Anno 7 numero 55. Dicembre 2007 Gennaio 2008. € 3,50
valori Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS
Inserto speciale > Sud&credito
Fotoreportage > Centri commerciali Dossier > La catena di montaggio del consumo non garantisce le promesse
Il crack dell’iper Internazionale > La difficile caccia al tesoro rubato dai dittatori Finanza > L’azionariato attivo alza la voce. E cerca alleati anche in Italia Economia solidale > La giornata di azione globale del Forum Sociale Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.P.
| editoriale |
Insostenibile
Anche per loro di Andrea Di Stefano
I WE@BANK
L MODELLO IPER È UN’ICONA PER I CONSUMI,
l’economia, l’impatto sull’ambiente, la sostenibilità a livello sociale, culturale e territoriale. La proliferazione delle grandi città del consumo, così come i fast food e i viaggi all inclusive, sono la summa dell’economia della dissipazione, l’interpretazione di uno stile di vita che è destinato a bruciare tutto molto rapidamente: i rapporti umani, la dimensione relazionale in senso più vasto, i prodotti all’insegna del basso costo, l’ambiente e il territorio sistematicamente depredati e immolati ad una delle nuove icone del Terzo Millennio, il consumatore. Un soggetto che non esiste e non si realizza in quanto persona, cittadino con diritti e doveri definiti secondo regole democratiche, ma solo perché acquirente di un bene o servizio. Una degenerazione del sistema democratico molto preoccupante perché presuppone che il cittadino, se non è titolare di un potere d’acquisto, non ha molti diritti da vantare. Un postulato che mina alla radice anche l’esistenza di beni comuni che non siano misurabili se non attraverso una transazione economica. Da questo punto di vista, emblematicamente, i centri commerciali, le nuove “fabbriche” del Terzo Millennio, spesso sorgono proprio laddove per decenni si svolgevano attività tipiche dell’economia industriale, dove migliaia di essere umani vivevano gran parte delle loro giornate mettendo a disposizione del capitale la propria forza lavoro. Oggi in quegli stessi luoghi, o nelle immediate vicinanze, arrivano centinaia di persone che consumano gran parte del loro reddito acquistando prodotti che nella maggior parte dei casi sono frutto della forza lavoro di migranti o di lavoratori che garantiscono bassi salari e alti profitti. Quasi nessuno contabilizza i costi esterni, soprattutto quelli di natura ambientale, dato che per antonomasia si tratta di beni comuni che non si comprano ma che si possono consumare. Quel modello, oggi, risulta sempre meno sostenibile anche dal punto di vista economico. Lo dimostra la vicenda dei centri commerciali che la catena francese Carrefour intende chiudere nel Sud Italia. Nonostante lo sforzo fatto dalla nostra redazione non siamo riusciti a ottenere il bilancio di un iper: non sappiamo se le vendite, al netto dei costi di infrastruttura e di mano d’opera, garantiscono un utile netto. Ma districandoci tra le indagini molto fuorvianti e grazie al prezioso contributo dell’ufficio studi dell’Ancc-Coop (l’associazione che raggruppa le cooperative di consumo aderenti alla Lega delle Coooperative) abbiamo però appurato un dato noto a tutti gli addetti ai lavori: gli iper perdono più degli altri, le vendite sono in flessione se si ha la cura di esaminare i dati sulla base della rete omogenea, cioè se si considerano gli stessi punti vendita. Visto che la folle corsa alla crescita continua il risultato, ovviamente, cambia se non si tiene conto di questo elemento fondamentale per chiunque voglia fare correttamente il proprio lavoro di ricercatore, analista, commentatore o giornalista. Il tutto, ovviamente, senza considerare i costi esterni: il consumo di territorio, ambiente, salute prodotto non solo dall’insediamento di queste cattedrali dell’economia dissipativi, dal traffico diretto e indiretto, dal depauperamento delle diverse filiere che sono coinvolte nel sistema. L’auspicio, e il nostro augurio visto che ci si avvicina al Natale, è che rapidamente si imponga la domanda di un “giusto” prezzo, all’insegna del meno è meglio.
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anno 7 numero 55 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore
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Via Copernico, 1 - 20125 Milano Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Ilaria Bartolozzi, Francesco Carcano, Paola Fiorio, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Jason Nardi, Irene Panozzo, Francesca Paola Rampinelli, Elisabetta Tramonto progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna (francesco@camagna.it) Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it) Vincenzo Progida (impaginazione) fotografie
Simone Bruno, Alex Majoli, Jason Nardi, Martin Parr, John Vink (Magnum Photos) stampa
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MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS
dicembre 2007 / gennaio 2008 mensile
Un negozio della catena di supermercati Walmart nel New Jersey.
Usa, 1998
bandabassotti fotoreportage. Centri commerciali dossier. Il crack dell’iper Grande Distribuzione Azzoppata Il sistema Coop: «Non perdermo la specificità» Gli iper? Una formula che va ripensata Un consumatore consapevole non fa comodo a questo modello di business Gli invisibili della spesa
lavanderia finanzaetica
7 8 16 18 20 22 24 26 28
Le domande impertinenti degli azionisti attivi Uno sguardo critico sul mondo delle banche e della finanza E sul futuro di Banca Etica il dibattito continua
bruttiecattivi economiasolidale
30 32 36 38 40
La Banca dei bambini: Kanaja, manager a dieci anni Pisa, dalla città della scienza alla città della scemenza Forum Sociale Mondiale: la rivoluzione andrà in onda il 26 gennaio 2008 Mamme Vodafone in vendita. Solo una coincidenza? Toscana ecoefficiente: il Premio 2008 orienta nuovi comportamenti e nuove economie
42 44 46 48 51 53
abbonamenti, sviluppo e comunicazione
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macroscopio internazionale
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Missione possibile: recuperare i tesori rubati dai dittatori Mal d’Africa. Per la Cina è colpo di fulmine
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| bandabassotti |
Fisco
Il pessimo esempio firmato Valentino di Andrea Di Stefano
Il fisco scopre che un grande campione, simpatico e spiritoso, ha messo la residenza a Londra per eludere il fisco. Nell’avviso di accertamento notificatogli il 3 agosto scorso, l’agenzia delle Entrate di Pesaro sostiene che Valentino Rossi avrebbe presentato nel 2000 una dichiarazione infedele relativamente a tutte le imposte, e che negli anni dal 2001 al 2004 ne avrebbe presentata una infedele per l’Irpef, omettendola invece del tutto per Iva e Irap. A Rossi vengono contestati compensi non dichiarati per 60 milioni, che avrebbero determinato un’evasione complessiva di 43,7 milioni. Aggiungendo a questa cifra sanzioni e interessi si arriverebbe alla quota di 112 milioni da versare al Fisco. Nel 2000 i maggiori compensi non dichiarati ammonterebbero a 6 milioni (maggiore Irpef e relative addizionali per 2,80 milioni, maggiore Iva accertata per 1,2 milioni, maggiore Irap accertata per 256mila euro), con una sanzione pari a 9,84 milioni. L’anno successivo i compensi non dichiarati sarebbero ammontati a 7,26 milioni (maggiore Irpef e addizionali per 3,36 milioni, maggiore Iva per 1,45 milioni, maggiore Irap per 374mila euro), con una sanzione irrogata pari a 14,11 milioni. Nel 2002 i compensi non dichiarati sarebbero pari a 12,62 milioni (maggiore Irpef e addizionali per 6,25 milioni, maggiore Iva per 2,53 milioni, maggiore Irap per 652mila euro), con una sanzione pari a 26,24 milioni. Prima la risposta arrogante Nel 2003 i compensi non dichiarati sarebbero all’accertamento dell’Agenzia delle di 12,16 milioni (maggiore Irpef e relative Entrate. Poi il cambio di strategia addizionali per 6 milioni, maggiore Iva per con il tentativo di conciliazione. Ma l’impronta negativa resta e ci aspetta 2,43 milioni, Irap accertata per 626mila euro), con una sanzione pari a 11,24 milioni. Infine, un risarcimento comunicazionale nel 2004 i compensi non dichiarati sarebbero pari a 20,81 milioni (maggiore Irpef e addizionali per 10,29 milioni, maggiore Iva per 4,16 milioni, maggiore Irap per 1,07 milioni), con una sanzione di 50,85 milioni. Inoltre, per gli anni fino al 2002 Valentino Rossi avrebbe presentato il condono fiscale pagando circa 100 euro. Ma le somme accertate non vi rientrano in alcun modo, in quanto i redditi prodotti all’estero dovevano essere condonati con lo scudo fiscale. Trattandosi di un problema di residenza fiscale contesa tra Italia e Gran Bretagna, l’atto di accusa dell’agenzia delle Entrate punta su alcuni indizi, come auto e yacht riconducibili al pilota, per dimostrare che sono ancora vivi i legami tra Rossi e la terra dove ha vissuto prima di trasferire la residenza a Londra, e per sostenere quindi che avrebbe dovuto pagare le tasse in Italia. Tra questi indizi, il fatto che il “Dottore”, testimonial di Telecom Italia, avrebbe chiesto alla compagnia telefonica la copertura con una rete Internet a banda larga di Tavullia, il paese in Provincia di Pesaro e Urbino (città natale) in cui è cresciuto. La prima risposta di Rossi è stata strafottente e con un incredibile risonanza mediatica offerta dagli schermi della tv pubblica. Ora Valentino Rossi avrebbe deciso di fare la pace con il fisco. Se il tentativo di conciliazione andrà in porto potrà ottenere uno sconto, più o meno sostanzioso. Speriamo che con l’accordo possano arrivare anche le scuse per i tanti che hanno visto e sentito il campione ironizzare sulla sua evasione.
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CISL
A STORIA È ITALIANA CHE PIÙ NON SI POTREBBE.
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> Centri commerciali foto di Martin Parr / Magnum Photos
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e c’è un luogo che incarna in modo evidente la deriva consumistica della nostra società, questo luogo è il centro commerciale, metastasi incontrollata del vecchio supermercato, a sua volta evoluzione fratricida dell’antica bottega. Oggi, però, il super non basta più. Si è passati all’iper e la deriva dimensionale sembra destinata a non finire. Alle periferie delle città nascono interi complessi del commercio. Aggregati extraurbani che inglobano i sogni della gente, reclamando una autonomia fisica rispetto a tutto il preesistente, città comprese. Parcheggi giganteschi e viabilità ingolfata, in qualsiasi giorno della settimana, sono i segni distintivi di questa presenza perché gli italiani amano a tal punto consumare da aver cambiato anche il calendario delle festività. Da una ricerca, condotta da Cermes-Bocconi e commissionata da Federdistribuzione, risulta che il 64,5% degli italiani, nell’ultimo anno, ha fatto shopping la domenica nei supermercati, il 56,8% nei centri commerciali. Come al solito l’archetipo, il modello originario, è nordamericano e risale agli anni Cinquanta. I primi centri commerciali, tenendo fede al melting pot, inglobano delle caratteristiche europee ed extraeuropee, mantenendo però dimensioni contenute e di prossimità. A partire dagli anni Ottanta la spinta dell’economia americana al consumo interno segna il cambio di rotta e i centri commerciali diventano istituzioni economiche primarie, sempre più decontestualizzati e determinanti nella modificazione ed espansione del tessuto urbano, orientandolo naturalmente al consumo. Sono tutt’altro che strutture architettoniche semplici, perché il centro commerciale deve comunicare e mettere in scena la spettacolarità delle merci. Allora non basta più un cubo di cemento o il semplice contenitore. Per vendere la carne in scatola e la carta igienica si costruiscono frontali neoclassici, fontane simil Versailles, si inglobano alberi centenari nei saloni. Sono centralità periferiche, luoghi alternativi alla città, monumenti della contemporaneità, dove si consumano prodotti, servizi e divertimento. Qui si giocano le relazioni primarie che un tempo contraddistinguevano la vita nei paesi. Nei centri commerciali la gente si dà appuntamento e qui consuma le sue giornate. Ci si può andare con tutta la famiglia e fermarsi a mangiare, in un ambiente gradevole, insieme ad altre mille persone, fianco a fianco, spesso con gli stessi dipendenti che poi si ritroveranno alla cassa o tra gli scaffali. Una grande famiglia allargata. Una sorta di paese dei balocchi, con scenografie seducenti che costringono a consumare, pena lo stress e la frustrazione. Insomma, i centri commerciali sono un grande spazio della collettività destinato al guadagno privato, ma soprattutto hanno surrogato le città, influenzandone irrimediabilmente le linee di sviluppo. ANNO 7 N.55
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Sono uno dei simboli della modernità. Hanno inglobato le città, dove un tempo si svolgeva la socialità, e stravolto i territori, influenzandone lo sviluppo. I centri commerciali mettono in scena il grande circo del consumo, ma il prezzo del biglietto di questo ingannevole spettacolo pesa sempre di più sui bilanci dei consumatori.
L’AUTORE Martin Parr Nato nel 1952 a Epsom, Surrey, Martin Parr ha studiato fotografia al Manchester Polytechnic dal 1970 al 1973, ricevendo tre premi consecutivi dal Consiglio di Arti inglese. Fotogiornalista e freelance per molti anni, assertore della valorizzazione della cromìa, Parr entra nella prestigiosa agenzia Magnum nel 1994.
I suoi lavori vengono esposti e pubblicati in Europa e negli Stati Uniti, oltre a diventare parte di numerose collezioni. Molto influenzato dai lavori di C. Killip, Parr diviene un testimone ironico, straniato e attento della società britannica. Con le sue foto caratterizzate dall’uso molto contrastato e luminoso del colore, racconta la storia del gusto e dei comportamenti della classe media negli anni ’80. Numerose le sue esposizioni
Con i sacchetti della spesa fuori dal soft discount Kwik Save. Questi discount hanno superfici comprese tra i 700 e gli 800 m2 e almeno 1.500 referenze.
e pubblicazioni, fra cui Common Sense, 1999; Boring Postcards, 1999; Martin Parr. Autoportrait, 2000; Think of England, 2000; Martin Parr, 2002. All’autore, Valori aveva riservato il suo portfolio fotografico sul numero che proponeva il dossier sul turismo sostenibile (n.32, luglio/agosto 2005) e su quello che approfondiva la tematica dell’alimentazione biologica (n.35, dicembre 2005/gennaio 2006).
Londra, 1996
> Centri commerciali
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Nella foto grande, l’ipermercato Auchan di Calais. Sopra, il supermercato Save-a-lot di Memphis e, sotto, cassa self service al “Centro” di Oberhausen, uno dei più grandi centri commerciali d’Europa.
Francia, 1988 / Usa 2006 / Germania, 1996
> Centri commerciali
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I clienti del Cribbs Causeway di Bristol posano davanti alla camera del fotografo: nelle loro mani la spesa appena fatta.
Inghilterra, 2002
> Centri commerciali
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| fotoreportage |
Nella foto grande, Greater Manchester, Salford: l’attesa al banco dei formaggi di Tesco. Sopra, la Migros di Olten e, sotto, un bambino trasportato nel carrello della spesa ad Almeria.
Inghilterra, 1986 / Svizzera, 2003 / Spagna, 1990
> Centri commerciali
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dossier
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a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Emanuele Isonio, Jason Nardi e Elisabetta Tramonto
Grande Distribuzione Azzoppata >18 «Difendiamo la nostra specificità», dice la Coop >20 Gli Iper? Una formula che va ripensata >22 Un consumatore realmente consapevole non fa comodo >24 Gli invisibili della catena di motaggio moderna >26
L’ingresso di un WalMart nel New Jersey.
Usa, 1999
Ipercrack
La corsa dei grandi centri è finita Le nuove cattedrali nel deserto urbano e sub urbano non funzionano più il modello basato sul gigantismo è difficile da sostenere
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di Andrea Barolini
artiamo dalla cronaca. Carrefour, il colosso francese della grande distribuzione organizzata, secondo nel mondo solo all’ipertrofico Wal-Mart, ha deciso di abbandonare il Sud Italia. Motivazione ufficiale: una perdita di cinque milioni di euro registrata in un solo anno. Difficilmente verificabile, però, dal momento che la stessa Carrefour non fornisce un “consolidato-Italia”. Tradotto: non rende noto quale sia il reale risultato delle sue attività nel nostro Paese. Cinque milioni di euro di perdita in un anno, però, sono davvero tanti. Anche per giganti dai fatturati miliardari. A ciò, poi, va aggiunto il fatto che la stessa Carrefour ha già previsto da tempo l’introduzione di ammortizzatori sociali per limitare i danni anche al Nord, e che la chiusura di 11 ipermercati nelle regioni meridionali mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
P
Nel frattempo, al gigante Wal-Mart viene negata l’autorizzazione ad aprire un nuovo punto vendita a New York. Mentre ha praticamente perso il tentativo di entrare in Germania, dove il mercato della Grande Distribuzione Organizzata è già saturo di hard discount. E allora la domanda è: la scelta di Carrefour è dettata da motivazioni interne all’azienda, oppure a scricchiolare è la stessa GDO e, in particolare, il formato di vendita degli ipermercati?
Carrefour annuncia la chiusura di 11 ipermercati nel Sud Italia. WalMart non riesce ad aprire un nuovo negozio a New York e si ritira dal mercato tedesco. E’ la crisi di un modello o solo la rincorsa alla massimizzazione dei guadagni? | 18 | valori |
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IL CAFFÈ EQUO SOLIDALE TRA GLI SCAFFALI DELL’IPER È GIUSTO CHE I PRODOTTI DEL COMMERCIO EQUO siano venduti dalla grande distribuzione? È una scelta coerente con l’idea alla base di questo modello economico e sociale alternativo? Il mondo del commercio equo è diviso tra il fronte del “sì”, quello del “no” e una serie di “dipende”. Ma, che si sia d’accordo o meno, la presenza dell’equo e solidale nella Gdo (grande distribuzione organizzata) è una realtà da anni. Grande distribuzione e botteghe del mondo (500 in Italia) si spartiscono a metà il mercato, 110 milioni di euro di fatturato l’anno scorso. Le previsioni per quest’anno parlano di una crescita del 30% per le vendite nella Gdo, praticamente ferme quelle delle botteghe. Ormai caffè, cioccolato, banane equosolidali, oltre che da Coop ed Esselunga, si trovano anche da Conad, Iperal, Carrefour, GS, SMA, Crai, Pam, Lidl e Auchan. «Solo ampliando il mercato possiamo effettivamente incidere sulla vita dei produttori del Sud del mondo - spiega Carlo Testini, presidente di Fairtrade Italia, marchio di certificazione equosolidale, nato proprio per rendere riconoscibili i prodotti del commercio equo all'interno dei supermercati. Oggi è talmente piccola la fetta dell’equo e solidale che i produttori sono costretti a vendere la maggior parte dei prodotti a condizioni non eque. Solo la grande distribuzione può garantire i volumi necessari». «Ma è la grande distribuzione in sé a contrapporsi ai principi del commercio equo, perché appartiene all’ampio settore dei servizi che sta orientando la globalizzazione. È quindi parte di quel mondo che vogliamo cambiare», replica Alberto Zoratti, di Fair, neonata (da meno di due anni) organizzazione di commercio equo. «Anche volendo mettere da parte la questione ideale, resta il fatto che la struttura stessa della Gdo impatta fortemente sui produttori. Impone una selezione a monte dei prodotti, tramite standard qualitativi e quantitativi, che spesso i piccoli produttori non riescono a rispettare – continua Zoratti – Il commercio equo si propone come alternativa al modello economico tradizionale, anche nella fase della distribuzione. Due, quindi, le strade possibili: sviluppare forme proprie di distribuzione alternativa, come le botteghe, o scegliere la grande distribuzione, ma riuscendo a incidere sulle sue linee commerciali. Praticamente impossibile. Sarebbe la prima volta che un produttore influenza la distribuzione. Neanche le grandi multinazionali ci riescono». E.T.
GDO: DISTRIBUZIONE DELLE SUPERFICI DI VENDITA
Le vendite aumentano. Anzi no Fotografare la distribuzione organizzata in Italia, e soprattutto capire se e dove i colossi del settore facciano acqua non è impresa facile. A guardare i dati relativi al fatturato (forniti dall’Osservatorio GDO di Unioncamere) la situazione sembrerebbe perfino rosea. Le vendite, infatti, sono cresciute del 3,2% nel 2006 e del 2,6% nel primo semestre di quest’anno. In realtà, però, a spingere i dati verso il segno positivo è stato unicamente l’incremento della rete distributiva. Il ragionamento è semplice: più negozi significano più merce venduta al dettaglio. Detto, fatto: nell’ultimo quinquennio le superfici di vendita degli ipermercati sono cresciute del 53% (42 nuovi punti vendita solo nel 2006), raggiungendo complessivamente il 23% del
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16% SUPER 1.500-2.499 MQ 24% SUPER 800-1.499 MQ 11% SUPER >2.500 MQ
26% SUPER 400-799 MQ
15% IPER >6.500 MQ
8% IPER >6.500 MQ
Intrattenimento dei piccoli clienti al “Centro” di Oberhausen.
Germania, 1996
FONTE: RAPPORTO COOP 2007, A CURA DI ANCC-COOP
Grande Distribuzione Azzoppata
| dossier | Grande Distribuzione Organizzata | MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS
| dossier | Grande Distribuzione Organizzata |
totale della rete. Nonostante siano proprio gli “iper” a denunciare le maggiori contrazioni delle vendite. Analizzando quindi la variazione in percentuale delle quantità intermediate si scopre che la “rete omogenea” (ovvero quella che non comprende i nuovi punti vendita) ha registrato un -1,5% nel 2005, -3,9% nel 2006 e – 4,3% nel primo semestre del 2007. E, appunto, solo grazie al contributo derivante dall’espansione della rete (sempre superiore ai 4 punti percentuali, quest’anno addirittura al +5,5%) il risultato complessivo è in attivo. Ma i grandi operatori del settore non potranno costruire all’infinito. Per ragioni di spazio (soprattutto nei casi degli “iper” e dei grandi supermercati, solitamente posizionati alle periferie delle grandi città) e per motivazioni legate agli investimenti. Probabilmente parte del ragionamento dei dirigenti di Carrefour è stato proprio questo: per una multinazionale presente in quasi tutto il mondo, meglio andare via da un territorio che si “regge” solo sull’espansione della rete e investire in mercati più promettenti (ad esempio in America Latina). Senza contare che, nel Sud Italia, chi vuole aprire un supermercato deve fare anche i conti con la grande quota di mercato in mano all’economia sommersa. Non a caso, un’azienda come Esselunga non ha mai aperto un punto vendita a sud della Toscana.
Mercati in via di saturazione La Gdo è entrata prepotentemente nel mercato una ventina di anni fa. Con ritmi di espansione a due cifre, ha conquistato progressivamente grandi quote di mercato (soprattutto a danno della piccola vendita al dettaglio). «Oggi questo processo si va esaurendo – spiega Albino Russo, responsabile dell’ufficio studi di Ancc-Coop - non solo perché in alcune aree del Paese ha raggiunto i suoi livelli massimi, ma anche perché se le superfici di vendita aumentano e la torta rimane la stessa, le fette da dividersi diventano sempre più piccole». E la torta, in effetti, non accenna ad ingrandirsi: negli ultimi 10 anni il tasso di crescita del settore alimentare è pressoché nullo. E le vendite della grande distribuzione aumentavano proprio grazie al-
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Anche i dati relativi all’utile netto del settore, per quanto in aumento del 47% dal 2005 al 2006, si fermano ad un +2,2%: un risultato magro, vista la mole di capitali investiti da gruppi come Coop, Sma-Auchan o Interdis. Rispetto all’esplosione dei profitti netti, è più veritiero il dato relativo all’Ebitda (Earnings before in-
mi sei mesi del 2007, la peggiore del settore: -1,2% contro un sostanziale pareggio di supermercati e piccole superfici e un +3% degli hard discount. Gli operatori del settore, per ora, non si dichiarano allarmati. Vedremo cosa diranno quando non potranno più costruire decine di nuove strutture ogni anno.
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I 3 LEADER DELLA GDO ITALIANA
USA
FRANCIA
GERMANIA
REGNO UNITO
GIAPPONE
WWW.E-COOP.IT
WWW.CONAD.IT
WWW.INTERDIS.IT
QUOTA DI MERCATO 6,3%
QUOTA DI MERCATO 2%
QUOTA DI MERCATO 1,5%
QUOTA DI MERCATO 1,5 %
QUOTA DI MERCATO 1,3 %
QUOTA DI MERCATO 19,6%
QUOTA DI MERCATO 12,2%
QUOTA DI MERCATO 6,8%
FATTURATO 268,9 miliardi di €
FATTURATO 87,3 miliardi di €
FATTURATO 62,4 miliardi di €
FATTURATO 62 miliardi di €
FATTURATO 56,5 miliardi di €
FATTURATO 11,8 miliardi di €
FATTURATO 9 miliardi di €
FATTURATO 7,1 miliardi di €
UTILE NETTO 8,1 miliardi di €
UTILE NETTO 2,1 miliardi di €
UTILE NETTO 1,2 miliardi di €
UTILE NETTO 2,3 miliardi di €
UTILE NETTO 0,8 miliardi di €
PUNTI VENDITA 1.331 (78 iper)
PUNTI VENDITA 2.826 (43 iper)
PUNTI VENDITA 3.094 (12 iper)
MERCATO INTERNO/ESTERNO 78%/22%
MERCATO INTERNO/ESTERNO 47%/53%
MERCATO INTERNO/ESTERNO 45%/55%
MERCATO INTERNO/ESTERNO 75%/25%
MERCATO INTERNO/ESTERNO 66%/34%
Il più contestato, il più boicottato, il più invidiato. Wal-Mart dimostra che anche il leader incontrastato nella GDO mondiale ha margini di crescita. Il colosso statunitense ha, da solo, una quota di mercato uguale agli altri quattro gruppi messi insieme. A livello mondiale, ha 2757 Supercenter, il doppio di quattro anni fa.
Con operazioni finanziarie in più di 30 paesi (compresi i franchises), Carrefour è il retailer più internazionale nel mondo. L’incremento delle vendite dovute alle operazioni finanziarie, basati su tassi di cambio costanti, è arrivato fino al 6.4%. In Italia il gruppo conta 57 iper, 468 supermercati a insegna GS, 995 supermercati di prossimità DìperDì e 20 cash & carry DocksMarket e GrossIper.
Lo scorso anno, Metro Group ha conosciuto il più forte sviluppo dal 1998. Circa la metà delle sue vendite proviene da articoli non-food. Ed è prevedibile un ulteriore incremento dei profitti, garantiti negli anni a venire dalle rete di commercianti indipendenti nei mercati emergenti di tutto il mondo. Nel 2006, gli ipermercati del gruppo Real hanno rinforzato la loro posizione con acquisizioni in Germania ed Est Europa.
Nonostante l’aumento della concorrenza in Gran Bretagna e le difficili condizioni di vari mercati stranieri, Tesco ha sviluppato vendite complessive con un impressionante 11,2% nel 2006. Il gruppo britannico ha ampliato la sua posizione nell’Europa centrale ed in Malesia mediante numerose acquisizioni. Uno scambio di asset con Carrefour ha comportato il ritiro di Tesco da Taiwan in cambio di punti vendita nella Repubblica Ceca.
Seven & I ha spodestato l’olandese Ahold dal quinto posto nella GDO mondiale. Due i fattori del successo: le acquisizioni in Giappone e la rapida espansione dei suoi punti vendita 7-Eleven in tutto il mondo. Le vendite nel 2006 sono aumentate grazie all’attività del grande magazzino Millennium Retailing in Giappone, che ha generato nel 2006 un fatturato di 6 miliardi di euro.
La crisi dei consumi non ha fermato il gruppo Coop: il fatturato è cresciuto del 2,8%, i soci del 4%. 6 milioni e mezzo di persone in Italia sono socie Coop, in pratica una famiglia su 5. E, nel 2007, due nuovi servizi: CoopVoce con l’obiettivo di un milione di abbonati in tre anni e CoopSalute, 80 corner aperti in altrettanti supermercati per la vendita di farmaci da banco, a prezzi scontati.
Nel 2002, la partnership con Leclerc, leader della GDO in Francia. Due anni dopo, l’associazione con la tedesca Rewe. Ora, l’accordo con Interdis. Risultato: una quota di mercato in continua crescita, che porterà la “Centrale Conad” (tremila soci aderenti alla Lega delle cooperative) a insidiare il primato di Coop. E all’estero, con Colruyt e Coop Suisse ha attività in 18 Stati per un giro d’affari di 100 miliardi di euro.
L’accordo quinquennale con Conad (quota di mercato aggregata al 18,9% e fatturato di 16,2 miliardi) rappresenta un punto di svolta per il gruppo, conosciuto soprattutto per i due marchi-insegna principali, Sidis e DiMeglio. Il gruppo è oggi composto da 33 imprese locali, distribuite su tutto il territorio locale, tranne che in Valle d’Aosta.
FONTE: RAPPORTO COOP 2007, A CURA DI ANCC-COOP
I 5 LEADER MONDIALI DELLA GDO
terest, taxes, depreciation and amortization, l’utile netto registrato al lordo delle tasse e dell’ammortamento dei beni immateriali), che cresce del 10,6%. Stando ai dati relativi alle vendite alimentari nell’ambito della GDO, comunque, la performance degli ipermercati è stata, nei pri-
FONTE: CENTRO STUDI UNIONCAMERE
l’erosione degli spazi di mercato del piccolo dettaglio. I consumi delle famiglie, inoltre, nel corso del biennio 2005-2006 si sono rivelati tra i più contenuti dell’intera area-Euro, con un tasso di crescita inferiore al 2%. I guadagni marginali per ogni metro quadro di superficie di vendita, perciò, non possono che diminuire.
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GDO: VARIAZIONE % MEDIA DELLE QUANTITÀ INTERMEDIATE
Volumi a rete corrente Contributo da rete omogenea Contributo da espansione della rete
2003
2004
2005
2006 1°SEM. 2007
5,0 0,3 4,7
3,2 -1,0 4,2
3,3 -1,5 4,8
1,1 -3,9 5,0
1,2 -4,3 5,5
VARIAZIONI IN % DELLA VENDITA AL DETTAGLIO IN ITALIA 2005 VARIAZIONE IN %
2006 VARIAZIONE IN %
1°SEM. 2007 VARIAZIONE IN %
ALIMENTARI Ipermercati Supermercati Hard Discount Totale GDO Piccole superfici Totale settore
-0,2 1,4 1,4 1,2 -0,7 0,9
2,5 1,4 3,7 1,8 0,4 1,5
-1,2 0,5 3,0 0,6 0,8 0,7
NON ALIMENTARI Ipermercati Grandi magazzini Grandi superfici specializz. Totale GDO Piccole superfici Totale settore
0,3 2,6 4,2 1,6 -0,3 0,0
2,3 2,1 2,4 2,3 0,8 1,0
0,9 0,5 1,8 1,0 0,4 0,5
TOTALE VENDITE Totale GDO Totale Piccole Superf. Totale globale
1,3 -0,3 0,4
2,0 0,7 1,2
0,7 0,4 0,6
Il sistema Coop: «non perderemo la specificità» Intervista a tutto campo con il presidente dell’Ancc-Coop, Aldo Soldi, che difende la filosofia di pragmatismo ONO LEADER ASSOLUTI E PER ORA INCONTRASTATI. Un esempio anche a livello internazionale. E come tutti i grandi sono soggetto e oggetto di una competizione feroce. Con un elemento in più: il fattore k. Perché le Coop, le di Andrea Di Stefano e Jason Nardi cooperative di consumo aderenti alla Lega, sono figlie di una storia politica e sociale che affonda le sue radici nel Partito Comunista Italiana, nel suo modello di egemonia oltreché politica, economica e culturale. Uno stile all’insegna di un “realismo e pragmatismo” che Aldo Soldi, il presidente dell’Ancc (Associazione nazionale cooperative di consumo che rappresenta 168 cooperative di consumo e tra queste le 9 che fanno il colosso a marchio Coop) difende con determinazione.
S
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Come saranno le Coop tra una ventina d’anni? «Facciamo dieci anni che mi sembra più plausibile. Io vedo una proliferazione di tipologie, di veri e propri format dei punti di vendita. Abbiamo vissuto un lungo periodo in cui la piccola superficie sembrava desueta, ora assistiamo ad un recupero di questo modello perché c’è una domanda sempre crescente di negozi di vicinato: dal punto di vista delle strutture vedo quindi una rete fatta di una vasta tipologia di offerta, mentre sul fronte societario non ritengo che ci possano essere cambiamenti al nostro modello di riferimento. Potrebbero esserci delle fusioni delle grandi cooperative o l’individuazione di sistemi che permettono di mettere a fattor comune degli aspetti, per ren-
caratteristico dell’azione del sistema cooperativo. Anche con molti interrogativi che rimangono aperti. dere più efficiente il sistema, ma quello che è certo è che le dimensioni non devono andare a discapito della relazione con i soci» Il modello cooperativo è in salute o sta mostrando la corda? «C’è un meccanismo molto aperto che consente di partire dai soci e arrivare, in modo assolutamente trasparente, al consiglio d’amministrazione e al management. Tanto per essere molto chiari questo è un meccanismo che, finita l’epoca in cui i partiti potevano esercitare un qualche peso, è gestito secondo regole interne di democrazia e trasparenza. Due settimane fa Coop Tirreno ha eletto i rappresentanti di base: hanno partecipato 40000 soci che hanno votato e nomi-
nato circa 350 persone, la maggioranza donne, che parteciperanno alla vita della cooperativa». Unicoop Firenze sta discutendo di un sistema di governance duale. Qual è il percorso che il sistema Coop intende adottare? «Firenze si è orientata verso il modello duale, con una maggiore distinzione tra i rappresentanti della proprietà, che sono figli di quel meccanismo cui facevo riferimento, e il management. Non tutti sono intenzionati a scegliere la governance duale ma l’orientamento è sicuramente comune».
Aldo Soldi presidente dell’Ancc-Coop.
Il prestito da soci non potrebbe assumere un ruolo più attento al territorio?
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«È normale che il socio presti soldi alla sua cooperativa. Non mi stancherò mai di ripeterlo così come non credo che si possa sottacere il fatto che questa attività è soggetta a delle regole blindate. La media di prestito dei soci è di diecimila euro, a fronte di un massimo fissato a trentamila euro, e questo dimostra che nel socio non c’è alcun obiettivo speculativo. Il prestito non è strumento per iniziative di carattere finanziario: certo consente alle cooperative di avere risorse e di produrre utili ma la filosofia che anima il socio è la stessa che muove l’azione delle cooperative. Detto questo le cooperative si sono patrimonializzate e quindi cercano di offrire il loro modello anche nel campo assicurativo, e perché no, anche in quello creditizio. Non ci trovo alcun elemento di scandalo: d’altra parte il più grande gruppo assicurativo francese è cooperativo».
LIBRI
E. G. Trjo Soffro d’Ikea Leconte, 2006
A. Cazzullo Outlet Italia Mondadori, 2007
M. Di Bari, S. Pipitone Schiavi del supermercato
Certo, ma la vicenda Unipol ha dato l’impressione di una totale omologazione del sistema Coop? «Qui c’è stata sicuramente una carenza nello spiegare gli obbiettivi: portare alcuni principi cooperativi anche nel mondo del credito, maggiore trasparenza, attenzione alle piccole e medie imprese, un processo più efficiente e conveniente per il consumatore. Non volevamo entrare nella stanza dei bottoni, tanto per capirci, ma alla fine ha prevalso l’elemento della scalata, con tutto il battage che si è creato intorno» Coop, per esempio, potrebbe marcare la differenza dal resto della grande distribuzione con
Arianna Editrice, 2007
una campagna che disincentivi l’uso dell’acqua minerale in bottiglie di plastica... «L’acqua minerale è sostenuta da fortissime campagne pubblicitarie. Avremmo delle reali difficoltà nel limitare l’assortimento per spingere a un cambiamento dei consumi. È vero che, dal nostro punto di vista, quegli spazi preziosi di magazzino e di scaffali potrebbero essere utilizzati per prodotti di qualità e servizio indubbiamente superiori per i nostri clienti e soci. Senza contare che il nostro margine sull’acqua è bassisimo».
MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS
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Possiamo ipotizzare tre impegni del sistema Coop: destinare parte del budget pubblicitario a campagne valoriali, fissare target ambientali, incrementare la democrazia partecipativa attraverso Internet e proporre ai consumatori “un giusto prezzo”? «Quest’ultimo tema è per noi cruciale: ci sono prodotti dove la competizione è indispensabile ma se è basata solo sul prezzo ci porta ad un complessivo impoverimento del sistema economico e della qualità con inevitabili rischi in primis per i clienti. Sulla pubblicità credo che potremmo ipotizzare azioni come quella per la campagna “Liberi da Ogm”. Sul secondo aspetto sicuramente possiamo fare di più e credo che potremmo mettere a punto target chiari, anche con controlli di enti terzi. Su Internet stiamo ragionando proprio a partire dalle adesioni raccolte attraverso la Rete alla campagna Ogm: un risultato che ci spinge a ripensare alla nostra relazione con questo strumento».
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Il modello degli iper? Una formula che va ripens ata Guido Cristini (Università di Parma): il settore è ormai saturo. E per l’Italia sono più adatti i supermercati. La scelta di ON SO SE USEREI LA PAROLA “CRISI” ma è indubbio che, per la prima volta da molti anni, gli ipermercati sono in difficoltà». L’analisi è di Guido Cristini, ordinario di Economia e gestione delle imprese di Emanuele Isonio all’università di Parma. «Nell’ultimo biennio sono aumentati di numero ma la produttività a metro quadro è diminuita»
«N
Professor Cristini, è la formula dell’ipermercato ad essere in “sofferenza”? «Nella versione pensata 10-15 anni fa, sì. L’iper ha perso appetibilità soprattutto nel settore non-food, sostituito nelle preferenze dei consumatori dalla grande distribuzione specializzata, come
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Ikea per l’arredamento o Zara per l’abbigliamento. Però va considerato anche un altro aspetto». Ovvero? «Che si è quasi ad un livello di saturazione. L’offerta italiana ha ormai raggiunto quella del resto d’Europa. Fino a qualche anno fa, la redditività degli ipermercati era superiore alla media Ue perché i punti vendita erano pochi. Ma poi, aumentata la concorrenza, inevitabilmente i guadagni marginali si sono ridotti». Eppure il loro peso in Italia è al 18% contro il 29 della Germania, il 46 della Gran Bretagna e il 51 della Francia. «Ma su questo dato incidono due fattori essenziali. La struttura territoriale italiana – poche pianure e molti rilievi - e la situazio-
Centro Commerciale di Bloomington, Mineapolis.
Usa, 1994
Carrefour? Semplice strategia aziendale. Ma con solide motivazioni economiche. ne demografica: la popolazione non è concentrata in pochi grandi agglomerati urbani ma distribuita in tanti piccoli centri. L’Italia è più adatta ai supermercati che infatti hanno aumentato le loro quote di mercato».
solo gli iper di 2500-3000 metri quadri, che rendono meno. E poi le scelte del gruppo non sono legate a un singolo Stato ma a una strategia internazionale: se in un Paese i risultati sono inferiori alle attese, si chiude e si apre da altre parti».
Quindi non ci sono margini per l’ulteriore diffusione degli ipermercati? «Non è detto. Se si ripensa la formula e si riqualificano i punti vendita, in particolare per il settore non alimentare, c’è ancora spazio per generare profitti. Soprattutto al Sud dove la diffusione è indietro».
Solo una questione di strategia aziendale… «Sì e no. Credo infatti che sia utile chiedersi perché al Sud i margini di guadagno sono inferiori».
Intanto proprio nel Meridione, Carrefour ha deciso di chiudere 12 punti vendita. «Sembra un paradosso. Però va considerato che Carrefour chiuderà
Lei cosa si risponderebbe? «Che sui profitti l’inefficienza della Pubblica amministrazione, la burocrazia e le infrastrutture carenti hanno un forte impatto negativo. E in alcune zone pesa pure una buona dose di concorrenza sleale, causata dall’economia sommersa e dalle infiltrazioni della criminalità».
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saturo “Mercato anche per le condizioni
del territorio italiano che non ha grandi agglomerati urbani
”
Guido Cristini, ordinario di Economia e gestione delle imprese all’università di Parma. Sotto, acquisti all’Ipermercato Auchan a Calais. Nella pagina a fianco, alcuni clienti cercano la strada con la mappa del “Centro” di Oberausen, uno dei più grandi d’Europa.
Anche le politiche pubbliche hanno importanza nel successo degli iper? «Moltissimo. Pensiamo alla liberalizzazione di alcuni settori merceologici. Cito un solo dato: in Francia, il 20% del fatturato di Carrefour è assicurato dalla vendita dei carburanti. Se fosse avviata anche in Italia, oggi staremmo parlando di “marcia trionfale degli iper”. Altro che crisi….».
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MARTIN PARR / MAGNUM PHOTOS
Francia, 1998 / Germania, 1996
Carrefour chiude al Sud Italia. Wal-Mart non è riuscita a sfondare in Germania e, nel frattempo, subisce contestazioni a New York. Non vede alcuna correlazione? «No. Wal-Mart in Germania ha fallito perché la GDO era già satura. E infatti, quando la multinazionale ha acquisito in Gran Bretagna il gruppo Asda, in pochi anni lo ha portato al terzo posto tra i punti vendita inglesi».
Un consumatore consapevole non fa comodo a questo modello di business Giovani che praticamente vivono nei centri commerciali. Mondi paralleli, dove sono applicati metodi per influenzare le scelte di acquisto. Bisognerebbe insegnare a individuare questi trucchi. Ma alle aziende non conviene. I VEDIAMO AL CENTRO COMMERCIALE. Quanti ragazzi oggi considerano questo luogo un punto di incontro, dove passare interi pomeriggi. Da di Elisabetta Tramonto un’indagine condotta lo scorso ottobre a Milano dall’Osservatorio sui Diritti dei Minori, è emerso che il 73% degli adolescenti tra i quattordici e i diciotto anni trascorre in media tre ore al giorno in un centro commerciale, il 19% di questi addirittura il doppio. Sei ore al giorno! Ma perché? Ci aiuta a rispondere Vanni Codeluppi, docente di sociologia
C Vanni Codeluppi, docente di sociologia dei consumi allo Iulm di Milano.
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dei consumi all’università Iulm di Milano. Perché i centri commerciali esercitano questa attrazione? «Oltre alle motivazioni razionali (il risparmio, i servizi offerti, la comodità di trovare un parcheggio e di avere in un unico luogo tutti i prodotti e i servizi che si cercano), esiste una forte componente irrazionale. Si entra in un centro commerciale per cercare la dimensione ludica e per fuggire dalla realtà. Sono mondi colorati, luminosi, che stimolano tutti i sensi. Creano una separazione fisica rispetto allo spazio della quoti-
dianità e sono una risposta alla sensazione di insicurezza che si sta radicando nella società moderna. È rassicurante trovarsi in un ambiente chiuso, protetto. È lo stesso principio per cui i giovani si rifugiano in realtà virtuali come “Second Life”. L’altro elemento fondamentale è la dimensione sociale. I giovani, ma anche gli anziani, considerano i centri commerciali luoghi di incontro più che di acquisto». Ma perché non incontrarsi altrove? In luoghi stimolanti da un punto di vista culturale… «Perché nella maggior parte dei casi non esistono. So-
prattutto nelle periferie e in molti piccoli centri, non ci sono altri posti dove incontrarsi, dove trascorrere il tempo libero. Così i luoghi del consumo - ipermercati, centri commerciali, outlet - diventano dei surrogati di altri centri di aggregazione. Certo, passare tanto tempo in queste strutture commerciali, anziché in una piazza nelle migliaia di centri storici italiani, corrisponde a un impoverimento culturale. Ma è un fatto che questi luoghi svolgano una funzione sociale a cui nessun’altro, la pubblica amministrazione innanzitutto, pensa. È inutile limitarsi a demonizzare i centri commerciali, bisogna proporre un’alternativa».
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LIBRI
Vanni Codeluppi La vetrinizzazione sociale Temi, 2007
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Ma che fine ha fatto la vita culturale nelle città, nei centri storici? «Da anni in Italia si è seguita la strada di spostare fuori dai centri storici il cuore dell’attività commerciale. Ma, insieme alla vita commerciale, si è spostata anche la vita sociale. I centri si stanno spopolando e la vita culturale si sta impoverendo. È stata una scelta».
LIBRI
Giandomenico Amendola La città vetrina I luoghi del commercio e le nuove forme del consumo Liguori Editore, 2006
Una scelta di chi? «Di chi ha amministrato le nostre città. Non hanno saputo, o voluto, stimolare la ricerca di un equilibrio tra la città come centro socio-culturale, da un lato, e come cuore di una moderna attività commerciale, dall’altro». Perché? «Perché le scelte delle amministrazioni pubbliche sono state guidate da interessi economici. Le aziende private hanno investito per creare questi poli commerciali e molti Comuni hanno goduto di notevoli benefici economici».
Un’accusa che viene mossa da tempo, in particolare ai centri commerciali, ma in realtà a tutta la grande distribuzione, è di influenzare le scelte di acquisto dei consumatori… «Certo, esistono tecniche che agiscono sulla sfera irrazionale. Vengono usate strategie sensoriali, con colori, musiche, profumi. Ma anche la disposizione dei reparti e dei prodotti sugli scaffali segue una logica precisa. Frutta e verdura, ad esempio, sono sempre all’inizio, perché mettere il guanto di plastica, impacchettare e pesare è noioso. Meglio proporre queste attività quando il cliente è appena entrato e non è ancora stanco. Di fianco alle casse sono posizionati i cosiddetti prodotti di acquisto impulsivo, come caramelle, patatine, snack. Mentre si fa la fila è facile esserne attirati e infilarne qualcuno nel carrello. Sugli scaffali le marche più costose sono collocate ad altezza occhi o nei luoghi più facilmente raggiungibili allungando la mano, quindi non in alto né in basso». Ma non è una novità, sono tecniche applica-
te da più di dieci anni. Conoscendole non dovremmo ormai esserne immuni? «Assolutamente no. Da un lato perché agiscono sui nostri meccanismi istintivi, per evitarle bisogna pensarci. Anche conoscendo le tecniche, basta essere un po’ distratti per cascarci. Ma, soprattutto, non è vero che sono metodi noti. I più non li conoscono. I consumatori dovrebbero essere educati a decodificare le tecniche usate per influenzarli. Non solo dalla grande distribuzione, anche dalla pubblicità e dai mass media». E perché non succede? Perché nessuno pensa a educare a un consumo consapevole? «Perché un consumatore consapevole non fa comodo a nessuno. Di certo non alle imprese. Chi riesce a decodificare i trucchi applicati nei punti vendita, acquista meno e in modo più razionale, quindi spende meno. Sarebbe compito dello Stato pensare a un’educazione ai consumi. Dopotutto è una parte fondamentale della vita di tutti. Ma, alla fine, il nostro sistema industriale si basa anche su questa nostra inconsapevolez-
za. Se iniziassimo a comprare meno, il nostro sistema economico vacillerebbe». Si stanno evolvendo queste tecniche di condizionamento? «Certo. Per esempio oggi il consumatore, senza accorgersene, è indotto a compiere un lavoro non retribuito, in particolare nel momento dell’acquisto. Si pensi a tutte quelle attività che da qualche tempo si è costretti a compiere in un punto vendita: impacchettare frutta e verdura, pesare, leggere i codici a barre. Vengono spacciate come metodi per risparmiare tempo, in realtà sono un risparmio di costi e di personale per l’azienda e un lavoro non retribuito per il cliente. È il modello Ikea: il cliente fa tutto da solo, guarda il catalogo, prende le misure, progetta, sceglie il prodotto, lo prende in magazzino, lo porta a casa e lo monta da solo. Certo, i prezzi sono più bassi della media, ma il guadagno per l’azienda è di molto superiore. È questa l’ultima moda nella grande distribuzione: far lavorare gratis i clienti».
LIBRI
Tapscott Don Williams Anthony D. Wikinomics. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo Etas, 2007
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I protagonisti invisibili della spesa quotidiana Mentre riempiamo il carrello di prodotti centinaia di figure si muovono attorno a noi, nella catena di montaggio attivata dai dipendenti della GDO. Sono poco visibili, ma hanno in corso una vertenza durissima per il rinnovo del contratto.
S
ONO LE 8,30 E LE PORTE AUTOMATICHE DEL LIDL non si apro-
no: la commessa gira la chiavetta, armeggia qualche minuto; finalmente la ragazza riesce a far entrare le 4 o 5 persone che aspettano e si allontana. Torna alle casse solo quandi Paola Baiocchi do si è formata una piccola coda, soprattutto di anziane. Ma quando deve dare il resto e fatica a prendere un centesimo, sbotta: «Ho le mani gelate perché sto anche caricando i surgelati». Non manca personale per malattia, è l’ordinario sfruttamento praticato nei discount, in forma solo un po’ più hard che nel resto della Grande distribuzione organizzata (Gdo). Per mantenere alti i profitti anche in questa fase di ristrutturazione, la Gdo privata comprime il più possibile il costo del lavoro con organici al minimo e riducendo gli stipendi dei lavoratori con ogni espediente possibile: «L’Esselunga – dice Roberto D’Arcangelo della Filcams Cgil Lombardia – paga quanto stabilito dal contratto nazionale o aziendale, ma i nuovi assunti sono inquadrati due livelli in meno rispetto alle mansioni e sono soprattutto giovani con contratti di inserimento part time, che durante i 18 mesi del contratto sono completamente in balìa dell’azienda».
Turn over e assenteismo sono i tratti salienti delle nuove catene di montaggio del commercio | 26 | valori |
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E allora le 24 ore su tre giorni, compresa la domenica, diventano 40 ore settimanali, con una flessibilità che non lascia tempo per nient’altro, perché i turni vengono cambiati settimanalmente e poi vieni chiamato per lo straordinario il giorno prima, con un turno magari di tre ore all’apertura e tre ore a fine giornata. La richiesta di totale disponibilità verso l’azienda non smette quando il contratto diventa a tempo indeterminato: «In Lombardia – continua D’Arcangelo – l’Esselunga è aperta 52 domeniche l’anno, oltre al 25 aprile e il 1° maggio: turni, permessi e straordinari sono concessi o non concessi in modo assolutamente discrezionale, con intimidazioni sui lavoratori e nessun rispetto per le loro esigenze».
Non andate al supermercato la domenica L’Esselunga ha sempre visto i diritti dei lavoratori come il fumo negli occhi e le attività sindacali sono state represse in tutti i modi, così che non si riesce a tradurre in azioni collettive le esigenze individuali: il sindacato non è presente in tutte le filiali e la segreteria Filcams Lombardia ha avviato una procedura a livello territoriale per comportamento antisindacale dell’Esselunga, proprio sul riconoscimento delle rappresentanze dei lavoratori. Le carriere, in un clima del genere, devono corrispondere alle volontà dell’azienda: «Vai avanti se ti metti a novanta gradi» spiega coloritamente un ragazzo che in Esselunga ha resistito solo due settimane. «Andavo al lavoro con l’angoscia, poi me se sono andato senza neanche avere un altro posto».
annunciato 360 lavoratori in esubero su tutto il territorio. Adesso che ha 35 anni e da quattro è alla Pam, nonostante sia Carrefour ha anche inasprito lo scontro iniziando l’esternalizzaparecchio sveglio e abbia una professionalità acquisita nella ristorazione delle attività tipiche, seguendo l’esempio già dato da Esselunga: zione, non ha prospettive di carriera, non verrà mai passato al full «Le attività tipiche – spiega Fabrizio Russo, Filcams – sono quelle cotime e quindi sta cercando di mettersi in proprio: «Da un anno cirme la gastronomia, la macelleria e il caricamento dello scatolame, che ca si fanno pochissimi straordinari, ma sui turni siamo un terzo riè già stato conferito ad aziende esterne. Ma adesso nel Sud sono parspetto a prima. Gli straordinari sono una concessione: se sei “bravo” titi con l’esternalizzazione di attività come la macelleria». per “premio” ti fanno fare gli straordinari!». Il superamento del concetto dell’orario dal lunedì al sabato è P. lavora alla cassa in un megastore Esselunga e si chiede: «La genun’altra delle richieste padronali e mentre sul contratto nazionale te non ha niente di meglio da fare la domenica, che fare la spesa? Io Confcommercio ha rotto le trattative, Coop prosegue il confronto sono costretta a lavorare, ma starei volentieri a casa con mio figlio. con i sindacati, mandando un segnale molto differente. I supermercati dovrebbero restare vuoti la domenica e in giorni come il 1° maggio». Tanto lavoro e poca valorizzazione delle persone, il Produttività LIBRI part time che attira ma poi diventa un labirinto, a quale costo? l’impegno del sabato e nei festivi, lo stipendio risicato, Caprotti nel suo libro afferma che l’Esselunga ha una prosono tutti motivi per cui il turn over nella Gdo è altissiduttività maggiore e che questa è una garanzia di efficienmo, così come l’assenteismo e chi resiste sono sopratza per i consumatori, ma a quale costo? «La produttività tutto donne: 156mila, soprattutto nei livelli più bassi, in Esselunga – risponde Vito Schiavone della Filcams – su 253mila addetti tra iper, super e discount. passa attraverso una logistica avanzata, la scelta delle cenDorothée Ramaut La posizione degli imprenditori nella vertenza per il trali di acquisto e ottimizzare la forza lavoro per farla renrinnovo del contratto è durissima: rifiutano la piatdere al meglio: quindi se “sfrutto” di più i lavoratori otJournal d’un médecin du travail. taforma sindacale, perché con le assunzioni a tempo intengo una produttività maggiore al metro quadro». La souffrance determinato dopo 36 mesi introdotte dal protocollo sul Ma se questo vuol dire cassiere che devono timbrare au travail welfare, registrerebbero un aumento del costo del lavoquando vanno a fare la pipì, non basta avere un reparto Le Cherche midi Témoignage, 2006 ro del 10%. Alla rottura si somma il piano di ristruttudi prodotti equosolidali, bisogna applicarle al proprio inrazione di Carrefour che, oltre alle chiusure al Sud, ha terno le condizioni di lavoro equosolidali.
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Ex Balcani
I bei business della ex Jugoslavia di Paolo Fusi
A LA JUGOSLAVIA È ONSHORE? Ve ne ricordate? Qualche anno fa si parlò, specie in relazione alla Guerra Civile al di là del confine, di trasformare Trieste in una città offshore – una sorta di Montecarlo italiana. Dire che non se ne è fatto più nulla sarebbe un’esagerazione, viste le regole commerciali e doganali che valgono nella capitale friulana, ma almeno dal punto di vista legislativo la proposta è stata abbandonata. Del resto, con la Slovenia in Europa e la Croazia pronta ad entrarci, una parte dell’attrattività una “Trieste offshore” l’avrebbe persa comunque, si potrebbe pensare. Oggi i Balcani possono riciclare ovunque, non hanno bisogno dei ladini, che sarebbero venuti comunque troppo tardi. A guardare chi siano le figure emergenti dell’economia nella ex Jugoslavia, infatti, ci si accorge di due cose sconcertanti: la prima è che la Jugoslavia è molto meno ex di ciò che si pensi. La seconda è che i gruppi che oggi guidano le classifiche sono gruppi di commercio all’ingrosso e al dettaglio (Mercator in Slovenia, Agrokor in Croazia, Delta in Serbia e FIS Vitez in Bosnia), tutti provenienti direttamente dalla stessa società, Konzum, che era il colosso della Jugoslavia di Tito che si occupava di tutto: agricoltura, pastorizia, pesca, lavorazione, distribuzione e vendita del cibo, più tutta una serie di prodotti di uso primario Cresciuti sulla guerra e i crimini della popolazione. contro l’umanità i signori Ci si rende anche conto del fatto che i grandi del business hanno creato industriali – un nome su tutti, il serbo Miroslav degli imperi e persino una banca, Miskovic, azionista di maggioranza della Delta Holding – la Delta, che oggi controlla sono o presunti criminali di guerra o comunque partner un terzo dell’economia serba strettissimi dei leader della pulizia etnica o di altre scelleratezze avvenute durante il coma della società balcanica degli anni ’90. Gente cresciuta nello Stato jugoslavo come manager d’apparato, spesso legata ai servizi segreti, carriera militare, scuola economica fatta a far sparire i profitti occulti della Guerra Civile nei posti preferiti dai Milosevic & Co.: Cipro, Liechtenstein, Lussemburgo prima; Cipro, Israele, repubbliche baltiche oggi. Miskovic, cui nel 1998 l’Unione Europea, per la sua complicità con Milosevic aveva negato il visto d’ingresso, ha fatto i soldi così: nel 1989 divenne vice primo ministro con delega al commercio. Concentrò tutto nelle sue mani ed instaurò una tassa privata per tutti i produttori che finiva sui conti di una banca cipriota. Dalla Banca Nazionale riceveva crediti senza garanzie che poi ripagava in valuta pregiata (in quei anni l’inflazione ogni sei mesi dimezzava il valore del dinaro). Nel frattempo organizzava il contrabbando in barba all’embargo. Con le centinaia di milioni di dollari guadagnati ha quindi aperto una banca, la Delta Bank, facendovi affluire i guadagni di tutta una carriera sua, di Milosevic e dei loro complici – una cosa di cui al Tribunale dell’Aja Carla Del Ponte, sempre attentissima a perdere tutti i processi da lei intentati, non si è ovviamente mai curata... La Delta Bank, lo dice anche il nome, è la banca madre del gruppo Delta, che oggi controlla un terzo dell’economia serba. Ma non senza problemi. La tattica è rimasta la stessa: Delta si accorge che c’è un prodotto di nicchia che ancora non produce. Allora lo fa e compra i concorrenti,
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perché Delta, nei propri supermercati, da quel momento in poi vende solo la propria roba e la concorrenza, che è sempre fatta da una fabbrichetta locale, non ha scelta: cedere la maggioranza delle proprie azioni a Delta, che ingloba, incassa gli utili e decide chi continua a lavorare (con stipendi da fame) e chi invece debba emigrare. Solo che il giochetto non funziona più, perché i debiti contratti con le banche, dati senza garanzia, non si riesce più a pagarli: la valuta è divenuta stabile, l’economia non cresce, la gente non ha soldi per consumare... Non resta che il malaffare, che è un ottimo prodotto da esportazione. E poi bisogna cominciare a vendere i poco costosi prodotti dei Balcani ai consumatori danarosi dell’Unione Europea. Ecco così che Delta si allea con gli altri pezzi del vecchio Konzum, per partire tutti insieme, vecchi compagni jugoslavi, alla conquista del mondo. Però la banca, che è una schifezza impresentabile, bisogna venderla. Ma chi se la comprerà mai, una cosa simile? Ma Intesa San Paolo, perdinci! Sicché, acquirenti del Bel Paese, attenti: se al supermercato, per evitare di finanziare direttamente o indirettamente la mafia, rinunciavate a comprare certi prodotti di certi gruppi alimentari italiani, ora attenti a carne e cereali che vengono dai Balcani: ad ogni morso sappiate che state partecipando al reinserimento nella società dei macellai della Guerra Civile e contribuendo alle paghette dei latitanti, come Karadzic o gli ufficiali della Srpska Garda, che da quelle parti l’inverno è freddissimo.
Il grande magazzino Interspar, al Parc City di Ljubljana.
Slovenia, 2004
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Le domande impertinenti degli azionisti attivi >32 Uno sguardo critico sul mondo delle banche e della finanza >36 E sul futuro di Banca Etica il dibattito continua >37
finanzaetica CISCO SYSTEMS, I DIRITTI UMANI FANNO BRECCIA TRA GLI AZIONISTI
FINANZA CONTROMANO, DA SUD A NORD
FONDI CALIFORNIANI, NIENTE AFFARI CON L’IRAN
LA SAMSUNG CORROMPE POLITICI IN SUD COREA
SOLILES, NUOVE SOLUZIONI CERCASI NELLA FINANZA ETICA
CINA LA DELL FA FORMAZIONE SOCIALE
L’assemblea degli azionisti di Cisco Systems, che si è tenuta il 14 novembre a San José, California, ha respinto anche quest’anno la mozione che chiedeva al colosso informatico di presentare un rapporto sui “passi che la compagnia potrebbe compiere per ridurre il rischio di favorire la violazione dei diritti umani”. La percentuale di favorevoli e astenuti è salita però al 49,5%, contro il 30% del 2006. Due anni fa, una mozione che chiedeva di fornire agli azionisti informazioni trasparenti sulle tecnologie e i programmi venduti alla Cina negli ultimi dieci anni, raccolse solo l’11% dei consensi. Anche quest’anno, la mozione è stata presentata da due gestori di fondi d’investimento socialmente responsabili, gli statunitensi Boston Common Asset Management e Domini Social Investment, insieme ai fondi pensione pubblici della città di New York. Cisco continua a ribadire che la compagnia “non favorisce in alcun modo le attività censorie dei governi”. “Appena tre anni fa ben pochi investitori nelle nuove tecnologie avrebbero messo in dubbio il rispetto dei diritti umani da parte delle società dell’hi-tech”, ha dichiarato l’ONG Reporter Senza Frontiere. “Oggi vediamo che un numero sempre maggiore di azionisti sono pronti a fare pressione perché imprese come Cisco rispettino la libertà di espressione in tutti i Paesi in cui operano”.
Ogni anno centinaia di miliardi di dollari “scivolano” dai paesi più poveri verso quelli più ricchi. Operazioni finanziarie che spesso si muovono in quella “zona grigia” al limite della legalità, dove le giurisdizioni dei singoli Paesi non riescono ad arrivare. Scrigno per questi tesori, i paradisi fiscali, che, “garantendo segretezza, anonimato, scarse regolamentazioni e imposizioni fiscali basse o nulle, giocano un ruolo fondamentale nel permettere e facilitare transazioni legate all’evasione e all’elusione fiscale, alla fuga di capitali, al riciclaggio, al finanziamento delle attività criminali”. Questi meccanismi e il loro impatto sulle economie dei paesi del Sud del mondo, sono analizzati nella relazione «La finanza contromano», scritta da Andrea Baranes, di Crbm (campagna per la riforma della Banca Mondiale, www.crbm.org). Impatti enormi, non solo a livello economico, ma anche e soprattutto per le ricadute in termini di giustizia sociale e fiscale, di democrazia e rispetto dei diritti umani. Appuntamento importante per affrontare questi problemi, il vertice delle Nazioni Unite sulla Finanza per lo Sviluppo che si terrà a Doha nel dicembre del 2008.
A due tra i più importanti fondi pensione degli Stati Uniti sarà consentito, per legge, vendere un’importante quota dei propri portafogli titoli. Si tratta del California Public Employees’ Retirement System (Calpers) e del California State Teachers’ Retirement System (CalSTRS), che nei prossimi mesi dovranno cedere ben 3,4 miliardi di dollari di azioni. È l’effetto di una nuova legge californiana che consente ai fondi che operano nello stato americano di non acquistare titoli di aziende attualmente in affari con l’Iran.Il California public divest from Iran Act è infatti l’ultima trovata del governatore Arnold Schwarznegger. Ma non è il primo caso: in altri Stati americani sono già in vigore leggi che disincentivano o vietano gli investimenti legati anche solo indirettamente al Paese di Ahmadinejad. Secondo fonti ufficiose, da Calpers (che, con un portafoglio titoli di 259 miliardi di dollari è il più grande fondo pensioni americano) potranno essere eliminate, tra le altre, le azioni di colossi mondiali dell’energia come l’austriaca OMV, la francese Total, l’italiana Eni, la russa Gazprom e la norvegese StatoliHydro, tutti in affari con Teheran. Per ora, il portavoce del fondo Brad Pacheco non ha voluto confermare i nomi delle società coinvolte, limitandosi a spiegare che «i criteri per l’individuazione delle aziende saranno resi noti non prima di giugno del 2008».
Guai in vista per la Samsung. Due associazioni di cittadini hanno infatti denunciato per corruzione i vertici della società coreana, leader nella produzione di cellulari, dopo le accuse mosse all’azienda da Kim Yong-Cheol, ex capo di una divisione legale di Samsung. Gli avvocati aderenti alla “Lega per la Società democratica e la solidarietà popolare” hanno formalmente accusato il presidente della compagnia, Lee Kun-Hee e due altri alti dirigenti di aver depositato fondi neri in alcuni conti correnti bancari per corrompere magistrati, giudici, esponenti governativi e pubblici ufficiali. Il tutto, si legge nella denuncia, per “mantenere buone relazioni ed evitare possibili svantaggi economici in futuro”. I dirigenti accusati respingono, in un dossier di 25 pagine, ogni accusa. Ma l’ex dipendente conferma: «Io stesso – dichiara Kim Yong-Cheol – ho partecipato alle operazioni illecite. Le attività di corruzione venivano decise dai vertici, io mi interessavo delle questioni legali». Spetta ora alla procura di Seul decidere se rinviare a giudizio gli indagati.
Per chi voglia mettere in pratica un’idea imprenditoriale, per quanto sulla carta possa essere interessante, il problema è sempre lo stesso: il capitale iniziale. E, una volta che ci si rechi in banca per chiedere un prestito, anche la richiesta che ci si trova di fronte è sempre la stessa: una garanzia. Spesso anche bussando alla porta della finanza etica non si ottiene risposta. Dopo venticinque anni di lavoro proprio nel mondo della finanza etica, Giovanni Acquati, che ha partecipato alla creazione delle prime Mag (società mutua per l’autogestione), propone una soluzione a questo problema. Si chiama Soliles, un’associazione di volontariato, che per il momento sta ancora muovendo i primi passi. L’idea alla base: raccogliere donazioni da imprese, liberi professionisti, privati, da presentare agli istituti di credito come garanzia per chiedere il finanziamento di imprese etiche sociali e sostenibili, che altrimenti non riceverebbero un euro. Il vantaggio: grazie alla legge 266/92 sulle associazioni di volontariato, chiunque effettuerà una donazione potrà scaricarla dalla dichiarazione dei redditi. Per informazioni e per effettuare una donazione (a Natale, perché no?) si può visitare il sito internet www.soliles.it.
Ogni tanto, qualche buona notizia. Questa volta riguarda la Dell, il colosso texano dell’informatica, che ha deciso di avviare una serie di corsi di formazione sociale per i dipendenti di venti compagnie cinesi e taiwanesi ad essa collegate. Obiettivo: convincere i fornitori ad adeguarsi al Codice di condotta dell’industria elettronica ed evidenziare i rischi reputazionali connessi alla violazione dei diritti dei lavoratori. Il merito di questa scelta è dell’azionariato attivo. In particolare di un’associazione statunitense, la ICCR, che lavora per convincere le grandi aziende ad impegnarsi per migliorare le condizioni ambientali, sociali e lavorative negli stabilimenti dislocati nei paesi in via di sviluppo. Ai tre cicli di corsi, realizzati con la collaborazione di ong locali, hanno preso parte una cinquantina di impiegati. Tre i temi affrontati: il lavoro minorile, la discriminazione femminile e i sistemi di ascolto delle opinioni dei dipendenti. I risultati, secondo la stessa ICCR, sono positivi. Bisognerà ora vedere se si tradurranno in miglioramenti effettivi.
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Le domande impertinenti degli azionisti attivi Fondi pensione, ordini religiosi, fondazioni. In tutto il mondo fanno sentire la loro voce critica nelle
assemblee delle imprese. Che sempre più spesso sono costrette a cedere.
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L’ABC DELL’AZIONARIATO ATTIVO CHE COSA SIGNIFICA AZIONARIATO ATTIVO? Acquistare le azioni di un’impresa per avere il diritto di partecipare alle assemblee dei soci, votare i punti all’ordine del giorno, fare domande e intervenire nel dibattito. È un metodo per stimolare l’impegno delle Società quotate nella tutela dell’ambiente, dei diritti umani e dei lavoratori e nell’adozione di buone pratiche di governo. FONTE: ETICA SGR, LINEE GUIDA SULL’AZIONARIATO ATTIVO, PRIMA EDIZIONE – OTTOBRE 2007, IL DOCUMENTO È DISPONIBILE SUL SITO WWW.ETICASGR.IT
Da almeno due anni i famigeUn negozio GAP protetto dalla polizia durante rati fondi activist popolano le prime pagine dei giornali finanziari. L’ultimo in ordine di tempo è la manifestazione contro Algebris, un fondo hedge (speculativo) creato appena un anno fa. Alla fine di ottobre ha osato proil World Economic Forum a New York. La catena fanare il tempio delle Generali, chiedendo, con una lettera al consiglio di amè stata convinta dagli ministrazione, una governance più “europea”: fine dei patti di sindacato tra sodi Marco Atella activist di ICCR a pubblicare la lista dei laboratori ci che sbarrano la strada ad eventuali scalate, meno conflitti di interesse e uno a cui dà in appalto stipendio più basso per il presidente. A luglio ci aveva pensato l’attivista inglese John Mayo, con trala produzione nei Paesi in via di sviluppo e ad indicare, scorsi da manager spregiudicato, a gettare nel panico Vodafone, colosso delle telecomunicazioni. Con con un semaforo rosso, una manciata di azioni e l’appoggio di un centinaio di azionisti era riuscito a presentare quattro mogli stabilimenti più critici. Usa, 2002 zioni all’assemblea dei soci dell’impresa, per chiedere, in sostanza, più profitti in tempi più brevi. Gli activist si muovono con un copione ormai riconoscibile: individuano società che, secondo loro, rendono meno di quanto po- degli amministratori, più attenzione alla riduzione delle emissiotrebbero, in silenzio ne diventano azionisti, si alleano con altri ni di inquinanti, maggiore chiarezza sul rispetto dei diritti umani azionisti insoddisfatti e sferrano attacchi a sorpresa a colpi di let- nei Paesi del Sud del mondo», dichiara Laura Berry, executive ditere, mozioni, comunicati. Se non raggiungono gli obiettivi che si rector di ICCR. «Raramente riusciamo a ottenere la maggioranza erano prefissati, riescono comunque a farsi pubblicità o a far sali- dei voti sulle nostre proposte, ma spesso la presenza in assemblea re il valore dei titoli che attaccano. Portando a casa facili guadagni. è l’inizio di un lungo confronto con l’impresa, che porta a risultati molto significativi», continua Laura. «Siamo riusciti a convincere GAP (catena di abbigliamento, ndr) a pubblicare sul suo Attivisti per missione «Gli activist svolgono una funzione importante», spiega Alessan- sito la lista dei laboratori a cui dà in appalto la produzione nei Paesi in via di sviluppo e ad indicare, con un semaforo rosso, gli stadra Viscovi, direttore generale di Etica Sgr, società di gestione del gruppo Banca Etica. «Ci ricordano che gli azionisti, se si organiz- bilimenti che presentano più problemi dal punto di vista dei dizano, hanno un grande potere: possono risvegliare dal letargo le ritti dei lavoratori». imprese, stimolandole a cambiare rotta. In realtà, gli attivisti di cui si parla in questi mesi, hanno principalmente obiettivi speculativi, di breve periodo. Da più di trenta anni esistono invece La forza dei fondi pensione gruppi organizzati di azionisti che dialogano con le società quo- Rendere il mercato un luogo più democratico, stimolare le imtate su temi sociali, ambientali e di governance. Con meno cla- prese ad essere più trasparenti. Con questi obiettivi CalPERS, il more, ma forse più risultati nel lungo termine». fondo pensione dei dipendenti pubblici californiani (250 miliarI primi e più conosciuti sono gli ordini religiosi, i fondi e le as- di di dollari di patrimonio), partecipa alle assemblee degli azionisociazioni riuniti sotto ICCR, Interfaith Center on Corporate Re- sti. Lo fa dall’inizio degli anni Ottanta, quando è partito il “corsponsibility (Centro Interreligioso sulla Responsabilità Sociale), porate governance program”, con cui il fondo ha cominciato a una coalizione, con sede a New York, che, dal 1971, presenta e fa fare pressione sulle imprese chiedendo più amministratori indivotare ogni anno mozioni nelle assemblee di oltre 100 imprese pendenti, più donne nel board, paghe più eque a tutti i livelli. americane. «Chiediamo alle imprese più trasparenza sulle paghe L’anno scorso ha sottoposto oltre 30 mozioni all’attenzione delle
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RRISPETTOSI E AGGRESSIVI, NON SI FERMANO DAVANTI A NULLA E A NESSUNO.
IL DIALOGO CON LE IMPRESE Può essere esercitato a vari livelli. Il primo passo da compiere è cercare un dialogo con l’impresa. Come azionisti è possibile contattare il management chiedendo informazioni o un confronto. Spesso si aprono tavoli di discussione tra l’impresa, gli azionisti e i principali portatori di interesse (sindacati, associazioni, ecc.). LA PARTECIPAZIONE ALLE ASSEMBLEE DEGLI AZIONISTI Si può poi partecipare alle assemblee degli azionisti, votando i punti all’ordine del giorno e intervenendo per fare domande o proposte. È un’occasione per parlare direttamente con i vertici dell’azienda e far conoscere le proprie proposte ai manager, alla stampa e agli altri azionisti. Spesso è l’inizio di un dialogo duraturo con l’impresa. LA PRESENTAZIONE DI MOZIONI In alcuni casi si può proporre la votazione di nuovi punti all’ordine del giorno (su temi sociali, ambientali o di governance), ma sono richiesti requisiti che variano a seconda del Paese e del regolamento assembleare o dello statuto dell’impresa. Le mozioni sono l’extrema ratio per l’azionista attivo. Vanno presentate in assemblea se l’impresa si rifiuta di dialogare o se non si riscontrano progressi nella discussione.
grandi corporation americane, il doppio rispetto all’anno prima, raccogliendo l’interesse di molti altri azionisti: in media più del 60% hanno votato con CalPERS. In Europa la forza dei fondi pensione ha il volto rassicurante di Dominique Biedermann. Nel 1997 ha creato Ethos, fondazione Svizzera “per lo sviluppo sostenibile”, con sede a Ginevra. Oggi gestisce oltre 1,5 miliardi di euro per conto di un’ottantina di fondi pensione elvetici, che Ethos rappresenta nelle assemblee degli azionisti. Nel 2005, all’assemblea di Nestlé, Ethos aveva chiesto, con una mozione, che Peter Brabeck, presidente e amministratore delegato della multinazionale, rinunciasse ad una delle due cariche per assicurare un maggiore equilibrio nella gestione dell’impresa. La mozione raccolse poco meno del 40% dei voti e non passò, ma da allora Brabeck è finito sotto il tiro incrociato della stampa internazionale e degli investitori istituzionali. Il “caso Nestlé” si è chiuso in settembre, con la nomina di un nuovo amministratore delegato. E la vittoria degli azionisti attivi.
Largo agli attivisti italiani E l’Italia? Se si eccettuano le invettive di Beppe Grillo e la breve esperienza degli “azionisti ecologisti” di Legambiente, le uniche iniziative di azionariato attivo nel nostro paese sono promosse da Etica Sgr, attraverso i fondi di investimento etici Valori Responsabili. «Da tre anni partecipiamo alle assemblee delle imprese in cui investiamo, |
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A sinistra, Alessandra Viscovi, direttore generale di Etica Sgr. Sopra, Laura Berry, executive director di ICCR.
scriviamo lettere, dialoghiamo con i consiglieri e i manager», spiega il direttore generale di Etica Sgr Alessandra Viscovi. «Abbiamo convinto Indesit a pubblicare il piano di certificazione ambientale dei suoi stabilimenti, abbiamo scritto a Heineken per avere maggiori informazioni sulla cessione dello stabilimento di Pedavena, abbiamo ottenuto da Johnson & Johnson e Colgate maggiore trasparenza sui test dei prodotti cosmetici effettuati sugli animali», continua la Viscovi. «Siamo alla ricerca di alleati tra gli investitori istituzionali per rendere più efficaci le nostre azioni. Abbiamo appena pubblicato le Linee guida sull’azionariato attivo, il primo documento del genere in Italia, con le quali spieghiamo le nostre strategie di intervento in assemblea in oltre trenta casi divisi in tre ambiti: sociale, ambiente e governance». Intanto la Fondazione Culturale di Banca Etica si prepara a lanciare un programma di azionariato attivo per dare voce alle associazioni, ai movimenti e alle campagne per la giustizia sociale e la tutela dell’ambiente (vedi BOX ). Un percorso nuovo. Tutto da esplorare.
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E ADESSO TOCCA A NOI COMPRARE LE AZIONI DI UN’IMPRESA per poter esercitare una pressione sui suoi comportamenti in campo sociale, ambientale, di trasparenza e di governance. Negli Usa e in molti Paesi europei l’azionariato attivo è una prassi comune, che dà ottimi risultati. In Italia è una pratica quasi sconosciuta. La Fondazione Culturale Responsabilità Etica ha deciso di lanciare dal 2008 un’iniziativa di azionariato critico. Insieme ai principali gruppi della società civile, sta selezionando alcune imprese quotate in Borsa – particolarmente criticate dal punto di vista della tutela dei diritti umani e sindacali, del rispetto dell’ambiente e della trasparenza – di cui acquistare delle azioni – grazie a un fondo di 25 mila euro messo a disposizione dalla fondazione – per poi poter intervenire nelle assemblee ed esercitare una pressione perché vengano adottati comportamenti socialmente responsabili.
«È importante portare in Italia l’azionariato critico– spiega Ugo Buggeri, presidente della fondazione - Perchè una tale azione abbia uno sviluppo futuro occorre una sinergia tra chi si occupa di finanza e le realtà che fanno campagne di pressione sulle aziende quotate». Il 21 gennaio a Milano verrà presentata l’iniziativa, in un convegno organizzato da Valori. Un’occasione per confrontarsi sul tema dell’azionariato attivo e sulla necessità di interessarsi e monitorare i comportamenti, soprattutto per gli aspetti finanziari, delle grandi imprese (vedi Valori di ottobre sui nuovi cattivi). Sui siti internet www.valori.it e www.orresvatoriofinanza.it (promosso da Valori insieme a Crbm, Campagna per la riforma della Banca Mondiale, e Mani Tese) si potrà seguire passo passo l’iniziativa e avere informazioni sul convegno.
«Ascoltate le suore. Eviterete una crisi» Che cosa spinge gruppi di suore e reverendi a partecipare in modo critico alle assemblee degli azionisti? Lo abbiamo chiesto a delle Sisters of the Holy Names of Jesus and Mary di Spokane, negli Stati Uniti. suor Judy Bryron
C di Marco Atella
osa vi spinge a presentare mozioni alle assemblee degli azionisti delle multinazionali americane? «Le porto un esempio. Due anni fa siamo intervenute, per conto di ICCR, all’assemblea di Cisco Systems, leader mondiale nel networking per internet. Abbiamo chiesto maggiore chiarezza sulla disparità crescente tra le paghe dei manager e gli stipendi dei dipendenti meno pagati. È allo stesso tempo sintomo e causa di
IL BOOM DELL’AZIONARIATO ATTIVO RILANCIA I FONDI ETICI CRESCE L’INTERESSE DEI RISPARMIATORI per i fondi di investimento etici. In meno di quattro anni il patrimonio dei fondi SRI (Socially Responsible Investments), è cresciuto del 50% negli USA e del 300% in Europa, dove hanno raggiunto un patrimonio di 49 miliardi di euro. Il boom riguarda anche gli investitori istituzionali, che stanno diventando sempre più azionisti attivi su temi come la governance o il disinvestimento da imprese che fanno affari con Sudan, Iran e Birmania. «I grandi scandali aziendali, come Enron e WorldCom hanno scatenato l’attivismo degli azionisti, che, da spettatori passivi delle condotta delle imprese, sono diventati sempre più impegnati», dichiara Timothy Smith, direttore di Walden Asset Management, una società di gestione di Boston specializzata in SRI. «Il comportamento dei fondi etici ha cominciato a cambiare alla metà degli anni novanta», spiega Bennett Freeman, vice-presidente della società di gestione Calvert, al primo posto nel mercato dei fondi etici USA con 8 miliardi di dollari di patrimonio investito. «Le imprese americane erano finite sotto i riflettori per le condizioni di lavoro disumane negli stabilimenti a cui appaltavano la produzione nei Paesi in via di sviluppo». Attenzione ai diritti umani e alla tutela dell’ambiente e attivismo nei confronti delle imprese. Sono questi gli ingredienti alla base del boom dei fondi etici. Ma anche buoni rendimenti: da inizio anno, sulla base dei dati dell’agenzia Lipper, i fondi SRI americani hanno reso mediamente l’11,66%, contro l’11,27% della media dei fondi tradizionali. M.A.
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distorsioni che possono avere terribili conseguenze». Per esempio? «È il segno del valore prevalente dell’economia su tutti gli altri valori, in particolare sul bene comune. Quando tutti i dipendenti di una corporation si convincono che ad essere importanti sono solo i risultati finanziari, è facile seguire l’adagio “More, better, faster, cheaper” (di più, meglio, più velocemente, a costi più bassi, ndr): ottieni il massimo che puoi dalla produzione e poi trasloca da un’altra parte». Che ruolo hanno le paghe eccessive dei manager? «Gli attuali sistemi di remunerazione hanno portato alla concentrazione di ricchezze incredibili nelle mani di pochissime persone. I membri di questi piccoli gruppi elitari di manager uniscono le loro forze attraverso la partecipazione incrociata ai consigli di amministrazione di decine di imprese. Grazie alla loro abilità nell’usare le risorse aziendali per scopi personali sono in grado di esercitare un’enorme influenza sui processi politici». Come interpretate il vostro ruolo in assemblea? «Io e le sorelle del mio ordine siamo prima di tutto una comunità di insegnanti. Se la ricorda la maestra delle elementari, quella che segnava con la penna rossa gli errori di ortografia? Ecco, davanti ai consigli di amministrazione delle imprese svolgiamo lo stesso ruolo: ricordiamo ai manager quanto meglio potrebbero fare se fossero abbastanza disciplinati da indirizzare le proprie energie al servizio di un bene più grande».
Ma le imprese vi prendono sul serio? «Molti anni fa l’amministratore delegato di una grande società americana è venuto a trovarci per discutere di alcune proposte che avevamo fatto in assemblea. Gli sembrava molto curioso il fatto di doversi confrontare con un gruppo di religiose specializzate nella presentazione di mozioni, ma un membro del loro consiglio di amministrazione gli aveva detto: “È meglio che ascoltiate le
suore quando vi fanno presente un problema perché, nell’arco di dieci o quindici anni quel problema, potrebbe diventare un motivo di crisi per tutta l’impresa!”. Noi lottiamo anche per aiutare le imprese a fare meglio il loro mestiere, cioè generare profitti. L’impegno per un mondo migliore non è in contrasto con il bene comune, anzi, quasi sempre è la base per il successo di un’impresa».
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Suor Judy Byron, è una delle protagoniste nelle battaglie nelle assemblee degli azionisti.
ETICA SGR: TRE ANNI DI AZIONARIATO ATTIVO Ecco le principali attività di azionariato attivo che Etica Sgr, società di gestione del risparmio di Banca Etica, ha promosso negli ultimi tre anni per conto dei fondi di investimento etici Valori Responsabili. 15 DICEMBRE 2005, VOTO ALL’ASSEMBLEA DI CISCO SYSTEMS Voto contrario alla rielezione del Consiglio di Amministrazione e al piano di stock options. Voto a favore di due mozioni proposte dagli azionisti di minoranza (ICCR). RISULTATO: dialogo in corso tra ICCR e l’impresa. DICEMBRE 2005: co-presentazione di una mozione per l’assemblea 2006 della farmaceutica americana Bristol-Myers Squibb per avere maggiori informazioni sui contributi versati ai gruppi politici. RISULTATO: Bristol-Myers ha fornito tutti i dati richiesti prima dell’assemblea e la mozione non è stata presentata. 13 APRILE 2006: ASSEMBLEA DI TELECOM ITALIA Intervento per chiedere maggiori informazioni sulle remunerazioni variabili (bonus) degli amministratori.
RISULTATO: incontri regolari con il management, dialogo con la società che si è interrotto quando Telecom è uscita dai fondi Valori Responsabili nel luglio del 2006, su suggerimento del Comitato Etico. 4 MAGGIO 2006: ASSEMBLEA DI INDESIT COMPANY Intervento sul primo punto all’ordine del giorno. Richiesta di maggiore trasparenza sulla certificazione ambientale degli stabilimenti. RISULTATO: nell’ultimo bilancio di responsabilità Indesit ha pubblicato tutte le informazioni richieste. 24 LUGLIO 2007: ASSEMBLEA VODAFONE Intervento per chiedere maggiore attenzione alla rappresentanza femminile in Consiglio di Amministrazione. RISULTATO: dialogo in corso.
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| finanzaetica | informazione |
| questioni aperte | finanzaetica |
Uno sguardo critico sul mondo delle banche e della finanza
E sul futuro di Banca Etica il dibattito continua
In un mondo in cui la finanza ha ormai cannibalizzato l’economia, guidata ormai da banche, finanziarie assicurazioni e fondi di investimento, c’è bisogno di informazione. E di occhi aperti. È lo spirito con cui è nato l’Osservatorio sulla Finanza.
È un momento di riflessione per il mondo che ruota attorno a Banca Etica. Ci si interroga sulla strada da prendere di fronte a tanti cambiamenti. Sul numero di ottobre Valori ha lanciato un dibattito, dieci domande a cui, ogni mese, economisti, esperti, ma non solo, offrono il loro punto di vista. È la volta di Tonino Perna.
ALORI, LA CRBM (Campagna per la Riforma della Banca Mondiale) e Mani Tese, con il sostegno della Fondazione Culturale Responsabilità Etica e la collaborazione della rete internazionale della società civile BankTrack, hanno promosso l’Osservatorio sulla Finanza, uno strumento di informazione critica sulla finanza e il mondo bancario in Italia e a livello internazionale. Le imprese finanziarie sono le vere vincitrici dei processi di globalizzaziodi Andrea Baranes ne: agiscono a livello internazionale e sono presenti, in maniera estremamente capillare, nei diversi Paesi e territori. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva e sempre più spinta finanziarizzazione dell'economia. I volumi di denaro che circolano sui mercati finanziari e valutari superano di diversi ordini di grandezza quelli legati all'economia “reale”. In misura crescente le banche, ma anche attori quali i fondi di investimento o i gruppi assicurativi, controllano il mondo imprenditoriale e l'economia produttiva, e indirizzano le scelte in campo economico, commerciale, politico. Sempre più spesso sentiamo parlare di termini quali hedge funds, private equity e altri. Le loro azioni hanno delle conseguenze fondamentali in campo sociale, ambientale, e sui diritti di tutti gli abitanti del Pianeta, nel Nord come Tutte le notizie pubblicate sul sito dell’Osservatorio sono verinel Sud del mondo. Rispetto al ruolo e all'importanza di questi attori, mancano de- ficabili e di pubblico dominio. Lo sforzo è quello di raccogliere, in gli strumenti di informazione adeguati. Spesso la finanza è conside- un unico e semplice strumento, i materiali e le informazioni prerata una “materia per esperti” e le notizie, pur se disponibili al pub- senti sui principali organi di stampa, siti internet e altri media. L’Osservatorio vuole essere un punto di incontro di moviblico, sono confinate negli ambiti specializzati. Oggi è sempre più evidente che anche la finanza privata con i suoi impatti sulla vita di menti, associazioni, Ong, media, singole persone interessate alla tutti i giorni è un interesse pubblico, e quindi lavorare per trasfor- finanza e ai suoi impatti sui temi della giustizia sociale e ambienmare la finanza e riportarla alla sua funzione sociale originaria ha tale, uno strumento che non faccia campagne, ma sia a disposiquanto mai un significato politico ed è una delle principali leve da zione delle persone e delle organizzazioni interessate ad inforutilizzare per produrre un cambiamento di lungo termine nell'eco- marsi o ad agire tramite qualsiasi iniziativa. Crediamo che, per le organizzazioni e le persone impegnate in campanomia. I recenti e rapidi sviluppi nel panorama delPER MAGGIORI INFORMAZIONI gne di pressione e in iniziative di consumo critico, la finanza italiana dimostrano come oramai anche le anche su temi e soggetti non finanziari, sia oggi banche italiane giochino un ruolo di primo piano a www.osservatoriofinanza.it fondamentale capire e trovare i legami che questi livello internazionale e portino numerose responsainfo@osservatoriofinanza.it hanno con le istituzioni finanziarie. bilità con il loro operato poco trasparente.
Nuove risposte ai quesiti lanciati dalla redazione di Valori sul futuro di Banca Etica, per dare seguito al desiderio di coinvolgimento emerso all’assemblea del 26 maggio scorso. Dopo Leonardo Becchetti, professore di economia politica all’Università di Torvergata a Roma (Valori di novembre), tocca a Tonino Perna, docente di sociologia economica all’Università degli Studi di Messina.
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I volumi di denaro che circolano sui mercati finanziari e valutari superano di gran lunga quelli dell'economia “reale”. La finanza influenza la vita sociale, ambientale e i diritti di tutti, nel Nord come nel Sud del mondo
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nativo. Perse una grande occasione in termini di budget, ma mantenne una coerenza, non formale, con i propri principi».
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CRESCITA VS COERENZA ETICA/MISSION: è possibile mantenere i valori fondanti (il “sogno”) di Banca Etica, mirando ad un’espansione? È possibile uscire dall’ambiguità di banca alternativa?
1.
«È una domanda fondamentale per tutte le organizzazioni eticamente orientate. La crescita per la crescita, la religione dell’incremento di fatturato è un dato che caratterizza le imprese for profit. Anche le imprese non profit puntano a crescere, ad espandersi. Ed è un fatto, come dire, naturale. Ma, è questo il punto, l’impresa non profit, per essere coerente con i suoi valori, deve darsi dei limiti, deve autoregolarsi ponendo dei paletti etici invalicabili. Un esempio: durante la guerra della Nato contro la Serbia il governo italiano lanciò la missione Arcobaleno con un finanziamento di 70 miliardi di lire del 1999. Il CRIC (una Ong di Reggio Calabria ) scelse di non aderire a questa missione e di non prendere parte alla spartizione della torta come invece fecero la gran parte delle Ong. Il motivo era semplice: l’Italia da una parte partecipava ad una guerra e, d’altra, lanciava, con un grande battage mediatico, una campagna di aiuti umanitari per i kossovari fuggiti in Albania. Il Cric decise, insieme all’ICS ed al COSPE, di lanciare una propria campagna autonoma di raccolta fondi, rinunciando a partecipare a qualunque progetto gover|
DISTINGUERSI NELLA GIUNGLA DEI PRODOTTI e delle banche “responsabili” e rivolte al Terzo Settore e in particolare confrontarsi anche con la sfida di Banca Prossima (patrimonio iniziale di 100 milioni di euro, un centinaio di dipendenti), nuovo soggetto che nasce da Banca Intesa SanPaolo.
«La sfida di Banca Prossima mi sembra di alto profilo. Potrebbe essere vista come un successo di Banca Etica, dato che la nascita di questa banca avviene per effetto di emulazione. Ma esiste anche un’altra lettura, più preoccupante. Come nell’ambito del fair trade è successo che grandi imprese transnazionali abbiano adottato una linea di prodotti con il marchio “equo e solidale” per catturare la fascia di consumatori sensibili all’etica, così nel mondo del credito la nascita di Banca Prossima può essere letta come una strategia di diversificazione dell’offerta, che, oltre a far crescere il numero dei clienti, ripulisce l’immagine della bancamadre. Così Intesa SanPaolo può continuare con una mano a finanziare il commercio delle armi e con l’altra a fare microcredito anche a tassi inferiori a quelli di BE. Credo che questo sia il nodo centrale della questione. Al posto dei dirigenti di Banca Etica proverei a “denudare” le strategie di Intesa SanPaolo».
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CAPILLARITÀ: ci sono i banchieri ambulanti, i GIT e gli sportelli. Come potenziarli e quali
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| finanzaetica | altre idee per arrivare nelle case di tutti? «È una strategia fondamentale per radicare ancora di più Banca Etica nel territorio. Credo che ci sia un gran lavoro da fare in questa direzione. Penso, ad esempio, alla lotta all’usura in cui Banca Etica è presente, ma in modo ancora insufficiente. Occorrerebbero investimenti significativi in questa direzione». Tonino Perna, docente di sociologia economica all’Università degli Studi di Messina. Sotto, la pagina di Valori in cui erano state lanciate le domande della redazione.
8.
IL SUD DELL’ITALIA: presenza, capacità di fare rete, di innescare circuiti virtuosi, di attirare investimenti sul posto. Stare al fianco dei “non bancabili”, soprattutto nella lotta alla criminalità organizzata (ma anche della burocrazia disorganizzata).
«È quanto mi aspettavo quando nacque Banca Etica. È stato fatto un buon lavoro in questa direzione, ma ancora decisamente insufficiente rispetto ai bisogni del territorio meridionale. La scommessa sul nostro Sud
potrebbe qualificare Banca Etica più che la sua presenza nei “fondi etici”, che diventano sempre più incontrollabili e dove la differenza con le altre banche non è visibile».
9.
INVESTIRE NELLA COMUNICAZIONE: maggiore trasparenza delle informazioni, visibilità sui media di massa, capacità di fornire messaggi che vadano oltre il target dei “già sensibili”. Investire nelle attività culturali e di ricerca, anche attraverso la creazione di un centro studi al servizio dell’economia sostenibile.
10.
MIGLIORARE IL RAPPORTO RISPARMIO RACCOLTO e capacità di erogare credito, attraverso specifiche iniziative che facilitino l’accesso al credito, mantenendo il rigore nella valutazione “etica”. Banca Etica potrebbe affermarsi come strumento per la promozione di economia sostenibile, anche attraverso un private equity etico.
«In questi due punti vedo il futuro di Banca Etica. Il valore di un rapporto stretto tra risparmio e credito e, quindi, un uso sociale e responsabile del denaro, costituiscono, a mio avviso, la carta di presentazione di Banca Etica . La comunicazione, la trasparenza, la vicinanza ai bisogni dei più deboli sono più facili per un piccolo gruppo che per una grande organizzazione come è diventata Banca Etica. Bisognerebbe avere il coraggio e la fantasia per indirizzare questa organizzazione verso forme a rete che superino la vecchia divisione del lavoro tipica delle strutture più grandi. Mi rendo conto che è difficile, ma è una questione decisiva per la non omologazione di Banca Etica ad altre esperienze di credito cooperativo che hanno avuto, nel passato, l’involuzione che conosciamo».
Il 21 gennaio a Milano Valori in collaborazione con la Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus
presenta il convegno:
Azionariato critico Un’opportunità per la democrazia e la trasparenza Condotto da: Andrea Di Stefano (direttore di Valori)
11.
FONDI AZIONARI E FONDI PENSIONE: riaprire il dibattito, esplorando a fondo le implicazioni della gestione di fondi sul mercato finanziario e quale ruolo distintivo e innovativo debba avere BE.
«Quando sono stato, dal 1998 al 2002, presidente del comitato etico di Banca Etica mi sono battuto perché non entrasse nel mondo della finanza, sia pure attraverso i “fondi etici”. I motivi sono tanti. Come ho appena detto, la mission di Banca Etica è un uso sociale e responsabile del denaro e un rapporto stretto e conseguente tra risparmiatori e utilizzatori di questo strumento che è diventato, in questa fase della storia umana, un dio capace di canalizzare energie costruttive e distruttive di miliardi di persone».
Hanno già assicurato la loro presenza: Jean Laville (Ethos, fondazione svizzera di azionariato attivo) Walter Ganapini (Greenpeace) Antonio Tricarico (Crbm)
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per ulteriori informazioni www.valori.it www.osservatoriofinanza.it
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Iraq e Afghanistan
Il conto salato della guerra di Elisabetta Tramonto
20 MILA DOLLARI? Per esempio pagare qualche rata del mutuo sulla propria casa, evitando che venga pignorata dalla banca. Situazione sempre più frequente negli Usa dopo lo scoppio della crisi subprime. E che cosa potrebbe fare un governo con 1.500 miliardi dollari? Agli Stati Uniti non è venuto in mente niente di meglio che usarli per finanziare un paio di guerre. Quelle in Iraq e in Afghanistan sono costate finora all’amministrazione Bush proprio 1.500 miliardi di dollari, circa 1.000 miliardi di euro. È come se ogni famiglia americana avesse speso circa 20.000 dollari, 13.600 euro. Lo ha rivelato a novembre un rapporto dei gruppi parlamentari democratici del Congress’s Joint Economic Committee (la Commissione economica bicamerale del Congresso). Il rapporto, intitolato “I costi nascosti della guerra in Iraq”, punta il dito contro Bush, alludendo a quali impieghi migliori avrebbero potuto essere pensati per tutti questi miliardi, investimenti produttivi per esempio. E parla di una perdita totale di uno-due miliardi di dollari per i lavoratori americani, indicando quanti uomini, riservisti della Guardia nazionale, anziché lavorare in patria, sono stati invece richiamati al fronte. Oltretutto questi 1.500 miliardi di dollari sono un conto molto più salato di quanto Bush avesse previsto e annunciato. Il bilancio approvato dal Parlamento parlava “solo” di 804 miliardi di dollari (550 miliardi di euro), impiegati dal 2002 ad oggi, quasi la metà della cifra indicata dai Democratici. 1.500 miliardi di dollari Pare che l’amministrazione Bush avesse dimenticato per finanziare un conflitto di considerare alcune spese come i maggiori costi del carburante devastante e inutile (il prezzo del petrolio è triplicato dall'inizio della guerra in Iraq), per la così detta “guerra mediche per i veterani rimasti feriti o che comunque, al terrorismo” costato la vita leunaspese volta tornati a casa, non saranno più in condizione di lavorare sinora a 3861 militari Usa (questa voce costerà, da sola, 30 miliardi di dollari) e gli interessi e decine di migliaia di civili sui prestiti chiesti per le guerre. E per il futuro, il Washington Post, che per primo ha visionato e pubblicato i risultati del rapporto, non prevede niente di buono. Il quotidiano statunitense ammonisce che, continuando di questo passo, nei prossimi dieci anni la spesa militare statunitense potrebbe più che raddoppiare, raggiungendo quota 3.500 miliardi di dollari, 46.300 a famiglia. «Il rapporto rende chiaro come il sole che il costo di questa guerra in termini di uomini e denaro è per il nostro Paese tragicamente inaccettabile», ha dichiarato il senatore Charles Schumer, il presidente della Commissione. E, mentre i Repubblicani si lamentavano per essere stati esclusi dalla ricerca, i militari americani che quest’anno hanno perso la vita in Iraq hanno toccato quota 856, 3.861 dall’inizio della guerra. Difficile contare le vittime tra i civili iracheni. Bush ha parlato di 30-40 mila morti, ma c’è chi cita cifre ben più alte, fino a un milione di morti. Che sia più per motivi di costi e di immagine che per un’improvvisa svolta pacifista, di fatto anche per l’esercito statunitense sta arrivando l’ora del ritiro dall’Iraq. A novembre è iniziato il graduale rientro delle 30 mila truppe in più inviate dal presidente Bush per “stroncare le violenze settarie nel Paese”. La Terza Brigata lascia l’Iraq e torna a Fort Hood, in Texas. Ne restano diciannove, 167 mila soldati. Entro la metà del 2008 le brigate made in Usa presenti in Iraq dovrebbero scendere a quindici e i militari a 140 mila. Giusto in tempo - solo pochi mesi prima - per assistere al cambio della guardia alla Casa Bianca. HE COSA POTREBBE FARE UNA FAMIGLIA AMERICANA CON
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NOVAMONT
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Kanaja, manager a dieci anni >44 Dalla città della scienza alla città della scemenza >46 26 gennaio 2008, va in onda la rivoluzione >48
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economiasolidale COMMERCIO EQUO-SOLIDALE, LA LIGURIA VARA LA LEGGE
PANNELLI SOLARI A COSTO ZERO GRAZIE A UNA BANCA DI CREDITO COOPERATIVO
OGM? TRE MILIONI DI PERSONE DICONO NO
ECOREGALI E SOLIDARIETÀ CON I PUNTI NATURASÌ
PROGETTO ANTARTIDE: UNA CORSA AL POLO SUD CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI
QUATTRO IDEE PER L’ASSISTENZA AGLI ANZIANI
Dopo la Toscana, prima regione in Italia nel 2005, e l’Umbria, nel febbraio 2007, anche la Liguria vara una legge sul commercio equo e solidale, presentata lo scorso ottobre. Stanziati 300 mila euro, che verranno utilizzati per promuovere azioni educative nelle scuole e iniziative di formazione per gli operatori e i volontari delle organizzazioni del commercio equo e solidale. In programma anche la creazione su Internet di un portale regionale dedicato a questo comparto, incentivi a favore degli enti locali per l'abbattimento dei maggiori costi derivanti dall'acquisto dei prodotti equosolidali e un elenco regionale delle organizzazioni attive nella regione (16, di cui 2 centrali di importazione, per 4.000 soci, 400 volontari e 70 occupati, con un fatturato di oltre 4 milioni di euro). Si attende intanto una norma nazionale. Il disegno di legge, sottoscritto da 118 parlamentari (79 deputati e 39 senatori) sia di centrodestra che di centrosinistra e depositato alla Camera nell’ottobre 2006, lo scorso luglio è stato assegnato alla Commissione Attività Produttive e depositato al Senato.
Molti vorrebbero vivere in un Comune così: basterà solo dire sì e senza sborsare un euro di tasca propria, duecento famiglie di Provaglio d’Iseo (BS) si ritroveranno il tetto di casa ricoperto di pannelli fotovoltaici e la bolletta dimezzata. Merito del Comune del paesino bresciano, che, tramite la municipalizzata Ags (Azienda Global Service), installerà gli impianti fotovoltaici e penserà all’aspetto burocratico. E merito della Banca di Credito Cooperativo di Pompiano e Franciacorta, che presterà al Comune due milioni di euro, ma ha promesso di arrivare fino a quattro milioni, per realizzare duecento impianti fotovoltaici. Il costo dell’impianto (20mila euro circa, ammortizzabili in dieci anni) è, infatti, oggi il principale ostacolo per chi voglia produrre energia dal sole. Gli abitanti di Proveglio, invece, si ritroveranno pannelli fotovoltaici gratis per produrre energia elettrica da vendere al Gse (Gestore Servizi Elettrici) a una tariffa incentivata. Il risparmio? Subito il 50% rispetto alla bolletta dell’anno prima (l’altro 50% va all’Ags come restituzione del prestito). Così per vent’anni, quando l’impianto diventerà di proprietà della famiglia, che non pagherà più i consumi. Dopo 30 anni (il normale ciclo di vita di un impianto), ogni famiglia avrà risparmiato circa 14mila euro.
Volete un sistema agro-alimentare privo di organismi geneticamente modificati? È questa in breve la domanda a cui 3.086.524 persone hanno risposto, aderendo alla campagna lanciata a settembre dalla “Coalizione ItaliaEuropa liberi da ogm”. Il 99%, ha risposto “sì”, al quesito, quindi “no” agli ogm. Soddisfatti gli organizzatori, (32 sigle provenienti dal mondo dell’associazionismo, come Slow Food, Acli, Avis e Legambiente, le principali associazioni di difesa dei consumatori come Adiconsum, Adoc, Adusbef, Federconsumatori, e di categoria, come la Coldiretti, marchi leader della grande distribuzione come la Coop e partiti politici come i Verdi) per il risultato e per l’elevata partecipazione, ottenuta con una modalità democratica. Immediata la reazione della comunità scientifica italiana (tra cui la Società Italiana di Genetica Agraria, Siga, e la Società Italiana di Tossicologia, Sitox), che ha denunciato la mancanza di un'informazione corretta e documentata sul tema degli ogm, nella campagna e tra gli italiani in generale.
Una caffettiera in alluminio riciclato al 98%, una radio e una torcia elettrica a manovella ed energia solare. Ma il piatto forte della nuova raccolta punti 2007-2008 di NaturaSì, tutta dedicata a prodotti ecologici, è la “Ricicletta”, una city bike ideata dal CiAl (Consorzio imballaggi alluminio), realizzata con alluminio riciclato, recuperato da lattine, fogli sottili per il cioccolato, tubetti per creme e conserve, bombolette spray, tutti provenienti dalla raccolta differenziata. Con 800 lattine si può costruire una bicicletta, consumando solo il 5% di energia che si userebbe partendo dalla materia prima. Ma i punti raccolti nei 57 negozi NaturaSì, potranno essere usati anche per acquistare un “buono di solidarietà”, contribuendo cioè a finanziare il progetto “i granai del Niger”. Un’operazione, iniziata l’anno scorso insieme all’Ong Cospe, per costruire in tre anni 20 banche di cereali nei distretti dello stato africano più colpiti dalla siccità (Keita, Bouza, Abalak, regione di Tahoua). L’anno scorso sono stati raccolti 5.500 euro, che hanno permesso di realizzare due banche di cereali.
Si chiama “progetto Antartide”: una corsa sul deserto ghiacciato del Polo Sud, per ricordare un’altra corsa, quella contro il tempo per salvare il nostro Pianeta dall’allarme climatico. Hanno partecipato quindici atleti da sei Paesi, dal ventuno novembre al primo dicembre. Dieci giorni e 250 chilometri di corsa tra roccia e ghiaccio, con temperature medie tra i -10 e i -30 gradi e un vento a 40 chilometri orari. Per l’Italia ha corso Francesco Galanzino, testimonial di Greenpeace per la campagna “Energia e Clima”. In meno di un anno ha attraversato le steppe del Gobi in Cina, i laghi salati di Atacama in Cile, le dune e le piramidi egiziane e i ghiacci del Polo Nord. Le sue sfide, insieme a Greenpeace, sono state l'occasione per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Arrivato alla meta, anche questa volta, ha fatto sventolare lo slogan: “Save the Climate, Energy Revolution”. La corsa di Galanzino è stata tutta CarbonZero, cioè ha ridotto al minimo le emissioni di anidride carbonica, ad esempio usando solo plastiche biodegradabili in Materbi, e le emissioni non eliminabili, come il carburante consumato dall’aereo, sono state compensate investendo in progetti di efficienza energetica.
Cinquecento euro al mese. Un anziano su tre in Lombardia deve vivere con questa cifra (il 30% degli over 65). Lo rivela un’indagine dell’Irs, l’Istituto per la ricerca sociale. Troppo poco per poter assumere un’assistente familiare, che costerebbe, in base al nuovo contratto di lavoro per le colf, 1.268 euro al mese. Non c’è da stupirsi quindi se si ricorra al lavoro nero, che sta proliferando. L’Irs stima che in Italia tra le assistenti familiari straniere, solo il 37% ha un contratto regolare (il 42% è clandestina, il 21% ha il permesso di soggiorno ma lavora senza contratto). Servono degli interventi per aiutare gli anziani e le loro famiglie. La proposta arriva dal progetto Equal “Qualificare”, con Irs, Caritas Ambrosiana, Cgil Lombardia e i Comuni di Brescia e Sesto San Giovanni. Quattro le proposte avanzate: un regime fiscale più favorevole per le famiglie che assumono un’assistente domiciliare in regola; l’istituzione di un Fondo regionale che dia incentivi economici per l’emersione e la qualificazione; la definizione del profilo formativo di “operatore di cure domiciliari” nell’ambito delle professioni sociali esistenti; la sinergia tra servizi sociali e centri per l’impiego.
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Kanaja, manager a dieci anni
A sinistra, un ragazzo mostra un opuscolo della Banca dei bambini. Sotto, i rappresentanti della CDB in visita in Italia, ospiti di Italianats, A.So.C. e Banca Etica.
COME AIUTARE LA BANCA DEI BAMBINI LA CHILDREN’S DEVELOPMENT BANK in Italia è sostenuta dall’associazione Italianats, A.So.C. e da Banca Etica. Per aiutare i progetti dell’organizzazione si può versare un contributo al conto corrente postale di Banca Etica n. 110570, ABI 05018, CAB 12100, CIN K, causale “banca dei bambini”.
La Banca dei bambini nasce nel 2001 in India. Con un sogno: riunire piccoli soci ed elargire prestiti per le loro attività. Un modello innovativo, basato su un principio: «Noi non siamo il problema, ma parte della soluzione».
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ANAJA AVEVA SETTE ANNI quando è scappato dall’estrema pe-
riferia di New Delhi ed è arrivato in città. Lì ha iniziato a fare accattonaggio e poi riciclaggio di immondizia. La sua emancipazione è iniziata quando ha conosciuto alcuni ragazzini della Ong di Ilaria Bartolozzi Butterflies: Kanaja ha partecipato ad una riunione con tanti suoi coetanei e ha capito che i suoi problemi erano gli stessi di tanti altri bambini. La sua vita è cambiata: è stato assunto da un venditore di tè per qualche ora al giorno e il resto del tempo lo ha dedicato allo studio, diventando il più bravo della classe. A dieci anni era già manager della Banca dei bambini: ricopriva un incarico di responsabilità che consisteva nell’aprire lo sportello della banca ogni sera e raccogliere i soldi che venivano depositati dai piccoli soci. La storia di Kanaja è esemplare nell’ambito dell’esperienza della Banca dei bambini, nata nel 2001 grazie a Butterflies, l’associazione indiana che si batte per insegnare ai ragazzi di strada a seguire regole etiche di comportamento che li allontanino dall’uso di droghe, alcool e da attività illecite di vario genere. Il movimento cresciuto intorno a Butterflies ha l’obiettivo di tirare fuori da ogni ragazzino le sue doti migliori, insegnandogli a risparmiare i soldi guadagnati con
il proprio lavoro e guidandolo in un percorso di istruzione scolastica. Inoltre, ai ragazzi sopra i 15 anni, la banca elargisce prestiti per avviare attività che producano reddito. Il modello educativo della Children’s Development Bank prevede che piano piano i ragazzini assumano alcuni incarichi di responsabilità, come nel caso di Kanaja. I piccoli manager, affiancati da altrettanto piccoli vicemanager, restano in carica per sei-nove mesi durante i quali ogni giorno aprono e gestiscono lo sportello della banca. Una volta raccolti, i soldi vengono consegnati a un adulto che li deposita in un conto corrente bancario. Nell’ambito della Banca dei bambini gli adulti ricoprono solo il ruolo di garanti e facilitatori. Ai giovani manager viene riconosciuto il proprio lavoro con l’assegnazione di benefit utili per la loro vita (una borsa per fare sport, materiale per la scuola, ecc...). Il modello della banca dei bambini è stato esportato con successo in altri paesi dell’Asia, come Afghanistan, Sri Lanka, Nepal, Bangladesh. Attualmente anche i movimenti dei bambini e degli adolescenti lavoratori latinoamericani e africani stanno portando avanti un percorso di formazione con Butterflies per creare esperienze simili nei loro Paesi, seguendo il motto ormai conosciuto da tutti: «Noi non siamo il problema, ma parte della soluzione».
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La mia banca, una garanzia per il futuro dell’India Intervista a Rita Panicker, presidente della Ong indiana Butterflies, che coordina il progetto della Children’s Development
«A Rita Panicker | 44 | valori |
Bank. «La mia più grande soddisfazione? Poter assicurare istruzione e cure mediche ai bambini di strada».
È necessario studiare un percorso di crescita , che rompa il cerchio di povertà, analfabetismo e degrado».
ragazzi. Da qui è partito il programma per i bambini di strada. Per un anno ho cercato di capire il problema e nel 1989 ho data vita a Butterflies».
due bambini di strada che oggi hanno raggiunto la laurea, sono educatori, si sono formati una famiglia. La loro vita sta andando molto bene».
Signora Panicker, cosa l’ha spinta a decidere di lavorare con i bambini di Delhi? E quando? «Alla fine del 1988 feci una ricerca sulla situazione dei bambini lavoratori e di strada a Delhi: uno studio per l’Unicef, durante il quale mi accorsi che né il governo né le Ong avevano ideato programmi per i bambini di strada a Delhi. Mi accorsi che c’era l’urgenza di provvedere alla creazione di servizi di protezione e sviluppo per questi
Qual è stata finora la sua più grande soddisfazione? «La mia più grande soddisfazione è che Butterflies ha risposto e continua ancora a rispondere ai bisogni dei bambini lavoratori e di strada. Abbiamo un team di educatori impegnati e professionalmente qualificati che hanno scelto di lavorare per la causa. Ci sono molti esempi da mostrare: per esempio Mary e Ashray erano
Come viene vista la banca dei bambini dalla società indiana? «Per l’opinione pubblica di Delhi, inclusi i bambini, la CDB è un modello eccitante. Ci sono molti più sostenitori che oppositori».
I BAMBINI INDIANI NON SERVE LA MERA ASSISTENZA.
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Nel suo lavoro da chi si sente aiutata e da chi si sente osteggiata?
«I nostri grandi sostenitori sono stati i bambini, le Ong sul territorio, le fondazioni – Misereor dalla Germania, Comic Relief – Childhope dal Regno unito, e ora l’opinione pubblica italiana – Asoc e Italianats. Gli oppositori sono stati quelli che non hanno capito i contenuti della CDB. Che vedono l’iniziativa come un incoraggiamento al lavoro minorile. In realtà la Banca dei bambini educa alla vita ed offre un modello a centinaia di bambini poveri che attraverso quest’esperienza possono accedere all’educazione, alle cure mediche, al lavoro per avere così crediti sufficienti per iniziare una propria attività. Da soli o in gruppo».
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I NUMERI DELL’INIIZIATIVA 7.000 piccoli soci di cui il 38% ragazze 30.000 dollari 10.000 dollari di anticipi 25 sedi 58 subfiliali 48 manager di Bancario 46 assistenti manager 96.000 potenziali beneficiari
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Dalla città della scienza alla città della scemenza
TUTTI FUORI DAL CENTRO STORICO I GIORNALI E I SITI DI URBANISTICA l’hanno definito “il clone di Campo dei Miracoli”, con una serie di commenti non lusinghieri. È la Piazza del Terzo millennio, uno dei cantieri già aperti nella zona commerciale di Ospedaletto, cinque chilometri a est dal centro, dove il costruttore siciliano Bulgarella sta costruendo una nuova Torre pendente, alta come quella del Bonanno, e altre due torri più basse. Ospedaletto cinque anni fa era campagna, ora dovrebbe diventare una Pisa 2 (P2?) strategicamente a metà strada tra l’aeroporto Galilei e il nuovo ospedale di Cisanello, destinato a diventare il più grande della costa dopo quello di Roma, in grado di attirare pazienti dalla Toscana e da fuori. A Ospedaletto verrà costruita la nuova caserma, dopo che il Comune avrà fatto cassa con le tre caserme nel centro storico che ha appena ricevuto dal Demanio e che diventeranno residenze di prestigio, alberghi a cinque stelle e centri commerciali. Per completare, qui si prevede anche il nuovo stadio da 25 mila persone, immancabile con il Pisa in B e che sarà raggiungibile con un nuovo ponte sull’Arno. In città resterà poco perché anche la Provincia cambierà sede per trasferirsi nel quartiere di Cisanello, accanto ad altre due torri, edificate pure queste da Bulgarella. Sotto la Torre poi si apre il boccone più ghiotto della trasformazione pisana: i dieci ettari del vecchio ospedale Santa Chiara verranno venduti per completare la costruzione di quello di Cisanello. Ma qui l’affare si ingarbuglia perché i costi lievitano e la magistratura sta indagando (per peculato, abuso d’ufficio e violazione del diritto d’autore) Enrico Desideri, il direttore dell’azienda ospedaliera, che si è dimesso dopo esser stato arrestato. L’area dovrebbe diventare una Disneyland alberghiera che ai cittadini non porterà nuovi servizi, visto che non è prevista neppure una delle scuole che mancano da anni nel quartiere. In un blog di architetti si commentava che Pisa essendo in una piana non ha i limiti di sviluppo delle città collinari. Quindi come limite resta solo il mare e i 20mila ettari del Parco di Migliarino-San Rossore, foresta unica nel Mediterraneo per estensione, ma che dà un po’ fastidio al progetto del Porto di Marina, che è in realtà un villaggio di seconde case e alberghi da 380mila metri cubi alla foce dell’Arno; un insediamento sull’area dell’ex fabbrica Motofides che - per far capire come non si scherza sui soldi - è stata fatta saltare con la dinamite il 9 ottobre scorso, mentre sono ancora aperti i ricorsi al Tar presentati dalle associazioni ambientaliste. Pisa 3 invece potrebbe nascere una volta finito il recupero delle colonie sul mare a Calambrone, che dovrebbero attirare 2500 residenti, che si sposteranno verso la città con l’unico mezzo previsto: l’auto privata. Pa. Bai.
A sinistra, l’ingresso di Rebeldia; qui sotto, la ciclofficina. Nella pagina a fianco, il menù realizzato per l’Hackmeeting.
Grandi opere a Pisa: più di un milione di metri cubi di cemento, alberghi a cinque stelle e una nuova
torre pendente. Gli appetiti si scatenano e per garantirsi la continuità con l’amministrazione uscente, un comitato d’affari composto da costruttori prepara una lista civica. Ma non tutti sono d’accordo. LMENO UN MILIONE DI METRI CUBI DI CEMENTO e un mito che ridisegna la striscia di città lungo la ferrovia, volendo, è posliardo di euro cominciano a rovesciarsi su Pisa: i cosibile ritagliare uno spazio per Rebeldia. Ma dato che si tratta di “vostruttori ringraziano il sindaco Fontanelli e il Colere” questo sarà un banco di prova per l’amministrazione, con la mune, ma, visto che si avvicinano le amquale è in corso una trattativa in cui si chiede alla giunta di centroministrative del 2008, per essere certi sinistra, con Rifondazione all’opposizione, di ripensare la città ascoldi Paola Baiocchi che i progetti da avviare non trovino tando i suoi bisogni sociali. ostacoli hanno formato un comitato che appoggerà un nuovo sindaco “sicuSfratti per morosità e residenze di lusso ro”. Magari l’attuale assessore all’urba«I dati su Pisa parlano dell’accentuarsi di una polarizzazione tra ricchi nistica Giuseppe Sardu. e poveri – spiega Ciccio Auletta di Rebeldia – e di una città che dal 1991 L’elenco delle grandi opere pisane è è diminuita di 17.343 unità, soprattutto famiglie di giovani che si traun delirio (vedi BOX ) ma non tutti pensferiscono nei comuni vicini di Cascina, Calci e San Giuliano dove il sano che uno sviluppo così fortemente costo delle abitazioni è più contenuto. Allo stesso tempo due bambini puntato sull’edilizia sia il migliore: se n’è su tre nati a Pisa sono figli di stranieri». Pisa ha 87 mila abitanti ma discusso per due giorni all’inizio di nol’emergenza abitativa di un grande centro urbano, per via delle tre univembre a Rebeldia, lo spazio autogestito versità, del Cnr e di Camp Darby, tutte strutture che attirano presenze da 23 associazioni nei capannoni dell’ex e generano un’industria degli affitti da 58 milioni di euro l’anno, al Enel, vicino alla stazione. 60% in nero. Ma fanno lievitare gli affitti, che diventano insostenibili Rebeldia è un progetto nato nel 2003 per le famiglie monoreddito, per i precari e per i pensionati: il 72% deche ha già dovuto smontare tre volte le gli sfratti nel comune di Pisa è per morosità e nel 2004 è stato eseguito sue installazioni, trasportando da un’ex circa uno sfratto al giorno (314). «Nonostante questi dati – continua fabbrica all’altra la parete da arrampicata Auletta – si destinano spazi importanti ad alberghi a cinque stelle e andegli Equilibri precari, gli impianti stereo che le residenze saranno di lusso, con poca edilizia convenzionata, di per la musica e le attrezzature informatifronte alle ciminiere della Saint Gobain». che del laboratorio Acklab. Ora Rebeldia La Pisa disegnata dagli immobiliaristi non fa onore alla città di non vuole andarsene: il lavoro impostaGalilei (che fra l’altro qui dove è nato non ha neppure un monuto con le comunità di stranieri residenti mento); Pisa si trova nell’assurdo di essere la città italiana con il più nel quartiere è ben avviato e bisogna asalto numero di ricercatori per metro quaPER SAPERNE DI PIÙ sicurargli continuità, per la ricaduta posidro e quella che, nel suo sviluppo, non tiva sull’integrazione. prevede nessun percorso di valorizzazioRebeldía - Spazio Pubblico Autogestito, via Battisti 51/63 Questa volta non è stata un’occupane della ricerca. Nel 2006 è stato fatto un www.rebeldia.net zione, le associazioni hanno ottenuto in sondaggio per contare quanti sono i preIl video della demolizione della Motofides a Boccadarno videohome.us/video/ipFPGAOA810/addio-motofides.html comodato gratuito dal Comune i locali, cari all’interno dell’università e hanno riDi Simonetta Della Croce e Chiara Baldassari, la video inchiesta che dovranno lasciare a breve perché sposto in 1082. sulle lotte operaie degli anni ‘50 alla Motofides verranno abbattuti per far posto a un ter«Anche l’idea del Porto di Marina – “Attenti operai comunisti” (Italia, 1998) minal di corriere. Però anche nel progetdice Tiziano Raffaelli, docente di storia
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del pensiero economico – è vecchia di 40 anni, quando si pensava che le seconde case portassero benessere». Il primo passo che verrà fatto per contrastare l’avanzante colata di cemento sarà una cartografia sociale di Pisa, una rappresentazione di come sono distribuiti gli interventi sulla città, chi sono i poteri forti, da dove arrivano i capitali, quante logge massoniche ci sono e dove sono localizzate, quali sono i punti di contrasto sociale e quelli dove si cerca di far nascere una nuova economia.
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26 gennaio 2008 Va in onda la rivoluzione
e reti internazionali si sono riunite a Belem, nello stato del Parà (Amazzonia brasiliana) per l’incontro del Consiglio Internazionale del World Social Forum, alla fine di ottobre. Giunto al settimo anno (il pridi Jason Nardi mo si svolse a Porto Alegre, nel sud del Brasile, nel 2001), il luogo di incontro dei movimenti antiliberisti e della società civile mondiale è forse a una svolta. E sta ripensando il Qui sotto, proprio sistema di gestione, di goun momento della conferenza vernance e di raccolta delle risorse stampa finanziarie necessarie per ripianare di presentazione del World Social debiti dell’ultimo Forum sociale Forum a Belem, mondiale di Nairobi e affrontare le in Brasile. A destra, sfide future. A partire dalla sua “tel’imbarcazione soreria”, affidata quest’anno in dove si è svolto buona parte a Banca Etica, e dalla l’evento. LTRE CENTO ORGANIZZAZIONI
JASON NARDI
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trasparenza dei bilanci degli eventi passati, che dovranno essere messi online, sul sito ufficiale. Ma prima ancora c’è una scadenza dietro l’angolo per il movimento dei movimenti: la giornata di azione globale, prevista per il 26 gennaio 2008. Al contrario degli anni passati, infatti, non ci sarà un Forum sociale mondiale in un luogo principale con un mega evento, ma migliaia di piccole e grandi iniziative, manifestazioni, eventi, azioni in giro per il mondo. E per la seconda volta, dopo il 15 febbraio 2003 (la manifestazione contro la guerra del Golfo salutata dal New York Times come l’espressione del sesto potere, quello dei cittadini) il movimento dei movimenti fa appello alla società civile mondiale di mobilizzarsi e manifestarsi per dire che “un altro mondo è possibile e necessario”.
Un Forum sulla “comunicazione” per pubblicizzare le iniziative
JASON NARDI
Il World Social Forum fu promosso inizialmente come contrappunto al World Economic Forum, che si tiene a gennaio nella cittadina svizzera di Davos. Là si incontra il gotha del mondo economico e politico mondiale e rappresenta il “club” della globalizzazione. Al Forum Sociale vanno soprattutto membri della società civile che contrastano la globalizzazione nella sua forma attuale. Partito nel 2001 a Porto Alegre, il Forum si è spostato a Mumbai, India nel 2004, per tornare in Brasile nel 2005 e andare a Bamako (Mali), Caracas (Venezuela) e Karachi (Pakistan) nel 2006; infine a Nairobi, Kenya nel 2007. Per la giornata di azione globale del 26 gennaio 2008, il principale ambito d’azione del Forum sarà la
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SIMONE BRUNO
Il prossimo anno non più un unico mega-evento ma una Giornata di azione globale: manifestazioni, eventi e migliaia di iniziative, piccole e grandi, in giro per il mondo. E nel 2009, tutti in Amazzonia contro la deforestazione. Novità anche sul fronte “finanziario”: la tesoreria sarà gestita da Banca Etica e i bilanci saranno pubblicati online.
“comunicazione”, che gioca un ruolo chiave nella dispersione attuale delle attività legate al processo del Social Forum in tutto il mondo, per dare visibilità al fenomeno e collegare le azioni che avranno luogo nelle località più disparate. Per questo, il Consiglio internazionale ha approvato la creazione di un sito interattivo (www.fsm2008.net). Un’altra iniziativa lanciata a Belem invita sia professionisti sia videoattivisti a condividere video di un minuto su “un altro mondo possibile” e costruire insieme una “storia audiovisiva collettiva” della Giornata di azione globale.
Già scelta la sede del 2009: Belem in Amazzonia Nel 2009, il Forum tornerà in un luogo fisico, simbolico e vivo al tempo stesso: l’Amazzonia, il polmone (attaccato da più parti) della Terra. Le comunità locali e i popoli indigeni si stanno già preparando ad accogliere
quasi 100 mila persone. «La città di Belem - afferma Candido Grzybowski, direttore dell’istituto brasiliano di Analisi Sociali ed Economiche (IBASE), tra i principali organizzatori brasiliani del Forum - è stata scelta per la forza e la ricchezza dei movimenti sociali amazzonici, che stanno già lavorando sia in termini di organizzazione sia di idee, per coinvolgere il maggior numero di popoli indigeni ed emarginati e riportare l’attenzione su una parte del pianeta – la foresta amazzonica – che è una risorsa e un bene comune mondiale oggi particolarmente minacciati». La deforestazione e lo sfruttamento intensivo del territorio – inclusa la prospettiva di ulteriori coltivazioni estensive per la produzione di biocarburanti – e delle popolazioni, in particolare i “palenques” o “guilombos”, discendenti dagli schiavi africani e ancora oggi spesso sfruttati nei lavori agricoli come “schiavi moderni”. Per non citare la biopirateria e le forme di colonialismo tuttora esistenti, come la Guiana france|
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Un momento della manifestazione di apertura del forum di Porto Alegre del 2005.
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| vite esternalizzate | economiasolidale | Alcuni momenti della conferenza stampa a Belem. A sinistra, Chico Whitaker, premio Nobel alternativo 2006, mentre parla con i giornalisti.
se – territorio a tutti gli effetti coloniale – dimostra (e dove i diritti delle comunità autoctone sono fortemente limitati). «Il Consiglio internazionale», racconta Grzybowski, «ha introdotto delle novità importanti durante questo incontro. Ha deciso, per esempio, di creare un gruppo di facilitatori composto da undici persone da tutti i continenti per sostituire il nucleo di organizzatori brasiliani che sono stati fino ad oggi responsabili delle questioni amministrative del Forum Sociale Mondiale». La struttura – una rete di fatto informale – di quello che ad oggi è il principale spazio di confronto e scambio tra le miriadi di iniziative che lottano per “un altro mondo possibile” (un mondo di giustizia economia e sociale) ha infatti cominciato a dimostrare i suoi limiti e debolezze, essendo basato soprattutto sull’organizzazione
di una serie di eventi, troppo spesso finanziati dagli stessi soggetti – grandi fondazioni o agenzie di sviluppo americane o europee, o dai governi di alcuni Paesi. Ma – come hanno confermato in molti – “la rivoluzione non sarà finanziata” e la necessità di un sostegno più diffuso con il contributo dei partecipanti, non solo per le attività, ma anche per la sostenibilità del processo in sé, si fa sempre più viva. Per questo il contributo di servizio della Fondazione Culturale di Banca Etica per la gestione trasparente della “cassa” del Forum Sociale Mondiale è stato molto apprezzato e può rappresentare una svolta ulteriore perché questo “fenomeno” del Forum – tanto ricco quanto incerto – possa rafforzarsi in futuro ed essere sempre più un campo dove le alternative concrete di economia giusta, solidale e sostenibile crescono e si contaminano a vicenda.
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Mamme Vodafone in vendita Solo una coincidenza? Ceduta a Comdata una fetta della compagnia telefonica e il 10% del personale. I lavoratori temono di restare
a casa. I sindacati ottengono qualche garanzia. Le dipendenti donne accusano: «Hanno voluto farci fuori». L’azienda smentisce sdegnata. Ma, intanto, il 50% delle lavoratrici colpite a Milano sono mamme da meno di tre anni. stanza, dicono le organizzazioni di categoria. Ad esempio non è Un salto in edicola prima di entrare in ufficio. Soaffatto chiaro che cosa succederebbe ai lavoratori nel caso in cui le24Ore, pagina 25. “A Comdata i servizi Vodafone”, Comdata decidesse di recedere dal contratto con Vodafone. Che “Vodafone pronta a cedere fine farebbero i lavoratori? Resterebbero alle dipendenze dell’aparte dei servizi di gestione a zienda torinese? Verrebbero reintegrati nella compagnia telefonidi Elisabetta Tramonto supporto del cliente... cinca? O si ritroverebbero senza un lavoro? que centri in Italia... diverse centinaia di lavoratori”. Come? Chi? Significa che ci licenzieranno? Un vero e proprio fulmine a ciel seQualcosa di strano reno per Milena, 37 anni, dipendente della filiale milanese della Che cosa c’è di strano nel fatto che un’azienda decida di vendecompagnia telefonica. Insieme agli altri 9.149 dipendenti Vore una parte della propria attività? Ha tutto il diritto di farlo, sodafone, ha saputo in questo modo, dalle pagine di un quotidiastengono i vertici Vodafone. «Questo è vero, se vengono garanno, di rischiare di essere “esternalizzata”. L’azienda stava cioè ce- titi i diritti dei lavoratori – replica un rappresentante della Rsu dendo alla torinese Comdata (vedi BOX ) le proprie attività di back (la rappresentanza sindacale unitaria) della sede di Milano – Pecoffice (i servizi di assistenza al cliente come l’attivazione e la cescato che in questo caso qualcosa di strano ci sia. Primo, nell’usazione dei contratti) e di gestione del rischio crediti. Ma stava per so distorto dello strumento della cessione del ramo d’azienda, la essere “ceduta” anche una parte consistente dei dipendenti delcosiddetta “esternalizzazione”. Era nata con la legge Biagi come l’azienda, 914 in tutto, il 10 per cento del totale, in cinque sedi: strumento a tutela dei lavoratori di aziende in crisi, invece, è diMilano, Ivrea, Roma, Padova e Napoli. Questi lavoratori in prati- ventata un’arma ad uso esclusivo delle aziende per tagliare i coca avrebbero continuato a fare quello che facevano prima, ma sti del personale. Spesso l’esternalizzazione diventa l’anticamenra non più alle dipendenze di Vodafone, bensì di Comdata, che sadel licenziamento». «Non c’è nessuna motivazione industriale rebbe diventata (in realtà lo era già da anper la decisione di Vodafone – continua il ni) fornitore di un servizio per la comparappresentante della Rsu – Perché un’aPICCOLE AZIENDE CRESCONO gnia telefonica. zienda con 8,1 miliardi di euro di fatturaNATA NEL 1987 A TORINO, COMDATA, azienda to in Italia decide all’improvviso di cedespecializzata nell’Information Technology re il 10 per cento del proprio personale, Detto, fatto e, in particolare, nella gestione del back office, è andata ingrandendosi sempre più. Oggi ha quattro tra l’altro di un settore che fino al giorno Dopo un mese e mezzo da quel venerdì, la mila addetti e diciotto sedi sparse per l’Italia. prima aveva indicato come uno dei più cessione è diventata realtà. «All’inizio di Da un capitale iniziale di venti milioni delle vecchie efficienti e redditizi? Solo motivazioni di novembre abbiamo ricevuto una raccolire è passata in dieci anni, nel 1996, a quasi due miliardi di lire di fatturato, circa un milione di euro. natura finanziaria, per tagliare i costi del mandata, in cui ci annunciavano dove e In altri dieci anni, nel 2006, i ricavi sono balzati personale». quando avremmo dovuto presentarci per a 135 milioni e quest’anno dovrebbero toccare «Ma l’elemento più grave è il modo in iniziare il nuovo lavoro. O meglio il veci 200 milioni. Un’azienda cresciuta anche a suon di shopping: nell’ultimo anno sono state acquistate cui hanno scelto chi esternalizzare – agchio lavoro con il nuovo capo», racconta due società attive sempre nel comparto dell’It, giunge Milena –. Guarda caso è stato preso Milena. Gli scioperi, i presidi sotto i call in amministrazione straordinaria: la Met Sogeda di mira proprio un reparto con un elevato center, gli incontri tra i sindacati e di Padova e la Selfin di Caserta (ex Ibm), con il “salvataggio” di tutti i lavoratori, 700 in tutto. numero di donne e di mamme. Come non l’azienda sono serviti a ottenere qualche pensare a una volontà precisa di liberarsi garanzia per i lavoratori, ma non abba-
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RA UN VENERDÌ COME UN ALTRO, il 14 settembre a Milano.
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di questa scomoda categoria di lavoratori?». È questa l’accusa, non da poco, lanciata alla Vodafone, che naturalmente smentisce. Ma Milena porta numeri e statistiche per provare le sue parole. Il 70% dei lavoratori colpiti a Milano sono donne, di cui un 50% mamme con bambini fino a 3 anni. E la percentuale si ripete simile nelle altre città. Qualche dubbio è legittimo.
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raccomandata “Una ci ha comunicato dove e quando iniziare
il nuovo lavoro. O meglio, il vecchio lavoro con un nuovo capo
”
Tradito due volte
Un premio alla qualità e all’innovazione per un nuovo modello di economia
Il taglio dei rami secchi non risparmia nemmeno l’inventore degli sms solidali: è uno dei 914 esternalizzati. FORASTIERE LAVORAVA AL CALL CENTER VODAFONE di Roma. Oggi continua a gestire i contratti dei clienti della compagnia telefonica, ma come dipendente della Comdata. È uno dei 914 esternalizzati. Con un di Federica Fusco dettaglio in più.
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RANCESCO
Perché la sua storia è diversa dalle altre? Perché sono stato tradito due volte. Come tutti gli esternalizzati, sono stato “ceduto” a un’altra azienda più piccola, con meno garanzie e meno certezze. In più non è stato minimamente considerato quello che ho dato a Vodafone. A che cosa si riferisce? Nel 2000 ho avuto un’idea per un servizio da lanciare: un sms per fare beneficenza. Ne ho parlato con i team leader, ho inviato una email all’amministrazione e ho usato il canale di comunicazione “Fai sentire la tua
idea” che dava ai dipendenti la possibilità di esprimere suggerimenti e pareri. Nel 2002 ho visto la mia intuizione diventare realtà. In occasione del tragico crollo della scuola elementare di San Giuliano, il Tg5 lanciò insieme a Vodafone la possibilità di donare un euro inviando un sms. In pochissimi giorni furono raccolti tre milioni.
La Regione Toscana lancia la seconda edizione del concorso per selezionare “i migliori contributi alla gestione
intelligente delle risorse naturali e territoriali”. L’obiettivo di quest’anno: dimostrare che sviluppo economico e tutela dell’ambiente non sono incompatibili. Le domande dovranno essere presentate entro il 12 dicembre. di Barbara Codacci
E l’azienda ha riconosciuto il suo contributo? Non in modo ufficiale, né in termini economici. Ma il 16 Giugno 2005, durante il “Focus on us”, momento di confronto tra dipendenti e dirigenti Vodafone, l’amministratore delegato Pietro Guindani ha riconosciuto la mia paternità sull’sms solidale, divisa con altre due persone. Quella che era nata come Omnitel è diventata un’azienda leader a livello internazionale anche grazie al lavoro dei suoi dipendenti. Ora però pare essersene dimenticata.
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MPIEGARE MENO RISORSE E PRODURRE MENO RIFIUTI per ridurre l’impatto dei processi produttivi e di consumo. Integrare le tematiche ambientali nelle politiche economiche e sociali. Sono gli obiettivi di una comunità che si vuol considerare capace di fare la propria parte per diminuire, con comportamenti preventivi, l’impatto delle sue attività sull’ecosistema. E, perché no, contribuire pure a creare occasioni di sviluppo e di crescita economica per il tessuto sociale. La Toscana evoca già l’immagine di un ambiente di qualità al quale i suoi amministratori vogliono affiancare un modello di sviluppo economico regionale avanzato, equilibrato e rispettoso della sostenibilità. Tale obiettivo di livello “macro” passa attraverso l’intento di modificare in modo costruttivo e duraturo i comportamenti individuali verso l’ambiente cercando di orientare l’opinione pubblica ai processi concreti della sostenibilità per migliorare la qualità della vita. Lo strumento d’eccellenza in tal senso è il Premio Toscana Ecoefficiente, lanciato nel 2005 come primo riconoscimento ufficiale della Regione Toscana ai più significativi contributi per la gestione intelligente delle risorse ambientali e territoriali e per la conservazione del patrimonio naturale in ambito regionale. La prima edizione ha visto undici premi di eccellenza, quattro menzioni speciali e 130 esperienze seNOTIZIE UTILI SUL CONCORSO gnalate che hanno ricevuto l’uso del logo “Toscana Ecoefficiente”. VERRANNO PREMIATE CON CAMPAGNE DI COMUNICAZIONE E ALTRI PREMI: le azioni in agricoltura, commercio e turismo, attività produttive e servizi, le buone La nuova edizione 2007-2008, il pratiche delle pubbliche amministrazioni e dei cittadini (singoli, associazioni, cui bando è aperto fino al 12 difamiglie, studenti e gruppi scolastici, tutti gli altri). I temi in evidenza nell’edizione cembre, conferma le vecchie pre2007-2008 sono: uso dei materiali, riduzione, riuso e valorizzazione dei rifiuti, acqua, edilizia e abitare sostenibile, consumo, energia e fonti rinnovabili, messe e si fa più ambiziosa. Il nuopianificazione urbanistica. vo Premio unisce esplicitamente le Tutte le informazioni, il bando e la domanda di partecipazione si trovano sul sito www.primapagina.regione.toscana.it/premioecoefficienza politiche ambientali all’innovazioo chiamando i numeri: 055 4383076 - 4383980 - 4383833 ne e alle risorse del territorio e del tessuto economico: agricoltura, attività produttive, commercio e turismo, pubbliche amministrazioni, Qui sotto, il logo di Toscana Ecoefficiente. trasporti, tutela della salute, associazionismo. In questo senso, può considerarsi come uno strumento di attuazione e di valorizzazione del Piano Regionale di Azione Ambientale 2007-2010, che contiene tra i suoi principi ispiratori quello dell’integrazione delle politiche ambientali con le altre politiche di settore regionali.
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La scorsa edizione si è conclusa con 11 premi di eccellenza, 4 menzioni speciali e 130 esperienze segnalate. Tutti i vincitori hanno potuto utilizzare il logo “Toscana Ecoefficiente”
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Il Premio è aperto veramente a tutti e promette di dare visibilità a quanti stanno ripensando i propri comportamenti individuali e d’impresa, le proprie priorità, i valori e le preferenze, passando da produzione e consumi basati sulla quantità a una selettività in vista di qualità, minor impatto sull’ambiente, sostenibilità ed etica della
produzione e dell’uso. La visibilità promessa dalla Regione Toscana quale premio principale, oltre ai premi minori offerti dai Parchi della Toscana e da altri sponsor, è concreta e di rilevanza nazionale: l’ecoefficienza in Toscana si sta affermando come un modello concreto di economia.
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I modelli virtuosi partono dalla vita quotidiana
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Il cancro che dissipa la “pelle” del Paese di Walter Ganapini
Anna Rita Bramerini, assessore della regione Toscana per la tutela ambientale e l’energia. a Regione Toscana ripropone il Premio Toscana Ecoefficiente, qual è l’obiettivo? Il nostro obiettivo, attraverso il Premio, è di cercare di promuovere le buone pratiche che possono di Barbara Codacci e Pamela Pucci diventare modelli virtuosi da emulare nel territorio regionale. L’ambiente può essere una grande risorsa perché ha fatto e fa di questo territorio un fattore di competitività. Come Regione e come collettività toscana cerchiamo di contemperare lo sviluppo, la qualità e la crescita del nostro contesto socioeconomico col rispetto dell’ambiente perché le risorse che abbiamo a disposizione non sono infinite.
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Si può dire quindi che il Premio è uno strumento per portare sensibilità diffusa sul territorio, ai cittadini, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni sui temi ambientali?
Anna Rita Bramerini.
Sensibilizzare, coinvolgere e responsabilizzare cittadini, famiglie, aziende, è la prima e forse la più importante delle azioni da portare avanti, con campagne di comunicazione specifiche ma anche con iniziative come il Premio Toscana Ecoefficiente. Occorre far capire che rispetto per l’ambiente e sviluppo sono conciliabili, per questo la Regione, in tutti i suoi strumenti di programmazione, parla oggi di ‘sviluppo sostenibile’. Sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Il Premio Toscana Ecoefficiente è un modo per valorizzare comportamenti virtuosi ma anche per far capire che vivere o produrre in una maniera più rispettosa dell’ecosistema è possibile e applicabile alla vita quotidiana. Le aziende che hanno vinto la scorsa edizione del Premio ci hanno dimostrato che adottare comportamenti più compatibili con la tutela ambientale può portare anche a ridurre i costi di produzione, le spese per l’energia e per l’approvvigionamento di materie prime o quelle per lo smaltimento di rifiuti.
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La sfida? Ottenere di più consumando di meno Marco Betti, assessore della regione Toscana per il servizio idrico e la difesa del suolo. l Premio Toscana Ecoefficiente 2007-2008 tocca tra gli altri temi quello molto delicato e sensibile dell’acqua. Quali sono, in poche battute le politiche regionali su questo tema? di Sara Di Maio Le nostre politiche non possono non tenere conto della crisi idrica in atto dovuta alla perdurante siccità. Crisi che purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici in corso, sta assumendo i caratteri dell’ordinarietà. Per tale motivo deve essere fatto ogni sforzo affinché siano intraprese azioni che portino a politiche di “adattamento” atte a prevenire le conseguenze nefaste che questi cambiamenti comportano sulla sicurezza e sulle attività produttive, aumentando la capacità, appunto, di adattamento intesa come programmazio-
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ne del territorio e di adeguata pianificazione delle attività umane. Si può parlare di una cultura “ecoefficiente” in Toscana? Riteniamo che ancora non siamo arrivati all’auspicabile realizzazione dell’ecoefficienza. Resta ancora moltissimo da fare, ma si cominciano a vedere dei segnali molto forti. Sia da parte dell’amministrazione che del semplice cittadino, si fa strada l’idea di contribuire e partecipare ad una nuova cultura sempre meno votata all’esaurimento delle risorse del territorio e sempre più orientata a comportamenti virtuosi come il risparmio energetico, l’uso delle energie rinnovabile che sono promosse e incentivate. Dobbiamo, infatti, entrare nell’ottica dell’ottenere di più consumando sempre di meno.
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A CONFERENZA D’ASSISI DEL FONDO PER L’AMBIENTE ITALIANO HA FOCALIZZATO con grande chiarezza uno dei nodi strutturali della crisi italiana, che è sì ambientale, ma anche di identità e, in quanto tale, politica: lo sconvolgente consumo di suolo che negli ultimi vent’anni sta erodendo un patrimonio limitato e preziosissimo. Vent’anni fa l’ennesima delega alle Regioni sottrasse spazio al ruolo delle sovrintendenze ai Beni Culturali, oltre che architettonici, monumentali e paesistici, traducendosi spesso in un’ulteriore subdelega diretta ai Comuni delle principali scelte urbanistiche e di uso del territorio. Si dava così in carico alla politica locale, per definizione la più sensibile alle spinte ed agli ingordi appetiti degli “spiriti animali” dell’accumulazione, del profitto della speculazione legata al suolo, il destino di un meraviglioso territorio, sede del 60% del Patrimonio Culturale dell’Umanità, secondo l’UNESCO. Da allora, in assenza di un diffuso senso dello Stato come tutore del bene comune, così come di una cultura di governo e di impresa capace di coniugare la conservazione della tradizione e la propensione ad una innovazione creatrice di valore, in quanto promotrice di dematerializzazione, il Povero Paese ha subito ogni sorta di scempio a carico della sua “pelle”, per l’appunto il suolo. Ciò grazie al diffondersi in ogni ganglio vitale della società italiana della patologia dell’“Urban Sprawl”, che mi pare sia l’ora di chiamare il “Cancro urbano”, dalla scelta familiare di non rischiare di dissipare i risparmi, perciò affidandoli al mattone, ad una imprenditoria pusillanime e alla ricerca di “liberalizzazioni” intese come In ogni ganglio vitale della creazione di nuove nicchie monopolistiche (con ampi risvolti società italiana si è introdotto edificatori) fino ad una cultura bancaria e finanziaria difensiva l’Urban Sprawl, che ha prodotto ed arretrata e “amica degli amici” come messo in luce dai l’edificazione selvaggia “furbetti del quartierino”, figli ultimi di quel cancro. Grazie e il sacco del territorio ai compassionevoli condoni ed alla diserzione progressiva della cultura urbanistica, che per anni era riuscita a porre argini di regolazione di sapore europeo ai citati e radicati vizi italioti, si vede come in entrambe le facce del Paese duale, al Sud con l’abusivismo, al Centro-Nord con lo svuotamento degli strumenti normativi (troppo “vincolistici”), in vent’anni si sia impermeabilizzato/cementificato oltre il 20% del suolo italico, devastando paesaggi unici, destabilizzando gli assetti idrogeologici, circondando monumenti che il mondo ci invidia con l’“edilizia dei geometri”. A ciò non corrisponde alcun beneficio, per quanto transitorio: è sufficiente leggere i numeri su morbilità e mortalità in ambiti urbanizzati per rendersene conto. Grazie anche alle “grandi opere” ed alla elusione delle norme europee legata alla “legge Obiettivo”, i cementifici viaggiano a tassi d’utilizzo d’impianto superiori al 95%, così come i tondinari, e mentre i costi di produzione, grazie anche al ritorno delle “Morti Bianche” e del “Caporalato” sono sostanzialmente gli stessi di vent’anni fa, i prezzi di vendita degli immobili sono più che triplicati, anche di quelli destinati a divenire “seconda” o “terza casa”. Sta configurandosi una “bolla” inquietante, pure in assenza di massiccio ricorso ai “mutui subprime” all’americana. Quasi vent’anni fa, come Legambiente, organizzai a Milano un seminario nazionale dal titolo “Ambiente chiama Urbanistica”: fu un momento importante di cross-contaminazione e di dialogo trans-disciplinare, che attrasse l’attenzione dei pianificatori sulle ricadute, e ancor prima sulle premesse, del loro operare. Credo sia giunta l’ora di convocare di nuovo a raccolta urbanisti ed ambientalisti, per trovare il coraggio comune di combattere il cancro che sta distruggendo il nostro Paese.
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I tesori rubati dai dittatori nel Sud del mondo >58 Petrolio, diamanti e gas. La Cina scopre l’Africa >62
internazionale INDIA, BAMBINI IN FABBRICA. DUE COLOSSI NEL MIRINO
VIOXX: MERCK RISARCISCE 50 MILA PAZIENTI CON UN INDENNIZZO DI 4,85 MILIARDI DI DOLLARI
JOHNSON &JOHNSON DENUNCIA LA CROCE ROSSA
MATTEL, LO SCANDALO NON INTACCA GLI UTILI
BIRMANIA, I PROFITTI DI ROYAL BANK OF SCOTLAND
STATI UNITI, LA LEGGE “ANTI-FRODI” FA RECUPERARE 2 MILIARDI DI DOLLARI
Una relazione pubblicata da alcune Ong che operano in tutto il mondo denuncia che oltre 400 mila bambini sono impegati come forza lavoro nelle fabbriche indiane. In particolare nelle aree di Andhra Pradesh, Gujarat, Karnataka e Tamil Nadu. Hanno tutti meno di 18 anni (225 mila meno di 14) e si occupano del trattamento dei semi di cotone. Lavorano fino a 12 ore ogni giorno, con un compenso che non supera i 54 centesimi di euro. Secondo il rapporto (il cui testo integrale è pubblicato sul sito www.businesshumanrights.org) tra i principali responsabili della situazione ci sono le multinazionali Monsanto (Usa) e Bayer (Germania), colpevoli di aver siglato accordi - in particolare contratti di subappalto - con numerose aziende indiane che sfruttano manodopera minorile. Ciò, prosegue il rapporto, nonostante fossero pienamente a conoscenza di quanto accade nelle fabbriche. Le stesse organizzazioni umanitarie che hanno redatto il rapporto - firmato, tra gli altri, dal Forum internazionale per i diritti del lavoro (ILRF), dall’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OECD) e dalla rete OneWorld presente in Germania hanno lanciato una campagna volta a monitorare il lavoro nelle fabbriche presenti sul territorio indiano e a garantire un aumento considerevole dei salari.
Il colosso farmaceutico Merck & Co. ha annunciato di aver raggiunto un accordo extragiudiziale per chiudere le 26 mila azioni legali intentate da altrettanti pazienti che hanno assunto il farmaco Vioxx, ritirato dal mercato dopo la scoperta di alcuni suoi gravi effetti collaterali. La compagnia pagherà infatti 4,85 miliardi di dollari alle quasi 50 mila vittime del medicinale. Con una clausola, però: i pagamenti saranno corrisposti solo se almeno l’85% delle persone che hanno fatto causa contro Merck decideranno di ritirare la denuncia. L’accordo è stato siglato dopo oltre 50 incontri (in otto Stati americani) e al termine di un lungo faccia a faccia tra i rappresentanti delle vittime e i dirigenti dell’industria farmaceutica, in presenza di tre dei quattro giudici che seguono la vicenda. Nonostante si tratti di uno dei più grandi risarcimenti mai corrisposti da un’azienda per gli effetti collaterali di un farmaco (nel caso del Vioxx si è trattato di artriti e, nei pazienti più gravi, di infarti ed ictus), i quasi 5 miliardi che Merck pagherà ai malati sono ben poca cosa ripetto alle cifre richieste inizialmente dai querelanti: almeno 50 miliardi di dollari. Non a caso a Wall Street il titolo del colosso americano ha accolto la notizia facendo segnare un +5%, dopo due ore di contrattazioni. Il Vioxx è nel mirino dei pazienti ormai da anni. Uno studio del ‘99 mostrava un aumento dell’incidenza di gravi eventi cardiovascolari nel 2,5% dei pazienti trattati con rofecoxib (il principio attivo del farmaco) e venti casi di infarti miocardici. Tanto da indurre l’autorità Usa FDA ad inviare all’allora presidente dell’industria Raymond Gilmartin una “warning letter”. Nonostante ciò Merck ha prodotto il Vioxx per cinque anni, incassando 10 miliardi di dollari dalle vendite. Nel 2004 il farmaco era assunto regolarmente da 2 milioni di americani e da 300mila italiani. Si stima che abbia causato fra 88mila e 144mila attacchi cardiaci solo negli Usa: 30-50 mila, probabilmente, letali.
Il gigante dei settori della cosmesi e del farmaco Johnson&Johnson ha denunciato la Croce Rossa. Secondo l’industria americana, infatti, la “Red-Cross” sarebbe colpevole di aver utilizzato indebitamente l’universalmente conosciuto logo con una croce colorata di rosso su sfondo bianco. Da parte sua, l’organizzazione umanitaria internazionale ha risposto dichiarandosi stupita, dopo oltre un secolo di utilizzo del simbolo in tutto il mondo, dell’iniziativa di Johnson&Johnson. Aggiungendo che tale logo è stato usato da entrambi “fino ad oggi in modo consensuale”. La multinazionale americana ribatte a sua volta che la ragione per cui ha deciso di cambiare atteggiamento dipende dal fatto che, fino ad ora, la Croce Rossa non aveva mai commercializzato alcun prodotto in competizione con quelli venduti dalla Johnson&Johnson. Recentemente, invece, la Croce Rossa ha infatti lanciato alcuni kit di primo soccorso, spazzolini da denti e pettini. «Per una multinazionale che fattura miliardi di dollari ogni anno, chiedere i danni alla Croce Rossa è semplicemente osceno», ha dichiarato Mark Everson, capo esecutivo dell’organizzazione umanitaria. Nella sua denuncia la Johnson&Johnson ha ribadito di avere “grande rispetto per la Croce Rossa”. Basterà a non far precipitare la propria immagine?
«Non posso cambiare il passato – ha dichiarato recentemente Robert Eckert, amministratore delegato della Mattel di fronte al Senato Usa – ma sto lavorando per cambiare il modo di fare le cose». In attesa di verificare le promesse fatte, possiamo fare un primo bilancio. Da quando è esploso, nell’estate scorsa, lo scandalo dei “giocattoli tossici”, la Mattel è stata costretta a ritirare oltre venti milioni di pezzi in tutto il mondo per i rischi legati alla concentrazione di piombo nelle vernici. La prima tranche, all’inizio di agosto, ha riguardato un milione e mezzo di pezzi. Poco più di due settimane dopo, il ritiro più consistente (19 milioni) e a fine settembre un’altra “vagonata” di 844 mila giocattoli (28mila dei quali, in Italia). La vicenda, che ha spinto anche al suicidio il capo di una delle aziende cinesi accusate di aver usato materiali scadenti, ha avuto, com’è ovvio, ricadute negative sulle finanze della Mattel. Ma meno di quanto ci si potesse attendere: nel terzo trimestre l’azienda statunitense ha segnato un utile netto di 236,8 milioni di dollari, in (lieve) calo rispetto ai 239 milioni dello scorso anno. E il fatturato è cresciuto del 2,7%.
La denuncia arriva da BankTrack, Burma Campaign UK e Platform: i soldi dei correntisti della Royal Bank of Scotland finiscono per sostenere economicamente i crimini della giunta militare birmana. In che modo? Attraverso la Bank of China. L’istituto scozzese è il più importante azionista privato della banca cinese e controlla infatti l’8,25% delle sue azioni. Non a caso l’amministratore delegato di RBS, Fred Goodwin è anche membro del cda di Bank of China. L’istituto bancario di Pechino è a sua volta il principale finanziatore di Petrochina e Sinopec, due colossi petroliferi cinesi, più volte finiti nel mirino delle Ong internazionali per i loro stretti legami con i militari di Yangoon: i prestiti erogati per la costruzione di un oleodotto tra Myanmar e Cina superano finora il miliardo di dollari e presto potrebbe essere concesso un ulteriore finanziamento di 2,7 miliardi. Superfluo aggiungere che dei profitti derivanti da tali prestiti beneficierà anche la RBS. Che però, se lo volesse, potrebbe opporsi a tali finanziamenti. «Il sostegno alle attività estrattive in Myanmar è un sostegno al regime – spiega Mark Farmaner di Burma Campaign UK – La RBS può e deve fare pressioni per far cessare prestiti che agevolano le violazioni dei diritti umani».
Quando una legge funziona, i risultati non si fanno attendere. Il False Claims Act statunitense lo dimostra. Una norma - mutuata da un’esperienza inglese del XIII secolo - che permette a qualunque cittadino di diventare “informatore” della pubblica amministrazione: chi è in possesso di prove di false dichiarazioni o frodi ai danni di istituzioni pubbliche, può intentar causa in nome del governo Usa per chiedere un risarcimento. Il vantaggio è duplice: la legge permette al governo di ottenere somme ingenti e i cittadini sono incentivati perché è prevista per loro una “ricompensa” per la collaborazione, che si aggira tra il 15 e il 30% del denaro recuperato. Che non sono di certo briciole: nel 2007 il dipartimento di Giustizia ha annunciato di aver rastrellato oltre 2 miliardi di dollari (il 75% grazie ad azioni intraprese dagli “informatori”). E, dal 1986, anno dell’introduzione della legge, le casse pubbliche hanno beneficiato di oltre 20 miliardi. Tra l’altro il calcolo è effettuato per difetto, perché non tiene conto di eventuali rimborsi ottenuti dai singoli Stati e dalle parti civili. Quest’anno le società coinvolte nei risarcimenti sono state 94. Qualche esempio: la casa farmaceutica Bristol Myers Squibb ha pagato 328 milioni al governo federale per frodi connesse al prezzo di vendita all’ingrosso di 50 suoi farmaci. La Sanofi Aventis, 190 milioni per irregolarità nella vendita del suo antiemetico Anzemet. La californiana Oracle ha invece sborsato quasi 100 milioni per le false dichiarazioni rilasciate per ottenere appalti federali. Un’ottimo esempio di collaborazione “pubblico-privato”. «L’importanza del False Claims Act – spiegava il senatore Charles Grassley, all’epoca promotore della legge – va oltre il denaro recuperato. È un deterrente contro le frodi e uno strumento per cambiare la cultura del “azienda America”» .
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Missione possibile: recuperare i tesori rubati dai dittatori Onu e Banca Mondiale al lavoro per tentare di rintracciare e restituire ai Paesi poveri le enormi cifre trafugate negli anni da chi li ha governati. Impresa ardua per colpa, soprattutto, della scarsa collaborazione di molti Stati “ricchi”.
Oltre mille miliardi di dollari nascosti in banche conniventi Da 1 a 1,6 mila miliardi di dollari all’anno, difficile anche solo immaginare questa cifra. È il flusso di denaro che si stima sia uscito dalle casse pubbliche di alcuni dei Paesi più poveri al mondo, per colpa di corruzione, attività criminali, evasione fiscale, “saccheggio” da parte degli uomini al potere. Tra i 20 e i 40 miliardi sarebbero stati trafugati dai dittatori di questi Paesi durante gli ultimi anni. Difficile stimare con precisione a quanto ammontino questi tesori, perché nella maggior parte dei casi non si riesce a superare il muro del segreto bancario. Ancora più difficile recuperarli e restituirli ai legitti-
IL BOTTINO DI ALCUNI DITTATORI DEL "SUD DEL MONDO" paesi
i leader politici
Mohamed Suharto (1967–98) Ferdinand Marcos (1972–86) Mobutu Sese Seko (1965–97) Sani Abacha (1993–98) Slobodan Milosevic (1989–2000) Jean-Claude Duvalier (1971–86) Alberto Fujimori (1990–2000) Pavlo Lazarenko (1996–97) Arnoldo Alemán (1997–2002) Joseph Estrada (1998–2001)
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Indonesia Philippines Zaire Nigeria Serbia/Yugoslavia Haiti Peru Ukraine Nicaragua Philippines
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risorse trafugate ogni anno come % del Pil annuo
fondi sottratti
Pil medio annuo
(in miliardi di dollari)
(in miliardi di dollari)
da 15 a 35 da 5 a 10 5 da 2 a 5 1 da 0,3 a 0,8 0,6 da 0,114 a 0,2 0,1 da 0,07 a 0,08
86,6 23,9 8,8 27,1 12,7 1,2 44,5 46,7 3,4 77,6
da 0,6 1,5 1,8 1,5 0,7 1,7 0,1 0,2 0,6 0,04
a 1,3 4,5 1,8 3,7 0,7 4,5 0,1 0,4 0,6 0,04
Media % of GDP
0,9
1,8
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NABABBI IN VIA DI SVILUPPO
R
un anno (è il caso delle Filippine e di Haiti, vedi TABELLA ). Denaro che, invece di finanziare programmi sanitari o scolastici, permettere di costruire strade, fornire acqua potabile a tutte le case, aiutare la crescita di questi stati, è finito in qualche paradiso fiscale.
FONTE: RAPPORTO SULLA CORRUZIONE MONDIALE 2004 DI TRASPARENCY INTERNATIONAL ED ELABORAZIONI DELLA BANCA MONDIALE
OBIN HOOD RUBAVA AI RICCHI PER DARE AI POVERI. Era una favola. Nella realtà accade esattamente il contrario. Da 2 a 5 miliardi di dollari in 5 anni per il leader nigeriano Sani Abacha. Tra 5 e 10 miliardi per Ferdinand Marcos, nei 14 di Elisabetta Tramonto anni in cui ha governato le Filippine. Addirittura tra 15 e 35 miliardi per Mohammed Suharto, durante i 21 anni di presidenza dell’Indonesia. Sono i tesori, privati, che secondo un rapporto stilato dall’Onu e dalla Banca Mondiale, grazie alle indagini dell’organizzazione internazionale contro la corruzione Tansparency International, sarebbero stati accumulati da questi storici dittatori, e da molti altri, sottratti dalle casse pubbliche degli stati che hanno governato. Ai più sfacciati è bastato trasferire fondi dai conti del governo ai propri, all’estero. Altri hanno invece costruito sistemi di tangenti, riciclaggio di denaro, acquisto di immobili negli Stati Uniti o in Europa. Sottraendo fino al 4,5% del Pil nazionale in
LOTTA ALLA CORRUZIONE, META’ G8 NON RATIFICA LA CONVENZIONE «IN NESSUN POSTO DEL MONDO VI SARANNO ESENZIONI dall’obbligo di restituire i beni trafugati e vecchi pretesti quali il segreto bancario non costituiranno più un ostacolo», sono queste le novità introdotte dalla convenzione dell’Onu contro la corruzione. Lo sottolinea Antonio Maria Crosta, il direttore, italiano, dell’Ufficio dell’Onu per la lotta alla droga e al crimine (UNODC). Peccato però che dei 140 paesi che nel 2003 hanno firmato la convenzione, solo 103 l’abbiano ratificata, cioè abbiano introdotto nel proprio sistema legislativo questi strumenti di lotta alla corruzione. Lo hanno fatto Stati Uniti, Cina, Francia, Gran Bretagna. L’Italia non ancora, come alcuni dei paesi dove i tesori dei dittatori potrebbero nascondersi: Svizzera, Lussemburgo, Irlanda (al link, www.unodc.org/unodc/crime_signatures_corruption.html, la lista dei paesi). Che cosa significa? Che le banche, italiane per esempio, possono ancora opporre il segreto bancario a chi, anche le autorità, richieda di conoscere il titolare di un conto corrente. Peccato, perché ratificare la convenzione, come sottolinea Crosta, «significa anche introdurre importanti strumenti contro la corruzione nei nostri paesi e di lotta alla criminalità organizzata e alla mafia».
mi proprietari, i governi attuali dei Paesi derubati. Molti di questi Stati infatti non hanno neanche un sistema giudiziario in grado di portare avanti la procedura di recupero. E, quando ce l’hanno, incontrano la resistenza di Paesi come la Svizzera o il Lussemburgo, che aprono a fatica le casseforti delle loro banche. L’Onu, con l’Ufficio per la lotta alla droga e al crimine (UNODC), e la Banca Mondiale stanno provando a superare questi ostacoli, con una campagna “Stolen Asset Recovery” (StAR), recupero dei fondi rubati. E con una Convenzione internazionale contro la corruzione (vedi BOX ), firmata nel 2003 da 140 paesi, che prevede tra gli obiettivi principali proprio la rimozione del segreto bancario nei casi di recupero di proventi illegali. Fondamentale quindi per recuperare i tesori rubati dai dittatori africani, ma anche dai boss della mafia nostrani. Peccato che finora sia stata ratificata da 103 paesi, di cui solo metà dei membri del G8. L’Italia, per esempio non è tra questi.
Da Suharto in Indonesia all’ucraino Lazarenko, fino a Duvalier ad Haiti. Ecco i tiranni che più si sono arricchiti. Ai danni del terzo mondo
Colpe e responsabilità, da Nord a Sud Per recuperare questi tesori e per evitare che continuino le rapine, dicono le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, è fondamentale la collaborazione tra Nord e Sud del mondo. Per trovare le colpe di una situazione così incredibile – miliardi rubati ai più poveri da capi di Stato corrotti – bisogna puntare il dito tanto sui ladri-dittatori del Sud del mondo, quanto sul ricco Nord. Perché una buona parte delle “bustarelle” finite nelle tasche dei Marcos e dei Suharto arrivavano, si legge nel rapporto, dalle multinazionali straniere che mettevano piede in Indonesia, Filippine, Congo. E perché questi avidi dittatori non avrebbero saputo dove mettere il loro bottino se non fossero esistiti paradisi fiscali, in Svizzera, Lussemburgo, Isole Cayman, dove tenere al sicuro i miliardi rubati. Casseforti a cui ancora oggi spesso non si riesce ad accedere. Segreto bancario, è la parola magica. Difficile individuare i conti correnti dietro i quali si nascondono i grandi dittatori e ancora più difficile far tornare i soldi
MOHAMED SUHARTO [1921 – ] INDONESIA
JEAN CLAUDE DUVALIER [1951 – ] HAITI
PAVLO LAZARENKO [1953 – ] UCRAINA
JOSEPH ESTRADA [1937 – ] FILIPPINE
MOBUTU SESE SEKO [1930 – 1997] ZAIRE [CONGO]
Guida la dittatura militare in Indonesia dal 1967 al 1998. Ventun’anni di governo autoritario e corrotto, caratterizzato da una violenta lotta al comunismo. È accusato della morte di milioni di comunisti indonesiani. Guida il suo Paese sulla strada di una rapita crescita economica e industrializzazione, ma il suo potere traballa con la crisi economica asiatica del 1997 e nel 1998, dopo violente dimostrazioni di piazza, è costretto a dimettersi.
Nel ‘71, a venti anni, alla morte del padre, Francois Duvalier lo succede alla guida del Paese, che governa fino al 1986. Noto come playboy e amante delle auto, ma anche come violento dittatore. Omicidi ed espulsioni sono i metodi usati per sopprimere gli avversari politici: si parla di oltre 30 mila persone uccise. Accumula la sua ricchezza (secondo il rapporto StAR ha sottratto oltre 300 milioni di dollari) soprattutto dal monopolio del tabacco. Negli anni 80 si moltiplicano le rivolte popolari. Nell’86 è costretto a dimettersi e fugge in Francia.
Primo ministro ucraino dal 1996 al 1997. Condannato l’anno scorso da un tribunale statunitense a nove anni di carcere per estorsione, frode e riciclaggio di denaro tramite banche americane (per 114 milioni di dollari). È implicato anche in un giro di corruzione di enormi dimensioni nel periodo successivo al collasso dell’Unione Sovietica del 1991 e in un traffico di proventi del mercato del gas. Per l’Onu e la Banca Mondiale avrebbe intascato circa 200 milioni di dollari.
Da popolare attore filippino diventa presidente del Paese, che governa dal 1998 al 2001. Si costruisce l’immagine di politico diverso, dalla parte dei poveri. Peccato che il suo governo finisce proprio a causa di un processo per corruzione, scaturito dalla confessione di un governatore provinciale che dichiara di avergli consegnato una tangente da 9 milioni di dollari. Per il rapporto StAR ne avrebbe trafugati 70-80.
Nel ‘65 guida il golpe contro Kasavubu, primo presidente della Repubblica Democratica del Congo: regnerà fino al ‘97, accumulando circa 5 miliardi di dollari. Dittatore sanguinario, fa uccidere in pubblico diversi ministri del suo governo e reprime duramente le rivolte studentesche. Il suo regime è conosciuto come “cleptocratico”: corruzione e rapine sono all’ordine del giorno. Nel ‘96 ribelli ruandesi e ugandesi lo attaccano: Laurent-Desiré Kabila si autoproclama presidente nel ‘97. Mobutu muore in Marocco nello stesso anno.
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SANI ABACHA [1943-1998] NIGERIA
ARNOLDO ALEMÀN [1946 – ] NICARAGUA
ALBERTO FUJIMORI [1938 – ] PERÙ
SLOBODAN MILOSEVIC [1941 – 2006] SERBIA [JUGOSLAVIA]
FERDINAND MARCOS [1917 – 1989] FILIPPINE (vedi articolo)
Il generale a capo della dittatura militare nigeriana dal 1993 al 1998. Salito al potere con un colpo di Stato, sopprime tutte le istituzioni democratiche e sostituisce i funzionari pubblici con militari. Abolisce le riforme economiche e vieta ogni attività politica libera. Il suo governo è accusato di violazione dei diritti umani, in particolare dopo l’assassinio dell’attivista Ken Saro-Wiwa. Avrebbe sottratto al suo paese tra i due e i cinque miliardi di dollari. Muore nel 1998 colpito da un attacco di cuore.
Presidente del Nicaragua dal 1997 al 2002. Ricordato soprattutto per gli scaldali legati alla corruzione. Per l’Onu e la Banca Mondiale ha accumulato circa 100 milioni di dollari, rubati dalle casse del Paese. Nel 2003 è stato condannato definitivamente a 20 anni di reclusione per riciclaggio di denaro sporco, corruzione e peculato, ma per ragioni di salute ha ottenuto gli arresti domiciliari. Nel corso del processo fu provato l’uso privato di fondi pubblici.
Presidente del Perù dal 1990 al 2000. Il 22 settembre scorso è stato estradato dal Cile a Lima, in Perù. Su di lui pesano 20 capi di imputazione, per 232 anni di prigione. Nei dieci anni di governo dittatoriale avrebbe corrotto giudici, politici e giornalisti (nel 2000 è stato mandato in onda su un canale televisivo nazionale un video del suo braccio destro, il capo dei servizi segreti, Vladimiro Montesinos, mentre pagava 15 mila dollari a un membro del Congresso), finanziato la guerriglia colombiana e trucidato circa 70 mila oppositori.
Presidente della Serbia dal 1989 e della Repubblica Federale di Jugoslavia dal 1996 al 2000, come leader del Partito socialista serbo (SPS). Dopo i bombardamenti Nato del ‘99 e il ritiro dell’esercito jugoslavo dal Kosovo, alle elezioni del 2000 Milosevic viene sconfitto da Vojslav Kostunica, nazionalista moderato, leader dell’opposizione. Il primo ministro Zoran Dindic lo consegna al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, dove sarà processato per crimini contro l’umanità. Muore in carecere il 3 maggio del 2006.
Presidente delle Filippine dal ‘66 al 1986: vent’anni di dittatura e guerre fratricide contro i componenti del Pkp (Partito comunista filippino) e gli esponenti islamici. Favorisce lo sfruttamento economico delle risorse locali da parte di multinazionali. Dagli Usa riceve i dollari per foraggiare l’esercito. Nell’86, con la vittoria di Corazon Aquino, vedova del leader dell’opposizione Benigno, ucciso dai militari nell’83, l’opposizione sale al potere. Marcos è costretto alla fuga. Muore in esilio alle isole Hawaii nell’89.
nei Paesi di origine. In pochi ci sono riusciti, con una trafila lunga e piena di ostacoli, con la resistenza delle autorità svizzere, lussemburghesi o britanniche (nelle isole Vergini). Ci sono voluti 5 anni di trattative con le autorità svizzere perché la Nigeria potesse rivedere i 505 milioni di dollari, sul totale di 2-5 miliardi, intascati dagli Abacha e depositati nelle banche elvetiche. Addirittura 18 anni al governo filippino per riuscire ad ottenere 624 milioni di dollari, solo una parte dei miliardi rubati. Ma, naturalmente, è necessario mettere mano anche ai sistemi politici, legali, sociali dei Paesi del Sud del mondo. Il rapporto StAr sottolinea come questi saccheggi in grande stile siano stati possibili grazie a un mix di mancanza di trasparenza, da parte dei governi, di controllo da parte delle istituzioni, di libertà della società civile, insieme a una cultura diffusa della corruzione. Tanto più i dittatori erano liberi di agire indisturbati, come Marcos nelle Filippine o Abacha in Nigeria, quanto più è stato facile sottrarre fondi. Serve quindi un serio programma di riforme nei Paesi più poveri, e più deboli, che permetta di rafforzare le istituzioni pubbliche e creare un sistema di controlli e di totale trasparenza. Altrimenti si corre il
rischio che, anche se i tesori dovessero essere recuperati, non vengano usati nel modo giusto.
Un tesoro da non sprecare Una volta restituiti i tesori trafugati, ogni singolo Paese può decidere come usarli, per soddisfare i problemi più urgenti. Il rapporto StAR per dimostrare il possibile impatto positivo della restituzione dei fondi, porta l’esempio della sanità e della lotta all’Hiv/Aids. Per ogni 100 milioni di dollari recuperati si potrebbero pagare medicine per un anno per 600 mila malati di HIV/Aids, da 50 a 100 milioni di trattamenti anti-malaria, vaccini per quattro milioni di bambini, acqua potabile per 250 mila case, 240 chilometri di strada asfaltata. Ma non è affatto scontato che i tesori recuperati facciano questa fine. Purtroppo, infatti, Onu e Banca Mondiale hanno verificato che in diversi casi i soldi recuperati non sono stati sempre usati per la crescita del Paese. È il caso del Perù, dove i 180 milioni di dollari recuperati hanno preso strade discutibili. Nove milioni, ad esempio, nel 2004 sono finiti nelle tasche del ministro dell’Interno e sono serviti a pagare le vacanze di ufficiali di polizia.
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Imelda Marcos bacia la salma del marito il giorno dopo la sua morte, a Honolulu, il 28 settembre 1989.
Il dittatore filippino Ferdinand Marcos è morto da 18 anni, ma il suo tesoro è ancora nascosto nelle banche di tutto il mondo.
I di Paolo Fusi
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Soldi, soldi, soldi Negli anni della dittatura aveva soprattutto badato a far soldi, inserendo un pizzo su tutte le produzioni destinate all’esportazione: la pesca, lo zucchero, il legname, la birra, il tabacco. Chi voleva vendere all’estero – e guadagnare bene – doveva costituire una società offshore che appartenesse per un terzo a chi realmente operava e per due terzi a Marcos. A sua volta Marcos spostava le azioni di queste società in holding, la maggior parte in Liechtenstein ed amministrate dal Credit Suisse, che ridividevano i pro-
stralia. La seconda, con la pin up tedesca Barbara Hagyesi. A Barbara ed alla comune figlia lui regalò diverse case, un ranch immenso, decine di migliaia di capi di bestiame e circa 20'000 cavalli.
Un patrimonio ben nascosto
Sedici anni di ricerche faticose e di battaglie giudiziarie hanno portato allo Stato delle Filippine poco meno di un miliardo di dollari. Un’inezia, se si pensa che secondo Parlade all’atto della fuga Marcos aveva nascosto oltre 12 miliardi, che oggi saranno oltre 100 miliardi. Gli svizzeri hanno affidato l’inchiesta ad un procuratore notoriamente discusso, lo zurighese Peter Cosandey, che, in combutta con Inizia la caccia a Marcos uno degli avvocati delle Filippine, Martin Kurer, ha ragIn quell’aprile la Presidente Corazon Aquino, giunto una sorta di compromesso tra il Credit Suisse – per che non aveva idea di come fare a recuperare il il cui gruppo poi Cosandey ha lavorato, dopo aver lasciatesoro scomparso, promulgò un editto che dava to la procura – ed il governo di Manila. Gli americani hanvita alla PCGG Presidential Commission on no processato Imelda che non sapeva veramente nulla ed Good Government, che avrebbe avuto l’incarico è stata assolta. I Liechtensteinesi hanno applicato una legdi raccogliere le prove sui crimini della dittatura e puge del loro sistema costituzionale monarchico che recita: nirli. Alla sua testa mise Jovito Salonga, uno dei pochis“Princeps legibus solutus ist”, il Principe non ha l’obbligo simi intellettuali di livello internazionale del Paese, per di osservare le leggi. Dato che Marcos era equiparabile al anni imprigionato e torturato dal regime, e Boboy ParPrincipe delle Filippine, il suo operato a Vaduz è comunlade, un ragazzo che aveva studiato da bancario negli que indiscutibile e non può essere oggetto di un’inchiesta. Stati Uniti. Alla PCGG vennero attribuiti poteri incrediAll’inizio dell’attuale decennio, quando il Liechtenbili: da inquirente, può rappresentare l’accusa in Tribustein cambia la legislazione gli equilibri nelle Filippine sonale, emettere e ricevere rogatorie internazionali, svolno cambiati. Parlade è scomparso, Salonga ha oltre 90 angere tutti gli atti di rappresentanza dello Stato filippino ni. La Presidentessa attuale, la signora Arroyo, corrotta alall’estero, emettere mandati di cattura ed anche ordini meno quanto i Marcos, lavora ad un compromesso con di congelamento e sequestro di fondi. Bongbong, il figlio legittimo di Ferdinand ed Imelda. Parlade e Salonga si Tra il 2002 ed il 2004, in appoggio allo Studio Legale timuovono alla svelta. Marcinese Salvioni & Salvioni – che è tuttora uno dei pochiscos ha lasciato scatoloni piesimi di cui ci si possa fidare in Svizzera – ho lavorato con ni di estratti conto svizzeri, la PCGG per trovare dove sono finiti gli altri soldi. Abbiaamericani e del liechtenmo trovato poco meno di dieci miliardi di dollari deposistein. La PCGG li mette intati in conti bancari, nelle casseforti di oltre 120 società offsieme, prende tre avvocati shore, nei capitali di banche, società di legname, di trading in Svizzera, due negli Stati ed immobiliari di mezzo mondo. Uniti e parte all’attacco. ParDieci miliardi di dollari avrebbero dovuto far gola al lade prepara alcuni dossier esemplificativi, che sono angoverno di Manila che, invece, si è completamente dicora oggi un capolavoro investigativo, se si pensa ai posinteressato alla faccenda. I cronies più furbi di Marcos, chissimi strumenti a disposizione. come il cugino Herminio Tolentino Disini o il compaSvizzera, Liechtenstein, Austria, Germania, Panama, gno di sempre, Lucio Tan, si godono ora una vecchiaia Antille Olandesi, Hong Kong e Stati Uniti avevano ed miliardaria – per non parlare delle provvigioni che banhanno tuttora un interesse fortissimo a non far saltare chieri svizzeri ed americani hanno pagato a se stessi per fuori i soldi. Per prima cosa perché i fiduciari di quei paeessere quasi riusciti a raggiungere indenni la soglia dei si difendono gli interessi dei propri clienti, in secondo 25 anni, necessaria per intascare il tutto… Un solo detluogo perché secondo le legislazioni di questi paesi, dotaglio, tanto per capire: la Limag AG Vaduz (Liechtenpo 25 anni senza che il proprietario li reclami, i soldi steinische Marcos-Gesellschaft) è tuttora una delle più vengono incamerati dalla banca o dal fiduciario che li grandi e ricche società del Principato, e nel suo consiglio ha in gestione. Marcos, che non si fidava di nessuno, i d’amministrazione seggono i rappredati sul suo tesoro non li ha detti a nesPER SAPERNE DI PIÙ sentanti delle famiglie più potenti del suno, tantomeno a sua moglie, che Liechtenstein. Loro, Ferdinand Marodiava, peraltro ricambiato. Parallelawww.transparency.org cos, lo ritengono un eroe nazionale. mente Marcos aveva almeno altre due www.unodc.org Del proprio Paese, s’intende. famiglie, una in Austria ed una in Au-
Il tiranno impose dazi su ogni prodotto esportato. Autorizzò una centrale nucleare su un vulcano che gli fruttò miliardi di dollari in tangenti
Dieci miliardi senza padrone IL 16 APRILE 1986 PARTE LA PIÙ GRANDE CACCIA al tesoro ufficiale della storia dell’umanità. Ferdinand Edralin Marcos scappa precipitosamente dal Palazzo di Malacañang, simbolo del suo potere, con un cargo degli americani – i suoi alleati di sempre – che porteranno al sicuro lui, la sua famiglia, i gioielli e le scarpe di sua moglie Imelda Romualdez. A dare il via alla caccia è la cugina di sua moglie, Corazon Aquino, vedova di un ex ministro della dittatura, Baltazar, mitragliato dai fedeli di Marcos.
venti delle società commerciali: due terzi a Marcos ed un terzo ad uno dei suoi “cronies”, il nome affibbiato dal popolo filippino ai complici e familiari. Quando gli sembrò che si guadagnasse troppo poco, offrì alla Westinghouse di costruire una centrale nucleare sulle pendici di un vulcano attivo, a pochi chilometri da Manila. La centrale venne realizzata, ovviamente non andò mai in produzione, ma costò allo Stato filippino quasi 5 miliardi di dollari, 1,8 dei quali pagati come tangenti al dittatore ed ai suoi cronies.
Il busto di Marcos eretto nella collina di Benguet. Sarà distrutto dopo la morte del dittatore da ignoti attivisti e membri delle tribù locali.
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Mal d’Africa Per la Cina è colpo di fulmine
MAPPA DELLA CINA IN AFRICA
Saranno stati i paesaggi mozzafiato, i colori o i safari a far scattare la scintilla di Pechino per l’Africa? O forse le risorse naturali, i diamanti, il petrolio e un enorme mercato per i prodotti cinesi… sono gli Stati africani con cui Pechino nel corso dell’ultimo decennio ha stretto ottimi rapporti d’affari. Se la notizia dell’acquisizione da parte di un colosso del credito cinese di un quinto di una delle principali banche africane ha un po’ stupito, perché apre un nuovo terreno di investimento, ciò che non stupisce è quello che sta dietro: ovvero la costatazione che sempre di più l’Africa è strategica per la Cina. Non è difficile intuire le ragioni: l’Africa è ricchissima di materie prime, necessarie alla Cina per nutrire la sua costante crescita economia. Petrolio da Sudan, Angola e Nigeria, cotone da Benin, Togo, Mali, Camerun e Burkina Faso, legname dalla Guinea Equatoriale, cobalto dalla Repubblica democratica del Congo, platino oro e diamanti da ZimLE GRANDI INDUSTRIE DEL PRESIDENTE JINTAO ALLA CONQUISTA DEL CONTINENTE AFRICANO babwe e Sudafrica. E la lista potrebbe continuare. Ma non c’è solo la fame di materie CHINA NATIONAL PETROLEUM CORPORATION (CNPC) In Africa ha uffici in Algeria, Angola, Benin, Burkina Faso, prime: l’Africa costituisce anche un imLa China National Petroleum Corporation (Cnpc), di proprietà Camerun, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Costa menso bacino commerciale in cui riversare statale, è la più grande società petrolifera cinese e conta d’Avorio, Gibuti, Guinea Equatoriale, Eritrea, Etiopia, i manufatti cinesi, abbordabili anche per le più di un milione di dipendenti. Controlla riserve petrolifere Ghana, Gabon, Kenya, Liberia, Libia, Madagascar, Malawi, da 3,7 miliardi di barili. In Cina, gran parte del suoi assets povere tasche della maggioranza della poMali, Mauritania, Marocco, Mozambico, Niger, Nigeria, sono stati trasferiti a una società separata, la PetroChina. Ruanda, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudafrica, Sudan, polazione africana.
1 ANGOLA, PETROLIO MA NON SOLO È uno dei partner principali della Cina in Africa. Se il 30% del fabbisogno cinese di petrolio è coperto dal greggio africano, il 14% arriva dall’Angola. Nel gennaio 2005 la Exim Bank cinese ha concesso al governo angolano un prestito da 1 miliardo di dollari (oggi tra i 6 e i 9 miliardi) da usare per rimettere a nuovo il Paese dopo decenni di guerra, costruendo strade, ponti, ferrovie, case, scuole e ospedali. Corollario dell’accordo: il 70% di tutti i contratti delle aziende pubbliche finanziati con i soldi cinesi sarà assegnato a compagnie cinesi. La compagnia di telecomunicazioni cinese ZTE investirà in Angola 400 milioni di dollari.
3 CONGO (EX ZAIRE), COBALTO Nel 2005 la Cina è diventata il principale produttore di cobalto al mondo. Tre quarti arrivano dall’estero, il 90% dal Congo. Lo scorso settembre la Cina ha concesso al governo di Kinshasa un prestito di 5 miliardi di dollari da utilizzare per infrastrutture, miniere, agricoltura e bioenergia.
SINOPEC La Sinopec, o China Petroleum and Chemical Corporation, è la principale fornitrice di prodotti petroliferi e petrolchimici della Cina e la seconda compagnia produttrice di greggio. In Africa è presente, tra gli altri paesi, in Liberia, Sudan, Nigeria e Gabon. CHINA NATIONAL OFFSHORE OIL CORPORATION (CNOOC) La Cnooc è uno dei giganti petroliferi cinesi, di proprietà statale. In Africa è presente in diversi paesi. Ha acquisito il 45% della concessione OML 130, in Nigeria, per un totale di più di due miliardi di dollari. ZTE La ZTE è l’azienda di telecomunicazioni leader in Cina.
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Tanzania, Tunisia, Uganda, Zambia e Zimbabwe. SINOHYDRO Altra impresa di stato, la Sino-Hydro Corporation è la più grande compagnia di costruzioni idrauliche e idroelettriche della Cina. In Cina ha lavorato anche al progetto della diga delle Tre Gole. In Africa è presente in Angola, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Madagascar, Mozambico, Sudan, Zambia e Zimbabwe. HANRUI COBALT CORPORATION La Hanrui Cobalt è un gruppo specializzato nello sfruttamento, nella raffinazione e nella produzione di cobalto. Dopo un decennio di crescita, è diventata il principale produttore in Asia e tra i primi tre nel mondo. Del gruppo fanno parte la Nanjing Hanrui Cobalt, la SARBO South Africa, la SARBO Congo, la SARBO Zambia.
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A Pechino ci si scambiano regali L’anno dell’exploit cinese in Africa è stato il 2006. Perché è stato in quei dodici mesi che la presenza di Pechino nel continente è diventata evidente a tutti, anche a quegli osservatori e attori internazionali che non le avevano ancora dato un adeguato peso. Tra documenti ufficiali, frequenti viaggi in Africa delle tre più alte cariche istituzionali cinesi e fiumi di inchiostro utilizzati per firmare accordi di ogni tipo, il punto più alto è stato toccato all’inizio di novembre dell’anno scorso, quando a Pechino 48 tra capi di stato e di governo di altrettanti paesi africa-
5 GABON, PETROLIO E LEGNAME Il Gabon vende un quinto della sua annuale produzione petrolifera alla Cina. Nel Paese sono presenti le cinesi Sinopec e Unipec. Nel 2003, il 40% delle importazioni cinesi di legname arrivavano dal paese centrafricano, il 46% del totale delle esportazioni gabonesi. 6 GUINEA EQUATORIALE, PETROLIO E LEGNAME La Cina compra circa il 60% del legname che la Guinea Equatoriale esporta. E da qualche anno è presente anche nel settore petrolifero.
EXPORT DI PETROLIO
TTOBRE SI È CHIUSO CON UNA NOVITÀ.
In Africa è presente in Algeria, Ciad, Guinea Equatoriale, Libia, Mauritania, Niger, Nigeria, Sudan e Tunisia.
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4 ETIOPIA, TELECOMUNICAZIONI E CEMENTO Nel dicembre 2006 Cina e Etiopia hanno firmato un accordo per la “realizzazione di progetti di sviluppo” per 26 milioni di dollari. Il premier Meles Zenawi ha anche assicurato che nel corso del 2007 la Cina avrebbe investito 1,5 miliardi di dollari nel settore delle telecomunicazioni, 500 milioni nell’industria cementifera e altre cifre per l’attività mineraria e per la costruzione di infrastrutture.
EXPORT DI MINERALI, DIAMANTI, ORO, RAME
La più grande banca sudafricana, la Standard Bank, ha annunciato di aver concluso un accordo senza precedenti: il 20% delle sue azioni, pari a 5,6 milioni di dollari, sarà acquistato dalla di Irene Panozzo più grande banca cinese, l’Industrial and Commercial Bank. Secondo il comunicato della Standard Bank, l’accordo metterà i due istituti “all’incrocio delle interazioni economiche tra la Cina e il continente africano”. Una facile previsione, tanto più che la Standard Bank ha una presenza continentale, con partecipazioni in diciotto paesi diversi. Ma ben di più
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2 CAMERUN, LEGNAME Il Camerun esporta circa l’11% del suo legname in Cina.
EXPORT DI PRODOTTI NATURALI, CAFFÉ, CACAO, COTONE
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PETROLIO, GAS E LEGNAME Al summit di Pechino Cina e Liberia hanno firmato un accordo che garantisce alla Sinopec il diritto di cercare petrolio e gas. La Cina è già presente nel Paese nel settore del legname.
8 NIGERIA, PETROLIO E GAS Attraverso la Cnooc, la Cina ha messo mano su importanti giacimenti nigeriani offshore di petrolio e gas. Nel 2006 il presidente Hu Jintao ha firmato con la Nigeria sette accordi di cooperazione, assicurandosi licenze per esplorazioni petrolifere. In cambio Pechino si è impegnata a costruire impianti idroelettrici e una rete ferroviaria. Nel maggio 2007 Pechino ha mandato in orbita il satellite Nigerian Communication Satellite.
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1 9 SUDAN, PETROLIO Con le sue esportazioni di greggio, il Sudan copre il 7% circa del fabbisogno cinese. La cinese Cnpc ha la quota di maggioranza (40%) del Greater Nile petroleum operating company (Gnpoc), il consorzio che possiede l’oleodotto di 1540 km che porta il greggio dai campi del Sud a Port Sudan, sul Mar Rosso. Secondo le stime, Pechino avrebbe investito circa 20 miliardi di dollari In Sudan.
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ni si sono presentati all’appello del suntuoso summit sino-africano convocato dal presidente Hu Jintao. Da parte sua il leader cinese ha promesso molti doni: il raddoppio degli aiuti dati all’Africa nel 2006; 3 miliardi di dollari in prestiti preferenziali e altri 2 miliardi in crediti all’esportazione; un fondo di sviluppo Cina-Africa di 5 miliardi di dollari per incoraggiare le compagnie cinesi a investire in Africa; la cancellazione del debito dei paesi altamente indebitati e/o meno sviluppati; la cancellazione dei dazi per 440 merci africane, dalle attuali 190; la creazione di cinque “zone di cooperazione commerciale ed economica” in Africa; e la formazione di 15mila professionisti africani nei settori agricolo, culturale e medico, con una particolare attenzione alla lotta alla malaria. Il tutto entro il 2009. Mentre Hu faceva le sue promesse, il premier Wen Jiabao assicurava gli imprenditori sino-africani che entro il 2010 il volume commerciale tra Cina e Africa toccherà i cento miliardi di dollari (è stato di 55,5 miliardi di dollari nel 2006) e i rappresentanti di una serie di governi africani firmavano accordi con diverse imprese cinesi per un valore totale di 1,49 miliardi di dollari.
Secondo le stime attuali sono 750 le aziende cinesi presenti in Africa
Biocarburanti
Sono passati dodici mesi dal summit di Pechino e gli affari hanno continuato a fiorire. Tenere il registro di tutti i contratti e gli investimenti che le aziende cinesi hanno effettuato in Africa è però quasi impossibile, visto lo scarso amore per la trasparenza sia a Pechino che nei vari palazzi del potere africani. Stando alle stime attuali, circa 750 diverse compagnie cinesi operano in una cinquantina di paesi africani. Gran parte della crescita economica del continente, che nel 2006 è stata del 5,5%, sarebbe da attribuire proprio alle attività di queste imprese, che coprono quasi tutto il paese. Nessuna condizione viene posta dalla Cina: non contano le violazioni dei diritti umani, delle leggi che regolano il lavoro o la tutela ambientale e nemmeno la trasparenza o una buona governance. L’unica condizione che Pechino pone è accettare il principio di “una sola Cina”, quella popolare, e quindi non intrattenere relazioni con Taiwan. Poca cosa, visto che per il resto tutto è permesso, in onore del principio, che Pechino vuole adottato innanzitutto a casa sua, di “non interferenza negli affari interni”.
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Pechino “aiuta” il Sudan con una diga gigantesca Dopo il disastro ambientale della diga delle Tre Gole, la Cina ci riprova. Un’operazione da 520 milioni di dollari. A 350 CHILOMETRI A NORD DI KHARTOUM, all’altezza della quarta cateratta del Nilo, circa 70mila persone sono state o saranno costrette a lasciare i loro villaggi. Il motivo: la costruzione di una diga, alta 67 metri e lunga 9 chilometri, necessaria di Irene Panozzo a raddoppiare la capacità idroelettrica del paese con la produzione di 1250 Megawatt di energia. Un progetto faraonico, che creerà un bacino artificiale lungo 174 chilometri, con una superficie di 476 chilometri quadrati. Costerà in tutto poco meno di 2 miliardi di dollari, forniti in larga parte da investitori stranieri. Prima di tutto dalla Cina: la Exim Bank di Cina ha fornito 520 milioni di dollari, in tre diversi prestiti da restituire entro vent’anni. Altri 575 milioni sono stati sborsati LIBRI da Khartoum, mentre i restanti 871 milioni di dollari sono stati forniti da sei diversi fondi di sviluppo o governi arabi, per lo più del Golfo. Per la costruzione dell’opera, l’appalto da 660 milioni di dollari è stato vinto dal Consorzio cinese per la diga di Merowe (Ccmd), formato da due colossi dell’industria idroelettrica, la China International water and electric corporation (Cwe) e la China hydraulic and hydroelectric C. Brighi, I. Panozzo, I.M. Sala construction group corporation (Cwhec, chiamata anche Safari cinese SinoHydro Corporation), entrambi attivi anche in molti Petrolio, risorse, altri paesi africani. Nel progetto però opera anche una somercati. La cina conquista l’Africa cietà europea: la Alstom, francese, che per 250 milioni di Ed. ObarraO, 2007 dollari fornirà gli strumenti elettro-meccanici, tra cui le 10 turbine da 125 megawatt ciascuna. La diga di Merowe,
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EROWE, SUDAN.
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che dovrebbe essere pronta per la metà del 2008, ha però un’altra particolarità: diversamente da quanto emerge dal sito ufficiale www.merowedam.gov.sd, la popolazione locale ha accolto male le decisioni prese sopra la sua testa. Soprattutto perché l’area in cui in molti sono già stati costretti a trasferirsi ha terreni estremamente aridi, neanche paragonabili alle fertili terre che costeggiano il Nilo. E i tassi di povertà tra la popolazione dislocata, tradizionalmente dedita all’agricoltura, sembrano essere cresciuti rapidamente, contrariamente a quanto promesso dal governo. Quel che è peggio, però, è che Khartoum ha represso duramente le manifestazioni di protesta della popolazione che ancora non è stata spostata e che ha chiesto di evitare il deserto. Nell’incidente più cruento, la milizia al soldo della autorità della diga ha ucciso tre persone e ne ha ferite altre 47. Lo scorso agosto anche il rappresentante speciale dell’Onu per il diritto all’abitazione ha condannato “i colpi d’arma da fuoco contro i dimostranti disarmati, l’arresto arbitrario di attivisti e le misure repressive contro la stampa”, allo stesso tempo incoraggiando “gli Stati, in particolare la Cina e la Francia, ad assicurarsi che il lavoro delle loro aziende nazionali non abbia, direttamente o indirettamente, un impatto negativo sui diritti umani delle popolazioni coinvolte”. Non sembra che i due governi abbiano fatto alcun passo per evitare che quanto già accaduto possa ripetersi. E i lavori procedono.
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Opzione che può trasformarsi in rischio di Massimiliano Pontillo
UELLA DEI BIOCARBURANTI È UNA VECCHIA IDEA! SICURAMENTE SOSTENIBILE. Già Henry Ford sosteneva la necessità che ogni agricoltore avesse un piccolo distributore di biodiesel autoprodotto per poi venderlo direttamente al consumatore, così come si fa per qualsiasi prodotto agricolo. Rockfeller invece voleva che la distribuzione dei carburanti fosse gestita da catene di distributori legati alle grandi compagnie petrolifere. Riuscì a far passare l’idea del proibizionismo non solo per l’alcol, ma anche per i biocarburanti. Quando l’opinione pubblica si rese conto della scarsa efficacia delle leggi contro la produzione e il consumo dell’alcol, gli agricoltori erano ormai diventati “dipendenti” dai prodotti petroliferi. Gli ingenti investimenti che lui stesso aveva sostenuto per i gruppi cattolici fondamentalisti e l’aver fatto approvare le leggi proibizioniste si rivelarono subito un ottimo affare: in pochi anni tutti furono costretti a rifornirsi presso i distributori autorizzati, molti dei quali, guarda caso, acquistavano gasolio e benzina dalle raffinerie di quello che sarebbe diventato, grazie a questo marchingegno, uno dei più grandi miliardari americani della storia. Oggi la sfida, soprattutto nei Paesi europei dove esistono più restrizioni rispetto agli Usa, è quella di far pressione per ottenere maggiori libertà per raggiungere l’indipendenza dalle fonti fossili (il petrolio in questi giorni ha raggiunto quota 100 dollari al barile!), un ambiente più pulito e minori emissioni di carbonio, in modo da promuovere filiere locali di produzione di olio vegetale combustibile. Preme sottolineare però alcune questioni importanti. I biocarburanti e il biodiesel in particolare possono Se ottenuti da scarti agricoli sono presentare un impatto ambientale molto pesante, sicuramente molto interessanti o al contrario essere “ecologically correct”: tutto anche in termini di valutazione dipende da come vengono prodotti. Se si produce del ciclo di vita. Altrimenti biodiesel dal metanolo, sostanza fortemente tossica il potenziale danno può essere per l’uomo e l’ambiente, quello che si ottiene superiore a quello prodotto dai prodotti derivanti da fonti fossili è sicuramente un prodotto nocivo. È dunque fondamentale distinguere il biodiesel convenzionale prodotto con procedimenti industriali, partendo da materie prime fossili come il carbone, da quello che si ottiene da materie prime rinnovabili come quelle d’origine vegetale, senza fare uso di prodotti chimici pericolosi e tossici. In questo caso si tratta di un carburante che presenta un bilancio energetico positivo. Altro aspetto da non sottovalutare, non solo per la sua valenza ambientale, ma etica: la competizione per l’uso del suolo tra colture alimentari e colture per la produzione di energia. Le piante svolgono un ruolo fondamentale nel processo di fissazione del carbonio, liberando ossigeno. Tutti sappiamo che uno dei modi per ridurre l’elevato contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera, causa del riscaldamento globale, è la piantagione di alberi, la riforestazione; da questo punto di vista dunque la competizione tra i diversi utilizzi del suolo è triplice: cibo, biocarburante e fissazione del carbonio. Per essere sostenibile, un biocarburante deve essere ottenuto da materiali di scarto dell’industria alimentare, con la garanzia che provenga da colture che fissino il carbonio presente in atmosfera o quanto meno assicurino un bilancio positivo o nullo fra il carbonio fissato e quello liberato. In caso contrario il rischio di trasformare la produzione di biocarburanti in una nuova minaccia per il pianeta è seria. Una rivoluzione che non sarebbe mica poi così tanto “verde”.
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Bernardino Nogara
Il banchiere di Dio di Andrea Montella
Dopo Gesù Cristo la cosa più grande che è capitata “ alla Chiesa cattolica è Bernardino Nogara ”
Francis Spellmann cardinale di New York
NOGARA, ERANO CONOSCIUTI A BELLANO, UNA CITTADINA SUL LAGO DI COMO, come una famiglia devota alla Chiesa a cui avevano reso notevoli servigi, tanto che tre figli divennero sacerdoti e uno direttore del Museo Vaticano. Chi diede lustro alla famiglia fu, però, l’ingegner Bernardino. Laureatosi al Politecnico di Milano, fu ingegnere minerario in Turchia, dove sviluppò relazioni di tipo politico, sino a giungere nel 1912 ad occuparsi del trattato di pace di Ouchy (Losanna), che pose fine alla guerra libica tra Italia e Turchia. Nel 1919 fece parte della delegazione che negoziò la pace tra Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania. Le sue capacità relazionali gli aprirono le porte del mondo delle banche, tanto da essere nominato delegato italiano della Banca Commerciale di Istanbul e diventare membro del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico Ottomano. Dal 1924 al 1929 si trasferì a Berlino dove si occupò della gestione delle industrie, nella Commissione Interalleata per l'applicazione del Piano Dawes per le riparazioni germaniche di guerra. Nogara dal 1925 al 1945 fu consigliere della Banca Commerciale Italiana e grazie alle sue relazioni non fece fatica ad essere nominato vicepresidente della Comit, il 28 giugno 1945. In Vaticano Bernardino Nogara aveva uno sponsor, il fratello monsignore che, nel ‘29 dopo la firma dei Patti Lateranensi, convinse il Pontefice a cui era legato da solida amicizia, che era l’uomo giusto per gestire le finanze. Fu chiamato da Pio XI a dirigere l'Amministrazione Speciale della Santa Sede, che riIl divieto del prestito ad usura era stato sancito in più di un ceveva da Mussolini in cambio della sovranità limitata un sussidio Concilio: da quello di Arles, a quello di Nicea, ribadito in quello di di 3.250.000 lire annue, l’esenzione dalle tasse e dai dazi sulle merCartagine e di Aix, sino a quello Laterano in cui gli usurai furono ci importate. I Patti inoltre predisposero un risanamento per danni scomunicati. finanziari subiti dallo Stato Pontificio a causa della fine del potere Quando Mussolini invase l’Etiopia, le bombe sganciate e le armi temporale, quantificato dall’articolo 1 in 750 milioni di lire, e ulteusate erano prodotte da una fabbrica che Nogara aveva appena acriori azioni dello Stato consolidate al 5% al portatore, per un valore quistato. Siccome Bernardino era mosso da spirito ecumenico, poco nominale di 1 miliardo di lire dell’epoca. In segno di riconciliaziodopo diede le stesse armi ai comunisti di Mao Tsedong. ne il Papa uscì in processione in piazza San Pietro: un avvenimento Probabilmente questa politica di far soldi con le guerre deve averdel genere non accadeva dai tempi di Porta Pia. la imparata dai Rothschild, una delle poche dinastie di banchieri che Benedetto dal Papa, Bernardino, accettò la gestione del denaro facevano affari col Vaticano sin dai primi anni del XIX secolo e che del Vaticano ma pose precise condizioni: «1) Qualsiasi investimento avevano accumulato con le guerre napoleoniche un’enorme fortuna. che scelgo di fare deve essere completamente libero da qualsiasi consideBernardino si mosse con disinvoltura vendendo o acquistando razione religiosa o dottrinale; 2) devo essere libero di investire i fondi del tutto quello che poteva dall’oro agli immobili, dalle azioni alle soVaticano in ogni parte del mondo». cietà. Fort Knox conserva ancora una bella fetta dell’oro del VaticaPio XI aprì così le porte all’usura, alla speculazione, all’acquisto no, come del resto Fidel Castro, che lo ha trovato dopo la fuga del di azioni in società che fabbricavano prodotti incompatibili con dittatore Batista. Sarà per questa solida ragione che Fidel non è mai l’etica cattolica, come carri armati, cannoni, bombardieri. stato scomunicato in quanto comunista.
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Accettò di gestire le finanze della Santa Sede a condizione di essere “libero da qualsiasi considerazione religiosa”. Si aprirono così le porte all’usura, alla speculazione e all’acquisto di azioni anche di società che fabbricavano armi
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Sopra, Pio XI con Marconi e il cardinale Eugenio Pacelli futuro Pio XII all’inaugurazione della Radio Vaticana. A sinistra in alto, Calvi. A sinistra in basso, Marcinkus. A destra in alto, Sindona. A destra in basso, Pio XII in preghiera. Nella pagina a fianco Bernardino Nogara.
Nogara acquistò il più importante fornitore nazionale di gas, l’Italgas. Nel CdA vi mise un uomo di sua assoluta fiducia, Francesco Pacelli, fratello del nuovo papa Pio XII. Quello di mettere i Pacelli nei consigli di amministrazione per Nogara era come apporre il proprio sigillo, che attestava la buona riuscita dell’affare appena concluso. Infatti i principi Carlo, Marcantonio e Giulio Pacelli, nipoti di Pio XII, entrarono a far parte di numerosi consigli di amministrazione. Attraverso Nogara il Vaticano estendeva la sua influenza nell’economia capitalistica, acquisendo il controllo diretto o indiretto di molte banche, come il Banco di Roma, il Banco di Santo Spirito e la Cassa di Risparmio di Roma. Quando le banche vaticane erano in difficoltà, come accadde col Banco di Roma, il “buon” Bernardino andava da Mussolini a chiedergli di rilevare i titoli senza valore e trasferirli all’IRI, ottenendo per di più un rimborso non al valore corrente delle azioni, che era pari a zero, ma al prezzo di acquisto. Con questa bella pensata l’IRI sborsò più di 630 milioni di dollari e quindi le perdite furono indirettamente scaricate sullo Stato italiano deprivando gran parte della popolazione. Anche nella Germania di Hitler il Vaticano godeva di una rendita, derivante dal trattato firmato con il dittatore, in cui si confermava la Kirchensteuer, la tassa ecclesiastica, che è in vigore ancora oggi anche se non è più obbligatoria, ed è pari al 9 per cento dell’imposta sul reddito. Il denaro raccolto veniva poi consegnato
alla Chiesa cattolica e protestante. Grazie a questa imposta nel 1943, in piena guerra, affluirono in Vaticano ben 100 milioni di dollari. Il 27 giugno 1942, Pio XII, spinto da frenesia modernista, mise nelle mani di Bernardino una nuova struttura finanziaria, nata dalla ristrutturazione dell’Amministrazione delle Opere Religiose in Istituto per le Opere Religiose: la Banca Vaticana, lo IOR. L’azione di Nogara creò solidi legami con banche note per avere ai vertici il fior fiore della massoneria: Hambros, Credit Suisse, Morgan Guarantee, The Bankers Trust Company di New York, Chase Manhattan, Continental Bank dell’Illinois. Nel settore industriale acquistò azioni della General Motors, Shell, Gulf Oil, General Electric, IBM, Bethlehem Steel e TWA. Investì molto denaro nelle assicurazioni, nelle industrie alimentari e del cemento, necessario alle attività edilizie dato che erano dello IOR l’Immobiliare, la SOGENE e lo IOR controllava anche il 15 per cento della Società Italiana Immobiliare. Ma il patrimonio immobiliare del Vaticano si estese in molti paesi: dalla Francia, al Canada, agli Stati Uniti, al Messico. Nel 1954 Nogara decise di ritirarsi, ma non smise di dare i suoi consigli, sino a quando la morte non se lo portò via nel 1958. Dopo Nogara, il Vaticano sotto la supervisione di monsignor Marcinkus, ricorse a Sindona e poi a Roberto Calvi. Solo dopo il fallimento dell’Ambrosiano e l’uccisione di Calvi, si scoprirà l'implicazione del Vaticano negli illeciti operati da Sindona e Calvi. Sindona morirà nel carcere di Voghera il 22 marzo 1986, dopo aver bevuto un caffé al cianuro.
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economiaefinanza
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altrevoci QUEL MISTERIOSO ASSALTO AL PARLAMENTO INDIANO
LA NUOVA RAZZA PREDONA ITALIANA
PARANOIA E POLITICA AL COMANDO DEL MONDO
CONOSCERE LA CINA PER VINCERE LA SFIDA
BASTA POCO PER FARE BRECCIA NEL GHIACCIO
IN VIAGGIO NELLO SPAZIO CON IL NUOVO ASTROCARGO
Dopo il “Dio delle piccole cose”, romanzo d’esordio e best seller mondiale, l’indiana Arundhati Roy torna con un nuovo libro che farà discutere molto per le sue implicazioni politiche. La scrittrice prende spunto da un fatto avvenuto il 13 dicembre del 2001 quando un gruppo di uomini armati assaltò il parlamento indiano. Un blitz fulmineo di cui ancora oggi si conosce poco per quanto riguarda i mandanti e gli esecutori. Di certo le forze di polizia furono inadempienti. Furono “trovate” prove impossibili che alimentarono tensioni e conflitti già pericolosi. Arundhati Roy prende spunto da questo fatto per scrivere una delle sue energiche riflessioni che animano questa raccolta di interventi. I temi più scottanti che agitano l’India contemporanea e il mondo intero vengono affrontati con grande lucidità: il tragico costo dell’economia globalizzata, gli interessi dei poteri forti che non esitano a ricorrere alla guerra e a una spietata repressione del dissenso, la sparizione di intere città e villaggi, con migliaia di uomini e donne che passano da una vita di stenti alla miseria più nera, la macchina dei mass-media, bisognosa di sciagure da cui trarre nutrimento. Lo sguardo di una scrittrice sempre in prima linea alza il velo sui grandi interessi che dominano il pianeta, mirando a una ridefinizione del significato di disobbedienza civile e di azione politica.
Le parole sono pietre. Nel caso del libro “Capitalismo di rapina” sono macigni che schiacciano i protagonisti di una stagione politica e di un sistema finanziario che in pochi anni hanno depredato l’economia italiana. Paolo Biondani, Mario Gerevini e Vittorio Malagutti, i tre giornalisti autori del libro, ricostruiscono la ragnatela di holding e fiduciarie, denunciano le relazioni pericolose tra controllati e controllori, svelano i meccanismi truffaldini, mostrano i documenti dei conti offshore (il lettore potrà vedere la riproduzione del documento di apertura del conto “Sciolina” fatta da Fiorani alla Banca del Gottardo) e soprattutto fanno nomi e cognomi. Soliti noti come Gnutti, Consorte, Fazio, Fiorani e Ricucci; e qualche sopravvissuto eccellente che ai tempi dei fatti faceva il ministro (qualcuno lo fa ancora) o il parlamentare. Scalate vertiginose, buchi patrimoniali, distrazioni più o meno colpevoli delle società di revisione , il tutto con la benedizione della Chiesa. .
Il paranoico persegue ossessivamente l’obiettivo di una concezione del mondo esaustiva, priva di contraddizioni e sfumature, fondata su certezze assolute. Assimilare il paranoico al dittatore, come hanno mostrato magistralmente Koestler, Orwell o Canetti, è ormai un dato acquisito. Ma l’eccezionalità e l’enormità di certe manifestazioni fanatiche e totalitarie e la conseguente evoluzione tragica di alcune figure e di certi avvenimenti storici non devono tuttavia far dimenticare che tutta l’attività politica può essere letta come espressione di un atteggiamento paranoico. Un pericolo che sta dietro la porta di qualsiasi forma di agire pubblico. La paranoia come elemento di sistematizzazione del mondo e al tempo stesso come costruzione di un ordine parallelo dove il conflitto viene annullato.
Per non rimanere colti tra l’eccessiva speranza e il conseguente disincanto, tra il miraggio di un mercato sterminato e la delusione delle cifre, è necessario conoscere la Cina nelle sue numerose articolazioni. Oggi il gigante asiatico presenta meno misteri, ha perso molta della sua patina di esotismo e di estraneità. L’ingresso nel Wto e la presenza del Paese nello scenario internazionale tendono a omologare la Cina alle regole condivise. Eppure essa viene ancora percepita come lontana e differente; la difficoltà a comprendere si ripercuote sulle relazioni economiche. L’Italia infatti arretra rispetto agli altri paesi e comunque non riesce a trarre i vantaggi che potrebbe dalla sua emersione. La Cina, con la sua prepotente ribalta, ha così costretto tutti a leggere la globalizzazione con parametri diversi, superando gli sterili dibattiti tra minacce e opportunità, tra antagonismo e apertura.
Mari si è appena laureata ed è tornata a vivere nel suo Paese natale, dove ha deciso di aprire un piccolo negozio di granite. Quell’estate sua madre ospita la figlia di una sua cara amica, una ragazzina di nome Hajime, che sta attraversando un periodo molto difficile a causa dell’improvvisa morte della nonna. Mari non è affatto entusiasta dell’idea della madre: è indaffarata col negozio appena avviato e pensa di non avere tempo per fare compagnia a una ragazzina così piena di problemi. Infatti, oltre ad avere un piccolo handicap fisico, dopo la morte della nonna, Hajime si rifiuta di mangiare e di uscire di casa. Le due ragazze a poco a poco diventano amiche e Hajime inizia ad aiutare Mari al negozio. Il resto del tempo lo trascorrono tra nuotate nel mare, passeggiate sulla spiaggia e lunghe chiacchierate, sempre sullo sfondo di un incantevole paesaggio marino e di un’amicizia che aiuta a credere nel futuro. .
Ispirato alla tradizione fantascientifica, dai classici come Ray Bradbury agli umoristi come Douglas Adams autore della Guida galattica per autostoppisti, Mikael Niemi lascia questa volta l’ormai famoso Tornedal, la regione più a nord della Svezia in cui era ambientato il suo primo romanzo “Musica rock da Vittula” (tradotto in più di dieci lingue e adatatto per il grande schermo), per avventurarsi nelle galassie vicine e lontane. A bordo di un astrocargo, viaggia attraverso lo spazio, dalla buona vecchia Terra alle più sperdute stazioni di servizio per cosmonisti, e nel tempo, dal momento prima del Big Bang alla fine dell’universo, per accompagnarci alla scoperta di un mondo ancora sconosciuto a noi, novellini dei viaggi spaziali, alla nostra prima esperienza di traversata interplanetaria.
AUTORI VARI CINA: LA CONOSCENZA È UN FATTORE DI SUCCESSO
BANANA YOSHIMOTO IL COPERCHIO DEL MARE
ANDREA CAMILLERI MARUZZA MUSUMECI
Feltrinelli, 2007
Sellerio, 2007
ARUNDATHI ROY LA STRANA STORIA DELL’ASSALTO AL PARLAMENTO INDIANO
Guanda, 2007
BIONDANI, GEREVINI, MALAGUTTI CAPITALISMO DI RAPINA
A CURA DI SIMONA FORTI E MARCO REVELLI PARANOIA E POLITICA
Bollati Boringhieri, 2007
MIKAEL NIEMI IL MANIFESTO DEI COSMONISTI
Iperborea, 2007
narrativa
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ROMANZO D’ESORDIO E CASO EDITORIALE LA VIGATA DI FINE OTTOCENTO NEL NUOVO “CUNTO” DI CAMILLERI Come al solito Andrea Camilleri riesce a sorprendere il lettore con un libro sospeso tra il fantastico e il sogno. Forse questo è il suo libro più poetico. La vicenda si svolge a Vigata alla fine dell’ Ottocento, nella contrada Ninfa, dove abitano i sogni dei pescatori. Ma il protagonista non è un pescatore, è Gnazio Manizio ritornato al paesello dopo essere stato in America per 25 anni. Il suo mestiere era “arrimunnari” gli alberi in modo così perfetto da essere assunto a New York come giardiniere. Poi, una brutta caduta da un pino, i soldi dell’assicurazione e il ritorno a Vigata con un piccolo gruzzolo, sufficiente a comprare un pezzo di terra. Gnazio lo aveva capito subito che era un affare per lui, perché in quella terra c’era un ulivo secolare. Anzi, in paese si raccontava che avesse più di mille anni. Quella terra, grazie alle cure di Gnazio, era rinata. Ora a quest’uomo di mezza età e solo da oltre vent’anni manca una famiglia. È l’esperta di erbe e guarigioni, la vecchia Fina, a trovargli una moglie: Maruzza Musumeci, bella come il sole, ma strana. Tanto strana. Arrivano i figli, anch’essi sospesi tra cielo e terra. Un romanzo diverso dagli altri. O meglio, come ha scritto Silvano Nigro. «Il cunto di Camilleri è, infine, e sorprendentemente, un cunto de li cunti».
Un incidente. E poi una vita in posizione orizzontale in un mondo fatto per individui che possono camminare. Un uomo prigioniero della sua pachidermica consorte pronta a trasformarsi in un mostro proprio nel momento del bisogno. Una vita trascorsa a escogitare piccoli espedienti per non morire di fame e a ricordare com’era una volta stare con lei. L’amore assoluto e irrazionale dei primi tempi si trasforma in un vortice paradossale di dominazione e dipendenza, fino a raggiungere il delirio. Mentre quel corpo adorato, il corpo di Christine, cresce di giorno in giorno facendosi sempre più minaccioso. Poi una rivelazione, che cambia tutto. E un epilogo, irreversibile. Il romanzo d’esordio di Monnehay è stato un caso editoriale in Francia e ha vinto il Premio Opera Prima. MAX MONNEHAY CORPUS CRISTINE
Castelvecchi, 2007
Il Mulino, 2007
Chiarelettere, 2007 | 68 | valori |
ANNO 7 N.55
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
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fotografia
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ANNI 40 QUANDO NACQUE L’ITALIA
ARAKI TRA INCANTO E ANALISI SOCIALE
ACQUA ESSENZIALE PER VIVERE E MORIRE
FELTRINELLI PRESENTA I SUOI LIBRI SU YOU TUBE
Fino al 6 gennaio
Roma ospita la mostra dedicata all’artista-fotografo giapponese Nobuyoshi Araki. Intitolata ‘’Araki Gold’, la mostra è stata organizzata dall’Istituto nazionale per la grafica. Tra i lavori esposti troviamo l’album Tokyo Diary 2003-2007, racconto quotidiano degli ultimi cinque anni del maestro giapponese; le cinque serie, composte da 20/25 fotografie e realizzate negli anni Ottanta e Novanta, appartenenti al gruppo “Some Stories”. Foto che narrano di vicende amorose nei villaggi del Giappone tradizionale, fra templi e foreste di bambù come fondali dipinti, e quelle altrettanto intense che invece si perdono fra le strade e le piccole abitazioni di Tokyo. Una selezione di circa 300 fotografie scattate da Araki nel cuore economico della capitale nipponica negli anni Sessanta. Troviamo anche i nudi (molto criticati), i ritratti della società giapponese, 50 fotografie a colori dalla serie Color Rays, gli immancabili Flowers e ben 5000 Polaroid.
Walter Veltroni, non ancora leader del neonato Partito democratico, che presenta “L’illusione del bene” il libro di Cristina Comencini. Stefano Benni, scrittore geniale quanto schivo, che parla di terra e fantascienza, di “Bar Sport” , di satira e di umorismo. Il tutto trasmesso su “You Tube” con il marchio Feltrinelli. La nota casa editrice milanese ha infatti deciso di mettere a disposizione del suoi lettori i video delle recensioni e dei personaggi che vengono editati. Un servizio molto gradito, come sottolineano i commenti dei lettori. In tutto sono disponibili 35 video. Il più gettonato è quello della professoressa Eva Cantarella, ma anche quelli di Amos Oz, Edoardo Sanguineti, Allan Bay. Il più commentato è invece il video dello psicanalista e scrittore Umberto Galimberti che parla dell’“Ospite inquietante”, un libro sui giovani e il loro disagio.
CITTÀ DELLA SCIENZA NAPOLI
Le immagini del fotografo Mike Goldwater ci propongono la potenza dell’acqua e i suoi risvolti politici. Si tratta di una ricerca di ampie dimensioni. Elemento essenziale per la nostra vita, l’acqua è fonte di vita e felicità ma anche portatrice di morte e distruzione: immagini di forte impatto, alcune drammatiche (alluvioni, la gente in fuga dalle inondazioni) affiancate a immagini dolci e serene (il parto in acqua, la pesca in riva ai fiumi, i nomadi che cercano acqua per abbeverare i cammelli e, per i più fortunati del pianeta, l’acqua delle piscine, dispensatrice di svago e serenità). Acqua che si cerca e acqua che si fugge, dunque. Un tema attuale: acqua bene comune internazionale, dalla cui tutela dipende la nostra vita. Nel 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata mondiale dell’acqua, che cade ogni anno il 22 marzo.
Fino al 17 febbraio 2008
LA GRANDE STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO TRASPORTATA AI GIORNI NOSTRI
“La scoperta dell’Italia (1940-1950). Ritratto della Repubblica italiana. Formazione e sviluppo”, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, è una mostra curata da Carlo Azeglio Ciampi, Rosario Villari e Giuseppe Talamo con il coordinamento scientifico di Louis Godart. Si tratta di una serie di fotografie che puntano l’attenzione sulla nuova realtà che inizia a pervadere tutta l’Italia del Secondo Dopoguerra. A partire dagli anni ‘40, infatti, in Italia si avverte un diverso modo di sentire che attraversa il cinema, la fotografia, la scrittura letteraria e quella giornalistica. Un clima che contribuisce a creare un nuovo senso di identità nazionale e un diverso impegno individuale e collettivo. Aspetti questi che si consolideranno subito dopo la guerra.
“Rossa Immagine e comunicazione del lavoro: 1848/2006”, a cura di Luigi Martini, è una mostra dedicata all’evoluzione iconografica del movimento operaio organizzato italiano. Un tuffo nella storia, un flusso continuo di ricordi, favorito dalla tecnologia, dalla multimedialità e dall’interattività: fotografia, suoni e filmati. La mostra segue uno sviluppo cronologico dal 1848 al 2006. Ogni documento viene inserito nel suo contesto, permettendo al visitatore di proiettarlo nella contemporaneità. L’allestimento multimediale sfrutta le potenzialità visive ed emozionali fornite oggi dalle nuove tecnologie. La narrazione invita lo spettatore ad alternare momenti spettacolari a momenti di approfondimento. Questa mostra è un’esperienza di viaggio nella storia recente, capace di dare al visitatore una grande quantità di spunti di riflessione sulla condizione operaia attuale, che riesce ad affermare il valore del lavoro e delle lotte sindacali con la forza delle immagini di massa. Dopo Napoli, “Rossa” farà tappa a Torino dove vi rimarrà fino al maggio 2008.
Fino al 6 gennaio 2008 COMPLESSO DEL VITTORIANO ROMA
PALAZZO FONTANA DI TREVI ROMA
MIKE GOLDWATER ACQUA
http://it.youtube.com/ feltrinellieditore
CROLLA IL MERCATO DEI CD E CRESCE IL DOWNLOAD SULLA RETE La rete sta cambiando il volto al business della musica. A dimostrarlo sono i dati di vendita: cresce esponenzialmente il mercato della musica digitale, diminuisce drasticamente quello dei classici cd (le previsioni indicano che quest’anno la contrazione del mercato sarà del 25%). Chiudono nel mondo grosse catene di negozi, come la Tower records, e negozi indipendenti. Negli ultimi sette anni sono falliti solo negli Stati Uniti 1700 negozi di dischi. La metà in Inghilterra. Gruppi rock famosi mettono in vendita il proprio disco su internet a un prezzo libero (vedi articolo sul caso Radiohead sul numero 54 di “Valori”), vecchie glorie come i Led Zeppelin riservano una parte dei biglietti per il loro concerto londinese ai fortunati sorteggiati di una lotteria on line. I social media network, come Myspace e Bebo, contribuiscono ad affinare i gusti degli utenti. Più di quanto possano fare i commessi. Nel mondo la vendita della musica digitale nel 2007 sarà pari al 62 per cento dell’intero fatturato, per un importo di due miliardi di dollari. In Italia la vendita di musica digitale nel 2006 ha sfiorato i 17 milioni di euro. I negozi si stanno attrezzando per fare i download legali. In Europa a farlo sono già in 500.
www.bebo.com
multimedia
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THE WHO IL MITO DEL ROCK CONTINUA
FAST FOOD LA VERITÀ È DURA DA DIGERIRE
Tengono ancora il palco con il piglio di un tempo, come hanno dimostrato nel recente tour mondiale. Dopo la morte del bassista John Entwistle, c’era chi dava la rock band “The Who” per finita. Invece, i mitici fanno tournée e incidono dischi: nel 2003 “Live at the Royal Albert Hall”, nel 2004 “Then and now” con due brani inediti, nel 2006 “Endless glass”. Infine, nel 2007, hanno girato il pianeta in lungo e in largo, con un tour mondiale. Adesso arriva anche un nuovo doppio dvd (euro 14,99) dal titolo “Amazing Journey: The Story of The Who” la cui uscita è prevista per il 21 novembre. Un viaggio nei 40 anni di carriera della rock band, con un documentario di 40 minuti, interviste, estratti live, 6 corti, ritratti personalizzati di ogni membro del gruppo musicale, backstage e la performance del Railway Hotel del 1964.
Una volta c’era un libro, scritto da Eric Schlosser. Un’inchiesta che denunciava i misfatti sulla macellazione della carne destinata a grandi catene del fast food e lo sfruttamento dei lavoratori messicani. Il libro divenne un film e infine un dvd destinato ai televisori delle famiglie. Nel film “Fast food nation” Il regista Richard Linklater descrive una realtà a dir poco inquietante e per farlo chiama a raccolta una serie di grandi attori, come Bruce Willis, Ethan Hawke, Greg Kinnear, Kris Kristofferson e la star del pop Avril Lavigne, al suo debutto cinematografico. Il dvd sarà in vendita dal 5 dicembre in versione doppio disco: uno con il film e i trailer, l’altro con interviste agli attori e al regista e alcuni contributi extra targati Slow Food Italia. Negli extra ci saranno anche tre corti d’animazione già visti da oltre 10 milioni di persone in tutto il mondo, ma inediti in Italia, doppiati per l’occasione in italiano.
PAUL CROWDER AMAZING JOURNEY: THE STORY OF THE WHO
RICHARD LINKLATER FAST FOOD NATION
Universal Music, 2007
Dnc, 2007
Motta Editore, 2002
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L’ISF PREMIA TESI SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE ALTA ROSA VESTIRE BENE È UNA SCELTA CONSAPEVOLE
Il mito degli ingegneri rigidi e inquadrati è ormai stato sfatato da tempo grazie all’ISF (Ingegneria Senza Frontiere), onlus nata in ambito universitario. In particolare, il gruppo di Firenze, da due anni a questa parte, propone il “Premio Tatarillo”, intitolato a Tommaso Fiorentino, studente di ingegneria scomparso il 20 novembre del 2003. Il premio è rivolto a quegli studenti che realizzano tesi su tecnologie appropriate per lo sviluppo sostenibile in Paesi del Sud del Mondo. Il termine per la consegna dei lavori scade a gennaio 2008 (sul sito www.isf.lilik.it il regolamento del premio). «Il nostro obiettivo - spiega Marco Gardenti - non è solo quello di dare un assegno di 1000 euro al vincitore, ma di creare una sensibilità e soprattutto avere un ruolo formativo sui ragazzi che si avvicinano allo sviluppo sostenibile». Lo scorso anno sono arrivate 21 tesi da tutt’Italia. Per valorizzare questo sforzo, l’Isf di Firenze pubblica un libro che raccoglie tutti i lavori. «Da quest’anno il budget conclude Gardenti ci consente di istituire tre premi, grazie al contributo delle istituzioni e ai proventi delle nostre attività». | 72 | valori |
ANNO 7 N.55
Valeria Doga, Gabriella Ganugi e Gloria Modesti. Due architetti e una stilista. Una squadra di creativi, “sensibili” alle tematiche dell’ambiente, che ha dato vita a un marchio e a un prodotto di qualità: “Alta Rosa”, ovvero capi di abbigliamento femminile realizzati con materiali e tessuti naturali. Cinque collezioni e una produzione commercializzata in diciotto negozi, sparsi dal Nord al Sud Italia, con una presenza anche in Svizzera. «La gente non sa - che gli indumenti inquinano tantissimo - spiega Valeria Doga, amministratore delegato di “Alta Rosa srl”-. Noi proponiamo la consapevolezza del fare abiti con criteri etici senza sacrificare l’estetica. Il 50 per cento dei nostri clienti compra perché sa cosa ci sta dietro, il restante 50 per cento perché gli piacciono». “Alta Rosa” è, dunque, una filosofia di vita che nasce dalla consapevolezza delle scelte: produzione locale e artigianale, rispetto dell’ambiente, dalla coltivazione della pianta e raccolta alla fase della filiera tessile, fino al confezionamento e alla colorazione, con tanto di certificazione dei fornitori. Queste tre imprenditrici sono coraggiose perché hanno dato alla parola lusso un valore positivo. «Vestire capi in tessuto naturale creati con gusto - conclude Valeria Doga - ci fa stare meglio». L’apparenza si puo’ accompagnare alla consapevolezza.
SOFTWARE LIBERO AL SERVIZIO DELLA GENTE
LA MIGLIOR DIFESA È LA PACE TRA I POPOLI
UTENTI CREATIVI PER NUOVI SOFTWARE
Il tema del software libero è uno dei più dibattuti tra il popolo dei cybernauti e per innescarlo basta una parola sola: Linux. Lo sa bene Simone Piccardi, IT manager di Truelite, società di Firenze nata nel marzo del 2003 che fornisce servizi, consulenza, assistenza e formazione sul sitema operativo Gnu/Linux e sul software libero. Truelite infatti considera il software come un servizio e non come un prodotto, per questo offre servizi ai suoi clienti (Enti pubblici, piccole e medie imprese, realtà non profit e associazioni), usando esclusivamente software e licenze liberi. Per la distribuzione utilizza Debian, piattaforma base per l’implementazione delle soluzioni offerte. Queste sono realizzate attraverso software prodotto quasi esclusivamente nell’ambito del Progetto Gnu. Nato più di vent’anni fa, ha riunito una comunità internazionale di sviluppatori che lavorano insieme per creare un sistema operativo completamente libero.
«Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra mezzo e fine vi è esattamente lo stesso inviolabile nesso che c’è tra seme e albero». Con questa frase di Ghandi si presenta il Centro studi difesa civile. Nato nel 1988 da un piccolo gruppo di persone raccolte attorno all’ideale della nonviolenza e obiezione di coscienza, nel 2002 il Centro studi difesa civile diventa associazione di promozione sociale. Dal 2004 è tra i promotori della campagna “Nonviolent Peaceforce” per sostenere la creazione e l’impiego delle prime forze, civili, disarmate e nonviolente, di mantenimento della pace (peacekeeping). “Nonviolent Peaceforce” è una forza nonviolenta globale, costruita dalla società civile, per promuovere, sostenere e rafforzare le azioni di risoluzione nonviolenta dei conflitti delle società civili locali. È un progetto di dimensioni mondiali promosso da 96 organizzazioni di tutti i continenti ed è composta da squadre di personale civile esperto sostenute da donazioni di cittadini da tutto il mondo.
Il termine di riferimento è “prosumer”, è stato coniato da Alvin Toffler nel suo libro The Third Wave, ed indica una figura ibrida a metà strada tra il consumatore e il creatore del prodotto che consuma. Web 2.0 incoraggia gli utenti a creare dei contenuti virtuali. Il prosumer, figlio di questa tecnologia e della mentalità che ne deriva, contribuisce alla realizzazione di prodotti industriali e artigianali applicandovi un medesimo approccio. Emblematico il caso di Lego che ha deciso di mettere nelle mani degli utenti la possibilità di modificare il software di una sua nota produzione. Dal sito del produttore è ora possibile scaricare gratuitamente un kit di sviluppo software che può essere modificato e ripubblicato nell’area utenti con l’indicazione delle nuove specifiche. La tendenza crea delle difficoltà di immagine ai colossi dell’informatica e dei nuovi device digitali, in particolare Apple Computer che, pur godendo da sempre di una fama di “alterità” rispetto al colosso Microsoft, deve ora confrontarsi con crescenti critiche degli sviluppatori rispetto alla chiusura del suo prodotto di fama mondiale iPod che richiede una architettura proprietaria (iTunes) per il suo utilizzo.
www.truelite.it www.altarosa.it
www.pacedifesa.org/home.asp |
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ANDROID, UNA PIATTAFORMA DA PAURA? «CARICA, VEDI, CONDIVIDI, AGISCI» CON THE HUB LE VIOLAZIONI ARRIVANO SUL WEB
Android è il progetto di Google per entrare nel mondo della telefonia mobile. Non un telefonino ma una piattaforma software in grado di interfacciarsi con tutti “Upload It, See It, Share It, Take Action” (carica, vedi, condividi, agisci). Lo slogan i device che ora si appoggiano del sito web The Hub (hub.witness.org) sui differenti sistemi open è semplice e rivoluzionario. L’idea è patrocinata o proprietari. Google non bada da Peter Gabriel, musicista attivo nella denuncia a spese e lancia anche delle violazioni dei diritti umani. Il sito, una sorta un concorso internazionale di “You Tube” dei diritti civili, raccoglie per promuovere la sua le videotestimonianze delle violazioni dei diritti piattaforma con un budget umani in tutto il mondo, raccolte dagli utenti di circa sette milioni di euro. e caricate tramite upload sul server del sito Sergey Brin di Google, che le rilancia immediatamente in tutto il mondo. presentando l’iniziativa, Le immagini possono essere realizzate con ogni ha dichiarato che «le migliori mezzo, dal videofonino ai mezzi professionali, applicazioni per Android e vengono presentate senza censure. A cura saranno realizzate dagli della redazione del sito vi sono le presentazioni sviluppatori indipendenti» di filmati di cui The Hub si fa garante tramite questo concorso della veridicità e della contestualizzazione, pubblico, da cui è esclusa ma accanto a questi sono comunque presenti l’Italia (insieme a Cuba, Siria, con pari spazio e senza alcuna forma di censura Iran e pochi altri) a causa delle i video inviati dagli utenti che possono lanciare sue regolamentazioni normative gruppi di discussione, raccogliere petizioni, in materia. Accanto a questi usare mappe interattive e creare (in stile iPod) stimoli al settore degli delle playlist di video e di risorse di particolare sviluppatori indipendenti e specifico interesse. Il sito nella versione non mancano i timori di chi Beta è in inglese, spagnolo e francese cui vede il colosso del Web sempre si aggiungeranno nei prossimi mesi arabo, russo più attivo su diversi fronti e cinese. Il progetto è sostenuto da Amnesty e che sta assumendo sempre International, Human Rights Watch e B’Tselem più un carattere dirimente nella e realizzato dallo staff di “Witness” (testimoni). selezione dei dati sul mondo Qualche perplessità ha destato la possibilità verso le nuove generazioni. di pubblicare contenuti in forma totalmente anonima, senza che gli stessi siano sottoposti a verifica da parte dello staff redazionale. Una scelta in puro stile Web 2.0 che affida agli utenti l’autocontrollo del sito.
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ANNO 7 N.55
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future
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LA TRAGEDIA DEL CONIGLIO E DELLE RISORSE Negli Stati Uniti accademici super star insegnano la fisica attingendo all’immaginario dei super eroi dei cartoni animati In Francia psicoterapeuti curano preadolescenti con giochi interattivi che stimolano il riflesso dell’attenzione e le reazioni alla violenza. Perchè non utilizzare un gioco interattivo per illustrare i concetti fondamentali delle scienze sociali? Il sito “Libertyarcade.org” (citato dal blog molleindustria.org) presenta una collezione di giochi online che vuole rispondere a questo obiettivo. «La tragedia dei coniglietti» è il primo della serie e vuole spiegare, adattando il saggio di Garret Hardin “Tragedy of common”, come il comportamento dei singoli abbia un riflesso sulla società e sulle sue risorse. Il concetto di partenza è semplice. Se un singolo individuo attua pratiche che portano al consumo indiscriminato di una risorsa, si avrà un effetto a catena sull’intera società. Se il comportamento irresponsabile è adottato da molti si arriverà alla compromissione del bene comune. Obiettivo dei creatori del gioco è la promozione del pensiero libertario, un obiettivo in parte vanificato dagli automatismi del gioco che definiscono a priori le soluzioni raggiungibili.
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di Andrea Di Stefano
VEVATE DEI DUBBI SUL RUOLO DELLA FINANZA NELLA BOLLA SPECULATIVA SULLE MATERIE PRIME?
La cronaca degli ultimi due mesi ha portato in evidenza la gravità dell’effetto “fuga” dai mutui subprime e dai prodotti finanziari collegati. Una rilevante massa di liquidità, quasi integralmente di origine speculativa, si è abbattuta sul mercato delle commodities e a farne le spese non è solo il petrolio ma quasi tutte le materie prime agricole. Non passa giorno senza che sui mercati si registrino nuovi record per i prezzi dei contratti future di soia, granoturco, grano, olio di palma e persino succo d’arancia. La domanda dei paesi emergenti c’entra sino ad un certo punto: è la giustificazione razionale, in alcuni casi la scusa utilizzata da analisti e operatori dei mercati per giustificare continui consigli di acquisto sui prodotti correlati. Lo ha messo in evidenza in modo chiaro il professor Marcello De Cecco sulle colonne de La Repubblica (Il capitalismo delle bische, 12.11.2007): «Non ci sono e non ci sono stati improvvisi salti di domanda per nessuno dei derivati del petrolio tanto corposi e immediati da giustificare la velocità del rincaro. Ci sono molti fattori che giustificano una ascesa, ma di assai più moderate proporzioni… Dopo la debacle di agosto-settembre, gli hedge fund e gli altri scommettitori del “capitalismo delle bische” si sono alacremente messi all´opera per rifarsi delle perdite subite a causa dei “sub prime loan” americani. Hanno riversato enormi fondi sui mercati azionari dei paesi emergenti, che hanno conosciuto negli ultimi tre mesi rialzi clamorosi (citiamo solo l´indice brasiliano, il Bovespa, o quello messicano, ma il fenomeno è assai ampio). Hanno aggredito il mercato dell´oro e delle materie prime. Hanno dedicato fondi immensi a scommettere sul ribasso del dollaro e sul rialzo dell’euro». Basta osservare i dati di altre commodities per capire che la dinamica è la stessa: l’olio di palma, per esempio, ha raggiunto a metà novembre il suo ennesimo massimo storico di 3.013 ringgit (la valuta malese) pari a circa 600 euro per tonnellata: a metà agosto sul mercato a termine di Kuala Lampur erano necessari 2500 ringitt. In soli 90 giorni il rialzo è stato quindi del 20%. Ma la domanda dell’olio di palma (che sta provocando colossali danni ambientali alle foreste vergini dell’area), anche se forte, non giustifica incrementi del 100% ogni nove-dodici mesi. Nei primi dieci mesi dell’anno, per esempio, la Cina ha importato 3,67 milioni di tonnellate di olio di palma, il 6,7% in più rispetto allo stesso periodo del 2006. Ma a spingere i prezzi è soprattutto la speculazione connessa alla politica di incentivi ai biocarburanti varata dall’amministrazione Bush e definita dai massimi studiosi “criminale e irresponsabile”. Una ricetta contro queste vere e proprie distorsioni dei mercati c’è: la leva fiscale evocata dalla Tobin Tax e rilanciata già più di tre anni fa dal ministero delle finanze tedesco. Imporre una tassa sui contratti future che non vengano chiusi con la consegna del sottostante, cioè delle materie prime che gli operatori finanziari dovrebbero, veramente solo sulla carta, impegnarsi a comprare. Si arginerebbe un fenomeno che rischia di creare pesanti danni ai cittadini e alle imprese di tutto il mondo, anche di quello “ricco”.
A
Dopo la crisi dei mutui una liquidità sempre più grande si è spostata sui prodotti derivati legati alle commodities. Ma si può correre ai ripari con la leva fiscale contro le distorsioni del mercato
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ANNO 7 N.55
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
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40,5
2006 877,4 119,3
Con R/P si intende in quanti anni le riserve energetiche verrebbero estinte se si mantenesse inalterata la produzione delle risorse.
11,3 8,0
R/P
MONDO
79,8
numeri 7,8
6,7
MONDO
UE a 25
OCSE
123
Petrolio, gas e carbone niente risparmio e solare
duzione di CO2, rimarrà una delle commodity del futuro, anè sempre più acche grazie al fattore prezzo, molto più conveniente rispetto a ceso mentre la speculazione finanziaria fa correre il bariquello di gas e greggio. Il Wec, svoltosi alla Fiera di Roma lo le oltre i 100 dollari. Secondo il World Energy Council, scorso novembre, è stata un’occatra 10-20 anni, la metà dei giaciI GRANDI CONSUMATORI DI ENERGIA sione per rilanciare in grande stile menti conosciuti verrà esaurita, se il nucleare. Le fonti rinnovabili, e gli attuali tassi di crescita della doDATI AL 31/12/2006 IN MILIONI DI TONNELLATE EQUIVALENTI DI PETROLIO in primis il risparmio energetico, manda rimaranno stabili e non PETROLIO GAS CARBONE NUCLEARE IDROELETT. TOTALE USA 938,8 566,9 567,3 187,5 65,9 2.326,4 sono state relegate a svolgere il verranno scoperti nuovi pozzi. CINA 349,8 50,0 1.191,3 12,3 94,3 1.697,8 ruolo di cenerentole di una maniDa allora in poi, comincerà il RUSSIA 128,5 388,9 112,5 35,4 39,6 704,9 festazione quasi integralmente declino per l’età dell’oil. ProspettiGIAPPONE 235,0 76,1 119,1 68,6 21,5 520,3 monopolizzata dai colossi interve ben più rosee, invece, quelle INDIA 120,3 35,8 237,7 4,0 25,4 423,2 nazionali del petrolio e dell’enerdel gas naturale. GERMANIA 123,5 78,5 82,4 37,9 6,3 328,5 CANADA 98,8 87,0 35,0 22,3 79,3 322,3 gia, Eni in testa. L’esplorazione di questa mateFRANCIA 92,8 40,6 13,1 102,1 13,9 262,6 Una vetrina disturbata solo ria prima è a un livello molto meGRAN BRETAGNA 82,2 81,7 43,8 17,0 1,9 226,6 dalle inziative di Greenpeace che no avanzato rispetto al petrolio. A COREA DEL SUD 105,3 30,8 54,8 33,7 1,2 225,8 ha denunciato l’intenzione di fine 2006 le riserve superavano le BRASILE 92,1 19,0 13,1 3,1 79,2 206,5 Enel di investire oltre 4 miliardi di 181 migliaia di miliardi di metri ITALIA 85,7 69,4 17,4 – 9,7 182,2 euro in fatiscenti reattori nucleari cubi, contro le 107 migliaia di miIRAN 79,3 94,6 1,1 – 3,8 178,8 ARABIA SAUDITA 92,6 66,3 – – – 158,9 sovietici anni 70 e completare due liardi del 1986. Inoltre, in base ai MESSICO 86,9 48,7 9,3 2,5 6,8 154,2 reattori nucleari a Mochovce, in consumi attuali, secondo il centro SPAGNA 78,1 30,0 18,3 13,6 5,7 145,8 Slovacchia, e un altro a Belene, in internazionale di ricerca, Cedigaz, UCRAINA 15,0 59,8 39,6 20,4 2,9 137,8 Bulgaria. Due progetti vecchi - sela vita del gas durerà per almeno AUSTRALIA 40,3 25,8 51,1 – 3,6 120,8 condo l’associazione - e pericolosi altri 130 anni. SUD AFRICA 23,2 – 93,8 2,4 0,8 120,2 INDONESIA 48,7 35,6 27,7 – 2,3 114,3 anche perchè collocati in aree ad Il carbone, nonostante il rilealto rischio di terremoti. vante impatto in termini di proL DIBATTITTO SULLE REALI RISERVE DI PETROLIO
I
FONTE: WORLD ENERGY COUNCIL
Una “Tobin Tax” contro la speculazione
DATI IN MILIARDI DI BARILI - CONSISTENZA ESPRESSA IN ANNI
1.208,2
1986
UE a 25
Materie prime
LE RISERVE MONDIALI DI PETROLIO
OCSE
FONTE: WORLD ENERGY COUNCIL
| globalvision |
.
|
ANNO 7 N.55
|
DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
| valori | 75 |
| numeridell’economia |
I fondi sovrani degli stati fanno paura agli occidentali
L
E RISERVE ACCUMULATE DALLA CINA
fanno sempre più paura. Secondo Morgan Stanley oggi i fondi sovrani, cioè costituiti e gestiti dagli stati, amministrano complessivamente duemila e 500 miliardi di dollari (gli hedge funds mille e 600 miliardi), che so-
no già una cifra enorme ma che diventeranno 12 mila miliardi entro il 2015 e continueranno poi a crescere esponenzialmente. Si calcola che nel 2020 controlleranno il 10% circa della ricchezza finanziaria dell’intero pianeta, e si ritiene che allora, ma probabilmente anche pri-
ma, il numero uno del club sarà la Cina. Il primo fondo sovrano ha superato da poco i cinquant’anni: fu creato nel 1956 nelle Gilbert Islands, in Micronesia, con parte della valuta che arrivava grazie all’esportazione dei fosfati. Oggi vale 520 milioni di dollari.
FONTE: WORLD ENERGY COUNCIL
| numeridell’economia |
I REATTORI NEL MONDO
DATI A OTTOBRE 2007
8 30
7
7
11 PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA totale mondo 2.658 miliardi di Kwh
7 10
RUSSIA
5
2
6
GIAPPONE
0 USA
nucleare 18%
CINA
.
INDIA
altro 86%
LE NAZIONI EMERGENTI PRODUZIONE INDUSTRIALE
FONTE: WORLD ENERGY COUNCIL
Cina +11,5 III Trimestre India +8,9 II Trimestre Indonesia +5,2 II Trimestre Malesia +5,9 II Trimestre Pakistan +7,0 prev. 2007 Singapore +9,4 III Trimestre Corea del Sud +5,2 III Trimestre Taiwan +5,1 II Trimestre Tailandia +4,4 II Trimestre Argentina +8,7 II Trimestre Brasile +5,4 II Trimestre Cile +6,1 II Trimestre Colombia +6,9 II Trimestre Messico +2,8 II Trimestre Hong Kong +6,6 II Trimestre Venezuela +8,9 II Trimestre Egitto +7,2 II Trimestre Israele +4,4 II Trimestre Sud Africa +5,0 II Trimestre Turchia +3,9 II Trimestre Repubblica Ceca +6,0 II Trimestre Ungheria +1,0 II Trimestre Polonia +6,4 II Trimestre Russia +7,8 II Trimestre
+17,9 +11,4 +6,2 +3,6 +9,3 -2,8 +0,3 +8,1 +9,2 +1,5 +5,6 +1,3 +7,7 +0,4 -2,3 +14,1 +7,5 +2,3 -1,4 +2,2 +1,2 +8,7 +5,2 +3,0
Ottobre Settembre Agosto Settembre Agosto Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Agosto Settembre II Trimestre Luglio 2007 Agosto Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre
LE RISERVE MONDIALI DI GAS NATURALE
1986
PREZZI AL CONSUMO
+2,8 +2,1 +6,3 +3,3 +8,4 +2,7 +2,7 +5,3 +2,5 +8,4 +4,1 +6,5 +5,2 +3,7 +1,6 +17,2 +7,5 +1,4 +7,2 +7,0 +4,0 +6,7 +3,0 +9,5
Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Settembre Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre Settembre Ottobre Ottobre Settembre Settembre Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre Ottobre
BILANCIA COMMERCIALE
+256,5 -65,4 +41,3 +29,2 -15,0 +38,5 +19,7 +15,7 +10,5 +10,0 +42,6 +24,7 -1,9 -1,2 -21,0 +36,8 -15,8 -11,0 -9,6 -56,9 +3,5 - 1,4 -10,5 +121,5
TASSI INTERESSE
Ottobre Settembre Settembre Settembre Ottobre Settembre Ottobre Settembre Settembre Novembre Settembre Ottobre Ottobre Settembre Settembre IIITrimestre IITrimestre Settembre Novembre Settembre Settembre Settembre Agosto Settembre
4,28 7,29 8,14 3,62 9,81 2,50 5,35 2,60 3,55 14,44 11,18 5,88 8,65 7,41 3,41 11,19 6,71 4,24 10,20 17,33 3,73 7,41 5,30 10,00
DATI IN MILIARDI DI METRI CUBI - CONSISTENZA ESPRESSA IN ANNI
181, 46
2006 107,67
63,3
Con R/P si intende in quanti anni le riserve energetiche verrebbero estinte se si mantenesse inalterata la produzione delle risorse.
in costruzione
previste
LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI PAESE
Australia Austria Belgio Gran Bretagna Canada Danimarca Francia Germania Italia Giappone Olanda Spagna Svezia Svizzera Stati Uniti Area Euro
ULTIMO DATO
PIL VARIAZIONE IN %*
2007
2008
+3,4 IIITR +3,4 IIITR +2,5 IIITR +3,3 IIITR +2,5 IITR +0,6 IITR +2,1 IIITR +2,5 IIITR +1,9 IIITR +2,1 IIITR +4,1 IIITR +3,8 IIITR +3,5 IITR +2,8 IITR +2,6 IIITR +2,6 IIITR
+3,8 +3,2 +1,6 +3,2 +3,6 -1,6 +2,9 +2,8 +1,5 +2,6 +7,2 +2,8 +3,7 +3,0 +3,9 +2,8
4,2 3,2 2,6 3,0 2,6 1,6 1,8 2,6 1,7 2,0 2,5 2,7 3,4 2,6 2,0 2,6
3,7 2,6 2,0 2,1 2,3 1,7 1,9 2,1 1,4 1,8 2,2 3,0 3,0 2,0 2,1 2,0
INFLAZIONE ULTIMO DATO
1,9 2,8 2,2 2,1 2,5 1,7 1,5 2,4 2,1 -0,2 1,6 3,6 2,7 1,2 2,8 2,6
LE RISERVE MONDIALI DI CARBONE
DATI IN MILIONI DI TONNELLATE - CONSISTENZA ESPRESSA IN ANNI
500,482
2006 373,220
|
DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
|
DATI % SULLA PRODUZIONE DEI SINGOLI PAESI
37 32
UE a 25
OCSE
18 16
65
R/P
MONDO
35,362
MONDO
12,8
OCSE
R/P
14,7
UE a 25
20
MONDO
OCSE
UE a 25 ANNO 7 N.55
6,12 4,14 4,30 4,75 4,27 4,23 4,25 4,25 4,46 1,52 4,44 4,24 4,24 2,87 4,27 4,24
147
15,90
| 76 | valori |
7,14 4,58 4,64 6,21 4,00 4,80 4,58 4,58 4,58 0,73 4,58 4,58 3,92 2,75 4,45 4,58
78
177,7
2,43
2,4 1,9 1,7 2,2 2,2 1,6 1,4 2,1 1,9 0,6 1,7 2,6 1,8 0,6 2,8 2,0
IL PESO DEL NUCLEARE SULL’ENERGIA
Con R/P si intende in quanti anni le riserve energetiche verrebbero estinte se si mantenesse inalterata la produzione delle risorse.
17,18
3,57
TASSI DI INTERESSE ULTIMI TRE MESI BOND A 10 ANNI
2007
*sul trimestre precedente FONTE: ELABORAZ. B&F
PIL
FONTE: WORLD ENERGY COUNCIL
PAESE
MONDO
UE a 25
OCSE
FRANCIA
|
ANNO 7 N.55
SVIZZERA
|
GERMANIA
SPAGNA
DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
GB
RUSSIA
| valori | 77 |
|
indiceetico
| numeridivalori |
VALORI NEW ENERGY INDEX NOME TITOLO
ATTIVITÀ
BORSA
Abengoa Ballard Power Biopetrol Canadian Hydro Conergy EOP Biodiesel Fuel Cell Energy Gamesa Novozymes Ocean Power Tech Pacific Ethanol Phoenix Solar Q-Cells RePower Solarworld Solon Südzucker Sunways Suntech Power Vestas Wind Systems
Biocarburanti/solare Tecnologie dell’idrogeno Biocarburanti Energia idroelettrica/eolica Pannelli solari Biocarburanti Tecnologie dell’idrogeno Pale eoliche Enzimi/biocarburanti Energia del moto ondoso Biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche Pannelli solari Pannelli solari Zucchero/biocarburanti Pannelli solari Pannelli solari Pale eoliche
Siviglia, Spagna Vancouver, Canada Zug, Svizzera Calgary, Canada Amburgo, Germania Pritzwalk, Germania Danbury, CT-USA Madrid, Spagna Bagsværd, Danimarca Warwick, Gran Bretagna Fresno, CA-USA Sulzemoos, Germania Thalheim, Germania Amburgo, Germania Bonn, Germania Berlino, Germania Mannheim, Germania Konstanz, Germania Wuxi, Cina Randers, Danimarca
CORSO DELL’AZIONE 31.10.2007
RENDIMENTO DAL 30.09.06 AL 31.10.2007
28,25 € 4,86 CAD 4,97 € 6,54 CAD 32,30 € 5,14 € 10,06 $ 35,00 € 560,00 DKK 17,63 $ 8,03 $ 26,75 € 87,90 € 135,00 € 46,82 € 86,73 € 15,69 € 8,74 € 58,89 $ 459,00 DKK
24,50% -22,02% -40,12% 25,76% -15,20% -51,33% 15,91% 102,55% 24,89% 6,61% -49,85% 81,97% 172,14% 142,81% 8,05% 193,30% -19,46% 16,22% 99,90% 192,53%
+45,46% € = euro, $ = dollari USA, £= sterline inglesi, CAN $ = dollari canadesi, DKK = corone danesi
Lo scatto del vento e del sole di Mauro Meggiolaro NCORA UN MESE DI RECORD PER LE IMPRESE DEL SOLARE E DELL’EOLICO. Mentre i 21% mercati crollano sotto la scure della crisi finanziaria scatenata dai subAmex Oil Index [in Euro] prime, i titoli del Valori New Energy Index macinano un record dopo l’altro. L’indice virtuale di Valori chiude ottobre al 45,46% da inizio gioco guadagnanValori New Energy Index [in Euro] do oltre dieci punti sul mese precedente. Solo per fare un confronto, nello stesso perioRendimenti dal 30.09.2006 al 31.10.2007 do (29.09.06-31.10.07), l’indice della borsa italiana Mib ha reso appena il 5%, mentre il Dow Jones Industrial ha chiuso al 19% (in dollari). Tra Sunways Sede Costanza (Germania) tante notizie positive per le energie rinnovabili Borsa FSE – Francoforte sul Meno in borsa, colpisce il crollo della tedesca CoRendimento 30.09.06 – 31.10.07 16,22% nergy, tra i leader mondiali del fotovoltaico, ma Attività Sunways, fondata nel 1993, è quotata in borsa dal 2001. attiva anche nell’eolico, nel solare termico, nei È un’impresa tedesca che sviluppa e produce componenti bio-carburanti e nella geotermia. In ottobre i per impianti fotovoltaici: celle e moduli solari, inverter, ecc.. Tutti gli stabilimenti sono situati in Germania. suoi titoli sono scesi del 90%. Alla fine del mese se n’è andato il direttore finanziario e a iniRicavi [Milioni di €] Utile [Milioni di €] Numero dipendenti zio novembre ha lasciato anche il fondatore e 152 240 213 presidente Hans-Martin Rüter. “Eccessiva diver1,747 91 sificazione”, lamentano gli analisti. Intanto i funzionari della DPR, polizia finanziaria tedesca, stanno analizzando i conti dell’impresa. Si 0,351 sospettano irregolarità.
UN’IMPRESA AL MESE
A
45,46%
www.sunways.de
2005 2006
.
in collaborazione con www.eticasgr.it | 78 | valori |
ANNO 7 N.55
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
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CONTRASTO
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paniere
| numeridivalori |
| numeridivalori | Un bambino rifugiato dalla Birmania riceve cibo nel centro di assistenza per la nutrizione di Medici Senza Frontiere.
GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE, ULTIMI APPUNTAMENTI QUANDO
DOVE
COSA
fino al 15-1-2008
Italia
“Frutta snack che gusto”, distribuzione di merende sane a base di frutta nelle scuole secondarie di secondo grado
fino al 15-1-2008
Italia
Visite guidate dirette alle scuole dell’obbligo all’interno di aziende agricole, laboratori e musei che si occupano di ricerca in agricoltura e corretta alimentazione
fino al 15-1-2008
Roma, Sede Fao Atrio
AtrioVillaggio del Diritto all’alimentazione: 7 tende, provenienti da vari paesi, che rappresentano i servizi che un villaggio fornisce
1-12-2007/15-1-2008
Italia
Percorso di sensibilizzazione nelle scuole superiori
14-12-07
Firenze, Istituto Agronomico per l’Oltremare
Seminario “Il diritto all’alimentazione – diritto al cibo e sicurezza alimentare per il Nord e il Sud del mondo: saperi e sapori”
15-12-07
Roma, Auditorium Conciliazione
Concerto conclusivo delle Celebrazioni Ufficiali Italiane: Orchestra “Roma Sinfonietta”.
15-12-2007/15-1-2008
Italia
Concorso per avvicinare i giovani alle tematiche legate all’alimentazione, la solidarietà e lo sviluppo sostenibile
Bangladesh, 1992
CRONOLOGIA ESSENZIALE INIZIATIVE E STRUMENTI A LIVELLO COMUNITARIO 2003 Istituita la Rete europea sull’alimentazione e l’attività fisica, composta da esperti nominati dagli Stati membri, dall’OMS e dalle ONG di tutela dei consumatori e della salute, che forniscono consulenza alla Commissione per le attività comunitarie volte a migliorare le abitudini alimentari, a ridurre e prevenire le patologie ad esse legate, a promuovere l’attività fisica e a lottare contro il sovrappeso e l’obesità. Marzo 2005 Avviata la Piattaforma d’azione europea per l’alimentazione, l’attività fisica e la salute, che riunisce tutte le iniziative volontarie intraprese nell’UE dalle aziende, dalla società civile e dal settore pubblico volte a contrastare e rovesciare le tendenze attuali al sovrappeso e all’obesità. 2005 La Commissione delle comunità europee elabora il Libro verde “Promuovere le diete sane e l’attività fisica: una dimensione europea nella prevenzione di sovrappeso, obesità e malattie croniche”. Novembre 2006 Alla Conferenza Ministeriale della Regione Europea dell’OMS sull’azione di Contrasto all’Obesità tenutasi ad Istanbul, Turchia, viene adottata la Carta Europea sull’Azione di Contrasto all’Obesità. 30 maggio 2007 La Commissione delle comunità europee adotta il Libro bianco “Una strategia europea sugli aspetti sanitari connessi all’alimentazione, al sovrappeso e all’obesità”. 25 Settembre 2007 La Commissione delle comunità europee adotta il Libro verde “Verso una nuova cultura della mobilità urbana”, con il duplice obiettivo di rispettare l’ambiente e favorire l’attività fisica dei cittadini. 2007 Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013, maggiori poteri per i consumatori, più benessere e tutela più efficace. 8 novembre 2007 Lotta all’obesità infantile: Giornata europea del mangiare e cucinare sano organizzata dalla Commissione europea e dall’Associazione europea dei cuochi (Euro-toques); celebri chef e alunni delle scuole a dimostrazioni su come cucinare in modo sano e gustoso; sul sito http://eu.mini-chefs.eu/ un forum europeo per il cibo e la cucina sani.
Obesità e fame: due facce della globalizzazione DICEMBRE E GENNAIO si svolgono le ultime iniziative itaLa dieta mediterranea liane relative alla Giornata mondiale dell’alimentapatrimonio dell’umanità zione (vedi BOX ), un evento che pone l’accento sul fatLa dieta mediterranea, da tempo considerata un riferito che il rapporto con il cibo dell’uomo mento in questo senso, è stata ulteriormente valorizzadel terzo millennio rappresenta ancora ta dalla proposta avanzata alla Commissione europea di Anna Capaccioli un problema a livello planetario, cadal governo spagnolo lo scorso luglio di inserirla tra i beratterizzato da profonde contraddizioni. ni protetti dall’UNESCO. Oltre 800 milioni di persone sono sottonutrite e I prodotti caratteristici della dieta mediterranea coinpiù di un miliardo sono ipernutrite, un divario che aucidono con i prodotti Made in Italy più emblematici ed menta velocemente. il loro peso economico all’interno della produzione La fame e l’eccesso ponderale coesistono sia nei agroalimentare nazionale è estremamente elevato, con i Paesi industrializzati che nei Paesi in via di sviluppo, primati raggiunti per frutta, verdura e pasta ed il posto nei quali il passaggio dall’ipo- all’iper-nutrizione (la d’onore nella UE per vino e olio di oliva, dietro rispetticosiddetta “transizione alimentare”) avvenuto in una vamente alla Francia e alla Spagna. Far entrare la dieta generazione ha provocato un’esplosione di obesità pamediterranea nella lista del patrimonio dell’umanità, per ragonabile a quella degli Stati Uniti. Per contrastare il valore storico e per i benefici per la salute dimostrati l’epidemia di obesità si sta elaborando a livello interscientificamente, rappresenta anche un’opportunità per nazionale (vedi TABELLA ) un approccio multisettoriale una sua divulgazione più vasta a vantaggio di tutti i citper affrontare un problema che riconosce aspetti satadini. Un modello da esportare in tutto il mondo, ma nitari, sociali, economici e politici. anche da ricordare a chi, pur detenendone il primato delL’aumento della quantità di cibo disponibile e la semla tradizione, se ne sta discostando, associando il primapre maggiore diffusione di prodotti “tecnologici”, per i to degli adulti europei meno grassi alla più elevata perquali una lunga filiera procentuale europea di ragazzi I BAMBINI: LE PRINCIPALI VITTIME duttiva separa il produttore sovrappeso. Il Paniere prodal consumatore e il valore porrà dal prossimo numero 146 MILIONI DI BAMBINI al di sotto dei cinque anni aggiunto spesso supera queldi febbraio un percorso nel sono sottopeso. lo nutrizionale, ripropongoMade in Italy, che oltre agli OGNI ANNO 12 MILIONI DI BAMBINI sotto i cinque anni di età muoiono per cause legate alla denutrizione. no con forza il problema delaspetti nutrizionali ed eco22 MILIONI DI BAMBINI SOVRAPPESO od obesi in Europa, la sicurezza alimentare e nomici comprenderà anche un numero che cresce ad un ritmo di 400 000 all’anno della scelta di un modello di aggiornamenti su normative rendendo il problema estremamente preoccupante. consumo salutare. europee ed italiane.
A
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| 80 | valori |
ANNO 7 N.54
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NOVEMBRE 2007
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JOHN VINK / MAGNUM PHOTOS
Nel mondo si produce cibo a sufficienza per tutta la popolazione, ma il diritto all’alimentazione non è ancora riconosciuto come inalienabile. Vittime dell’insicurezza alimentare o del cibo spazzatura, più di due miliardi di persone subiscono le conseguenze negative della malnutrizione, intesa in senso quantitativo e qualitativo.
IL DIRITTO ALL’ALIMENTAZIONE: UNA VERA E PROPRIA SFIDA “IL DIRITTO ALL’ALIMENTAZIONE”, cioè il diritto di ogni individuo di avere accesso regolare ad un’alimentazione sufficiente, adeguata dal punto di vista nutrizionale e culturalmente accettabile per poter condurre una vita sana ed attiva, è il tema della Giornata mondiale dell’alimentazione (GMA) 2007. Istituita dai Paesi membri della FAO nel novembre 1979, in occasione della XX Sessione della Conferenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, la GMA viene celebrata ogni anno il 16 ottobre (anniversario della fondazione, avvenuta nel 1945 a Quebec City) in oltre 150 Paesi, con manifestazioni che precedono
e seguono tale data. Riconosciuto per la prima volta come un diritto umano dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, poi incorporato nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (articolo 11) adottato nel 1966 e ratificato da 156 stati, oggi vincolati dalle sue disposizioni, il diritto all’alimentazione trova una definizione più precisa ed una interpretazione tecnica nel Commento generale 12 del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (1999). Le “Linee guida volontarie a sostegno della realizzazione progressiva del diritto ad un’alimentazione adeguata nel contesto della sicurezza alimentare
nazionale”, conosciute come “Linee guida sul diritto all’alimentazione”, sono state adottate dal Consiglio della FAO nel 2004 e forniscono raccomandazioni pratiche su quanto deve essere realizzato concretamente per garantire che il diritto all’alimentazione diventi realtà. Il rapporto annuale FAO 2006, a 10 anni dal primo Vertice mondiale dell’alimentazione tenutosi a Roma nel 1996, che si è prefisso l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime della fame entro il 2015, evidenzia come questo numero sia invece tornato a crescere al ritmo di 4 milioni l’anno e che ora ci siano più persone denutrite rispetto al 1996.
ANCHE IN ITALIA IL PROBLEMA DELLA «SUSSISTENZA ALIMENTARE». NEL NOSTRO PAESE, secondo dati Istat, l’11% delle famiglie italiane, pari a circa 7,5 milioni di cittadini, vive sotto la soglia di povertà relativa e ha grossi problemi per l’acquisto di generi alimentari. Queste persone sono costrette a destinare fino al 42% del proprio reddito per soddisfare il bisogno primario del cibo a fronte di una media nazionale che, per la stessa finalità, spende un quarto (24%) delle proprie entrate. Il 5,8% delle famiglie italiane, pari a 1,359 milioni, dichiara di avere momenti in cui mancano i soldi per l’acquisto
di cibo. Tra le fasce di popolazione a rischio povertà ci sono gli anziani: sono il 19,5% gli ultrasessantacinquenni esposti anche al rischio malnutrizione a causa della solitudine, oltre che della normale perdita di funzioni. Povertà e malnutrizione sono fenomeni fondamentalmente interconnessi, per i quali mancano indicatori che consentano di verificare l’impatto in termini quantitativi e qualitativi. È possibile realizzare, un’alimentazione nutrizionalmente adeguata ai bisogni, e quindi
soddisfacente, ad un costo accessibile anche alle fasce più deboli della popolazione? Cosa possono fare le Istituzioni pubbliche e private? Sono questi i temi del dossier presentato a Roma il 9 ottobre, “Il Contributo Italiano al Diritto all’Alimentazione a Tutela delle Fasce più Deboli della Popolazione”, redatto dall’INRAN con il contributo di Caritas Italiana, COOP e Fondazione Banco Alimentare Onlus, nell’ambito delle celebrazioni ufficiali della Giornata mondiale dell’alimentazione. www.inran.it
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ANNO 7 N.54
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NOVEMBRE 2007
| valori | 81 |
| padridell’economia |
Ragnar Frisch
Il fondatore dell’econometria di Francesca Paola Rampinelli
permise allo studioso norvegese Ragnar Frisch di ricevere il primo premio Nobel per l’economia, nel 1969, insieme all’olandese Jan Tinbergen, “per aver sviluppato ed applicato modelli dinamici nell’analisi dei processi economici (con riferimento alle specificazioni matematiche di Frisch e alle quantificazioni empiriche di Tinbergen)”. Frisch, a cui è attribuita anche la creazione del nome della nuova disciplina, gioca un ruolo fondamentale nella nascita della scienza econometrica e nella sua istituzionalizzazione; nel 1930, infatti, insieme con Irving Fisher, fonda la Econometric Society, con l'obiettivo di tendere all’“avanzamento della teoria economica nelle sue relazioni con la statistica e con la matematica”. Ragnar Frisch nasce a Oslo nel 1895 e nella capitale norvegese trascorrerà tutta la vita e qui si svolgerà la sua carriera accademica a parte una parentesi di studi all’estero e soprattutto in Francia, fino alla morte, nel 1973. Nel 1933 il premio nobel scandinavo fonda, e dirigerà per moltissimi anni, la rivista Econometrica, pubblicazione fondamentale che ha ispirato e diretto un gran numero di ricerche teoriche sui procedimenti dinamici della produzione, sui calcoli del reddito nazionale e sulla pianificazione. Nel primo numero della rivista l'editoriale di Frisch stabisce che “obiettivo della Econometric Society è la promozione di studi che unifichino gli aspetti teorico-quantitativo ed empirico-quantitativo e che siano caratterizzati dal modo di pensare rigoroso proprio delle scienze naturali.” Nello stesso anno viene pubblicata l’opera più L’applicazione dei metodi significativa di Frisch, “Problemi di propagazione matematici e statistici alle scienze e di impulso nella dinamica economica”. sociali sono valsi nel 1969 Lo studioso sostiene un “approccio programmatico” al professore norvegese il primo (programming approach) e l’uso come strumento premio Nobel per l’economia di valutazione e decisione politica, attraverso un’intensa collaborazione tra analisti pianificatori e responsabili politici, di un “Quadro contabile di pianificazione” (Accounting Plan Frame). Il “Quadro” si sostanzia in un sistema di modelli decisionali, alla scala nazionale, che egli chiamava il “channel model di Oslo”, che si basa su una netta distinzione fra il momento della scelta (selection problem) e quello della attuazione (implementation problem). Con il cosiddetto modello del “cavalluccio a dondolo” Frisch introduce poi un semplice modello matematico del ciclo economico, che segnerà tutti gli studi successivi, in cui le variabili economiche rilevanti sono determinate in modo dinamico, vale a dire anche dai valori passati di altre variabili, e da uno “shock” esterno. Questi shock esterni, o impulsi sono casuali, e costituiscono la vera novità introdotta dal professore norvegese: la loro azione casuale, applicata a un modello dinamico, risultava in un andamento ciclico dell'attività economica. Come nel caso di un cavalluccio a dondolo che, se colpito da un bastone, inizia a oscillare in modo molto diverso rispetto al movimento iniziale del bastone stesso. La disciplina econometrica è parte di un paradigma scientifico, quello della moderna scienza economica, che nel secolo passato è riuscito ad affermarsi come il più scientifico tra gli studi sociali e una parte considerevole di un tale successo è dovuto al perfezionamento e all’oggettiva solidità interna del suo processo assiomatico-deduttivo che ha permesso di presentare le teorie economiche come assoggettabili a verifica empirica.
L’
INTUIZIONE E LO SVILUPPO DELL’“ECONOMETRIA”
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ANNO 7 N.55
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DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008
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