avrebbe imposto l’“ordine” stabilizzatore dell’alta finanza sulla “gazzarra delle concorrenze”. Fu lui a risollevare le finanze degli Stati Uniti, che uscirono dall’indebitamento per accedere all’autosufficienza economica. Inoltre, grazie al suo fiuto per gli affari nacquero in America compagnie come la General Electric e la U.S. Steel, l’acciaieria più importante d’America, che ebbe – naturalmente - un boom in occasione della costruzione della grande rete ferroviaria. Le titaniche ricchezze che accumulò nel corso della sua vita furono però non soltanto frutto di una rara perspicacia affaristica, ma anche di un approccio “smithiano” all’economia del Paese: Morgan fu sempre convinto che quello che era un bene per lui sarebbe diventata ric-
chezza per il Paese. Il banchiere fu anche un appassionato collezionista d’arte: quadri, sculture, libri d’impagabile bellezza e valore donati alla sua morte al Metropolitan Museum di New York. Alcuni suoi estimatori spiegavano l’enorme lavoro svolto a favore del sistema capitalistico da questo banchiere con la frase: «Il mondo fu creato da Dio nel 4004 avanti Cristo e riorganizzato da J. P. Morgan nel 1901». John Pierpont Morgan si spense a Roma il 31 marzo 1913. La banca fu presa in mano dal figlio John Pierpont Morgan Junior (1867-1943) che fu uno strenuo difensore dell’intervento americano nella prima guerra mondiale, tanto da sostenerne economicamente la partecipazione; Morgan Jr. appoggiò le riforme monetarie del dopoguerra e nel 1926 il banchiere approvò le scelte del suo principale associato, Thomas William Lamont, nel finanziare con 100 milioni di dollari Mussolini. Il prestito aveva lo scopo di stabilizzare la lira e con essa il regime fascista. Su esortazione della stessa J.P. Morgan & Co. il massone conte Giuseppe Volpi di Misurata, ministro delle Finanze italiano, si assicurava attraverso la Banca d’Italia lo stretto controllo della politica monetaria nazionale. J.P. Morgan è oggi una grande banca d’investimenti, punto cruciale nella circolazione del denaro, che si occupa di fornire rating, dare valutazioni e giudizi sulle società quotate e non. È anche sostenitrice, tramite investimenti propri, dello sviluppo economico di alcune aree ad alto potenziale di crescita, come ad esempio l’Estremo Oriente. Nel campo del risparmio gestito, la J.P. Morgan ha sul mercato centinaia di fondi e sicav di diritto estero che investono in qualsiasi settore e parte del mondo. Tali servizi finanziari vengono venduti anche in Italia dalle principali banche del nostro Paese. La banca d’affari J.P. Morgan ha anche il più antico network omosessuale, il Pride, con centinaia di iscritti in tutto il mondo. Questa sua scelta ha spinto anche altre banche come l’Ubs Warburg, la Hsbc a fare investimenti in questo settore, perché per le banche non esistono distinzioni di sesso, ma solo di classe.
A sinistra, John Pierpont Morgan ritratto con un coltello in mano e, qui a fianco, alle prese con una discussione in strada. Sopra, il suo socio Anthony Joseph Drexel. Insieme fondarono la loro prima banca.
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economiaefinanza
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altrevoci LA VOCE DEL PADRONE SI FA SENTIRE SUI GIORNALI E SULLA LIBERTÀ
TRADIMENTO COLLETTIVO AI DANNI DEL RISPARMIO
MERCATO E RECIPROCITÀ NIENTE DI DIVINO
LA VALLE DEL PO È UN LABORATORIO POLITICO
CRIMINALE E POLITICO NELLE MANI GIUSTE
CAVALLI CORSE E DONNE A VIGATA
Il libro, che riprende nel titolo un’affermazione di Luigi Einaudi, è un serrato e documentato atto d’accusa dello stato di degrado e di servitù del giornalismo italiano. Si affronta, dall’interno, il tema complesso della libertà d’informazione e il rapporto con il potere. Il discorso si snoda attraverso un percorso lineare che parte da concetti basilari, come quello di verità, obiettività e opinione per arrivare a una proposta concreta sullo statuto delle imprese giornalistiche. Queste alcune delle tappe attraverso cui si articola il discorso: il mito dell’obiettività, l’informazione come componente necessaria e costitutiva di un regime democratico, la propaganda, la manipolazione dell’opinione pubblica, i conglomerati della comunicazione e lo spettro elettromagnetico, le lobby che comandano oggi nei giornali italiani. L’autore rintraccia, in un «liberalismo critico», il metodo capace di affrontare e di fornire una soluzione alla crisi dei media, dando una versione aggiornata della separazione dei poteri, e delinea una proposta riformatrice in grado di affrontare i guasti provocati dal gigantismo e dal monopolio
Ogni italiano conoscerà qualcuno, un parente o un vicino di casa, che è incappato con i propri risparmi in qualche crac finanziario. Cirio, Parmalat e Bond Argentina hanno mandato in fumo, oltre a svariati miliardi di euro, anche i sogni di molti italiani. Questo libro si rivolge a chi ha perso soldi con i fondi comuni, a chi è insoddisfatto dei titoli che gli ha venduto la banca, a chi mette i propri risparmi nella previdenza integrativa, non sapendo i rischi che corre. Scienza spiega come evitare le trappole tese a danno dei risparmiatori e invita a occuparsi in prima persona dei propri soldi fornendo dati, esempi, confronti e soprattutto facendo nomi. Questo libro è una controguida agli investimenti che dimostra il fallimento del risparmio gestito e denuncia le responsabilità del giornalismo economico italiano colpevole, secondo l’autore, di non fornire un'informazione adeguata.
In questo libro l’autore indaga sui meccanismi e le implicazioni della reciprocità, portando il lettore ad aggirarsi nei territori limitrofi dell’antropologia, dell’economia, della sociologia e della psicologia. Dallo scambio violento e distruttivo della vendetta a quello pacifico e costruttivo del dono, dallo scambio di prestazioni all’interno della coppia fino alle transazioni dell’economia di mercato, il circolo delle interazioni tra individui trova una garanzia di unità e armonia a un livello superiore, in un terzo trascendente: gli dei e gli spiriti magici, la relazione di coppia, lo stato e oggi il mercato, in quanto presunta forza autoregolata. L’uomo deve guardare dall’esterno queste interazioni per ripensarle e trasformarle, chiedendosi se è ancora accettabile in economia l’immagine di una “mano invisibile” e di un mercato divinizzato.
Tra le pianure piemontesi e lombarde, riccamente irrigate, e le terre basse distese attorno al Delta del Po, gigantesche trasformazioni territoriali e sociali costruiscono fra Otto e Novecento lo scenario di una storia che non ha paragoni nel contesto europeo. Il complesso mondo dei braccianti, che popolano le campagne padane, innervate da una rete associativa sempre più fitta, prende forma. Antichi orizzonti mentali e nuove culture, etica e solidarietà che si intrecciano con le speranze, i programmi, l’azione e i miti di un movimento socialista che ha qui, prima e più che nei centri industriali e urbani, la sua forza e il suo laboratorio. La vicenda della Valle del Po e dei suoi braccianti attraversa momenti essenziali della storia generale del Paese, spesso confondendosi con essa. Di questo mondo che è scomparso in modo rapido e tumultuoso, l’autore ricostruisce i tratti cruciali.
Il suo capolavoro è stato “Romanzo criminale” diventato anche un film di culto. Questo magistrato sa descrivere, meglio di uno storico e perdipiù con bella scrittura, quanto avviene in Italia. Questa volta De Cataldo racconta il nuovo clima che si respira dopo la caduta del muro di Berlino all’inizio degli anni Novanta e dell’offensiva stragista scagliata dalle organizzazioni mafiose. C’è un disegno folle, camufffato dal segno della convenienza, che incombe su persone diverse, con progetti diversi. Pedine di una macchina spietata che vuole consegnare il Paese nelle mani giuste. Quali? In quelle di coloro che hanno la maggiore sintonia con gli italiani e quindi capaci di intercettarne il consenso. Il ruolo della politica è predominante nel libro e costante è il legame della stessa con fatti di criminalità. Una seconda grande prova d’autore.
SALMONI NORDICI IN AUTOSTRADA AFFUMICATI A BUSTO ARSIZIO
GUIDO CRAINZ PADANIA
GIANCARLO DE CATALDO NELLE MANI GIUSTE
Questa volta il commissario Montalbano ha a che fare con storie di donne e cavalli. Le prime non sono una novità. I secondi sì. Un cadavere insanguinato di un equino sulla riva è il primo indizio. Il corpo dell'animale però sparisce non appena il commisario di Vigata avverte i suoi uomini. Della povera bestia non rimane che un'impronta sulla sabbia. Una donna denuncia il furto del suo cavallo, mentre nelle scuderie di uno degli uomini più ricchi della Sicilia, un altro purosangue è svanito nel nulla. Lo scenario della vicenda è il mondo delle corse clandestine, passatempo preferito di una certa aristocrazia terriera che ama scommettere forte. Andrea Camilleri per scrivere questo romanzo si è ispirato a due fatti di cronaca avvenuti nell’estate del 2006: l’uccisione di un cavallo sulla spiaggia di Catania, una storia che riguardava appunto l’ambiente delle corse clandestine, e il furto in Toscana di sei purosangue da corsa.
Donzelli editore, 2007
Einaudi, 2007 ANDREA CAMILLERI LA PISTA DI SABBIA
GIANNI SPARTÀ ROMANZO INDUSTRIALE
Sellerio, 2007
Macchione Editore, 2007
ENZO MARZO LA VOCE DEL PADRONE
Dedalo, 2007
MARK ANSPACH A BUON RENDERE
Bollati Boringhieri, 2007 BEPPE SCIENZA IL RISPARMIO TRADITO
Cortina, 2005
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narrativa
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QUANDO IL FOOTBALL GENERAVA GUERRE
«Ci sono ancora, ci saranno sempre, le fabbriche, necessarie come il pane, solenni come cattedrali». Romanzo industriale è un viaggio affascinante nella storia delle industrie della provincia di Varese. «Ritratti di aziende, con radici locali e strategie internazionali» ha scritto nell'introduzione Alfredo Ambrosetti. Trentasette storie aziendali che si leggono come un romanzo a puntate, capaci di scardinare i peggiori luoghi comuni sulla produzione e sul saper fare delle industrie del Varesotto. Una su tutte, la vicenda della Fjord, azienda che si trova alle porte di Busto Arsizio, città considerata da sempre la Manchester italiana e patria del tessile, che si è messa a produrre salmone affumicato di grande pregio per poi rivenderlo ai paesi del nord. «La natura li crea, Busto li affumica rispedendoli sulle tavole di mezzo mondo, luoghi di origine compresi». Una storia che è anche il paradigma della sfida industriale lanciata da questo territorio, che ha dato i natali a Giovanni Borghi padre di tutti gli elettrodomestici italiani - la cui storia è stata raccontata dallo stesso autore nel libro “Mister Ignis” (Mondadori) - e che oggi guarda al futuro parlando di turismo, perdendo di vista la sua vocazione naturale, ovvero l’industria.
“La prima guerra del football”, pubblicato nel 1978 con il titolo “Wojna Futbolowa”, racconta il viaggio di Ryszard Kapuscinski in due continenti poveri : l’Africa e l’America Latina. Nel 1958 Kapuscinski attraversa il Ghana, il Congo, il Tanganica e l'Algeria, nei momenti più caldi. In Africa alcuni stati sono in fermento: si comprano armi, si uccidono presidenti, milioni di persone chiedono parola e diritti. Nel 1967 il giornalista riparte, questa volta per l’America Latina. Lì si combattono guerre povere, come quella tra l’Honduras e il Salvador. La tensione tra i due stati creata da una partita di calcio tra le rispettive nazionali, per la qualificazione ai Mondiali di Messico 1970, scoperchia il calderone mettendo a nudo una crisi più profonda causata dall’emigrazione di migliaia di salvadoregni, alla ricerca di terra e fortuna nello stato vicino. La guerra termina con molti morti e una tregua.Ma la frontiera tra i due stati rimane quella di sempre. RYSZARD KAPUSCINSKI LA PRIMA GUERRA DEL FOOTBALL
Feltrinelli, 2005
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fotografia
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DIRITTI VIOLATI E FOTOGRAFIA DI DENUNCIA Spesso sono i fotografi a portare alla luce con i loro scatti le violazioni di diritti, situazioni di sopruso e violenza. Il volume curato da Alessandra Mauro raccoglie il lavoro di fotografi, scelti in un arco di tempo che va dall’inizio del Novecento ai nostri giorni, tutti consapevoli della loro funzione di denuncia e di educazione al rispetto della dignità umana. Mostrare ciò che è stato fatto per ribadire ciò che non si deve fare. Ognuno dei 20 reportage è accompagnato da un’accurata scelta d’immagini e da un testo introduttivo di Marcello Flores e Susie Linfield. Si va dall’America della seconda metà dell’Ottocento, descritta da Jacob Riis, alle foto più recenti di Lucinda Devlin che mostrano le stanze della morte delle prigioni degli Usa, passando per il Sahel di Sebastião Salgado, il Sudafrica di Peter Magubane, la Primavera di Praga di Josef Koudelka e molto altro.
DODICI PUNTI DI VISTA DIVERSI PER DESCRIVERE LA PROSSIMA MILANO
ALESSANDRA MAURO I CUSTODI DEI FRATELLI
A CURA DI DENIS CURTI E CAMILLA INVERNIZZI PAESAGGIO PROSSIMO
Contrasto, 2007
Contrasto, 2007
Dodici fotografi di fama internazionale, 240 pagine e 180 foto a colori e bianco e nero. “Paesaggio prossimo” è un progetto nato da una collaborazione tra la Provincia di Milano e l’agenzia Contrasto per raccontare il territorio di Milano. Diversi punti di vista per ripercorrere i luoghi e le situazioni che rendono la capitale del nord celebre e al centro delle tendenze. Le foto sono accompagnate dai testi di esponenti del mondo della cultura, della creatività e dell’attualità che raccontano la metropoli, tra passioni e dubbi, tra ricordi e speranze per il futuro. Accoppiate di altissimo livello: Massimo Siragusa e Ermanno Olmi, Stefano De Luigi e Elio Fiorucci, Gianni Berengo Gardin e di Don Virginio Colmegna, Guido Harari e Umberto Veronesi, Alex Majoli e Camila Raznovich, Riccardo Venturi e Dino Meneghin, Massimiliano Fuksas e Gabriele, Ferruccio de Bortoli e Enrico Bossan, Paola Antonelli e Paolo Pellegrin, Stefano Boeri e Francesco Radino, Daniele Dainelli e Damiano Di Simine, Filippo Penati e Lorenzo Cicconi Massi. Il libro accompagna la mostra omonima in programma allo Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, Milano. Fino al 7 ottobre.
DALLA SICILIA A NEW YORK TUTTO IN UNO SCATTO
RAJASTHAN UNA MAGIA CHE PARTE DA LONTANO
BANDA LARGA A BASSO COSTO
Enzo Sellerio, fotografo ed editore, tra i massimi autori italiani contemporanei, dedica da sempre una particolare attenzione alla sua terra natale, quella Sicilia ricca di fascino e tradizioni. La strada, le espressioni, gli sguardi, la natura forte della sua gente, i giochi dei bambini, le storie di paese. I suoi reportage in bianco e nero sono entrati nella storia della fotografia internazionale. In questo volume accanto alle foto della sua Sicilia ci sono altre fotografie realizzate a New York, città dove Sellerio ha vissuto e lavorato negli anni Sessanta, e altr ancora a Mosca. Istantanee scattate in Francia, in Germania e qualche immagine inedita che l’autore ha riscoperto nel suo archivio. I testi sono di Adriano Sofri e Salvatore Silvano Nigro. La presentazione di Roby Schirer e un testo di Sandro Viola completano il libro.
Si puo' rimanere folgorati da una terra? Tito Dalmau si è innamorato del Rajasthan, un luogo affascinante per i suoi volti cangianti, una caratteristica di tutta l’India pervasa nel profondo dal senso del sacro. L’architetto e fotografo Dalmau con le sue foto conduce con delicatezza attraverso gli scenari mutevoli di questa terra, senza pregiudizio. Maka Abraham ha accompagnate con note storiche e geografiche gli scatti. Tradizionalmente, in Rajasthan, la casa è concepita in funzione della famiglia estesa. Ancora oggi continua a essere così. Le immagini della casa sono, quindi, il miglior indicatore di come è articolata la società indiana. Per questa ragione, le foto si concentrano sulle forme di architettura e non sui bei volti della gente che abita queste terre. Compresa la forte emozione che le fotografie da lui scattate hanno scatenato in una donna.
Una banda larga a basso costo, con una tecnologia di accesso che non supera i 40 euro. Una serie di punti dove è presente la linea replicabili grazie al software Mesh che rende i punti wi-fi nodi capaci a loro volta di replicare il segnale. Sono quasi 500 le città nel mondo che hanno dato vita alle le MuniWireless, sulla base di accordi tra municipalità e privati In Italia queste reti sono già attive a Torino, Trento, Bologna, Roma e Reggio Emilia. Secondo gli esperti nei prossimi quattro anni negli Usa saranno investiti circa tre miliardi di dolari nelle reti wi-fi cittadine. Parigi offre oltre 400 punti di acceso gratuito a residenti e turisti. Amsterdam fa lo stesso con le sue periferie, mentre a Roma è partito un progetto che dà accesso gratuito alla rete nei parchi pubblici e che presto sarà esteso a tutto il centro cittadino.
ENZO SELLERIO PER VOLONTÀ O PER CASO
Edizioni della Meridiana, 2004
Contrasto Due, 2007
Da giugno è attivo il nuovo portale del ministero degli Affari esteri, pensato per aprire maggiormente la Farnesina ai cittadini. Il portale è stato presentato al Forum della pubblica amministrazione. Non si tratta di un restyling grafico, bensì di una ristrutturazione dei contenuti del sito. Alla base c’è l’idea di dare al cittadino uno strumento per orientarsi nella politica internazionale. Attraverso percorsi interattivi “immediati ed intuitivi”, il nuovo portale si rivolge direttamente agli utenti, concentrando l’attenzione su di loro piuttosto che sulla presentazione della struttura interna del ministero. Maggiore fruibilità, elevata accessibilità ai contenuti, interattività e multimedialità, presentate da una grafica migliorata e innovativa, sono state le linee che hanno guidato la ristrutturazione del portale, attraverso il quale si possono raggiungere i siti di oltre 300 rappresentanze diplomatiche all'estero e istituti di cultura italiani, oltre ai siti specialistici preziosi per i connazionali che si trovano all’estero come www.dovesiamonelmondo.it e www.viaggiaresicuri.mae.aci.it. WWW.ESTERI.IT
WWW.MUNIWIRELESS.COM TITO DALMAU RAJASTHAN LA CASA E L’UOMO
NUOVO LOOK E PIÙ ATTENZIONE AGLI UTENTI DELLA FARNESINA ON LINE
multimedia
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QUANDO LA LEGA BRUCIAVA IL TRICOLORE
LA VESPA COMPIE 60 ANNI E RIPARTE
Dove sta andando la Lega Nord? Quali sono i suoi obiettivi? Vincerà la deriva xenofoba, oppure l’ala buonista, ammesso che ci sia, avrà la meglio? il regista del film “Camicie Verdi. Bruciare il Tricolore” (euro 14,99) cerca di dare una risposta ai mille interrogativi che suscita il fenomeno Lega. Un viaggio che attraversa le varie anime del Carroccio in compagnia di una guida all’altezza dell’impresa: l’europarlamentare Mario Borghezio. Il film inizia con le immagini girate davanti al Senato, con le dichiarazioni del segretario della Lega, Umberto Bossi, e del suo braccio destro, il ministro Roberto Calderoli, sulla conquista della Devolution. «Una vittoria di tutti gli italiani» lo dicono gli stessi che qualche anno prima sostenevano l’esistenza in Italia di due gruppi etnici: la razza celtica, abituata al lavoro, e i latini, che invece considerano il lavoro roba da schiavi.
La Vespa è un simbolo del made in Italy. Un’immagine dell’italian style resa immortale da alcune scene tratte da film: come quella della passeggiata di Audrey Hepburn e Gregory Peck, nel film “Vacanze romane”. Per celebrare la gloria della motocicletta più famosa d’Italia arriva un documentario, dal titolo “Forever Vespa - Storia di un mito italiano” (euro 14,90). L’opera, diretta da Pippo Cappellano e Marina Cappabianca, dura 53 minuti nei quali lo scooter incarna i sentimenti di una nazione: emblema della volontà di rinascita dopo il conflitto mondiale, simbolo del tempo libero, della famiglia, dell'ottimismo degli anni del boom economico e della motorizzazione di massa. Il dvd contiene due sezioni speciali una su Corradino D’Ascanio, l’altra sul raduno del 2006.
CLAUDIO LAZZARO CAMICIE VERDI
Mondo Home Entertainment, 2007
PIPPO CAPPELLANO, MARINA CAPPABIANCA VESPA FOREVER
Cecchi Gori Home video, 2006
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PREVENIRE LA FOLLA E I SUOI MOVIMENTI SPAZZATURA E DIOSSINA A RISCHIO LA CATENA ALIMENTARE
Come si muove una folla? Una risposta difficile da dare. Per questo motivo in una università dell’Arizona stanno realizzando un modello informatico con tanto di grafica in 3D che simula il comportamento collettivo in un contesto urbano affollato, per esempio durante un'emergenza che richiede un'evacuazione. I ricercatori hanno già realizzato un prototipo che permette di simulare il comportamento della folla di fronte a un incendio in una parte densamente popolata di una città e con una sola via di fuga a disposizione. Il modello registra lo “stato” di ogni elemento al suo interno ogni minuto. Queste informazioni vengono trasferite in un sistema di elaborazione dati geografici in grado di visualizzarli in modo realistico. Oltre a riprodurre le caratteristiche fisiche dell'ambiente, il modello ha in memoria profili sociologici e comportamentali diversi per gli individui che rappresenta: età, sesso, altezza e peso, stato di salute e altro ancora.
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La diossina e gli inquinanti ambientali, sprigionati dalla bruciatura dei rifiuti nel napoletano, oltre a mettere in pericolo la salute degli abitanti, secondo una ricerca dell’Istituto del Cnr che studia il sistema produzione animale in ambiente mediterraneo (Ispaam), metterebbe in pericolo anche la catena alimentare. La diossina, infatti, contamina acqua, terreno e piante, provocando danni anche agli animali, in particolare alle pecore della zona. Per controllare le condizioni degli allevamenti dell'area l'istituto ha condotto due studi su pecore esposte a bassi e alti livelli di diossine, utilizzando due test genetici sui linfociti di sangue. La diossina lascia infatti traccia a livello cromosomico, perché è in grado di alterare la struttura del dna. Le due ricerche hanno evidenziato una notevole fragilità nei cromosomi delle pecore esposte alle diossine. I risultati sono significativi perché le pecore, cibandosi su pascoli naturali, rappresentano ottime sentinelle biologiche dell'inquinamento ambientale in territori a rischio.
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IN CORSIA E IN REPARTO VA IN ONDA LA RICERCA
TRACKMAN UNA GUIDA D’ARTE TRACCIABILE
MEDIA PARTECIPATI E MARKETING VIRTUALE
Sugli schermi di Tv Raf vanno in onda strani spot: nessuna reclame, nessun prodotto, bensì ricerca scientifica sponsorizzata da marchi di prestigio. È un’iniziativa dell’ospedale San Raffaele che ha sparso tra corsie e raparti una serie di monitor al plasma da cinquanta pollici che mandano in onda questi messaggi pubblicitari edificanti. Il palinsesto dura circa un’ora e mezza e ogni dieci minuti vanno in onda quattro pubblicità ripetute durante la giornata. Gli sponsor investono su questi spot, considerato che al San Raffaele lavorano circa 4 mila persone e altre 25 mila transitano ogni giorno nei vari reparti del nosocomio. Secondo una ricerca condotta sui fruitori il ricordo dello spot visto all’ospedale sarebbe più incisivo rispetto alla visualizzazione normale. Tv Raf, oltre agli spot, fornisce anche informazioni di servizio, come la disponibilità di parcheggi, piuttosto che il prezzo del ticket, soprattutto se ha subito variazioni nel corso dell’anno.
D’ora in poi se andate a una mostra d’arte non dovrete più preoccuparvi di acquistare una guida o di dover pigiare tasti o bottoni su qualche registratore noleggiato. Trackman è un sistema che lascia le mani libere, funziona come un mp3 e si basa sulla tracciabilità. Quando si arriva davanti a un quadro la guida si mette in modo da sola perché vicino ad ogni opera d’arte viene sistemato un dispositivo di identificazione che emette una sequenza di impulsi elettromagnetici. Il trackman ha un sistema di ricezione e riconoscimento di questi impulsi, il codice unico di ogni opera d’arte. Appena l’apparecchio entra nel raggio di azione degli impulsi relativi all’opera d’arte e si mette in moto. L’auricolare del Trackman trasmetterà la voce, mentre il suo display proietterà titoli o immagini, magari dettagli dell’opera che si sta osservando, a seconda dei casi. La catalogazione degli oggetti è gestita da un server centrale. Il trackman è stato brevettato sia per l’Italia che per l’estero.
Nell’era dei media partecipativi e di Web 2.0 si assiste ad una progressiva e naturale frammentazione del pubblico, fornitore dei contenuti e audience allo stesso tempo. Si formano così senza induzione da parte del marketing delle grandi media companies diversi gruppi di ascolto, suddividibili per età e per tipologia di interesse. Il progressivo interessamento di una fascia informatizzata ma di età più alta (over 35) a fenomeni come You Tube e Second Life ha modificato nel breve giro di un anno il panorama del Web 2.0, in cui la sperimentazione iniziale era affidata a giovanissimi. Second Life, piattaforma virtuale basata su “sim” (Isole) in cui gli utenti-residenti possono liberamente transitare o diventare stanziali costruendo abitazioni e luoghi di socialità, è presto divenuto una realtà commerciale con l’interessamento delle grandi compagnie di marketing che hanno individuato nel mondo virtuale una potenziale vetrina non tanto per il prodotto quanto per il marchio, sfruttando l’appeal che le culture virtuali e del doppio esercitano su una fascia non più di giovanissimi (SL è principalmente rivolto ai maggiorenni) ma di giovani adulti informatizzati.
SPERIMENTAZIONI PER NUOVE FORME SOSTENIBILI DI ABITARE A OFFSITE 2007 La prima abitazione definita interamente eco-sostenibile si chiama Lighthouse ed è stata presentata alla manifestazione Offsite 2007Il futuro delle costruzioni a Watford. Tra le linee che hanno guidato il progetto di Sheppard Robson la volontà di creare un progetto a zero emissioni di anidride carbonica e riduzione dei consumi di acqua ed elettricità per un impatto ambientale veramente minimo. L’Inghilterra vuole porsi all’avanguardia internazionale in questo settore ed offre incentivi per progetti e costruzioni che rispettino l’ambiente aderendo ai principi del Code for Sustainable Homes. Per ora la fase è sperimentale ed i costi di queste strutture restano riservati a delle élite. L’investimento su tecnologie e materiali ed il grande bacino dei paesi emergenti permetteranno tuttavia, secondo i principali studi di architettura, un decisivo adeguamento dei costi, anche a fronte degli incentivi che potranno essere offerti dai governi nazionali e regionali. La Lighthouse, uno degli esempi di questa ricerca che non riguarda solo le abitazioni private ma anche soluzioni per l’edilizia civile e popolare, si caratterizza per il capovolgimento degli spazi abitativi, con la zona notte posta al piano inferiore e la zona giorno posta al piano superiore dove è in grado di intercettare più luce diretta anche grazie alle ampie superfici luminose. L’abitazione è rivestita da un doppio strato di pannelli di legno e circondata da un giardino pensile. Il tetto è formato da pannelli solari il cui surplus di produzione andrà direttamente a integrare l’offerta della rete elettrica cittadina.
future
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IMMAGINI GIGANTI NELLA CITTÀ SCHERMO
E-MAIL BRITAIN, L’ARCHIVIO DELLE MAIL
Fotografo clandestino nella metropoli, JR è un artista di graffiti urbani di origine franco-tunisina che ha inaugurato una nuova forma di rappresentazione artistica. Teatro delle sue mostre, che incidono sul panorama urbano, è Parigi dove l’artista è riuscito a segnalarsi per le enormi immagini riprodotte in maxi-fotocopie che affigge per la città in un gioco di specchi continuo che utilizza il mezzo fotografico come strumento architettonico di modificazione del paesaggio urbano. L’arte di JR nasce come volontà di allargare la comprensione del messaggio oltre i codici del graffito urbano, la cui leggibilità è ristretta alle culture underground. Per realizzare questo intervento l’artista utilizza in un gioco di scambio continuo la città come galleria d’arte, trasformando così lo spazio pubblico in un territorio di confronto ed esibizione. Analogamente il collettivo statunitense Graffiti Research Lab utilizza questa sorta di “terzo paesaggio urbano” (le facciate dei grandi palazzi e grattacieli per interventi estemporanei di utilizzo mediatico delle facciate con finalità artistiche, riproponendo la città come luogo principale dell’arte.
E-mail Britain è un progetto avviato nel mese di Maggio su proposta di British Library e Microsoft. Verrà creato il primo archivio delle email scritte e inviate da cittadini inglesi. La grande suggestione contemporanea per la biografia e l’autobiografia riveste un ruolo importante in più progetti che stanno riscontrando un interesse notevole sia in ambito letterario sia cinematografico e nel mondo della sperimentazione software, con piattaforme di condivisione di contenuti web basati sull’autorappresentazione e autobiografia. Il progetto di British Library prevede l’invio volontario delle proprie email ritenute memorabili e degne di essere annoverate nella storia personale. I messaggi elettronici verranno archiviati in un grande database presso la British Library per le generazioni future. Obiettivo del progetto è realizzare una progressiva istantanea della vita inglese contemporanea. La raccolta E-mail Britain permetterà di realizzare un catalogo di storia sociale dell’Inghilterra di oggi. L’archivio verrà organizzato in base ad una serie di voci di consultazione, tra cui equivoci, reclami, spam, amore oltre a indifferenziate email quotidiane.
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Altre 0,5 Idroelettrico 2,2
CARBONE
PETROLIO
24,5 34,5
Un attacco veramente insospettabile di Salvatore D’Albergo
PARLAMENTO, contro la nostra costituzione. Incidentalmente, si è appreso che nel nome di Franco Russo, Graziella Mascia e Mercedes Frias operano alla Camera due proposte di legge costituzionale, che concorrono a riaprire la fase del revisionismo che dopo il voto referendario del 25/26 giugno 2006 che ha respinto il progetto Berlusconi, dovrebbe considerarsi chiusa. Tali proposte riferite alla “forma di governo” per potenziare il presidente del Consiglio, e alla “forma di Stato” per completare con il Senato federale l’avvio federalistico imposto dal centrosinistra con soli 4 voti di scarto nel 2001, stanno avallando la strategia bipartisan che accompagna il rovesciamento del ruolo assegnato nel modello del ‘48 al rapporto “governo-Parlamento” che, per la prima volta, in una costituzione dell’Europa occidentale, ha prefigurato gli strumenti di una strategia di democrazia sociale, in antitesi alla democrazia liberale. Dietro il fumogeno del federalismo i relatori (Bocchino di AN; Sesa Amici dell’Ulivo) di un progetto di testo unificato sono stati confortati dall’adesione di Franco Russo ad un disegno il cui aspetto qualificante è la revisione antiparlamentare della forma di governo. Al punto che Russo attesta il ritorno al potere di “revoca” dei ministri che era fissato a favore del capo dello Stato nello Statuto albertino (art. 65 del 1848) e dopo aver così riesumato il principio secondo cui il capo dello Stato è capo dell’esecutivo, senza coordinarlo con l’articolo 87 della Costituzione vigente, non ha esitato a tradurre in norma l’auspicio Sul tema della nostra di Bertinotti di copiare il cancellierato di Bonn, apprezzato non solo carta costituzionale per la legge elettorale proporzionale (mista con l’uninominale e con ospitiamo un intervento l’abbattimento alla base, però ciò viene taciuto!) ma soprattutto perché che ha già raccolto la socialdemocrazia ha sposato la cosiddetta sfiducia costruttiva. A sua diverse adesioni volta chiamata neo-parlamentare per occultare il fatto che nel regime di Bonn il cancelliere non può essere sfiduciato come nei Parlamenti autonomi nelle sue scelte politiche, perché solo se si raggiunge preventivamente una maggioranza assoluta dei membri del Bundestag può ottenersi la revoca da parte del capo dello Stato del cancelliere. Ma a Russo non basta, perché nella sua proposta se il presidente del Consiglio indicato nella mozione di sfiducia non la ottiene, “il presidente della Repubblica scioglie le Camere e indice nuove elezioni”: soluzione che nella Costituzione di Bonn è prevista solo come un’alternativa al diniego della fiducia chiesta dal cancelliere durante l’esercizio delle sue funzioni. Ma soprattutto richiama il progetto Berlusconi, vituperato per aver ipotizzato lo scioglimento della Camera imposto al Presidente della Repubblica nel caso di approvazione di una mozione di sfiducia del premier. Di fronte a questo rovesciamento dei rapporti funzionali tra forma di governo “personalizzata” e forma di Stato di democrazia sociale e dinanzi all’aggiunta della proposta di modificare la procedura di revisione costituzionale attualmente in vigore perché in linea con il principio elettorale proporzionale, è necessario aprire un dibattito di massa che demistifichi l’ingegneria istituzionale di cui si sono appropriati anche gruppi e personalità di sinistra per rilanciare il nesso tra questione sociale e questione istituzionale, come si fece nella fase costituente quando l’egemonia era della cultura politica marxista e cattolico-democratica, e non dei “giuristi accademici”. Per adesioni www.valori.it
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ONTINUANO LE INIZIATIVE, “COPERTE” DALLA SEPARATEZZA TRA SOCIETÀ E
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FONTE: ENI, DOCUMETI PREPARATORI DEL MASTER PLAN (2006) E AGGIORNAMENTO IEA
Costituzione
LA DOMANDA DI ENERGIA PRIMARIA
13,3 21,2
6,5
RINNOVABILI
Biomassa Combustibili e Rifiuti 10,6
Maree 0,0005 Eolico 0,051 Solare 0,039 Geotermico 0,416
numeri GAS
NUCLEARE
123
Oltre il petrolio vincerà il gas naturale BREVE TERMINE 15-20 ANNI NON CI SARÀ nessun sorpasso del petrolio da parte di altre energie alternative. Nel medio termine (25-35 anni) il petrolio verrà in parte sostituito e sorpassato dal gas naturale. Sul lungo termine (40-60 anni) altre fonti sostituiranno in parte consistente le energie derivanti dalle risorse fossili (carbone, petrolio e gas naturale), tra le quali prevalgono quelle derivanti dagli idrocarburi (petrolio e gas naturale) notoriamente inquinanti. Anche coloro che sono ostili al petrolio in particolare ed alle GLI IMPIANI FOTOVOLTAICI fonti «non rinnovabili» conven5.000 gono che il ricambio fra fonti Germania energetiche non può essere rapiResto d’Europa do. Lo ammettono due affermaGiappone 4.000 ti sostenitori delle fonti «rinnoStati Uniti vabili»: Richard Heinberg nel Resto del mondo 3.000 suo «La festa e' Finita» e Jeremy Legget nel suo «Fine Corsa», ma con una diversa tabella di marcia 2.000 rispetto agli anni di transizione qui indicati. Pur senza impegnarsi in previsioni precise, que1.000 sti studiosi lasciano intendere che i tempi di sostituzione sa2003 ranno molto più brevi di quanto
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indicato. Le fonti fossili non rinnovabili costituiscono oggi l'86,4% dei consumi mondiali. Le fonti alternative, le cosiddette energie pulite, contribuiscono a soddisfare il fabbisogno mondiale solo per il 13,6%. Dieci anni fa il loro contributo era del 14,0% e 20 anni fa del 14,3%. Il petrolio ha impiegato oltre 100 anni per superare il carbone, perchè passare da una energia ad un'altra significa cambiare tecnologie, cambiare processi e cambiare le abitudini. Negli ultimi 20 anni si assiste invece alla progressiva sostituzione del gas naturale nei confronti del petrolio. Fatto 100 il consumo mondiale energetico negli Anni ‘80, il petrolio costituiva il 40% e quello del gas naturale il 19%; 10 anni dopo il rapporto era cambiato in 39% (per il petrolio) e in 21% (per il gas naturale). Oggi il petrolio pesa ancora per il 36%, ma il gas naturale ha raggiunto il 23%. La sfida petrolio-gas naturale è in atto da 50 anni e si prevede che si concluderà con il sorpasso del secondo sul primo 2004 2005 intorno al 2030. FONTE: ENI, DOCUMETI PREPARATORI DEL MASTER PLAN (2006) E AGGIORNAMENTO IEA
| globalvision |
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| numeridell’economia |
La Bce alza ancora i tassi per fermare i salari
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A BCE HA ALZATO ANCORA I TASSI
Jean-Claude Trichet, governatore della Banca Centrale Europea ha celebrato il rialzo dei tassi di interesse in area Euro, che passano così dal 2,75 al 3%, con la solita minaccia inflazionistica. «Si tratta di una misura volta a
scongiurare rischi di un´ondata inflazionistica, legata a un possibile ulteriore aumento del prezzo del petrolio». È questo il quarto ritocco dallo scorso mese di dicembre, il diciannovesimo dall’inizio dell’attività della BCE nel 1999. In realtà i banchieri centrali stanno det-
FONTE: LABORAZIONE ENI SU DATI IEA
| numeridell’economia | LA SPESA E L’INCIDENZA SUL FABBISOGNO
tando la politica economica e salariale dell’Unione Europea. Alzando i tassi cercano di impedire aumenti salariali considerati inevitabili dopo oltre dieci anni di compressione dei redditi dei lavoratori durante i quali il capitale ha accreesciuto in modo abnorme la propria rendita.
Costi aa confronto Costi confronto Produzione annua Produzione annua (kilowattora) (kilowattora) ee costo dell'elettricità (centesimo per costo dell'elettricità (centesimo per kilowattora) kilowattora) di un impianto fotovoltaico da 11 kw di un impianto fotovoltaico da kw in varie regioni europee. in varie regioni europee. II dati sono sono indicativi indicativi ee dati sisi riferiscono aa un riferiscono un impianto impianto tipo tipo con la tecnologia con la tecnologia attuale. attuale.
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600 60
800 45
1.300
PRODUZIONE COSTO
35
LE NAZIONI EMERGENTI PAESE
PIL
Cina +10,4 India +8,9 Indonesia +5,2 Malesia +5,9 Filippine +5,5 Singapore +7,1 Corea del Sud +5,3 Taiwan +4,6 Tailandia +4,9 Argentina +7,9 Brasile +1,2 Cile +4,5 Colombia +6,0 Messico +4,7 Perù +9,2 Venezuela +9,2 Egitto +5,9 Israele +6,2 Sud Africa +3,6 Turchia +7,5 Repubblica Ceca +6,2 Ungheria +3,8 Polonia +5,5 Russia +7,4
III II II II II III II II II II II II II II II I II II II II II II II
PRODUZIONE INDUSTRIALE
Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Agosto Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre Trimestre
+14,7 +11,4 +6,2 +3,6 -7,0 +7,6 +16,3 +2,1 +5,0 +6,6 +1,3 -2,6 +12,5 +5,0 +9,9 +12,7 +4,0 +8,1 +1,9 +4,0 +5,8 +11,8 +11,7 +4,1
Ott. Sett. Ago. Sett. Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Ago. Sett. Ago. Ago. 2005 Ago. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett. Sett.
ANNO 7 N.51
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+1,4 +2,1 +6,3 +3,3 +5,4 +0,4 +2,1 -1,2 +2,8 +10,4 +3,3 +2,1 +4,2 +4,3 +1,9 +8,7 +9,6 +1,3 +5,3 +10,0 +2,7 +6,3 +1,2 +9,2
Ott. Sett. Sett. Sett. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott. Ott. Ott. Ott. Sett. Sett. Sett. Ott. Sett. Ott. Ott. Ott.
BILANCIA COMMERCIALE
+177,5 Dicembre -48,8 Novemb. +38,5 Novemb. +28,6 Novemb. -4,1 Agosto +33,7 Settem. +16,7 Dicembre +21,3 Dicembre +1,3 Novemb. +12,0 Novemb. +46,1 Dicembre +22,1 Dicembre +0,3 Ottobre -5,9 Novemb. +8,0 Settem. +36,8 III Trimestre -11,1 II Trimestre -7,9 Dicembre -9,6 Novemb. -53,2 Novemb. +2,0 Novemb. - 2,8 Novemb. -4,1 Novemb. +140,8 Novemb.
3,10 7,98 6,20 5,37 6,13 3,06 4,97 2,08 4,97 10,19 13,19 5,16 6,71 7,05 4,45 10,00 9,67 4,60 9,35 19,60 2,57 8,05 5,18 11,00
1.500
1.800
TASSI INTERESSE
1.000 30 28
40
LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE
Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro
PIL MIN/MAX 2006
MIN/MAX 2007
2,3/3,7 1,8/2,4 1,7/2,5 1,7/2,6 2,7/3,4 2,5/3,3 1,5/2,2 1,5/2,2 1,0/1,5 1,9/3,5 1,6/3,1 2,8/3,5 3,0/4,1 1,7/2,8 2,8/3,9 1,8/2,4
2,7/3,9 1,2/2,2 1,6/2,2 1,9/2,8 2,6/3,1 2,0/3,1 1,6/2,4 0,2/2,1 0,6/1,7 1,4/3,8 1,4/2,4 2,4/3,1 2,5/3,1 0,9/2,5 2,4/3,5 1,3/2,4
INFLAZIONE MEDIA 2006
MEDIA 2007
3,2 2,3 2,4 2,4 3,2 2,7 2,0 1,7 1,3 3,0 2,2 3,3 3,6 2,8 3,4 2,2
3,3 2,0 2,0 2,5 2,9 2,3 2,0 1,3 1,1 2,4 2,1 2,8 2,9 2,0 2,7 1,8
L’AQUILONE EOLICO ALLE PROVE DI VOLO
EFFICIENZE RECORD PER LE CELLE SOLARI
Eolico d’alta quota
Fotovoltaico estremo
Il vento d’alta quota spira di continuo. E questa estate prenderà il volo il secondo prototipo di KiteGen, il super-aquilone per l’eolico del futuro. Un’ala in materiali speciali che salirà a 800 metri dal suolo e dovrebbe confermare i primi risultati della scorsa estate, che all’altezza di 200 metri verificarono l’alta densità di energia cinetica ottenibile
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PREZZI AL CONSUMO
LUGLIO/AGOSTO 2007
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con il Kitegen. Un progetto ideato da un meccanico torinese, Massimo Ippolito e oggi oggetto di un progetto operativo finanziato dalla Regione Piemonte che associa i Politecnico di Torino, la Sequoia Automation, la Modelwaye la Cesi. Obiettivo la realizzazione di una giostra di aquiloni di alta quota in grado di ruotare continuamente e cosl di produrre energia, con una densità,
in un chilometro cubico, pari a quella di una centrale nucleare. Pochi giorni fa, dal consorzio di pmi protagoniste è nata la Kitegen Research Srl, che sta già depositando i primi brevetti internazionali. I passi successivi, dopo le prove sulI’ala volante saranno il sistema di sensori per la stabilità aerea della giostra e infine la base rotante piezoelettrica.
Raggiungere la soglia del 40% di efficienza per una cella fotovoltaica significa, insieme all’abbassamento del costi diproduzione, dovuti a economie di scala, sfondare finalmente la soglia del dollaro per watt, e avere un fotovoltaico realmente competitivo con le fonti fossli. Ci credono gli americani della Boeing-Spectrolabs
e della Emcore. La soluzione è quella di concentrare la luce, tramite lenti o specchi, su un chip solare a tripia giunzione, finora usato soltanto per le celle solari spaziali. Altra loro caratteristica è la presenza di semiconduttori metamorfici a strati ciascuno specializzato a reagire a una particolare lunghezza d’onda
2006
2,9 2,0 2,2 1,9 2,1 1,9 1,7 1,6 2,1 0,3 1,5 3,3 1,4 1,1 2,9 2,1
2007
BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL) 2006 2007
2,7 1,8 1,9 1,9 2,2 1,9 1,6 2,3 1,9 0,6 1,5 2,8 1,9 1,2 2,3 2,1
-5,4 +0,2 +2,2 -2,3 2,0 2,9 -1,3 3,9 -1,5 3,7 5,2 -6,9 6,7 13,1 -6,8 -0,1
-4,0 +0,2 2,3 -2,3 1,4 2,7 -1,1 3,9 -1,4 3,5 5,1 -7,0 6,3 12,4 -6,8 --------
aumentando lo spettro utilizzabile. Anche in italia però il Cesi insieme alla Edison è su questa frontiera. II primo produce i chip e la seconda si è impegnata su due progetti: il primo basato su una lente plastica sovrapposta alla cella e il secondo su uno specchio di concentrazione. Negli Usa un primo prototipo ha già operato al 40 per cento.
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ANNO 7 N.51
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indiceetico
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VALORI NEW ENERGY INDEX NOME TITOLO
ATTIVITÀ
BORSA
Abengoa Ballard Power Biopetrol Canadian Hydro Conergy EOP Biodiesel Fuel Cell Energy Gamesa Novozymes Ocean Power Tech Pacific Ethanol Phönix SonnenStrom Q-Cells RePower Solarworld Solon Südzucker Sunways Suntech Power Vestas Wind Systems
Biocarburanti/solare Tecnologie dell’idrogeno Biocarburanti Energia idroelettrica/eolica Pannelli solari Biocarburanti Tecnologie dell’idrogeno Pale eoliche Enzimi/biocarburanti Energia del moto ondoso Biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche Pannelli solari Pannelli solari Zucchero/biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche
Siviglia, Spagna Vancouver, Canada Zug, Svizzera Calgary, Canada Amburgo, Germania Pritzwalk, Germania Danbury, CT-USA Madrid, Spagna Bagsværd, Danimarca Warwick, Gran Bretagna Fresno, CA-USA Sulzemoos, Germania Thalheim, Germania Amburgo, Germania Bonn, Germania Berlino, Germania Mannheim, Germania Konstanz, Germania Wuxi, Cina Randers, Danimarca
CORSO DELL’AZIONE 31.05.2007
RENDIMENTO DAL 30.09.06 AL 31.05.2007
30,19 € 4,91 CAD 6,28 € 6,33 CAD 57,59 € 8,10 € 6,90 $ 27,41 € 594,00 DKK 769,91 £ 13,46 $ 19,20 € 62,00 € 129,72 € 67,90 € 39,78 € 16,15 € 9,90 € 33,92 $ 389,00 DKK
33,05% -24,67% -24,34% 16,40% 51,19% -23,30% -14,66% 58,62% 32,56% 9,68% -9,77% 30,61% 91,95% 133,31% 56,70% 34,53% -17,09% 31,65% 23,60% 148,08%
+31,91% € = euro, $ = dollari USA, £= sterline inglesi, CAN $ = dollari canadesi, DKK = corone danesi
Il petrolio accorcia le distanze di Mauro Meggiolaro LTIMO MESE IN FRENATA PER L’INDICE VERDE DI VALORI. Il rendimento 18,79% complessivo del Valori New Energy Index, il nostro borsino virtuale Amex Oil Index [in Euro] dedicato alle energie rinnovabili, è rimasto fermo ad aprile: 31,91% +31,91%. Nello stesso periodo l’indice Amex Oil, che misura l’andamento delle Valori New Energy Index [in Euro] maggiori società petrolifere, è balzato in avanti di sette punti, chiudendo a Rendimenti dal 30.09.2006 al 31.05.2007 +18,79%. Siamo ancora lontani dai rendimenti delle energie pulite, ma il petrolio sta accorciando le distanze e sembra riprendere confidenza Suntech Power www.suntech-power.com Sede Wuxi - Cina con i mercati, dopo i risultati poco confortanti Borsa NYSE – New York del 2006. Intanto, nella Cina del carbone e dello Rendimento 30.09.06 – 31.05.07 23,60% smog c’è chi pensa che il futuro sia nei raggi del Attività Fondata nel 2001 dall’ingegnere elettronico cinese Zhengrong Shi, Suntech sole. Uno di questi è Zhengrong Shi. Negli anni Power è il quarto produttore al mondo di celle solari. Dal 2005 è quotata novanta vola in Australia per prendersi un Ph. D. alla borsa di New York. Zhengrong Shi, che ha 43 anni, è attualmente presidente e direttore generale della società. È il quarto uomo più ricco della Cina. in ingegneria elettronica. Arrotonda la magra Ricavi [Milioni di €] Utile [Milioni di €] Numero dipendenti borsa di studio cinese lavorando in un ristorante 2005 e nel 2001 torna in Cina per fondare Suntech 2006 3.000 598,9 Power, una società che produce celle solari. “Tra 10 anni la metà delle industrie cinesi funzionerà 1.374 226 ad energia solare”, ha dichiarato Shi. Oggi è uno 106 degli uomini più ricchi della Cina. La sua Sunte30,6 ch dà lavoro a più di tremila persone.
UN’IMPRESA AL MESE
U
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in collaborazione con www.eticasgr.it | 78 | valori |
ANNO 7 N.51
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ETIMOS
| numeridivalori |
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PREZZO TRASPARENTE: DAL PRODUTTORE AL CONSUMATORE
VALORI NUTRIZIONALI MEDI
ETIOPIA CAFFÉ SIDAMA UNION, BIO, 100% ARABICA - CTM ALTROMERCATO, 250 G
PER 100G DI PARTE EDIBILE DI CAFFÈ (AL NETTO DEGLI SCARTI)
Prezzo Fob al produttore Costi accessori
0,81€
32,8% prezzo “free on board”
0,28€
11,3% lavorazioni Italia dazio, trasporto terra, altre spese
margine Ctm altromercato
0,78€
margine medio dettagliante
0,59€
prezzo al pubblico (IVA esclusa)
2,46€
IVA
0,49€
prezzo di vendita al pubblico
2,95€
31,7% copertura costi struttura e lavoro 24,0% copertura costi struttura e lavoro 100% 20%
9,8%
parte edibile acqua
1,5%
NUTRIENTI ENERGETICI
100% 4,1g
PER 100G DI PARTE EDIBILE DI RISO BRILLATO (AL NETTO DEGLI SCARTI)
Carboidrati proteine lipidi valore energetico
28,5g 10,4g 15,4g 287kcal
FONTE: TABELLE DI COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI, AGGIORN. 2000 ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE
paniere
FONTE: CTM ALTROMERCATO, 2006
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NUTRIENTI NON ENERGETICI
QUANTO COSTA LA SPESA [IN GRASSETTO IL PREZZO AL KG]
PER 100G DI PARTE EDIBILE DI RISO BRILLATO (AL NETTO DEGLI SCARTI)
PRODOTTO
SOLIDALE
MARCHIO
BIO E CTM ALTROMERCATO
CACAO AMARO IN POLVERE
El Ceibo bio Altromercato 12,00 €/kg
Perugina
Altromercato tè nero Earl Grey 61,00 €/kg
fosforo potassio calcio sodio ferro
BOTTEGA DEL MONDO
160mg 2020mg 130mg 74mg 4,1mg
fibra
1-2g
una colorazione bruno-neradi I PROTAGONISTI stra per la carbonizzazione delun lungo percorso in cui natuPrincipali Paesi protagonisti del mercato del caffè la cellulosa e la caramellizzara, tecnologia ed esperienza (in ordine di importanza) zione degli zuccheri, compare umana rendono ESPORTATORI IMPORTATORI PRODUTTORI in superficie un olio brunastro il caffé la bevandi Anna Capaccioli Brasile Usa Brasile (il caffeone) che determina il da più diffusa al Vietnam Germania Vietnam caratteristico aroma. mondo dopo l’acqua e il vino, I PROTAGONISTI Colombia Giappone Colombia Durante la preparazione con oltre due miliardi di tazze Indonesia Francia Indonesia della bevanda i lipidi vengono al giorno. La pianta del caffé Costa d’Avorio Italia Messico per la maggior parte trattenuti cresce nelle regioni tropicali Guatemala dal filtro, mentre il potassio ad un’altitudine di 800-2000 viene estratto completamente. m, su terreno umido ad una India La composizione finale della temperatura di 15-25 gradi. Uganda bevanda è influenzata dalla Il ciclo di sviluppo (30-70 miscela di caffé, dalla combinazione di tempo e temanni) comprende le fasi di crescita (4-7 anni), di pieTatjana Bassanese peratura della tostatura e dalla modalità di preparana produttività (fino a 20-25 anni) e di progressiva riIl caffé. Dal chicco zione. Le due specie di maggior rilievo economico soduzione. L’altezza massima è di oltre 10 m, ma nelle alla tazzina… evitando la borsa di New York no Coffea arabica (70% della produzione mondiale) e piantagioni viene mantenuta a 2-3 m per facilitare la Gianni Beretta, raccolta, che avviene una volta all’anno (due volte soCoffea canephora (meglio conosciuta come robusta), Giovanna Sganzini lo in alcune zone dell’equatore caratterizzate da due che ha un sapore più amaro e un maggior contenuto L’amaro sapore del caffè stagioni delle piogge). La prima fioritura si ha dopo di caffeina. Libro + Dvd, Emi 2005 tre anni dalla semina e dai fiori bianchi e profumati a La zona di provenienza rende particolarmente grappoli si ottengono piccoli frutti tondi e rossi che pregiate alcune varietà di caffé e l’Etiopia, uno dei somigliano a ciliegie contenenti due semi (i chicchi luoghi da cui la pianta si è diffusa nel mondo, ha vindel caffé), che vengono estratti e lavorati. to da poco la battaglia con la multinazionale Le centinaia di sostanze presenti Starbucks per la registrazione del nel caffé subiscono destini dimarchio di origine delle sue tre versi nei processi ai quali espiù rinomate varietà: Sidamo, so è sottoposto. Harar e Yirgacheffe (vedi box). Durante la tostatura La sensibilità individuale ad Stewart Lee Allen il chicco perde acqua, alcuni componenti, quali La tazzina del diavolo proteine, caffeina e la caffeina, rende necessaViaggio intorno al mondo sulle vie del caffé alcuni componenti ria una personalizzazione Feltrinelli, 2002 volatili, aumenta di delle quantità ottimali di volume, acquisisce assunzione.
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LUGLIO/AGOSTO 2007
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SOLIDALE2
El Ceibo bio Altromercato 13,00 €/kg
Perugina
Solidal
8,00 €/kg
Esselunga bio e Ctm Altromercato 14,70 €/kg
10,00 €/kg
8,66 €/kg
Twinings Earl Grey 38,50 €/kg
Tè nero Esselunga bio e Ctm Altromercato 44,70 €/kg
Altromercato tè nero Earl Grey 61,60 €/kg
Twinings English breakfast 37,60 €/kg
Tè Solidal
Twinings Lemon scented 38,00 €/kg
Tè nero al limone Solidal 32,00 €/kg
36,57 €/kg
Altromercato basmati 5,50 €/kg
Scotti basmati 3,24 €/kg
Altromercato basmati 5,50 €/kg
Altromercato thai integrale 3,45 €
Suzi Wan basmati 4,36 €/kg
Altromercato thai aromatico bio 3,85 €
SUCCO D’ARANCIA 100%
Altromercato 2,00 €/l
Santal non zuccherato 1,50 €
Altromercato
ZUCCHERO DI CANNA
Altromercato Dulcita bio 3,70 €/kg
Demerara Sugarville Toschi Mauritius 2,84 €/kg
CREMA SPALMABILE AL CACAO
Altromercato Cajta con anacardi e nocciole 6,25 €/kg
Ferrero Nutella bicchiere 200g 7,45 €/kg vaso 750g 4,52 €/kg
Altromercato
Esselunga
2,85 €/kg
1,69 €/kg
CIOCCOLATO FONDENTE TAVOLETTA 100G
Commercioalternativo Antilla cacao 70% 15,50 €/kg
Perugina Nero cacao 70% 12,00 €/kg
Altromercato bio Mascao cacao 73% 15,50 €/kg
Fondentenero Novi Solidal extra amaro extra amaro cacao 72% bio cacao 70% 9,20 €/kg 9,80 €/kg
CIOCCOLATO AL LATTE TAVOLETTA 100G
Altromercato Companera cacao 32% 11,00 €/kg
Lindt Lindor al latte 13,20 €/kg
Altromercato bio Mascao cacao 32% 15,50 €/kg
Novi cacao 30% 8,50 €/kg
Solidal bio cacao 39% 9,80 €/kg
CIOCCOLATINI ASSORTITI
Altromercato al latte ripieni 16,50 €/kg
Perugina Fantasia Grifo 13,12 €/kg
Altromercato al latte ripieni 16,50 €/kg
Perugina al latte e fondenti 11,60 €/kg
Solidal ripieni assortiti 11,00 €/kg
Altromercato bio caffè 13,00 €/kg
Lindt cioccolatini assortiti 24,32 €/kg Altromercato miscela pregiata arabica 100% 11,00 €/kg
Lavazza qualità oro arabica 100% 11,16 €/kg
Solidal arabica 100% bio 9,60 €/kg
RISO
A TAZZINA È IL PUNTO DI ARRIVO
ANNO 7 N.51
MARCHIO1
PER 100G DI PARTE EDIBILE DI RISO BRILLATO (AL NETTO DEGLI SCARTI)
Con il petrolio, l'acciaio e il grano, il caffé occupa i primi posti nella scala del commercio internazionale e il mercato equosolidale lo sottrae alla speculazione.
| 80 | valori |
COOP
SOLIDALE
ALTRI COMPONENTI
Chicchi quotati
L
TÈ IN FILTRI
ESSELUNGA3
BANANE
Solidal senza zuccheri aggiunti 1,15 €
Altromercato Dulcita bio 3,70 €/kg
Demerara 2,88 €/kg
Solidal biologico 2,80 €/kg
Altromercato Cajta con anacardi e nocciole
Ferrero Nutella
Solidal con nocciole
6,25 €/kg
4,92 €/kg
5,00 €/kg
Chiquita
Solidal biologico 2,70 €/kg
Esselunga bio e Ctm Altromercato 2,85 €/kg
Compagnia Arabica Colombia Medellin arabica 100% 12,72 €/kg
CAFFÈ MACINATO PER MOKA 250G
Skipper Zuegg senza zucchero 1,33 €
2,00 €/l Esselunga bio e Ctm Altromercato 3,38 €/kg
Esselunga bio e Ctm Altromercato arabica 100% 12,60 €/kg
Solidal thai profumato 2,80 €/kg
2,00 €/kg
Altromercato bio caffè 13,00 €/kg
XVI secolo Il medico e botanico italiano P. Alpini e il botanico tedesco L. Rauwolf danno le prime descrizioni della pianta del caffé XVII secolo Prime “botteghe del caffé” a Venezia e nelle principali città italiane ed europee 1820 Il chimico tedesco F. F. Runge isola la caffeina dalla pianta del caffé, in cui è presente in tutte le parti eccetto le radici 1901 L’ingegnere milanese Bezzera brevetta la macchina per caffé espresso 1905 L. Roselius della HAG di Brema mette a punto il primo processo di eliminazione della caffeina 1938 La Nestè mette in commercio il primo caffé solubile 1962 Stipulato l’International Coffee Agreement (ICA) fra produttori e consumatori per stabilizzare il prezzo del caffé 1963 Fondata a Londra l’International Coffee Organization (ICO)
[1] MEDIA DI PREZZI DI VENDITA APPLICATI IN PUNTI DI VENDITA IPERCOOP E COOP DIVERSI, IN PERIODI COMPRESI TRA FINE 2006 E APRILE 2007 [2] PREZZI MEDI NAZIONALI [3] PREZZI RILEVATI NEL PUNTO DI VENDITA, NON SONO STATE FORNITE MEDIE NAZIONALI
UN BREVETTO DEL SUD DEL MONDO SIMBOLO DEL SUD DEL MONDO, la cui storia corre parallela alla geografia del colonialismo e del capitalismo, il caffé è stato il primo prodotto del commercio equosolidale. Quotato nelle borse di New York, Londra, Parigi e Le Havre, è un prodotto agricolo che appartiene al gruppo dei coloniali e tropicali, soggetto a speculazioni che ne alterano i prezzi, a tutto discapito dei piccoli produttori. È del mese di maggio la notizia della conclusione della battaglia legale durata anni tra l’Etiopia
CRONOLOGIA ESSENZIALE
1990 Fondato il Coffee Science Information Centre (COSIC)
e la Starbucks, la multinazionale del caffé più diffusa di Wal Mart nel mondo: l’Etiopia è riuscita a brevettare come marchio di origine le sue tre pregiate qualità di caffé, opponendosi a un analogo tentativo della Starbucks. Ora che è stata riconosciuta all’Etiopia la proprietà dei caffé di cui rifornisce la catena di caffetterie, il paese africano potrà aumentare gli introiti di una voce di bilancio importante per la sopravvivenza di 15 milioni di etiopi che vivono del commercio del caffé.
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ANNO 7 N.51
1988 In Olanda prima confezione di caffé equosolidale Max Havelaar della coop messicana Uciri
1993 Costituita la Association of Coffee Producing Countries (ACPC) con obiettivo analogo all’ICA 2001 Prima World Coffee Conference a Londra |
LUGLIO/AGOSTO 2007
| valori | 81 |
| padridell’economia |
Anno 7 numero 51. Luglio/Agosto 2007. € 3,50
Mensile di economia sociale,
finanza etica e sostenibilità
Mensile di economia sociale,
to postale - Spedizione in abbonamen
4 n° 46) art. 1, comma in L. 27/02/200 D.L. 353/2003 (conv.
1, DCB
S
ANNO 7 N.51
|
LUGLIO/AGOSTO 2007
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PA S T O R A L E D ELLA CEI - A NNO XL - NUM E RO 4 - W W W. CA R I TA
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armi i signori delle amenti climatici a paradiso per i cambi tti > L’Italia ancor ente tocca con mano ata dei Distre contin Contrabbando Australia > Il le > Prima mappa ragion Economia solida I.P. Trento - Contiene to postale - Spedizione in abbonamen
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tando l’economia costo sta devas filosofia del basso Dossier > La nuova
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| 82 | valori |
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tando l’economia costo sta devas filosofia del basso Dossier > La nuova
Poste Italiane S.p.A.
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Mensile di economia sociale,
maggio 2007
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è meglio per sé stesso: «l’ambizione individuale serve al bene comune», e di conseguenza «il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé». Secondo John Nash Jr., il professore americano che ha rivoluzionato l’economia con i suoi studi di matematica applicata alla “Teoria dei giochi”, invece, «il risultato migliore si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo, secondo la teoria delle dinamiche dominanti». John Forbes Nash Jr., premio Nobel per l’economia 1994, nasce il 13 giugno 1928 a Bluefield, West Virginia, e la sua vita, caratterizzata da lunghi periodi di malattia che si alternano a studi geniali, è affascinante al punto che ha ispirato il celebre film A Beautiful Mind, vincitore di quattro Golden Globe e di altrettanti Oscar. Nash dimostra fin da piccolo grandissime doti intellettuali accanto però ad un carattere difficile e poco socievole. Nel 1949, a ventun anni, approda a Princeton con una borsa di studio e subito, nelle ventisette pagine della sua tesi di dottorato, dà un contributo fondamentale, con la definizione del cosiddetto “equilibrio di Nash”, allo sviluppo della teoria dei giochi. Il geniale matematico però comincia presto a mostrare i segni della schizofrenia che segnerà la sua vita per oltre 30 anni, portandolo dentro e fuori dagli ospedali, tra momenti di puro delirio e altri di lucidità. Verso gli inizi degli anni ‘90 la malattia sembra definitivamente sconfitta e la carriera di Nash trova il suo culmine nell’assegnazione del Nobel. Secondo il premio Nobel La Teoria dei Giochi, campo preferenziale d’applicazione degli studi il risultato migliore si ottiene di Nash, è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative. In particolare il professore americano ha dimostrato che ogni gioco finito che ammetta strategie per sé e per il gruppo, miste ammette almeno un equilibrio di Nash, dove per gioco finito secondo la teoria si intende un gioco con un numero qualunque ma finito di giocatori delle dinamiche dominanti e di strategie, e per strategia mista si intende un sottoinsieme di strategie a ciascuna delle quali l’agente associa una data probabilità e che sceglierà secondo quest’ultima. Poiché la maggior parte dei giochi soddisfano queste condizioni, è praticamente sempre possibile prevedere il comportamento dei giocatori: essi giocheranno un equilibrio di Nash, e se esso è unico, l’esito del gioco è noto a priori. L’equilibrio di Nash rappresenta quindi la situazione nella quale il gruppo si viene a trovare se ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per se, cioè mira a massimizzare il proprio profitto a prescindere dalle scelte degli avversari. Tuttavia, non è detto che l’equilibrio di Nash sia la soluzione migliore per tutti. Infatti, se è vero che in un equilibrio di Nash il singolo giocatore non può aumentare il proprio guadagno modificando solo la propria strategia, non è affatto detto che un gruppo di giocatori, o, al limite, tutti, non possano aumentare il proprio guadagno allontanandosi congiuntamente dall’equilibrio. È noto infatti che l’equilibrio di Nash può non essere un ottimo di Pareto (o ottimo paretiano), e quindi possano esistere altre combinazioni di strategie che conducono a migliorare il guadagno di alcuni senza ridurre il guadagno di nessuno, o addirittura, come accade nel caso del dilemma del prigioniero, ad aumentare il guadagno di tutti. In conclusione, ogni giocatore troverà comunque preferibile non rischiare e giocare la propria strategia dominante, e la soluzione del gioco resterà comunque l’equilibrio di Nash, anche se esso non garantisce il massimo guadagno possibile.
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