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Anno 10 numero 76. Febbraio 2010. € 4,00
UGO PANELLA
Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Fotoreportage > Centro penale Quezaltepeque
Dossier > Costruire insicurezza: violenza in tv, città-ghetto, troppo uso del carcere
Holding della paura
Finanza > Vitol, Trafigura, Glencore: i nomi sconosciuti dei nuovi padroni del petrolio Economia solidale > Cos’è l’altra economia? Il Tavolo Res mette i puntini sulle “i” Internazionale > America latina: la Cina allunga le mani. E gli Usa retrocedono Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.
| editoriale |
Fabbrica
di insicurezza di Gian Carlo Caselli
D
A SEMPRE LA SICUREZZA È UN OBIETTIVO per il quale vengono messe in campo le migliori energie e intelligenze.
Spesso, purtroppo, con scarsi risultati. Soprattutto negli ultimi tempi, caratterizzati dalla diffusione e dalla crescita di paure e insicurezze di ogni tipo, collegate a vari fattori: la Tv, che ogni giorno rovescia nelle nostre case immagini di violenza, terrorismo, guerra, fame, povertà, sfruttamento, persecuzione, intolleranza; la politica (i partiti soprattutto), che non è più quel punto di riferimento che era in passato; il lavoro, che non c’è o, quando c’è, è precario o sommerso o poco garantito e che, invece di essere un diritto, diventa troppo spesso un pericolo per la salute e la vita stessa del lavoratore. In questo quadro si inserisce il problema della sicurezza urbana. I dati ufficiali non sono confortanti, ma neppure catastrofici. Eppure sempre più catastrofica sta diventando la “percezione soggettiva” dei cittadini. E la paura, nel suo mix di realtà e percezione, è un dato di fatto. Se è irresponsabile cavalcarla (magari dopo averla fomentata con un’informazione mirata), è altrettanto irresponsabile non tenerne conto, liquidandola con giudizi esorcizzanti. Una buona politica non è quella che strumentalizza la paura per raccattare voti, ma quella che cerca di “governarla”, arginandola e contenendola. Altrimenti si corre il rischio di assecondare, se non addirittura alimentare, la paura, innescando un corto circuito che sacrifica sull’altare della sicurezza garanzie e diritti, affievolendo quel pluralismo politico-culturale che costituisce sempre un solido argine contro il pericolo di derive di intolleranza. L’immigrazione extracomunitaria costituisce oggi - sul piano sociale, economico e giuridico - uno dei maggiori problemi italiani. Sbaglia gravemente chi dimentica che la migrazione rappresenta un potente L’AUTORE motore di sviluppo e vuole invece leggervi una minaccia per la nostra civiltà, da fronteggiare con triviali invocazioni di cannoniere: finendo per criminalizzare tutti i migranti in quanto tali, perché considerati Gian Carlo Caselli (Alessandria, 1939). “diversi” e per ciò stesso pericolosi a prescindere. Ma sbaglia anche chi sottovaluta il problema, dimenticando Procuratore capo che un fenomeno epocale come la migrazione è un fiume in piena, che inevitabilmente porta con sé alcuni della Repubblica presso “detriti” e che il problema dei “detriti” va affrontato con realismo, senza illudersi di poterlo esorcizzare il tribunale di Torino. con un approccio esclusivamente sociologico, rinunziando alla necessaria dose di repressione. Ciò non significa È stato giudice - sia ben chiaro - che i problemi della sicurezza debbano affrontarsi in termini esclusivamente di ordine istruttore nelle indagini pubblico. Un fenomeno complesso esige tante cure. In particolare adeguate politiche sociali. Vale anche sul terrorismo e le Brigate per il degrado urbano, cui è doveroso opporsi. Ma guai a dimenticare che esso è fatto di persone, volti e storie, rosse. Dal 1986 al 1990 non di oggetti. Deve perciò essere combattuta e respinta come incivile qualunque tentazione di intervenire membro del Consiglio con retate, espulsioni di massa o allontanamenti indiscriminati per etnie o categorie. Tenendo ben presente, superiore della magistratura e, tra il 1993 nello stesso tempo, che sicurezza non vuol soltanto dire quanta gente si manda via, ma quali opportunità si danno a chi resta. Diversamente si fa scuola di violenza e si favoriscono sempre nuovi errori, con crescita e il 1999, subito dopo esponenziale proprio di quell’insicurezza che si vorrebbe ridurre. le stragi di Capaci e via d’Amelio e durante C’è poi la questione carceri. È un dato di fatto che anche le “distorsioni” sul tema sicurezza contribuiscono i processi “eccellenti” alla criminalizzazione di comportamenti che, di fatto, risultano essere più “fastidiosi” che davvero criminali. su mafia e politica, In questo modo si consegnano al carcere persone che difficilmente il carcere riesce a gestire adeguatamente: alla guida della Procura come gli stranieri e i tossicodipendenti, che da soli rappresentano il 60/70% dell’intera popolazione detenuta. di Palermo. Dal 1999 Nell’ambito della pena il carcere rappresenta il perno dell’intero edificio: non credo che se ne sappia ancora al 2001 dirige il Dap immaginare un sostituto. Da un lato per le attese che la società ripone nella risposta detentiva, per il senso (Dipartimento di sicurezza che la detenzione è in grado di diffondere. Dall’altro perché le stesse sanzioni alternative, che sono dell’amministrazione un patrimonio, un progresso, una conquista di civiltà, trovano nel carcere la garanzia della loro praticabilità penitenziaria). ed effettività. È comunque un dato di fatto che tutte le commissioni per la riforma del codice penale, Ha scritto diversi libri: l’ultimo, Le due guerre, per quanto diverse fra loro, si son mosse nella direzione di riservare il carcere a ipotesi sicuramente, dal punto di vista quantitativo, assai meno numerose di quanto oggi non accada, per sviluppare invece discorsi alternativi, è uscito nel 2009 sanzioni che non si identificano più necessariamente, univocamente e inesorabilmente con il carcere. per Melampo editore.
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valori febbraio 2010 mensile
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anno 10 numero 76 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005
All’interno della sezione femminile del carcere di Quezaltepeque le detenute-mamme possono vivere con i loro bambini, ma solo fino a quando compiono cinque anni. Dopo vengono presi in carico dall’Isna, una sorta di orfanotrofio.
editore
promossa da Banca Etica soci
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Augusto Casasoli (A3, Contrasto), Daniele Cavallotti, Lalo De Almeida (Redux, Contrasto), Cedric Gerbehaye (Vu), Dominic Nahr (Oeil Public), Ugo Panella
UGO PANELLA
Società Cooperativa Editoriale Etica Via Copernico, 1 - 20125 Milano
El Salvador, 2009
globalvision
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fotoreportage. Centro penale Quezaltepeque
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dossier. Holding della paura
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Crimini in televisione, fabbrica di insicurezza Progettare un quartiere sicuro. Il ruolo dell’urbanistica Parigi, se questa è una periferia Lotta al terrorismo. Di nuovo di moda Carceri utili davvero. Lavoro e reinserimento Sovraffollamento, la risposta nel Codice
finanzaetica Discreti e implacabili, i nuovi padroni del petrolio Banche sotto esame: rimandate a settembre Gli italiani hanno voglia di etica ma nella finanza non esiste Cambio al vertice a Banca etica: continuità o innovazione? La famiglia Marcegaglia dà il cattivo esempio
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finanzaislamica
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economiasolidale Economia: si fa presto a chiamarla “altra” Giuseppe Eusepi: «L’impresa che rispetta le regole è sempre etica» Beni confiscati, fino a dieci anni per destinarli Tre problemi, quattro voci a confronto
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internazionale America Latina, il Sud aggancia la locomotiva cinese Ombre cinesi, paure statunitensi Crisi dimenticate/4. Congo, cronaca di un conflitto permanente Italia, Senegal, Dubai e Sudafrica. L’impresa sociale si mette in viaggio
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Dopo la tempesta
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Anno 10 numero 76. Febbraio 2010. € 4,00
Quale ritorno alla normalità?
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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Fotoreportage > Centro penale Quezaltepeque
di Alberto Berrini
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Dossier > Costruire insicurezza: violenza in tv, città-ghetto, troppo uso del carcere
Holding della paura
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OPO IL “SECOLO BREVE” (1914-1991), - un modo per interpretare il ’900 - è finito anche il primo “lungo decennio” (2000-2009) del XXI secolo. Reso “lungo” dalle difficoltà registrate in quel periodo dall’economia mondiale, al punto che Paul Krugman (Nobel per l’economia nel 2008) l’ha definito il decennio del “grande zero”, facendo riferimento ai risultati economici di quest’ultimo decennio, almeno per quanto riguarda il mondo sviluppato (diverso sarebbe il discorso se si considerano alcuni Paesi emergenti). Risultati assai mediocri soprattutto se confrontati con le aspettative di inizio secolo. Erano gli anni in cui si pensava (o meglio i “neoliberisti” pensavano) che la new economy avrebbe garantito una crescita sostenuta ed eliminato definitivamente il ciclo economico, ossia l’alternarsi di fasi economiche positive e negative. È successo esattamente il contrario. La velocità media della locomotiva economica è diminuita mentre gli sbandamenti, fino al rischio di veri e propri deragliamenti, sono aumentati. Ora siamo nel 2010 e la ripresa, che pure è nei numeri, è ancora piena di incognite. Abbandonata la fiducia negli algoritmi matematici, in particolare per quelli che garantivano la finanza a rischio zero, si guarda alla storia per meglio affrontare il futuro prossimo venturo. La paura riguarda la “W”, ossia una seconda ricaduta dell’economia, dopo il semestre terribile (settembre 2008 – marzo 2009), che potrebbe essere causata da una exit strategy troppo anticipata, ossia dall’abbandono eccessivamente frettoloso degli stimoli fiscali e monetari Secondo i neoliberisti che hanno sostenuto l’economia in questi mesi. Il riferimento storico, la “soluzione” è un lungo messo in risalto dal “solito” Krugman, è il 1937. In quell’anno la fine periodo di disoccupazione anticipata del New Deal, decisa dal Presidente americano Roosevelt, alle stelle. Un segno determinò una ricaduta dell’economia americana, (dopo la Grande della mancanza di volontà ad imparare dai propri errori Depressione del quadriennio 1929-1933), che poi uscì dalla crisi solo “grazie” allo scoppio della II Guerra Mondiale. Del resto l’economia privata è stata negli ultimi anni sostenuta da una serie di bolle, da quella di internet a quella immobiliare ed ora non è ancora chiaro da dove possa venire un nuovo sostegno all’economia mondiale. Il dibattito sui tempi dell’exit strategy è aperto. Solo su un punto gli economisti sono concordi. Una prolungata politica monetaria eccessivamente espansiva apre la porta a nuove bolle speculative, che potrebbero scoppiare al primo segnale di pericolo di una nuova recessione. Non è un caso che in questi giorni (10 gennaio) la Banca dei regolamenti internazionali abbia convocato a Basilea i responsabili delle più importanti banche private del mondo. Per i monetaristi (un altro modo per dire liberisti) si tratta di tornare quanto prima alla normalità del mercato perché, come dicono, «di troppo Keynes si può morire», alzando i tassi di interesse. Per i keynesiani, che hanno paura degli effetti recessivi di una tale manovra, è meglio introdurre nuove regole nei mercati per evitare le bolle finanziarie. Osservava l’economista Joseph Stiglitz (4 gennaio 2010): “Dicono che alzeranno i tassi per rientrare nella normalità. Ma questo si tradurrà in 2,4 milioni di nuovi mutui insolventi nel 2010”. La verità è che i neoliberisti danno per scontato e inevitabile un periodo di parecchi anni di alta disoccupazione. Nel loro modello la sostenibilità economica non prevede, anzi è alternativa, se non incompatibile, con la sostenibilità sociale. Aveva dunque ragione Krugman quando affermava (La Repubblica, 29 dicembre 2009): “Del decennio che si conclude, in ogni caso, a essere veramente sconvolgente, è la nostra mancanza di volontà a imparare dai nostri errori”.
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> Centro penale Quezaltepeque foto di Ugo Panella
L’America centrale è la regione al mondo più pericolosa per i giovani. La causa principale è la disuguaglianza sociale. Il governo di El Salvador risponde con misure repressive, carcere o eliminazione fisica, per trasmettere un’immagine di forza e di sicurezza. Servirebbero invece programmi di inclusione sociale e di redistribuzione del reddito.
*Responsabile dell’Ufficio Progetti in America Latina
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UGO PANELLA
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rima di tutto i controlli, minuziosi, di ciò che abbiamo portato: carta igienica e medicine, che Soleterre Onlus, il Gruppo Giovanile Monsignor Romero, costituito da giovani migranti salvadoregni residenti in Italia, e l’associazione salvadoregna Homies Unidos, distribuiscono nella sezione femminile del carcere di Quezaltepeque, in El Salvador. È l’iter di Valentina Valfrè* da seguire per far visita alle 130 donne “ospiti” della struttura, quasi tutte membri della “18 Street Gang”, o “Barrio 18”, che, insieme alla Mara Salvatrucha, è una delle bande (pandillas) più pericolose del Centro America. Fondate negli anni Ottanta nelle periferie della California da ragazzi salvadoregni fuggiti durante la Guerra Civile (1980-1992), una volta iniziata l’espulsione dei loro membri verso il proprio Paese di origine, imposta dalle leggi “anti immigrazione” statunitensi, hanno riprodotto il modus operandi che avevano negli Usa nelle città centroamericane (soprattutto El Salvador, Honduras, Guatemala). Qui, con 70 mila affiliati, controllano, insieme ai narcotrafficanti (che li utilizzano come mano d’opera a basso prezzo), i principali traffici illeciti. Secondo lo studio “Mappa della violenza, i giovani dell’America Latina”, pubblicato nel 2008 dalla Red de Informacion Tecnologica Latinoamericana, il Sudamerica è la regione al mondo più pericolosa per i giovani. La causa principale è la diseguaglianza sociale: quando nello stesso spazio geografico vivono ricchissimi e poverissimi, in una situazione di enorme ingiustizia sociale, si provoca il dramma che vive l’America Latina, e in particolare il Centro America, tra i più iniqui al mondo in termini di reddito. La reazione dei governi e delle istituzioni locali al proliferare della violenza finora si è tradotta soprattutto nell’attuazione di un regime poliziesco repressivo che vede nell’incarcerazione (o addirittura nell’eliminazione fisica) l’unica forma di prevenzione della violenza. In America Centrale la popolazione carceraria aumenta sempre più, composta soprattutto da giovani. L’attuazione di misure repressive contribuisce a far guadagnare popolarità ai governi, perché trasmette un’immagine forte e “attiva” rispetto al problema della sicurezza. Concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla pericolosità dei criminali, che, nell’immaginario collettivo generato dai mass media, provengono dalle aree più povere e dai ghetti urbani, impedisce di chiedersi INFO perché, nonostante l’attuazione sistematica di queste misure, i livelli di violenza aumentino invece che diminuire. SOLETERRE ONLUS è un’organizzazione umanitaria: Le soluzioni non possono passare dalla repressione, realizza con proprio personale progetti di cooperazione ma da programmi di inclusione sociale, redistribuzione internazionale diretti soprattutto a donne, bambini e giovani in Africa, Asia, America Latina e Europa, finalizzati del reddito, rafforzamento del sistema educativo pubblico a promuovere la giustizia sociale ed economica. e generazione di posti di lavoro. Info 02 45911010 – www.soleterre.org
L’AUTORE Ugo Panella, 62 anni, nato a Spoleto, è un fotogiornalista specializzato da anni nei reportage di impegno civile. Inizia la sua carriera documentando i conflitti del Centro America alla fine degli anni ’70. In particolare, la guerra civile in Nicaragua e, più tardi, quella in Salvador. La passione per la fotografia di denuncia lo ha portato in giro per il mondo, in luoghi in cui la vita quotidiana è fatta di violenze,
senza alcun rispetto per la dignità umana: la lotta per la sopravvivenza nelle baraccopoli di Nairobi; la vita nel cimitero del Cairo, in cui un milione di senzatetto vive in tombe e loculi; l’attività dei medici dell’Imc (International Medical Corps) per il recupero dei bambini soldato in Sierra Leone. Nel 1999, in collaborazione con Renata Pisu, inviata de La Repubblica, ha realizzato un lungo reportage in Bangladesh sulla condizione di migliaia
di ragazze sfigurate dall’acido solforico perchè avevano rifiutato le “avances” di uomini violenti. Un lavoro pubblicato dalle maggiori testate internazionali e che ha portato all’attenzione del mondo un problema del tutto ignorato fuori dal Paese d’origine. Ha da poco concluso un reportage all’interno dell’Istituto oncologico nazionale di Kiev, a sostegno dell’attività di Soleterre. La Ong italiana è impegnata nel Paese per migliorare la diagnosi preventiva dei tumori nei bambini.
Ci sono circa 130 donne nella sezione femminile del carcere di Quezaltepeque, alcune incinte. Le retate della polizia, frequenti in molti quartieri di El Salvador, non risparmiano le donne in gravidanza. E in carcere ci sono anche dei neonati, che vivono con le madri e dormono su piccole amache, appese al letto superiore.
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> Centro penale Quezaltepeque
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| fotoreportage |
Le condizioni di vita nelle carceri di El Salvador sono pessime: calore soffocante, spazi ristretti, sporcizia, nessuna attività educativa o ricreativa. A Quezaltepeque i letti a castello in cui dormono le detenute sono ovunque, anche in quelli che dovrebbero essere gli spazi comuni e in cortile. Una parte delle ragazze dorme per terra, su materassi sporchi o rovinati. All’arrivo dei volontari di Soleterre e del fotografo, però, cercano di darsi un tono, con un tocco di trucco.
> Centro penale Quezaltepeque
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Le pandillas sono famose per i tatuaggi che caratterizzano i membri della banda. Ognuna ha i suoi segni distintivi, una sorta di uniforme simbolica, che trasmette dei messaggi all’esterno. Per esempio la lacrima nera (nella foto in alto a destra), rappresenta un uomo ucciso.
> Centro penale Quezaltepeque
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UGO PANELLA
| fotoreportage |
All’interno del carcere di Quezaltepeque c’è un’area appositamente riservata alle donne che vogliono tenere con sé i propri figli, fino all’età di cinque anni, nel caso in cui fuori non abbiano nessuno che possa prendersi cura di loro. Una ventina di ragazze, poco più che maggiorenni, vivono in spazi ristretti, senza alcun corredo utile per i bambini. Alcune Ong, come Soleterre onlus, il Gruppo Romero e Homies Unidos, portano giochi, pannolini, medicinali e articoli per la pulizia.
> Centro penale Quezaltepeque
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dossier a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Emanuele Isonio
Crimini in televisione: fabbrica di insicurezza >18 Urbanistica: progettare un quartiere sicuro >20 Parigi, se questa è una periferia >21 Lotta al terrorismo: di nuovo di moda >22 Carceri utili davvero: lavoro e reinserimento >24 Sovraffollamento, la risposta nel Codice >26 Pisapia: decarcerizzare, buon senso non buonismo >27
Il carcere romano di Regina Coeli, uno dei più vecchi in Italia. Situato in un edificio del 1654, fu adibito a prigione nel 1881. Questa è una delle fotografie, come tutte quelle in bianco e nero che pubblichiamo in queste pagine, contenute nel libro “Regina Coeli”, pubblicato dalla Herald editore, nella collana “Quaderni dal carcere”. L’autore degli scatti è Pino Rampolla.
Roma, 2009
l’affare del millennio
Holding della paura Notizie ansiogene e delitti trattati in modo “seriale”: la Tv contribuisce ad aumentare l’insicurezza. Politiche multilivello possono rispondere alla domanda di sicurezza dei cittadini
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Crimini in televisione fabbrica di insicurezza
PINO RAMPOLLA
| dossier | holding della paura |
IL NUOVO ORDINE PUBBLICO: POLIZIE REGIONALI, CORPI SPECIALI E RONDE IL PROGRAMMA DI ORDINE PUBBLICO che attualmente si sta affermando in Italia vede uno spostamento di risorse dalla Pubblica sicurezza verso le municipalità, dove potranno affermarsi sempre più i sindaci-podestà. L’allarme è stato lanciato dai sindacati di Polizia che denunciano tagli alla spesa corrente e in conto capitale tra Interno e Difesa per oltre un miliardo di euro in tre anni, mentre vengono finanziate le municipalità e il “volontariato” delle ronde con fondi previsti nella Finanziaria. Milano è un esempio di queste politiche: mille telecamere sul territorio coordinate da una centrale operativa “spaziale”, corpi speciali come il “Nucleo problemi del territorio” che si occupa dello sgombero dei campi Rom e ha in dotazione una Beretta Px4 Storm uguale a quella usata da Bruce Willis nei suoi recenti film. Dotazioni che la Polizia di Stato, a volte sotto sfratto dai commissariati per morosità, si sogna. «Il contraltare», spiega Roberto Citterio, coordinatore regionale Polizia locale per la Cgil Funzione Pubblica (Lombardia), è che: «Si sottraggono competenze alla Polizia municipale, come la prevenzione, e si frammenta l’intervento di lotta alla criminalità egregiamente svolto dai corpi dello Stato. L’effetto è generare paura e ridurre gli spazi di partecipazione». Un’ulteriore frammentazione, che potrebbe rinverdire medievali contese di campanile, è contenuta nella regionalizzazione delle polizie, prevista dalla riforma del Titolo V della Costituzione e dalla legge sulla devolution. Nella maggioranza delle Regioni al momento si ragiona su forme di coordinamento, ma c’è chi si è spinto molto più in là. Come la Toscana che dichiara, attraverso le parole del suo presidente Claudio Martini, “di essere da sempre federalista” e ha avviato la formazione di una Polizia regionale che si è avvalsa anche della consulenza delle Giubbe rosse canadesi.
di Paola Baiocchi
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i sentiamo più sicuri dopo esserci chiusi in casa, aver munito le finestre di inferriate, attrezzato gli ingressi con telecamere a circuito chiuso e allarmato la
porta? No, perché una finestra all’interno di casa nostra rimane sempre aperta: è la televisione, l’elettrodomestico che negli anni si è trasformato da strumento di acculturamento in ansiogeno comunicatore di insicurezza. Chi percepisce una maggiore sensazione di insicurezza, infatti, guarda per più di quattro ore al giorno la Tv, soprattutto le reti Mediaset. È uno degli elementi evidenziati nel 3° rapporto su “La sicurezza in Italia.
La “prima rotonda” di Regina Coeli, su cui si affacciano le quattro sezioni del carcere.
FONTE: SICUREZZA E MEDIA - OSSERV. DI PAVIA
FONTE: SICUREZZA E MEDIA - OSSERV. DI PAVIA
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Diventare parte di una comunità ci fa sentire più sicuri. Ogni euro di denaro pubblico speso in studio, lavoro, tempo libero, equivale a dieci euro investiti nel sistema penale | 18 | valori |
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fondato da Ilvo Diamanti, Demos & Pi, in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia-Media Research. Ce ne parla Fabio Bordignon, direttore di Demos: «Nel corso degli ultimi dodici mesi gli italiani hanno percepito un rallentamento nella progressione dei fenomeni criminali e si dicono meno preoccupati di restare vittime di reati. Tuttavia esistono alcune specificità, nel modo di trattare le notizie sul crimine in Tv. Si registra, innanzitutto, una specializzazione di rete: la presenza del tema è costantemente superiore nei notiziari delle reti private, in particolare del Tg5 e di Studio Aperto. Nel Tg1 la curva delle notizie “ansiogene” segue, in modo parallelo, quella del competitor Tg5». L’informazione italiana ha poi un’ulteriore specificità: «Nel rapporto 2009 – continua Fabio Bordignon – l’osservazione sui Tg è stata allargata ad altre realtà europee. Ebbene, la quantità di notizie sulla criminalità nei Tg italiani, risulta nettamente superiore a quanto succede in Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna (soprattutto per quanto riguarda le reti pubbliche)». Specifica del nostro Paese è anche la costruzione narrativa dei casi di cronaca nera, seguiti negli anni e proposti in modo “seriale”, come il delitto di Cogne.
LIBRI
Roma, 2005
Sulla sicurezza vediamo un film, non la realtà
sono andate diminuendo nel 2009, senza essere supportate da un’inversione nell’andamento dei reati». I crimini commessi cioè sono rimasti costanti, ma la loro «Non esiste correlazione tra i reati e la loro rappresenta“notiziabilità” è aumentata. zione», spiega Antonio Nizzoli, che ha curato la reda«Sono dinamiche conosciute – spiega Fabrizio Battizione del rapporto per l’Osservatorio di Pavia. «Cioè se stelli, sociologo e direttore del Dipartimento Innovazioin televisione aumentano le notizie di cronaca nera, aune e Società della Sapienza di Roma – la richiesta di sicumenta la percezione di insicurezza, anche se il numero rezza è una domanda legittima, che va ascoltata. Non le di reati realmente commessi è in diminuzione. Questo è si può rispondere solo con politiche di ordine pubblico, successo nel biennio 2007-2008, in cui si sono registrati ma con un insieme di politiche integrate e multilivello picchi di notizie (vedi GRAFICO ) su fatti di criminalità che che tengano insieme gli aspetti urLA TV ALIMENTA LA PAURA banistici e architettonici che fanno sicurezza, la sorveglianza del territoL’INSICUREZZA APPARE ALIMENTATA DA QUATTRO ORDINI DI RAGIONI: rio, la cooperazione tra forze di poli1. La perifericità sociale. L’insicurezza risulta più elevata nei ceti più bassi, fra le persone zia, l’attività delle associazioni, e gli con un grado di istruzione meno elevato, tra le donne, nel Centro-Sud. aspetti sociali dell’integrazione e del2. Il capitale sociale. L’insicurezza cresce fra le persone esterne ai circuiti della partecipazione; la coesione: studio, lavoro e tempo mentre si riduce fra chi è inserito in reti di relazioni amicali e di vicinato molto fitte. libero per i giovani. Ogni euro pub3. L’esposizione ai media, in particolare alla televisione. Quando il consumo televisivo supera le quattro ore al giorno l’angoscia cresce. blico speso per questi ultimi obietti4. Il problema della sicurezza è denunciato con maggior forza dagli elettori del centrodestra: Pdl vi equivale a 10 euro risparmiati nel e Lega; è percepito in modo meno drammatico dagli elettori del centrosinistra. In particolare del Pd sistema penale. Sottrargli risorse – e della sinistra radicale, mentre gli elettori dell’IdV rivelano un grado di paura piuttosto elevato. conclude il professor Battistelli - por3° Rapporto su “La sicurezza in Italia. Significati, immagine e realtà”: www.demos.it ta effetti di degrado conosciuti».
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Fabrizio Battistelli La fabbrica della sicurezza Franco Angeli, 2008
Giorgio Agamben Lo stato di eccezione Bollati Boringhieri, 2003
Manuel Castells Comunicazione e potere Università Bocconi Editore, 2009
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PARIGI, SE QUESTA È UNA PERIFERIA
A sinistra, le Vele di Scampia a Napoli, qui a fianco, un dettaglio del Corviale di Roma. Sopra, la zona “chic”della banlieue di Mantes La Jolie a poche decine di chilometri da Parigi.
LA VOCE POLITICA DELLE BANLIEUES
Le Vele e lo Zen sembrano esempi di scelte fallimentari. Eppure in altri Paesi idee simili funzionano. La differenza è nella gestione
Progettare un quartiere sicuro Il ruolo dell’urbanistica
PER RISOLLEVARE le sorti delle periferie occorre anche una voce politica. In questi anni se ne sono convinti molti attivisti dei diritti dei cittadini dei quartieri disagiati. Tra questi, Yazid Kherfi (nella foto) ha unito le forze nel “Movimento dell’immigrazione e delle banlieues”: una federazione di cinquanta comitati dei quartieri periferici di Parigi. Lo scorso 26 settembre, a Montpellier, si è riunito inoltre il terzo “Forum sociale dei quartieri popolari”. L’obiettivo è trasformarsi in un movimento politico vero e proprio, e presentarsi alle prossime elezioni regionali.
Le scelte progettuali incidono sulla sicurezza urbana. Ma non bastano i bei palazzi. Servono progetti sociali per far sentire i cittadini parte di una stessa comunità.
Q
ANTONIO DA SANGALLO presentò nel 1539 il progetto per la realizzazione della nuova Basilica di San Pietro, Michelangelo lo stroncò: «È fatto di angoli e di scuri. Potrebbe celare qualsiasi delitto: proteggere bandidi Emanuele Isonio ti e briganti, battere moneta falsa e attentare alla virtù delle monache». Al di là della vicenda in sé, legata anche a gelosie tra architetti, il grande artista toscano aveva sollevato una questione valida ancora oggi: una progettazione degli spazi urbani intelligente e accorta può ridurre il tasso di criminalità in un quartiere e aiutare gli abitanti a sentirsi più protetti? Se si pensa ai fallimentari esempi delle Vele di Scampìa, dello Zen di Palermo o del serpentone chilometrico di Corviale a Roma, la risposta appare scontata. Eppure non lo è del tutto. UANDO
APPUNTAMENTO A TEATRO: CAVE! RICCHEZZA E PAURA NEL NORDEST CON L’ECONOMIA CAMBIA LA GEOGRAFIA del paesaggio fisico e laddove si potevano portare i bambini a scuola semplicemente raccogliendoli di casa in casa con un breve viaggio in pullman ora non si può più, perché gli abitanti si sono dispersi, ciascuno con la propria villetta recintata, a volte fortificata, nella pianura. Da questa considerazione è nata una piéce teatrale Cave! Lo spettacolo del nordest d’Italia, prodotto da Codice a Curve con il finanziamento dall’Assessorato alla cultura di Montebelluna (TV): «La politica usa il tema della sicurezza per i propri fini, sfruttando gli episodi per generare terrore in un’area dove la sicurezza non è un problema reale», denuncia la responsabile della produzione Antonella della Giustina. cavecanem-cave.blogspot.com
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I brutti edifici creano insicurezza? «L’argomento è importante ma scivoloso», avverte l’architetto Vezio De Lucia, ex direttore generale dell’Urbanistica del ministero dei Lavori pubblici. «Non bisogna perdere di vista i fatti più importanti: l’80% delle vittime per motivi “urbanistici” è dovuto a scelte dissennate. Costruzioni fatiscenti in zone sismiche o in aree a rischio idrogeologico. Pensiamo a Sarno, a L’Aquila o a Ischia. Dev’essere questa la prima preoccupazione dell’urbanista». E le Vele, lo Zen, Corviale? «Stiamo attenti a criminalizzare l’architettura», prosegue De Lucia. «Sono stati tutti importanti esperimenti, ideati da grandi nomi (Franz Di Salvo, Vittorio Gregotti, Mario Fiorentino, ndr) per rispondere alla sfida di dare a tutti una casa in cui vivere. Il problema non è tanto la struttura architettonica. Casi analoghi, in altre parti d’Europa, hanno portato a esiti opposti. La differenza la fa la qualità della gestione dei quartieri: le Vele hanno 15 piani e non sono mai stati attivati gli ascensori. A Vienna il Karl Marx Hof, edificato nel 1930, è tuttora un esempio per urbanisti e sociologi. Al suo interno, oltre a 1.382 appartamenti, si trovano asili nido, biblioteche, un centro medico, uffici, lavanderie comuni e anche una piscina».
Sì all’integrazione, no ai ghetti Da quelle esperienze si può comunque trarre un insegnamento per i progetti futuri: «Nel progettare nuovi quartieri – osserva De Lucia - va evitata la formazione di ghetti. Molto meglio inserire interventi di edilizia pubblica e popolare all’interno di modelli integrati. Non si devono più avere quartieri monoclasse o monoreddito». O mo-
norazza. Un concetto analogo è stato, infatti, espresso, pensando agli alloggi per immigrati, anche dal direttore generale del Censis, Giuseppe Roma: «Rispetto ad altre esperienze europee, finora abbiamo evitato i quartieri-ghetto. Se ora li creiamo, ci mettiamo una bomba ad orologeria in casa».
Orti, feste e altre idee di condivisione Evitare i ghetti e riempire di sociale edifici, rioni e quartieri può, quindi, essere la via d’uscita per aumentare sicurezza e la qualità della vita. «Una città non è fatta solo di case. Il benessere non è fatto solo di cose», commenta Ezio Manzini, docente di Design strategico al Politecnico di Milano. «Per sentirsi parte di una stessa comunità, i cittadini devono essere coinvolti in progetti sociali, anche piccoli. Questo crea un collante tra loro, permette di conoscersi, di aiutarsi e di raggiungere obiettivi concreti. Inevitabilmente anche la sicurezza ne risente in positivo». Innovazione sociale dal basso, senza attendere la mano pubblica. «Orti urbani, car pooling, bike sharing, scuolabus, a piedi, festa dei vicini di casa, assistenza agli anziani, iniziative culturali. Sono infinite le idee possibili» prosegue Manzini. «L’intervento pubblico non è indispenAPPROFONDIMENTI sabile. Ma se gli enti locali intervengono, questi L’INDAGINE DEMOSCOPICA “Insicurezza processi virtuosi possono e degrado delle periferie urbane” realizzato dal Dipartimento Innovazione e Società (DleS) essere diffusi in fretta e Sapienza Università di Roma: moltiplicare i propri bewww.sosimpresa.it/10_documentazione.html nefici effetti».
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A PARIGI I QUARTIERI SULLA RIVE DROITE DELLA SENNA sono quelli meno ricchi, meno agiati. Proprio da qui partono molti dei treni periferici che collegano la città con i sobborghi: le banlieues. Ma non fatevi ingannare: delle periferie parigine conosciamo soprattutto il volto violento delle rivolte, dell’odio e della rabbia. Eppure non sempre è così. Chi parte dalla stazione Saint-Lazare con il treno per Vernon, estrema periferia ovest della metropoli, può deviare per una banlieue che di certo non evoca le notti di rivolta del 2005. Siamo a Neuillysur-Seine. Qui il reddito medio pro-capite è di 40 mila euro annui; l’architettura e i servizi non hanno nulla da invidiare alla Ville Lumière. Il treno prosegue per la Normandia, e ferma in un luogo solo apparentemente simile. Ad un primo sguardo, Mantes-la-Jolie 57 km da Parigi, casa per 47 mila francesi (e non) - è un posto semplice e tranquillo. Qui, invece, si concentra uno spaccato eloquente della realtà periferica parigina. Se infatti Mantes è una cittadina di case piccole, pulita e silenziosa, basta spostarsi poco più a nord, nel quartiere di Le Val-Fourré, e la musica cambia. Edificata tra il ’59 e il ’77, l’area è una “zona a urbanizzazione prioritaria”: fa parte cioè di un vasto piano che fu attuato per contrastare la crisi abitativa. Qui furono costruiti 8.300 appartamenti condensati in poche decine di torri: niente più che dormitori. Con vista sul niente. Quasi tutti gli abitanti sono arabo-africani: anche i negozi si sono adattati: niente salumerie, perché il 99% degli abitanti è di fede musulmana. E niente fiorai: roba da parigini. YAZID KHERFI: DALLE BANDE ALLE ASSOCIAZIONI Qui nel ’67 si trasferì la famiglia di Yazid Kherfi, ex ragazzo di strada, ex latitante, ex detenuto, oggi scrittore e assistente sociale. La sua storia è stata di recente raccontata in un reportage di Radio France. Da adolescente si avvicina alle bande del quartiere, dedite a furti e rapine. Un approdo, ancora oggi, per molti giovani: «La si preferisce a scuola e famiglia perché con la violenza ci si sente vivi», racconta Kherfi. Le Val-Fourré è così: un ghetto economico, sociale e razziale. I ragazzi qui sono lasciati a vivere nel nulla. Nessun ritrovo al di fuori della tromba delle scale: servizi sociali impalpabili, nessuno svago “virtuoso” per i giovani. A scuola ci si va se capita e le famiglie sono obbligate, per legge, a mandare i figli negli istituti del quartiere. Il lavoro onesto, poi, scarseggia. Kherfi fu ricercato in seguito ad una serie di scontri. Scappò in Algeria, la terra di origine della sua famiglia, poi tornò, ma trovò il carcere ad aspettarlo: «Una scuola del crimine». Quando uscì fu obbligato a rimanere per un anno nel suo quartiere: «Mi si impose di restare a contatto con la banda!». Nel frattempo però erano nate associazioni sul territorio, create dagli stessi cittadini. Così Kherfi si è riscattato, diventando un attivista dei diritti degli abitanti delle banlieues. Eppure gli amministratori locali sembrano preferire la via della repressione: «Ma la polizia non risolve i problemi. Bisognerebbe investire soprattutto sui giovani, valorizzandone le capacità, puntando sui lavori sociali. Eliminando il sentimento di ingiustizia che provano», spiega Brigitte Djebar, educatrice. È proprio questa la chiave: non lasciare soli gli abitanti, farli sentire parte di una comunità. Aggregare anziché reprimere. Ma la strada è ancora lunga. Su quella principale di Le Val-Fourré, intanto, rimbomba una strofa che è una fotografia, al ritmo duro del rap: «Chiudete le vostre porte, le strade sono deserte, le città sono morte. E tutte le sirene d’allarme sono in allerta» Andrea Barolini
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DALL’EMERGENZA ALLA LEGGE
PRIVATIZZATA LA DIFESA ITALIANA
MOLTE LEGGI ITALIANE sono nate per fronteggiare delle emergenze, per poi rimanere nel nostro ordinamento e saldarsi con l’orientamento securitario successivo all’11 settembre 2001.
UNA SERIE DI INIZIATIVE, varate a raffica negli ultimi mesi, allontana definitivamente i cittadini dal controllo di alcuni pilastri come la Difesa e la Protezione civile e apre la strada ad altre privatizzazioni in settori delicatissimi. Nella Legge Finanziaria 2010, composta da due soli articoli ma con ben 247 commi, viene varata la privatizzazione della Difesa italiana. Ce ne parla Gianni Alioti, coordinatore per il settore internazionale della Fim-Cisl: «Difesa Servizi SpA gestirà l’acquisizione di beni e servizi per le Forze Armate, secondo regole privatistiche (meno vincolanti sui reati di corruzione, concussione e abuso d’ufficio), con scarsa trasparenza (eliminazione della gara pubblica) e senza dover rispondere alla Corte dei Conti. Il controllo societario sarà nelle mani del ministero della Difesa, che sceglierà dirigenti e membri del Cda senza controllo parlamentare. È una forma di "privatizzazione" molto simile alle liberalizzazioni post-sovietiche, dove la nomenclatura al potere si è appropriata di pezzi dello Stato. Un precedente pericoloso, che potrebbe applicarsi a sanità, istruzione e giustizia. È già avvenuto con la Protezione Civile SpA, che gestirà appalti ed emergenze per conto della presidenza del Consiglio senza obblighi di consultazione e di rispetto del diritto pubblico». Continua Alioti: «Nei compiti di Difesa Servizi c’è, inoltre, la valorizzazione di immobili e aree del demanio militare con i più svariati usi, come lo smaltimento dei rifiuti, con l'aggravante di gestire “affari privati” in siti secretati come militari. Se ci sono esigenze di far cassa è meglio, allora, alienare in modo trasparente e riconvertire a usi civili tutte le basi, strutture, caserme e immobili non più necessari ai fini della difesa, riducendo così le “servitù militari”». Pa. Bai.
EMERGENZA
LEGGE
1960, rivolta di piazza a Genova contro il congresso del Msi
Il Governo (con il primo ministro Tamboroni) autorizza l’uso delle armi durante le manifestazioni. 7 morti a Reggio Emilia.
1969, esplosione bomba a piazza Fontana
Leggi speciali contro il terrorismo: 1975, la legge Reale (n.152), autorizza la polizia a sparare nei casi in cui ne ravvisasse necessità operativa; 980 la cosiddetta “legge Cossiga” (n.15), prevede condanne sostanziali per chi venga giudicato colpevole di terrorismo” ed estende ulteriormente i poteri della polizia
11 settembre 2001, New York, attentato alle Torri gemelle
Art. 270-bis: aumentate le pene per i reati di tipo associativo
Sbarchi di immigrati
2002, Legge Bossi-Fini sull’immigrazione (n.189), prevede che l’espulsione sia immediatamente eseguita con l’accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica. Gli immigrati clandestini, privi di documenti, vengono portati in centri di permanenza temporanea, istituiti dalla legge Turco-Napolitano, al fine di essere identificati Luglio 2009, Ddl 733 Pacchetto sicurezza: introduce il reato di clandestinità, l’impossibilità di iscrivere all’anagrafe i figli degli immigrati, la tassa sul permesso di soggiorno. Autorizza le ronde di privati e aumenta i poteri dei sindaci “sceriffo”.
PINO RAMPOLLA
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Lotta al terrorismo Di nuovo di moda
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pace», chiosava qualche tempo fa il corsivista Jena su La Stampa, perché dopo la scoperta di un passeggero sul volo Amsterdam-Detroit con dell’esplosivo nelle mutande, l’orologio della guerra che ticchetta nella pancia dedi Paola Baiocchi gli Stati Uniti come in quella del coccodrillo di Peter Il presidente degli Stati Pan, ha ripreso a farsi sentire più forte. Dopo un lungo Uniti ha indicato nello elenco di errori che sarebbero stati commessi dall’intelliYemen il prossimo gence, è stato indicato il nuovo obiettivo: è lo Yemen, perobiettivo “della guerra al terrore”. ché il “depresso” nigeriano che (sembra) sia riuscito a salire a bordo dell’aereo senza passaporto, da lì era transitato. Il salto mentale con cui il presidente Obama ha puntato il dito verso questo piccolo Paese, è acrobatico come quello del suo predecessore che ha bombardato l’Afghanistan e l’Iraq dopo l’attentato alle Torri gemelle del 2001. La maggiore colpa dello Yemen è forse quella di essere collocato troppo strategicamente: proprio sopra al Corno d’Africa dove la flotta cinese ha in corso operazioni contro la pirateria somala; un piccolo Stato eco-
Un ufficio di guerra psicologica all’interno della base Nato di Verona ha alimentato la strategia della tensione in Italia negli anni ’70 | 22 | valori |
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nomicamente debole che si protende nell’Oceano Indiano come una piattaforma di lancio missilistica puntata verso la Cina. Una posizione importante come quella dell’Italia, che, proprio per essere una “portaerei naturale” nel Mediterraneo, ha sottomesso tante volte la sua sovranità a quella degli Stati Uniti.
Misure di sicurezza: obbedienza e business Un osservatore impertinente come lo scrittore tedesco Peter Schneider ha chiesto in un recente articolo su La Repubblica: “perché obbligare milioni di passeggeri a compilare scrupolosamente i loro formulari diversi giorni prima della partenza, per poi far passare senza problemi un individuo fortemente sospettato e già noto alla Cia?”. Nello stesso articolo si dava una risposta: “Molto probabilmente alcune misure di sicurezza non hanno alcun senso e servono al più come esercizio di obbedienza”. Certo questa ventata di controlli negli aeroporti (nelle stazioni ferroviarie e nelle metropolitane niente?) fa esultare i produttori di body scanner i cui prezzi sono saliti da 120 a 200 mila euro l’uno e l’annuncio che verranno adottati negli scali di Malpensa, Venezia e Fiumicino ha salvato dalla cassa integrazione i 240 dipendenti della Gilardoni,
DAL 2007 SI CHIAMA XE SERVICE LLC, ma ha solo cambiato nome, non metodi. La Blackwater Worldwide Usa è la più grande compagnia militare privata. Fondata nel 1997 da Erik Prince, rampollo di una ricca famiglia statunitense che ha militato in Marina, è il principale fornitore di contractors del Dipartimento di Stato americano al quale assicura più di mille ex militari, addestrati presso la sua sede di Moyock nel North Carolina, in un’enorme area dove ogni anno vengono preparati circa 35 mila paramilitari. Utilizzati in Iraq e Afghanistan, ufficialmente in operazioni di scorta del personale diplomatico, eseguono anche molte attività sotto il comando della Cia di cui rappresentano una versione “esternalizzata” e spregiudicata. Il mese scorso cinque mercenari della Blackwater sono stati assolti da un tribunale di Washington: erano accusati del massacro di 17 civili, compiuto durante una scorta a Baghdad con particolare efferatezza e disinvoltura, il 16 settembre 2007. Pa. Bai.
Ingresso nella prima sezione del carcere di Regina Coeli.
Lunghe file negli aeroporti, body scanner e bombardamenti. Sono i mezzi migliori per combattere il terrore? ON VEDO L'ORA DI ESSERE BOMBARDATO dal premio Nobel per la
BLACKWATER: I MERCENARI DI STATO
Roma, 2005
in provincia di Lecco, che opera con l’americana L3 Communication. Ma anche Edward Alden, analista del Council on Foreign Relations uno dei “pensatoi” americani più conservatori, giudica che la maggioranza dei provvedimenti non servirà a nulla se non ad alimentare l’antiamericanismo. Più operazioni di intelligence, insomma, e meno minacce di bombardamenti sarebbero i più efficaci nella lotta al terrorismo.
Ritorna l’uso del terrorismo «Definire cosa sia il terrorismo è un esercizio sul quale si sono confrontati molti storici», spiega Giuseppe De Lutiis autore di “I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda Repubblica”, in uscita questo mese. «Nei decenni scorsi e nel ’900 il termine è stato usato a volte contro movimenti di liberazione o di resistenza. Pensiamo ai partigiani italiani che nel ’43-’44 venivano chiamati terroristi dal regime fascista. Ai nostri giorni un gruppo armato che non opera nei suoi territori e attacca gruppi di civili, è considerato terrorista. C’è da dire che spesso (e anche negli ultimi mesi) si è esagerato nell’uso di questo termine per definire azioni che non hanno comportato morti o feriti, ma sono state usate per scopi strumentali da settori politici o di intelligence o di stampa».
«Altra cosa – continua il professor De Lutiis – è il terrorismo che abbiamo subìto in Italia agli inizi degli anni ’70: Piazza Fontana, potrebbe essere considerato il nostro 11 settembre. Su quella terribile e destabilizzante strage sono emerse nuove evidenze che portano a un “ufficio di guerra psicologica” localizzato all’interno della base Nato di Verona, che agiva in contatto con i vertici del Comando designato della terza Armata di Padova. In questa sede padovana, con i fascisti veneti, sono state progettate attività non ortodosse. Tra queste la bomba di piazza Fontana, perché in ambienti Usa non c’erano preoccupazioni solo per un’invasione di tipo militare da parte del Patto di Varsavia, ma anche di un’eventuale crescita del Partito comunista italiano e per il successo delle sinistre in Europa». Scenari così inquietanti non solo rendono legittima un’altra irrispettosa domanda di Peter Schneider (“Da anni mi chiedo quali disastri potrei mai procurare su un aereo con un paio di forbicine e una limetta da manicure”), ma soprattutto ci chiedono di fare i conti con il nostro passato e con il fatto che, spiega il professore De Lutiis: «tuttora attività di guerra psicologica vengono svolte all’interno delle basi Nato, che non hanno più come obiettivo la famosa “soglia di Gorizia” ma probabilmente il Medioriente».
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LIBRI
Aldo Giannuli Come funzionano i servizi segreti: dalla tradizione dello spionaggio alle guerre non convenzionali del prossimo futuro Ponte alle Grazie, 2009
Giuseppe De Lutiis I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda Repubblica Sperling & Kupfer, 2010
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La cooperativa Made in carcere. Sotto, detenuti di Caltagirone. A sinistra, Pasquale Di Stefano, il pittore di Regina Coeli, che nel 2000 ha regalato un quadro al Papa.
Roma, 2005
Carceri utili davvero Lavoro e reinserimento
I LIBRI HERALD
COOPERATIVE IN CARCERE
UN TUTOR PER REINSERIRSI
VOCI E STORIE DALLE CELLE
NON C’È SOLO BOLLATE (con il vivaio www.cascinabollate.org, il catering, la falegnameria e molti altri progetti) tra le esperienze di lavoro nelle carceri italiane. Su e giù per la penisola se ne trovano molte altre. Eccone alcune: LECCE E TRANI: Made in carcere - la coop Officina creativa ha assunto 16 detenute per realizzare borse per la spesa in stoffa, cappelli, bracciali, coperte dagli scarti di tessuto delle aziende della zona. www.madeincarcere.it MILANO SAN VITTORE: Sartoria Sanvittore - la coop Alice, attiva dal ’92, dal 2008, realizza vestiti di jersey e organza e abiti da sposa. www.cooperativalice.it PADOVA: I dolci di Giotto - la coop Work Crossing ha realizzato nel carcere una pasticceria artigianale premiata dall’Accademia italiana della Cucina: panettoni, colombe, biscotti acquistabili anche on line. www.idolcidigiotto.it ROMA REBIBBIA: Coop Piantala - produce piante aromatiche biologiche certificate Icea con le detenute del ramo femminile. www.piantearomatiche.org SIRACUSA: Dolci evasioni - www.arcolaio.org - dal 2005 la coop L’Arcolaio produce pasta di mandorle e dolci tipici siciliani, acquistabili anche online su Zoes.it. www.piantearomatiche.org TORINO E SALUZZO: Pausa Cafè - cacao, caffè, birra sono le sue produzioni, in vendita anche online su Zoes.it. www.pausacafè.org A Torino è attiva anche la Papili Factory, specializzata in oggetti artistici e artigianali. www.papili.it VENEZIA GIUDECCA: Orto delle Meraviglie - gestito dalla coop Rio Terà dei Pensieri, produce oltre trenta tipi di ortaggi, frutta ed erbe vendute all’ingrosso. www.rioteradeipensieri.org VERBANIA: Banda Biscotti - inutile dire cosa producano. www.bandabiscotti.it VOLTERRA: ogni estate i detenuti cucinano con noti chef, per le Cene Galeotte aperte ai visitatori.
SI CHIAMA Agenzia nazionale reinserimento e lavoro ex detenuti (Anrel): una vera e propria agenzia di collocamento per i carcerati, nata sulla spinta del siciliano Polo di eccellenza della solidarietà e promozione umana “Mario e Luigi Sturzo”. È un progetto nazionale, per ora in fase di avvio, attivo solo in alcune regioni: Veneto, Lombardia, Lazio e Campania. Si rivolge a detenuti tra i 18 e i 50 anni, preferibilmente sposati e con figli, con una pena residua da scontare di tre anni. A queste persone verrà offerto un servizio di tutoraggio e preparazione professionale personalizzata per riavviarle al lavoro.
UNA CASA EDITRICE, la Herald Editore di Roma, e una cooperativa, la Infocarcere, che offre lavoro a soggetti svantaggiati, in particolare detenuti ed ex detenuti. Dalla collaborazione tra i due soggetti è nata la collana “Quaderni dal carcere”: 16 volumi finora per raccogliere esperienze positive in carcere, tra cui due libri fotografici su Rebibbia e Regina Coeli, che fanno parte del progetto editoriale “Obiettivo Carcere: autobiografia di chi vive al di là del muro”, che prevede la realizzazione di un libro fotografico su ogni istituto penitenziario presente nel Lazio. Un progetto totalmente autofinanziato. Tra gli autori detenuti ed ex detenuti, ma anche operatori penitenziari, cappellani, giudici, insegnanti in carcere, agenti di polizia penitenziaria. www.infocarcere.it www.heraldeditore.it
Gennaro Francione Il sistema penale tra realtà e utopia
Emanuele Palmieri Delinquenti non si nasce ma si diventa
Luciana Scarcia L’attesa. Racconti dal carcere
DETENUTI LAVORANTI 2002 TOTALE 55.670 42.196
2004 TOTALE 56.068 41.382
DETENUTI 2008 TOTALE 58.127 NON LAVORANTI ALLE DIPENDENZE AMMINISTR. PENITENZ. 44.137 NON ALLE DIPENDENZE AMMINISTR. PENITENZ.
2006 TOTALE 39.005 26.984
11.213
12.152
2.261
2.534
12.165
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FONTE: DIR. AMM. PENITENZ. - DATI 2002 - 2008
PINO RAMPOLLA
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Luca Ferrari Rebibbia
Pino Rampolla Regina Coeli
I penitenziari sono utili se usati poco e bene. Altrimenti, finiscono per produrre criminali anziché rieducarli. A Bollate uno degli esempi più positivi: servono spazi adeguati, rigore, lavoro, operatori sociali e rapporti con l’esterno.
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A PRIMA COSA CHE COLPISCE all’interno del penitenziario di Bollate (alle porte di Milano) sono le celle: spaziose, pulite, ma soprattutto aperte. Dalle 8 di mattina alle 8 di sera. Durante il giorno, i detenuti seguono corsi d’informatica, di lingue di Emanuele Isonio straniere o di alfabetizzazione. Possono giocare a calcio (su un campo regolamentare) o a tennis (di campi ce ne sono due). Per i colloqui con i figli c’è la “stanza delle affettività”, che sembra un piccolo chalet di montagna in cui si può cucinare, mangiare insieme, fare i compiti con loro, tutelandoli così dal trauma dell’ambiente carcerario. A Bollate c’è un giornale interno (CarteBollate) con una redazione di otto detenuti che seguono corsi di giornalismo e di video impaginazione; un laboratorio teatrale (Teatro Dentro), che mette in scena spettacoli accessibili anche al pubblico esterno; c’è anche il progetto De.vi.l.s. (detenuti vi-
I progetti lavorativi fanno crollare la recidiva tra i detenuti dal 60 al 19%. Ma coinvolgono finora solo il 3% dei reclusi | 24 | valori |
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cini alle scuole) nato con l’intento di far incontrare i detenuti con gli studenti dell’hinterland milanese. E, aspetto forse ancora più importante, il carcere è aperto alle cooperative sociali, che possono usufruire di spazi in comodato d’uso. I detenuti sono coinvolti in attività lavorative che permettono di costruirsi un mestiere e un futuro una volta scontata la condanna: una cooperativa di falegnameria, una di vivaisti, una di catering. Ci sono poi le commesse esterne: lavori di inserimento dati e un call center. Nell’ignobile panorama carcerario italiano, in cui solo 4.765 celle sono in regola con la normativa europea, poter scontare la propria condanna a Bollate è una “fortuna” (si fa per dire, è sempre un carcere).
Il lavoro rende onesti Ma come deve essere, quindi, un carcere per rispondere alle esigenze di recupero del condannato? Prima di tutto va chiarito un punto: un penitenziario non può essere la risposta a tutti i reati penali. Su questo concordano avvocati, magistrati, agenti di polizia, associazioni: la detenzione va riservata a chi davvero la merita e un sistema penale virtuoso nasce dall’equilibrio tra carcere e misure alternative. Detto questo, è altrettanto indubbio che un penitenziario
presenta la migliore forma di sicurezza permanente che si possa dadisumano non aiuta la sicurezza dei cittadini: «Un contesto carcerare», dichiara Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste. rio sbagliato danneggia anziché aiutare. Crea sacche di criminalità I dati del Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) e, una volta scontata la pena, restituisce alla società un soggetto andimostrano come il tasso di recidiva tra i detenuti “lavoranti” sia netche più pericoloso di quando è entrato», ammonisce Paola Balbo, tamente inferiore rispetto a chi non lavora (19% contro 60%). Purper nove anni giudice onorario del Tribunale di Torino. «Fin dalla troppo sono ancora pochissimi (il 3% del totale – vedi GRAFICO ) i reclusi struttura, il penitenziario deve dare l’idea di ordine. Il personale decoinvolti in attività lavorative reali (pulire latrine e corridoi non serve essere rigoroso, perché è il primo a dover dare l’esempio e deve ve a nulla, se non a passare il tempo). «Ma per agevolare le cooperaavere totale rispetto delle nazionalità dei detenuti». tive e le imprese che operano con i detenuti – osserva Alessio ScanAltro aspetto essenziale, il lavoro: «Aiuta ad assumersi le proprie durra, ricercatore dell’associazione Antigone - servono penitenziari responsabilità, a imparare il rispetto delle regole, dei tempi e degli con spazi adeguati, che si aprano all’esterno e armonizzino le esialtri. Più è professionalizzante, più agevola la ricostruzione dell’igenze di controllo con i tempi di un’attività imprenditoriale». dentità del condannato», spiega Anna Ciaperoni, vicepresidente di Il lavoro di reinserimento del condannato non finisce però con Aiab, che in molti penitenziari ha realizzato progetti di coltivazioni carcere e lavoro. «La fase più delicata è quella dell’immediato post-pebiologiche. «Il lavoro agricolo in particolare ha un che di originale na», rivela Paola Balbo. «Un sistema virtuoso deve pree di non ripetitivo. Evita l’alienazione e dà un riLINK UTILI parare il rientro in società dell’ex detenuto. Lasciarlo scontro immediato all’impegno profuso». Sul tema da solo, senza assistenza e senza una formazione, si“lavoro” battono molti operatori del settore. «È la vewww.polizia-penitenziaria.it gnifica aumentare le probabilità che commetta nuovi ra cura per la sicurezza della collettività. Riuscire a www.carcerebollate.it reati». A tutto discapito della sicurezza dei cittadini trovare una opportunità di lavoro serio a una persowww.associazioneantigone.it che il sistema penale dovrebbe difendere. na detenuta che sia disposta a mettersi in gioco, rap-
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Paola Balbo Diritto penitenziario internazionale comparato Esecuzione penale in carcere e in area esterna Laurus Robuffo, 2005
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Con le pene alternative cala la recidiva... «È l’attuale sistema di sanzioni penali a “produrre carcere”, nell’errata convinzione che più carcere significhi più sicurezza», denuncia Angiolo Marroni, garante dei detenuti della Regione Lazio. «In realtà, la soluzione al
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problema della sicurezza si basa su un uso più ampio delle misure alternative alla detenzione. Ma, sia chiaro: alternative non vuol dire meno dure e dissuasive. Era la strada tracciata dalla proposta di riforma del codice penale redatta dalla Commissione Pisapia: un sistema fondato su pene pecuniarie, interdittive, prescrittive e, solo alla fine, detentive» (vedi INTERVISTA ). A sostegno di questa ipotesi, un paio di dati particolarmente significativi: il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) rivela che, tra i condannati a misure alternative, solo quattro su mille (0,4%) commettono reati nel corso della pena. Nei cinque anni successivi, il tasso di recidiva è del 19%, contro il 68% dei detenuti ordinari. Risultati analoghi sono stati rilevati in occasione dell’indulto: una volta libero, ha commesso un altro reato il 31% dei detenuti contro il 22% dei beneficiari delle misure alternative. Non solo: i dati evidenziano che più anni si passano dietro le sbarre, più sarà probabile una ricaduta una volta usciti. Statistiche alla mano, quindi, il carcere è una vera “scuola di criminalità”. Sanzionare un reato con pene diverse dalla reclusione (magari con lavori utili per la collettività) aumenta invece la sicurezza (effettiva) dei cittadini. Nel frattempo, nelle galere finalmente vivibili, educatori e operatori sociali (ora ne abbiamo solo uno per
Cosa proponeva la commissione?
L’attuale sistema penale risale al 1930. Minaccia pene draconiane che in realtà non vengono quasi mai scontate. La nostra idea era di sostituirlo con un ventaglio di sanzioni, in cui il carcere è solo l’ultima opzione. In poche parole, decarcerizzazione. Una rivoluzione.
Chi dovrebbe decidere quali sanzioni utilizzare?
Il carcere aumenta la sicurezza? I dati dicono altro: sono molto più efficaci le pene alternative. Ma servono nuove norme. Per fare della detenzione l’extrema ratio. dasigilli Angelino Alfano non ha più chance di risolvere il sovraffollamento delle carceri di quante ne avesse lo “scoglio” di Battisti di “arginare il mare”: in un Paese in cui il numero di detenuti audi Emanuele Isonio menta di mille unità ogni mese (al netto delNella pagina accanto: le scarcerazioni), un piano da 17 mila posti da attuarsi uno scorcio entro il 2012, evidentemente non è la giusta via da perdel campetto da calcio correre (vedi BOX ). Se pure fosse realizzato per intero, del carcere romano di Regina Coeli. nel frattempo la popolazione carceraria, con gli attuaRoma, 2005 li trend di crescita, avrà superato le 100 mila unità. Meglio, piuttosto, fronteggiare il problema riservando il carcere ai soli casi più gravi. In una parola, decarcerizzare. Ma la strategia per arrivarci è, forse, ancor più difLIBRI ficile che costruire nuovi istituti di pena. Perché passa inevitabilmente per una riforma organica del nostro Codice penale, la cui ossatura risale agli anni ’30 e non è mai stata modificata.
Ci siamo basati sui dati: la reiterazione del reato è più alta tra chi è in carcere. Con le pene alternative è molto più bassa. I costi della detenzione sono enormi. Ridurre sovraffollamento non è l’obiettivo della riforma, ma solo una conseguenza positiva.
In realtà abbiamo proseguito sul solco delle commissioni che ci hanno preceduto. Le sanzioni detentive (domiciliari e carcerarie) vanno comminate solo se le altre pene non sono adeguate. Ma non è nulla di rivoluzionario: in Germania da quindici anni il 90% dei reati non è più punito con il carcere.
Sovraffollamento, la risposta nel Codice ASTA UN DATO PER CAPIRE CHE IL PIANO predisposto dal Guar-
Quali sono i presupposti da cui nasce la vostra bozza di riforma?
1.430 PINO RAMPOLLA
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«SIAMO ORMAI IN UNA SITUAZIONE di panpenalismo crescente. Il legislatore continua a introdurre nuovi reati, sempre sanzionati con il carcere». Giuliano Pisapia (nella foto) è uno dei più noti penalisti italiani. Nel 2006 ha guidato la commissione ministeriale chiamata a riformare il codice penale. La quarta in quindici anni. Quella che è giunta più vicina al traguardo.
ERGASTOLO
3.361
PENE DA 10 A 20 ANNI
4.183
PENE DA 5 A 10 ANNI
3.986
PENE DA 3 A 5 ANNI
5.979
PENE DA 2 A 3 ANNI
9.858
PISAPIA: DECARCERIZZARE PER BUON SENSO, NON PER BUONISMO
PENE DA 1 A 2 ANNI
PENE INFERIORI A 1 ANNO
QUELLO DELLE CARCERI ITALIANE È UN UNIVERSO SCONOSCIUTO A MOLTI. Quanti sanno che, dei 63.460 reclusi nei nostri penitenziari (cifra record dall’amnistia di Togliatti, 20 mila oltre la capienza), 33.225 (il 52%) sono in attesa di processo? Un danno doppio: si affollano le celle con persone che, in base alla Costituzione, sono innocenti fino al termine del processo e che non possono essere coinvolte in programmi di recupero, visto che non è sicuro che siano colpevoli. A monte di ciò, la lentezza esasperante dei processi. Talmente lenti a celebrarsi, da arrivare a un paradosso: il giorno della condanna definitiva coincide con la fine della pena. Una situazione per nulla infrequente: i due terzi dei condannati devono infatti scontare pene inferiori a 3 anni (vedi GRAFICO ). Solo il 5% invece è “dentro” per condanne a due cifre (gli ergastolani sono lo 0,5%). Altro aspetto poco noto: i tossicodipendenti. Sono un terzo della popolazione carceraria (e sono in aumento, visto il giro di vite della BossiGiovanardi), nonostante, per loro, sarebbero più utili i centri di disintossicazione. Molto pochi invece i detenuti a cui sono concesse pene alternative (9.406) sebbene solo 42 abbiano commesso reati durante l’esecuzione della misura. Nota dolente anche per il numero di educatori: ce n’è uno ogni 83 detenuti. Peggio di noi in Europa solo Cipro. Pazienza se, così, il reinserimento sociale diventa una chimera. Em. Is.
33.225
DETENUTI IN ATTESA DI PROCESSO
È DIFFICILE PER UN GIORNALISTA star dietro agli annunci del ministro Alfano: «Aumenteremo i posti in carcere a 60 mila», diceva a gennaio 2009. «I posti saranno 80 mila» ha invece detto il 13 gennaio 2010. Fossero pure 100 mila, non risolverebbero il sovraffollamento, perché il numero di detenuti cresce a ritmo vertiginoso (1000 al mese). Già oggi sono più dei posti annunciati l’anno scorso e fra qualche mese sfonderanno quota 80 mila. Comunque, il piano predisposto dal capo del Dap, Franco Ionta prevede 17.129 nuovi posti (distribuiti in 47 nuovi padiglioni da realizzare in strutture già esistenti e in 24 di nuova costruzione). Ma solo per 10.806 è indicata la copertura finanziaria. Del miliardo e mezzo di euro necessario, mancano 980 milioni. «Faremo ricorso ai privati e al project financing», assicurava il ministro. Ma l’idea si è ben presto arenata perché non si sono trovati costruttori disposti a finanziare i lavori. Il governo ha anche pensato di “ricompensarli” regalando loro le sedi delle vecchie carceri nei centri storici di varie città italiane. Una manna per gli speculatori. Ma l’emendamento alla Finanziaria è stato bocciato. È certo, invece, che dei 500 milioni stanziati, una parte sarà prelevata dai Fas (Fondi per le Aree Sottosviluppate). E un’altra arriverà dalla Cassa delle Ammende: un vecchio fondo, nato negli Anni ’30, che dispone di oltre 100 milioni, costituito con le ammende pagate dai condannati: un po’ come se il tfr di un lavoratore fosse usato per la ristrutturazione di un’azienda. Per legge quei soldi dovevano essere usati per il loro reinserimento sociale. Em. Is.
LE NOSTRE PRIGIONI: I NUMERI DEL FALLIMENTO
FONTE: DIP. AMMINISTR. PENITENZIARIA) DATI: 1° SEM. 2009
CHI C’È NELLE CELLE ITALIANE
NUOVE CARCERI: IL PIANO C’È, I SOLDI NO
oltre 80 detenuti, penultimi in Europa. Vedi GRAFICO ) potrebbero concentrarsi sul recupero dei casi più gravi.
...e si risparmiano soldi Da non sottovalutare, poi, l’aspetto economico: ogni giorno lo Stato italiano spende 157 euro per ciascun detenuto. Moltiplicate tale cifra per 64 mila e otterrete dieci milioni di euro. Tre miliardi e mezzo di euro all’anno. Ampliando il ricorso alle pene alternative, una parte di quelle risorse potrebbe essere destinata ad altri interventi. Ad esempio a disintossicare i 18 mila tossicodipendenti attualmente reclusi: «Solo intervenendo seriamente sul loro problema si eviterà che, una volta liberi, commettano nuovi reati per procurarsi la droga», spiega Alessio Scandurra, ricercatore e membro del direttivo dell’associazione Antigone. «Una riforma del codice penale con l’obiettivo di relegare il carcere a extrema ratio è sicuramente una risposta al sovraffollamento degli istituti di pena, ma non è solo questo», commenta Antonio Fiorella, docente di diritto penale alla Sapienza di Roma. «Dovrebbe essere la conseguenza della volontà di reinserire il reo nella società. Decarcerare significa soprattutto distinguere chi merita una pena detentiva da chi non la merita. Le misure alternative sono funzionali a evitare il più possibile la desocializzazione degli individui».
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Oggi i giudici nei tre gradi di giudizio non hanno alternativa a punire un reato, anche di minima gravità, con il carcere. Solo dopo, il Tribunale di sorveglianza può decidere se concedere a un condannato le misure alternative. In questo modo si ingolfano i tribunali e passa molto tempo tra il reato e la punizione. Con la riforma, le pene non detentive potrebbero essere irrogate fin dal giudice di primo grado. Come si concilia il maggiore uso di pene non detentive con la percezione dei cittadini che troppo pochi pagano per i reati?
L’allarme sociale è prodotto proprio dal senso di impunità. Va fatto capire all’opinione pubblica che le proposte di decarcerizzazione non sono fatte per buonismo, ma perché si sono rivelate più efficaci. Sia in termini di certezza della pena, sia per permettere il recupero sociale del condannato. Molti dicono: usiamo i condannati per riparare le buche per strada o per pulire i nostri quartieri. È una proposta politicamente scorretta?
Quelli che ha indicato non sono altro che “lavori socialmente utili”. Sono tra i più favorevoli a utilizzarli. E la proposta della “mia” commissione li prevede. Se venissero estese le pene alternative, sarebbero comunque necessarie nuove carceri?
Un ammodernamento è indispensabile. Servono strutture moderne pensate per agevolare le attività rieducative e di lavoro all’interno della prigione. Anche qui: non lo si fa per spirito caritativo ma perché l’esperienza dimostra che migliore è la qualità di un carcere, più le possibilità di recupero aumentano. Che fine ha fatto poi la vostra proposta di riforma?
A gennaio 2008 era approdata in Senato. Poi la crisi del governo Prodi e lo scioglimento delle Camere fermò tutto. Ora la proposta è stata ripresentata dal Pd. Ma l’attuale maggioranza è orientata in tutt’altra direzione. Em. Is.
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Discreti e implacabili, i nuovi padroni del petrolio >30 Banche sotto esame: rimandate a settembre >32 Cambio al vertice a Banca etica: continuità o innovazione? >36
finanzaetica TIAA-CREF ABBANDONA IL PETROLIO SUDANESE
RECORD MONDIALE PER LO SCUDO FISCALE NESSUNO “MEGLIO” DELL’ITALIA
SAY ON PAY: CEDE ANCHE CISCO SYSTEM
MUTUI: CLASS ACTION A UNICREDIT E BANKITALIA
PER UN USO RESPONSABILE DEL DENARO LA MICROFINANZA VA IN ERROR 104
BONUS UK: NON CONTATE SUGLI AZIONISTI ATTIVI
Tiaa-Cref, il principale fondo pensione degli insegnanti statunitensi ha ritirato le sue partecipazioni da quattro grandi compagnie statali asiatiche del settore petrolifero accusate di fare affari con il regime dittatoriale sudanese. La Teachers Insurance and Annuity Association College Retirement Equities Fund, ha ricordato il direttore della Ong Investors Against Genocide Eric Cohen, «È la prima major dei servizi finanziari ad assumere pubblicamente una posizione in linea con il desiderio della maggioranza degli americani che non vuole che i suoi risparmi e i propri fondi pensione abbiano un qualche legame con i genocidi». Le società da cui il fondo ha disinvestito, ha ricordato il portale specializzato Sri News, sono le cinesi PetroChina e Cnpc Hong Kong, l’indiana Oil and Natural Gas Corporation e la malese Sinopec. Tutte e quattro sono sospettate di aver finanziato, di fatto, il regime autoritario del presidente sudanese Omar al-Bashir che, proprio grazie ai proventi del petrolio, avrebbe potuto sostenere le sue milizie responsabili del massacro di centinaia di migliaia di persone nella regione del Darfur. Uno sterminio che è valso ad al-Bashir un mandato di cattura da parte Corte Penale Internazionale.
95 miliardi di euro. Una cifra spaventosa capace di ridicolizzare i risultati ottenuti da Francia (3 miliardi), Olanda (1,5), Regno Unito (se ne prevedono 2) e Argentina (8,3). Stiamo parlando delle somma rimpatriata in Italia grazie allo “scudo fiscale”, l’amnistia de facto promossa con l’obiettivo di rastrellare liquidità. La notizia del clamoroso primato della Penisola è stata diffusa a gennaio dal quotidiano Italia Oggi, citando i dati resi pubblici dall’Internal Revenue Service (Irs), l’agenzia delle entrate statunitense. Il ministero del Tesoro italiano non sembra avere dubbi. In una nota ufficiale ha definito i numeri il sintomo di “uno straordinario successo, segno di forza della nostra economia e di fiducia nell'Italia” ma anche “di intelligenza”. “Portare o tenere i soldi nei paradisi fiscali - hanno voluto precisare dal dicastero - non conviene più, né economicamente né fiscalmente”. Parole sante, soprattutto alla luce della vera peculiarità italiana: l’eccezionale trattamento di favore riservato a chi aveva esportato illegalmente i capitali oltreconfine. A motivare il successo italiano, a ben vedere, c’è proprio la compassionevole indulgenza governativa. Unitamente al pieno condono e alla garanzia dell’anonimato, le autorità italiane impongono sui capitali un’aliquota ridottissima (appena il 5%) contro le sanzioni a doppia cifra promesse dagli altri Paesi. In Francia, a seconda della gravità della situazione, l’evasore rischia di dover restituire dal 10 all’80% della somma occultata, negli Usa si può arrivare al 50%, nel Regno Unito lo Stato può decidere di trattenere l’intero ammontare rientrato. Buona parte dei capitali recuperati finirà così nelle casse pubbliche. In Italia, al contrario, a fregarsi le mani sono soprattutto le banche private.
L’assemblea degli azionisti del colosso informatico Cisco System ha approvato la risoluzione sul “say on pay” (il diritto degli azionisti di votare sul programma di remunerazione del management) presentata da un gruppo di azionisti attivi americani e sostenuta in Italia da Etica sgr, la società di gestione del risparmio del gruppo Banca Popolare Etica. Il voto favorevole pone così fine a una battaglia iniziata nel 2007 quando la questione fu affrontata per la prima volta in assemblea. La mozione chiede ai vertici dell’azienda di prendere in considerazione il volere degli azionisti responsabili introducendo così nuovi principi di trasparenza sui processi di remunerazione dei top manager e di garantire la rendicontazione all’assemblea. Decisivo, nel successo dei promotori, l’impegno degli azionisti religiosi riuniti nell’Interfaith Center on Corporate Responsibility (Iccr), l’associazione che riunisce circa 300 investitori con patrimonio gestito di oltre 100 miliardi di dollari. Sono almeno un centinaio le mozioni sul say on pay presentate negli Usa nel solo 2009. Tra le società che hanno accolto la richiesta Intel, Hp, Occidental Petroleum, Verizon, Mbia, PG&E, H&R Block, Blockbuster, Ingersoll-Rand e Motorola. .
L’Associazione difesa consumatori ed utenti bancari e finanziari (Adusbef) ha promosso una class action contro Unicredit e la Banca d’Italia contestando il sistema di calcolo dell’ammortamento dei mutui applicato dall’istituto di piazza Cordusio e consentito dall’istituto centrale. Lo ha riferito a gennaio l’agenzia Reuters citando una nota ufficiale dell’associazione. Ad alimentare le speranze dell’Adusbef c’è una sentenza pronunciata il 29 ottobre 2008 dal Tribunale di Bari che, accogliendo la richiesta del vicepresidente dell’associazione Antonio Tanza, aveva giudicato illegittimo il sistema utilizzato da Unicredit: il cosiddetto “ammortamento alla francese”. Tale schema calcola il valore delle rate sommando la quota degli interessi con quella del capitale. A differenza di quanto accade nel sistema “italiano”, tuttavia, quest’ultima non è mai costante in quanto soggetta agli interessi composti (interessi sugli interessi). A parità di prestito, tassi e condizioni, l’ammortamento “transalpino” consente agli istituti un guadagno ulteriore. Secondo Adusbef, ha affermato Il Sole 24 ore, la rendita bancaria sarebbe equivalente a un 1,2% di interesse aggiuntivo (2,88 miliardi di euro sui 240 erogati nei mutui al 31 ottobre 2009).
“Tempo fa un cittadino fece un curioso esperimento che ebbe molto successo su internet. Divise il denaro destinato al piano del governo statunitense per salvare le banche dalla crisi finanziaria mondiale - circa 700 miliardi di dollari - per gli abitanti del Pianeta. Il risultato fu strabiliante: 104 milioni di dollari per ciascuno!!! La stampa internazionale diffuse la notizia, salvo accorgersi, con notevole ritardo, che l’esperimento recava con sé un grave errore. Il risultato della divisione in realtà era 104 dollari per ciascun abitante del Pianeta! Seguirono polemiche accese sull’errore di calcolo, ma non arrivò un solo commento su come si sarebbero potuti utilizzare quei 104 dollari”. È partita da qui la campagna internazionale Error104, appunto, finanziata dalla Comunità Europea per diffondere i temi della finanza etica, della microfinanza e della finanza etica per lo sviluppo, con l’obiettivo di sensibilizzare i risparmiatori. Una boccata d’aria fresca in tempi di crisi e di bonus ancora milionari ai manager, ma soprattutto una ricca e utile fonte d’informazioni e documenti, tutti resi disponibili gratuitamente sul web (da Youtube, Facebook, Zoes, ecc.): alcune brevi videointerviste (tra cui una alla nota economista americana Saskia Sassen) e studi scientifici, nonché la preziosa “Guida per risparmiatori”: come investire per lo sviluppo nei Paesi del Sud del mondo, realizzata in formato elettronico e cartaceo, dove potrete leggere tutto ciò che avreste sempre voluto sapere e nessuno vi ha mai detto su finanza etica, microfinanza e microcredito e un intero capitolo di suggerimenti per diventare un risparmiatore eticamente responsabile. A coordinare la campagna in Italia è la Ong Ucodep, ma tra i partner ci sono anche Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Acra, Ctm-Altromercato, Cresud, Etimos. Tutti insieme per promuovere un uso diverso e responsabile del denaro. www.error104.it
L’opposizione dell’azionariato attivo nei confronti delle generose politiche remunerative delle compagnie britanniche resta un fenomeno sostanzialmente marginale. Lo ha sostenuto il Wall Street Journal tracciando un bilancio delle campagne di pressione condotte nel 2009. Lo scorso anno soltanto cinque società britanniche quotate in Borsa hanno dovuto fronteggiare l’opposizione degli azionisti. Soltanto due di queste (Royal Dutch Shell Plc e Royal Bank of Scotland) rientravano nell’elenco delle cento maggiori società del Paese. Nessuna delle compagnie sconfitte in tema di bonus dal voto degli azionisti ha finora reso pubbliche ipotesi alternative di remunerazione. I risultati degli ultimi rapporti realizzati dal governo e dai network dell’azionariato critico hanno lasciato svariati spunti di riflessione: secondo Hector Sants, numero uno della Financial Service Authority di Londra, un maggiore impegno da parte degli azionisti avrebbe contribuito a prevenire molti degli ultimi guai finanziari del sistema. Segnali importanti, ha ricordato, dovranno arrivare dalle attività 2010 a fronte del probabile ritorno in auge di quella politica di alte remunerazioni cui la crisi aveva posto un freno.
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Discreti e implacabili I nuovi padroni del petrolio
duzione mondiale di petrolio, quanto Iran, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi e Venezuela messi insieme. Negli ultimi anni hanno aumentato progressivamente il proprio potere contrattuale nei confronti dei Paesi produttori, ma anche di Big Oil: società come Exxon, Shell, BP, Total, non possono più fare a meno di loro. Perché hanno rapporti privilegiati con governi, autorità di controllo e compratori. E sanno dove e come muoversi al momento giusto.
Il mercato del petrolio è sempre più nelle mani di un piccolo numero di trader con nomi sconosciuti che amano la discrezione. Hanno tolto lo scettro ai produttori e trattano con i governi dei Paesi più corrotti del mondo.
«L
anche nel 2010. I prezzi si muoveranno nel range attuale, senza grandi scosse». L’annuncio è uscito poco prima della fine dell’anno su tutti i principali quotidiani di Mauro Meggiolaro finanziari. A darlo, stavolta, non sono stati i Paesi produttori dell’Opec, né le grandi compagnie petrolifere. Ci ha pensato un tale Ian Taylor, direttore generale di una società che si chiama Vitol. Un suo collega, Pierre Lorinet, amministratore delegato di Trafigura ha rincarato la dose: «I fondamentali economici non giustificano i prezzi correnti del barile, che sono ancora troppo alti». «Anche Gunvor e Glencore sono d’accordo», spiega il Financial Times, «ma si rifiutano di comA DOMANDA DI PETROLIO RIMARRÀ DEBOLE
mentare». Mentre Daniel Jaeggi, condirettore di Mercuria, “è leggermente più ottimista degli altri e afferma che i prezzi potrebbero salire nella seconda metà del 2010”, scrive il Financial Times. Ma chi è Daniel Jaeggi? E chi sono Vitol, Trafigura, Gunvor, Mercuria, Glencore? Società sconosciute ai non addetti ai lavori, anche perché non amano la pubblicità e fanno di tutto perché non si parli di loro. In realtà sono al centro dei flussi internazionali di petrolio. Non come produttori, ma come trader: commercianti. Comprano petrolio e lo rivendono, spostano petroliere negli oceani o le tengono al riparo nei porti a seconda dei prezzi che scorrono sugli schermi dei loro uffici; cercano le migliori raffinerie al prezzo più conveniente. In tutto, questi perfetti sconosciuti muovono il 15% della pro-
Il lungolago dei miliardari
Quanti siano nessuno lo sa con precisione. Il trader Gunvor, che gestisce un terzo delle esportazioni di petrolio russo, aveva un fatturato (stimato) di 5 miliardi nel 2004. Per il 2009 gli insider parlano addirittura di 70 miliardi di dollari, con un utile di 500 milioni. Numeri che si possono solo intuire. Voci di corridoio, indiscrezioni raccolte nelle sale trading. Gunvor, come altre società del settore, rimane chiusa nel massimo riserbo nei suoi uffici in Quai du Général Guisan, sul lungolago di Ginevra. La città dove hanno scelto di Il trionfo dei Rich boys fissare la loro sede Vitol, il maggiore trader del mondo, ma anCome il leggendario Marc Rich, pioniere del trading moderno. che Mercuria, Addax, Litasco. Per questioni fiscali, per la quaUn americano, oggi settantacinquenne, la cui carriera inizia lità dei servizi bancari, ma anche perché, nella città svizzera, negli anni Settanta trattando il petrolio per conto di Phillips ha sede SGS (Société Générale de Surveillance), la più granBros, il più grande trader di allora. Rich diventa un esperto di de compagnia che ispeziona i carichi delle navi. E dà il via licombat trading, il commercio d’assalto, acquistando diritti di bera alle contrattazioni. Dalle finestre con vista sul lago si inesportazione da Paesi in guerra o in crisi politica. Rich, El Maviano e-mail che spostano le petroliere dalla Russia a tador, trattava illegalmente con l’Iran di Khomeini, in SudaSingapore, dai porti dell’Estonia all’Indonesia. Il prezzo del frica durante l’apartheid o con Cuba e la Libia nel periodo greggio viene calcolato alla data di scarico in base ai bolletdell’embargo americano. Dopo aver lasciato Philbro, vola in tini del provider Platts, a cui viene aggiunto un margine meEuropa. Rich fugge dal Dipartimento di Giustizia. Dal 1983 dio di 10 dollari per ogni tonnellata. I seguaci di Marc Rich è accusato di “associazione criminale”, “commercio con il osservano i grafici, seguono i trasferimenti passo dopo passo. nemico” ed “evasione fiscale” che, sommate, potrebbero Ma normalmente non si gettano nella mischia per accaparcostargli 300 anni di carcere. Trova rifugio in Svizzera dove VITOL 5,5 MLN BARILI rarsi concessioni di esplorazione, né raffinerie. Anche se le fonda Glencore, a Zug, al centro delle Alpi. Per il trading del GLENCORE cose stanno cambiando. Alla fine di ottobre 2009, il gruppo petrolio è l’inizio di una nuova era. 2,5 MLN BARILI Vitol ha pagato 25 milioni di dollari in contanti per l’acquiDalla “scuola” di Glencore passano generazioni di gioTRAFIGURA 2,5 MLN BARILI sto del 100% di Petroplus Refining Antwerp e Petroplus Revani manager, che oggi dirigono decine di nuove società. SeGUNVOR 1,7 MLN BARILI fining Antwerp Bitumen, in base al quale diverrebbe procondo le ricostruzioni di Business Week, “Rich ha creato la MERCURIA prietario di impianti per la produzione di bitume e più potente rete informale di commodities trader del mon1,7 MLN BARILI raffinazione di gasolio nel porto di Anversa. Glencore semdo. Gente che compra petrolio nei luoghi più disparati, dobra essere pronta per la quotazione in Borsa, che la porteve la corruzione è più elevata e le major dell’oro nero non rebbe a rinunciare a “una serie di operazioni segrete”. si avventurano”. I “Rich Boys”, spesso con il supporto delPer i trader si sta forse preparando una nuova stagiolo stesso Rich, hanno fondato società in tutto il mondo. PRODUZIONE ne, che probabilmente li porterà a una concorrenza semDall’olandese Trafigura alla Petrodel del nigeriano Michael GIORNALIERA IL PETROLIO TRATTATO pre più spietata con le grandi sorelle del petrolio. Una Prest, dalla Milio International di Mosca alla svizzera MaDAI 5 LEADER CORRISPONDE lotta in cui sapranno muoversi con più agilità, anche se sefield: una galassia di piccole società che si scambiano AL 15% DELLA PRODUZIONE MONDIALE, QUANTO IRAN, a volto scoperto. E con l’appoggio diretto delle peggiori merci e informazioni da una parte all’altra della Terra. E IRAQ, KUWAIT, EMIRATI ARABI E VENEZUELA MESSI INSIEME élites dei Paesi più corrotti del mondo. realizzano ogni anno miliardi di dollari di fatturato.
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I TRADER DELL’ORO NERO VITOL www.vitol.com Fondazione: 1966 Sede: Ginevra, Rotterdam Dipendenti: nd Fatturato 2008: 191,2 miliardi dollari
GLENCORE INTERNATIONAL www.glencore.com Fondazione: 1974 Sede: Baar (Svizzera) Dipendenti: oltre 2.000 Fatturato 2008: 152,2 miliardi dollari
GUNVOR www.gunvorgroup.com Fondazione: 1997 Sede: Amsterdam, Ginevra (sede operativa) Dipendenti: 350 Fatturato 2008: 65 miliardi dollari
Fondata nel 1966, possiede infrastrutture in Medio Oriente, in Nigeria e nelle Filippine. Nel 2008, ha rivelato il Washington Post, le sue attività sono state analizzate dalla Commodities and Futures Trade Commision (Cftc) degli Stati Uniti dietro il sospetto che le sue operazioni d’acquisto di contratti derivati avessero una natura speculativa. Nel luglio 2008, quando il petrolio toccò il record storico dei 147,27 dollari per barile, le sue operazioni arrivarono a compensare l’11% delle transazioni di oro nero condotte presso il New York Mercantile Exchange (Nymex).
Già società di trading, la Glencore ha diversificato le sue attività nel settore minerario dove ha assunto un ruolo di primo piano dopo l’acquisizione di più di un terzo del capitale di Xstrata. Glencore è stata fondata nel 1974 dal trader statunitense di origine belga Marc Rich. Accusato di evasione fiscale e violazione dell’embargo imposto da Washington all’Iran, Rich è fuggito in Svizzera nel 1983. Nonostante la grazia presidenziale del 2001, non ha più messo piede negli Usa. A dicembre la sua società ha emesso 2,2 miliardi di dollari di obbligazioni prospettando un collocamento in Borsa.
Un mistero vivente, a cominciare dalla sua nebulosa proprietà. La Gunvor, ha spiegato il Financial Times, risulta controllata da una holding olandese, la Gunvor International BV, proprietà della cipriota Gunvor Cyprus Holding Ltd appartenente a sua volta alla Eis Clearwater Advisors, una società domiciliata nelle Isole Vergini Britanniche. Secondo
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il Financial Times le fortune della compagnia sarebbero legate all’amicizia tra il premier russo Vladimir Putin e Gennady Timchenko (co-fondatore della Gunvor insieme allo svedese Torbjorn Tornqvist). Gunvor avrebbe ampiamente beneficiato dall’uscita di scena del concorrente Yukos, il colosso messo fuori gioco da Putin nel 2003.
TRAFIGURA www.trafigura.com Fondazione: 1993 Sede: Amsterdam Dipendenti: 1.900 Fatturato 2008: 73 miliardi dollari
MERCURIA ENERGY GROUP www.mercuria.com Fondazione: 2004 Sede: Larnaca (Cipro), Ginevra (sede operativa) Dipendenti: 650 Fatturato 2008: 46,9 miliardi dollari
Fondata nel 1993, la Trafigura possiede 60 uffici in 42 Paesi e scambia una media di 1,5 milioni di barili al giorno. Il suo nome resta legato a uno dei più grandi disastri ambientali e umani della storia. Nel 2006, le operazioni di lavaggio di una sua imbarcazione portarono alla diffusione di sostanze tossiche nel porto di Abidjan, in Costa d’Avorio generando un disastro ecologico e provocando vittime tra la popolazione. Di recente, il quotidiano britannico Guardian ha pubblicato alcune mail riservate che dimostrerebbero la colpevolezza della società che insiste nel dichiararsi innocente.
Già attiva come trader petrolifero, la Mercuria ha avviato di recente un ambizioso programma di espansione nel promettente carbon market. La società, che secondo l’agenzia Reuters avrebbe già a disposizione sei gruppi di lavoro specializzati in Svizzera e tre in Cina, punta molto ad assumere un ruolo di primo piano nel mercato dei crediti di emissione gassosa per i quali si sta sviluppando un mercato complementare di derivati. Di recente Mercuria ha espanso la sua posizione anche nel segmento biofuels siglando un contratto da 50 milioni di dollari con la malese Carotech.
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Banche sotto esame Rimandate a settembre
LA PAGELLA DEI PRINCIPALI ISTITUTI DI CREDITO ITALIANO
Sul sito www.valori.it si possono trovare le pagelle delle altre 7 banche analizzate: Banco Popolare, Ubi, Bnl, Bpm, Cariparma, Popolare di Vicenza e Credem
Armamenti
UNICREDIT
INTESA SANPAOLO
MONTEPASCHI
L’Ong belga Network Vlaanderen svela il rapporto tra Hvb-Unicredit e produttori di cluster bombs (2007)
L’Ong belga Network Vlaanderen conferma un finanziamento erogato da Intesa SanPaolo alla Lockheed Martin, che produce cluster bombs (ottobre 2009).
Nell’ottobre 2009 Mps Capital Services ha curato il collocamento di obbligazioni Finmeccanica per 600 milioni di euro, dopo aver investito 3,7 milioni in titoli della stessa società, attraverso i fondi di Prima Sgr, principale società di risparmio gestito del Gruppo (giugno 09).
Stretti rapporti con Finmeccanica, prima impresa di armamenti in Italia (nel 2008 garantito il collocamento di un prestito obbligazionario di 3,2 miliardi di euro, con una quota di 1,4 miliardi. Nel 2009: 250 e 600 milioni).
Impatto sociale e ambientale
25 milioni di euro di finanziamenti alla Cmc, impegnata nella costruzione della base Usa Dal Molin di Vicenza (2008).
14,5 milioni di euro di finanziamenti alla Cmc, impegnata nella costruzione della base Usa Dal Molin di Vicenza (2008).
Tra i maggiori finanziatori di Eni (al 31 maggio 2009 4,2 miliardi di linee di credito).
Principale finanziatore di Eni: linee di credito per 7,5 miliardi di euro (31/03/09). Garantita un’emissione obbligazionaria da 1 miliardo (10/06/09).
Ha curato un’emissione obbligazionaria di Enel per 2 miliardi (novembre 2007). Linee di credito per 5,2 miliardi (luglio 2007). I fondi Pioneer Am, Pioneer Im e Capital Italia hanno investito 35 milioni in titoli Walmart, 68 in Total, 83 in Nestlè e 37,4 in Coca Cola. Importanti anche gli investimenti nel settore farmaceutico (203,7 milioni), tra cui Novartis (56,8 milioni), Bayer (16,5 milioni), Pfizer (72,3 milioni), Monsanto (13,2 milioni), e Johnson & Johnson (35,5 milioni).
Sette criteri per valutare le prime dieci banche italiane: dall’impatto ambientale agli armamenti,
dai paradisi fiscali alla tutela del risparmiatore. Uno strumento per cercare di cambiare la situazione. di Roberto Cuda
Paradisi fiscali
C
HE COSA SAPPIAMO DELLA NOSTRA BANCA?
Sicuramente la rata del mutuo o, nel migliore dei casi, le spese addebitate sul conto corrente. Potrebbe essere abbastanza, se non fosse che oggi gli istituti di credito hanno assunto un ruolo senza precedenti nella vita economica e sociale. Da loro dipendono, in ultima analisi, le grandi scelte di un Paese: dai trasporti all’energia, dalle infrastrutture alla gestione dei beni comuni (come l’acqua). Da loro dipende anche la diffusione di strumenti di morte come le famigerate cluster bombs. Nasce da questa consapevolezza l’idea di creare uno strumento, accessibile al pubblico, che permetta di conoscere se, come e quanto le nostre banche hanno sostenuto progetti o aziende, diciamo, indifendibili. Uno strumento di azione, per esercitare verso gli istituti di credito tutta la pressione possibile in veste di risparmiatori, cittadini, associazioni o organismi pubblici.
Tutela del risparmiatore
Sette voci per dieci banche I “CATTIVI” SU CUI LE BANCHE INVESTONO TOTAL Investe in Birmania, sede di uno dei più feroci regimi dittatoriali del mondo, ed è accusata di beneficiare di lavoro forzato. La conferma viene da abitanti del posto e dall’EarthRight International (Eri). In particolare nell’ambito del progetto Yadana, secondo l’Eri, la Total è complice degli abusi perpetrati dall’esercito birmano, incaricato di garantire la sicurezza alla compagnia e agli impianti. FONTE: THE INDIPENDENT, 14/08/2009
NESTLÈ È al centro di una campagna di boicottaggio internazionale, promossa da Baby Milk Action, per le continue violazioni del Codice internazione dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per la promozione dei sostituti del latte materno con tecniche pubblicitarie aggressive e scorrette, che, in contesti di scarsa igiene, sono una delle cause di mortalità infantile. È anche accusata di pesanti violazioni di diritti dei lavoratori in diversi Paesi: il sindacato colombiano del settore alimentare Sinaltrainal la considera complice nell’assassinio di 12 sindacalisti nel Paese sudamericano. Infine è uno dei più grandi commercianti e trasformatori di caffè e cacao al mondo, con grosse responsabilità delle gravi condizioni in cui versano milioni di contadini nei Paesi poveri. FONTI: CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO, GUIDA AL CONSUMO CRITICO, EMI 2009; SINALTRAINAL, BABY FOOD ACTION NETWORK
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Sono stati individuati sette criteri, considerati particolarmente significativi per valutare l’impatto delle azioni di una banca, e per ciascuno sono stati analizzati i comportamenti di dieci banche italiane, le prime per dimensione. I criteri sono: armamenti, impatto sociale, impatto ambientale, paradisi fiscali, tutela dei risparmiatori, nucleare civile e privatizzazione del servizio idrico. E le banche sotto esame sono: Unicredit, Intesa SanPaolo, Gruppo Montepaschi, Banco Popolare, Ubi, Bnl, Bpm, Cariparma, Popolare di Vicenza e Credem. Le informazioni sono tutte tratte da fonti pubbliche (Consob, Borsa Italiana, Banca d’Italia, bilanci, prospetti di emissione, stampa, ecc). A decidere di mettere sotto la lente di ingrandimento i comportamenti di questi istituti di credito sono stati Campagna per la Riforma della Banca Mondiale (Crbm), Campagna Banche Armate (attraverso le riviste Missione oggi, Nigrizia e Mosaico di Pace), Ires To-
Acqua
Garantito il collocamento di obbligazioni Enel per 8 miliardi. E altri “significativi rapporti di natura creditizia” (maggio 2009) Attraverso i fondi di Eurizon Sgr ha investito in titoli Total (71 milioni), Nestlè (46,7 milioni) e nel settore farmaceutico (149,8 milioni): Novartis (41 milioni), Bayer (32 milioni), GlaxoSmithKline (38 milioni), Pfizer (19 milioni) e Johnson & Johnson (17,8 milioni).
Ha partecipato al consorzio che ha garantito il collocamento di un prestito obbligazionario a Eni pari a 1 miliardo di euro (giugno 09), mentre i fondi di Prima Sgr hanno investito 52 milioni di euro in titoli della stessa azienda. I fondi di Prima Sgr hanno investito, tra l’altro, in titoli Total (35 milioni) e Nestlè (20 milioni), mentre nel settore farmaceutico emergono due società: Novartis (18,8 milioni) e GlaxoSmithKline (17,6 milioni) (30/06/09), su un investimento complessivo pari a 49,8 milioni di euro.
Il Gruppo ha controllate, dirette o indirette, in Lussemburgo, Delaware, Svizzera, San Marino, Dublino. La controllata HypoVereinsbank è presente a Singapore, Lussemburgo, Londra, Hong Kong, Amsterdam e alle Isole Cayman.
Tra le 14 filiali estere compaiono George Town (capitale delle Cayman), Nassau (Bahamas), Hong Kong, Principato di Monaco, Singapore, Dubai, Beirut, Londra e Vienna.
Ha una sussidiaria nel Principato di Monaco e filiali a Hong Kong, Lussemburgo e Londra.
L’Antitrust ha avviato un procedimento verso Unicredit Banca di Roma per pratiche commerciali scorrette in tema di commissioni di massimo scoperto (luglio 2008). L’authority ha sanzionato il Gruppo con una multa da 1,37 milioni per scorrettezze in tema di portabilità dei mutui (settembre 2008).
L’Antitrust ha avviato un procedimento per pratiche commerciali scorrette in tema di commissioni di massimo scoperto (luglio 2008). L’authority ha sanzionato il Gruppo con una multa pari a 480.000 euro per scorrettezze in tema di portabilità dei mutui (settembre 2008).
L’Antitrust ha avviato un procedimento per pratiche commerciali scorrette in tema di commissioni di massimo scoperto (luglio 2008). A settembre 2008 la banca è stata sanzionata con una multa da 359.000 euro per irregolarità in tema di portabilità dei mutui.
A novembre 2009 aveva 2,4 miliardi di euro di derivati sottoscritti da 139 enti pubblici. Causato un risultato negativo lordo a carico degli enti per 150,4 milioni di euro.
Nel novembre 2009 aveva 3,7 miliardi di derivati sottoscritti da enti pubblici.
Tra le segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva sui casi Lehman Brothers, Mps si colloca al terzo posto con il 18%, pari a 292.000 euro. (Rapporto PiT 2009).
Tra le segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva sui casi Lehman Brothers, è al primo posto con il 43%, pari a 696.490 euro. (Rapporto PiT 2009). Nucleare
Ha garantito l’emissione di obbligazioni Finmeccanica pari a 3,2 miliardi di euro. Nel 2009 altri 250 e 600 milioni.
Ha messo in atto operazioni per eludere il fisco attraverso prodotti “pronti contro termine” acquistati da banche estere con sede a Londra (ricostruzione di Francesco Bonazzi su L’Espresso del 24 ottobre 2008, sulla base di documenti bancari riservati).
Tra le segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva sui casi Lehman Brothers, si colloca al secondo posto con il 21,1%, pari a 341.000 euro. (Rapporto PiT 2009).
Enel è impegnata sul fronte del nucleare a Mochovce, in Slovacchia, e a Belene, in Bulgaria, dove sono in corso progetti ad alto rischio per la popolazione e l’ambiente. Con la francese Edf inoltre è impegnata nello sviluppo del nucleare in Francia e in Italia.
Enel è impegnata nello sviluppo del nucleare in diversi paesi europei (vedi Unicredit). Nel luglio 2009 ha garantito il collocamento di obbligazioni Edison, controllata da Edf, per 700 milioni di euro.
Su Enel vedi relativa voce Unicredit.
Tramite i fondi di Pioneer Am, Pioneer Im e Capitalia Italia, Unicredit ha investito le seguenti somme in titoli di aziende attive nella gestione di sistemi idrici (al 30 giugno 2009): Gruppo Suez: 26,98 milioni di euro; Veolia: 4,59 milioni; Severn Trent: 10,13 milioni; Pennon Group: 4,59 milioni; A2A (Milano-Brescia): 3,93 milioni; Hera (Bologna): 1,45 milioni; Pictet Fund Water I (fondo di investimento sul settore idrico): 871.000 euro; Iride (Torino-Genova): 339.000 euro; United Utilities: 156.000 euro; Enìa (Piacenza, Parma, Reggio Emilia): 150.000 euro; Acea (Roma): 53.000 euro.
Il 7 gennaio 2008 ha acquisito il 10,6% di Acque Potabili. Gestirà l’acqua del bacino di Palermo (600 mila utenti).
Attraverso i fondi di Prima Sgr, ha investito in titoli di aziende attive nella gestione di sistemi idrici (30 giugno 2009): Suez: 13,06 milioni; A2A: 6,77 milioni; Iride: 3,42 milioni; Veolia: 210 milioni.
I Fondi di Prima Sgr hanno investito 2,5 milioni di euro in titoli Edison, controllata da Edf (30/06/09).
Nel 2008 ha sottoscritto un contratto di finanziamento a Irisacqua Srl e di Acque Potabili Siciliane. Banca Imi ha curato, in qualità di joint bookrunner, il collocamento di obbligazioni A2A (Milano-Brescia) per 1 miliardo di euro. Tramite i fondi di Eurizon Sgr, ha investito in titoli di aziende attive nella gestione di sistemi idrici (al 30 giugno 2009): in particolare Suez 27,38 milioni; Veolia: 6,15 milioni; Hera: 5,78 milioni)
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Una fotografia grigia I primi dati a disposizione – di cui riportiamo uno spaccato, sintetico e provvisorio, ma su cui Valori terrà aggiornati i propri lettori – dipingono un quadro a tinte fosche. Ne emerge un sistema bancario che, per sostenere il titolo in Borsa o i dividendi degli azionisti, è disposto a fare carte false (nello schema che segue abbiamo omesso i casi più eclatanti al vaglio della magistratura, come le truffe Cirio e Parmalat, a favore delle informazioni meno note). Va da sé che non tutte le banche sono uguali. Il mercato è dominato dai due colossi Unicredit e Intesa SanPaolo, che, insieme a Bnp Paribas (che controlla Bnl) e, talvolta, alla stessa Montepaschi e pochi altri, hanno gestito operazioni di finanziamento a favore di altrettanti colossi del calibro di Eni, Enel e Finmeccanica, di cui abbiamo conosciuto nei passati numeri di Valori i danni provocati in alcuni Paesi, in particolare nel continente africano.
Piccolo è bello In generale la dimensione è inversamente proporzionale alla responsabilità: le piccole banche sono mediamente le più virtuose, anche se non mancano le eccezioni. Bnl, ad esempio, è in prima fila nel settore degli armamenti: prima “banca armata” con 1,2 miliardi di importi intermediati legati all’export di armi; vanta stretti rapporti con Finmeccanica (attraverso la controllante Bnp) ed è la prima finanziatrice della Cmc, impegnata nella costruzione della base Usa Dal Molin di Vicenza, del tunnel Tav Torino-Lione e del ponte sullo Stretto di Messina. Attraverso i fondi di Euromobiliare Am ed Euromobiliare Sicav, il Credito Emiliano ha investito oltre 40 milioni di euro in titoli di imprese attive nella costruzione di cluster bombs, armi nucleari e mine antiuomo. L’analisi dei fondi di investimento, del resto, rivela un atteggiamento disinvolto di tutte la banche, che non rinunciano a impegnare i propri soldi nelle imprese eticamente più discusse, tra le quali spiccano le maggiori multinazionali del farmaco. Altri dati interessanti riguardano la tutela del risparmio, che dovrebbe essere parte integrante dell’attività creditizia: su 10 banche, solo una (Cariparma) non è stata sanzionata dall’Antitrust per scorrettezze nella portabilità dei mutui.
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I “CATTIVI” SU CUI LE BANCHE INVESTONO COCA COLA È al centro di una campagna internazionale di boicottaggio per gravi violazioni di diritti sindacali. Il Sinaltrainal ha richiesto l’incriminazione ufficiale della Coca Cola presso il tribunale di Miami per l’omicidio di 8 sindacalisti (marzo 2008). In India è accusata di vendere bibite fortemente contaminate da pesticidi, insetticidi e altri inquinanti chimici, tanto che sette Stati indiani hanno vietato per questo motivo la vendita di Coca e Pepsi. Dal novembre 2008 sono in corso proteste anche da parte dei contadini del Rajasthan, per il forte prelievo d’acqua e l’inquinamento della falda da parte della multinazionale. FONTI: SINALTRAINAL; CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO, GUIDA AL CONSUMO CRITICO, EMI 2009; RETE BOICOTTAGGIO COCA COLA
Gli italiani hanno voglia di etica ma nelle banche non esiste
ETICA E FINANZA PRIMA E DOPO LA CRISI SECONDO LEI NEL MONDO DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA QUAL È STATO, FINO AD OGGI, LO SPAZIO PER L’ETICA?
NOVARTIS La compagnia farmaceutica svizzera nel 2006 ha fatto causa al governo indiano perché aveva negato alla compagnia il diritto esclusivo di commercializzare un farmaco anticancro, il Glivec (costo della terapia 27 mila dollari all’anno). Ma l’Alta Corte di Chennay le ha dato torto con una sentenza dell’agosto 2007. FONTE: MEDICI SENZA FRONTIERE
BAYER Nell’agosto del 2009 la Corte Suprema di Delhi ha bocciato il tentativo della multinazionale farmaceutica tedesca di bloccare la concessione della "approvazione alla vendita" da parte dell'Agenzia indiana per il controllo dei farmaci, alla compagnia farmaceutica Cipla per la versione generica del farmaco antitumorale Nexavar, brevettato dalla Bayer. La Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer, ha documentato centinaia di casi in cui i prodotti (pesticidi, farmaci, sostanze chimiche) o le fabbriche della Bayer hanno danneggiato seriamente persone e ambiente WWW.CBGNETWORK.ORG
GLAXOSMITHKLINE Potente impresa farmaceutica inglese accusata da diverse organizzazioni di tenere alti i prezzi di farmaci essenziali per la salute, dal Sudafrica all’India. Nel maggio 2008 alcuni rappresentanti politici delle Filippine hanno puntato il dito contro l’azienda per attività lobbistiche per bloccare un disegno di legge (Cheaper Medicines Act) che consentirebbe la produzione di farmaci a basso costo. Nell’ottobre 2009 Medici senza frontiere ha chiesto alle nove maggiori compagnie farmaceutiche al mondo (Abbott Laboratories, Boehringer Ingelheim, Bristol-Myers Squibb, Johnson & Johnson, Gilead Sciences, GlaxoSmithKline, Merck & Co, Pfizer e Sequoia Pharmaceuticals ) di rendere accessibili al più presto i nuovi farmaci contro l’Hiv ai milioni di persone colpite dalla malattia, inserendo i loro brevetti in un patent pool che comprende una lista di farmaci chiave contro l’Hiv. FONTI: CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO, GUIDA AL CONSUMO CRITICO, EMI 2009; UNIMONDO, 08/10/2009
PFIZER Statunitense, è la più grande multinazionale farmaceutica del mondo. Condiziona le politiche internazionali sui farmaci, imponendo prezzi alti e brevetti prolungati che non permettono l’uso delle versioni generiche (molto meno costose) dei farmaci essenziali (ad esempio contro il cancro, l’Hiv e le malattie cardiache). Nel 2009 ha patteggiato con il Dipartimento della Giustizia statunitense il pagamento di 2,3 miliardi di dollari per chiudere delle cause per marketing illegale di ben 13 farmaci (indicazioni terapeutiche non autorizzate e pagamento di tangenti ai medici, denunciate da 6 ex dipendenti). Nel 2008 ha raggiunto negli Usa un accordo per chiudere il 90% delle cause avviate da pazienti, consumatori e Stati, relativamente ai rischi dei suoi antidolorifici Bextra e Celebrex. FONTI: IL MANIFESTO, MEDICI SENZA FRONTIERE, DER SPIEGEL, RSINEWS
MONSANTO Produce il 90% degli organismi geneticamente modificati del Pianeta ed esercita un’agguerrita azione di lobby per la difesa dei brevetti in agricoltura. Dalla sua fondazione nel 1901, ha accumulato diversi processi a proprio carico, a causa della tossicità dei prodotti che impone al mercato. Negli anni è stata accusata di negligenza, frode, attentato a persone e cose, disastro ecologico e sanitario e utilizzo di false prove. FONTE: MARIE-MONIQUE ROBIN, IL MONDO SECONDO MONSANTO, ARIANNA EDITRICE, APRILE 2009
JOHNSON & JOHNSON Potente multinazionale farmaceutica americana accusata dall’associazione Oxfam – in un rapporto pubblicato nel 2007 – di essere tra i maggiori responsabili dell’emergenza sanitaria dei Paesi del Sud del mondo, opponendosi alla diffusione di medicine generiche a basso costo a causa dei brevetti. FONTI: CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO, GUIDA AL CONSUMO CRITICO, EMI 2009; UNIMONDO, 08/10/2009
SECONDO LEI, QUANDO L’ATTUALE PERIODO DI CRISI FINIRÀ IL MONDO DELLA FINANZA E DELL’ECONOMIA...
NON SA MOLTO NON 3,7% RISPONDE ABBASTANZA 10,6% 10,5%
NON SA NON RISP. POTREBBE 5,4% DIVENTARE ANCHE MENO GIUSTO 10,5%
NESSUNO 22,8%
POCO 52,4%
l’indagine Demos l’etica in banca non c’era e non ci sarà.
U
NA BANCA PER LA QUALE NON CONTI SOLO IL PROFITTO , ma che agisca a favore della società e del territorio, che presti attenzione alle conseguenze sociali e ambientali delle proprie attività, che non di Elisabetta Tramonto investa nel settore delle armi, che alimenti le reti di solidarietà sociale, che adotti criteri di trasparenza nei finanziamenti e negli investimenti. Un’utopia? No, è ciò che gli italiani desiderano. Lo rivela un’indagine, realizzata lo scorso ottobre da Demos&Pi per conto di Banca Etica, intitolata “Voglia di etica-Cittadini, banche e finanza in tempi di incertezza”. L’80% degli intervistati ritiene che l'etica debba avere uno spazio importante nella finanza. Ma i clienti orientati alla finanza etica restano una nicchia nell’oceano dei risparmiatori e degli investitori. Tra gli intervistati, coloro che hanno dichiarato di avere i propri risparmi investiti in banche attive sul fronte sociale e ambientale sono solo il 13%.
LO SPAZIO PER L’ETICA
LA DIMENSIONE ETICA NELLA SCELTA DELLA BANCA
NEL MONDO DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA SECONDO LEI... L’ETICA NON PUÒ TROVARE SPAZIO 8,9% L’ETICA PUÒ AVERE SPAZIO MA COMUNQUE MOLTO LIMITATO 31,9%
DIVENTERÀ PIÙ GIUSTO E RISPETTOSO DEI BISOGNI DEI CONSUMATORI E DEGLI INVESTITORI 26,5%
RESTERÀ PIÙ O MENO COME PRIMA 57,6%
La crisi non ha insegnato nulla. Secondo
FONTE: SONDAGGIO DEMOS & PI, SETTEMBRE 2009 [BASE: 1.236 CASI]
scana, Finansol, Coordinamento Nord-Sud del Mondo, centro Khorakhanè, Rete Disarmo, Comitato italiano per il contratto mondiale sull’Acqua, Altreconomia e Valori. In primavera sarà lanciato ufficialmente un sito internet, quale base di partenza di un nuovo impegno della società civile sul fronte finanziario, ancora in parte da inventare. Ma l’obiettivo è chiaro: far leva sulle banche per orientare l’economia verso una maggiore sostenibilità o, se preferiamo, togliere ossigeno ai progetti irresponsabili.
DOVENDO APRIRE UN NUOVO CONTO PRESSO UNA BANCA, CHE IMPORTANZA DAREBBE NELLA SUA SCELTA AI SEGUENTI ASPETTI...
NON SA NON RISPONDE 8,6%
CHE SIA TRASPARENTE NELL’INDICARE I SETTORI IN CUI INVESTE 53,9% 38,0%
L’ETICA PUÒ E DEVE AVERE SPAZIO 50,6%
1,4%
CHE INVESTA UNA PARTE DEI SUOI UTILI 5,5% IN PROGETTI SOCIALI E AMBIENTALI 27,4% 53,8% 9,9%
3,4%
CHE NON INVESTA NEL SETTORE DELLE ARMI 46,2% 27,7%
2,1%
12,0% 21,1%
FONDAMENTALE IMPORTANTE POCO IMPORTANTE PER NULLA IMPORTANTE NON SA/NON RISPONDE
un grande realismo degli italiani: ritengono giusto e vorrebbero che l’etica fosse un valore presente nella finanza, ma sono consapevoli che questo non accade».
Una sensata contraddizione
Il valore dell’etica
«Dall’indagine emergono due risultati solo apparentemente in contrasto. Da un lato l’Italia sembra essere affollata di persone buone che pensano all’etica, alla solidarietà e al bene comune. Quando la realtà dei fatti è decisamente diversa. Una situazione che può far pensare a un esercizio di buoni sentimenti a basso prezzo, al fatto che gli italiani siano buoni solo a parole», commenta il sociologo Ilvo Diamanti, che ha supervisionato la ricerca, condotta da Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini e Martina Di Pierdomenico. «Ma dall’indagine emerge anche che per gli italiani le banche finora non sono state etiche (tre intervistati su quattro) e che non lo saranno neanche in futuro (sei su dieci). La crisi insomma non ha insegnato nulla», continua Diamanti. «Questa dicotomia in realtà dimostra
«L’etica ha ormai assunto un valore di mercato. Ce ne accorgiamo perché sempre più banche usano questo termine, questo concetto, nelle loro attività di comunicazione», continua Diamanti. Basta pensare a Banca Prossima, costola di Intesa SanPaolo per il segmento non profit, o a istituti nati recentemente che usano il termine “etico” nel loro nome, come Eticredito o banca Simetica, o alle molte carte di credito “etiche” offerte ai clienti dalle banche. «Banca etica, che ha nell’etica la sua ragion d’essere e ha acquisito credibilità su questo fronte, dovrebbe alzare la soglia, definire meglio i confini con le altre banche», conclude Ilvo Diamanti «Bisogna stare attenti che l’etica non venga assorbita dal mercato, deve mantenere la sua autonomia».
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1,7%
4,9%
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| finanzaetica | il nuovo Cda |
| finanzaetica | SILVA: «È UNA SVOLTA»
TAGLIAVINI: «È IL MOMENTO DI VOLARE»
TRA I QUATTRO CONSIGLIERI USCENTI dal Cda di Banca etica c’è anche Fabio Silva, uno dei protagonisti della nascita della banca dieci anni fa, anzi 13, perché è durata quasi tre anni la fase preparatoria, con la “Cooperativa verso la Banca etica”. Non è facile lasciare le redini di un progetto che si è contribuito a creare e in cui si sono spesi così tanti anni della propria vita, con amore e passione. Una condizione che porta a inevitabili bilanci.
«BANCA ETICA HA UNA MARCIA IN PIÙ nell’idea di banca che ha affermato, nella visione critica, nel non dare per scontate le regole bancarie tradizionali», afferma Giulio Tagliavini (nella foto), docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Parma, ex membro del comitato etico della banca.
Uno degli elementi distintivi di Banca etica è la sua governance, perché?
Innanzitutto per il voto capitario, che garantisce la massima democraticità nel processo decisionale. In questo modo si dà ai soci un peso egualitario a prescindere dalle azioni possedute. Secondo fattore fondamentale la struttura organizzativa dei soci, riuniti in circoscrizioni locali, che permette la di stimolare la partecipazione. Durante la fase preparatoria della banca, con la cooperativa “verso la Banca etica” ci siamo posti subito il problema di come governare la banca in assemblea. Questa è stata la metodologia più adatta a garantire partecipazione, democrazia, condivisione. È ancora una struttura valida?
Sì, perché continua a dare buoni frutti, sia da un punto di vista valoriale che operativo. Il 22 maggio verrà eletto un nuovo Cda. È un momento di cambiamento per la banca...
È una svolta. Alcuni di coloro che hanno fondato Banca etica se ne andranno. Porterà innovazione, spero nella continuità. È giusto così. Persone nuove portano nuove idee. Che cosa vorrebbe chiedere al nuovo consiglio?
Di stabilizzare i progetti già avviati, ma di partire con nuove iniziative. Di dare il via a un’azione di microcredito più strutturata in Italia e di proseguire sull’elaborazione internazionale, anche collaborando con altre banche.
Oggi Banca etica è ancora adeguata ai tempi?
Sono necessari diversi cambiamenti. Sul fronte dei prodotti serve maggiore innovazione: nuove forme di prestito e di raccolta. Innovazioni possibili adesso che la banca ha acquisito solidità, non certo dieci anni fa, quando bisognava pensare solo all’operatività fondamentale per nascere e per affermarsi. Ma è arrivato il momento di trovare prodotti di prestito più coraggiosi, coltivare meglio l’inclusione finanziaria e curare il risparmiatore con prodotti più coerenti e disomogenei rispetto allo scenario. Quelli proposti oggi sono piuttosto omologati con il mercato e abbastanza costosi. Oltre ai prodotti, cos’altro cambierebbe?
I canali distributivi e la comunicazione. Bisognerebbe spingere di più sui giovani e sul canale elettronico. Ho in mente una banca che fa transitare la maggior parte delle operazioni di raccolta sul canale elettronico. Io abito a 50 km dal più vicino sportello bancario di Banca etica, ma non ho avvertito il problema. Ormai il cliente della banca non va quasi più allo sportello. I clienti di Banca etica apprezzerebbero questa modifica?
Esiste una grande fetta di pubblico giovane che oggi non percepisce il messaggio di Banca etica: il messaggio tecnico e valoriale arriva solo ai clienti già “conquistati”, a chi ha scelto di far parte di questo istituto. Banca etica non riesce ad arrivare incisivamente al pubblico dei giovani, dei diciottenni che aprono un conto quando iniziano l’università o di chi avvia una vita economica propria. È un peccato. E credo che con qualche sforzo di comunicazione si riuscirebbe a raggiungerli con una proposta che apprezzerebbero, in questo momento storico soprattutto. C’è uno spazio di mercato importante che andrebbe coltivato, non tanto per ottenere risultati commerciali, ma per far conoscere l’alternativa rappresentata da Banca etica. Propone una modifica dell’immagine della banca?
Cambio al vertice a Banca Etica Continuità o innovazione?
Al momento al di fuori della cerchia di persone che segue Banca etica da vicino, la sua immagine non è molto diversa da quella delle Bcc. Invece vorrei che si differenziasse di più. Non è una critica alla presidenza che si chiude. C’è un tempo per ogni cosa. Prima era il tempo di dimostrare che la banca poteva stare in piedi, oggi è il tempo di correre. È una questione di obiettivi. Desidererei che l’asticella venisse alzata, con nuovi traguardi da raggiungere: di comunicazione e di aggancio di settori nuovi. Metterei l’asticella bella in alto e farei il possibile per arrivarci.
Quattro degli storici fondatori di Banca etica, tra cui il presidente Fabio Salviato, devono lasciare il Cda, perché hanno raggiunto il limite dei mandati. A maggio si terrà l’assemblea per eleggere il nuovo consiglio.
L’
ARIA CHE SI RESPIRA È QUELLA DI UN’AZIENDA DI FAMIGLIA, i cui ca-
postipiti stanno per lasciare le redini dell’impresa che hanno fondato, amato, guidato per molti anni. In questo caso, invece, si tratta di una banca: la Banca popolare etica. E chi lascia il “posto di codi Elisabetta Tramonto mando” non sono esattamente i proprietari (che sono invece i circa 33 mila soci), bensì alcuni dei fondatori, che, dalla nascita della banca nel 1999, siedono nel Consiglio di amministrazione: Fabio Silva, Mario Cavani e Giuseppe Di Francesco (13 in tutto i membri del consiglio). Deve lasciare il suo incarico anche colui che, dalla nascita della banca, è stato il suo unico presidente: Fabio In alto, l’assemblea dei soci della Salviato. Motivo: il regolamento dell’istituto prevede un cooperativa Verso limite ai mandati (quattro consecutivi, di tre anni ciascula Banca etica, nel 1996. Il secondo no) e questi quattro membri del Consiglio lo hanno ragda sinistra è Fabio giunto. È la prima volta che un allontanamento dal Cda Salviato, l’unico presidente della avviene non per la volontà della persona o per una votabanca fino ad ora. zione. È un passaggio naturale - e non è certo una sorpreNella foto piccola a colori, una votazione sa - ma non per questo meno rilevante per il futuro della durante l’assemblea banca (oltre che per le vite di queste quattro persone). È dell’anno scorso. | 36 | valori |
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un momento di grande (possibile) cambiamento: un’occasione - di modificare quello che non funziona, di rinnovarsi, di ringiovanire la veste dell’istituto - ma, secondo alcuni, anche un rischio - di non continuità con lo spirito e i principi fondanti della banca.
Una governance tutta particolare La struttura di gestione, la governance, di Banca etica prevede che a “governare” siano i soci, circa 33 mila tra persone fisiche e giuridiche (quattromila tra cui 9 Regioni, 40 Province, 300 Comuni). L’assemblea dei soci, che si riunisce almeno una volta all’anno, è l’organo sovrano di governo della banca, all’interno del quale, come in tutte le banche popolari, ognuno, a prescindere della quota posseduta del capitale sociale, ha diritto a un solo voto (vale il principio una testa = un voto). Ma la partecipazione alla vita della banca è molto più assidua. I soci sono, infatti, organizzati in 60 circoscrizioni locali: gruppi, di solito a livello provinciale, che si incontrano periodicamente, discutono, organizzano
eventi per diffondere la cultura della finanza etica. Il consiglio di amministrazione è eletto dall’assemblea dei soci. «Ha la responsabilità politica della banca nei confronti di terzi e definisce l’orientamento strategico», spiega Marco Piccolo, vicedirettore di Banca etica e tra i suoi fondatori. «La direzione invece ha incarichi operativi. Le decisioni devono essere condivise tra direzione e Cda, una buona dialettica tra queste componenti è il segreto per il funzionamento della banca».
Il nuovo Consiglio di amministrazione Il prossimo 22 maggio l’assemblea dei soci si riunirà per eleggere il nuovo Cda. La presentazione delle candidature è già iniziata. Diverse le strade possibili. Potranno candidarsi innanzitutto i precedenti consiglieri (tranne chi ha raggiunto il limite di mandati); un rappresentante per ognuna delle quattro aree (nord-est, nord-ovest, centro e sud), scelto durante riunioni e dibattiti all’interno delle circoscrizioni locali; tre proposti dall’insieme dei soci fon-
2009 DA RICORDARE
datori (quelli che attualmente compongono la compagine societaria sono: Acli, Agesci, Arci, l’Associazione delle botteghe del commercio equo-solidale, Aiab, Cisl Brianza, Cgm, Cooperativa Oltremare, Ctm-Altromercato, Etimos, Emmaus, Fiba-Cisl, Gruppo Abele, Mag2 Finance Milano, Mag Venezia, ManiTese, Overseas, Uisp) - che hanno candidato: Giuseppe Gallo, segretario generale della Fiba Cisl; Daniele Lorenzi, responsabile politiche economiche Arci; Roberto Oliva, segretario generale Acli - e chi raccolga almeno 300 mila firme, l’1% dei soci (nelle filiali della banca si trova il registro con i candidati). «La possibilità di ricandidarsi più volte e il limite dei mandati avevano, quando abbiamo scritto lo statuto, e hanno lo scopo di trovare un equilibrio tra continuità e cambiamento», spiega Marco Piccolo. «Riservare ai soci fondatori la scelta di tre candidati permette a questi importanti soggetti di avere voce in capitolo nell’autorità di gestione della banca. Mentre le candidature assegnate alle aree e quelle ottenute tramite le firme garantisce la massima democraticità e partecipazione dei soci».
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NELL’ANNO della crisi Banca etica non va affatto in crisi: finanziamenti cresciuti di quasi il 25% rispetto alla fine del 2008 (per un totale di 535 milioni di euro), +6% per la raccolta di risparmio, +35% per il patrimonio amministrato dalla società di gestione Etica Sgr, +14% per il capitale sociale. I dati relativi ai primi 11 mesi del 2009 tracciano un bilancio decisamente positivo. Significativa la crescita di Etica Sgr (+81 milioni di patrimonio nel 2009), che ha visto aumentare i clienti da 8.600 a 10.800.
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AUGUSTO CASASOLI / A3 / CONTRASTO
La famiglia Marcegaglia dà il cattivo esempio
Fatture gonfiate, conti in Svizzera, corruzione e turbativa d’asta. Negli ultimi anni
il presidente di Confindustria ha predicato bene, ma la sua famiglia ha razzolato malissimo. Vediamo perché.
«L
A LOTTA ALL’EVASIONE DEVE INASPRIRSI», ha dichiarato Emma Marcegaglia il 15 dicembre 2009, l’ultimo giorno utile per rimpatriare i capitali dall’estero grazie allo scudo di Tremonti. Un provvedimento che proprio la presidente di Confindustria non di Marco Atella ha esitato a definire: «Un male necessario, per ricapitalizzare le imprese e ottenere fondi a fini sociali». Del resto in fatto di evasione Emma la sa lunga. In Svizzera, con suo fratello Antonio e il papà Steno, ha tenuto almeno diciassette conti correnti, utilizzati per depositare milioni di euro in fondi neri dal 1994 al 2004. L’hanno rivelato nel novembre del 2008 i due giornalisti di Repubblica Emilio Randacio e Walter Galbiati, sulla base dei documenti messi a disposizione dalla Procura di Milano. Per dieci anni la Marcegaglia Spa, specializzata nella trasformazione dell’acciaio, non avrebbe comprato la materia prima direttamente dai venditori, ma da una serie di società di trading che gonfiavano le fatture per permettere alla famiglia di far uscire dall’Italia fondi neri. Un vecchio trucco, utilizzato da molte imprese italiane, dalla Fiat di Romiti alla Parmalat di Tanzi. Il meccanismo usato è semplice: se l’acciaio costava 100, la società Steel Trading, con sede a Londra, che lo vendeva ai Marcegaglia, lo fatturava a 500. Marcegaglia Spa pagava 500 su un conto di Steel Trading presso la Ubs di Lugano e la differenza tra il costo reale e l’importo della fattura (nel nostro esempio 400) veniva versata subito su un conto della stessa banca intestato a Lundberg Trading, una società con sede nelle Bahamas, dietro la qua-
Per 10 anni la Marcegaglia Spa avrebbe fatto uscire dall’Italia fondi neri. Nel 2004 hanno toccato 22 milioni di euro | 38 | valori |
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le si nascondeva Steno Marcegaglia, padre fondatore dell’azienda. In questo modo venivano portati comodamente oltreconfine milioni di euro, evitando di impacchettarli in centinaia di mazzette in contanti da far transitare, tra mille pericoli, alla dogana di Como. Oltre alla Steel Trading hanno collaborato con il piano dei Marcegaglia una serie di società britanniche, come la Scad Company Ltd, che gestiva le vendite di un’acciaieria bulgara, la Springleaf Capital Holding, la Cameo International e la Macsteel International Uk Ltd, che agivano per conto di alcune acciaierie indiane. In tutto il saldo dei fondi neri avrebbe toccato nel 2004 i 22 milioni di euro.
Le tangenti Enipower I soldi depositati nei 17 conti svizzeri dei Marcegaglia sarebbero serviti anche per pagare in nero, estero su estero, i bonus per i manager del Gruppo che operavano all’estero o per acquistare beni in Italia. In quest’ultimo caso il denaro tornava in patria in contanti, passando la frontiera di Como grazie a un comodo servizio di “trasporto valori” offerto dalla stessa Ubs, in cambio dell’1% dell’importo rimpatriato. Gli incartamenti relativi ai conti Ubs dei Marcegaglia sono stati trasferiti per competenza territoriale dalla procura di Milano a quella di Mantova alla fine del 2008. La Marcegaglia Spa ha, infatti, sede a Gazoldo, nel mantovano. Una condanna per frode fiscale sembra comunque molto improbabile, anche perché i documenti a disposizione del procuratore di Mantova Condorelli sono datati e un eventuale procedimento incapperebbe quasi sicuramente nei termini di prescrizione. Ma come si è arrivati ai conti Ubs? La Procura di Milano li ha scoperti indagando sulle tangenti Enipower. Uno scandalo, quello delle centrali Enipower, che ha coinvolto la Marcegaglia Spa e una serie di altre società, come la multinazionale francese Alstom, che avrebbero pagato tangenti da milioni di euro a manager di Enipower in cambio
Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, con il padre Steno.
Roma, 2001
di appalti per la fornitura di servizi di manutenzione, caldaie, valvole, torri di raffreddamento nelle centrali termoelettriche di Mantova, Brindisi, Ferrera Erbognone (PV) e Ravenna. A Milano il caso si è chiuso nel marzo del 2008 con il patteggiamento di Antonio Marcegaglia. Il fratello della presidente di Confindustria, ha ammesso di aver versato, nel dicembre del 2003, una tangente da 1 milione 158 mila euro a Lorenzo Marzocchi di Enipower per assicurarsi una fornitura di caldaie da 127 milioni di euro. Come si legge nella sentenza depositata il 28 marzo del 2008 al tribunale di Milano, la tangente è stata pagata “ad aggiudicazione avvenuta” mediante la “copertura formale di fittizi contratti di consulenza” stipulati con società offshore come la Potz Sa di Lugano e la Daggie Engineering Ltd, registrata nell’Isola di Man. Oltre ai conti Ubs è stato usato anche un conto svizzero dell’allora Banca Popolare di Lodi “aperto all’uopo”. La corruzione dei manager Enipower è costata alla Marcegaglia Spa la confisca di 250 mila euro (equivalente al prezzo del reato) oltre a 500 mila euro di pena pecuniaria, mentre N.e./C.c.t. Spa (controllata da Marcegaglia al 70%) ha dovuto versare ad Eni ed Enipower 4 milioni di euro come risarcimento danni. La condanna a 11 mesi per corruzione comminata ad Antonio Marcegaglia è stata di conseguenza sospesa.
La banda del guard rail Ma appena un anno e mezzo dopo la sentenza di Milano, nell’agosto del 2009, Antonio Marcegaglia, come amministratore delegato
della Marcegaglia Building Spa, compare in un’altra lista di indagati, stavolta dalla Procura di Trento. Imprenditori e società che "si suddividevano il mercato nazionale della vendita delle barriere stradali ad altre imprese o enti pubblici, mediante la ripartizione in quote predeterminate” e si “accordavano su quale delle aziende consorziate avrebbe dovuto approvvigionare il compartimento Anas”. Così si legge negli atti del tribunale di Trento, citati dal Corriere del Veneto. Un vero e proprio cartello del guard-rail, riunito nel consorzio Comast, che avrebbe pilotato gli appalti per le barriere stradali delle autostrade italiane fino al maggio del 2007, data di scioglimento del consorzio, “concordando quale tra le imprese consorziate avrebbe dovuto partecipare alle gare d’appalto”, “quali ribassi sarebbero stati presentati” e “quale società sarebbe stata destinata ad aggiudicarsi i lavori”. È questa l’ipotesi del Pubblico ministero di Trento Giuseppe De Benedetto che già nel 2007 ha aperto un’inchiesta per “associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta” in seguito alla scoperta di irregolarità in un appalto per l’Autobrennero. Tra i soci di Comast c’erano la Marcegaglia Building, ma anche la Metalmeccanica Fracasso di Adriano Fracasso, vice-presidente dell’Associazione industriali italiani delle costruzioni metalliche e altre cinque imprese. Tra il 2003 e il 2007 le “sorelle del guard-rail” si sarebbero aggiudicate in modo fraudolento almeno 16 gare d’appalto per circa 180 milioni di euro, con un profitto illecito di 8 milioni e mezzo di euro. Cifra per la quale il giudice Giulio Adilardi ha concesso in agosto il sequestro preventivo. Sui conti correnti di Marcegaglia sono stati congelati 2,1 milioni di euro. In attesa di dipanare la matassa delle barriere stradali.
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APPUNTAMENTI FEBBRAIO>APRILE
2 - 5 febbraio LAGOS (NIGERIA) PRACTICAL MICROFINANCE FOR PRACTITIONERS Gli operatori delle istituzioni micro finanziarie incontrano le Ong. Organizza la Microfinance Association, un’organizzazione di base nel Regno Unito, ma attiva in tutto il mondo. www.microfinanceassociation.org
5 febbraio ROMA (ITALIA) JOSEPH STIGLITZ LECTIO MAGISTRALIS In occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2009/10, l’università Luiss Guido Carli di Roma conferisce la laurea honoris causa all’economista statunitense Joseph Stiglitz. A seguire, presso l’Aula Magna “Mario Arcelli” di viale Pola, il premio Nobel 2001 terrà una lectio magistralis dal titolo “Lessons of the global crisis for economic theory and policy”. www.luiss.it/eventi/20100205/
9 febbraio LUSSEMBURGO ALFI SRI CONFERENCE 2010 Conferenza sul tema degli investimenti socialmente responsabili. Organizza l’Alfi, l’associazione lussemburghese dei fondi d’investimento. www.alfi.lu
10 - 11 febbraio ROMA ABI – FORUM CSR 2010 Si intitola “Responsabilmente trasparente: l’evoluzione del mercato. Banche, istituzioni e stakeholder a confronto” l’incontro annuale sulla corporate governance organizzato dall’Associazione bancaria italiana (Abi) presso il Centro Convegni Matteo Ricci di Roma. Giunto alla sua quinta edizione, il forum sarà articolato in sessioni | 40 | valori |
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plenarie, tavole rotonde di approfondimento e co-building session interattive. Sponsorizza Etica Sgr. www.abieventi.it/eventi/1033 /forum-csr-2010/
14 - 16 febbraio KATHMANDU (NEPAL) MICROFINANCE SUMMIT NEPAL 2010 Seconda edizione della conferenza dedicata al settore micro finanziario nepalese. Si stima che in Nepal il microcredito raggiunga appena il 26% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. microfinancesummitnepal.org
16 febbraio MILANO (ITALIA) QUESTIONI ESG NEL SETTORE BANCARIO Seminario tecnico organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con Abi, Assogestioni, Ecpi, Vigeo e Academy London Stock Exchange Group. L’incontro si svolgerà dalle ore 17 alle 19 presso la Sala Conferenze Abi di via della Posta 3 a Milano. www.finanzasostenibile.it
23 - 24 febbraio LONDRA (UK) MICROINSURANCE SUMMIT Due giorni di convegno per mettere a confronto le esperienze degli operatori del settore, delle compagnie, delle banche e delle agenzie di aiuto allo sviluppo. Sede dell’evento l’hotel Le Méridien Piccadilly di Londra. Sponsorizza Hanson Wade. www.hansonwade.com/events/microin surance-summit-2010/index.shtml
25 febbraio LONDRA (UK) CLEAR PROFIT ‘9/10 Quali sono le opportunità per gli investimenti responsabili nell’attuale contesto di mercato? Se ne discute alla quarta edizione di Clear Profit. www.clear-profit.com
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PER SEGNALARE UN EVENTO SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT
26 febbraio MILANO (ITALIA) GREEN SOURCING: COME CREARE PROFITTO ATTRAVERSO SCELTE SOSTENIBILI Seminario sui migliori modelli di pianificazione, realizzazione e mantenimento nel tempo di processo di acquisto sostenibile per il settore pubblico e per quello privato. “La giornata di approfondimento - spiegano gli organizzatori della società Business International - ha l’obiettivo di mettere in evidenza le strategie 2010 per scegliere un sourcing sostenibile non solo in chiave ambientale e sociale, ma che generi profittabilità economica duratura nel tempo”. www.businessinternational.it
2 marzo ROMA (ITALIA) IL NUOVO FONDO ROTATIVO PER KYOTO Come si possono ottenere i finanziamenti agevolati del Ministero dell’Ambiente per investire nell’efficienza energetica e nei progetti per la riduzione della CO2? È il tema del Question Time con gli esperti del ministero per l’Ambiente e della Cassa Depositi e Prestiti in programma presso il Montecitorio Meeting Centre. www.businessinternational.it
10 - 11 marzo GINEVRA (SVIZZERA) 3rd MICROFINANCE INVESTMENT SUMMIT Terza edizione del summit sul microcredito che ospiterà operatori di 49 diversi Paesi. L’incontro segue l’analogo evento realizzato a Londra nello scorso ottobre. Sponsorizza PlaNet Finance. www.microfinancesummit.com
15 - 17 marzo DHAKA (BANGLADESH) MICROFINANCE REGULATIONS: WHO BENEFITS? Nel 2006 il governo del Bangladesh, patria d’origine del premio Nobel
per la Pace Muhammad Yunus, ha istituito la Microcredit Regulatory Authority, un organismo di vigilanza sulle attività di settore compiute dalle Ong presenti nel Paese. A tre anni di distanza, l’incontro rappresenta un’occasione per tracciare un bilancio e rilanciare il dibattito confrontando le esperienze di altri contesti nazionali. mra.gov.bd
27 - 28 marzo ONLINE “MICROFINANZA: STRUMENTO PER LO SVILUPPO” Corso di formazione organizzato da Microfinanza srl in collaborazione con l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) e la Fondazione Giordano Dell’ Amore. Il corso si inserisce in un percorso formativo di 5 moduli per l’acquisizione di un diploma base in Microfinanza. Per iscriversi: www.ispionline.it www.microfinanza.it 30 marzo MILANO (ITALIA) CONFERENZA SULLA FINANZA SOSTENIBILE Conferenza organizzata da Academy London Stock Exchange Group e Forum per la Finanza Sostenibile, in collaborazione con Principles for Responsible Investment presso la sede di Borsa Italiana di Piazza Affari a Milano. www.borsaitaliana.it
7 - 10 aprile NAIROBI (KENIA) 2010 AFRICA/MIDDLE EAST REGIONAL MICROCREDIT SUMMIT (AMERMS) Convegno organizzato dalla Microcredit Summit Campaign e sponsorizzato dalla Association of Microfinance Institutions (AMFI). All’edizione 2009 avevano preso parte circa 1.100 delegati. www.microcreditsummit.org 21 - 23 aprile MILANO (ITALIA) SALONE DELLA GESTIONE DEL RISPARMIO Tre giorni di incontri presso Palazzo Mezzanotte a Piazza Affari. Il Salone, primo evento in Italia interamente dedicato al settore del risparmio gestito, sarà un’occasione d’incontro per gli operatori dell’industria, gli esponenti delle istituzioni e delle autorità di vigilanza, i media e i risparmiatori. www.salonedelrisparmio.com
Il crollo di Dubai
Non è una bolla della finanza islamica di Federica Miglietta*
A
BBIAMO LETTO, NEL CORSO DEGLI ULTIMI MESI, DEL CROLLO DELL’EMIRATO DEL DUBAI, uno dei sette Stati sovrani
che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Alcuni quotidiani hanno frettolosamente fatto coincidere il crollo finanziario dell’emirato con lo scoppio di una supposta bolla della finanza islamica. Questo nesso causale è impreciso e, in alcuni casi, fuorviante. La finanza islamica si fonda sul Corano, sulle sue leggi, sulle sue prescrizioni. La più famosa è il divieto di riba, ovvero di un’imposizione ex-ante di un tasso di interesse, il cui livello non tiene conto dei risultati dell’investimento. Un tasso di interesse risulta lecito solo ove finanziato e finanziatore condividano i rischi imprenditoriali. Proprio questo divieto di tasso di interesse ex-ante ha fatto nascere i sukuk, definiti da molti come “bond islamici”. Sono certificati di partecipazione alla proprietà di alcuni beni che permettono agli investitori di ottenere dei flussi finanziari periodici (assimilabili, in ottica occidentale, ad un tasso di interesse) derivanti, per esempio, dalla locazione dei beni immobiliari commerciali facenti parte del pool di asset e gestiti secondo la Shari’ah. Proprio tramite un sukuk si è finanziato Nakheel, colosso del real estate di proprietà di Dubai World che ha trascinato nel baratro la società proprietaria e l’intero emirato. Il sukuk scaduto, del controvalore di circa 4 miliardi di dollari, è stato sottoscritto, per la maggior parte, da investitori del Golfo Persico e il suo default, evitato solo per un soffio, ha rischiato di creare un effetto a catena. Ma è corretto attribuire al bond islamico la caduta di Dubai? Il sukuk del valore di 4 miliardi di dollari rappresenta solo una parte (inferiore al 10%) del debito totale di Dubai World. Il valore totale dei debiti dichiarati, infatti, per i quali è stata chiesta una moratoria, sarebbe pari Il crack dell’emirato a 59 miliardi di dollari. Non vi sono forse circa 55 miliardi di dollari, è dipeso solo in parte dai finanziati con la finanza convenzionale, che devono essere rinegoziati? prodotti finanziari islamici. Lo scorso anno a Dubai era attivo il 25% di tutte le gru del mondo, In realtà buona parte dei problemi sono arrivati si costruivano centinaia di grattacieli per decine di migliaia di posti letto. dall’economia di mercato Ma i comparti su cui si fonda l’economia di Dubai, turismo e finanza, che avrebbero dovuto attirare queste presenze, non prevedono uno stanziamento fisico di decine di migliaia di persone. Nel turismo, Dubai è una tappa importante, ma soprattutto per il transito verso altre mete, e la permanenza media è di due o tre giorni al massimo. In aggiunta proprio il comparto turistico, legato al leisure and entertaiment, non è settore genuinamente islamico, tanto che alcuni indici di mercato islamici escludono il comparto da quelli halal, consentiti. Il sistema civile ed economico di Dubai è di tipo duale. Il diritto civile è ancorato alla Shari’ah mentre il diritto commerciale segue le regole e le prassi del commercio internazionale. Tali prassi non sono considerate peccaminose sul presupposto religioso che le società, in quanto persone giuridiche e non fisiche, non possono materialmente commettere atti peccaminosi. Dunque, l’emirato del Dubai non ha imposto alcun onere religioso alle società e ha, anzi, favorito prassi non genuinamente islamiche. Non si pensi, infatti, che il lusso e l’ostentazione, pilastri di Dubai, siano proprie dell’Islam: rappresentano, infatti, * Ricercatrice di Economia comportamenti non accettabili secondo la Shari’ah. degli intermediari È quindi giusto affermare che a Dubai è sorto il cimitero della finanza islamica? Mi sembra eccessivo finanziari presso la facoltà di Economia e fuorviante. La finanza islamica agli occhi di tanti è qualcosa di esotico, ma in questo caso ha contribuito all’Università di Bari poco al crollo. Nel mondo vero le aziende che utilizzano troppo la leva e non sono in grado di ripagare e presso l’Università Bocconi di Milano i propri debiti vanno in default. Non è questa economia di mercato?
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Economia, si fa presto a chiamarla “altra” >44 Beni confiscati, fino a dieci anni per destinarli >47 Proposte politiche: quattro voci a confronto >49
economiasolidale IN SICILIA LE FATTORIE SOCIALI FANNO “RETE”
IL DIFFICILE POST SISMA DEL TERZO SETTORE: “IL SICOMORO” CERCA FONDI PER LA NUOVA SEDE
VIAGGI & MIRAGGI SBARCA A MILANO
VACCINI-BLUFF PER L’INFLUENZA INDAGINE A STRASBURGO
A ROMA LA PIÙ GRANDE AREA WI-FI D’EUROPA: DALLA PROVINCIA IL PIANO PER IL DIRITTO ALLA RETE
NASCE IL MARCHIO DEI PRODOTTI VEGANI
Le fattorie sociali sono uno strumento molto utile nei percorsi terapeutici e riabilitativi di bambini e adulti con disabilità fisiche e psichiche. E possono rappresentare anche una valida opportunità di lavoro per ex detenuti e tossicodipendenti. In Sicilia, queste realtà sono da oggi in rete e potranno quindi collaborare tra loro e rafforzare la serie di prestazioni che offrono. L’iniziativa è frutto di un progetto di Aiab (Associazione agricoltura biologica), Acli Terra, Cnca (il coordinamento delle comunità d’accoglienza). La rete, che già conta sull’adesione di oltre 50 realtà, consentirà di intercettare risorse e dare forza alle attività promosse dalle aziende e dagli enti pubblici, per sviluppare un’offerta efficiente di servizi idonei all’inclusione sociale dei soggetti svantaggiati. «L’agricoltura sociale – spiega Lillo Alaimo di Loro, vicepresidente di Aiab - trova le sue radici più remote nelle forme di solidarietà e nei valori della reciprocità, gratuità e mutuo aiuto che contraddistinguono le aree rurali. La neonata rete è un tassello importante nel percorso di giustizia e inclusione sociale, tanto necessario al Sud e, in particolare, alla Sicilia».
L’anno del sisma del 6 aprile è alle spalle ma le macerie, gli sfollati, le case e i negozi da ricostruire, l’Abruzzo in difficoltà sono ancora lì. E adesso fa paura un silenzio mediatico che può trasformarsi in assenza, dall’agenda politica e dall’attenzione delle persone. Valori, che ha raccontato a dicembre il bene e il male nel dopo-terremoto, tiene accesi i riflettori, in particolare sulle sorti della bottega equa e solidale Il Sicomoro de L’Aquila, che ha ancora bisogno di aiuto. La situazione, infatti, rispetto a 9 mesi fa non è cambiata granché: per il Natale 2009 è arrivato fortunatamente uno spazio provvisorio presso il centro commerciale cittadino, il nuovo polo di aggregazione della città, in cui è stato allestito un banchetto di vendita dove alimentari del mercato equo, panettoni, cesti natalizi e presepi sono andati “a ruba” e il lavoro è ripreso. Tuttavia, dopo mesi di attesa e trascorse anche le feste, a metà gennaio ancora non si prevedeva la consegna del container promesso dalla Protezione civile: l’attività della bottega si è perciò concentrata sulla diffusione e vendita – 10 euro, anche on line – in tutta Italia del calendario realizzato con LibLab per raccogliere fondi. Il progetto di ricostruzione di una nuova sede (i cui dettagli si trovano sul sito web www.ilsicomoro.org e www.nuovabottega.org, insieme alle foto del vecchio negozio distrutto) ha bisogno di soldi: dei 160 mila euro necessari manca ancora circa la metà. A marzo Il Sicomoro sarà ospite nello stand di Intergas alla fiera Fa’ la cosa giusta (12-14 marzo, Fieramilanocity).
Anche tra i turisti italiani, lentamente, si stanno diffondendo una maggiore sensibilità ambientale e il rispetto doveroso per le culture e i luoghi che si visitano durante una vacanza. Segno di questo nuovo atteggiamento, la crescita del settore dei “viaggi responsabili” e dei tour operator che hanno sempre creduto in questo tipo di turismo. Uno dei primi, la cooperativa Viaggi & Miraggi (www.viaggiemiraggi.org), che finora aveva la propria sede a Padova, da quest’anno raddoppia, aprendo una nuova agenzia a Milano (via Sannio – fermata metropolitana: Lodi) inaugurata pochi giorni fa con una cena di raccolta fondi per la ricostruzione della bottega Il Sicomoro de L’Aquila. «È un evento importante per noi – ha commentato Enrico De Luca, responsabile commerciale della cooperativa – corollario di anni di lavoro. Anche a Milano la rete dei soci è andata ampliandosi, così come il numero di clienti-viaggiatori milanesi e lombardi». Rivolgersi a un tour operator solidale permette di adottare una forma meno invasiva di turismo. «Il 40% di quanto pagato dal cliente – spiega Maurizio Davolio, presidente di Aitr (l’associazione che promuove il turismo responsabile) rimane nel Paese di destinazione. Nei viaggi tradizionali, è meno della metà. Senza il prezzo dell’aereo e i margini di guadagno dell’organizzatore, la percentuale sfiora il 100%».
Dovevano essere decine di milioni le persone vaccinate nel nostro Paese contro il virus dell’influenza A. Alla fine, sono state 700 mila. Ma il nostro governo sborserà comunque 100 milioni di euro per le scorte, accettando di riceverle fino alla fine di marzo, a epidemia già terminata. Chi ci guadagna con questa scelta? I cittadini sicuramente no. Le casse pubbliche nemmeno. Le case farmaceutiche può darsi. Sul caso indagherà ora il Consiglio d’Europa. Il presidente della sua Commissione Sanità, l’epidemiologo tedesco Wolfgang Wodarg, ha accusato esplicitamente le industrie del farmaco di aver pressato l’Oms perché dichiarasse la pandemia: «Quello dell’influenza suina – ha tuonato - è stato uno dei più grandi scandali sanitari del secolo». Il Consiglio d’Europa ha quindi approvato una risoluzione per avviare una inchiesta formale. «Per promuovere i loro farmaci brevettati e i vaccini contro l’influenza – ha proseguito Wodarg - le ditte farmaceutiche hanno influenzato scienziati e allarmato i governi di tutto il mondo. Li hanno spinti a sperperare le ristrette risorse finanziarie per vaccini inefficaci, esponendo milioni di persone al rischio di effetti collaterali per vaccini non sufficientemente testati». Il governo inglese, ad esempio, aveva previsto 65 mila decessi, allertato gli obitori e l’esercito e sospeso il divieto di vendita degli anti-retrovirali senza ricetta medica.
Province, queste sconosciute. Da più parti si moltiplicano le proposte di abolirle e, da Nord a Sud, i cittadini stentano a comprendere le effettive competenze delle Amministrazioni Provinciali. Quella di Roma – per evitare di essere schiacciata tra i due “vasi di ferro” di Regione Lazio e Campidoglio – sembra aver puntato decisa sul settore della formazione e delle nuove tecnologie per creare lavoro e sostenere il Terzo settore. Punti cardine del progetto, la lotta al digital divide e il diritto per tutti alla Rete. Per questo, sono stati attivati i primi due hot-spot nella città di Roma (che si aggiungono ai 200 già installati in provincia): il primo nel popolare quartiere della Garbatella; il secondo nello storico caffè Rosati della centralissima Piazza del Popolo. Entro il 2010, ne saranno attivati 250. E di questa rete – con un contributo di 50 euro – potranno entrare a far parte anche bar, hotel e ristoranti per offrire un servizio in più ai propri clienti. «Vogliamo fare di Roma e del suo hinterland la più grande area di rete Wi-fi gratuita d’Europa», ha spiegato il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti (che, dopo il rifiuto a correre come governatore è sempre più proiettato nel ruolo di “sindaco-ombra”). «Lo sviluppo delle nuove tecnologie è il cuore della Strategia di Lisbona: costruire un’economia della conoscenza per aprire una nuova stagione di sviluppo più sostenibile. L’accesso gratuito alla rete e la banda larga sono un obbligo di servizio universale per eliminare l’apartheid digitale in cui vivono troppe persone e che crea disparità nella fruizione di servizi, informazioni e opportunità di lavoro. La liberà di accesso è una sfida di crescita sociale e di democrazia». Dell’area Wi-fi potrebbero far parte anche i due aeroporti della Capitale. Una proposta della Provincia alla società che gestisce i due scali è già partita. «Avremmo così un caso unico al mondo in cui i passeggeri in aeroporto potranno navigare in attesa del volo».
Chi ha scelto di essere vegano avrà un “alleato” in più per rispettare i propri principi durante gli acquisti. Per chi non lo sapesse, è “vegan” (anche noto come vegetariano integrale) chi adotta una dieta e uno stile di vita che esclude l’uso di prodotti di origine animale per qualsiasi scopo. Alimentazione e cosmesi, in primis. Ma anche abbigliamento, arredamento, detergenti e persino tecnologie. Come si può immaginare, non è sempre facile districarsi tra i vari prodotti in commercio per selezionare quelli rispettosi dei principi vegani. Per questo, i fondatori del progetto Promiseland hanno lanciato un marchio di certificazione vegana VeganOk, «utile al consumatore etico che reputi importante evitare l’uccisione e lo sfruttamento degli animali, ma anche uno strumento semplice ed economico per le aziende attente a tali temi», spiega Sauro Martella, ideatore del progetto. Il rispetto dei principi alla base del marchio VeganOk non sarà controllato da enti esterni ma si baserà su un’autocertificazione dell’azienda, che dovrà sottoscrivere un dettagliato disciplinare. «Noi – spiega ancora Martella – effettueremo dei controlli sia prima della concessione del marchio, richiedendo la scheda prodotto, che per legge dev’essere pubblica. Sia ex post, anche sulla base di segnalazioni ricevute». Il disciplinare e le informazioni sui prodotti certificati sono consultabili sul sito www.veganok.com.
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Economia: si fa presto a chiamarla “altra”
L’ECONOMIA ALTERNATIVA SECONDO IL TAVOLO RES Per i rappresentanti del Tavolo Res, l’economia solidale è una forma ibrida tra i tre principi economici (settore privato, settore pubblico ed economia non monetaria). Una sorta di enclave all’incrocio delle tre linee di confine. “Secondo noi – spiegano nella loro critica al rapporto Obi One - in questa posizione l’economia solidale ha il ruolo strategico di sottrarre spazio all’avanzata dell’economia di mercato; questo è possibile solo costruendo una protezione che crei un ambiente parzialmente riparato dalle logiche dell’economia di mercato”.
ECONOMIA NON MONETARIA AUTOPRODUZIONE, VOLONTARIATO, BARATTO
L’ARTICOLO 1 DELLA CARTA DEI PRINCIPI DELL’ALTRA ECONOMIA “SONO COMPRESE NELLA DEFINIZIONE DI ALTRA ECONOMIA, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse”. Il testo integrale è disponibile su www.cittadellaltraeconomia.org
IL RAPPORTO: 60 MILIARDI DI EURO PRODOTTI OGNI ANNO
DANIELE CAVALLOTTI
ECONOMIA SOLIDALE
ECONOMIA DI MERCATO SETTORE PRIVATO
21,9%
ECONOMIA NON DI MERCATO SETTORE PUBBLICO
SESSANTA MILIARDI DI EURO DI VALORE ANNUO, il 3,82% del Pil. A tanto ammonta l’altra economia italiana, secondo il rapporto di Obi One. Dati a cui si arriva conteggiando, oltre alle realtà dell’economia solidale e alle organizzazioni non profit, anche le “imprese industriali o dei servizi la cui attività sia coerente con i settori caratteristici dell’altra economia”: agricoltura biologica, commercio equo, finanza etica, energie rinnovabili, software libero e turismo responsabile. Con questi criteri, secondo il rapporto, le istituzioni del settore toccano quota 235 mila. Dei 60 miliardi prima ricordati, meno della metà proviene dalle 121 mila imprese profit. Altri 33 sono prodotti da 45 soggetti non profit. Tutti soggetti piuttosto giovani: l’80% è nato dopo il 1980, oltre la metà dopo il 1990. Em. Is.
Basta che un’impresa pensi alla responsabilità sociale per inserirla nell’altra economia? Per il rapporto di Obi One, sì. Ma in molti non sono d’accordo. Un’occasione per chiarire finalmente i confini e le prospettive del settore.
C
OSA SI DEVE INTENDERE PER “ALTRA ECONOMIA”? Si può usare co-
me sinonimo dell’economia solidale o ha un significato più ampio? Meritano di esservi inclusi solo gli organismi tipici del Terzo settore (cooperative sociali, enti non profit e imprese sociali)? O indi Emanuele Isonio vece vanno aperte le porte anche alle aziende classiche che rispettano gli standard della responsabilità sociale d’impresa? Domande cruciali per lo sviluppo di un modo nuovo di concepire l’economia. Lo spunto per rifletterci viene dal primo Rapporto nazionale sull’Altra economia: era stato scritto con l’intenzione di quantificarne il reale peso in Italia. Ha finito per suscitare un vespaio di polemiche, soprattutto tra chi è da tempo impegnato nel complesso mondo dell’economia solidale e teme di vederne snaturati i principi e gli obiettivi.
Multinazionali solidali? Quando i ricercatori della Obi One a settembre presentarono il rapporto alla Città dell’Altra economia a Roma, non pochi – noi di Valori, compresi – rimasero stupiti dai dati in esso contenuti (vedi BOX ). Uno su tutti: l’Altra economia in Italia contribuirebbe per quasi il 4% al Prodotto interno lordo. Un risultato sorprendente, salutato come il segno del progresso di un settore spesso snobbato e | 44 | valori |
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guardato con supponenza dall’economia tradizionale. Ma, una volta letti in modo più approfondito i numeri, vari addetti ai lavori hanno sollevato critiche sui criteri usati per definire le attività dell’altra economia. Primo della fila, il Tavolo Res (Rete dell’economia solidale), che ha messo le proprie riserve nero su bianco: “Prima di leggere quel rapporto, pensavamo che altra economia fosse sostanzialmente un sinonimo di economia solidale (vedi GRAFICO ). “Altra”, appunto, rispetto alle logiche dell’economia di mercato oggi imperante”. Convinzione legittima perché in linea con quanto stabilito nella Carta dei principi per un’altra economia, scritta dal Comune di Roma con la collaborazione di oltre 50 organismi del Terzo settore e approvata a fine 2004 (vedi BOX ). «L’aspetto peggiore del rapporto – denuncia Andrea Saroldi, presidente della Rete Gas (Gruppi di acquisto solidale) – è di accomunare l’economia solidale con ogni tipo di impresa purché la sua attività sia coerente con i settori caratteristici dell’altra economia». Esempio estremo per chiarire il concetto: «Paradossalmente, in questo modo, anche le produzioni nell’agricoltura biologica o nelle energie rinnovabili di una multinazionale come la Nestlé o l’Eni finiscono per essere conteggiate come “altra economia”. Un’assurdità», commenta Saroldi.
Aggiunge Davide Biolghini, tra i promotori del Tavolo Res: «Il documento definisce “responsabili” tutte le imprese profit che operano in campo ambientale. Un palese contrasto con le stesse definizioni europee di Responsabilità sociale d’impresa. E ingloba nell’altra economia anche le multinazionali informatiche solo per la loro “tensione verso i prodotti open source”. Ma cosa c’entrano le imprese industriali, pur attive - ad esempio - nel campo delle energie rinnovabili, con un modo “altro” di produzione? Oppure la SpA di informatica che ha intuito il business dell’open source?». Ma non basta: «Nel rapporto si notano revisioni, dimenticanze e contraddizioni. I suoi estensori sono gli stessi che hanno coadiuvato il Comune di Roma per la creazione della delibera della giunta Veltroni (la 554 dell’agosto 2004) che ha fissato i principi dell’altra economia ed è stata alla base della nascita della città omonima a Testaccio. Disorienta quindi che proprio loro ora si discostino da quei principi che pensavamo assodati».
Critiche valide o Torri d’avorio «Il nostro rapporto voleva essere un modo per allargare lo sguardo oltre i confini dell’economia solidale. Volevamo vedere che cosa ci fosse di avvicinabile ad essa nel-
l’economia dominante perché crediamo che possano esserci alleanze tra cose diverse» replica Lorenzo Vinci, presidente della Obi One. «Personalmente non credo nelle Torri d’avorio nelle quali il Tavolo Res sembra voler rinchiudere l’economia solidale per difenderla da attacchi esterni. L’ossessione delle dighe di protezione echeggia immagini tristi e non ha mai portato lontano». A stretto giro, la replica di Saroldi: «Nessuno nega la possibilità di accordi e collaborazioni tra settori diversi. Ma, se si vuole far progredire l’economia solidale, dobbiamo ricordare che gli utili da essa prodotti devono essere reinvestiti al suo interno. Altrimenti andrebbero dispersi. Inoltre non vanno mai perse di vista le sue peculiarità che la differenziano dal resto dell’economia. Prendiamo la green economy: è positiva dal punto di vista ambientale, ma rimane nell’ambito delle attività economiche tradizionali. Ben altra cosa sono le forme che propongono un’alternativa al mercato capitalista. Quando parliamo di dighe è perché il rischio di “annacquamento” dei principi dell’economia solidale è enorme. Non vogliamo l’isolamento. Siamo lieti che gli anticorpi dell’economia solidale contaminino le imprese responsabili. Ma rimuovere i filtri di controllo può finire per allagare le gracili piantine di una società diversa».
“Spiga e madia” è un progetto di filiera corta che concentra tutte le fasi produttive del pane in un arco di pochi chilometri: il grano è coltiivato a Caponago, in provincia di Monza, dalla cooperativa Nibai; la farina è prodotta dal molino Ronchi a Capriano di Briosco; il pane dal panificio di Davide Longoni a Carate Brianza e alla distribuzione ci pensano i Gruppi di acquisto solidale della Brianza.
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L’impresa che rispetta le regole è sempre etica
L’opinione di Giuseppe Eusepi: con i giusti presupposti, l’idea di “altra economia” si svuota e perde di significato.
«N
ON È TANTO IL RAPPORTO DELLA OBI ONE A LASCIARMI PERPLESSO. La mia è una critica all’idea in sé di altra economia».
Giuseppe Eusepi è docente di Scienza delle Finanze alla Sapienza di Roma. “Un economista classico”, direbbero alcuni. «Sono un di Emanuele Isonio economista di mercato. Parto dall’idea che il mercato può fallire, ma non rovina il mondo», chiarisce lui. Parlare di altra economia non avrebbe quindi senso? Sia gli estensori del rapporto sia i suoi critici sono uniti dall’idea che esista un’economia “altra”, eticamente migliore rispetto al resto del mercato. Io contesto questa visione, basata sulla convinzione che in uno scambio economico ci sia solo la componente egoistica. Non si possono attribuire patenti di eticità in base al fatto che una impresa sia profit o non profit: se rispetta le regole, non ha nulla di non etico. In pratica lei dice: il mercato è composto da aziende che rispettano le regole. Le altre sono fuori dal mercato... Esattamente. Le imprese che evadono le tasse, che nascondono i capi-
tali nei paradisi fiscali, quelle criminali e mafiose, quelle che sfruttano il lavoro minorile: sono tutte storture del mercato ed è contro di esse che va concentrata la critica. Non al mercato tout court. Anche la concorrenza ha sempre un valore positivo? Sfido chiunque a sostenere che sia un disvalore. La concorrenza ha un aspetto etico: è un valore disciplinante che favorisce i più. Avvantaggia i consumatori mettendo in competizione i produttori. E questo è un aspetto da incentivare: un’impresa profit che fa concorrenza sana è un valore positivo. Il dito va puntato contro chi fa concorrenza sleale e contro i cartelli tra aziende. Il rapporto tra impresa e profitto non può essere un criterio per valutare l’eticità di un’azienda? Tutte le imprese devono avere un profitto, altrimenti non possono sopravvivere né crescere. Ai due estremi ci sono l’azienda totalmente egoista e, all’opposto, quella puramente altruista. Ma sono due invenzioni teoriche. Nel mercato reale c’è un’immensa “zona grigia” fatta di soggetti con maggiore o minore attenzione al profitto.
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Nell’economia alternativa al centro c’è il progetto Spiega l’economista Luigino Bruni: la vera sfida sta nel selezionare le imprese per i loro obiettivi e non per la loro forma.
«P
IÙ CHE DECIDERE SE INSERIRE O MENO un’attività economica nell’altra economia guardando alla sua forma giuridica, sarebbe opportuno guardare alla natura dell’impresa». La proposta è di Luigino Bruni, docente di Economia politica all’Università di di Emanuele Isonio Milano Bicocca.
Che cosa non la convince del Rapporto Obi One? La scelta di accomunare le attività economiche tradizionali che fanno responsabilità sociale d’impresa e le imprese sociali o gli organismi non profit è sinceramente discutibile. Detto questo, la sfida dei prossimi anni sta nell’individuare criteri di inclusione nell’alveo dell’altra economia, basati sulla sostanza di un’impresa più che sulla sua forma.
Luigino Bruni. | 46 | valori |
In pratica lei dice: non è la distinzione profit/ non profit a chiarire cosa merita e cosa non merita di stare nell’altra economia? Ci sono organismi formalmente non profit indegni dell’economia solidale e, al contrario, imprese formalmente profit assolutamente degne dell’altra economia. ANNO 10 N.76
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Beni confiscati, fino a dieci anni per destinarli
Da quali imprese è composta l’altra economia? Credo che meritino di starci tutte le imprese civili che nascono con l’obiettivo di realizzare progetti sociali e che vedano il profitto e gli utili di bilancio solo come un vincolo per concretizzare il progetto per cui sono nate. Le imprese speculative e ogni attività economica che, a prescindere dal settore di competenza, hanno invece come proprio obiettivo il profitto e vivono l’aspetto sociale come un vincolo non possono essere definite “altra economia”.
Il treno dei beni confiscati in alcuni casi viaggia troppo a lungo prima di arrivare a destinazione. In media percorre la tratta (burocratica) in cinque anni e mezzo. Nonostante ciò rimane un’arma fondamentale nella lotta alle mafie.
«C
OSA OCCORRE FARE PER SCONFIGGERE LA MAFIA?
Gran parte delle protezioni e dei privilegi mafiosi, certamente pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia. Facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati». Lo affermava Carlo Alberto Dalla Chiesa, pochi giorni prima di morire, nell’ultima intervista rilasciata a Giorgio Bocca. «Un messaggio chiarissimo - osserva ventisette anni dopo il procuradi Andrea Barolini tore Gian Carlo Caselli -. Non bastano infatti l’antimafia della magistratura e delle forze dell’ordine: serve un’antimafia sociale. Come quella delle cooperative di giovani, che costituiscono una legalità materializzata». Non solo gli arresti, dunque: serve un’alternativa economica. Proprio quella che offre la legge che consente la confisca dei patrimoni mafiosi e l’assegnazione di essi ad associazioni ed enti che generano lavoro e benessere, rivalutando al contempo il territorio. «Così si recupera un Uno dei terreni ruolo fondamentale nella lotta alla mafia», osserva Luiconfiscati alla gi Cuomo, coordinatore di Sos Impresa. mafia in Sicilia. Per combattere la criminalità organizzata serve l’antimafia sociale, quella delle cooperative di giovani.
È rimasto stupito leggendo che l’altra economia contribuirebbe al 4% del Pil italiano? Proprio per quanto spiegato in precedenza, credo che quel numero non abbia un grande significato. Un futuro rapporto sull’altra economia dovrebbe concentrarsi solo sulle attività private? No. In prospettiva, credo vadano considerate anche le esperienze pubbliche che promuovono il progresso sociale. E tutte le esperienze di volontariato e di economia informale. Ripeto: la vera sfida sta nel selezionare i soggetti in base ai loro progetti e non per la loro forma.
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Su oltre 5 mila immobili destinati, solo 3 hanno rispettato il limite dei 120 giorni dalla confisca. Nel 70% dei casi sono stati necessari oltre 2 anni. E nel frattempo le aziende falliscono
Un decennio di attese... Ma non è tutto oro quello che luccica. Ora la possibilità di vendere i beni non destinati rischia di compromettere la stessa ratio della legge. Che neppure lo Stato, fino ad oggi, è riuscito a rispettare. Nonostante i tempi imposti dalla legge, infatti, possono passare anni prima che un bene venga confiscato e anche di più affinché venga destinato. Ciò a causa di un sistema farraginoso, fatto di documenti, sentenze, pronunce, e attese infinite. Lo sa bene l’ex Commissario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati, Antonio Maruccia, che negli ultimi anni ha cercato di snellire l’iter. Nell’ultima relazione del suo ufficio si legge come, al 30 giugno scorso, i beni immobili confiscati risultavano essere, complessivamente, 8.933 (in gran parte in Sicilia, Campania e Puglia). Ma di questi, ben 3.213 sono in attesa di destinazione (mentre altri 313 sono addirittura usciti dalla gestione dell’Agenzia del demanio prima della destinazione stessa). |
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Francesco Forgione MAFIA EXPORT Come ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra hanno colonizzato il mondo Baldini Castoldi Dalai, 2009
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«Dei 5.407 immobili destinati - si legge nella relazione - solo 3 hanno rispettato i 120 giorni dalla confisca definitiva previsti dalla legge». Per 3.754 di essi (quasi il 70%!) si è impiegato infatti un tempo compreso tra 2 e, nei casi peggiori, 10 anni. In media, sono necessari 5 anni e mezzo. Allo stesso modo, se si analizzano i 3.213 beni che sono invece ancora in attesa di essere destinati, si scopre che 1.711 di essi (più della metà) sono “parcheggiati” sulle scrivanie da oltre 5 anni. Per i motivi più disparati: perché sono ancora abitati dai mafiosi o dalle loro famiglie, perché gravati da ipoteche (circa in un terzo dei casi), perché semi-distrutti dagli occupanti prima di essere liberati e quindi in attesa di ristrutturazioni. E le aziende, che dovrebbero essere il motore dello sviluppo? La musica, purtroppo, non cambia. Al 30 giugno scorso le imprese confiscate risultavano 1.185 e, di queste, quasi la metà (581) sono uscite dalla gestione dell’Agenzia del demanio. Perché quasi tutte (537), nel frattempo, sono fallite. Così come, delle 388 destinate, ben 347 risultano ormai liquidate. Segno che un’azienda, evidentemente, non riesce ad aspettare i tempi della burocrazia italiana (per le aziende in media pari a quattro anni e mezzo)
...eppure ne vale la pena Insomma, la situazione non è rosea. Ma la strada è quella giusta. Basti pensare al fatto che, specifica Maruccia, negli ultimi 18 mesi sono stati destinati beni per oltre 225 milioni di euro. «Complessivamente il valore dei beni sottratti alle mafie è di svariati miliardi - spiega Marco Arnone, docente di Politica economica e direttore del Centre for Macroeconomics & Finance Research - anche se in molti casi è di difficile valutazione, perché le perizie spesso sono troppo vecchie. Possiamo comunque affermare che il valore totale si aggirava intorno ai 4,5 miliardi un paio di anni fa. Ma oggi potrebbe aver già superato i 7 miliardi». Una montagna di denaro restituito alla legalità. Che d’ora in poi sarà probabilmente gestito dall’Agenzia nazionale annunciata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. «Una buona notizia», commenta Lorenzo Frigerio dell’associazione Libera, «a patto che si tratti di un’organismo che agevoli l’uso sociale dei beni e non punti dritto alla vendita». La sede sarà a Reggio Calabria, luogo scelto soprattutto per ragioni simboliche, dopo l’attentato del 3 gennaio scorso.
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1.438 IMMOBILI E 8 AZIENDE IN DUE ANNI
BENI CONFISCATI IN VENDITA
IL BILANCIO DEI PRIMI 18 MESI DI VITA dell’Ufficio del Commissario straordinario ai beni confiscati è decisamente positivo. Sotto la direzione di Antonio Maruccia (al quale è succeduto a fine dicembre il prefetto Alberto Di Pace) sono stati destinati 1.438 beni immobili e 8 aziende, per un valore complessivo (stimato dall’Agenzia del Demanio) di 230 milioni di euro. Nei dodici anni precedenti erano stati 3.969 i provvedimenti analoghi: un incremento medio del 284% all’anno.
UNA PIOGGIA DI POLEMICHE SULLA NORMA, contenuta nella Finanziaria 2010, che introduce la possibilità di vendere i beni confiscati alla mafia, anche se solo quelli “non utilizzabili a fini sociali”. Il rischio, infatti, è che tornino nelle mani delle stesse famiglie mafiose a cui erano stati sottratti. Il limite temporale previsto per la destinazione è di sei mesi, ma quasi tutti i beni confiscati non vengono destinati così in fretta.
BENI IMMOBILI CONFISCATI AL 30 GIUGNO 2009
AZIENDE CONFISCATE AL 30 GIUGNO 2009
REGIONE
TOTALE
IN GESTIONE AL DEMANIO
USCITI DALLA GESTIONE*
DESTINATI
SICILIA CAMPANIA CALABRIA PUGLIA LOMBARDIA LAZIO PIEMONTE ALTRE REGIONI TOTALE IMMOBILI
4.075 1.323 1.300 722 655 358 121 379 8.933
2.081 360 253 219 100 78 34 88 3.213
106 47 61 17 31 34 6 11 313
1.888 916 986 486 524 246 81 280 5.407
* PER ALCUNI BENI CONFISCATI IL PROCEDIMENTO SI CHIUDE SENZA UNA FORMALE DESTINAZIONE RESA IMPOSSIBILE DA CAUSE DIVERSE (ES. REVOCA DELLA CONFISCA, ESECUZIONE IMMOBILIARE, VENDITA PRECEDENTE ALLA CONFISCA DEFINITIVA, ESPROPRIAZIONE, ILLECITO URBANISTICO, ECC...)
NUMERO DI BENI
APPARTAMENTI, CASE, LOCALI GENERICI, ABITAZIONI E VILLE TERRENI AGRICOLI, CON FABBRICATI RURALI ED EDIFICABILI BOX, GARAGE, AUTORIMESSE, CANTINE E POSTI AUTO FABBRICATI IN GENERE CAPANNONI, CAVE PER ESTRAZIONE E STRUTTURE INDUSTRIALI ALBERGHI, PENSIONI E IMPIANTI SPORTIVI ALTRO TOTALE
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IN GESTIONE AL DEMANIO
USCITI DALLA GESTIONE*
DESTINATI
452 227 164 101 95 86 22 38 1.185
103 48 13 7 17 11 10 7 216
191 128 102 25 56 45 12 22 581
158 51 49 69 22 30 0 9 388
ANDAMENTO DELLE DESTINAZIONI DI IMMOBILI
TIPO
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TOTALE
SICILIA CAMPANIA LOMBARDIA LAZIO CALABRIA PUGLIA EMILIA-ROMAGNA ALTRE REGIONI TOTALE AZIENDE
4.702 2.287 1.075 474 190 18 187 8.933
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A meno di due mesi dalle elezioni amministrative e regionali è il momento di passare alle proposte concrete. Ecco quelle di quattro esponenti di posizioni politiche diverse, riguardo tre temi chiave.
M
alle prossime elezioni amministrative e regionali (28 e 29 marzo). I candidati stanno presentando i loro programmi. Valori ha individuato tre temi chiave – beni comuni privatizzati, lavoro e precariato, stimoli economici per uscire dalla crisi – di Elisabetta Tramonto e ha chiesto a quattro esponenti di posizioni politiche diverse delle proposte concrete su ogni questione. Sul numero di dicembre-gennaio erano stati interpellati Francuccio Gesualdi, Fabio Salviato, Luciano Muhlbauer e Antonio Tavani. Su questo numero tocca a: Mario Agostinelli, capogruppo della Sinistra Unaltralombardia e membro del Consiglio Regionale della Lombardia; Antonio Borghesi, parlamentare dell’Italia dei Valori; Francesco Ferrante, senatore del Partito Democratico e membro esecutivo Ecodem (associazione ecologisti democratrici) e Giovanni Ruvolo, di Intesa Civica Solidale (Ics), nata a Caltanissetta da un Gruppo di acquisto solidale (nelle ultime amministrative a Caltanissetta ha ottenuto il 15% dei consensi).
1500
1.438 5.407
1000
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500
0
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1996
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677 496
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2005
280 2006
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2008/9 TOTALE
ANCANO MENO DI DUE MESI
1. Beni comuni privatizzati
AGOSTINELLI. È fondamentale anche giuridicamente sot-
* PER ALCUNI BENI CONFISCATI IL PROCEDIMENTO SI CHIUDE SENZA UNA FORMALE DESTINAZIONE RESA IMPOSSIBILE DA CAUSE DIVERSE (ES. REVOCA DELLA CONFISCA, ESECUZIONE IMMOBILIARE, VENDITA PRECEDENTE ALLA CONFISCA DEFINITIVA, ESPROPRIAZIONE, ILLECITO URBANISTICO, ECC...)
TIPOLOGIE DI BENI IMMOBILI CONFISCATI
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REGIONE
Tre problemi, quattro voci a confronto
In alto, Mario Agostinelli, capogruppo della Sinistra Unaltralombardia e membro del Consiglio Regionale della Lombardia; sotto, Antonio Borghesi, parlamentare dell’Italia dei Valori.
trarre l’assegnazione dei beni comuni allo spazio dei servizi di rilevanza economica. Una loro gestione privatistica farebbe dipendere dal mercato un diritto universale. Secondo, è necessario rivendicare l’unitarietà del ciclo che riguarda il bene prodotto, gestito, erogato (ad esempio l’acqua). Questo evita che la proprietà della risorsa, non direttamente collegata agli interventi di rigenerazione e di efficienza del servizio, si rivalga sulle tariffe, consentendo sprechi e rinunciando al risparmio. Infine bisogna assicurare la partecipazione e la democrazia territoriale. Nel caso di beni comuni come le energie naturali (sole, vento, acqua) e, per altri aspetti, la conoscenza, dobbiamo considerare la rinnovabilità, l’integrazione col territorio e la rica-
duta sociale come effetti dell’esercizio di una democrazia territoriale, che mette in relazione produttori e consumatori, stimola scelte di autogoverno e favorisce la cooperazione. Per l’energia significa abbandono delle centrali, decentramento e potestà locale; per la conoscenza una diffusione facilitata, banche dati pubbliche, assenza di royalties e copyrights per software e produzioni culturali.
BORGHESI. Noi di Italia dei Valori abbiamo assunto una posizione diversa tra l’acqua e altri servizi. Per l’acqua, in quanto unica, fonte di vita, bene irrinunciabile che appartiene a tutti, riteniamo che sia un diritto inalienabile e che non possa essere proprietà di nessuno. La sua vendita non può che avvenire in regime di monopolio, ma allora anche la teoria economica è concorde che è meglio che esso sia pubblico. Italia dei Valori ha già depositato presso la Corte di Cassazione il quesito referendario per l’abolizione delle norme che impongono la privatizzazione dell’acqua e presto inizierà la raccolta delle firme. Per gli altri servizi pubblici, per i quali sussiste sempre la possibilità di ricorrere a beni succedanei o prodotti alternativi (trasporto privato rispetto a trasporto collettivo, legna o carbone rispetto al gas e così via), la privatizzazione, se porta a un’effettiva concorrenza tra gli operatori, è auspicabile e non può che comportare benefici per gli utenti finali. FERRANTE. Farei una distinzione: non tutti i servizi pubblici devono essere trattati nella stessa maniera. Ritengo che l’acqua non sia una merce, è un bene comune che non è possibile privatizzare. È utile stipulare dei “contratti” con i cittadini, che assicurino la gestione pubblica dell’acqua. Ma è necessario anche cambiare il modo in cui fino ad ora si è gestito questa risorsa. Oggi prima calcoliamo la quantità di acqua richiesta da industria, privati e agricoltura. E, |
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in base a questa cifra, andiamo a cercarla. Invece dovrebbe accadere il contrario: in base alle disponibilità nei bacini idrici dovremmo costruire i nostri consumi. Purtroppo la maggioranza ha approvato la legge che privatizza l’acqua. Stanti così le cose è necessario creare un’autorità nazionale che stabilisca dei paletti. Lo stesso discorso fatto per l’acqua non vale per gas, elettricità e trasporti: non è essenziale che siano pubblici, ma, piuttosto, stabilire regole che tutti gli operatori rispettino per tutelare i cittadini.
soccupati non lo sono davvero, fanno lavoretti di piccola entità o in nero e non sono incentivati a uscire da questa condizione. Bisogna aiutare chi vuole trovare davvero un lavoro, da un lato, creando nuovi posti e incentivando la nascita di imprese che sappiano collegarsi con il territorio, dall’altro, alimentando una cultura d’impresa, in particolare nell’agricoltura. Bisogna pressare gli enti locali per snellire gli iter burocratici. Sostenere l’imprenditoria giovanile, promuovendo la nascita di incubatori d’impresa, anche con la collaborazione di associazioni industriali e banche.
RUVOLO. In Sicilia l’acqua era gestita dai Comuni e i servizi
In alto Francesco Ferrante, senatore del Partito Democratico e membro esecutivo Ecodem; sotto, Giovanni Ruvolo, di Intesa Civica Solidale (Ics).
erano deficitari, oggi è privatizzata e i servizi continuano a essere carenti, ma con prezzi lievitati. Al di là di qualunque azione politica è fondamentale che i cittadini acquistino il controllo e siano parte attiva nella gestione del bene comune, per cui deve esserci sempre uno spazio di rappresentanza dei cittadini. Ad esempio nel consorzio universitario di Caltanissetta, che gestisce i corsi di laurea dell’Università di Palermo, stiamo lavorando perché si preveda la presenza di una rappresentanza di studenti e di cittadini. Lo stesso si può fare per la gestione di acqua e rifiuti.
game tra ricerca, lavoro qualificato, mobilità, riforma del welfare. Destinare risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale alla riqualifica del sistema dei distretti industriali e delle economie territoriali. Rilanciare la scuola e l’università pubblica per affrontare le emergenze ambientali e climatiche con modelli produttivi e di consumo adeguati.
2. Lavoro e precariato AGOSTINELLI. Impedire delocalizzazioni produttive, sostenere produzioni socialmente desiderabili ed ecologicamente compatibili e favorire la riconversione dai settori maturi. Generalizzare il sostegno non solo monetario, ma anche commerciale-tecnico-formativo a cooperative di lavoro, nei settori di manutenzione, riqualificazione e rigenerazione dei beni comuni.
mica, che risponda alla crisi rilanciando la domanda interna, la capacità di competere sui nuovi mercati dei Paesi emergenti con la qualità dei nostri prodotti, che accompagni il nostro sistema produttivo verso la green economy o, per meglio dire, verso una riconversione ecologica del nostro modello di sviluppo e della nostra società. Abbiamo proposto una manovra anticiclica pari a un punto di Pil (circa 16 miliardi di euro) per il 2010 che riduca anche la pressione fiscale per 3 miliardi e la trasferisca dal lavoro, dalle famiglie e dalle imprese, alla rendita speculativa.
3. Quali stimoli per uscire dalla crisi
AGOSTINELLI. Investire nella green economy, stabilendo un le-
APPUNTAMENTI FEBBRAIO>MARZO
5 febbraio - 28 marzo MILANO GREEN LIFE Legambiente, Triennale di Milano e Istituto di Ricerche Ambiente Italia promuovono il progetto “Green Life: costruire città sostenibili”, mostra internazionale dedicata a progetti di sviluppo urbano nell’ottica della sostenibilità e dell’edilizia ecocompatibile. L’iniziativa prevede numerosi eventi pubblici di discussione e di approfondimento, convegni e seminari di tipo divulgativo e tecnico-scientifico. www.mostragreenlife.org
BORGHESI. Emerge l’esigenza di una diversa politica econo6 febbraio ITALIA MAL’ARIA INDUSTRIALE L’inquinamento industriale nel mirino di questa giornata di iniziative organizzata da Legambiente: in programma una serie di blitz e l’uscita del dossier che fa il punto sui siti italiani a rischio per la salute dell’ambiente e dei cittadini. www.legambiente.eu
BORGHESI. La crisi oggi pesa soprattutto sul mondo del la-
APPUNTAMENTO 28 FEBBRAIO A CALTANISSETTA Un incontro dal titolo: “La rete dei movimenti civici siciliani e la politica nuova: dalla democrazia partecipata alla politica condivisa”, organizzato da Intesa Civica Solidale. 30 movimenti civici siciliani si sono dati appuntamento per disegnare una mappa della politica dal basso nell’isola e per mettersi in rete per presentare un modello nuovo di organizzazione politica e di democrazia partecipata. intesacivicasolidale.it
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voro. Nell’ambito della nostra proposta di Legge Finanziaria 2010 abbiamo chiesto: il raddoppio dei tempi della Cassa integrazione ordinaria da 52 a 104 settimane per i prossimi due anni (500 milioni di euro); risorse adeguate per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego (800 milioni di euro); l’aumento delle risorse del Fondo per l’occupazione per estendere e garantire gli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori atipici (900 milioni nel 2010, 2.100 nel triennio). E da tempo abbiamo presentato proposte per la revisione degli ammortizzatori sociali, perchè siano garantiti a tutti i lavoratori (a tempo indeterminato o flessibile).
FERRANTE. Il mercato del lavoro è cambiato: un’intera generazione vive in condizioni di precariato. Bisogna esserne consapevoli e prevedere ammortizzatori sociali e forme di tutela nuove e moderne, non la brutta copia delle tutele dei lavoratori dipendenti che si sono fatte finora, e un salario minimo garantito quando si passa da un lavoro all’altro. È necessario poi puntare sulla formazione lavoro per i giovani e la formazione permanente per gli over 40. RUVOLO. I problemi della disoccupazione e del precariato in Sicilia devono essere letti con un filtro particolare. Molti di-
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FERRANTE. La prima risposta è scontata: puntare sulla green economy, incentivare le fonti rinnovabili, ma in salsa italiana: valorizzando il nostro patrimonio ambientale, culturale e artistico, un elemento importante di stimolo economico. E serve anche una rivoluzione fiscale: spostare sui consumi il peso che oggi grava su redditi da lavoro e d’impresa, alleggerendo l’Irpef. Sarebbe una rivoluzione che risponde anche alla questione ambientale e che libererebbe molte risorse.
RUVOLO. È necessario ragionare con la logica del fare sistema. Il territorio siciliano per decenni è stato gestito da una politica che non ha saputo governare. Bisogna invece mettere insieme tutte le risorse, dai sindacati agli imprenditori, per disegnare un progetto di sviluppo economico serio, condiviso e sostenibile. È necessario valorizzare le risorse del territorio e non depauperarle attraverso i soliti progetti di sviluppo industriale che hanno generato disastri: il petrolchimico di Gela o di Priolo ha distrutto zone meravigliose e provocato un aumento di tumori e malformazioni fetali. Per la tipicità del territorio proponiamo di puntare sul comparto agricolo, creando figure professionali, aiutando un territorio depresso a beneficiare di sgravi fiscali e introducendo, grazie ai sindacati, maggiore flessibilità, ma non precariato.
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11 - 12 febbraio ROMA CIS-IT 2010 Seconda edizione della Conferenza dell’Industria Solare in Italia, che ha visto lo scorso anno la partecipazione di oltre 450 professionisti del settore, offre anche nel 2010 la piattaforma ideale per aggiornarsi sulle novità di mercato e tecnologiche e per favorire lo scambio di esperienze tra gli operatori in Italia e all’estero. www.solarpraxis.de
13 febbraio BARLASSINA (MI) UNA NUOVA CULTURA DI CITTADINANZA Ciclo di incontri per la promozione di una cultura di Pace e Legalità, organizzato dal Comune di Barlassina in collaborazione con l’associazione Xapurì e il Coordinamento comasco per la pace. I successivi incontri si terranno il 14 marzo e l’11 aprile. A quest’ultimo parteciperà il direttore di Valori, Andrea Di Stefano. www.comunebarlassina.it
14 - 21 febbraio ITALIA SETTIMANA AMICA DEL CLIMA Meno consumi, più energia pulita per salvare il Pianeta: banchetti, manifestazioni, blitz, convegni per promuovere azioni quotidiane, buone pratiche che ognuno di noi può seguire per contribuire a un risparmio energetico globale. www.legambiente.eu 16 febbraio - 2 aprile ITALIA TRENO VERDE Storica campagna itinerante di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico ed acustico nelle nostre città. www.legambiente.eu 19 - 21 febbraio VARESE CORSO PER ANIMATORI DI RES Il Tavolo nazionale Rete di Economia Solidale promuove il 2°corso nazionale per gli animatori delle RES locali. I successivi moduli: dal 19 al 21 marzo a Como e dal 7 al 9 maggio a Vicchio (FI). http://scret.it
25 - 27 febbraio STOCCARDA (GERMANIA) CEP 10 Congresso e fiera internazionale per le energie rinnovabili e l’abitare ecocompatibile. www.cep-expo.de
PER SEGNALARE UN EVENTO SCRIVERE A REDAZIONE@VALORI.IT
a Locri e Crotone, quest’anno la manifestazione nazionale organizzata dal Consorzio Goel, da anni in prima linea contro la ‘ndrangheta e tutte le mafie, si sposta in Emilia Romagna. Attesi migliaia di persone e centinaia di enti provenienti da tutta Italia. www.consorziosociale.coop
E DELL’IMPEGNO IN RICORDO DELLE VITTIME DELLE MAFIE Come ogni anno dal 1996 si celebra col primo giorno di primavera la Giornata Nazionale della Memoria in ricordo delle vittime delle mafie. Milano e la Lombardia i territori scelti. www.libera.it
3 - 5 marzo WELS (AUSTRIA) WORLD SUSTAINABLE ENERGY DAYS 2009 Tre giorni di conferenze ed incontri con esperti internazionali del settore delle energie rinnovabili. In programma numerosi convegni nel corso dei quali si farà il punto sullo sviluppo delle nuove tecnologie. All’edizione del 2009 hanno partecipato 850 persone, proveniente di 53 Paesi. www.wsed.at
22 marzo ITALIA GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’ACQUA L’acqua è fonte indispensabile e insostituibile di vita, diritto inalienabile per tutti. Nel Sud del mondo oltre un miliardo e seicento mila persone non ha accesso all’acqua potabile. Nei Paesi ricchi si utilizza acqua pura anche per tirare lo sciacquone! La giornata mondiale dell’acqua è una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, prevista all’interno delle direttive dell’Agenda 21. www.worldwaterday.org
marzo ROMA 2° FORUM NAZIONALE AMBIENTE E LEGALITÀ Ambientalisti, politici, industriali e magistrati a confronto sulla normativa ambientale in Italia. www.legambiente.eu
25 - 28 febbraio REGGIO EMILIA ECO CASA & IMPRESA Mostra specializzata sui temi della sostenibilità economica ed ambientale nell’edilizia: risparmio energetico, qualità abitativa, certificazione energetica ed architettura sostenibile. www.ecocasa.re.it
12 - 14 marzo MILANO FA’ LA COSA GIUSTA FIERA DEL CONSUMO CRITICO E DEGLI STILI DI VITA SOSTENIBILI In questi anni è andato crescendo l’interesse per il mondo che si riconosce nella definizione di “Economia Solidale”. Per questo, Terre di Mezzo ha dato vita al “Progetto Fa’ la cosa giusta!” che si propone di diffondere sul territorio nazionale le “buone pratiche” di consumo e produzione. http://falacosagiusta.terre.it
1 marzo REGGIO EMILIA MANIFESTAZIONE NAZIONALE Dopo le prime esperienze
20 marzo MILANO XV GIORNATA DELLA MEMORIA |
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25 - 28 marzo PARIGI (FRANCIA) PLANETE DURABLE Salone dello sviluppo e dei consumi rinnovabili, che copre quasi ogni aspetto dell’ecosotenibilità: dalle energie alla distribuzione, dagli sport al turismo, dalla moda ai trasporti. Presenti associazioni, ong e istituzioni. www.planete-durable.com 10 - 11 aprile ITALIA SUN DAY Giornate dedicate alla promozione dell’energia solare e delle fonti rinnovabili. Per capire come funzionano, quanto costano, come si installano e quanto ci fanno risparmiare. www.ecosportello.org 20 - 21 aprile ROMA III SOLAR REVOLUTION SUMMIT Quali sono le sfide degli operatori italiani del settore dell’energia solare? Come si può sviluppare una filiera? Questi i temi dell’incontro in programma a Palazzo Rospigliosi, via 24 Maggio ’43. solarsummit.businessinternational.it |
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Miti dell’Occidente
Sciogliamo gli Stati nazionali di Paolo Fusi
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PUBB CISL
ON SI SA PIÙ SE SCANDALIZZARSI O NO, i colpi al “comune senso del pudore” negli ultimi 25 anni sono stati talmente
tanti che oramai mi rendo conto di osservare certe cose con un certo distacco, una morale assonnata e svogliata. Ma sì, lo sappiamo tutti che lo scudo fiscale ottiene due risultati abominevoli: permette al crimine organizzato di far rientrare i propri capitali riciclati (se si usa lo scudo si ha diritto a non dire come si sono guadagnate le cifre che rientrano) e dà luogo ad una spinta mai vista prima: oggi a nascondere i capitali all’estero non sono più solo i ricchissimi. Dato che abbiamo imparato che la prossima sanatoria è sempre dietro l’angolo, oggi anche chi guadagna oltre i centomila euro l’anno ha imparato a far sparire il gruzzolo, con una crescente adesione morale della popolazione, che non a caso applaude a chi è capace di tenersi in tasca i soldi evitando di farsi taglieggiare dallo Stato. Ma il fatto è che l’Italia non ha inventato nulla. Questo sistema meschino di tentare di recuperare le ricchezze sottratte al fisco l’hanno inventato gli americani e perfezionato i russi. Loro parlano ai Padrini, ai trafficanti d’armi e di droga, ai truffatori e dicono: dateci una certa cifra e noi accettiamo le vostre strutture on shore e off shore senza spendere soldi dei contribuenti per darvi la caccia. Nel frattempo l’evasione fiscale ha superato il 50% degli introiti previsti nel libero mercato (cioè esclusi gli introiti fittizi, le tasse che lo Stato paga a se stesso dalle buste paga dei propri dipendenti) in 96 Paesi del Pianeta. Tutti quelli che già contano. Parlando con un banchiere togolese e con un politico ghanese mi sono trovato a capire che in Africa la sensazione e la percezione di un mondo che cambia è molto più avanti, più precisa, più smaliziata e più coraggiosa della nostra. Gli Stati sono ormai Per loro la questione è: come facciamo a fare in modo che la produzione ridotti a meri incassatori di ricchezza nei nostri Paesi venga usata per migliorare le condizioni di vita di tasse, spesso non della popolazione? Ci importa davvero se qualche assassino diventa ricchissimo controllano il territorio prima di cambiare (in meglio) la qualità della vita in una regione poverissima? e sono ostaggio Ci importa davvero se lo stesso mostro assetato di sangue ora è l’unico in grado di industrie e finanza di garantire la pace, l’ordine, una parvenza pur malata di giustizia e di garantire la mobilità e l’approvvigionamento dei generi di prima necessità e dell’energia in quelle zone disperate? Il vertice della Fao di poche settimane fa ci ha fatto vedere ancora una volta che gli organismi internazionali sono una burletta. Allora no, non ci importa nulla. Le porcate fatte dagli angolani in Angola, dai ghanesi in Ghana e via dicendo, le abbiamo fatte prima noi e loro hanno ora imparato a gestirsele in proprio. Bravi. I due africani ridono. Hanno imparato da sempre una cosa che noi non riusciamo nemmeno a capire: i nuovi mostri sono più “bravi” perché hanno capito che gli Stati nazionali non esistono, sono solo un totem di noi occidentali. Gli Stati, mi spiegano i due dirigenti, raccolgono tasse per far credere di esistere ancora e mantenere la calma nei greggi. I controllori del fisco sono coloro che chiudono la porta dopo che i buoi sono scappati, sono cresciuti, hanno preso il potere e sono tornati a comandare. Gli Stati nazionali non controllano più il territorio, dato che il crimine organizzato investe molto di più. Gli Stati nazionali non godono più del consenso, perché la corruzione ha sostituito l’ideologia, perché la politica, non avendo più risposte, sta abolendo con la violenza le domande. Gli Stati sono ostaggio dell’industria e della finanza; hanno perso la capacità di supportare la cultura, sostituendole l’infotainment. E ora cercano di opprimere gli ultimi aneliti di libertà, di indipendenza, di pensiero critico: internet. Sciogliamo gli Stati nazionali, ora che abbiamo globalizzato il Pianeta. Torniamo alle Polis, alla democrazia credibile.
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America Latina. Il Sud aggancia la locomotiva cinese >56 Crisi dimenticate/4: il Congo e il conflitto permanente >60 Da Milano a Dubai, l’impresa sociale si mette in viaggio >62
internazionale FUJIMORI, CONFERMATA LA CONDANNA A 25 ANNI
CONSIDERATO ECCESSIVO DA MOLTI PAESI IL COSTO DELL’APPARTENENZA ALL’ALLEANZA ATLANTICA
GAZA: L’EGITTO CHIUDE I CONFINI CON UN MURO DI FERRO
IN CAMERUN I SITI WEB PIÙ PERICOLOSI DEL MONDO
LA CINA ANNUNCIA L’ESTENSIONE DELL’ASSISTENZA SANITARIA PUBBLICA ENTRO IL 2011
LA LIBERTÀ DI STAMPA NON GODE DI OTTIMA SALUTE
La Corte suprema del Perù ha confermato all’unanimità la condanna a 25 anni di carcere dell’ex presidente Alberto Fujimori, colpevole di violazioni dei diritti umani commesse durante il suo mandato (1990-2000). La Corte suprema doveva giudicare un ricorso di nullità nei confronti del processo di primo grado durante il quale l’ingegnere di origine giapponese era stato riconosciuto responsabile dei massacri di civili perpetrati dagli “squadroni della morte” tra il 1990 e il 1991 nei confronti della guerriglia filo comunista e del gruppo di Sendero Luminoso in particolare. Nel 2000 dopo la scoperta di numerosi scandali finanziari e casi di corruzione, per sfuggire alla giustizia Fujimori aveva abbandonato il Perù per rifugiarsi in Giappone. Aveva poi tentato di ricandidarsi alle presidenziali nel suo Paese adottivo passando dal Cile, da dove era stato estradato nel 2007. Esulta ora per la sua condanna definitiva Amnesty International attraverso le parole di un suo osservatore, Javier Zuniga: «Non capita tutti i giorni di vedere un ex capo di Stato condannato per violazioni dei diritti umani quali torture, sparizioni e sequestri di persona. Speriamo sia solo il primo di molti processi del genere in America Latina e nel resto del mondo».
Suscita mugugni in Francia il costo del rientro del Paese transalpino nell’Alleanza atlantica: Le Monde lamenta che per la Francia si tratterà di 650 milioni di euro da qui al 2015. Le polemiche sono nate dopo l’invito di Anders Fogh Rasmussen, il politico danese segretario generale della Nato dall’agosto 2009, a rafforzare i contingenti in forza in Afghanistan, invito al quale Italia e Gran Bretagna hanno già aderito. La crisi economica internazionale sta spingendo molti Paesi a chiedere la revisione dei contributi; alla polemica si sono aggiunti infatti i conservatori britannici che chiedono una riforma per condividere in modo diverso i costi umani e finanziari degli interventi: «Se le cose non cambieranno – ha scritto il Daily Telegraph – il futuro dell’Alleanza è in pericolo». Il budget totale della Nato è stato nel 2009 di 2 miliardi di euro, così ripartiti: 22% dagli Usa, 16% dalla Germania, 12,5% dalla Francia, 12,5 % dalla Gran Bretagna, l’8% dall’Italia, e il 29% dagli altri 23 Paesi appartenenti al Patto atlantico. Tra le spese finanziate rientra il sistema di sorveglianza terrestre della Nato che farà base a Sigonella dove saranno destinati 800 militari. L’Ags (Alliance Ground Surveillance) è un sistema di intelligence aerea dotato di vari apparati e di aerei spia Global Hawk e di un velivolo Sigint italiano, che rivela le onde elettromagnetiche, comprese quelle telefoniche. Il costo complessivo del sistema che sarà operativo tra circa due ani, è di 1 miliardo e 560 milioni di euro, 150 dei quali a carico dell’Italia che, attraverso le parole del ministro della Difesa Ignazio La Russa, ha dichiarato: «L’operazione darà prestigio all’Italia».
Dopo “piombo fuso” l’operazione militare di Israele contro la Palestina partita nel dicembre 2007 che ha causato oltre 1.400 morti, tra i quali più di trecento bambini, dell’altro metallo sta per rovesciarsi sulle popolazioni della Striscia di Gaza. Questa volta si tratta del ferro con il quale l’Egitto si accinge a costruire un muro che chiuderà l’ultimo accesso alla Striscia. L’Egitto partecipa al blocco economico imposto da Israele alla Striscia di Gaza. Tranne i farmaci e la maggior parte degli alimentari di base il blocco comprende tutto, dai materiali da costruzione ai quaderni per i bambini, agli spaghetti e ha trasformato Gaza, dove vivono un milione e mezzo di persone, nella “più grande prigione del mondo”. Per anni l’Egitto ha “fatto finta” di non vedere le centinaia di tunnel scavati sotto il suo confine attraverso i quali, con alti profitti per i commercianti egiziani, fluivano i rifornimenti quotidiani della popolazione palestinese, armi e persone comprese. Ma tutto questo sta per finire perché l’Egitto ha avviato la costruzione di un muro di ferro per l’intera lunghezza della frontiera con Gaza, con piloni di acciaio spinti in profondità nel terreno al fine di bloccare tutte le gallerie e ogni collegamento di Gaza con l’esterno, aggravando le condizioni della popolazione civile.
Per il terzo rapporto annuale della società di sicurezza web McAfee sono i siti con il suffisso .cm (Camerun) quelli più pericolosi per chi naviga in rete. Secondo la “Mappatura del Mal Web” (Mapping the Mal Web) condotta analizzando minacce, exploit dei browser, phishing, pop-up eccessivi e download malevoli di oltre 27 milioni di domini web nazionali e generici, e calcolandone la probabilità ponderata di rischio, più della metà di quelli con il dominio .cm nascondono attività illecite o criminali, come software per il furto delle password. Nel 2008 il primato di “più pericoloso” del web era andato a Hong Kong (.hk), ma a seguito delle severe misure adottate da parte dei gestori di questi domini per reprimere le registrazioni di siti truffaldini, oggi solo l’1,1% dei siti .hk rappresenta un pericolo per la sicurezza dei navigatori. Il motivo per cui tante imprese cibercriminali si sono concentrate nel piccolo Stato africano è la somiglianza del dominio del Camerun con il più diffuso .com. I domini più sicuri sono risultati quelli del Giappone (.jp) e poi quello dell’Irlanda (.ie). Mentre i siti web governativi (.gov) risultano avere il dominio generico più sicuro. Secondo il rapporto McAfee i siti registrati nell’area Asia-Pacifico sono i più pericolosi di tutto il web con il 13% di siti a rischio.
Il servizio sanitario nazionale non è un problema solo per il presidente degli Stati Uniti: anche la Cina ha il suo bel daffare per risolverlo. Dalla riforma sanitaria degli anni Novanta restano senza copertura sanitaria gratuita quasi tutti gli abitanti delle campagne, cioè circa 910 milioni di persone, che comprendono anche 110 milioni di lavoratori che si sono spostati dalle campagne alle città in cerca di lavoro o per studio. Il governo ha ora annunciato un ambizioso piano che prevede di estendere l’assistenza sanitaria al 90 per cento dei cittadini cinesi entro il 2011. Per i migranti il governo prevede la possibilità di scegliere se registrarsi e farsi curare presso il villaggio di residenza o nella città dove lavorano. E anche gli studenti universitari saranno iscritti nelle liste sanitarie del luogo dove studiano. È stata annunciata la costruzione entro tre anni di duemila nuovi ospedali nelle province rurali e la creazione di un centro medico di base in ogni villaggio entro il 2011. Tuttavia il governo, denuncia l’agenzia cattolica AsiaNews, non ha indicato con quali fondi si potranno ottenere gli ambiziosi obiettivi, in una situazione dove i due terzi della popolazione deve pagarsi ogni cura. Inoltre, continua AsiaNews, i governi cittadini potrebbero essere riluttanti a sostenere ingenti spese per assicurare a milioni di migranti la stessa assistenza dei cittadini residenti, perché il disegno di legge non spiega dove i municipi reperiranno i fondi necessari. I migranti, poi, spesso “cambiano” città a seconda di dove trovano lavoro e ogni città ha proprie imposte e diversi criteri di spesa medica. Insomma un problema grande come il grande e popoloso Paese orientale.
76 cronisti uccisi, 33 rapiti, 573 arrestati, 1.456 quelli che hanno subito un’aggressione, 157 i giornalisti costretti alla fuga dal loro Paese, 570 i media censurati. Questi sono i numeri presentati da Reporters sans frontieres a Berlino nel suo venticinquesimo rapporto sulla stampa internazionale. Rispetto al 2008 è stato registrato un aumento di 16 giornalisti assassinati (+26%). Da quest'anno, poi, secondo il rapporto di Rsf, anche il web è entrato in maniera massiccia nelle mire della censura: 1 blogger è morto in prigione, 151 sono stati arrestati, 61 aggrediti, 60 i Paesi colpiti dalla censura di Internet. Il resoconto di Reporters sans frontieres segue quello diffuso qualche tempo fa dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), pubblicato da “Informa” il 18 dicembre scorso. Simili le conclusioni cui sono giunti i due organi internazionali, anche se i numeri di Rsf, se possibile, sono peggiori di quelli del Cpj: secondo quest'ultimo i giornalisti uccisi quest'anno sarebbero 68 contro i 76 di Rsf. Concordi invece nel giudicare gravissimo l'eccidio di 30 giornalisti avvenuto a novembre nel Sud delle Filippine, da parte della milizia privata di un governatore che, come spiega Rsf, «sarà ricordato come il più grande massacro di giornalisti commesso in una sola giornata».
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America Latina Il Sud aggancia la locomotiva cinese
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LALO DE ALMEIDA / REDUX / CONTRASTO
Un operaio livella il carico di semi di soia, a bordo di una nave in partenza dal porto di Santos. La richiesta di soia brasiliana da parte della Cina è aumentata e ha impresso una profonda trasformazione nelle produzioni agricole tradizionali.
Brasile, 2007
L’ingresso della Cina nel Subcontinente rappresenta la novità del decennio, nonché la fonte delle speranze future. Ma restano delle contraddizioni.
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EVE ESSERE STRANO SCOPRIRSI COMPARSA se per tutta la vita hai vissuto da protagonista. Per chi invece per decenni ha conosciuto solo illusioni effimere e ha ospitato più crisi valutarie che mondiali di calcio, accorgersi che la tempesta economica, una volta tanto, ha fatto di Matteo Cavallito più male agli altri rischia di essere davvero inebriante. Dopo essere stata gravemente colpita da tutti i terremoti finanziari della globalizzazione moderna, l’America Latina scopre oggi i vantaggi della marginalità. E così, mentre l’Europa festeggia tassi di crescita che non raggiungono l’1% e gli Stati Uniti si preparano all’ondata inflazionistica, gli eterni cugini poveri ritrovano l’ottimismo. Potenza delle cifre, naturalmente. La crisi è arrivata tardi e ha deciso di andarsene anzitempo. Nel 2010, hanno affermato gli analisti dell’O-
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nu, l’economia latinoamericana crescerà del 4,1% (contro il 2,4% della media mondiale) grazie, in primis, all’effetto-traino del Brasile. Un rilancio notevole sostenuto tanto dalla ripresa statunitense (2,1%) quanto dalla grande corsa (+8,8%) di un socio in affari sempre più importante: la Cina. Nel 2008, ha ricordato il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), il commercio tra Pechino e le nazioni latinoamericane ha superato i 140 miliardi di dollari (erano 10 nel 2000) sottraendo quote di mercato importanti ai concorrenti. Nell’annus horribilis 2008 le esportazioni del Continente verso la Cina hanno tenuto (-4,1%), quelle verso l’Unione europea e gli Usa sono crollate (-36,3 e -35,3%). Le conseguenze non si sono fatte attendere: per tre giganti della regione come Argentina, Brasile e Cile, Pechino è diventato
il primo partner commerciale superando gli Stati Uniti nella speciale classifica.
La Cina sempre più vicina Il dirompente ingresso dei cinesi nel mercato regionale rappresenta la vera novità del decennio, nonché la fonte delle speranze future. Eppure le perplessità restano. L’esplosione commerciale, infatti, non si starebbe traducendo in un adeguato sviluppo economico e sociale. Nel 2008 gli investimenti diretti di Pechino in America Latina si sono fermati a 24 miliardi di dollari. Molti di questi si sono concentrati nel settore energetico e nelle commodities (materie prime alimentari, come il grano, o no, come alluminio e rame), una scelta che non stupisce. La Cina acquista soprattutto materie prime e vende
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DIARIO ELETTORALE URUGUAY Sostenuto dal capo di Stato uscente Tabaré Vázquez, il candidato progressista José Mujica 1 ha conquistato la presidenza del Paese ottenendo il 53% dei voti. Sconfitto al ballottaggio il candidato conservatore Luis Alberto Lacalle. [ 29 novembre ] HONDURAS Come da pronostico il candidato conservatore Porfirio Lobo 2 ha vinto le elezioni presidenziali con il 55,9% dei consensi, superando il suo avversario Elvin Santos (Partito Liberale, 35,8%). L’ex presidente Manuel Zelaya, deposto con un colpo di Stato il 28 giugno, ha giudicato illegittima la consultazione, trovando il consenso di quasi tutti i governi della regione. Pur condannando il golpe, il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, si è pubblicamente congratulata con il neo presidente Lobo. [ 29 novembre ] BOLIVIA Evo Morales 3 è stato rieletto presidente con il 63% dei voti, sbaragliando la concorrenza del rivale Manfred Reyes Villa (25%). Decisivo il sostegno della popolazione indigena di cui il presidente è garante e sostenitore. [ 6 dicembre ] CILE Con il 51,6% dei consensi nel ballottaggio dello scorso gennaio, il conservatore Sebastián Piñera 4 ha conquistato la presidenza del Cile. Sconfitto il candidato democristiano Eduardo Frei 5 , già presidente dal 1994 al 2000. Soprannominato “Piñerusconi” per le somiglianze con il premier italiano (un’immensa fortuna, un canale televisivo, una squadra di calcio, un po’ di guai giudiziari…), Piñera è il primo politico conservatore ad essere eletto democraticamente dal 1958. [ 17 gennaio ]
¡A LAS ARMAS AMIGOS! L’AMERICA LATINA SI RIARMA IL PRESIDENTE PERUVIANO ALAN GARCÍA lancia l’allarme sui pericoli del riarmo ma non disdegna di rivolgersi alla Cina per un restyling dei suoi carri armati; il Brasile punta a scalare la classifica mondiale delle spese militari per nazione (attualmente è dodicesimo) e stringe accordi con Pechino; il Venezuela si sente minacciato, definisce un piano di guerra l’accordo per l’utilizzo statunitense delle basi colombiane, ma continua a vantare un rapporto privilegiato con la Russia nei trasferimenti di armi. L’America Latina, insomma, percorre la strada del riarmo e la tensione continentale aumenta. Le cifre restano limitate (38,6 miliardi di dollari spesi nel 2008 contro i 564 del Nord America, i 320 dell’Europa e i 206 dell’Asia), ma tanto basta per esacerbare conflitti mai sopiti. Le spese del settore sono più che raddoppiate rispetto al 1991, quando si registrò il minimo storico dell’ultimo ventennio, e la crisi mondiale non ha ostacolato la tendenza alla crescita. E così gli eserciti si rinnovano e le mosse geopolitiche seguono a ruota. L’accordo Washington-Bogotá rilancia la presenza americana dopo quel ridimensionamento strategico che aveva aperto la strada ai concorrenti russi e cinesi. Sebbene in crescita, l’ammontare dei trasferimenti di armi convenzionali dalla Cina all’America Latina resta tuttora modestissimo. Le relazioni in campo militare, tuttavia, si sono particolarmente intensificate. Pechino ha inviato un proprio contingente ad Haiti nell’ambito della sua prima operazione di peacekeeping nel continente e, da tempo, promuove scambi di “studenti” nei corsi di specializzazione tra le accademie militari cinesi e quelle di Brasile, Cile, Argentina, Venezuela, Cuba e Messico. Contemporaneamente, Taiwan cura la sua amicizia con gli ultimi sostenitori del continente: ad ottobre l’isola “ribelle” ha ospitato nelle sue accademie ufficiali provenienti da Repubblica Domicana, El Salvador, Guatemala, Nicaragua e Paraguay. M. Cav. AMERICA LATINA: PARTNER COMMERCIALI 2008 AMERICA LATINA
19,0%
CINA
5,6%
ALTRI
12,6%
USA
42,1%
EUROPA AFRICA E MEDIO ORIENTE
17,8%
2,9%
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FONTE: EUROMONITOR INTERNATIONAL DA INTERNATIONAL MONETARY FUND (IMF), DIRECTION OF TRADE STATISTICS
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CERCASI NUOVA MONETA DI RIFERIMENTO PER GLI SCAMBI INTERNAZIONALI IL BIGLIETTO VERDE AMERICANO spogliato di qualsiasi privilegio e ridotto a semplice moneta nazionale. Se fino a poco tempo fa l’idea appariva folle, oggi l’ipotesi sembra sempre meno fantascientifica e, a conti fatti, appare piuttosto logica. Se gli Stati Uniti non sono più l’unica superpotenza economica del Pianeta per quale motivo la loro valuta dovrebbe continuare a dominare le riserve estere, regolare gli scambi petroliferi e misurare i movimenti di mercato? Se lo chiedono con insistenza i cinesi che, per il futuro degli scambi internazionali, hanno rotto gli indugi proponendo apertamente la sostituzione del dollaro con i “diritti speciali di prelievo”: una valuta virtuale elaborata
dal Fondo monetario internazionale (Fmi) attraverso un paniere che, al biglietto verde, affianca yen, euro e sterline. L’ipotesi sarà pure provocatoria, ma evidenzia ugualmente lo stato attuale del conflitto in atto tra Washington e il club dei Paesi emergenti. In accordo con le nazioni del Golfo, ha segnalato negli scorsi mesi il quotidiano britannico The Indipendent, i regolatori di Cina, Brasile, Russia e Giappone starebbero elaborando un nuovo schema finanziario per sostituire il dollaro negli scambi petroliferi. Una mossa che, in combinazione con la crescente presenza dell’euro nelle riserve internazionali, potrebbe segnare il definitivo requiem per la valuta Usa. Secondo Barry Eichengreen, docente di Economia alla
manufatti. L’industria latinoamericana, incapace di reggere la concorrenza asiatica, patisce l’invasione dei prodotti a basso costo mentre il settore delle materie prime diviene il principale fattore di crescita. Un rischio non da poco a fronte della rinnovata speculazione finanziaria. Finché i cereali argentini, l’alluminio brasiliano e il rame cileno “tireranno”, insomma, le ambizioni di crescita saranno giustificate. Ma cosa accadrà, ci si chiede, quando a Londra e a Wall Street decideranno che è giunto il momento di giocare al ribasso? La storia recente del petrolio e i guai finan-
Berkeley University, lo yuan potrebbe diventare una delle valute più importanti del mondo entro il 2020. Schiacciati da un debito pubblico ormai titanico (il valore delle obbligazioni sovrane Usa in mano ai cinesi sfiora gli 800 miliardi di dollari), gli americani guardano con preoccupazione al deprezzamento della propria valuta (leggi inflazione) mentre gli speculatori di tutto il mondo puntano sempre più sul dollaro nelle operazioni di carry trade (prendono a prestito valuta americana sfruttando i bassi tassi di interesse per cambiarla e reinvestirla in mercati più redditizi generando una plusvalenza). La banconota verde non se l’è mai passata così male. M. Cav.
ziari del Venezuela insegnano. Ma qualcuno nel Subcontinente potrebbe non aver imparato la lezione.
I piani di Pechino e le ansie di Washington Le mosse cinesi sono ispirate da un piano che il governo di Pechino ha reso pubblico nel 2008. Il “Policy Paper on Latin America and the Caribbean” spazia dagli scambi commerciali agli investimenti, dall’isolamento di Taiwan (che molte nazioni sudamericane già non ri-
conoscono) alla cooperazione in campo militare (vedi BOX a pag. 57). Messo nero su bianco, il progetto ha fatto materializzare in un sol colpo tutti i possibili timori degli Stati Uniti. Già nel 2005 gli analisti della Heritage Foundation, un think tank conservatore molto influente presso la Casa Bianca, avevano avvertito circa i “pericoli” dell’espansione cinese, invitando l’amministrazione a spingere sull’acceleratore nei piani di libero scambio. Ma quel progetto, pensato molti anni prima, era già sull’orlo del fallimento: l’ipotesi dell’eliminazione delle barriere commerciali in tutto il continente è franata per l’opposizione del Venezuela e del blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay) trascinando con sé la prospettiva di un’economia continentale indissolubilmente legata al dollaro. La Cina, che punta apertamente a ridimensionare il ruolo del biglietto verde nello scenario internazionale (vedi BOX nella pagina a fianco), ha firmato accordi bilaterali con Argentina e Brasile per commerciare in monete locali, ma ha anche promesso di sostenere un programma di riduzione e cancellazione dei debiti sovrani latinoamericani che, come noto, sono espressi proprio in dollari.
Integrazione lontana Per il Subcontinente la diversificazione del commercio e il ridimensionamento dell’ingombrante ruolo statunitense rappresentano, al netto dei rischi, un’ottima opportunità. Eppure qualcosa sembra non tornare. Gli accordi doganali tra le nazioni restano ma la prospettiva di integrazione in un blocco economico in grado di difendere gli interessi regionali anche in sede “diplomatica” (Wto, Banca Mondiale, Fmi e G20) è ancora
AMERICA LATINA: VARIAZIONE PERCENTUALE DEL PIL 2007-2010 NAZIONE
2007
2008
2009*
Argentina Bolivia Brasile Cile Colombia Ecuador Messico Paraguay Perù Uruguay Venezuela America centrale e meridionale Caraibi TOTALE
8,7 4,6 5,7 4,7 7,5 2,5 3,4 6,8 8,9 7,6 8,2 5,8 3,1 5,8
6,8 6,1 5,1 3,2 2,4 6,5 1,3 5,8 9,8 8,9 4,8 4,2 0,8 4,1
0,7 3,5 0,3 -1,8 0,3 -0,4 -6,7 -3,5 0,8 1,2 -2,3 -1,8 -2,1 -1,8
utopia. «Il modello dell’Unione Europea è evidentemente lontano», spiega Osvaldo Coggiola, docente argentino di storia contemporanea ed economica presso l’università di San Paolo in Brasile. «La concorrenza fra i grandi gruppi europei, nordamericani, giapponesi, brasiliani, e cinesi è troppo forte da permettere un accordo pacifico». La debolezza di molte valute locali e il conflitto tra la valorizzazione del Real e la svalutazione concorrenziale del Peso troncano sul nascere qualsiasi ipotesi di unione monetaria mentre, sul fronte politico, i piani di riarmo finiscono per complicare rapporti internazionali storicamente difficili. Il futuro latinoamericano, ancora una volta, si decide altrove.
2010*
4,0 4,5 5,5 4,5 2,5 3,0 3,5 3,0 5,0 5,0 2,0 4,1 1,8 4,1 *stime
La bandiera cinese sventola su piazza Tien An Men a Pechino.
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Ombre cinesi, paure statunitensi
Prodotti cinesi low cost contro materie prime sudamericane pagate in valuta locale. Questa la ricetta del commercio tra Cina e Paesi latinoamericani. Che rischia di innescare un conflitto valutario. L’opinione di Francesco Schettino.
I
L FUTURO DELL’AMERICA LATINA parla sempre più cinese, ma siamo sicuri che l’ottimismo sia giustificato? Il filo diretto con la Cina è realmente privo di rischi? E quello tra Pechino e l’America Latina è davvero uno scambio alla pari? Sono molti i motivi di di Matteo Cavallito perplessità che accompagnano la relazione tra le due regioni. Valori ne ha discusso con Francesco Schettino, ricercatore presso il Development studies research centre (Spes) dell’Università La Sapienza di Roma, da anni impegnato nello studio delle dinamiche economiche dell’area.
scelta di sostituire il dollaro “La con l’euro, causerebbe il crollo verticale dell’economia Usa. E gli Stati Uniti non resterebbero a guardare
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Dalla Cina tanti scambi, ma pochi investimenti diretti. Basta questo per garantire ai Paesi latinoamericani uno sviluppo economico generalizzato? Viste le dimensioni e lo “stato di salute” del capitale cinese, i margini di sviluppo sono evidentemente ampi. Sul collegamento diretto tra aumento degli investimenti e riduzione della povertà sono un po’ più scettico. Se è vero che i recenti investimenti cinesi nei Paesi africani hanno prodotto uno sviluppo infrastrutturale, è anche vero che l’esperienza del capitale straniero in America Latina, almeno dagli anni ’60 in poi, ha generato un violento sfruttamento della forza-lavoro locale dando vita, inoltre, a quella catena di debito estero che vincola tuttora le economie locali. Manufatti cinesi in cambio di materie prime latinoamericane. Una specializzazione produttiva che, in tempi di forte speculazione, potrebbe rivelarsi molto pericolosa per i Paesi del Subcontinente, concorda?
È noto che la specializzazione è estremamente rischiosa: sia per i combustibili fossili che per i generi alimentari di prima necessità, la speculazione sta determinando una grande volatilità dei prezzi giungendo, spesso, a pilotarne gli andamenti. Ciò determina una fragilità economica, e dunque un’instabilità sostenuta con conseguenze drammatiche per i più poveri. Questa eccessiva dipendenza, inoltre, si traduce in una elevata vulnerabilità politica dei governi, divenendo così fonte di evidente instabilità. L’invasione di prodotti cinesi a basso costo può danneggiare l’industria locale. Un effetto collaterale accettabile? È fin troppo ovvio che le merci più a basso costo siano quelle preferite da coloro che vivono nettamente al di sotto della linea di povertà. Per i manuali di economia politica si tratta di “concorrenza”, di stimolo all’efficienza nelle industrie locali. Ma, se così non è, il problema potrebbe risiedere nella eccessiva debolezza del capitale locale o nell’erroneità di quello stesso concetto di concorrenza che,
nel capitalismo, più che a una leale competizione “podistica” assomiglia a una lotta fratricida. La Cina scambia in valuta locale con Argentina e Brasile e punta apertamente a un ridimensionamento del dollaro. È in corso una battaglia decisiva? Questa è la questione cruciale. Il capitalismo sta vivendo una fase critica contraddistinta da un conflitto valutario tra i capitali a base euro e quelli che si basano sulla valuta Usa. Da questo punto di vista, le scelte del governo cinese sono di importanza strategica dato che, da una parte la Cina possiede la gran parte del debito statunitense – denominato in dollari – e dall’altra, detiene un quantitativo di riserve di valuta estera enorme. Dunque, l’ipotetica scelta di sostituire il dollaro con l’euro, ad esempio, causerebbe un’immediata svalutazione del biglietto verde e un conseguente crollo verticale dell’economia Usa. E a quel punto, come si è già visto in Iraq, difficilmente gli Stati Uniti resterebbero a guardare.
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FONTE: ECLAC – UNITED NATIONS COMMISSION FOR LATIN AMERICA AND THE CARIBBEAN
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Cronaca di un conflitto permanente
I TESTIMONI RACCONTANO LA CRISI DEL KIVU
IL PAESE IN CIFRE Nome: Repubblica Dem. del Congo Popolazione: 68,3 milioni Capitale: Kinshasa Forma di Stato: Repubblica Indipendenza: 1960, dal Belgio Pil 2008*: 20,8 miliardi di dollari Pil pro capite 2008*: 300 dollari Tasso di crescita reale 2008: 5,9% Tasso d’inflazione (stime 2007)**: 16,7% Alfabetizz.***: 67,2% Mort. infantile: 8,1% Incidenza Hiv/Aids (stime 2003): 4,2% Tasso di crescita popolazione: 3,2% Speranza di vita: 54,4 anni * A PARITÀ DI POTERE D’ACQUISTO ** PREZZI AL CONSUMO ***% POPOLAZIONE CON PIÙ DI 15 ANNI DI ETÀ IN GRADO DI LEGGERE E SCRIVERE
Joseph Kabila. Sotto, profughi in fuga. A fianco, adolescenti per strada.
DOMINIC NAHR / OEIL PUBLIC
CEDRIC GERBEHAYE / VU
FONTE: CIA - WORLD FACTBOOK 2009
LA CRISI UMANITARIA che flagella il Congo da oltre un decennio compare puntualmente fra le dieci più gravi segnalate ogni anno da Medici senza frontiere. Ma, altrettanto puntualmente, è dimenticata dai mass media italiani, nonostante le ferite della popolazione civile continuino a moltiplicarsi. Per raccontare le loro storie di sopravvivenza durante i conflitti, Msf ha attivato il sito Condizione critica – www.condition-critical.org – ricco di filmati, fotografie, testimonianze di uomini, donne, bambini e degli operatori umanitari. Un archivio straordinario per documentare l’atroce quotidianità degli abitanti del Kivu.
Oltre dieci anni di conflitto tra forze governative e ribelli hanno gettato nel caos le regioni orientali del Congo. Per i civili la situazione è sempre più difficile.
M
dormiva profondamente insieme ai fratellini e a sua sorella. Era più o meno mezzanotte quando quattro uomini sono entrati in casa loro, armati. Li hanno legati e condotti nella boscaglia: «Ci siamo ridi Emanuele Isonio trovati con una ventina di altri bambini», racconta. «Ci frustavano e ci costringevano a lavorare, in silenzio. Un giorno, mentre saccheggiavano un villaggio, si sono imbattuti in un contadino. L’hanno trascinato nella boscaglia e l’hanno ucciso. Poi mi hanno chiamato. Mi hanno messo in mano un machete. Il cuore mi batteva all’impazzata. Mi hanno ordinato di farlo a pezzi. Altrimenti avrebbero ucciso anche me». Pierrette non sa precisamente quanti anni ha («dovrei averne circa quindici»). Per due mesi è stata sequestrata e trasformata in una “moglie forzata”: «Ero partita con mia madre per lavorare nei campi. Dalla boscaglia sono apparsi alcuni uomini. Erano in tanti, armati, aggressivi. Ci hanno trascinato a forza nella foresta. Là hanno lasciato andare mia madre, ma hanno tenuto me con loro». È l’inizio di un incubo: «Di giorno mi facevano trasportare riso e arachidi e mi picchiavano. La notte ero costretta a stare con uno | 60 | valori |
ICHEL HA TREDICI ANNI:
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di loro. Due mesi e mezzo dopo, sono riuscita a scappare». Ngarambe ha invece 31 anni. A causa della guerra, ha perso sua moglie, ma non ha avuto tempo per piangerla. Doveva salvare uno dei suoi figli: «Il mio bambino più piccolo ha 9 mesi. Per tutto il tempo sua madre lo ha portato sulla schiena. Ma un giorno hanno invaso il nostro villaggio. Quando lei ha provato a scappare, l’hanno presa di mira. È stata colpita da un proiettile che ha ferito nostro figlio. L’ho dovuta seppellire con le mie mani. Poi ho preso il bambino e me lo sono messo sulle spalle. Mi sono inerpicato sulle colline, una dopo l’altra. Sono riuscito a trovare un centro medico dove lo hanno operato. La mia vita era bella. Ero felice, avevo casa, facevo l’insegnante. Nel futuro, se mio figlio sopravvivrà, dovrò rimanere nel campo profughi. La mia casa è ancora in territorio di guerra».
Due milioni di profughi Michel, Pierrette, Ngarambe, le loro sono rapidi spaccati di vite e tragedie personali. Che però, collegate insieme, riescono a trasmettere l’idea della quotidianità dei civili in Congo: costretti a preoccuparsi, ancor prima della fame e delle malattie, a sfuggire alle violenze di un conflitto permanente, che da oltre un decennio insanguina villaggi
e campagne del Nord e Sud Kivu e che vede combattersi, a vario titolo e nonostante i 15 mila soldati della forza Monuc delle Nazioni Unite, l’esercito regolare del Congo, i ribelli del Cndp e il Fronte per la Liberazione del Rwanda. Un cancro che colpisce milioni di persone, peggiorandone le già precarie condizioni di vita. Un recente rapporto dell’Ocha (l’ufficio Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari) stimava che, solo tra marzo e giugno 2009, oltre un milione e mezzo di congolesi hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni a causa delle campagne militari nella regione orientale del Kivu. E la cifra supera i due milioni se si includono anche i profughi dei distretti di Haut-Uélé e di Bas-Uélé, in cui imperversano i ribelli ugandesi dell’Lra (Esercito di Resistenza del Signore), un gruppo che combatte per istituire nell’area uno Stato teocratico basato sui Dieci Comandamenti (il suo leader, Joseph Kony, si definisce “portavoce di Dio e medium dello Spirito Santo”).
Un’amara ironia In un simile coacervo di deliri religiosi e sordidi interessi economici e commerciali chi si trova nella morsa del conflitto è del tutto privo di servizi sanitari. Le poche strutture che rimangono aperte, gestite
CINQUANT’ANNI TRA REGIMI E CAOS DALL’INDIPENDENZA DAL BELGIO NEL 1960 il Congo non ha mai goduto di stabilità politica o sociale. Nel 1965 Joseph Mobutu si autoproclamò presidente e cambiò il nome del Congo in Zaire, avviando un regime caratterizzato da un forte culto della personalità, durato 32 anni. La fine della Guerra fredda, che Mobutu aveva sfruttato per essere l’ago della bilancia nel Continente africano, acuì la crisi politica interna e segnò la fine del suo regime nel 1996, quando le forze ribelli ruandesi e ugandesi, coalizzate sotto il comando di Laurent Desiré Kabila, presero il potere. Mobutu fuggì in Marocco. Kabila si proclamò presidente, e cambiò di nuovo nome al Paese: Repubblica Democratica del Congo. Nel 1998, i ribelli Tutsi, spalleggiati da Angola, Namibia e Zimbabwe iniziarono una dura lotta contro i fedeli di Kabila: una “guerra mondiale africana” che vide combattersi sul territorio congolese gli eserciti regolari di ben sei Paesi. Obiettivo: controllare i ricchissimi giacimenti di diamanti, oro e coltan (strategico nell'industria militare, informatica e delle telecomunicazioni) del Kivu e Uélé. 350 mila le vittime dirette del conflitto e 2,5 milioni i morti per carestie e malattie causate dalla guerra civile. La guerra finì con la morte di Kabila nel 2001. Gli successe il figlio Joseph. Dal 2004, la crisi del Kivu è andata peggiorando. Nemmeno un trattato di pace (gennaio 2008) ha fermato il conflitto. Guerra e malattie uccidono ogni mese 38 mila persone. L’instabilità avvantaggia i Paesi ricchi. A dicembre, l’arcivescovo di Butembo, monsignor Sikuli Paluku, ha accusato i governi occidentali di mantenere il caos nella regione: «Le ricchezze minerarie del nostro paese – denunciava dalle colonne de L’Avvenire - sono una delle ragioni di questo conflitto senza fine, in cui i congolesi si combattono gli uni contro gli altri, fratelli contro fratelli. Spesso per interessi che stanno fuori dal nostro paese. È una situazione di violenza, ingiustizia, sfruttamento che non possiamo più tollerare». Em. Is. da associazioni umanitarie, traboccano di malati e feriti. «La guerra influenza molto il nostro lavoro – racconta Ilaria Porta, coordinatore medico di Medici Senza Frontiere in Kivu – Non solo dobbiamo curare le malattie tipiche dei luoghi in cui manca l’assistenza sanitaria di base, ma ci troviamo anche molti feriti da arma da fuoco che richiedono investimenti ingenti: sale operatorie adeguate, assistenza post operatoria, chirurghi ortopedici e personale qualificato». Oltre a tutto questo, ci sono i traumi psicologici di bambini e donne torturati e violentati: «Abbiamo quindi attivato dei programmi di supporto psicologico per vittime di stress post traumatico, indispensabili per aiutare le vittime dei conflitti». Le sofferenze della popolazione congolese hanno tra l’altro un aspetto amaramente ironico: «Ciò che avviene in Congo – spiega Ilaria Porta, alla sedicesima missione per Msf – non è diverso da quanto ho potuto osservare in altre regioni africane. Cambiano i nomi degli eserciti. Ma la popolazione civile è sempre neutrale e totalmente disinteressata ai motivi del conflitto. Le vicende militari e politiche passano sopra le loro teste. Non sposano nessuna causa. Capita che stringano “accordi” con gli eserciti che occupano il loro villaggio, ma lo fanno per quieto vivere».
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Italia, Senegal Dubai e Sudafrica L’impresa sociale si mette in viaggio
Tra Locate Triulzi e Dubai la distanza non è poi tanta se si percorre mirando all’inclusione sociale, soprattutto ai tempi della crisi. Il mercato del sociale ha grandi potenzialità, ma anche qualche rischio.
A
LTRO CHE FOR PROFIT, in tempi di crisi economica è l’impresa sociale a fare affari, a “conquistare” nuovi mercati, ad esportare il made in Italy. L’esempio viene da vicino: Il Giardinone, cooperativa sociale di tipo B, cioè di inserimento lavorativo di soggetti svandi Corrado Fontana taggiati, iscritta all’albo regionale lombardo dal 1996 e con sede in una cascina recuperata all’ingresso di Locate Triulzi, nella cintura di comuni a Sud di Milano. È un’impresa sociale, definita dal decreto 155/06, i cui 36 soci-lavoratori (il 33% sono “persone svantaggiate”) mandano avanti un’attività di pulizie e di servizi di giardinaggio da 1 milione e 200 mila euro di fatturato annuo (bilancio 2008), è la seconda azienda di Locate Triulzi e si ritrova, di questi tempi, con un utile consolidato di 700 mila euro. Merito del lavoro, certo, ma anLa costruzione che della legge, che fa divieto alle imprese sociali di ridi una fattoria in Senegal. distribuirlo tra i soci. Da qui l’idea e la possibilità di investire nei processi di internazionalizzazione.
LIBRI
Tra wolof e dialetto della bassa
Bruno Amoroso Per il Bene Comune Dallo stato del benessere alla società del benessere Diabasis, 2009
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E fu così che Il Giardinone da Locate sbarcò in Senegal. Andrea Vecci, consigliere di amministrazione della società, ne parla con entusiasmo: «Da febbraio 2009 siamo soci sovventori di una cooperativa agricola senza scopo di lucro, avviata da alcuni nostri soci-lavoratori e riconosciuta, secondo la legge locale, dal governo. Si chiama Bay sa rew (in wolof, la lingua locale parlata, significa “coltiva la tua terra”), produce soprattutto mais su 20 ettari di terreno presso il villaggio dove si è sviluppata, 300 chilometri a Sud di Dakar, vicino al Gambia, e poi su altri 20 etta-
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ri, 100 chilometri più a Nord». Per tenere saldo il legame tra Locate Triulzi e Dakar si fanno riunioni settimanali, in francese o in italiano, tramite computer, sui problemi, da risolvere ogni giorno: l’acquisto del trattore, ad esempio, che è stato concluso direttamente sul mercato cinese, facendolo spedire a Dakar per soli 8 mila euro, invece dei 23 mila di un modello simile italiano. Continua Vecci: «Attualmente lì abbiamo sette soci-lavoratori e una sede della cooperativa costruita materialmente da loro, insieme alla comunità locale».
I fiori dell’apartheid Ma se Dakar sembra lontana, che dire di Capetown? Per Il Giardinone inizia infatti anche un’avventura sudafricana, un’ipotesi di investimento da 100 mila euro per 10 anni su una fattoria che produce ed esporta fiori coltivati su 20 ettari a Nord di Città del Capo, nella cosiddetta Riviera dei fiori, dove il clima è una primavera costante. «Guardando al tema del black empowerment, una sorta di incentivo alle pari opportunità, laggiù molto sentito perché i neri non hanno ancora recuperato il terreno perduto in anni di apartheid, stiamo avviando qualcosa che qui giuridicamente non esiste, cioè un trust (fondo) non lucrativo comandato da un master (sindaco) che fa questo lavoro per la comunità locale», racconta Vecci. «Abbiamo posto tre condizioni: in primis che la gestione della fattoria sia data in mano al trust; poi che si facciano investimenti per migliorarne la produttività e, infine, che si impieghino lavoratori locali di colore che diventino soci». E poiché le spese saranno tra i 70 e gli 80 mila euro
per i primi due anni, Il Giardinone sta cercando altre cooperative sociali che partecipino al progetto.
Parlo arabo? Logica imprenditoriale, internazionalizzazione dell’inclusione sociale, creazione di reti e relazioni e qualche contaminazione con il for profit: ecco forse la lente attraverso cui leggeremo il futuro dell’impresa sociale. Se così fosse, Il Giardinone si sarebbe portata avanti puntando anche su Dubai. Andrea Vecci e alcuni importanti imprenditori (Malegori e Baronchelli della progettazione del verde, lo studio di architettura Blast, il costruttore Pizzarotti) sono partiti a novembre per Abu
Dhabi, in una missione della Camera di commercio di Milano, e sono tornati con un accordo benedetto da Emirates Foundation per costituire una società di diritto emiratino che si chiamerà Italian team. Obiettivo: abbattere i costi e dar vita a una sorta di incubatore per le imprese italiane a Dubai. Il Giardinone sta studiando come partecipare alla Srl iniziale e poi uscirne come impresa sociale “incubata”. Si parla di circa 60 mila euro di spese all’anno, ma a Dubai il mercato del sociale è ancora in qualche modo vergine, spiega Vecci: «Tutto il tema della comunicazione sociale lì non esiste ancora. Cosi come è stata appena avviata la ricerca sull’inclusione lavorativa».
Flaviano Zandonai, ricercatore Iris network, e, sotto, Giorgio Fiorentini, Università Bocconi di Milano.
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Internazionalizzare Non basta la parola
L’impresa sociale ha struttura e numeri di rilievo: esiste un modello italiano da esportazione?
«I
L VALORE AGGIUNTO È LA SUA STORIA.
Avere alle spalle trent’anni di esperienza non è un elemento di poco conto», così dice, parlando di un “modello italiano dell’impresa sociale” da esportazione, Flaviano Zandonai, ricercatore di Iris Network, la rete nazionale degli di Corrado Fontana istituti di ricerca sull’impresa sociale. Più in particolare, ricorda su cosa si dovrebbe puntare: «L’esperienza che c’è in Italia sull’inserimento al lavoro di persone che vivono una condizione di disagio e fragilità sociale rappresenta un aspetto di valo-
re che si presta ad essere internazionalizzato. Se infatti esiste un modello di impresa sociale internazionale è proprio questo e su di esso è perciò relativamente facile costruire delle partnership a livello internazionale». Sulla peculiare positività del modello italiano concorda il professor Giorgio Fiorentini, responsabile scientifico del Master in management delle imprese sociali, cooperative e aziende non profit dell’Università Bocconi di Milano, sottolineando che: «Quella dell’impresa sociale è una formula imprenditoriale interessante, in particolare attraverso la realizzazione di SpA o Srl, senza distribuzione di utili, che potrebbero |
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essere un ottimo start up per entrare nei mercati esteri. Una formula imprenditoriale assai più snella, più vicina ai bisogni della domanda e con costi inferiori rispetto alle aziende for profit».
Qualche rischio... Nessun dubbio, insomma, sulle potenzialità del settore, ma sulle cifre del fenomeno e le caratteristiche del modello qualche interrogativo rimane. Il professor Fiorentini aggiunge che: «Bisogna aprire un dibattito perché il divieto di redistribuzione degli utili non sia assoluto bensì relativo», e mira alla normativa americana delle low profit limited liability company (L3C), che permette di reinvestire un 4-5% di utili per attività di interesse sociale. Andrea Bassi, docente di Sociologia delle organizzazioni non profit presso la facoltà di economia dell’Università di Bologna, esalta la normativa italiana, ma mette in dubbio l’internazionalizzazione di queste realtà: «Mi pare un fenomeno ancora in nuce, che non ha raggiunto dimensioni significative. Dipende da che cosa si intende per internazionalizzazione. Se si intende un processo di apertura di mercati al di fuori dei confini nazionali, questo mi pare davvero molto difficile, trattandosi di imprese che operano a livello locale basandosi sulla “domanda interna” e che spesso gestiscono i servizi alla persona, i quali hanno come caratteristica la quasi “unicità” dell’offerta. Ritengo improbabile che una signora romagnola si faccia assistere da una impresa sociale francese, tedesca o olandese». Flaviano Zandonai intravvede due opposti rischi di “snaturamento”: «Uno è rappresentato dalla deriva classica delle imprese for profit, che aprono una propria sede all’estero senza considerare le esigenze locali: un grave errore per un’impresa che sostiene di voler servire gli interessi della comunità. È necessario un serio lavoro di adattamento del modello al contesto sociale. Il secondo rischio è la deriva opposta: andare a sviluppare un’impresa sociale con un’ottica di tipo filantropico. Occorre sempre sia chiara la dimensione imprenditoriale, perché i processi di internazionalizzazione si fanno con capitali di rischio, cioè capitali imprenditoriali».
...e molti benefici Ammesso, però, che la realtà italiana sia pronta per capacità e risorse a mettersi in viaggio, resta da stabilire se ne valga la pena. Certo tra mercato italiano e mondiale c’è una bella differenza, ma non è tutto qui. Il professor Fiorentini vede l’occasione di valorizzare alcune specificità e allargare i rami d’impresa: «Si internazionalizza quando si riesce a fare partnership con una realtà territoriale di riferimento: questo è un limite, ad esempio, per alcune multinazionali. Le persone che operano nell’impresa sociale, generalmente, dimostrano una maggiore apertura culturale e una propensione all’osmosi, potendo così sfruttare relazioni di partenariato virtuose ed efficaci nei vari contesti. Infine, sarebbe bene che l’impresa sociale, oltre a spendersi sugli abituali settori della sanità o dell’assistenza, accettasse le sfide di ambiti come lo sport, l’entertainment, le strutture educative e universitarie, del turismo sostenibile, della cultura e di tutto ciò che è inerente ad un concetto di welfare allargato».
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SI FANNO IN TRE PER L’IMPRESA SOCIALE NON È CHE L’IMPRESA SOCIALE, quella che si identifica sostanzialmente nelle cooperative, prima non esportasse le proprie attività all’estero, è però vero che si può sempre farlo meglio. Da questo presupposto tre anni fa è nata, all’interno di Cgm (Consorzio Gino Mattarelli), ovvero la più grande rete di cooperative sociali in Italia, l’idea di articolare in un organismo il tema dell’internazionalizzazione dell’impresa sociale. Dai primi progetti nel mondo e dall’incontro sul territorio tra il settore cooperativo sociale, le Ong della cooperazione internazionale e i rappresentanti del commercio equo e solidale è nata la Fondazione Solidarete: un alleanza forte tra soggetti e, soprattutto, tra reti impegnate nel terzo settore per un’internazionalizzazione dell’impresa sociale. Ne fanno parte Cgm, Ctm-Altromercato e Focsiv (Federazione organismi cristiani servizio internazionale volontario). Tre soggetti diversi e tre reti che continuano perciò a fare il proprio lavoro specifico ma, quando si tratta di sviluppare impresa sociale nei Paesi del Sud del mondo, si coordinano all’interno di Solidarete e partono insieme. Pierluca Ghibelli (nella foto), direttore della Fondazione, sostiene infatti la necessità di attuare «sin dall’inizio sinergie efficaci, a partire da un modello e dei principi condivisi, ma sempre in un’ottica di sviluppo e impresa». Del resto, molte realtà italiane e lo stesso modello dell’impresa sociale non sarebbero ancora pronte per le sfide dell’internazionalizzazione. Lo sostiene Ghibelli, che conclude: «Non è così matura l’idea, non è facile ancora trovare disponibilità e capacità per attivare i processi di internazionalizzazione. È un percorso che va costruito. Tutt’oggi manca un quadro completo e definito: il rischio è che il concetto di impresa sociale, ricco come è di sfaccettature, resti in qualche modo liquido. Il nostro tentativo è quindi di porre un punto di riferimento sul tema, partendo dall’esperienza concreta che le reti coinvolte mostrano quotidianamente». www.solidarete.net
La cooperativa Il Giardinone al lavoro. A sinistra, Andrea Bassi.
LIBRI
Carlo Borzaga, Flaviano Zandonai (a cura di) L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni Donzelli editore, 2009
IRIS NETWORK, IMPRESA SOCIALE AL MICROSCOPIO L’IMPRESA SOCIALE È UN SOGGETTO ECONOMICO - e sociale - giuridicamente giovane: ha trovato definizione di legge solo col recente d.lgs 155/06, che riconosce l’esistenza di imprese con finalità diverse dal profitto e pone vincoli e requisiti. Il valore aggiunto rispetto a un'impresa tradizionale sta infatti nel tentativo di produrre servizi ad alto contenuto relazionale, nel cercare di fare “rete” con esperienze del terzo settore, nel produrre esternalità positive per la comunità. Al monitoraggio e rappresentazione della nuova forma di impresa si dedica Iris Network (Istituti di ricerca sull’impresa sociale) che ha pubblicato a settembre del 2009 il primo rapporto sul fenomeno, intitolato “L’impresa sociale in Italia - Economia e istituzioni dei beni comuni”, da cui emergono dati di tutto rilievo: in Italia operano già 15 mila imprese sociali, che danno lavoro a 350 mila addetti e movimentano 10 miliardi di euro per offrire beni e servizi a 10 milioni di utenti. E secondo Iris Network ci sono tutte le premesse per un’ampia crescita del settore. www.irisnetwork.it
APPUNTAMENTI FEBBRAIO>APRILE
Febbraio RIYADH (ARABIA SAUDITA) GULF MONETARY COUNCIL Nasce il Gulf Monetary Council, embrione di quella che sarà la Banca centrale del Golfo Persico, operazione necessaria in vista dell’Unione monetaria dei Paesi del Golfo. Entro i prossimi dieci anni gli Stati del petrolio avranno una moneta unica, concepita sul modello dell’euro. Il progetto è stato avviato nel 1981, dopo la fondazione del Gulf Cooperation Council (Gcc), al quale hanno aderito inizialmente Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain e Qatar, ma che sembra destinato ad allargarsi ad altri Paesi produttori di petrolio. La valuta che cercherà di fare concorrenza al dollaro nelle contrattazioni dell’oro nero si chiamerà “gulfo”.
16 - 18 febbraio ASPEN (COLORADO) CUBA AFTER CASTRO Quale sarà la leadership a Cuba dopo la scomparsa di Fidel Castro? Questo l’argomento del dibattito moderato da Albert Coll, scrittore e docente di diritto alla DePaul University, e da Ann Louise Bardach, giornalista autrice del libro “Senza Fidel: una morte annunciata” (ottobre 2009). L’incontro si terrà sui monti del Colorado nella sede dell’Aspen Institute, che ne è l’organizzatore, e si chiede quali saranno le conseguenze sugli Stati Uniti della scomparsa di Fidel Castro e se la presidenza Usa sarà in grado di porre delle basi diverse nelle relazioni con il governo dell’isola caraibica. www.aspeninstitute.org
10 - 13 febbraio BANGKOK (THAILANDIA) 32ND HEAD OF DRUG LAW ENFORCEMENT AGENCIES MEETING Incontro organizzato dall’Asean, la Comunità economica tra i Paesi del Sudest asiatico. Le Agenzie internazionali di controllo sui traffici di droga si danno appuntamento in Corea. www.asensec.org 22 - 23 febbraio TOKIO (GIAPPONE) 11TH ROUNDTABLE ON CAPITAL MARKET REFORM IN ASIA Undicesima Tavola rotonda sulla riforma
del mercato dei capitali in Asia. Promossa dall’OCSE, l’Organizzazione per lo sviluppo economico tra i Paesi più industrializzati, dall’Asian Development Bank Institute (ADBI) di Tokio, con il supporto del governo giapponese, la Tavola rotonda è stata istituita nel 1999 in seguito alla crisi finanziaria asiatica e offre un forum di discussione tra gli organismi asiatici di regolamentazione, gli investitori e i professionisti del settore. www.oecd.org/daf/fin/tokyo 24 - 26 febbraio BALI (INDONESIA) SPECIAL SESSION OF THE GOVERNING COUNCIL UNEP Undicesima sessione speciale del Consiglio di amministrazione di UNEP/Forum ministeriale mondiale sull’ambiente. www.unep.org
1 - 5 marzo HO CHI MINH CITY (VIETNAM) INTERNATIONAL CONFERENCE ON ENVIRONMENTAL POLLUTION, RESTORATION, AND MANAGEMENT Il recente sviluppo economico-industriale del Vietnam, della Cina e di altri Paesi asiatici si è tradotto in una crescente pressione ambientale. La letteratura scientifica indica che ci sono problemi di inquinamento organico ed inorganico delle acque dei Paesi asiatici e che altri inquinamenti, frutto delle produzioni industriali, costituiscono un problema per la salute pubblica. Per migliorare la qualità ambientale dei Paesi in via di sviluppo è stata indetta la prima conferenza internazionale SETAC (Asia/Pacific Joint Conference) organizzata dalla Ho Chi Minh City University of Technology. www.hcmut.edu.vn/en/ 4 - 14 marzo GINEVRA (SVIZZERA) SALONE INTERNAZIONALE DELL’AUTO Sotto l’insegna dell’auto “verde” all’ottantesimo Salone ospitato dalla seconda piazza finanziaria della Confederazione Elvetica, quest’anno in esposizione ci sarà anche una Ferrari 599 ibrida. www.salon-auto.ch
7 marzo IRAQ ELEZIONI PARLAMENTARI E REFERENDUM
PER SEGNALARE UN EVENTO SCRIVERE A REDAZIONE@VALORI.IT
Branson presidente del gruppo Virgin, gli amministratori delegati della Dow Chemical Company, Siemens, LG Electronics, Coca-Cola, Hitachi, Nalco. www.b4esummit.com
14 marzo COLOMBIA ELEZIONI LEGISLATIVE
17 marzo VIENNA (AUSTRIA) 156TH MEETING OF THE OPEC CONFERENCE Si riunisce la Conferenza dell’OPEC, la massima autorità dell’Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio. www.opec.org 26 - 29 marzo BARCELLONA (SPAGNA) SECONDA CONFERENZA SULLA DECRESCITA ECONOMICA Seconda Conferenza internazionale sulla decrescita economica per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale, a seguito dell’edizione dello scorso anno a Parigi. La conferenza includerà presentazioni plenarie e tavole rotonde di accademici e specialisti della decrescita, nonché la presentazione dei lavori dei laboratori partecipativi. www.degrowth.net/-Barcelona2010 29 marzo - 16 aprile NEW YORK (STATI UNITI) SESSIONE 2010 DELL’UNDC Sessione di lavoro della Commissione disarmo delle Nazioni Unite (UNDC) che vede il Sud Africa e l’Italia alla presidenza dei due gruppi di lavoro: la Commissione elabora raccomandazioni sul disarmo nucleare, la non proliferazione e l’utilizzo non bellico dell’energia atomica. Nel corso della precedente sessione il gruppo presieduto dal Sud Africa non è riuscito a produrre un documento unitario sul disarmo. www.un.org
22 - 23 aprile SEOUL (REPUBBLICA DI COREA) BUSINESS FOR THE ENVIRONMENT B4E Il Summit coreano segna l’incontro tra governi, imprese, media e ONG dopo la conferenza sul clima di Copenhagen, in cui verranno discussi i risultati di Cop 15. Organizzato dall’UNEP, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, al Summit saranno presenti Wangari Maathai, Premio Nobel per la Pace, del movimento Greenbelt, Richard |
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24 - 25 aprile WASHINGTON DC (STATI UNITI) SPRING MEETING IFM Annuale convegno di primavera del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. www.imf.org
25 aprile AUSTRIA ELEZIONI PRESIDENZIALI
7 - 9 maggio DUBLINO (IRLANDA) MEETING ANNUALE DELLA TRILATERAL COMMISSION Riunione plenaria della Commissione fondata da David Rockefeller nel 1972, che riunisce oggi 390 membri tra le persone considerate più influenti al mondo, provenienti dal settore degli affari, dalle università, dai sindacati, dalla pubblica amministrazione, dalla ricerca e dalle organizzazioni non governative. 160 membri arrivano dall’Europa, 120 dal Nord America e 110 dall’area asiatica del Pacifico. L’argomento dei meeting non viene comunicato alla stampa prima dell’inizio dei lavori: lo scorso anno è stato sulle opportunità offerte dalla crisi (nella foto: il primo meeting della Trilateral, a Tokio nel 1973). www.trilateral.org 7 - 10 maggio MELILLA (SPAGNA) SOCIAL CAPITAL IN PRACTICE Organizzata dalla Social Capital Foundation, la Conferenza riunirà scienziati, politici e operatori sociali per discutere nella pratica le questioni connesse al capitale sociale. www.socialcapitalgateway.org 27 - 28 maggio ABIDJAN (COSTA D’AVORIO) AFDB ANNUAL MEETING Nel corso del meeting annuale dei governatori dell’African Development Bank Group (AfDB) e dell’African Development Fund, verrà lanciato l’African Economic Outlook 2010, una panoramica delle prospettive economiche del Continente per l’anno in corso. www.afdb.org |
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economiaefinanza
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altrevoci a cura di Michele Mancino
IL MONDO POSSIBILE ALLA LUCE DEL SOLE
IL DISASTRO DELLE FERROVIE ITALIANE
PER MISURARE L’ANIMA NON SERVE IL PIL
GUIDO GUERRIERI È TORNATO IN LIBRERIA
LA MUSICA DI VIVALDI RISCATTA LA VITA
È a partire dal basso, da una “perlustrazione” del suolo, che si misurano i limiti del nostro modello economico. Proprio da qui, dalla terra, prende avvio la riflessione di David Tasch sulla crisi. Il consumo di suolo e della sua fertilità, la riduzione di biodiversità, l’impoverimento delle falde, il largo uso di pesticidi e di fertilizzanti, per aumentare le rese, sono fenomeni che fanno tutti capo al demone del denaro veloce. Il consolidarsi dell’uso efficiente del capitale, per massimizzare i profitti, ha reciso ogni legame tra efficienza produttiva e capacità di ripresa biologica della terra. Ma resteremo davvero senza terra? Sì, se non ci indirizziamo da subito verso un’economia restaurativa, fondata sulla capacità di carico della terra, sulla diversità biologica e culturale, sulla valorizzazione delle specificità locali. E soprattutto su un nuovo strumento finanziario, lo slow money, attraverso cui catalizzare pazientemente gli investimenti verso aziende piccole e responsabili, che operano per il benessere socio-ambientale del territorio. Lo slow money inaugura una forma di imprenditorialità che rende gli investitori veri e propri lombrichi, agenti di preservazione e riequilibrio della salute del suolo e della comunità a lungo termine.
Il tema energetico scotta. E scotterà sempre di più proprio in un Paese che sta facendo marcia indietro sulla scelta nucleare. Ma la prospettiva è – deve essere – globale. E servono più informazioni. In queste pagine si trova il racconto della miope rapina delle risorse passata e lo scenario scientificoeconomico e politico futuro, fotografato dai rapporti degli istituti di ricerca internazionali. Ma non solo: c’è qui lo sforzo di una prospettiva percorribile per un “mondo solare” socialmente e organizzativamente possibile, in armonico e rispettoso rapporto con la biosfera. E il punto di vista, fondamentale su certi argomenti, è duplice: quello di uno scienziato che è anche un politico impegnato sui temi energetici, Mario Agostinelli, e quello tecnico di Pierattilio Tronconi, che nel settore dell’industria elettromeccanica ha lavorato, indagandone da sindacalista i processi produttivi e di trasformazione.
Le Ferrovie italiane come specchio della situazione e della storia del nostro Paese. Casi paradossali che sfiorano il ridicolo come la guerra tra aziende di pulizia, carri merci scomparsi (rivenduti a pezzi al mercato nero), percorsi cambiati per interesse elettorale, lenzuola sporche fatte passare per pulite, gare truccate, dirigenti che intrattengono rapporti incestuosi con i fornitori, treni in ritardo fatti passare per treni in orario, locomotive rotte che continuano a rompersi, legionellosi ignorata anche dopo la morte di un ferroviere, porte di vagoni che volano via, treni vecchi fatti passare per nuovi (Frecciarossa). Tutto provato. E regali, favori, ma anche minacce, licenziamenti e vendette per la minoranza che osa opporsi. Claudio Gatti è riuscito a trovare testimonianze, rapporti riservati e email di dirigenti ed ex dirigenti, consulenti, fornitori: parole che rivelano un quadro allarmante frutto di disorganizzazione, sbagli, truffe, ruberie ripetute per anni e che continuano nonostante le denunce della Corte dei Conti.
È la diseguaglianza la madre di tutti i malesseri sociali. Nella società c’è più violenza, più ignoranza, maggiore disagio psichico, orari di lavoro infiniti? Ci sono più malati, più detenuti, più tossicodipendenti, più ragazze-madri, più obesi? All’origine di questo alto tasso di infelicità ci sarà con ogni probabilità un maggior divario tra ricchi e poveri, una maggiore diseguaglianza. Non è l’ennesima proposta di un astratto ideale egualitario di matrice socialista. Piuttosto, è il risultato di trent’anni di ricerche e comparazioni statistiche tra i dati raccolti in tutti i principali Paesi sviluppati. La prospettiva aperta dal libro è chiara: se si vuole avviare un nuovo ciclo di crescita che ponga al centro la qualità della vita e non solo il Pil, occorre intervenire immediatamente per ridurre la forbice sociale cresciuta a dismisura tra anni Ottanta e Novanta.
A gennaio è uscito in tutte le librerie il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio “Le perfezioni provvisorie”. La quarta avventura dell’avvocato Guido Guerrieri riguarda un’inchiesta che sarebbe “destinata” all’archiviazione. Manuela, studentessa universitaria a Roma, è scomparsa in una stazione ferroviaria, dopo un fine settimana trascorso con gli amici. L’avvocato non sa se accettare, ma alla fine cede alla curiosità sotto le pressioni di un collega. Studia le carte, incontra le persone coinvolte nell’inchiesta, tra cui Caterina la migliore amica di Manuela, ragazza molto bella e sfrontata. Con l’indagine conosce l’inquietante Nadia (personaggio presentato ai lettori nel libro “Ad occhi chiusi”) di cui diventa amico. C’è una colonna sonora intensa, particolare, che Guerrieri, insieme al sacco della boxe, non fa mai mancare ai suoi lettori. La Sellerio ha previsto una prima tiratura di 350 mila copie e, visto il digiuno di quasi tre anni, c’è da scommettere che andranno esaurite in breve tempo.
Cecilia da sedici anni vive all’Ospitale della pietà di Venezia, un orfanotrofio in cui è stata abbandonata ancora in fasce. La musica e la scrittura sono il suo passaporto per la salvezza in Terra. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro una grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si alza di nascosto per scrivere alla madre che l’ha abbandonata. La musica per lei è un’abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Un giorno, però, le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre più incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Si chiama Antonio Vivaldi. Grazie al rapporto conflittuale con la sua musica, Cecilia troverà una sua strada nella vita, compiendo un gesto inaspettato di autonomia e insubordinazione.
CLAUDIO GATTI FUORI ORARIO
Feltrinelli, 2010
GIANRICO CAROFIGLIO LE PERFEZIONI PROVVISORIE
Einaudi, 2009
Slow Food Editore, 2009 PIERATTILIO TRONCONI E MARIO AGOSTINELLI L’ENERGIA FELICE - DALLA POLITICA ALLA BIOSFERA
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SE AVETE LIBRI, EVENTI, PROGETTI DA SEGNALARE, SCRIVETE A MANCINO@VALORI.IT
UNA VIA D’USCITA DALLA CRISI AL PASSO DI UN LOMBRICO
DAVID TASH SLOW MONEY
narrativa
Chairelettere, 2009
KATE PICKETT, RICHARD WILKINSON LA MISURA DELL’ANIMA
LA STORIA CHE PASSA DAL FAST FOOD IL RITORNO DELL’INVESTIGATORE “ALLIGATORE” E DEL SUO PASSATO L’investigatore Marco Buratti, detto l’Alligatore, è ritornato. Con lui ci sono anche due vecchi amici: il contrabbandiere e rapinatore Beniamino Rossini e Max la Memoria. Tutto inizia con un ingente quantitativo di droga pesante che sparisce dall’istituto di medicina legale di Padova: quanto basta per scatenare gli appetiti della criminalità organizzata e la preoccupazione delle forze dell’ordine. L’Alligatore è “costretto” ad indagare e scoprire l’identità dei responsabili del furto. Sylvie, danzatrice del ventre franco-algerina conosciuta anni prima in un night del Nordest, sparisce. A quella donna tiene parecchio per motivi di cuore Beniamino Rossini. Così, i tre iniziano a cercare, ritrovandosi a loro volta braccati da un nemico misterioso che riporta alla luce un passato che qualcuno non ha dimenticato. Inizia un pericoloso gioco di ricatti che li porta lontano dalla soluzione e dal tempo, nella spasmodica ricerca di intercettare la prossima mossa dello sconosciuto. MASSIMO CARLOTTO L’AMORE DEL BANDITO
E/O, 2009
TIZIANO SCARPA STABAT MATER
Luigi Martinotti vorrebbe fare lo storico, ma lavora in un fast food e frigge patatine dalla mattina alla sera. Su un tavolo della biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l’incontro fra Attila e Papa Leone. Elabora anche una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile “insofferenza dell’insicurezza”, che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Martinotti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità si contamina dall’imprevedibilità dei rapporti umani, comprese l’intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e la tenerezza per il figlio di lei. Solo l’amico Giuseppe riesce a tenere accesa la sua vocazione. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla, e non resta che passare alla follia. Vera? Presunta? CESARE DE MARCHI LA VOCAZIONE
Feltrinelli, 2010
Sellerio, 2010 |
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fotografia
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LA STELLA: MURI CHE APRONO LA MENTE Anna La Stella inizia a fotografare nel 1972. Dai primi ritratti in bianco e nero il suo obiettivo punta gradualmente verso scorci del vivere urbano e, in particolare, sul paesaggio duro e irriverente delle periferie. I suoi soggetti preferiti diventano i muri: luoghi tanto esposti da non essere più visti. Reti di denunce e utopie che, nel loro essere di tutti e di nessuno, raccontano rivincite refrattarie all’omologazione. Scritte, graffiti, esplosioni di colori. Proclami di vitalità e rabbia che La Stella trasforma in un punto di partenza sul quale l’autrice incide personalissime pennellate virtuali: sovrapposizione di parole, ricordi, immagini, fino a raggiungere un effetto di lavori rarefatti e sospesi. I muri sono, dunque, l’ossessione di Anna La Stella, i protagonisti assoluti delle sue fotografie. Scandagliati, esplorati, penetrati, e sovrapposti l’uno sull’altro con una tecnologia sofisticatissima, filtrata dalla pazienza e dalla fantasia. Tanto che alla fine non sembrano più muri. Anna La Stella è un’artista eclettica capace di contaminare la propria arte con le esistenze che convivono il lei. FINO AL 15 MARZO COOPERATIVA SOCIALE ARIMO
IN VIAGGIO DOVE LA CORTINA DI FERRO SI VEDE ANCORA La cortina di ferro non c’è più, eppure è rimasto un paesaggio dove quelle divisioni sono ancora vive e forti. Il viaggio di Monteleone è fatto di sguardi, annotazioni, evidenze, letture e studi, conferme e scoperte. Soprattutto, è fatto di tappe; alcune decise in base a una strategia precisa, altre casuali, come spesso accade a chi viaggia. Ogni tappa è segnata da due scatti che guardano uno a Ovest e uno a Est, per scoprire come sono oggi i paesaggi “oltre” e “al di qua” della cortina, chi abita quelle terre, quale innovazione o involuzione sociale possa essere avvenuta nei luoghi un tempo sorvegliati e inaccessibili. L’itinerario si conclude a Berlino. In questa città l’autore ha cercato di raccogliere le atmosfere che potevano essere quelle di un tempo. Ha provato a rintracciare nei volti, nei paesaggi, nelle luci, nelle case, un’aria ipoteticamente scomparsa. Il libro raccoglie le pagine di un diario di un viaggio lungo il percorso, accidentato ed emblematico, della ex cortina di ferro; un viaggio nella memoria, in cui noi tutti possiamo ritrovarci, figli come siamo di un’Europa un tempo divisa, che ancora oggi stenta a ritrovare il senso e la forza di una vera unità. DAVIDE MONTELEONE LA LINEA INESISTENTE VIAGGIO LUNGO LA EX CORTINA DI FERRO
Contrasto, 2010
ANNO 10 N.76
I TESTIMONI DEL PASSATO URBANO DI NAPOLI
DIAMO A INTERNET IL NOBEL PER LA PACE?
DA WIKIPEDIA UN APPELLO PER CRESCERE
“Ombre di guerra” propone 84 grandi immagini di altrettanti famosi fotografi. Ognuna è una proposta per meditare sul senso della nostra tradizione visiva e sociale. Sul significato e la follia di una pratica insensata e dolorosa come è, appunto, la guerra. Questi grandi artisti hanno consegnato alla storia immagini uniche. Istanti che racchiudono il senso della vita e della morte in uno sguardo, in un gesto, in un’azione. Il soldato che stringe il fucile, traumatizzato dalle bombe in Vietnam, nello scatto di Don McCullin; la veglia funebre in Kosovo di Merillon; la bandiera americana piantata su Iwo Jima nella Seconda Guerra Mondiale; il miliziano ripreso da Robert Capa colpito a morte nella guerra civile spagnola, le fosse comuni della Bosnia nelle foto di Gilles Peress, la guerra nel Libano di Paolo Pellegrin. Sono solo icone del nostro tempo. Raccontano una dopo l’altra le guerre più recenti, dalla Spagna del 1936 al Libano del 2006: settanta anni di storia della iconografia del dolore.
Visitare le città di un tempo e riviverle con l’aiuto di un’ampia raccolta di immagini sparse, seppure sapientemente accostate, non può considerarsi solo un’operazione di segno documentaristico. Le voci discrete - a volte appena sussurrate - che arrivano a noi da queste scene, ed invitano a collegarci dopo un secolo con queste nostre città, sembra che vogliano chiedere urgentemente udienza. Affinché noi, i pronipoti che da poco abitiamo il III millennio, possiamo amorevolmente conservare lo sguardo. E, grazie a queste osservazioni, in un’alternarsi di memorie in "trasparenza", trasformarci in testimoni viventi di città che furono. Vedere Napoli nella sua complessità passata e riviverla grazie alle immagini è lo scopo di “Belli tiemp’ ‘e na’ vota “. L’occhio potrà così esplorare la città con il desiderio per conoscerne non solo le differenti architetture e i disegni urbanistici, ma anche il modo di essere di un popolo.
La rivoluzione di internet viene candidata al Nobel per la pace 2010. La proposta di “Internet 4 Peace”, lanciata da un manifesto sottoscritto dai principali attori internazionali del fenomeno, trova proprio nel web il suo elemento trainante. La rivista Wired, sostenitrice in Italia del progetto, presenta nelle sue edizioni cartacee e on line le storie dei dissidenti della rete, principalmente blogger la cui testimonianza quotidiana sopperisce ai vuoti di notizie della stampa. Come nei casi delle cronache di guerra, che la vede spesso costretta dalle forze militari a conoscere e quindi riportare solo parte della realtà. Tra i testimonial Shirin Ebadi (iraniana, premio Nobel per la pace 2003) e numerosi cronisti di cronache quotidiane che, veicolate attraverso blog e social network, informano il mondo in tempo reale su violenze e soprusi. Il dibattito è aperto e si estende alla natura del web e alle implicazioni filosofiche (semplice strumento o fattore di evoluzione umana?). Se la copertina del Time dedicata a You come nuovo protagonista del web aveva anticipato la candidatura di Obama alla presidenza Usa, un Nobel al web a cosa potrebbe portare?
Per sapere cosa sia Wikipedia d’istinto verrebbe da cercare la prima traccia in Rete proprio su… Wikipedia. L’enciclopedia “multilingue collaborativa, on line e gratuita” è stata fondata nel 2001 da Jimmy Wales e ha superato i trecento milioni di utenti mensili. Viene pubblicata online in 250 lingue diverse. Quinto sito web al mondo per popolarità, soffre attualmente un’emorragia di collaboratori volontari che potrebbe, secondo la Wikipedia Foundation che amministra il progetto, mettere a rischio la sopravvivenza del sito di “cultura veloce”. Di qui un appello personale del fondatore, diffuso in rete per salvaguardare il futuro di quello che viene ritenuto non enfaticamente un vero e proprio patrimonio dell’umanità nell’era digitale: uno strumento in costante evoluzione, aperto, gratuito e senza sponsor, frutto del lavoro di migliaia di volontari che conquistano una propria credibilità pagina dopo pagina, con facoltà di critica e richiesta di modifica da parte degli utenti.
www.internetforpeace.org /manifesto.cfm
www.wikipedia.it
AUTORI VARI OMBRE DI GUERRA
Contrasto, 2010
via Calatafimi 10, Milano | 68 | valori |
SCENE DI GUERRA ICONE MODERNE
FINO AL 28 FEBBRAIO COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN LORENZO MAGGIORE, NAPOLI
www.sanlorenzomaggiorenapoli.it |
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multimedia
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TRASHWARE IN RETE PER BINARIO ETICO IL SITO WEB CHE CONTROLLA COME LAVORANO DEPUTATI E SENATORI Open Parlamento è una iniziativa che vuole portare, tramite la rete, una maggiore informazione sulle attività e le azioni concrete dei parlamentari italiani. Per esempio un grafico con le presenze di ogni deputato e senatore o una rappresentazione schematica di come i diversi deputati votano le proposte di maggioranza e opposizione, utile per comprendere alcune dinamiche sottaciute della vita politica italiana. “Informati, monitora, intervieni”: sono le tre parole chiave del sito. Gli utenti possono selezionare i temi di loro interesse, per esempio “ambiente”, e quindi avere visibilità delle proposte in discussione, di quelle votate e sulla base di queste informazione attivare dei microblog aperti a tutti gli utenti del sito sulla base del claim “ti riguarda, ci riguarda”. Tra le notizie curiose, ma significative, di alcune modalità del fare politica, per esempio il record di un deputato del Pdl (onorevole Gabriella Carlucci) che, in un sola seduta è risultata firmataria di ben 241 disegni di legge.
parlamento.openpolis.it
Sotto il marchio del pinguino di Linux, che segnala la scelta del software libero, Binario Etico è un sito web che propone, accanto a un punto di vendita-riutilizzo a Roma, una riflessione “operativa” sul consumismo elettronico rispetto a realtà come il Digital Divide. «L’unico modo possibile per elaborare, rappresentare e diffondere informazioni che sostenga uguaglianza e partecipazione è la condivisione dei saperi e degli strumenti per produrli», scrivono gli ideatori dell’iniziativa. Che vuole promuovere, da un lato, l’utilizzo di software liberi e, dall’altro, sviluppare il tema del trashware, il riutilizzo di tecnologie apparentemente obsolete, ma in realtà in grado, soprattutto se equipaggiate con software dal basso impatto sulla memoria ram e sul processore, di proseguire la propria vita, magari con una funzione sociale. Spiegano infatti i responsabili di Binario Etico che «la continua rincorsa tra hardware e software, fomentata dalle grandi multinazionali dell’informatica, costringe all’acquisto di macchine sempre più potenti con le quali si svolgono praticamente le stesse funzioni di dieci anni fa». www.binarioetico.org
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INTEGRAZIONE E CIBO: LA RICETTA GIUSTA
UN RESPIRO DI SOLLIEVO AI PIEDI DELL’ETNA
L’AUTOSTOP (ETICO) CHE PARTE DAL WEB Rispetto dell’ambiente e valore sociale: in una parola – o quasi – car-pooling. È questo l’elemento iniziale che Marco Ciccolini, giovane imprenditore di Matelica (Macerata) col bernoccolo dell’informatica e la passione per internet, ha trasformato in un portale web per una mobilità più sostenibile e conviviale. Si chiama “Over the stop” ed è un sito internet nato la scorsa primavera come impresa della Rete di economia etica e solidale (Rees) delle Marche. Lo spirito etico-ecologista sta proprio nel fatto che sul sito si cercano e offrono passaggi, ci si incontra per ottimizzare i costi degli spostamenti e ridurre le emissioni di CO2, si contemperano le esigenze di spostamento a seconda dell’area geografica, degli eventi da seguire o degli interessi. Previsti anche il servizio di contabilizzazione di costi/performance ambientali dei viaggi e, tra qualche mese, due nuovi portali a tema: uno per gli appassionati di kitesurf e snowboard, l’altro legato all’organizzazione di eventi, mirando a collaborare anche con altre fiere dell’economia green e alternativa.
Cosa c’è di meglio della cucina? Tradizioni che si richiamano da una parte all’altra del Pianeta, colori, profumi, sapori e gesti che diventano linguaggio universale. Così si fa integrazione all’associazione Cucimondo onlus di Roma, dove le serate a tema dei corsi di cucina trasformano in un’occasione di incontro e comunicazione i piatti tipici di ogni parte del mondo, raccontati e spiegati da docenti non professionisti appartenenti alle diverse Comunità etniche presenti nella capitale. La formula – come ci spiega Maya Koshi, una delle responsabili dell’iniziativa – è semplice, accattivante e solidale: ci si può iscrivere alle serate di un anno di corso in due diverse sedi (il centro Il fiume, via dei Dalmati 37, e la sede di Ricerca e cooperazione, via Savona 13/A) o mettersi in lista d’attesa e sperare che qualche posto si liberi in corso d’opera (dopo Madagascar, Armenia e Uzbekistan, a febbraio e marzo bolliranno in pentola Nigeria, Congo, Israele e Giappone). Il ricavato è destinato a progetti di cooperazione internazionale (il 2009 ha già portato due bonifici da 3.000 e 2.600 euro al centro Mater Misericordiae di Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo).
LA LUMACA È IN VIAGGIO DA TRENT’ANNI: CHI VA PIANO… “Chi va piano, va sano e va lontano”, recita l’adagio. Così ha fatto la società cooperativa La lumaca di Modena, che festeggia nel 2009 i trent’anni di attività. Un record o quasi per un’impresa che nacque con nove soci nel 1979 e che da allora ha cambiato pelle molte volte. Dalla prima idea – allora quasi rivoluzionaria – di ristrutturare un vecchio immobile nell’Alto Appennino modenese per farne un rifugio dove praticare turismo a basso impatto ambientale, La lumaca è diventata oggi una cooperativa impegnata a tutto campo nei servizi di promozione e comunicazione della cosiddetta green economy e offre lavoro stabile a 22 soci e a 15 collaboratori, con un fatturato da 1,6 milioni di euro l’anno. Una realtà impegnata soprattutto in Emilia Romagna, bassa Lombardia e Liguria, dove propone campagne di educazione ambientale rivolte a bambini e ragazzi o vacanze a carattere naturalistico da svolgersi in centri estivi e agriturismo, anche in collaborazione con le scuole pubbliche. Servizi di comunicazione e green marketing, insomma, con l’obiettivo di diffondere cultura ambientale e stili di vita coerenti, stimolando le buone pratiche. Professionisti e volontari de La lumaca di recente sono stati premiati a Ecomondo per la campagna “Mister Tred”, attuata insieme alla Provincia di Modena, che ha coniugato l’aspetto educativo e la pratica concreta di riciclo dei rifiuti tecnologici, coinvolgendo i ragazzi nella raccolta, smaltimento e recupero di varie tonnellate di materiale elettronico.
«Si è sentita l’esigenza di avere un posto che potesse sia dare respiro alle famiglie di persone diversamente abili, offrendo loro un servizio di aiuto diretto, ma anche ai giovani portatori di handicap, che spesso restano inattivi dopo la conclusione del percorso scolastico». Così riassume il significato del progetto Respiro la responsabile, dottoressa Maria Teresa di Guardia. A dare concretezza operativa all’esigenza iniziale è però una struttura fisica, il Centro di aggregazione Arcobaleno, che viene gestita per i primi due anni dal consorzio di imprese sociali catanese Il Sol.Co. Un luogo di assistenza ed espressione creativa per il Distretto 12 della provincia di Catania, ovvero i tre comuni di Adrano (oltre 40 mila residenti), capofila organizzativo alle pendici dell’Etna e sede della struttura, Santa Maria di Licodia e Francavilla. Un servizio che mancava, se è vero che dalla previsione iniziale di 15 utenti con handicap, tra adulti e minori, si è passati a un raddoppio dell’accoglienza. Ma soprattutto un luogo di integrazione dove si svolgono laboratori teatrali e artistici, e attività motorie adattate secondo le diverse disabilità.
www.associazionecucimondo.org
infoambiente@lalumaca.org - www.lalumaca.org
www.solcoct.coop
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www.overthestop.it
ANNO 10 N.76
FEBBRAIO 2010
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VALORI SOLAR ENERGY INDEX NOME TITOLO
ATTIVITÀ
PAESE
CORSO DELL’AZIONE 31.12.2009
RENDIMENTO DAL 31.12.08 AL 31.12.2009
Conergy Centrotherm Photovoltaics Evergreen Solar First Solar GT Solar Manz Automation Meyer Burger Phoenix Solar PV Crystalox Solar Q-Cells Renewable Energy Corporation Roth & Rau SMA Solar Technologies Solar Millennium Solaria Solarworld Solon Sunpower Suntech Power Sunways
Sistemi fotovoltaici Linee produttive per pannelli solari Celle e moduli fotovoltaici Moduli fotovoltaici (film sottile) Linee produttive per pannelli solari Linee produttive per pannelli solari Seghe speciali per lavorazione pannelli Costruzione di centrali solari Silicio policristrallino Celle fotovoltaiche Silicio, celle, moduli fotovoltaici Linee produttive per pannelli solari Inverter solari Solare termico Moduli fotovoltaici Celle e moduli fotovoltaici Moduli e sistemi fotovoltaici Celle e moduli fotovoltaici Celle e moduli fotovoltaici Celle e inverter solari
Germania Germania USA USA USA Germania Svizzera Germania Gran Bretagna Germania Norvegia Germania Germania Germania Spagna Germania Germania USA Cina Germania
0,66 € 42,20 € 1,51 $ 135,40 $ 5,56 $ 66,50 € 264,00 CHF 42,23 € 61,40 £ 11,40 € 44,75 KR 30,22 € 93,25 € 35,39 € 2,53 € 15,33 € 7,17 € 20,95 $ 16,63 $ 4,84 €
-34,00% +111,00% -53,89% -4,41% +87,40% +59,28% +121,99% +68,05% -33,65% -54,94% -18,66% +102,82% +148,67% +193,69% +32,46% +1,52% -50,03% -32,96% +38,45% +64,63%
+37,37% € = euro, $ = dollari Usa, £= sterline inglesi, CHF = franchi svizzeri, NOK = corone norvegesi. Fonte dei dati: Thomson Reuters/Financial Times Nota: la rubrica “indice etico” ha natura puramente informativa e non rappresenta in alcun modo una sollecitazione all’investimento in strumenti finanziari. L’utilizzo dei dati e delle informazioni come supporto di scelte di investimento personale è a completo rischio dell’utente.
Il sorpasso del solare di Carlo e Mauro Meggiolaro
V
UN’IMPRESA AL MESE
INCE IL SOLE. Nel 2009 l'indice solare di Valori ha battuto di se37,37% Valori Solar Energy Index dici punti il Dow Jones Eurostoxx 50, che misura l'andamento medio delle cinquanta maggiori imprese europee. Do21% Eurostoxx 50 po un inizio anno difficile e sempre in affanno rispetto alla media dei mercati, le imprese del solare hanno ripreso la Rendimento dal 31.12.2008 - 31.12.2009 corsa. Valori Solar Energy ha chiuso con un +37,37%, contro il 21% dell'Eurostoxx. Il meSMA Solar Technology www.sma.de Sede Kassel / Niestetal, Germania rito è soprattutto delle imprese tedesche: CenBorsa FSE - Frankfurter Stock Exchange trotherm, Roth & Rau, Sma e Solar MillenAttività Fondata nel 1981, è oggi il maggior produttore al mondo di inverter per moduli solari fotovoltaici. nium hanno reso tutte più del 100% in un Gli inverter sono complessi dispositivi elettronici che convertono la corrente continua, prodotta dai anno. Ma è ancora presto per cantare vittoria. pannelli, in corrente alternata, generando informazioni relative a forma d’onda, frequenza e fase. I titoli delle imprese che producono pannelli Gli inverter fanno sì che l’energia del sole possa essere utilizzata nelle abitazioni e nelle industrie. fotovoltaici, inverter o moduli, sono estremaRendimento 31.12.08 – 31.12.09 +148,67 % mente volatili e dipendono ancora troppo dagli incentivi statali. A metà gennaio il governo Ricavi [Milioni di euro] Utile [Milioni di euro] Numero dipendenti 2007 tedesco ha annunciato che taglierà i contribu2008 2.513 1.600 ti al settore del 16% a partire da aprile. Un ta681,6 glio che ci si attendeva per la seconda metà del 327,3 2010, con dimensioni più ridotte. Dopo l'an119,5 nuncio, Solar Millennium ha perso il 18% in 36,8 una sola giornata di contrattazioni.
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Inversione di rotta
Stop alla crescita infinita di Massimiliano Pontillo
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L CAPITALISMO INDUSTRIALE TRADIZIONALE HA MOSTRATO TUTTE LE SUE LACUNE.
La crescita illimitata delle produzioni, l’espansione intercontinentale di beni e servizi, il dominio assoluto del denaro come prioritario e privilegiato mezzo di scambio e accesso al consumo, di misura della ricchezza e indicatore di benessere ha scatenato una crisi “glocale”: ambientale, civile, sociale e di sistema. È necessario un repentino cambio di rotta se vogliamo continuare ad essere ospiti di questo Pianeta, l’unico che abbiamo. La Green economy, la cosiddetta “economia verde”, sarà un’operazione lungimirante solo se riuscirà a capovolgere il paradigma della crescita infinita. E per giungere a questo obiettivo è fondamentale un’azione sinergica e integrata di tutti gli attori della società civile: i governi, le imprese, i cittadini. Il problema vero, dunque, è produrre meno in senso assoluto. Non basta razionalizzare i consumi: per uscire dalla crisi serve un cambio di mentalità, una nuova economia opposta a quella dell’accumulazione e del possesso. Questa rivoluzione, in realtà, è in movimento e la possiamo vedere e riconoscere già in alcune sue forme ed espressioni che si stanno via via moltiplicando e radicalizzando. I Gruppi di acquisto solidale, che spezzano l’intermediazione parassitaria della grande distribuzione; i pannelli solari che vengono istallati rovesciano la piramide del modello energetico centralizzato; le banche del tempo, che socializzano i bisogni e creano solidarietà Per uscire dalla crisi serve autogestita; le monete complementari locali un cambio di mentalità che abbia di sconto, che eliminano il denaro come mezzo come obiettivo la diminuzione di arricchimento; le istallazioni informatiche della produzione. E che punti su una “economia della natura” nella open source, che rinnegano la proprietà privata dell’intelletto; la filiera corta, gli orti urbani, quale prevalga il bene comune i mercati contadini, che restituiscono la sovranità alimentare agli abitanti; le piste ciclabili e i sistemi di mobilità condivisi, la mutualità, le iniziative culturali multietniche e molto altro ancora. La ricongiunzione tra economia e natura può avvenire solo riconoscendo le giuste gerarchie e priorità. Ricorda in un suo libro recente Paul Hawken: “Il vecchio capitalismo trascura di assegnare un valore economico ai maggiori cespiti di capitale che utilizza, e cioè le risorse naturali e i sistemi viventi. Ma tale lacuna non può essere colmata semplicemente assegnando un valore monetario al capitale naturale, innanzitutto perché molti dei servizi resi dai sistemi viventi non hanno sostituti, a nessun prezzo; in secondo luogo, valutare il capitale naturale è un esercizio a dir poco arduo e impreciso”. Far entrare con prepotenza “l’economia della natura” dentro “l’economia dei soldi” potrebbe essere un’operazione non solo arbitraria, ma soprattutto inefficace. Sarebbe più razionale rovesciare il concetto: prendere atto che l’economia è un sottosistema dipendente dalla sfera biologica, alle cui leggi siamo semplicemente obbligati a sottostare. E anche per questo è imprescindibile un “rinascimento” della cultura: fondata su valori etici, alla base di una società più giusta in cui prevalga il bene comune.
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