Mensile Valori n.82 2010

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Anno 10 numero 82. Settembre 2010. € 4,00

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

FRANCESCO CARCANO

Fotoreportage > La polveriera Atene

Dossier > Vent’anni di super-profitti per banche e industria. La crisi li tocca appena

Capitali vincenti

Finanza > 2010: l’anno d’oro degli azionisti attivi. Oltre 1000 imprese all’angolo Economia solidale > Un altro passo oltre il Pil. Anche il Cnel lo mette in dubbio Internazionale > Africa e non solo. Economia invisibile: condanna o necessità Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.


| editoriale |

Dopo un ventennio di stravizi

Rivoluzione culturale di Andrea Di Stefano

U

N FIUME DI DENARO.

PROFITTI “A MANETTA”, dividendi distribuiti a piene mani (in alcuni casi addirittura ricorrendo all’indebitamento per soddisfare la famelica voracità di alcuni azionisti, in prima fila se private equity). Il quadro degli ultimi dieci anni è a dir poco impressionante: le principali multinazionali della Triade (Usa, Europa, Giappone) hanno realizzato migliaia di miliardi di profitti netti. Il solo settore dell’energia, responsabile della devastante speculazione del luglio 2007 che ha contribuito a gettare nella povertà un miliardo di persone, ha registrato utili per 1.300 miliardi di dollari, distribuendo quasi 600 miliardi di dividendi. E si tratta solo di alcune gocce nel mare di profitti che le aziende hanno realizzato durante gli ultimi decenni in un processo che è stato chiamato di delocalizzazione e che in realtà sarebbe più opportuno definire globalizzazione fordista. Già a metà degli anni Ottanta sociologi ed economisti avevano ben delineato il processo di divisione del lavoro messo in atto dalle multinazionali: utilizzare l’innovazione tecnologica per trasferire la produzione di merci nei Paesi dove il costo del lavoro era più basso con l’obiettivo di incrementare i profitti. Un processo perfettamente riuscito che ha visto poi l’entrata in campo dell’industria finanziaria, che ha strategicamente integrato la progressiva riduzione del reddito nei Paesi più ricchi con il ricorso all’indebitamento da parte delle famiglie. Con lo scoppio della crisi finanziaria sono venuti al pettine alcuni nodi di un sistema economico profondamente insostenibile ed è esplosa la disoccupazione, soprattutto nei Paesi marginali dell’Unione Europea (Grecia, Italia e Spagna) e nelle fasce meno protette (giovani e non qualificati). Le risposte in campo sono destinate a rendere ancora più insostenibile il sistema in una clamorosa assenza di politiche pubbliche che possano ridistribuire una parte di quell’incredibile ricchezza accumulata negli ultimi decenni. Per ora una ricetta economica sembra avanzare dai cosiddetti Paesi in via di sviluppo: aumenti salariali in moneta locale anche molto consistenti, che possano favorire il consumo interno. È quanto sta accadendo in Cina e in India, dove le distratte cronache estive registrano scioperi con relativi incrementi delle retribuzioni tra il 20 e il 50%. Siamo in attesa delle risposte che possono arrivare anche nei Paesi più sviluppati, prima tra tutte la tassazione delle rendite e delle transazioni finanziarie, in attesa di una riforma della fiscalità che colpisca il consumo delle merci, soprattutto se ad alto contenuto di energia ed elevato impatto ambientale. Carbon tax, incremento dei prezzi dei carburanti e dell’energia, forti incentivi per il risparmio energetico e l’auto-produzione mediante le fonti rinnovabili, piani per la mobilità sostenibile basati sull’auto elettrica e il trasporto pubblico. Ma anche rivoluzioni produttive, come quella che è destinata a cambiare il volto dell’agricoltura e delle nostre scelte di acquirenti. Non basta dire “la crisi non la vogliamo pagare noi!” Così come non è sufficiente appellarsi al consumo critico e responsabile, al commercio equo e solidale: vanno sperimentati nuovi modelli economici coinvolgendo decisori pubblici, che sono in grado di imprimere cambiamenti all’insegna della partecipazione e del coinvolgimento dei cittadini ribaltando l’imbarbarimento sociale e culturale.

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ANNO 10 N.82

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| sommario |

valori settembre 2010 mensile

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Lungomare di Ierapetra, costa meridionale isola di Creta. Una roulotte abbandonata da turisti del nord Europa lungo la costa è diventata luogo di bivacco notturno per lavoratori stagionali. Lungo la costa meridionale si affollano le serre dove vengono coltivate banane destinate al mercato nazionale.

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La borsa non è un

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Via Copernico, 1 - 20125 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Jason Nardi progetto grafico e impaginazione

Francesco Camagna, Simona Corvaia (info@mokadesign.org) fotografie

Francesco Carcano stampa

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Fondi etici: l’investimento responsabile

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I carta

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Il Forest Stewardship Council (Fsc) garantisce tra l’altro che legno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.

FRANCESCO CARCANO

anno 10 numero 82 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005

Grecia, 2010

globalvision

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fotoreportage. La polveriera Atene

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dossier. Capitali vincenti

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La crisi: una pagliuzza in una crescita lunga vent’anni Auto in panne. AAA cercasi una guida Aiuti all’automotive a rischio boomerang Banche: una corsa sfrenata sulle ali della speculazione Palla avvelenata: scaricare costi e rischi sui clienti Cacciamani: “Gli aiuti alla finanza non aiutano le imprese” Gallino: “Sempre più disparità, causa/effetto della crisi”

finanzaetica 2010: l’anno d’oro degli azionisti attivi Dagli Usa alla Cina: il Pianeta all’esame della crisi G20 a Toronto: andata e ritorno con le stesse idee Il microcredito vola in Italia. E oggi ha un posto nella legge Terre des Liens: investire nella terra Sjord Wartena: «Strumenti per una società più equa»

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Un altro passo oltre il Pil: anche il Cnel lo mette in discussione Giornate di Bertinoro. Zamagni: «È il momento giusto per la nostra utopia» Impresa sociale: tutti la vogliono, in Italia e in Europa Servizi pubblici: se sei virtuoso ti tirano le pietre

internazionale Africa. Economia invisibile: condanna o necessità Illegale, sommerso e non solo. Dai Paesi poveri all’Europa Luca Jahier: «Economia sociale per il decent work» Al Milano Film Festival: Ngo World Videos. Obiettivo sulla cooperazione

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Tre anni dopo

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Anno 10 numero 82. Settembre 2010. € 4,00

L’onda lunga della crisi

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Fotoreportage > La polveriera Atene

FRANCESCO CARCANO

di Alberto Berrini

Dossier > Vent’anni di super-profitti per banche e industria. La crisi li tocca appena

Capitali vincenti

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A COSIDDETTA “CRISI SUBPRIME” - O ALMENO COSÌ SI CHIAMAVA ALL’INIZIO, prima che si tramutasse in recessione

globale - ha compiuto tre anni (agosto 2007 – agosto 2010). Ma i suoi effetti sono ben lungi dall’essere esauriti. Al contrario, l’onda lunga della crisi continua, al punto che gli ultimi dati descrivono un’economia globale in rallentamento rispetto alle stime di crescita di inizio anno. Non solo, il double dip, ossia una ricaduta recessiva nell’autunno 2010, non è certo scontata, ma neppure da escludere. Un simile quadro generale della situazione congiunturale richiede però una precisazione. In questa crisi siamo entrati tutti insieme (l’economia globale si è infatti improvvisamente fermata nell’autunno 2008, all’indomani del fallimento di Lehman Brothers), ma oggi ne stiamo (forse) uscendo in modo assai diverso, come diverso è il mondo che questa crisi ci lascia in eredità. Per la maggior parte dei Paesi emergenti non è stata che una breve parentesi di un trend sostanzialmente ininterrotto di sviluppo. In particolare ciò vale per la Cina che, anche per gli interventi statali contro la crisi, può essere considerato il più keynesiano dei Paesi capitalistici che compongono l’economia globale. L’Europa sta uscendo a fatica dalla crisi, anche a causa dei debiti pubblici pregressi, che appesantiscono, ovviamente in maniera diversa da Paese a Paese, il cammino della risalita economica. La ripresa statunitense, invece, non c’è. I numeri positivi delle statistiche economiche derivano solo dalla ricostituzione delle scorte e dai consumi, trascinati da incentivi statali ormai in scadenza. Ma soprattutto le esportazioni americane - ed è questo il segnale Il rischio è quello più evidente della debolezza dell’economia americana - non hanno di assistere a uno scontro beneficiato del calo del dollaro. per contendersi quote È dunque la fine di un’economia mondiale “omogenea” incentrata di domanda globale. Un gioco sull’economia Usa come “consumatore di ultima istanza” e, come tale, che potrebbe concludersi garante della crescita “per tutti”, ma, proprio per questo, un’economia con una deflazione mondiale trainata dal debito, la cui gestione è stata improvvidamente delegata a Wall Street. È certo un’economia ancora globale, ma composta da aree diverse, anche se tra loro ben collegate, la cui specificità emerge proprio nel modo in cui la crisi ha impattato. Tornando allo scenario congiunturale è evidente che la ripresa è trainata dai Paesi esportatori (Cina e Germania in testa), ma è altrettanto evidente che gli Stati che alimentano la domanda (Stati Uniti in testa), a causa della crisi non sono più in grado (come si ricordava appena sopra) di svolgere questo ruolo. Il rischio è quello di assistere a uno scontro per contendersi quote di domanda globale, strutturalmente deficitaria (il mercato mondiale dell’auto è un po’ l’emblema di tale situazione). In definitiva si tratta di un gioco a somma zero, che potrebbe concludersi con una deflazione globale. A questo punto servirebbe una politica economica coordinata a livello internazionale. Al contrario siamo di fronte a un’economia mondiale ancora debole e soprattutto senza guida. In questo senso le aspettative positive del G20 di Londra (aprile 2009) sono state ampiamente disattese. Da allora, e fino al G20 di Toronto (giugno 2010), la politica economica internazionale non ha sostanzialmente concordato né fatto nulla se non ancora una volta “pompare” liquidità per sostenere “i soliti” deregolamentati mercati finanziari “febbricitanti” e a rischio ricaduta. Ma il progetto non c’è. L’idea di un’economia globale diversa da quella attuale, più equa e meno instabile, oltre che ecologicamente sostenibile dovrà ancora attendere. Forse fino alla prossima crisi.

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> La polveriera Atene foto di Francesco Carcano

Immagini da una calda estate greca. Sotto il sole a picco, accanto alle spiagge affollate di turisti, ci sono città dove le attività economiche chiudono travolte dalla crisi, camionisti in sciopero contro i tagli del governo, ondate di immigrati clandestini. “Una polveriera”, la definisce un taxista. “Basta una scintilla perché tutto esploda”.

E

manuel il taxista corre veloce nella notte di Atene. Parla italiano con termini raffinati e offre una lettura degli eventi storici attenta al valore politico e a quello misterico. Ha imparato la lingua recandosi due o tre volte l’anno in Italia per seguire il trasporto di alcuni componenti plastici per conto di una ditta di Atene. Ha il volto profilato da una barba ispida e rada, gli occhi affossati in grandi occhiaie scure e guida con mano sicura mentre accompagna il discorso con ampi gesti. Da poche settimane fa il taxista ad Atene. Ha acquistato a carissimo prezzo una licenza di driver lasciando i campi e uliveti di famiglia al sole di Creta, nelle campagne vicino alla città di Chania. Il suo desiderio è poter partire per sempre, magari per gli Stati Uniti. Per lui Atene, oggi «è una polveriera e basta una scintilla perché tutto esploda da un momento all’altro». Il taxi attraversa veloce la miseria delle strade che scendono verso il porto del Pireo, evitando il chiasso dei turisti che affollano senza discrezione i locali della Plaka, passa nella notte attraverso le strade dello spaccio di droga a cielo aperto dove vecchie costruzioni civili sono diventate fortini di un esercito di senza nome che si trascina, a volte senza abiti e scarpe, su strade con scarichi d’acqua a cielo aperto in cui pusher e clienti di ragazze di ogni etnia seguono gli antichi perpetui codici della disperazione. «Andate via da Atene, se avete visto i musei e l’Acropoli, adesso andate via», dice serio. E snocciola dati frutto della conoscenza diretta e del riscontro trovato in inchieste di reporter internazionali: la chiusura di un’attività economica su cinque nell’ultimo anno si unisce a un imponente flusso di nuovi clandestini di cui il governo minimizza esistenza e portata politica. Le stime ufficiose parlano di circa un milione di immigrati clandestini, le organizzazioni umanitarie raddoppiano la cifra. Il governo ha varato un pacchetto di provvedimenti in stile “area Schengen”, che prevede la costruzione di nuovi centri di detenzione temporanea e respingimenti alla frontiera, anche in accordo con polizie di Paesi confinanti, tra cui l’Italia, con cui è alla firma un accordo bilaterale. Nelle strade di Atene intanto si profila una guerra tra poveri, nella disperazione del Pireo o di piazza Omonia, dove sparuti hotel per turisti propongono terrazza con piscina e boutique interne per scoraggiare uscite serali, mentre cartelli alla reception promuovono un servizio di taxi a chiamata notturna per attraversare il quartiere verso luoghi più sicuri destinati ai turisti. I clandestini della nuova ondata migratoria provengono dal Pakistan, dal Kurdistan iracheno, dall’Afghanistan, dall’Africa e arrivano ad Atene con ogni mezzo di fortuna, dopo settimane o mesi di un accidentato e rischiosissimo percorso via terra o nave. Trovano ad attenderli una sottaciuta, ma disperata, miseria e il richiamo delle mafie in cerca di manovalanza per lo spaccio di droga e il contrabbando. Sul fronte dell’assistenza sociale, assente lo Stato, si muovono organizzazioni caritatevoli espressione del radicalismo islamico. Uno Stato dentro lo Stato che, in nome di uno scampolo di dignità, acquista consensi giorno dopo giorno. da Atene Francesco Carcano

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L’AUTORE Francesco Carcano, nato a Varese nel 1970, è giornalista e autoreproduttore di documentari televisivi di giornalismo investigativo e documentazione antropologica. Collabora con Valori dal 2005. Le immagini del reportage sono state realizzate per Valori nell’estate 2010 e sono parte del progetto “My LomoPhone Diary”, interamente realizzato con iPhone. Il progetto è visibile su: www.flickr.com/photos /carcanofrancesco

INFO Informazioni sulla situazione sociale ed economica in Grecia sono disponibili su numerosi blog e siti, tra cui: www.facebook.com /margherita.dean Sul sito del magazine Internazionale sono forniti aggiornamenti costanti sulla crisi: www.internazionale.it Ulteriori info sul blog di bellaciaogrecia .wordpress.com, curato da un gruppo di italiani animati da una lettura politica dichiaratamente schierata a sinistra e residenti da anni in Grecia.

Nella caotica situazione sociale greca è riemerso il mai debellato terrorismo politico. Socrate Giolias, giornalista inviso al potere per la sua attività investigativa, è la più recente vittima.

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> La polveriera Atene

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Per ottenere il prestito miliardario dei paesi comunitari la Grecia ha tagliato il proprio deficit del 37,9% cancellando con un provvedimento d’urgenza il 10% della spesa pubblica. La Comunità economica europea aveva suggerito un taglio massimo della spesa pubblica del 5,5%. Le ripercussioni sociali sono molto gravi ed hanno portato ad un rapido aggravarsi della situazione di migliaia di cittadini greci. In particolare, oltre alle fasce di popolazione che già rientravano nelle categorie di povertà, si è fortemente deteriorato il potere d’acquisto dei funzionari pubblici cui è stato tagliato il 20% del salario. L’aumento dell’età pensionabile e la riduzione della pensione mensile hanno contribuito ad una comune percezione di difficoltà che ha contribuito a determinare un calo del prodotto interno lordo dell’1,5% nei primi sei mesi dell’anno e le stime sindacali parlano di una chiusura prevedibile attorno a - 4% a fine anno. Nella sola Atene il 17% dei negozi ha chiuso le attività mentre l’indotto legato al turismo ha segnato negli ultimi due anni una flessione del 23%. Il potere d’acquisto nel 2010 sembra attestarsi sui valori medi registrati all’inizio degli anni Ottanta mentre il tasso di disoccupazione è in fortissima crescita.

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> La polveriera Atene

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Aspetti anomali di una crisi: mentre sulle coste greche meno frequentate da turisti approdano barconi di clandestini che cercano un ingresso in Europa e il paese si riconosce incapace a fronteggiare l’ondata migratoria e nel gestire con efficacia e umanità una ulteriore situazione di crisi, da parte europea giungono inviti al governo greco a tagliare stipendi e pensioni ma, indirettamente, anche a rispettare le commesse nel settore bellico verso i paesi dell’Unione, in particolare Francia e Germania. «La Francia sta spingendo per vendere 6 fregate, 15 elicotteri e 40 caccia top di gamma. La Germania sta pressando Atene al pagamento di un sommergibile elettrico Thissenkrup» scrive il supplemento ellenico dell’Herald Tribune. Il dibattito è aperto anche in Germania dopo un articolo di Der Spiegel dal titolo “Come la Germania ha peggiorato la crisi greca” a firma di Gustav A. Horn, direttore del Macroeconomia Policy Institute della Hans-Böckler Foundation.

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dossier a cura di Roberto Cuda, Roberto Romano, Leo Torricelli

Una pagliuzza in una crescita lunga vent’anni >18 Auto in panne. AAA cercasi una guida >20 Aiuti all’automotive a rischio boomerang >21 Una corsa sulle ali della speculazione >22 Le banche scaricano costi e rischi sui clienti >24 Gli aiuti alla finanza non aiutano le imprese >25 Sempre più disparità: causa/effetto della crisi >26

Gli effetti della schizofrenia politica ed economica seguita al maxiprestito europeo e ai conseguenti drastici tagli alla spesa sociale ricadono sulla popolazione. All’ospedale Dromokaitio di Atene risultano raddoppiati i ricoveri negli ultimi quattro mesi, in particolare nel reparto psichiatrico. I pazienti chiedono antidepressivi e cercano conforto per situazioni personali e familiari divenute improvvisamente ingestibili. In particolare ricorrono alle cure mediche e psichiatriche numerosi pensionati che sentono minacciato il loro già incerto tenore di vita e si sentono esclusi da ogni possibile ricorso al mercato del lavoro.

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Prima e dopo la crisi

Una corsa senza freni

Vent’anni di guadagni sfrenati per le multinazionali dell’industria. La crisi le ha scalfite appena. Per le banche invece bruciati 1,3 miliardi, ma i governi glieli hanno restituiti. E non è cambiato nulla

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La crisi: una pagliuzza in una crescita lunga vent’anni di Roberto Cuda

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entre la crisi comincia a mietere vittime tra i lavoratori e le piccole imprese, i grandi gruppi continuano a macinare profitti. Nulla a che vedere con

gli utili degli anni d’oro e qualcuno, soprattutto nel settore auto, ha archiviato perdite miliardarie. Ma, nel complesso, le maggiori multinazionali del mondo “ricco” hanno chiuso il 2009 con un saldo positivo, intaccando appena un trend di crescita lungo vent’anni. Un periodo nel quale gli utili dell’industria sono più che raddoppiati e i dividendi più che triplicati, portando nelle tasche degli azionisti oltre duemila miliardi di euro. I dati, rielaborati da Valori, provengono dall’Ufficio Studi & Ricerche di Mediobanca, che ha analizzato i conti delle prime 374 multinazionali a livello globale nei settori “industria”, “telecomunicazioni” e “utilities”. La nostra analisi si concentra su 253 imprese industriali di Europa, Nord America e Giappone e su 49 aziende di Tlc e Utilities a livello mondiale, che rappresentano l’85% degli investimenti e delle vendite del campione. Da esse dipendono circa 24 milioni di lavoratori e il fatturato copre il 12% del Pil mondiale. Nell’ultimo ventennio la sola industria ha raddoppiato vendite e attivi (beni investiti), assumendo un potere senza precedenti dalla rivoluzione industriale.

Le più grandi multinazionali del mondo nell’ultimo ventennio hanno visto raddoppiare gli utili e triplicare i dividendi. Primo della classe: il comparto energetico. Allo scoppio della crisi, nel 2008, gli azionisti hanno incassato l’8% in più dell’anno prima | 18 | valori |

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Primo posto all’energia A fare la parte del leone è il settore energetico, che in dieci anni ha visto tassi di crescita impressionanti, fino a triplicare il fatturato. Una performance dovuta essenzialmente al fabbisogno – in larghissima parte centrato sul petrolio – proveniente dai Paesi emergenti, in primis la Cina. I profitti del comparto, dal 1989 al 2008, hanno toccato 1.300 miliardi di euro, poco meno del Pil italiano, di cui 557 miliardi sotto forma di dividendi. Nel 2008 la redditività ha iniziato a declinare con i primi venti di crisi, gli utili sono scesi da 156 a 124 miliardi di euro (calo proseguito nel 2009: -39,3% in Europa e 28,7% nel Nord America), ma ciò non ha impedito di aumentare dell’8% i dividendi, a quota 48 miliardi. Nonostante questo, sei del-

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VOLUMI E REDDITIVITÀ DELLE IMPRESE MULTINAZIONALI NEL SETTORI INDUSTRIA NELLA TRIADE [EUROPA*, NORD AMERICA** E GIAPPONE], TELECOMUNICAZIONI E UTILITIES [MONDO] [IN MILIONI DI EURO] Industria1 Fatturato complessivo4 Petrolio, energia e industria estrattiva Meccanica - Auto - Altro2 Profitti netti (dopo le imposte) Dividendi Telecomunicazioni (mondo)3 Fatturato Profitti netti (dopo le imposte) Dividendi Fatturato complessivo Profitti complessivi Dividendi complessivi Industria1 Fatturato complessivo4 Petrolio, energia e industria estrattiva Meccanica - Auto - Altro2 Profitti netti (dopo le imposte) Dividendi Telecomunicazioni (mondo)3 Fatturato Profitti netti (dopo le imposte) Dividendi Utilities (mondo)3 Fatturato Profitti netti (dopo le imposte) Dividendi Fatturato totale Profitti totali Dividendi totali 1

2 3 *

1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

2.702.335 442.749

2.729.578 491.362

2.887.053 493.594

3.088.128 494.880

3.340.023 524.717

3.424.181 501.163

3.593.677 523.338

3.844.867 637.802

4.246.587 688.976

4.121.215 515.682

511.364 352.895 131.946 48.895

481.719 362.896 107.000 47.767

512.329 377.402 72.259 49.866

578.064 408.363 28.964 53.385

621.761 430.527 63.227 56.859

660.607 428.950 129.273 62.236

686.487 443.439 145.599 66.640

725.235 466.919 182.021 75.042

799.826 527.606 217.798 90.314

824.750 553.473 201.224 101.279

349.918 22.665 13.882 3.774.099 151.938 76.118

363.778 12.466 14.379 3.957.455 158.065 81.019

370.972 29.500 19.159 4.215.839 211.521 94.201

426.744 30.680 21.477 4.673.331 248.478 111.791

429.674 42.647 18.069 4.550.889 243.871 119.348

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

5.024.632 722.610

5.955.394 1.129.397

6.016.204 1.143.025

5.401.495 991.758

5.083.875 1.012.523

5.330.261 1.117.753

6.331.269 1.563.018

6.319.449 1.513.731

6.312.186 1.491.196

7.079.107 5.764.216 1.940.369 1.274.749 (2)

978.023 686.528 257.128 109.542

1.043.641 758.889 360.432 135.408

1.047.746 813.746 223.389 136.461

1.017.114 725.519 193.052 119.914

959.594 656.898 249.849 114.912

988.498 682.482 349.367 124.635

1.087.130 765.886 449.431 156.030

1.082.672 774.759 478.992 165.903

1.058.254 798.062 480.111 171.141

1.033.444 876.213 323.540 174.798

606.805 53.167 30.118

718.969 54.552 26.483

791.498 -49.681 24.021

730.739 -121.622 21.852

680.275 57.509 24.373

654.560 55.799 32.895

735.423 39.553 44.438

721.634 61.130 46.509

727.089 62.526 47.228

761.347 67.689 41.056

768.199 67.215

235.541 18.349 8.577 5.866.978 328.644 148.237

284.409 17.762 9.003 6.958.772 432.746 170.894

336.583 13.192 10.261 7.144.285 186.900 170.743

415.831 17.032 11.620 6.548.065 88.462 153.386

403.939 17.396 15.224 6.168.089 324.754 154.509

383.440 26.865 17.559 6.368.261 432.031 175.089

450.343 49.347 26.702 7.517.026 538.331 227.170

493.075 44.010 23.230 7.534.158 584.132 235.642

509.511 54.510 25.247 7.548.786 597.147 243.616

574.325 41.303 23.506 8.414.779 432.532 239.360

555.956 48.283

FONTE: ELABORAZIONI DI VALORI SU DATI R&S MEDIOBANCA INTERNATIONAL FINANCIAL AGGREGATES: 257 COMPANIES 2000

| dossier | capitali vincenti |

289.800

7.088.371 405.298

L’aggregato si riferisce ai seguenti settori: Petrolio, energia e industria estrattiva; Ferro, acciaio e metalli non ferrosi; Chimico e farmaceutico; Cavi e pneumatici; Meccanica (Auto, Aerospazio, Applicazioni domestiche; Altri prodotti e servizi di ingegneria); Elettronica; Costruzioni e ingegneria civile; Cemento, vetri e altri prodotti da costruzione; Carta, stampa e pubblicazioni; Alimentare; Tessile e vestiario; Altre industrie manifatturiere; Industrie di servizi. Le aree geografiche di riferimento sono Europa (Ue), Nord America e Giappone, per un totale di 237 imprese. Comprende: Aerospazio, Applicazioni domestiche; Altri prodotti e servizi di ingegneria meccanica. L’aggregato comprende le maggiori imprese di tutto il mondo, per un totale di 21 compagnie. 4 Questa voce comprende altre categorie industriali oltre ai settori energetico e meccanico indicate in questa tabella Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera. ** Usa e Canada.

le dieci imprese con i maggiori utili appartengono al settore. In testa Exxon, Bp, Petrobras e Petrochina, che insieme hanno superato i 46 miliardi di euro di profitti (2009), benché in drastica contrazione rispetto ai 70 miliardi dell’anno prima. Bp, che ha annunciato la vendita di beni per 30 miliardi di dollari dopo aver causato il più grande disastro ecologico della storia, alla fine del 2008 aveva in bilancio attivi per oltre 149 miliardi di euro e vendite per più di 259 miliardi, triplicate dal 1989. Segue a distanza l’italiana Eni, con un fatturato di 108 miliardi di euro e 106 miliardi di attivi.

Auto in panne Stazionario il settore auto, che, dopo la volata del decennio 19891998 (+61% le vendite), ha subito una brusca frenata in quello suc-

cessivo (+5%). Non è un caso che tra le dieci imprese con le maggiori perdite (2009) sei siano case automobilistiche o gruppi legati all’auto: Renault, Daimler, Continental, Volvo, Bosch e Peugeot. Fa storia a sé il caso Usa, che nel 2008 ha visto il crollo delle Big Three (Ford, General Motors e Chrysler), la nazionalizzazione di GM e l’accordo Fiat-Chrysler, nell’ambito di investimenti pubblici che hanno raggiunto, per le due aziende, la soglia degli 85 miliardi di dollari. Nel complesso le multinazionali hanno tagliato 545.244 posti di lavoro nell’ultimo anno, epilogo di una politica occupazionale che ha sfruttato i vantaggi della globalizzazione: dal 1999 i dipendenti in Europa e Nord America sono calati del 15,1% e del 14,9%, rispettivamente, a vantaggio dei Paesi a più basso costo del lavoro (+27,3% e +15,8% ).

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ANNO 10 N.82

|

SETTEMBRE 2010

| valori | 19 |


LE MULTINAZIONALI INDUSTRIALI CON I MAGGIORI UTILI NEL 2009

TUTTI I DIPENDENTI 30%

PAESE D’ORIGINE

-20 -30

-12,5

-0,8 12

NORD AMERICA

9,2

-10,8

EUROPA

-2,4

ITALIA

4,0 GERMANIA

-10

27,3

GRAN BRETAGNA

20,8 19,1

19,2

0

UTILE NETTO (MILIONI DI EURO)

63,1

20 10

ESTERO

Exxon Mobil (US) [energia] BP (GB) [energia] PETROBRAS (BR) [energia] PETROCHINA (CN)1 [energia]

15,8

PROCTER & GAMBLE (US) [chimica] IBM (US) [elettronica] MERCK & CO. (US) [farmaceutica] ROYAL DUTCH SHELL (GB) [energia] JOHNSON & JOHNSON (US) [farm.] TOTAL (FR) [energia]

-0,7 -14,9

-15,1

-24,5

2009

2008

VARIAZIONE % 2009 SU 2008

13.383 11.508 10.762 10.512 9.327 9.319 8.955 8.689 8.515 8.447

31.390 14.686 13.105 11.637 8.382 8.562 5.420 18.240 8.989 10.590

-57,4 -21,6 -17,9 -9,7 11,3 8,8 65,2 -52,4 -5,3 -20,2

1 Controllata dalla CNPC che fa capo allo Stato.

-29,7

FONTE: R&S MEDIOBANCA,INDAGINE SULLE MULTINAZIONALI (1999-2009) DISPONIBILE SU: WWW.MBRES.IT

MULTINAZIONALI INDUSTRIALI

FONTE: R&S MEDIOBANCA,INDAGINE SULLE MULTINAZIONALI (1999-2009) DISPONIBILE SU: WWW.MBRES.IT

| dossier | capitali vincenti |

VARIAZIONE % DEI DIPENDENTI E LORO RESIDENZA [ 1999-2008 ]

FRANCIA

FONTE: R&S MEDIOBANCA,INDAGINE SULLE MULTINAZIONALI (1999-2009) DISPONIBILE SU: WWW.MBRES.IT

| dossier | capitali vincenti |

Aiuti a rischio boomerang

DIMENSIONE MEDIA DELLE IMPRESE

TRIADE, ATTIVO MEDIO AL NETTO DEGLI INTANGIBLES [ 1999=100 ] PETROLIO, ENERGIA E ESTRAZIONE TRASPORTI MECCANICA

ELETTRONICA

CHIMICO-FARMACEUTICO

204,6

69,5

Una pioggia di incentivi talvolta controproducenti.

124,3 69,5 100 1999

87,2 2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

L

A GRAVE CRISI ECONOMICA e la caduta della domanda a livello generale hanno indotto i governi di tutto il mondo ad adottare una politica di aiuti al settore dell’auto (oltre che a quello creditizio) senza precedenti: in conto capitale, al condi Roberto Romano sumo e rivolti alla salvaguardia del mondo del lavoro. Ma che impatto hanno avuto? Hanno ridotto l’impatto della crisi sul settore, rallentandone la caduta tendenziale tra il 2008 e il 2009, ma, a livello macroeconomico, sono stati ininfluenti e, per alcuni versi, controproducenti.

2008

Auto in panne AAA cercasi una guida

Il comparto avrebbe un eccesso di capacità produttiva del 35%. Serve una ristrutturazione, la cui guida dovrebbe essere presa dalla Commissione europea.

C

HE IL SETTORE DELL’AUTO SIA IN CRISI NON È UNA NOVITÀ.

Lo è da almeno dieci anni. Gli aiuti, diretti e indiretti, piovuti sulle imprese automobilistiche sotto forma di incentivi ai consumi, accumulati tra il 1999 e il 2009, non sono bastati. Nell’ultimo decennio il setdi Roberto Romano tore dell’auto, e più in generale dell’automotive, ha subito una contrazione continua: il peso del comparto sull’intera produzione industriale si è ridimensionato moltissimo, con una velocità e un’intensità sorQUANTO COSTA L’AUTO NEGLI USA

FONTE: R&S MEDIOBANCA,INDAGINE SULLE MULTINAZIONALI (1999-2009) DISPONIBILE SU: WWW.MBRES.IT

GENERAL MOTORS E CHRYSLER hanno beneficiato di aiuti pubblici per 84,4 miliardi di dollari, di cui 10,1 miliardi già ripagati e 2,3 miliardi incassati dal governo sotto forma di dividendi e interessi. GM ha ricevuto prestiti per 49,5 miliardi, di cui 6,7 già restituiti e il resto trasformato in azioni privilegiate (2,1 miliardi) e in partecipazioni al capitale pari al 61%, nazionalizzando di fatto l’azienda. Dei 12,5 miliardi ricevuti da Chrysler sotto forma di prestiti, che hanno portato il 9,9% del capitale in mano pubblica, 7,1 sono già stati rimborsati. Altri 17,2% sono stati erogati alla Gmac, la finanziaria di GM, anch’essa nazionalizzata con il 56,3% del capitale, e 1,5 miliardi alla Chrysler Financial, già totalmente restituiti (Tarp, 21 luglio 2010).

MULTINAZIONALI: RISULTATO NETTO % DEL FATTURATO NORD AMERICA RUSSIA-ASIA

EUROPA GIAPPONE RESTO DEL MONDO

12,8

11,8

11,9

11,7 7,8

5,1

7,6 6,5

7,0 4,9 4,2

1,8

1999

7,4

6,8

11,2 8,8 7,9

12,3 9,0 7,3

4,2

3,7

2,8

3,8

3,1

4,0

| 20 | valori |

2001

7,2 5,8

7,8 4,3

4,1 0,0

2002

ANNO 10 N.82

10,4 8,5

5,8

-0,3 2000

10,9

10,6

4,2

1,9

0,5 0

8,2

8,0

11,8

2003

|

2004

SETTEMBRE 2010

2005

|

2006

2007

-1,6 2008

2009P

prendenti. Tra il 1999 e il 2008 in Europa c’è stato un calo del 28,98%, nel Nord America del 38%. In Giappone, invece, è aumentato del 7,09% (dati dall’Ufficio Studi & Ricerche di Mediobanca, 2010). Contemporaneamente è cresciuta la quota high tech del commercio internazionale nei beni manifatturieri, fino al 40%, con una tendenza a salire ancora, in particolare nelle nuove tecnologie per la cura, le energie rinnovabili e l’ambiente. Un ridimensionamento - del comparto automotive tutt’altro che occasionale, che riflette la tendenza dei settori maturi nell’era della conoscenza come fondamento della crescita economica. E che ha portato ad un cambiamento delle politiche delle imprese: da un lato, è emersa la necessità di produrre vetture di nuova generazione a basso consumo e a basso impatto ambientale per i mercati rigidi dei Paesi ricchi; dall’altro, di costruire auto a basso costo per i mercati a ridotto tasso di motorizzazione.

Ristrutturazione necessaria Queste due tendenze devono, però, fare i conti con una recessione economica e una compressione dei consumi dei beni durevoli senza precedenti. Lo scorso giugno John Fleming, presidente e amministratore delegato della divisione europea della Ford, ha lanciato un allarme: il settore auto avrebbe una capacità produttiva in eccesso del 35%. La ristrutturazione del settore, in termini di dimensione e di tipologia di prodotto, si rivela, quindi, ineluttabile e l’unica condizione per rimanere sul mercato. Ma, essendo l’auto un settore maturo e soggetto a domanda di sostituzione, il saldo finale dell’occupa-

Effetti collaterali

zione sarà obbligatoriamente negativo. Tra il 2000 e il 2007 in Europa sono andati persi quasi 100 mila posti di lavoro, una fase tutto sommato positiva se si considera che la crisi intervenuta tra il 2008 e 2009, con l’eccesso di capacità produttiva, imporrà una riduzione a livello europeo di quasi 600 mila lavoratori. Per l’Italia si stima una perdita prossima a 50 mila occupati (considerando solo la produzione diretta di auto).

Innanzitutto i consumatori si sono orientati su acquisti di automobili con prezzi unitari più bassi rispetto alla media degli anni precedenti, cioè i prodotti con “minore” margine di profitto. Inoltre si sono verificate due conseguenze che la teoria microeconomica “conosce” bene: un effetto spiazzamento rispetto ad altri prodotti (un sussidio produce degli indiscussi vantaggi per il settore interessato, ma riduce la domanda di altri beni e sevizi durevoli) e un anticipo della domanda dei prossimi anni del settore sussidiato, che, in ragione degli stessi sussidi, sarà nel lungo periodo molto più bassa. Cioè si consolida l’eccesso della capacità produttiva nel medio e lungo periodo. Inoltre, l’andamento del Pil non è stato in nessun modo influenzato. Un conto è finanziare un settore emergente con alti tassi di crescita e con mercati sostanzialmente “vergini” - si pensi alla green economy - un altro è aiutare un comparto maturo e declinante come quello dell’auto. Se analizziamo il tasso di variazione del Pil e delle immatricolazioni è evidente l’irrilevanza economica delle misure adottate (vedi GRAFICO sotto). Guardando il tasso di variazione del Pil, linea nera, e quello delle immatricolazioni, linea gri-

Ridisegnare il settore Forse è giunto il momento di coinvolgere la Commissione Europea per guidare il necessario processo di ristrutturazione del settore dell’automotive, in particolare quello dell’auto, dando un giusto peso alla green economy. Altrimenti l’unico equilibrio sarebbe determinato dal dumping fiscale e salariale. Sostanzialmente la ristrutturazione si realizzerebbe (come si sta realizzando), non sul principio della corretta allocazione delle risorse (scarse) e dei vantaggi comparati, ma solo sui costi fiscali. L’intervento della Commissione permetterebbe, inoltre, di uscire dalle logiche locali, statali e fiscali, consegnando il progetto auto alla politica industriale europea ed evitando di mettere in competizione le diverse società automobilistiche sulla base dei diritti dei lavoratori e delle remunerazioni. L’esperienza non è originale. Chi ha memoria ricorderà il forte e riuscito percorso di ristrutturazione del settore aerospaziale europeo tra il 1994 e l’inizio del 2001, tanto che oggi è un player internazionale e punta avanzata dell’industria high tech. Sostanzialmente l’intervento europeo ha permesso di guidare questo processo sulla base delle competenze, cioè ha rafforzato tutto il sistema industriale europeo nel suo insieme.

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L’IMPATTO DEGLI INCENTIVI ALLA ROTTAMAZIONE

VARIAZIONE % DELLA PRODUZIONE E REGISTRAZIONE DELLE AUTO IN EUROPA E DEL PIL EUROPEO IMMATRICOLAZIONI EU 6%

PRODUZIONE EU

PIL EU

4 2 0 -2 -4 -6 -8 -10 -12 2000

2001

2002

2003

2004

|

2005

ANNO 10 N.82

2006

|

2007

SETTEMBRE 2010

2008

2009

| valori | 21 |


| dossier | capitali vincenti |

| dossier | capitali vincenti |

Utili gli aiuti a un settore emergente, in crescita e con mercati vergini (green economy). Non a uno maturo gia, si evince come il sussidio verso settori maturi non ha determinato nessun vantaggio macroeconomico. Sostanzialmente la fine degli incentivi pone un problema di politica industriale. Infatti, l’eccesso di capacità produttiva e la compressione della domanda tendenziale del settore, a cagione dei sussidi del 2009, impone la predisposizione di una riforma della struttura produttiva, da settori maturi a settori emergenti che non può essere rinviata.

Di tutto e di più Le misure intraprese dai singoli Stati per fronteggiare la crisi del settore automotive non sono omogenee e l’intensità e il livello degli aiuti sono difficilmente individuabili. Ci sono quelli per investimenti, formazione, ricerca e sviluppo; fondi a favore delle società di finanziamento dell’auto; risorse per la formazione del personale; incentivi all’acquisto di auto non inquinanti e prestiti senza interessi e gli

aiuti fiscali, che solo indirettamente sostengono il settore. Basti pensare agli incentivi al consumo o alla rimodulazione del prelievo fiscale sulla base imponibile. Inoltre, occorre delimitare l’analisi agli aiuti alle imprese in senso stretto, scorporandoli da quelli diretti al lavoro che intervengono nelle fasi di crisi e, quindi, sono tesi alla conservazione del posto. In via generale gli incentivi alla rottamazione dell’auto in Italia, passati e presenti, sono a beneficio di tutte le case automobilistiche che vendono agli italiani. Favorite sono le società che hanno quote di mercato maggiori. In altri Paesi, invece, oltre agli incentivi al mercato, sono stati presi dei provvedimenti che si prefigurano come una non dichiarata misura d’aiuti alle imprese nazionali. La Francia ha stanziato 500 milioni di euro per la Ricerca e sviluppo del settore e la formazione; la Germania 15 miliardi per la crisi finanziaria a cui possono attingere anche le imprese manifatturiere in caso di mancanza di liquidità. Tra i provvedimenti più pesanti si menzionano le due aziende statunitensi General Motors e Chrysler e, di conseguenza, le due controllate europee di GM-Opel/Vauxhall e Saab - che sono state messe in vendita, mentre per Opel è stato richiesto un prestito statale per proseguire le attività.

In particolare la Commissione europea nel 2009 ha approvato aiuti per i prodotti verdi alla Francia, pari a 1 miliardo di euro; al Regno Unito con la riduzione dell’Iva dal 17,5% al 15%; alla Spagna con un fondo di 800 milioni; alla Germania con la concessione di un premio di 2.500 euro per comprare autovetture nuove; all’Italia con un premio di 2.000 euro per autovetture ecologiche per un ammontare di quasi 2 miliardi di euro. Inoltre, vari Stati membri, tra cui Francia, Regno Unito, Germania, Belgio (regione fiamminga) e Romania, hanno istituito regimi di garanzia e/o prestiti agevolati di cui può beneficiare il settore automobilistico (come altri settori). Per esempio, la Germania ha concesso a Opel un prestito agevolato di 1,5 miliardi di euro a seguito della procedura di fallimento della casa madre General Motors, mentre la Francia ha concesso a Renault e PSA prestiti agevolati per 3 miliardi di euro. Inoltre, a giugno la Commissione ha approvato una garanzia statale su un prestito Bei notificato dalla Svezia per Volvo Cars. Ma la Commissione europea comincia a condizionare gli aiuti di settore. Recentemente ha indicato di non ammettere gli aiuti di Stato se portano a condizioni protezionistiche, puntando più su aiuti legati alla formazione e ricerca.

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Banche:una corsa sfrenata sulle ali della speculazione

Negli ultimi 10 anni i primi 62 gruppi bancari hanno incassato 1.200 miliardi di utili e distribuito692 miliardi di dividendi. 54,7 miliardi nel 2008, nonostante la crisi.

1

306 MILIONI DI DOLLARI. A tanto ammontano le perdite e le svalutazioni notificate al settore bancario a livello globale dall’inizio della crisi. Ma c’è un’altra cifra da tenere a mente: 1 miliardo e 236 milioni di dollari. È la somma degli aumenti di capitale, in gran parte ad opera dei governi, di cui hanno beneficiato le stesse banche. La curiosa somiglianza tra le due cifre, messa in luce dalla Banca dei regolamenti internazionali in un rapporto dell’aprile scorso, fotografa bene la situazione di un settore ormai assistito dal denaro pubblico. D’altra parte il 2008

MILIARDO E

di Leo Torricelli

I GOVERNI APRONO I CORDONI DELLA BORSA PER ARGINARE LA CRISI DI LIQUIDITÀ nel dicembre 2008 la Commissione europea avviò il cosiddetto Temporary state aid frame work, un quadro temporaneo di regole che allentava i vincoli sugli aiuti di Stato, consentendo ai singoli governi di intervenire a sostegno delle imprese nazionali. Da allora non si contano gli interventi pubblici nello spazio europeo, quasi tutti a sostegno del mondo bancario, per evitare che la carenza di credito si trasferisse all’economia reale. Nel marzo di quest’anno la direzione generale sulla Concorrenza, guidata da Joaquin Almunia, ha inviato questionari a tutti i Paesi membri per verificare le misure messe in atto, mentre la legislazione temporanea dovrebbe esaurirsi entro l’anno. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha calcolato che da giugno 2007 a marzo 2009 sono stati annunciati 196 interventi da parte dei Paesi più sviluppati (Usa, Uk, Giappone ed Europa), in termini di misure di politica fiscale e monetaria, sostegno alla liquidità e garanzie bancarie. Nell’insieme hanno comportato esborsi pari al 28,9% del Pil negli Usa, al 52,1% nel Regno Unito e al 19,3% nell’Ue. Nel complesso lo stesso Fmi ha calcolato un impegno pubblico complessivo pari a 13.620 miliardi di dollari a livello globale, da cui sono esclusi gli interventi degli ultimi mesi a sostegno delle economie europee a rischio default. Nel complesso, le misure di sostegno pubblico nell’area euro hanno fatto crescere il debito statale dal 66% del Pil nel 2007 all’80% nel 2009 (dati Fmi, luglio 2010).

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è stato un anno nero per le grandi banche internazionali, che hanno incassato perdite per oltre 160 miliardi di euro. Un duro colpo per l’intero sistema, ma che, visto nell’arco di un decennio, fa decisamente meno impressione, anche senza contare la ripresa del 2009. I dati Mediobanca sui primi 62 gruppi bancari di Europa, Stati Uniti e Giappone danno la misura di quanto affermiamo. Dal 1999 al 2008 sono quasi raddoppiati gli attivi (investimenti), raggiungendo quota 41 mila miliardi di euro e superando il Pil mondiale, con un organico di 4,2 milioni di dipendenti. La dimensione media di ciascun gruppo è quasi triplicata, toccando i 655 miliardi di attivi. Nello stesso periodo le banche hanno incassato più di 1.200 miliardi di utili e distribuito dividendi per 692 miliardi. Anche nel 2008, incuranti delle perdite, gli azionisti hanno intascato 54,7 miliardi di euro.

La ricetta della speculazione È il risultato di una strategia che ha sfruttato a tutto tondo le leve della speculazione finanziaria, preparando il terreno alla crisi. I crediti verso la clientela sono passati dal 50,1% al 42% degli attivi in bilancio (benché in aumento in termini assoluti), liberando risorse per l’attività di trading. Specularmente sono cresciuti i titoli in portafoglio da 5.396 a 9.967 miliardi di euro nel 2006, passando dal

22,7% al 28,5% degli attivi. Così gli utili da negoziazione hanno toccato il picco nello stesso anno con 104 miliardi di euro, per poi crollare nei due anni successivi. Ma la differenza la fanno i guadagni sui contratti derivati, alla voce “altre attività”: nel decennio sono lievitati da 2.440 miliardi di euro (10,3% degli attivi) a 9.247 (22,5%). Si tratta solo della punta dell’iceberg, poiché il valore nominale di questi strumenti ha toccato livelli impressionanti: 19 volte l’attivo di bilancio delle banche statunitensi (+39% nel triennio 2006-2008), 14 volte rispetto a quelle europee (+27%) e 4 volte le giapponesi (-15%). I derivati sono contratti complessi e rischiosi, il cui rendimento è legato all’andamento di un titolo e di un indice sottostante (azioni, tassi di interesse, ecc), che possono produrre grossi guadagni, ma anche sonore perdite. Nel 2008 avevano un rischio di credito a carico delle banche (ossia una perdita potenziale) pari al 152% del capitale netto in Europa, al 53% negli Usa e al 93% in Giappone. Per capirci, l’azienda più a rischio in Europa è Deutsche Bank, con una perdita potenziale di 130 miliardi di euro, pari a 4 volte il suo capitale netto (vedi TABELLA pagina seguente).

Effetto leva e poche regole

ITALIA: MENO SOSTEGNO PUBBLICO, MA NESSUN PROGETTO PER L’AUTO DA MOLTI ANNI GLI AIUTI DI STATO sono messi sotto osservazione come pratica non “gradita” in Europa e l’Italia è stata considerata uno dei Paesi con maggiore intensità di sussidi alle imprese. Una visione che sembra ancora diffusa e presente in numerose analisi, al di là delle evidenze. Il peso delle politiche per il Mezzogiorno, da un lato, e la tendenza a sussidiare le imprese e a ostacolare il libero operare delle forze di mercato, dall’altro, sembravano essere le cause profonde del fenomeno. Stando alla documentazione disponibile, nel corso degli ultimi 12 anni l’Italia è passata da essere il maggiore erogatore di aiuti al minore. Se i sussidi europei in rapporto al Pil tra il 1996 e il 2008 sono diminuiti del 50,47%, da 1,05% a 0,53%, l’Italia è passata dall’1,20% a 0,33%, con una riduzione di oltre il 300%. Peccato che l’aumento o la contrazione degli aiuti di Stato sono intervenuti senza nessuna coerenza, se non quella di lasciare al mercato la soluzione dei problemi. Una buona rappresentazione della confusione delle politiche pubbliche di sostegno all’attività privata è legata alla sfida energetica e ambientale. Consideriamo l’eolico, un settore nel quale si registra una forte divergenza tra il tasso di crescita della produzione di energia e quello degli investimenti pubblici cumulati in ricerca e sviluppo (inferiori). Considerato l’ammontare relativamente limitato di investimenti in ricerca e sviluppo nel settore, è ipotizzabile che questo marcato aumento della produzione sia avvenuto principalmente grazie all’importazione di tecnologie dall’estero, segnalando un ritardo del tessuto industriale italiano nella capacità di innovare in questo comparto. Diverso è il caso dell’energia solare e della bioenergia, dove si osserva un allineamento tra le due variabili, che indica come gli sforzi dell’Italia vadano nella giusta direzione: sfruttare le buone potenzialità di miglioramento della performance di queste tecnologie investendo in esse. In realtà, considerando i limiti di struttura del sistema produttivo nazionale, sarebbe stata necessaria una politica (economica) almeno coerente: gran parte delle misure a sostegno delle imprese non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, sia per le manchevolezze nel disegno, sia per l’assenza di stabilità degli interventi. Per molti decenni il tema degli aiuti alle imprese ha avuto diverse declinazioni: per settori e fattori, per l’internazionalizzazione, per l’imprenditorialità di categorie svantaggiate, fino a confondere obiettivi e strumenti (Rapporto MET 2009, imprese e politiche in Italia). Occorre considerare che il 70% degli aiuti pubblici italiani sono, sostanzialmente, per il “mantenimento dell’attuale struttura produttiva”, mentre il 30% destinato all’innovazione non ha come vincolo la generazione del sapere (Relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive, Giugno 2009, ministero dello Sviluppo economico, dell’Economia, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Inoltre, la tendenza a promuovere misure orizzontali, cioè le agevolazioni fiscali per l’acquisto di beni e servizi, rimuove il nodo politico del ruolo pubblico nella definizione del cosa, come e per chi produrre. Roberto Romano

L’attività speculativa è legata anche al cosiddetto “effetto leva”, ossia al rapporto tra il totale dell’attivo e il ca-

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pitale netto, che indica il ricorso all’indebitamento. Nel 2008 risultava pari a 20 volte negli Usa, 30 in Giappone e 44 in Europa, in tendenziale aumento in tutte le aree. Si tratta di numeri sganciati da qualunque logica industriale. Tra le banche europee, i primi tre posti spettano a Hypo RE, Dexia e Ing. Segue al 24° posto Unicredit (32,1 volte) e al 30° Intesa SanPaolo (26,6 volte). Negli altri settori l’effetto leva si attesta al 60% del livello medio registrato nel comparto bancario. «La mancanza di un quadro condiviso di regole ha consentito al sistema di giocare d’azzardo», spiega Emilio Barucci, docente di Matematica finanziaria al Politecnico di Milano. «La recente immissione di liquidità da parte delle banche centrali ha alimentato la speculazione. Il quadro che si sta definendo a Basilea va nella giusta direzione, rafforzando i requisiti di capitale. Occorre ridurre i guadagni esorbitanti degli istituti, spesso alimentati dall’assunzione eccessiva di rischi».

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CREDITO A RISCHIO

CONTI ECONOMICI ED ELEMENTI DELLO STATO PATRIMONIALE DELLE MAGGIORI BANCHE CON SEDE NELLA TRIADE [EUROPA*, NORD AMERICA**, GIAPPONE] IN MILIONI DI EURO1

BANCHE COL PIU ALTO AMMONTARE DI DERIVATI IN ESSERE AL 31-12-2008 SOCIETÀ

Royal Bank of Scotland (GB) JPMorgan Chase & Co. (USA) Deutsche Bank (DE) Barclays (GB) BNP Paribas (FR) UBS (CH) Bank of America (USA) Credit Suisse Group (CH) Citigroup (USA) Crèdit Agricole (FR) 1

VALORE NOMINALE AL 31-12-2008

“FAIR VALUE” (SALDO)

EUR mld variaz. % su 20071

EUR mld

EUR mld

in % del capitale netto

22.252 29.476 42.876 17.564 20.269 1.547 22.665 9.301 3.003 5.339

66.570 63.354 50.432 48.153 36.809 31.751 28.133 27.355 23.832 17.143

+49,6 +14,1 +6,8 +56,6 +23,2 -1,8 +14,2 +0,8 -9,7 +9,4

66.570 63.354 50.432 48.153 36.809 31.751 28.133 27.355 23.832 17.143

+49,6 +14,1 +6,8 +56,6 +23,2 -1,8 +14,2 +0,8 -9,7 +9,4

RISCHIO DI CREDITO

Calcolata in valuta locale

Ricavi finanziari Utili e perdite da negoziazione Risultato netto (dopo le imposte) Dividendi Titoli3 Crediti v/clientela3 Altre attività (guadagni/perdite sui contratti derivati)3 Totale attivo

In 10 anni i guadagni da derivati sono saliti da 2.440 a 9.247 miliardi

1 2 3 *

1999 1.048.471 66.397 135.125

2000 1.244.612 86.608 149.989

2001 1.252.070 81.762 87.379

2002 995.636 67.352 72.962

2003 849.542 71.918 125.135

2004 879.253 65.163 154.804

2005 1.194.654 78.456 224.600

2006 1.396.801 104.648 244.250

2007 1.618.742 34.213 177.893

2008 1.643.042 -96.775 -160.400

49.893 5.396.480 (22,7%) 11.887.816 (50,1%) 2.440.929 (10,3%)

57.842 6.301.808 (23,6%) 13.034.425 (48,8%) 2.925.772 (11%)

63.919 6.588.230 (23,7%) 13.142.629 (47,3%) 3.231.864 (11,6%)

57.488 6.233.060 (23,9%) 12.306.763 (47,1%) 3.005.441 (11,5%)

61.304 6.497.633 (25,1%) 11.781.036 (45,6%) 2.911.275 (11,3%)

69.432 7.108.871 (25,7%) 12.390.600 (44,8%) 3.110.686 (11,2%)

87.755 9.671.528 (28,7%) 14.864.150 (44,2%) 3.240.517 (9,6%)

96.928 9.967.449 (28,5%) 15.721.282 (44,9%) 3.243.225 (9,3%)

93.298 9.918.474 (26,2%) 16.445.918 (43,4%) 4.954.437 (13,1%)

54.701 8.656.762 (21,1%) 17.209.411 (42,0%) 9.247.591 (22,5%)

23.746.734

26.701.552

27.808.973

26.126.157

25.853.082

27.688.122

33.641.696

35.004.933

37.856.545

41.010.802

2009 74.2002 29.2902

Analisi sui principali 62 gruppi bancari. Il dato del Giappone si riferisce al primo semestre 2009. I rapporti di cambio tra Euro/Dollaro Usa e Yen si riferisce al 21 dicembre 2009. Tra parentesi la percentuale sul totale attivo. Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera. ** Usa e Canada.

FONTE: ELAB. SU DATI R&S MEDIOBANCA INDAGINE SULLE PRINCIPALI BANCHE INTERNAZ. ’99-’08

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Palla avvelenata: le banche scaricano costi e rischi sui clienti

Metodi tipici: trasferire soldi all’estero e la cartolarizzazione, che nel 2008 ha raggiunto un record: 75,9 miliardi di euro. E Bankitalia rileva un forte aumento di sanzioni alle banche nel 2009: da 58 a 113.

T

ra i sistemi per eludere i costi delle crisi ce n’è uno particolarmente efficace, disponendo dei giusti strumenti: trasferirli all’esterno. Ai clienti, al mercato. Molte banche potrebbero illustrare i particolari di una prassi volta a spalmare gli oneri fidi Leo Torricelli nanziari su decine di voci di costo, a carico di privati e imprese, ovvero scaricare sui risparmiatori i rischi di credito. Una prassi silenziosa, che talvolta sconfina nell’aperta violazione delle regole, a cui gli istituti si sono dedicati con particolare impegno negli ultimi due anni, quando la crisi cominciava a fare sentire i suoi effetti anche in Italia. Va detto che le nuove norme del 2007 (portabilità dei mutui e cancellazione dell’ipoteca) hanno dato nuova linfa all’azione delle authority, ma il numero e la

concomitanza degli eventi sembra indicare un trend più ampio.

“Bacchettate” da Consob, Bankitalia e antitrust Perfino la Consob, il 3 maggio scorso, ha invitato Intesa Sanpaolo, UniCredit Banca, Mps, Banca Popolare di Vicenza (Banco Popolare) e Bnl a convocare i propri Consigli di amministrazione per rivedere le procedure di vendita di servizi finanziari. “Gli accertamenti fin qui svolti: si legge nella nota della Commissione - hanno evidenziato che le politiche commerciali sono risultate in larga parte imperniate su logiche di prodotto (quantitativi di prodotti da vendere, di norma di raccolta propria o del gruppo) anziché di servizio reso nell’interesse della clientela”. Tutto ciò, secondo la Consob, a scapito della trasparenza.

LE SANZIONI DELLE AUTHORITY NEL BIENNIO 2008-2009 [ PRIME DIECI BANCHE ITALIANE PER ATTIVI ] ANTITRUST

BANCA D’ITALIA

2008 - Pratica commerciale scorretta sulla portabilità dei mutui: Intesa SP 480.000 euro; Mps 350.000 euro; Bnl 450.000 euro; UniCredit 1,37 milioni euro; Antonveneta (Mps) 460.000 euro; Ubi 450.000 euro, Popolare di Vicenza 440.000 euro; Credem 420.000 euro, Bpm 420.000 euro, Banco Popolare 670.000 euro.

2008 - Ispezioni a esito sfavorevole per 19 banche (sul totale banche). - Carenze nei controlli interni, nell’organizzazione e nella gestione dei crediti: Antonveneta (Mps) 540.000 euro. - Lunga serie di irregolarità e carenze nell’organizzazione e nei controlli interni: Banca Italease (Gruppo Banco Popolare) 2,07 milioni di euro. Nel gennaio 2008 la Guardia di Finanza arrestò l’amministratore delegato di Banca Italease Massimo Faenza e parte del top management per truffa ai danni della banca e della clientela.

2009 - Pratica commerciale scorretta sulla cancellazione anticipata dell’ipoteca dopo l’estinzione dell’obbligazione: Bnl 180.000 euro; Intesa Sanpaolo 365.000 euro. - Commissione di massimo scoperto: UniCredit; Bnl; Intesa Sanpaolo.

2009 - Ispezioni a esito sfavorevole per 28 banche (sul totale banche). - 113 provvedimenti sanzionatori, pari a 10 milioni di euro (sul totale banche). - Carenze nei controlli interni da parte del Consiglio di sorveglianza: Banco Popolare 324.000 euro. - Carenze nei controlli da parte del Collegio sindacale: Bpm 476.000 euro. - Carenze nei controlli interni e nell’organizzazione: Bpvi 560.000 euro.

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Nella Relazione al Parlamento e al Governo sul 2009 (giugno 2010) Banca d’Italia rivela un forte incremento delle sanzioni agli istituti di credito (113 contro 58 dell’anno prima), per circa 10 milioni di euro. A questi dobbiamo aggiungere altri 59 provvedimenti erogati fino a maggio 2010, per 8 milioni di euro. Una tendenza riconducibile alla maggiore pervasività dei controlli e alle norme più stringenti, ma anche, spiega Bankitalia, al fatto che la “crisi finanziaria ha inciso profondamente su intermediari caratterizzati da gestioni aziendali scorrette o non prudenti, accentuandone i profili di rischiosità”. Una maggiore intraprendenza si registra anche presso l’Antitrust, che nel 2009 ha messo in luce una serie di scorrettezze soprattutto nell’applicazione delle nuove norme sul massimo scoperto (luglio 2009), che ne prevedevano la soppressione in molti casi.

L’arma della cartolarizzazione Un’altra leva a disposizione degli istituti è la cosiddetta “cartolarizzazione”, attraverso la quale le banche cedono i propri crediti a una società veicolo esterna, che ne paga il corrispettivo emettendo delle obbligazioni. Le rate del mutuo sottostante serviranno a pagare gli interessi e il capitale a scadenza delle obbligazioni. È una pratica molto diffusa, che permette agli istituti di liberare il bilancio da crediti dubbi, scaricandone il rischio sul mercato. Le obbligazioni, infatti, entrano nei portafogli dei fondi di investimento e, dunque, dei risparmiatori. Il 2008 è stato il record delle cartolarizzazioni: 75,9 miliardi (tra mutui e crediti commerciali) soprattutto nell’ultimo trimestre, in concomitanza con l’avvio delle crisi, per poi scendere a 44 miliardi nel 2009, grazie anche alla contrazione dei mutui (Securitization.it – 130 Finance).

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Gli aiuti alla finanza non aiutano le imprese

Claudio Cacciamani: «Le banche continuano con il trading come prima della crisi. E alle imprese meno credito».

«G di Roberto Cuda

LI AIUTI ALLE BANCHE SONO SPESSO SERVITI a incrementare il capitale proprio o ricostituire un idoneo margine di liquidità. Il vero problema è che poi non sono sempre stati utilizzati per erogare credito alle aziende, ma per avere redditività da operazioni di trading e di speculazione, anche successive alla crisi del 2008. Di questo il governatore Draghi ha fatto più di

una volta denuncia in sede istituzionale». Così Claudio Cacciamani, professore di Economia degli intermediari finanziari presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Parma, conferma l’impressione di un mercato creditizio ancora lontano da una vera assunzione di responsabilità, nonostante il massiccio sostegno pubblico di cui hanno beneficiato.

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GLOSSARIO CARTOLARIZZAZIONE Cessione di attività o beni attraverso l'emissione di titoli obbligazionari anche attraverso società veicolo. Se il credito è inesigibile chi possiede le obbligazioni può perdere, in parte o tutto, il capitale. SPREAD Lo scarto rispetto a un parametro base. Nel caso dei tassi di interesse rispetto a quello di riferimento del sistema creditizio (Euroribor, ecc.), nel caso di assicurazioni come i Cds è il premio pagato per il rischio di fallimento. TRADING È l’attività non bancaria delle banche, che guadagnano speculando dalla compravendita di prodotti finanziari.

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L’attacco all’euro del maggio scorso non è anch’esso il risultato delle massicce iniezioni di liquidità a buon mercato da parte delle banche centrali? Come evitare che la liquidità, finalizzata ad aiutare le banche in difficoltà, venga utilizzata a fini speculativi? Occorrerebbe avere un forte controllo sugli intermediari, in particolare monitorando le principali classi di attivo con cadenza ravvicinata e costante nel tempo e, sul territorio, gli effettivi livelli di erogazione del credito. Il monitoraggio dei prestiti alle aziende a livello regionale avviene in Francia, avendo come riferimento le prefetture. In Italia il progetto non è mai decollato. Solo le banche con solide basi regionali o locali hanno effettivamente aiutato l’economia in questa fase terribile. Dopo le perdite del 2008 e 2009 com’è cambiato il comportamento della grandi banche? Com’è cambiato l’approccio verso strumenti ad alto rischio come i derivati o l’utilizzo delle cartolarizzazioni? La mia impressione è che formalmente si sia tornati indietro, ma che poi sostanzialmente non sia cambiato nulla. Basta vedere i conti economici delle grandi banche e i profitti che sono tornate a fare in operazioni di trading. Da tempo si parla di una nuova regolamentazione dei mercati. A che punto è?

La vera sfida è il coordinamento, non più solo delle autorità di vigilanza di vari Paesi, ma anche delle autorità interne allo stesso Stato. Si pensi ai conglomerati finanziari bancari e assicurativi e/o alla crescente rilevanza di intermediari non strettamente bancari, ma con capacità di intervento nell’attività economica e finanziaria di un Paese, come le grandi holding di partecipazione straniere, nelle quali il braccio finanziario spesso riesce a sopperire alla mancanza di utile delle attività industriali. In che modo le banche italiane hanno fronteggiato la crisi? In quali direzione hanno scaricato i maggiori rischi e i maggiori costi? Le banche italiane di maggiori dimensioni hanno ridotto i propri affidamenti alle imprese, magari concentrandosi su fasce di clientela meno rischiose, come le operazioni alle famiglie comunque garantite da immobili. Oltre a ciò, hanno varato piani di dismissione patrimoniali e finanziarie per recuperare liquidità e avere plusvalenze da esibire in conto economico. Questo le ha preservate dalla necessità di ingenti piani di ricapitalizzazione. Gli spread sono aumentati e, soprattutto, si è assistito alla richiesta di ulteriori garanzie, reali e personali, rispetto al passato. Vanno escluse le operazioni di ristrutturazione del debito e di salvataggio delle aziende, nelle quali le banche nel complesso si sono dimostrate (ma non potevano fare altrimenti) attente alla salvaguardia delle aziende.

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SPECULAZIONE FUORI CONTROLLO MENTRE L’INDICE S&P 500 (che riunisce le 500 aziende Usa a maggior capitalizzazione) calava dell’8%, i gestori di hedge funds guadagnavano il 4,73%. Così si è chiuso il mese di maggio 2010, dopo una serie di attacchi speculativi che hanno messo in ginocchio l’euro. Abbiamo ricostruito quei momenti con Maurizio Milano, responsabile analisi tecnica del gruppo Banca Sella. Come avviene una speculazione al ribasso?

Le operazioni al ribasso sui titoli azionari avvengono prendendo a prestito il titolo e rivendendolo subito dopo, per poi ricomprarlo in un secondo tempo e guadagnare sull’eventuale minor valore. La maggior parte dei movimenti ribassisti, tuttavia, avviene operando sui future, che hanno una leva fino a dieci volte il valore del contratto stesso. Le operazioni sulle valute avvengono prevalentemente over the counter, ossia fuori dai circuiti ufficiali, dunque non è possibile individuare i soggetti che vi operano, né misurare

i rischi a livello sistemico che si accumulano. Servono regole comuni sovranazionali, per dare trasparenza al mercato. Se escludiamo i future, che devono passare dalla Stanza di compensazione, molti altri derivati sono al momento fuori da ogni controllo. Non si sa nemmeno quanti ce ne siano in giro.

consentendo un forte rimbalzo dell’euro/dollaro. Ma non si possono escludere colpi di coda. L’enorme liquidità a buon mercato, immessa dalle banche centrali dall’inizio della crisi, non ha alimentato la speculazione?

Sì, ha assicurato grossi utili alle banche d’investimento, che hanno continuato le proprie attività di trading. Molte si sono perfino indebitate “a breve” (sfruttando i bassi tassi d’interesse), reinvestendo contestualmente “a lungo” (sui bond a dieci anni o più, che hanno tassi di interesse più elevati): è il cosiddetto “carry di curva”, un’operazione finanziariamente poco prudente, dato che i titoli a lunga scadenza potrebbero deprezzarsi da un momento all’altro, provocando ingenti perdite in bilancio. I guadagni conseguiti nel 2009 hanno riguardato quasi esclusivamente la finanza, che ha beneficiato della liquidità a basso costo che non è confluita come si sperava nell’economia reale, che continua ad arrancare. Roberto Cuda

Cosa dobbiamo aspettarci dopo i massicci interventi pubblici?

Gli Stati sono intervenuti tagliando la spesa e alzando le tasse, per ridare fiducia ai mercati e proteggere l’euro dagli attacchi speculativi, ma queste politiche fiscali rischiano di bloccare i timidi segnali di ripresa economica. Ciò costringerà molto probabilmente la Banca centrale europea a compensare queste misure prolungando le politiche monetarie espansive, in modo da mantenere un elevato livello di liquidità nel sistema. Gli acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario da parte della Bce ha comunque contribuito a stabilizzare il sistema,

Sempre più disparità: causa/effetto della crisi

Secondo Luciano Gallino: «La finanza esce magnificamente dalla crisi. L’industria ha sofferto, ma è in ripresa grazie a tagli occupazionali e delocalizzazioni. Diverse aziende ne hanno approfittato per ringiovanire il personale».

U

N ECCESSO DI FINANZIARIZZAZIONE e l’eccessiva disparità nella distribuzione dei redditi. Sono queste le due cause della crisi secondo Luciano Gallino, professore emerito di Sociologia dell’Università di Torino, autore di numerosi saggi sulla di Roberto Cuda globalizzazione, attento osservatore delle ricadute sociali della finanza. Secondo il professore la crisi non ha fatto altro che aumentare la distanza tra ricchi e poveri.

Professore, quali sono a suo avviso le cause della crisi? Siamo di fronte a una crisi di sistema. La prima causa è certamente un eccesso di finanziarizzazione dell’economia: nel 2008 gli attivi finanziari ammontavano a 240 mila miliardi di dollari, quasi quattro volte il Pil

la crisi il peso della “Dopo finanza è anche aumentato grazie all’aiuto di governi e banche centrali ” | 26 | valori |

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mondiale. È evidente che l’economia reale è ormai subordinata alla finanza. L’altra causa è la crescente disuguaglianza. Negli ultimi trent’anni il rapporto tra salari e Pil nei paesi Ocse è calato tra l’8 e il 12% (-8% in Italia) a favore di rendite e plusvalenze finanziarie e ciò ha ridotto la domanda complessiva. Negli Usa i salari reali (dedotta l’inflazione, ndr) sono a livello del 1973. È chiaro che in questa situazione chi deve comprare casa finisce per indebitarsi, ma il problema dei mutui subprime è solo la miccia che ha innescato una polveriera già pronta a esplodere. Nel 2009 le multinazionali hanno accusato pesanti cali negli utili e in molti casi perdite, ma nei dieci anni precedenti hanno accumulato grandi profitti. Qual è stato il reale impatto della crisi sulle imprese globali? Le società finanziarie ne stanno uscendo magnificamente: i principali gruppi hanno addirittura accresciuto le loro dimensioni. L’industria ha sofferto di più, a causa del calo delle esportazioni. Pensiamo alla Germania, dove l’export è crollato dopo anni di guadagni alimentati anche da lavoratori precari e sottopagati. Ma le imprese stanno già recuperando, anzitutto attraverso tagli occupazionali e delocalizzazioni. L’esempio della Fiat di Pomigliano è emblematico:

mai come ora le aziende mettono in competizione i lavoratori di diverse aree del mondo, direi anche in modo sfacciato. Va da sé che il taglio all’occupazione resta un importante strumento per migliorare la redditività e fronteggiare la crisi. Diverse aziende hanno approfittato di questo momento per riorganizzarsi e ringiovanire il personale. Al tempo stesso molte imprese industriali guadagnano ormai dalla finanza, basti pensare alle divisioni finanziarie di molte case automobilistiche, che compensano le perdite sul fronte industriale. Nel libro “Con i soldi degli altri” traccia un profilo di una nuova classe globale che tiene le redini della finanza: tra 500.000 e 1 milione di persone influiscono direttamente sulla gestione di patrimoni enormi, pari al Pil mondiale. Si tratta dei responsabili finanziari e del top management dei grandi investitori istituzionali. In questa crisi cos’è cambiato? Si è indebolito il peso della finanza? Se possibile è addirittura aumentato, grazie proprio all’aiuto dei governi e delle banche centrali. Le prime cinque banche statunitensi hanno raddoppiato gli attivi rispetto alla fine del 2007, con la stessa struttura che vede sovrapporsi diverse funzioni (deposito, investimento, assicurazione) senza contare le attività fuori bilancio. La

riforma di Obama vorrebbe arginare la pervasività delle finanza a favore della politica, ma non sarà facile. Come ha influito la crisi sulla distribuzione della ricchezza tra i diversi ceti sociali nei Paesi occidentali? Qualcuno ne è uscito rafforzato? C’è stata un’evidente redistribuzione dal basso verso l’alto. I lavoratori dipendenti – che rappresentano tra il 40 e il 60% della popolazione – hanno visto invariato o ridotto il proprio reddito, mentre è aumentato quello del 10% più ricco. Se poi analizziamo il 5% o l’1% più ricco, l’aumento di reddito sale progressivamente. I dati si riferiscono a tutte le aree, ma sono più accentuati negli Usa, in Gran Bretagna, Francia e Italia. Come regolamentare una finanza che sembra sfuggita da ogni controllo? La risposta degli Stati è stata adeguata? Bisogna restringere il perimetro della finanza, a partire dalla separazione tra le funzioni di banca di deposito e banca di investimento. Gli istituti devono tornare a fare il loro mestiere, ossia raccogliere e prestare denaro. Nessuno vieta di fare la banca d’investimento, ma con soldi propri e non attingendo ai depositi dei correntisti.

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2010: l’anno d’oro degli azionisti attivi >30 Dagli Usa alla Cina, il Pianeta all’esame della crisi >32 Il microcredito vola in Italia. E oggi ha un posto nella legge >36

finanzaetica STATI UNITI: NUOVA TASK FORCE ANTI-EVASIONE

DISASTRO BP, LA LUNGA ESTATE DELLE CLASS ACTION

ROMA RISCHIA IL CRACK PER GLI STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI?

REMUNERAZIONI HEDGE: LONDRA ACCOGLIE LA DIRETTIVA UE

APRE BOTTEGAS, IL NUOVO CENTRO DI CONSUMO CONSAPEVOLE

SOSTENIBILITÀ: HAUSER PROPONE NUOVI INDICATORI

L’Internal Revenue Service (Irs), l’agenzia delle entrate degli Stati Uniti, è pronta a lanciare un nuovo gruppo di lavoro specializzato per indagare sulle pratiche di evasione fiscale da parte delle grandi multinazionali e dei contribuenti più facoltosi. Lo ha reso noto nelle scorse settimane il New York Times. Secondo quanto emerso, l’Irs mirerebbe a creare una sorta di “Large business and international division” che dovrebbe assorbire tutte le indagini sulle maxi evasioni tuttora disperse nei vari uffici operativi dell’ente. Il nuovo gruppo dovrebbe impiegare quasi 1.300 funzionari incaricati di far rispettare il nuovo Foreign Account Tax Compliance Act, il provvedimento che impone ai contribuenti Usa di rendere noti i dettagli dei propri conti esteri entro il 2013. Tra le priorità della nuova organizzazione ci sarà inoltre un inasprimento della lotta al transfer pricing, la diffusa tecnica di elusione fiscale utilizzata dalle multinazionali e basata sul trasferimento di una parte dei profitti sulla contabilità di società affiliate e holding domiciliate in territori caratterizzati da un’imposizione fiscale più bassa. Tale pratica, spesso realizzata in modo illegittimo, sottrae ogni anno miliardi di dollari di contributi alle casse dell’erario.

La compagnia petrolifera texana Anadarko è stata trascinata in tribunale dai suoi azionisti con l’accusa di aver mentito sui dati relativi alla sicurezza delle operazioni della Deepwater Horizon, la famigerata piattaforma di trivellazione sede del tremendo incidente del 20 aprile scorso che ha causato il più grave disastro ambientale della storia degli Stati Uniti. Tre anni or sono Anadarko, che possiede il 25% delle quote di Deepwater, aveva condotto un esame congiunto insieme alla British Petroleum (Bp), la compagnia che aveva messo sotto contratto i servizi della piattaforma. L’indagine aveva portato alla luce numerosi segnali d’allarme che la compagnia aveva deciso di non divulgare. La causa intentata dagli azionisti è solo l’ultimo capitolo di una serie di azioni legali esplose negli Usa a seguito del disastro dello scorso aprile. A fine giugno il New York State Common Retirement Fund (Scrf), uno dei principali fondi pensione statunitensi con i suoi 132 miliardi di dollari in assets gestiti, aveva fatto causa a Bp accusando la società di aver «ingannato gli investitori in merito alle procedure di sicurezza e alla sua capacità di rispondere ad eventi come l’attuale fuga di petrolio». Quattro fondi pensione dell’Ohio si sono successivamente uniti alla class action.

Il comune di Roma potrebbe andare incontro a clamorosi guai finanziari a seguito di avventate sottoscrizioni di prodotti finanziari derivati. È il timore espresso dall’Associazione Nazionale Dipendenti e Utenti dei Servizi Pubblici Locali (Antigene) e da Radicali Roma in un esposto presentato recentemente in Procura. Basandosi sui dati resi noti nell’ultima relazione della Sezione Regionale per il Lazio della Corte dei Conti, le due associazioni hanno ipotizzato addirittura l’esistenza di un possibile reato di truffa nell’ambito del processo di ristrutturazione del debito comunale. Secondo il tribunale contabile, le ultime cifre - risalenti al 2007 - parlano di un buco da 712 milioni. Il Comune, all’epoca, aveva invece dichiarato un utile da 427 milioni. La vicenda ricorda molto da vicino l’ormai celebre pasticcio del maxi swap sui bond del Comune di Milano che ha portato in tribunale 4 banche (Ubs, Jp Morgan, Deutsche Bank e Depfa), 11 loro dipendenti e due ex funzionari di Palazzo Marino con l’accusa di truffa aggravata. Protagonisti, anche il questo caso, i micidiali interest rate swaps, i derivati sottoscritti con l’obiettivo di ammortizzare la volatilità dei tassi. Anche qui, ovviamente, il forte sospetto di una grave asimmetria informativa tra banche e Comune. Su richiesta di Antigene, la società LS Advisor ha effettuato un’analisi dei contratti sottoscritti dal Comune esprimendo forti perplessità sull’opportunità delle intese realizzate con gli istituti Dexia Crediop e Banca per la finanza alle opere pubbliche e alle infrastrutture (OPI) del Gruppo Intesa Sanpaolo. Secondo LS, i derivati acquistati coprono una cifra complessiva di quasi 480 milioni di euro ma, soprattutto, risulterebbero “inutili o complessi”.

I fondi speculativi britannici (hedge funds) dovranno presto fare i conti con la nuova regolamentazione europea in materia di requisiti di capitalizzazione. Un onere che comporterà importanti cambiamenti negli schemi di retribuzione che, nel corso degli ultimi anni, sono stati al centro di numerose polemiche. Lo riporta il sito Hedgefundsreview.com citando la conferma ufficiale della Uk Financial Services Authority (Fsa), il principale organo di regolamentazione finanziaria del Regno Unito. Le nuove norme, si precisa, imporranno ai fondi di distribuire in un arco di almeno tre anni l’erogazione del 40% dei bonus manageriali (il 60% se questi ultimi eccedono il mezzo milione di sterline). Tra le altre novità l’obbligo di pagare in azioni almeno la metà del compenso extra nonché, ma la questione non sembra ancora ben definita, la necessità di evitare operazioni finanziarie particolarmente rischiose di breve periodo che, notoriamente, sono implicitamente favorite da alcuni schemi remunerativi. La Fsa ha fissato all’8 di ottobre la data per la definitiva chiusura delle consultazioni sul testo definitivo che, si precisa, dovrebbe essere approvato a novembre. La direttiva Ue dovrebbe entrare ufficialmente in vigore il primo gennaio del 2011.

Dopo un lungo percorso apre finalmente i battenti la cooperativa BotteGas, nuovo spazio di distribuzione di prodotti bio destinati al grande pubblico e ai Gruppi d’acquisto solidale (Gas). Il centro, che sarà inaugurato a fine settembre nella sua sede di via Colletta 31 a Milano, si propone come punto di arrivo di una filiera corta di prodotti alimentari, ma anche come luogo di degustazione e spazio culturale. «Ho avuto questa idea circa tre anni fa», spiega Danilo Beccaro, il responsabile del centro. «Oggi il nostro obiettivo è quello di voler contribuire allo sviluppo di una rete organizzata tra le varie realtà del mondo del consumo critico e della finanza etica, proponendoci, si spera, come uno dei tanti nodi di raccordo a supporto delle varie esperienze diffuse in città, i cui percorsi, purtroppo, sono spesso eccezionali, ma anche isolati e limitati». Il progetto, conta sul sostegno dei dieci soci nonché di Banca Etica ed è stato accompagnato fin dall’inizio da Mag2 Finance, la cooperativa finanziaria, mutualistica e solidale con sede nel capoluogo lombardo. «BotteGas costituisce la terza tappa di un percorso e di un lavoro di accompagnamento e di rete, iniziato con il finanziamento del biocaseificio Tomasoni nel gennaio 2009 e proseguito un anno più tardi con la fattoria biologica Corradini (di cui Valori ha scritto sul numero di marzo 2010 ndr)», sottolinea il vicepresidente di Mag2 Giorgio Peri. Dal 19 agosto è disponibile per gli utenti un listino base dove compaiono i primi prodotti bio acquistabili anche online o telefonicamente, primo passo per lo sviluppo delle attività del centro che si propone di fornire un supporto logistico decisivo ai Gruppi d’acquisto dell’area. Obiettivo di medio termine resta l’inserimento di Bottegas in un Des, un Distretto di economia solidale, aperto anche al pubblico cosiddetto “esterno”. «È il nostro sogno politico-culturale», conclude Danilo Beccaro.

Un nuovo approccio agli indicatori dello sviluppo sostenibile da applicare a tutti i settori corporate. È la proposta avanzata dai ricercatori dell’Hauser Center for Non-profit Organizations dell’università di Harvard e dalla Initiative for Responsible Investment (Iri) per la creazione di un sistema concentrato più sulla capacità di “gestione della sostenibilità” che sul concetto generale di trasparenza. Obiettivo finale è quello di creare le condizioni affinché le aziende possano essere poste in concorrenza tra di loro sul tema. Secondo gli autori - Steve Lydenberg, ceo di Domini Social Investments, Jean Rogers, dirigente di Arup, e David Wood, direttore di Iri - le operazioni di rilevamento condotte fino ad oggi a partire dagli indici di sostenibilità elaborati da Dow Jones o Ftse rappresentano un buon punto di partenza ma possono comunque essere migliorate. Partendo dagli elementi chiave espressi dagli indici (semplicità, materialità e trasparenza), ha sottolineato il portale specializzato Responsible Investor, toccherebbe ad analisti indipendenti identificare quegli indicatori che rappresentano il maggiore impatto e le migliori opportunità per un particolare settore. La ricerca completa può essere scaricata da: http://hausercenter.org/iri /wp-content/uploads/2010/05/IRI _Transparency-to-Performance.pdf

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Record di mozioni su una serie di temi caldi: pari opportunità, remunerazioni dei manager, climate change, derivati. Nel 2010 oltre mille imprese sono state “messe all’angolo” dagli azionisti responsabili.

L’

ANNO SCORSO LI AVEVANO ACCUSATI di essere stati troppo passivi: bravi forse a intuire per primi i segni della crisi finanziaria, ma incapaci di suonare in tempo il campanello d’allarme. «Gli azionisti hanno una grossa responsabilità di Mauro Meggiolaro in questa crisi», aveva tuonato nel marzo del 2009 l’allora ministro britannico della City, Lord Paul Myners. Puntuale, nella stagione 2010 è arrivata la risposta: gli interventi e le mozioni di fondi pensione, fondi comuni, associazioni e piccoli investitori alle assemblee annuali degli azionisti hanno raggiunto livelli record, in particolare negli Stati Uniti. Tutti in fila al microfono. Per fare domande, osservazioni, richiedere maggiore impegno da parte dei manager di imprese industriali, bancarie, petrolifere, elettriche su temi come la sostenibilità sociale e ambientale, i derivati, i bonus milionari degli amministratori, le pari opportunità o le emissioni di gas serra. «Richiediamo che la “nostra” società proibisca esplicitamente la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e il genere dei dipendenti», «chiediamo che gli azionisti possano esprimere la loro opinione sulle remunerazioni dei top manager», «consigliamo alla società di rendere disponibile un rapporto dettagliato sull’uso di strumenti finanziari

ETICA SGR CHIEDE PARI OPPORTUNITÀ NEI CDA ANCHE IN ITALIA CI SONO AZIONISTI che fanno sentire la loro voce. Come Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Etica che propone solo fondi di investimento socialmente responsabili. Il 22 luglio, insieme a un gruppo di investitori responsabili, ha inviato una lettera a Terna, Acea, Brembo, Landi Renzo, Prysmian, Sabaf, Indesit Company e a 47 società straniere per chiedere una maggiore attenzione alle pari opportunità all’interno del CdA e nel top management. Si inserisce nell’ambito delle iniziative promosse dalle istituzioni finanziarie che hanno aderito ai PRI (Principi di investimento responsabile delle Nazioni Unite).

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derivati over the counter». Richieste di questo tipo si sono sentite nelle sale conferenze di mezzo mondo a un ritmo serrato, con una frequenza che non si era mai vista prima. «Nella prima metà del 2010 gli investitori hanno dato un sostegno senza precedenti a una serie di temi sociali e ambientali, con percentuali di voti a favore altissime. Le più alte di sempre», ha spiegato Heidi Welsh, direttore generale di Si2, Sustainable Investment Institute, un’organizzazione non profit con sede a Washington DC, che a fine luglio ha pubblicato un rapporto sull’azionariato attivo negli Stati Uniti per il primo semestre dell’anno. I numeri di Si2 parlano chiaro: 387 mozioni presentate fino a giugno, due delle quali hanno addirittura ottenuto la maggioranza dei voti in assemblea e 16 hanno raccolto più del 40% dei voti a favore.

Rischi ambientali e discriminazioni Sembrano risultati di poco conto, ma in realtà è molto difficile raccogliere voti su mozioni promosse dagli azionisti di minoranza. Le imprese cercano, infatti, in tutti i modi di ostacolarle, invitando gli azionisti a votare contro, ed è molto raro che le richieste su temi sociali e ambientali o sulla trasparenza riescano a ottenere più del 5% dei voti. Ma quest’anno è andata diversamente. Perché per molti azionisti la misura è ormai colma. «Il gravissimo incidente provocato da BP nel Golfo del Messico è solo uno dei motivi che hanno portato gli azionisti a interessarsi dei rischi ambientali e sociali delle imprese», ha dichiarato Mindy Lubber, presidente di Ceres, una rete di investitori, associazioni ambientaliste e altri gruppi di interesse che fa pressione sulle imprese sui temi legati ai cambiamenti climatici. «Le questioni ambientali hanno fatto breccia in assemblea molto prima del 20 aprile, quando è esplosa la piattaforma di BP», conferma Michael Passoff di As You Sow, una Ong americana che nel 2010 ha presentato 14 mozioni. «Ormai anche chi è esclusivamente interessato ai dividendi e ai

LE MOZIONI CHE HANNO OTTENUTO PIU DEL 40% DI VOTI A FAVORE SUDDIVISE PER IMPRESA E PROPONENTE IMPRESA

MOZIONE

PROPONENTE

VOTO

Layne Christensen

publish sustainibility report (incl. climate change)

Walden Asset Mgt.

60,3

Massey Energy

report on change impact assessment

NYC pension funds

53,1

Gardner Denver

adopt GLBT non-discrimination policy

Calvert

49,1

Kbr

adopt GLBT non-discrimination policy

NYC pension funds

48,7

Convert Helath Care

report on political contributions

NYC pension funds

46,0

Federal Realty Inv. Trust

publish sustainibility report (incl. climate change)

LiUna

44,6

Boston Properties

publish sustainibility report (incl. climate change)

NYC pension funds

44,1

CMS Energy

report on coal combustione waste and risks

As You Sow

43,1

Kbr

report on human rights policy

Mercy Investment

42,2

Express Scripts

report on political contributions

Miami Firefighters

42,0

Williams Companies

report on hydraulic fracturing

Green Century

41,8

Kroger

report on climate change impact assessment

NYC pensions Funds

40,7

CVS Caremark

report on political contributions

Pax World Funds

41,4

Sprint Nextel

report on political contributions

NYC pensions funds

41,2

MDU Resources Group

report on coal combustion waste and risks

As You Sow

40,5

Leggett & Platt

adopt GLBT non-discrimination policy

NYC pensions funds

40,4

Seamus Finn, responsabile della sezione Giustizia e Pace degli Oblati.

387 mozioni negli Usa fino a giugno: due hanno ottenuto la maggioranza dei voti, 16 oltre il 40%

rendimenti comincia a capire che la condotta di un’impresa in cam- shington, assieme a una serie di altri ordini religiosi, hanno presentato mozioni alle assemblee dei colossi bancari Goldman Sachs, Citipo ambientale può avere pesanti effetti sugli utili». Non a caso il 60,3% degli azionisti ha votato a favore di una mo- group e Bank of America per chiedere di pubblicare “una relazione detzione presentata da Walden Asset Management, una società di Bo- tagliata sull'uso dei prodotti derivati over the counter (OTC)”, (strumenti ston che promuove fondi etici, per chiedere al gruppo minerario finanziari trattati fuori dalle borse, in modo assolutamente non traLayne Christensen di pubblicare il suo primo bilancio socio-am- sparente) “mettendo in campo tutte le procedure necessarie per fare in modo che i collaterali (capitali posti a garanbientale. Mentre il 53,1% degli azionisti di LE MOZIONI ALLE ASSEMBLEE zia delle operazioni) degli OTC siano manteMassey Energy, quarto produttore di carbo- MOZIONI PRESENTATE SU INIZIATIVA DEGLI AZIONISTI nuti in conti segregati e non siano riutilizzati ne degli Stati Uniti, ha chiesto all’impresa di ALLE ASSEMBLEE DELLE IMPRESE AMERICANE NELLA PRIMA per garantire altre operazioni, moltiplicando preparare un rapporto con la valutazione METÀ DEL 2010 SUDDIVISE PER AREE TEMATICHE il rischio”. Una pratica molto pericolosa per i degli impatti sui cambiamenti climatici. La CONSERVATIVES ALTRI mercati finanziari, che è stata fatale a Lehman mozione in questo caso è stata presentata da 5% 5% Brothers, ma che continua a sopravvivere nouna serie di fondi pensione pubblici dello INDUSTRIA AMBIENTE nostante i continui tentativi di riforma. «La stato di New York. AGRICOLTURA 25% 11% nostra mozione sui derivati ha ottenuto risulSe nel 2010 l’ambiente è stato sicuratati impressionanti. Abbiamo raccolto il 30% mente il tema più caldo, con quasi 100 modei voti a favore dagli azionisti di Bank of Amezioni dedicate (25% del totale), un altro argoSUSTAINIBILITY REPORTING rica, il 39% da quelli di Citigroup e il 33,7% da mento è in forte ascesa rispetto agli anni 11% LAVORO Goldman Sachs», ha dichiarato a Valori Seamus precedenti: le pari opportunità e le politiche di E DIRITTI UMANI 18% EEO Finn, responsabile della sezione Giustizia e Pace non discriminazione. «Sono state presentate 11 DIVERSITY degli Oblati. «L’amministratore delegato di Goldmozioni per chiedere alle imprese di assicurare ai CORPORATE 12% POLITICAL man Sachs, Lloyd Blankfein, ha promesso di condipendenti omosessuali, bisessuali e transgender un ACTIVITY durre un processo di revisione interno delle pratiche di adeguata protezione dai rischi di discriminazione», si 14% business dell’impresa, per assicurarsi che stia “servendo l'inlegge nel rapporto di Si2. «In media queste mozioni hanno ottenuto il 33% dei voti, raggiungendo quasi il 50% all’assemblea di teresse pubblico e quello dei clienti”. È su questa promessa che lo misureremo l’anno prossimo». Gardner Denver (compressori d’aria)». Tra le tante incertezze del mercato c’è una cosa di cui Blankfein può essere certo fin da adesso: se Goldman non si muoverà per camPreti azionisti all’assalto delle banche Ma la vera grande sorpresa del 2010 sono stati ancora una volta gli azio- biare le sue pratiche, nel 2011 si ritroverà gli azionisti attivi in asnisti religiosi che appartengono alla rete di ICCR (Interfaith Center on semblea, con un seguito sempre più nutrito di giornali e televisioni. Corporate Responsibility) di New York. I Missionari Oblati di Wa- E una serie di nuove domande a cui rispondere. FONTE: SI2

2010: l’anno d’oro degli azionisti attivi

FONTE: SI2

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| finanzaetica | post subprime |

| finanzaetica |

Il Pianeta all’esame della crisi

I governi di tutto il mondo, a due anni dallo scoppio della crisi finanziaria globale, sono riusciti a dare solamente risposte nazionali. Il risultato è un caos di provvedimenti, e a poco sono valsi i tentativi di coordinamento degli organismi internazionali.

N

UOVI POTERI DI VIGILANZA, vincoli restrittivi, giri di vite, salvataggi d’emergenza, ricapitalizzazioni, divieti di effettuare vendite allo scoperto. E ancora aiuti alle imprese, nuove regole per i mutui, lotta al credit crunch, garanzie sui depositi bancari, quantitave easing, innalzamento dei requisiti di Andrea Barolini minimi di capitalizzazione, tagli ai tassi e tasse sui bonus, sui profitti, sulla dimensione o sui rischi arrecati al sistema. Da due anni i governi di tutto il mondo sono impegnati in un gigantesco sforzo per arginare le falle di una crisi economica globale, innescata dal sistema finanzario fuori controllo. Obiettivo dichiarato: risollevare (e riformare) il sistema. Ma, nonostante gli infiniti summit (G8, G20, Consigli Ecofin, convegni, incontri bilaterali), c’è un solo denominatore comune tra le azioni degli esecutivi: la mancanza di una qualsivoglia forma di coordinamento. Ogni Stato ha scelto la propria strada. Risultato: le economie viaggiano ciascuna alla propria velocità, il rischio sistemico non è fugato, le (paventate o applicate) tasse sui profitti e sui bonus sono imposte a macchia di leopardo. Le politiche monetarie sono decise unilateralmente o, tutt’al più, contrattate a colpi di minacce (come nel caso della disputa tra Usa e Cina sullo yuan). E le misure risultano per lo più temporanee. L’Ocse ha a più riprese indicato una serie di priorità nel processo di riforma della finanza globale, riassunte in sette punti. Primo, migliorare la vigilanza rendendo più efficienti le autorità di controllo. Secondo, aumentare la trasparenza nei mercati. Terzo, abbassare la leva finanziaria e assicurare più capitali. Quarto, irrobustire la disciplina fiscale. Quinto, riformare la corporate governance in modo da garantire meno rischi. Sesto, porre i capitali bancari al riparo dalla volatilità del mercati (anche separando alcune attività). E settimo, puntare sull’educazione e sulla protezione dei consumatori. Indicazioni di principio, certo, e non operative. Vediamo dunque in che modo ciascun Paese ha deciso di declinare tali orientamenti.

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USA

Il Paese in cui è cominciata la crisi globale con l’esplosione dei mutui subprime nell’agosto del 2007, ha inizialmente dato vita a un massiccio piano di intervento pubblico (quando il presidente era ancora George Bush e il segretario al Tesoro Henry Paulson). Era il noto Tarp, Troubled Asset Relief Program: un maxi-fondo da oltre 700 miliardi di dollari, al quale attingere per, di fatto, salvare gli istituti più in difficoltà. Ci sono quindi stati i nodi dell’esplosione del debito dei cittadini (non solo mutui, ma anche carte di credito), il crollo dell’automotive (con il salvataggio della Chrysler da parte di Fiat), le situazioni quasi disperate delle agenzie Fannie Mae e Freddie Mac, che garantiscono tre quarti dei mutui residenziali negli Usa. Superata la fase emergenziale, si è passati a delineare le riforme. Il cammino intrapreso è stato però lastricato di difficoltà: solo alla metà di luglio di quest’anno la Camera dei rappresentanti e il Senato sono riusciti a trovare una posizione comune. Una contrattazione durata mesi, che ha coinvolto la Fed (che nel frattempo ha fissato i tassi ai minimi storici per rilanciare l’economia), la Fdic (Federal Deposit Insurance Corporation, che ha ricevuto decine di miliardi extra per garantire i depositi delle banche fallite), la maggioranza e l’opposizione. Si è parlato a lungo di un ripristino della legge Glass-Steagall (progetto archiviato) che avrebbe imposto una separazione delle banche retail (quelle che hanno rapporti diretti con la clientela) da quelle d’investimento. Ma fino all’ultimo il nodo cruciale è stato quello della tassa sulle banche, che avrebbe garantito alle casse statali un flusso di capitali pari a 19 miliardi di dollari: progetto anche in questo caso archiviato per ottenere l’approvazione da parte di alcuni parlamentari repubblicani, indispensabili per raggiungere la maggioranza. Rimangono le limitazioni alle compravendite di strumenti derivati, ma anche in questo caso è stata ammessa una lunga serie di deroghe. Le banche, dunque, pagheranno. Ma decisamente meno di quanto temessero. Da ricordare, inoltre, lo sforzo contro i paradisi fiscali, culminato nell’accordo con la Svizzera sulla questione dei presunti evasori americani, correntisti del colosso bancario UBS.

UE

Bruxelles ha cercato, non senza difficoltà, di coordinare gli sforzi dei Ventisette per incrementare la vigilanza nel settore finanziario. La Commissione ha pianificato un aiuto straordinario per l’Ungheria di 6,5 miliardi di euro e un secondo alla Lettonia pari a 3,1 miliardi di euro. Il Parlamento europeo ha discusso a lungo sull’opportunità di un giro di vite sui fondi speculativi: la direttiva sugli hedge funds ha però provocato forti polemiche e l’ostruzionismo di alcuni Stati (Gran Bretagna in testa). Nei mesi scorsi è stata anche annunciata una nuova agenzia di rating, in aperta polemica con i colossi del settore (S&P, Moody’s e Fitch). A fine luglio la Bce ha pubblicato i risultati di una serie di test di resistenza condotti su 91 grandi banche dell’Eurozona.

GERMANIA

L’organismo di controllo sui mercati del Paese, la Bafin, prima dell’estate ha bloccato le vendite allo scoperto, causando forti polemiche all’interno dell’Ue. Insieme alla Francia, il governo di Angela Merkel si è più volte dichiarato favorevole all’introduzione di una tassa sulle banche che, secondo alcuni studi riportati dalla stampa tedesca, potrebbe generare un flusso fiscale di circa un miliardo di euro all’anno. Importanti movimenti sono ancora in corso sul fronte del sistema di vigilanza. La Bundesbank, la banca centrale tedesca, da mesi si è dichiarata pronta a dotarsi di nuovi e più importanti poteri di controllo sul sistema bancario interno. In questo modo, di fatto, l’istituto potrebbe accentrare nei suoi uffici quasi la totalità delle mansioni di vigilanza. A maggio del 2009, inoltre, è stato dato il via libera alla creazione di una bad bank, per raccogliere gli asset “tossici” delle banche tedesche, nel tentativo di restituire fiducia ai mercati. Il governo, inoltre, aveva precedentemente istituito un fondo statale da 500 miliardi di euro per il salvataggio delle stesse banche.

SPAGNA

La crisi ha colpito fortemente il sistema delle casse di risparmio, che è stato oggetto di una profonda ristrutturazione, con una serie di fusioni che complessivamente hanno coinvolto 39 casse di risparmio, sulle 45 esistenti. Al sistema bancario nel suo complesso lo Stato ha offerto un piano di sostegno da 9 miliardi di euro. Il governo ha proposto inoltre per hedge funds e società di private equity non europee regole più restrittive qualora esse svolgano attività all’interno dei 27 Paesi membri dell’Ue.

GRECIA

Per contrastare l’esplosione del debito, il governo di Atene ha dapprima provato a rispondere unilateralmente, successivamente ha dovuto accettare prima la supervisione del Fmi, poi un maxi-aiuto dai Paesi dell’Ue.

IRLANDA

Alla fine del 2008 Dublino ha approvato una garanzia statale illimitata per due anni per le principali banche del Paese. Successivamente ha annunciato l'iniezione di 7 miliardi di euro nelle due principali banche del Paese: Allied Irish Bank (AIB) e Bank of Ireland (BofI), in cambio di un’opzione per il controllo del 25% del capitale. È stata inoltre creata una bad bank, la National Asset Management Agency, per assorbite i titoli tossici delle banche fino a 90 miliardi di euro. Alla fine del 2009, il ministro delle Finanze ha annunciato il più importante taglio al budget mai registrato da decenni nell’isola. L’Irish Financial Services Regulatory Authority (IFSRA), infine, ha svelato recentemente un piano per intensificare la supervisione sul sistema bancario interno.

FRANCIA

Il Parlamento sta esaminando un progetto di legge di regolazione bancaria che dovrebbe rafforzare i poteri dell’Autorità per i mercati finanziari, imporre nuove norme per le agenzie di rating e interdire, in alcuni casi, le vendite allo scoperto. Il ministro delle Finanze, Christine Lagarde, si è detto favorevole a un nuovo prelievo fiscale ad hoc sui business degli istituti di credito.

GRAN BRETAGNA

Il nuovo governo conservatore ha svelato un progetto per abolire la FSA (Financial Services Authority) a partire dal 2012 e rafforzare invece i poteri della banca centrale. Il precedente esecutivo di Gordon Brown aveva imposto una tassa straordinaria del 50% sui bonus più alti dei dirigenti della City di Londra. Nel Paese si è inoltre proceduto a importanti salvataggi bancari, che hanno coinvolto Royal Bank of Scotland e Lloyds.

ITALIA

Nella penisola non si sono visti salvataggi bancari e non sono al vaglio particolari riforme della finanza. Nel 2009 Bankitalia ha rafforzato i controlli sui fondi propri delle banche e fissato alcune regole sulle remunerazioni. Il governo ha pianificato, inoltre, l’emissione di obbligazioni bancarie speciali da parte degli istituti di credito quotati che siano in sane condizioni finanziarie (note come Tremonti bonds). Si tratta di titoli sottoscritti dal ministero dell’Economia che hanno l’obiettivo di rafforzare il capitale di vigilanza “Core Tier 1” e, sulla carta, favorire l’erogazione del credito a famiglie e imprese.

CINA

In un sistema in cui la finanza, come il resto dell’economia, è interamente controllata dallo Stato, il dibattito ruota attorno alle misure necessarie per ammorbidire le politiche valutarie sul mercato internazionale e per sgonfiare la bolla immobiliare. La banca centrale ha già alzato per tre volte, dall’inizio dell’anno, i livelli di riserve obbligatorie per le banche. Secondo Moody’s anche il sistema degli istituti di credito cinese dovrà affrontare il problema dei bad loans (i prestiti “tossici”), ma non dovrebbero esserci rischi “sistemici”. Le autorità di Pechino sono dovute intervenire a più riprese per congelare, sospendere o modificare proprio l’erogazione di mutui, al fine di raffreddare il mercato immobiliare e abbassare la leva. Basti pensare che le vendite di case nel Paese sono cresciute nel 2009 del 75,5% rispetto all’anno precedente, per un controvalore pari a 4.400 miliardi di yuan (644 miliardi di dollari). Nonostante tali piccoli accorgimenti l’economia continua a girare a pieno ritmo e, anzi, in molti auspicano un contenimento della crescita al fine di evitare pericolosi “surriscaldamenti” speculativi. Nota è, inoltre, la disputa con gli Usa sullo yuan, che secondo Washington è decisamente sottovalutato al fine di agevolare le esportazioni. Ne è sorto un forte contrasto internazionale, con accuse reciproche, sfociato in una parziale concessione alla fluttuazione della moneta da parte di Pechino.

GIAPPONE

Il Paese era, di fatto, vaccinato agli eccessi della finanza. L’esplosione della bolla immobiliare del 1990, infatti, aveva fatto sì che l’arcipelago asiatico avesse già adottato una serie di misure per stabilizzare il sistema. Per questo, le sue banche sono riuscite ad attraversare la crisi senza soccombere. E c’è fiducia nell’attuale sistema di regole, che prevede in particolare una garanzia sui depositi bancari pari a 10 milioni di yen (110 mila euro). Rimangono aperte soprattuto le questioni della disoccupazione, che ha raggiunto il 5,2% a maggio scorso (si tratta del terzo aumento mensile consecutivo e del livello più alto dal dicembre del 2009), dell’export, che, a causa del crollo della domanda globale, ha inciso profondamente sul settore privato (risultato: le compagnie giapponesi da cinque anni non accumulavano quantità così alte di prodotti nei propri magazzini) e del debito pubblico (già tra i più alti del mondo in rapporto al Pil prima della crisi, e che secondo il Fondo monetario internazionale potrebbe schizzare al 220% entro il 2014). Bank of Japan, per sostenere il sistema bancario, ha inoltre iniettato liquidità per 5 mila miliardi di yen (circa 45 miliardi di dollari) lo scorso mese di maggio, raddoppiato i prestiti e - da tempo posto i tassi ai minimi storici. Va ricordato infine, che l’istituto Nomura ha acquisito parte delle attività della defunta Lehman Brothers all’indomani del crack.

COREA DEL SUD

Seul ha apportato vaste riforme dopo la crisi del 1997-98, e anche per questo le banche del Paese sono state relativamente risparmiate dalla crisi attuale. Il governo ha pianificato una manovra ad ampio spettro da 17.700 miliardi di won (13 miliardi di dollari), comprensiva di prestiti semplificati, finanziamenti alle infrastrutture e piani di reinserimento lavorativo, per affrontare la prima recessione del Paese da più di dieci anni.

CANADA

Le banche hanno resistito bene alla crisi nel Paese nordamericano. Per questo il governo si è opposto e si oppone a una tassa internazionale sugli istituti di credito, che a suo avviso colpirebbe indiscriminatamente il sistema finanziario.

BRASILE

Il presidente Lula ha rafforzato la vigilanza soprattutto per scongiurare una crescita esagerata del credito. Rispetto al 13,75% della fine del 2008, i tassi di interesse sono stati tagliati di 4 punti percentuali.

LE POLITICHE ECONOMICHE ADOTTATE DAI GOVERNI IN RISPOSTA AL TERREMOTO DELLA FINANZA


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MISURE SPECIALI PER STABILIZZARE IL SISTEMA FINANZIARIO AUSTRIA

Assicurazione sui depositi Limitazioni vendite scoperto Iniezioni di capitale Garanzie sul debito Assicurazione di attività Acquisto di attività Nazionalizzazioni

BRASILE

X X

CANADA SVIZZERA GERMANIA FRANCIA G. BRETAGNA HONG KONG

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X

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X X X

X X X X X X X

X X

ITALIA

X X X X

GIAPPONE

COREA

PAESI BASSI

X X X X

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USA

X X X X X X X

FONTE: COMMISSIONE EUROPEA

FONTE: BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZ.

| finanzaetica | STIMOLI FISCALI NEL 2009 2,5 [ % DEL PIL ]

ES

2

US

AT

1,5 1 0,5

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G20 a Toronto, andata e ritorno con le stesse idee

Sono passati 3 mesi, ma è il caso di ricordare che cos’è avvenuto al G20 di Toronto di giugno: nulla di concreto. Lo racconta il nostro inviato in Canada, Andrea Baranes.

S

IAMO STATI ACCOLTI NEL CENTRO STAMPA del G20 di Toronto con specialità culinarie canadesi. C’era un megaschermo che trasmetteva in diretta le partite del mondiale sudafricano, delle sdraio vicino a un laghetto artificiale appositamente realizzato per godersi la di Andrea Baranes bellezza dei paesaggi canadesi proiettati sullo sfondo. Dal media center bisognava camminare quasi un'ora per arrivare nei pressi del centro congressi dove si svolgeva il G20, ai margini di una zona rossa militarizzata oltre ogni immaginazione per proteggere i 20 capi di Stato e di governo dal mondo esterno che dovrebbero rappresentare. Un clima surreale, sottolineato anche dal bilancio del vertice. Il grande risultato del G8 è stata la decisione

di versare una cifra intorno ai 7 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per la salute materna e infantile nei Paesi più poveri del Pianeta. Il Canada si è impegnato per una cifra vicina al miliardo di dollari. L’organizzazione del G8 e del G20 è costata – laghetto artificiale incluso – grosso modo la stessa somma. Un miliardo in cinque anni per salvare vite umane, un miliardo in tre giorni per organizzare il vertice. I risultati del G20, tenutosi immediatamente dopo il G8, non sono certo stati più brillanti. Un G20 che allo scorso vertice di Pittsburgh si era auto-nominato coordinatore dell’economia internazionale. Ed è proprio questo ruolo di coordinamento a essere mancato completamente. Ogni Paese è arrivato e ripartito da Toronto

con le proprie proposte e idee. È stato trovato un accordo di massima per dimezzare il deficit entro il 2013, con un richiamo al processo di Basilea sui capitali bancari e pochissimo altro, anche su questioni di fondamentale importanza quali la regolamentazione dei derivati, i paradisi fiscali, gli squilibri monetari internazionali o la lotta ai cambiamenti climatici.

Nulla di fatto per la TTF Sulla proposta di istituire una tassa sulle transazioni finanziarie, sostenuta da Francia e Germania, ma anche dalle reti della società civile internazionale, il documento finale si limita a dire che “esistono diversi approcci politici. Alcuni Paesi stanno perseguendo la strada delle tassazioni finanziarie. Altri hanno scelto approcci diversi”. Tutto qui. Nessun impegno, seppur vago, nessuna data, nessuna prospettiva. Una formula talmente generica da sfiorare il ridicolo. Di fronte ai veti incrociati dei singoli Paesi, è difficile che lo stesso G20, che si rivedrà a Seoul a novembre, possa andare molto oltre. È allora l’Europa che deve assumere una leadership e lavorare da subito per un’approvazione della tassa nell’Eurozona. Diverse ricerche hanno dimostrato come sia tecnicamente fattibile. È unicamente una questione di volontà politica. Germania e Francia sembrano voler intraprendere questa strada, anche come segnale per la comunità internazionale.

L’Italia deve fare la sua parte. Pochi giorni prima del G20 sono state approvate diverse risoluzioni parlamentari che impegnano il governo italiano, qualora ci fosse un consenso internazionale, a lavorare per l’approvazione della tassa. Persino il mondo bancario sembra oggi muoversi nella stessa direzione, come mostra la posizione dell’Amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, sul Sole24Ore, pochi giorni dopo il G20. In tutta Europa oggi la parola d'ordine è tagli alla spesa pubblica e misure di austerità. In pratica i debiti accumulati da una finanza senza regole sono stati trasferiti agli Stati tramite i piani di salvataggio e, da questi, stanno passando sulle spalle di cittadini e lavoratori. Un enorme trasferimento di ricchezza dalle fasce più deboli della popolazione verso la finanza e gli speculatori. Un gigantesco piano di “welfare al contrario” tanto scandaloso quanto ingiusto. È ora di invertire la rotta, per frenare la speculazione e per far sì che chi ha le maggiori responsabilità per la crisi ne paghi almeno una parte dei costi. La tassa sulle transazioni finanziarie permette di andare in queste direzioni. Le ricadute sarebbero molto positive sul piano economico e finanziario, ma, ancora prima, e nell’attuale congiuntura economica, si tratterebbe finalmente di un segnale forte nella direzione di una maggiore giustizia ed equità sociale. Un segnale che il G20, ad oggi, non ha saputo o non ha voluto dare.

Sopra, la zona rossa a Toronto durante il G20. La città è deserta, circondata da reti di ferro e con poliziotti ovunque.

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Il microcredito vola in Italia E oggi ha un posto nella legge

Un’indagine dello European Microfinance Network: nell’Ue il settore è in stallo. In Italia, invece, i microprestiti sono quintuplicati in due anni. E per la prima volta la microfinanza entra nel Testo unico bancario.

P

32 80 2.146 53% 47%

86 4%

FONTE: FONDAZIONE GIORDANO DELL’AMORE, EUROPEAN MICROFINANCE NETWORK, RITMI (RETE ITALIANA DI MICRO FINANZA) – “IL SETTORE DEL MICROCREDITO IN EUROPA E IN ITALIA”, MILANO, 28 GIUGNO 2010 FUNDACION NANTIK LUM - “OVERVIEW OF THE MICROCREDIT SECTOR IN THE EUROPEAN UNION”, LUGLIO 2010

IÙ FORTE DELLA CRISI, più forte del trend europeo, abbatalia di viaggiare in controtendenza. In Europa, spiegano i ricercastanza forte da meritarsi un posto nella nostra nor- tori, il valore dei microcrediti si è ridotto del 6% negli ultimi due anmativa. Il microcredito italiano cresce a ritmo espo- ni. Il numero dei clienti addirittura del 20%. nenziale e si prepara ad andare Essere grandi e consolidati, una volta tanto, non è stato un vanincontro a una nuova fase: quella del- taggio. «La maggior parte delle istituzioni europee ha avuto diffidi Matteo Cavallito la maturità e del piecoltà nel reperimento dei fondi, un fenomeno I NUMERI no sviluppo. È questa, in estrema sintesi la fotogra- DEL MICROCREDITO che si è tradotto nella contrazione dei prestiti fia emersa dall’ultima indagine condotta dalla Rete ITALIANO erogati», spiega Maria Cristina Negro della FonItaliana di Microfinanza (Ritmi) in collaborazione dazione Giordano Dell’Amore. «Le realtà italiane con la Fondazione Giordano Dell’Amore (Fgda) e sono ancora piccole, concedono in media 60 preISTITUZIONI ESAMINATE DALLA RICERCA realizzata nell’ambito della ricerca condotta su scastiti l’anno ciascuna, e, lavorando a stretto conla continentale dallo European Microfinance tatto con le banche, non hanno problemi nella Network. raccolta dei fondi anche se affrontano maggiori TOTALE ISTITUZIONI ATTIVE (STIMA) difficoltà nella gestione dei costi dei servizi non finanziari». Sfruttando l’inerzia di un processo di Numeri da record CLIENTI A DICEMBRE 2009 DI CUI: sviluppo ancora nelle fasi iniziali, in altre parole, Quasi duemila crediti erogati da 32 istituzioni la microfinanza italiana sarebbe addirittura riuper un valore complessivo vicino agli 11 milioDONNE* scita a cavalcare l’onda di una crisi capace di far ni di euro. Se paragonate ai dati europei (84.500 aumentare la domanda di credito. crediti concessi nell’ultimo anno per un fatturato complessivo di 828 milioni) le cifre italiane IMMIGRATI O MINORANZE ETNICHE* restano tuttora piuttosto basse. Ma gli operatori Finalmente una legge della Penisola hanno almeno un paio di validi Alla fine del 2008 Ritmi calcolò che la domanda NUM. MEDIO DI CLIENTI PER ISTITUZIONE motivi per esultare. In primis c’è l’incredibile potenziale di microfinanza valesse 40 miliardi di espansione dei microprestiti che, in Italia, sono euro. Non sappiamo se la stima sia ottimistica, ma addirittura quintuplicati nell’ultimo biennio (ve- TASSO D’INTERESSE MEDIO APPLICATO di certo il settore continuerà a crescere anche nel di TABELLA ). In secondo luogo, c’è la capacità dell’I- *CALCOLO SULLA BASE DEL NUMERO DEI CREDITI prossimo biennio, a fronte delle carenze sistemiche che alimentano l’esclusione dai circuiti tradizionali. Ad oggi il 10% dei lavoratori dipendenti in Italia non ha nemmeno un conto corrente. Saranno state certamente anche queste cifre a indurre il legislatore a inserire per la prima volta la

Varata la riforma del Testo unico bancario, per la prima volta definito il microcredito. Nessun accenno alla finanza mutualistica. Critiche le Mag

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RIFORMA DEL TUB: NESSUNA TRACCIA DELLA FINANZA MUTUALISTICA «NELLA RIFORMA DEL TESTO UNICO BANCARIO, viene riconosciuto il microcredito, ma non c’è traccia della finanza mutualistica e solidale. Che era invece stata indicata dalla stessa direttiva europea che ha spinto a introdurre un articolo sulla microfinanza». Giampiero Arpaia, presidente della Cassa Maurizio Capuano Società Cooperativa, fa riferimento alla direttiva 2008/48/CE. Il termine “finanza mutualistica” non compare da nessuna parte nel testo, ma, precisa Arpaia: «viene descritta perfettamente, seppur con altre parole. La direttiva parla di organizzazioni che riuniscono lavoratori dello stesso ambiente di lavoro, che si mettono insieme per raccogliere risparmi da prestare ai membri della stessa cooperativa. Questa è finanza mutualistica. Ma nella norma del Tub non compare. Il microcredito è una meritoria forma di lotta alla povertà e all’esclusione sociale, ma è cosa diversa dalla finanza mutualistica e solidale». SEGNALI POSITIVI PER LE MAG Della stessa opinione le Mag (Mutue autogestite), simili per molti aspetti alle casse di mutualità, ma che raccolgono e impiegano il risparmio sul territorio invece che in un determinato ambiente di lavoro. Temevano che la riforma del Testo unico bancario potesse prevedere un inasprimento dei requisiti richiesti per erogare prestiti, rischiando così di essere escluse da questa possibilità. Invece «sembra esserci stata una leggera apertura», dichiara Giorgio Peri, vicepresidente della milanese Mag2 Finance. «Nell’articolo 108 si trasferisce alla Banca d’Italia il potere di decidere in base a “criteri di proporzionalità, avuto riguardo alla complessità operativa, dimensionale e organizzativa, nonché alla natura specifica dell’attività svolta”, parole che lasciano sperare che le Mag vengano considerate diversamente dalle grandi società finanziarie». Ma si trova anche un altro segnale positivo nell’articolo 111, continua Giorgio Peri: «Si fa riferimento alla possibilità di erogare prestiti da parte di soggetti giuridici senza fine di lucro». Tutto rinviato a Bankitalia quindi, sperando che non decida di applicare regole più rigide sul capitale sociale minimo (oggi 600 mila euro, ma si diceva che Banca d’Italua volesse alzarlo a 1,2 milioni) e di introdurre adempimenti burocratici impossibili da gestire per una Mag. LA PROVENIENZA DEL DENARO Tra le critiche delle Mag alla nuova norma ce n’è anche una sulla definizione di microcredito: nel testo dell’articolo 111 - hanno spiegato le Mag nel loro appello al mondo politico - non si parla di “provenienza del denaro”, di “modalità partecipate di gestione” dello stesso né di “finalità sociale”. «Concretamente - precisano le Mag - una banca armata potrà costituire una finanziaria che fa microcredito e presentarsi automaticamente tra i buoni».«Per questo attendiamo ancora un riconoscimento della finanza mutualistica e solidale, della sua specificità».

FONTE: FONDAZIONE GIORDANO DELL’AMORE, EUROPEAN MICROFINANCE NETWORK, RITMI (RETE ITALIANA DI MICRO FINANZA) – “IL SETTORE DEL MICROCREDITO IN EUROPA E IN ITALIA”, MILANO, 28 GIUGNO 2010

| finanzaetica | finanza micro e mutualistica |

LA CRESCITA DEL MICROCREDITO IN ITALIA CREDITI EROGATI 2009

1.909 1.364

2008 2007 2006

392 331

PORTAFOGLIO EROGATO IN MIGLIAIA DI EURO 2009

10.925 10.316

2008 3.634

2007 2006

2.486

ISTITUZIONI CENSITE 2009

32 32

2008 27

2007

27

2006 MEDIA CREDITI/ISTITUZIONI 2009

60 43

2008 15

2007 2006

12

SINGOLO CREDITO MEDIO EROGATO IN EURO 2009

5.723 7.563

2008

9.270

2007 7.511

2006

LA FONDAZIONE GIORDANO DELL’AMORE PREMIA I PROGETTI DI MICROCREDITO

MICROCREDITO SOCIALE ALL’ANGOLO Tra le critiche all’articolo 111 c’è anche il fatto che non sia stato valorizzato il microcredito sociale: «Vediamo che il testo del governo, pur riconoscendo l’esistenza del microcredito assistenziale, lo ritiene residuale e di minore impatto», dichiara Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica. «Una scelta che ci appare poco lungimirante nell’attuale fase di perdita di potere di acquisto delle famiglie, e di crescente disoccupazione».

DIFFONDERE IDEE, buone pratiche e modelli operativi innovativi nell’ambito della microfinanza in Italia e nel mondo. Far incontrare progetti e fonti di finanziamento; dare supporto a reti e gruppi di lavoro su temi della microfinanza. Sono gli obiettivi della Fondazione Giordano dell’Amore, che ogni anno propone un convegno per fare il punto sullo stato dell’arte della microfinanza (il prossimo sarà a giugno 2011), a cui è abbinato il Premio Giordano Dell'Amore (il bando sarà pubblicato a ottobre), che assegna al vincitore un fondo da destinare a progetti di microfinanza e prevede la pubblicazione di un libro con le migliori esperienze selezionate. www.fgda.org

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| agricoltura | finanzaetica |

microfinanza nella legge italiana. Ecco che, nella riforma del Testo unico bancario (la maxi legge che disciplina l’intermediazione finanziaria), approvata alla fine di luglio, compare un articolo (il 111) intitolato appunto “microcredito”, che definisce i confini di questo strumento: sia di quello per attività imprenditoriali (non oltre 25 mila euro, per “finanziamenti finalizzati all’avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all’inserimento nel merca-

to del lavoro”), sia di quello sociale (al massimo 10 mila euro a “persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale”). Seppure al microcredito sociale sia stata assegnata solo una funzione marginale. A dire il vero a chiedere un riconoscimento di legge al microcredito è stata una direttiva europea: la 2008/48/CE del 23 aprile 2008. A oltre due anni di distanza la legge finalmente è arrivata.

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Il futuro? Una microfinanza “all’italiana”

Il vicepresidente di Ritmi Giampietro Pizzo: obiettivi comuni per microcredito e tradizione mutualistica.

I

L MICROCREDITO ITALIANO HA TUTTI I NUMERI per andare incontro a un’espansione senza precedenti. Un motivo in più per proseguire sulla strada delle riforme di legge e, soprattutto, realizzare un lavoro comune. Per Giampietro Pizzo, vicepresidente di Ritdi Matteo Cavallito mi e presidente di Microfinanza Srl, le critiche avanzate dal mondo delle Mag sono importanti, ma all’orizzonte non c’è nessuno scontro. Nel futuro, ci spiega, ci sarebbe al contrario la valorizzazione di una tradizione comune.

Contrariamente a quanto accade in Europa il microcredito italiano conosce un’espansione senza precedenti. Quali sono le prospettive del settore? Le potenzialità sono enormi. Alla fine del 2008 uno studio di Ritmi stimò in 40 miliardi di euro il valore della domanda potenziale di servizi microcreditizi. La contrazione del credito prodottasi con la crisi favorisce ulteriormente questo fenomeno. Al tempo stesso, tuttavia, intercettare la domanda non è sempre facile, per questo occorre identificare meglio il target degli utenti: vecchi e nuovi poveri, migranti, in generale tutti coloro che sono esclusi dai circuiti bancari tradizionali. Accanto allo sviluppo del microcredito gli ultimi anni si sono caratterizzati anche per la crescita del fenomeno del credito al consumo. Due realtà diametralmente opposte che, tuttavia, rischiano a volte di essere confuse tra loro. Certo, per questo è fondamentale avere una definizione precisa e condivisa del microcredito in Italia. In questo senso come Ritmi guardiamo con favore alle ultime modifiche legislative del Testo Unico Bancario e, in mo-

arrivare a una “Fondamentale definizione del microcredito in Italia. Ma bisogna riconoscere

il ruolo della finanza mutualistica

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do particolare, alla definizione delle caratteristiche dei soggetti che operano nel settore del microcredito sociale e d’impresa contenute nel famoso articolo 111 del testo. Al tempo stesso, tuttavia, pensiamo che alcuni aspetti siano perfezionabili per garantire maggiore attenzione al microcredito sociale e al ruolo delle cooperative come soggetti finanziari che erogano, ma anche come possibili beneficiari di prestiti. La riforma di legge però non soddisfa proprio tutti. Le Mag lamentano il mancato riconoscimento della finanza mutualistica. È un problema che sentiamo anche noi, non dimentichiamo infatti che alcune Mag sono anche socie di Ritmi. Tra le nostre proposte, avanzate al legislatore, c’era ovviamente il riconoscimento del ruolo fondamentale svolto dalle cooperative e dalle strutture mutualistiche così come quello interpretato dalle associazioni senza fini di lucro e dalle società di mutuo soccorso che in Italia rivestono un’importanza fondamentale. Secondo le Mag, per altro, la legge non fornirebbe nemmeno un’adeguata definizione del microcredito. Si parla di mancata attenzione alla provenienza del denaro, assenza di modalità partecipate di gestione del capitale, irrilevanza della finalità sociale. Anche una “banca armata”, affermano i critici, “potrebbe costituire una finanziaria che fa microcredito e presentarsi automaticamente tra i buoni”… La provenienza del denaro, il suo impiego e la sua finalità sociale sono questioni importanti e condivise da tutti coloro che operano nel microcredito. Le critiche avanzate sono molto forti, è vero, ma vi si deve reagire positivamente. Dobbiamo lavorare insieme per garantire lo sviluppo di una microfinanza per così dire “all’italiana” tenendo conto delle caratteristiche che essa assume in questo Paese. Per questo dobbiamo fare tesoro tanto dell’esperienza della finanza etica quanto della tradizione mutualistica e solidale.

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Terre des Liens Investire nella terra

F

INANZA E AGRICOLTURA. In apparenza queste due attività c’entrano poco o niente l’una con l’altra. Ma, in realtà, i punti di contatto sono molti. Sui mercati finanziari, in apposite Borse, si decidono le tariffe di molte sementi, cereali e di Elisabetta Tramonto prodotti agricoli. In questi casi la finanza fa brutti scherzi all’agricoltura, muovendo i prezzi e, quindi, costi e guadagni degli agricoltori a piacimento degli speculatori o, comunque, senza alcun contatto con la situazione reale. Poco conta, per esempio, nel determinare a quanto un contadino riuscirà a vendere un quintale di grano, il lavoro necessario per produrlo. Altre volte, invece, la finanza può essere un aiuto fondamentale per l’agricoltura. Una finanza molto particolare. Accade in Francia, dove, mentre ogni settimana scompaiono 200 aziende agricole e ogni giorno 160 ettari di verde sono inghiottiti dal cemento, è nata una società finanziaria fatta apposta per aiutare i piccoli agricoltori, per sostenere il biologico, per produrre cibo di qualità.

Finanza solidale per l’agricoltura Si chiama Terre des Liens, un’associazione creata nel 2003 per modificare il rapporto dell’uomo con la terra, con l’agricoltura, con il cibo e la natura, migliorando la gestione della proprietà fondiaria. «Dalla seconda guerra mondiale l’industrializzazione dell’agricoltura ha avuto un impatto stravolgente sulla società. È il momento di restituire la terra ai piccoli agricoltori», spiega Sjoerd Wartena, fondatore e presidente di Terre des Liens, d’origine olandese, da 30 anni in Francia, nella Drôme. Per raggiungere i suoi scopi Terre des Liens ha fatto ricorso alla finanza solidale. Ha creato due strumenti

finanziari: la Fondiaria Terre de Liens e la Fondazione Terre de Liens. La prima è stata creata nel dicembre 2006 per raccogliere i risparmi di cittadini e acquistare terreni da affittare ad agricoltori, in particolare a chi si impegni a coltivare seguendo metodi biologici. Un appello pubblico ha permesso di raccogliere 3 milioni di euro in 6 mesi, oggi ha un capitale sociale di 11 milioni di euro, grazie al quale è stato possibile acquistare 50 aziende agricole, con 2.000 ettari di terreno, e affittarle a contadini. La Fondazione Terre de Liens, invece, è stata creata nel 2009 e gestisce un fondo di dotazione, che permette di raccogliere donazioni da destinare a progetti agro-rurali. Il segreto di questo progetto sta proprio nella separazione dei compiti: da un lato ci sono gli investitori, che decidono di mettere i propri risparmi nella fondiaria, dall’altro chi gestisce le aziende agricole. «È un progetto interessante che potremmo replicare anche in Italia», dichiara Fabio Salviato, ex presidente di Banca Etica, oggi presidente di Sefea (Società europea di finanza etica alternativa). «Permette di coniugare la domanda di biologico con quella di prodotti finanziari alternativi. In più c’è anche il fronte dei cittadini socialmente responsabile che vedono la possibilità di investire i propri risparmi in un progetto di cui potranno vedere i benefici sia economici, grazie alla defiscalizzazione dell’investimento (per 5 anni godono di un beneficio fiscale del 25%), sia per la salute, favorendo la coltivazione biologica e la vendita diretta dei prodotti in città. Il signor Wartena mi ha chiesto, come presidente di Sefea di verificare come si possa costruire uno strumento simile in Italia. C’è già un gruppo di agricoltori biodinamici interessati e avremo un primo incontro a settembre. Ma siamo solo in una fase iniziale. In Italia la terra costa cara, 10 volte più che in Francia. Ma ci sono terre in affitto a prezzi stracciati. Potremmo affittarle e acquistare le attrezzature, coinvolgendo le 2 scuole italiane di agricoltura biologica».

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11 milioni di euro di capitale sociale, 50 aziende agricole, 2.000 ettari (in affitto) coltivati quasi sempre con metodo bio |

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Strumenti per una società più equa

APPUNTAMENTI SETTEMBRE>NOVEMBRE

Un progetto di successo. Sjoerd Wartena, il fondatore di Terre des Liens racconta le origini, le motivazioni, le aspirazioni dell’iniziativa che unisce città e campagna e che punta anche sui giovani.

I

N FRANCIA ESISTE UN ISTITUTO GIURIDICO che si chiama “proprietà collettiva della terra”, ma è su piccola scala e non è duraturo. Per questo ho pensato a qualcosa di più efficace, come un mercato azionario organizzato per la terra. Sjoerd Wartena, fondadi Elisabetta Tramonto tore e presidente di Terre des Liens, racconta a Valori le motivazioni che lo hanno spinto a mettere in atto questo progetto.

Agricoltura e finanza sono considerati mondi molto lontani. Perché creare un mercato della terra? Esiste un mercato della terra, oggi sempre più preda di grandi fondi d’investimento e di governi come quello cinese o dell’Arabia saudita, che si accaparrano milioni di ettari, ai danni dei piccoli agricoltori asiatici o africani. Banca Etica mette in pratica un altro modo di gestire il denaro, Terre des Liens un altro modo di gestire la terra, restituendola ai contadini che la vivono e la coltivano con metodi biologici. Per ora in Francia, ma, perché no, domani anche altrove. Perché qualcuno dovrebbe investire in Terre des Liens? Gli azionisti hanno diritto a un beneficio fiscale se tengono il loro denaro per cinque anni nella società di investimento solidale: la fondiaria Terre des Liens. Dopo di che le loro quote saranno rivalutate secondo il tasso di inflazione. Se i conti lo permetteranno. Ma il vero guadagno è un utilizzo migliore della terra, prodotti di buona qualità e di prossimità, l’impiego di giovani e non giovani in cerca di un lavoro che avesse un senso e, infine, la creazione di un legame (da qui il nome “liens”) tra chi vive in campagna e chi in città.

investe nella fondiaria ha un beneficio fiscale, “Chi ma il vero guadagno è un

utilizzo migliore della terra

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Lei sostiene che nel vostro progetto chi mette il denaro non decide che fare con la terra. Com’è possibile? Terre des Liens non vuole che dei (grandi) investitori decidano quale tipo di agricoltura la nostra società di investimento debba promuovere. Se investono il loro denaro nella fondiaria significa che hanno letto i nostri obiettivi, lo statuto e la carta e che li condividono. Quindi delegano totalmente la gestione. È il motivo per cui abbiamo creato una società in accomandita, in cui gli azionisti non hanno la gestione della terra, ma controllano solo i conti. La gestione è in mano ai fondatori della società: la Nef e Terre des Liens, che sono i garanti di una gestione in linea con gli obiettivi e lo statuto. Oggi è possibile vivere facendo il contadino in Francia? È una scelta che portano avanti anche i giovani? Se si è capaci di fare il proprio mestiere, se ci si occupa anche della trasformazione dei prodotti agricoli o lo si fa in piccole cooperative, se si pratica la vendita diretta o semi-diretta (in piccole cooperative) e di prossimità (a Km zero o quasi), se si produce il proprio concime e non lo si compra all’esterno si guadagna di più di chi usa metodi tradizionali, non biologici e monoculturali. I metodi non naturali richiedono pesanti investimenti e grandi superfici, con un prezzo di vendita stabilito dai capricci del mercato mondiale. È per questo che dipende da un sistema di sovvenzioni europee, che sarà un giorno smantellato come uno dei più grandi scandali della politica comunitaria. Perché avvantaggia questi grandi produttori industriali e li stimola a continuare a usare male la terra e ad approvvigionare un’industria alimentare alla conquista dei mercati e non alla ricerca di prodotti sani. Un’agricoltura biologica in montagna, come da noi nella Drôme, può permettere di guadagnare un salario paragonabile a una maestra o un artigiano qualificato. È certamente un salario minimo, non è un mestiere per chi cerchi il guadagno facile, ma per me i giovani che lo praticano costituiscono un’avanguardia di una società più equa.

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4 settembre CERNOBBIO (COMO) FORUM ANNUALE DI “SBILANCIAMOCI!”: “FUORI DALLA CRISI CON UN’ALTRA ECONOMIA” Appuntamento a Cernobbio per il forum annuale di “Sbilanciamoci!” organizzato in contemporanea con il Workshop dello Studio Ambrosetti, punto d’incontro dei vertici della politica e della finanza italiana. Due le sessioni previste: in mattinata incontro presso la Sala del Comune sul tema: “Le alternative al declino dell’Italia. 10 proposte concrete per uscire dalla crisi”; nel pomeriggio, presso il Cinema Xanadu dell’Arci, si svolge la conferenza “Dopo la crisi. Idee e strategie a confronto per un nuovo modello di sviluppo”. www.sbilanciamoci.org 6 - 7 settembre LONDRA (UK) GLOBAL PARTNERSHIPS IN MICROFINANCE Conferenza sul tema della creazione di reti cooperative per lo sviluppo delle attività nel settore del microcredito. L’evento si svolgerà presso il World Heritage Maritime Greenwich campus della capitale inglese. microfinance.gre.ac.uk 10 - 12 settembre RETHYMNO (GRECIA) BEYOND THE CRISIS FIRST INTERNATIONAL CONFERENCE IN POLITICAL ECONOMY Conferenza organizzata dalla Soas International Initiative for Promoting Political Economy (IIPPE) e dalla Greek Scientific Association for Political Economy. L’evento rappresenta il punto d’arrivo dei precedenti workshop realizzati dall’IIPPE a Creta, Napoli e Ankara. www.soas.ac.uk/iippe

14 - 15 settembre SYDNEY (AUSTRALIA) RIAA’S 7TH INTERNATIONAL RESPONSIBLE INVESTMENT CONFERENCE Convegno sugli investimenti socialmente responsabili. Organizza la Responsible Investment Association Australasia (RIAA). www.responsibleinvestment.org

23 - 24 settembre CHICAGO (USA) MACRO-PRUDENTIAL REGULATORY POLICIES: THE NEW ROAD TO FINANCIAL STABILITY? Tredicesima conferenza bancaria annuale organizzata dal Fondo Monetario Internazionale in collaborazione con la Federal Reserve Bank of Chicago. www.chicagofed.org/webpages/events /2010/international_conference.cfm

27 settembre ROMA SFIDA PER L’INTEGRAZIONE: INCLUSIONE FINANZIARIA DEGLI IMMIGRATI L’inclusione finanziaria degli immigrati rappresenta uno strumento fondamentale per favorire e accelerare il processo di integrazione sociale. Ne sono convinti gli esperti di Abi (Associazione bancaria italiana) e di Fondazione Ethnoland, organizzatori dell’incontro presso Palazzo Altieri a Roma. “L’obiettivo – spiega Abi è quello di ragionare sul tema dell’inclusione finanziaria con i diversi soggetti interessati: dal sistema bancario alle istituzioni, dalle associazioni di categoria al terzo settore, consapevoli che gli obiettivi di inclusione finanziaria richiedono un insieme complesso di politiche di promozione e di sostegno allo sviluppo, non limitate ai confini dell’operatività della banca”. www.abieventi.it 27 - 28 settembre VENEZIA FROM THE WEALTH OF NATIONS TO THE WEALTH OF NATURE: RETHINKING ECONOMIC GROWTH Conferenza sul tema della conservazione della biodiversità e degli strumenti economici di promozione della stessa (tassazioni, contratti etc.) organizzata dalla Fondazione Enrico Mattei in collaborazione con Conservation International (CI) e lo United Nations Environmental Programme (Unep). Sede dell’incontro il Centro Culturale Don Orione Artigianelli di Venezia. www.bioecon.ucl.ac.uk 28 - 29 settembre CHICAGO (USA) CARBON TRADEEX AMERICA Convegno sulle problematiche legate alle emissioni di CO2 (monitoraggio, crediti, scambio, regolamentazione, carbon market). Organizza Carbon TradeEx – Koelnmesse. www.carbontradeex.com

A CURA DI MATTEO CAVALLITO | PER SEGNALAZIONI SCRIVETE A REDAZIONE@VALORI.IT

30 settembre GERA D’ADDA (BERGAMO) MICROINSURANCE: AN INNOVATIVE TOOL FOR DISASTER AND RISK MANAGEMENT - SCADENZA BANDO L’Associazione Emanuela Morelli, con il patrocinio della Società Italiana di Filosofia Politica, indice un Concorso per una Borsa di Studio da 3000 euro sul microcredito e la microfinanza. L’iniziativa è riservata a giovani studiosi e studiose in possesso almeno di una Laurea Specialistica o Magistrale o equivalente conseguita presso un’Università italiana o straniera considerata equipollente. sifp.it/pdf/bando.pdf

sulle prospettive di riforma del mercato del credito a seguito della prevista nascita della Consumer Protection and Markets Agency britannica www.origin8creative.co.uk 8 - 9 novembre ROMA BUSINESS INTERNATIONAL: TAVOLA ROTONDA CON IL GOVERNO ITALIANO Appuntamento annuale che riunisce istituzioni, aziende ed esponenti del mondo imprenditoriale ed economico, per discutere dei principali temi della politica economica italiana: l’innovazione tecnologica, lo sviluppo del mercato del lavoro e delle politiche di welfare, l’energia e l’ambiente per una crescita e uno sviluppo sostenibile. www.businessinternational.it

7 ottobre NEW YORK CITY (USA) ICCR’S ANNUAL SPECIAL EVENT Giunge alla sua 24sima edizione l’evento annuale aperto al pubblico dell’Interfaith Centre on Corporate Responsibility (ICCR). Attivo dal 1971 nello sviluppo dei temi della responsabilità d’impresa con la sua opera di azionariato attivo, l’ICCR raccoglie centinaia di investitori istituzionali di ispirazione religiosa. www.iccr.org

15 - 16 novembre NEW DELHI (INDIA) MICROFINANCE INDIA SUMMIT 2010 Conferenza annuale sul tema del settore della microfinanza Indiana. L’incontro avviene in un momento particolarmente caldo per il settore dopo la storica offerta pubblica iniziale che ha lanciato il colosso SKS nel mercato finanziario internazionale scatenando un dibattito sul futuro e sui rischi dell’evoluzione del microcredito. www.microfinanceindia.org 18 - 21 novembre SAN ANTONIO (USA) SRI IN THE ROCKIES 2010 Prodotto dal First Affirmative Financial Network in collaborazione con il Social Investment Forum, l’evento metterà a confronto le diverse esperienze degli operatori del settore evidenziando nuove opportunità d’investimento sostenibile. www.sriintherockies.com

12 ottobre AMSTERDAM (OLANDA) EUROSIF ANNUAL ADVISORY COUNCIL MEETING Evento annuale organizzato da Eurosif European Social Investment Forum, l’associazione creata nel 2001 allo scopo di riunire organizzazioni analoghe attive nei temi della finanza sostenibile e presenti nel Continente. www.eurosif.org

24 - 26 novembre ROMA CREDITO AL CREDITO Prima Convention sul credito alle persone e alle imprese dell’Associazione bancaria italiana (Abi). “Credito al Credito”, spiegano gli organizzatori, rappresenta “l’unica occasione di incontro in cui operatori, istituzioni e segmenti di clientela si confrontano su stato e prospettive dei diversi mercati: dal credito al consumo ai mutui, dal finanziamento alle infrastrutture al microcredito, dal credito agrario allo start-up di impresa, dal sostegno alle Pmi a quello per le organizzazioni non profit”. Al centro del dibattito si segnala l’analisi dell’impatto delle recenti evoluzioni normative sui mercati dei mutui e del credito ai consumatori. www.abieventi.it

12 - 15 ottobre COLOMBO (SRI LANKA) ASIA MICROFINANCE FORUM 2010 Conferenza sul settore della micro finanza asiatica organizzata da Banking With the Poor Network (BWTP) e Foundation for Development Cooperation (FDC). www.asiamicrofinanceforum.org 19 - 20 ottobre LONDRA (UK) RESPONSIBLE CREDIT UK CONVENTION 2010 Che cosa abbiamo imparato a due anni dalla crisi? Che cosa dobbiamo fare adesso? Sono i temi al centro dell’incontro londinese focalizzato |

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La riforma Obama

Wall Street come il far west dal cuore della finanza londinese Luca Martino

L’

ASPIRAZIONE ALLA LIBERTÀ HA CARATTERIZZATO DA SEMPRE LA BREVE STORIA DEL POPOLO AMERICANO: furono una quasi

simbolica tassa di registro e un modesto gabello sul commercio del tè, imposti dalla madrepatria Inghilterra, a riempire d’ardore i primi coloni americani e a spingerli a combattere per l’ideale d’indipendenza. E fu un altrettanto audace spirito pioneristico ad animare i figli di quei coloni che sconfissero il potente esercito inglese nel giro di pochi anni nella frenetica corsa all’oro e nelle cruenti battaglie con gli indiani d’America. Fu questa la determinazione con la quale vennero gettate le fondamenta della grande potenza americana e molti europei, Alexis de Tocqueville in primis, rimasero impressionati, tra l’altro, dalla capacità del popolo americano di auto-associarsi senza il supporto e la protezione di un vero e proprio Stato pur di perseguire il proprio sogno di libertà. Quella libertà di vivere indisturbati nella ricerca del proprio benessere, che gli Americani hanno da sempre creduto dovesse significare anche libertà, ad esempio, di portare armi, di farsi giustizia da soli e di pretendere la vita dei colpevoli di pur gravi reati, concetti giuridici e pratiche sociali che in quegli stessi anni molti illuministi Europei - il nostro Cesare Beccaria in particolare - avevano già giudicato come illiberali oltreché oltremodo crudeli e inefficaci. Ed è nel contesto della pioneristica conquista del “lontano occidente” che si sono consolidate in America, nei decenni che seguirono l’indipendenza, le prime banche e nacquero i primi mercati azionari per lo scambio dei capitali privati, tutto ciò in maniera molto diversa da come, secoli prima, le banche si strutturavano ad esempio nell’Italia rinascimentale dei Medici o dei Magistrati Senesi. Il tentativo delle banche Così, tornando all’oggi, due anni prima che, nel settembre di ridurre i propri rischi aumenta del 2000, il Chicago Mercantile Exchange lanciasse il primo quelli del sistema. Nonostante derivato creditizio “ufficiale”, già esistevano negli Stati Uniti i compromessi con i repubblicani contratti derivati cosiddetti over the counter (“sopra il bancone”, la riforma Obama contiene a richiamare proprio un immagine tipica del far west) ancora alcune misure efficaci per un controvalore di 80 mila miliardi di dollari, che sarebbero diventati i 614 mila miliardi del 2009. Una massa di denaro “virtuale” enorme, che oggi genera ricavi “reali” per circa 150 miliardi a favore di non più di una decina di banche di Wall Street. L’idea originaria allo base dello sviluppo del “libero” mercato dei derivati era semplice e tutto sommato razionale: scommettere sul valore di un indice (le richieste di fallimento delle persone fisiche - come nel caso di quel famoso primo derivato quotato - il valore di un paniere di monete, il livello dell’inflazione, ecc.) o di un’attività sottostante qualsiasi forma di investimento (il valore di un’azione, di un bene materiale come il petrolio o altre materie prime, di un altro derivato) per contenere le perdite nel caso in cui il proprio investimento primario scendesse sotto quel valore. Così come semplice e apparentemente realistica era l’idea originaria allo base dello sviluppo della cosiddetta “finanza strutturata”: aggregare varie attività rischiose per crearne di nuove, potenzialmente meno rischiose. Negli ultimi anni tuttavia, questi strumenti hanno smesso di essere pratiche per una gestione accorta del rischio di impresa e sono diventati strumenti per meri arbitraggi regolamentari e oscure operazioni di sconto del fabbisogno di capitale e di aumento dei profitti tramite cosmesi di bilancio più o meno lecite: non più semplici e libere contrattazioni finanziarie tra istituzioni bancarie per coprire le proprie esposizioni, ma sempre più complesse operazioni economiche che hanno coinvolto non solo le banche, al punto | 42 | valori |

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da determinare un vero e proprio vulnus alla stabilità dell’intero sistema economico, “un’arma di distruzione di massa” come ebbe ad esclamare nel 2003 pur un pioniere del profitto d’impresa come Warren Buffet. Il nocciolo del problema è che il rischio d’impresa delle banche, così come la materia - secondo il paradigma del celebre chimico del ’700 Lavoisier - non può venir rimosso dai derivati o dalle cartolarizzazioni: al contrario, i volumi di queste operazioni, che si limitano a trasferire il rischio specifico di qualche attività di una singola banca nei bilanci di qualcun’altra, aumentano esponenzialmente il rischio cosiddetto sistemico, quello che interessa tutta la società, salvando magari questa o quella istituzione finanziaria, ma danneggiandone irreparabilmente altre e, con loro, l’intero sistema. Cosa che puntualmente è avvenuta quando la recente crisi finanziaria, iniziata con la crisi delle cartolarizzazioni dei mutui subprime e dei relativi derivati presenti nei bilanci di alcune banche d’affari americane, è esplosa nella recessione che tuttora attanaglia le economie di mezzo Pianeta. Ora, con la riforma approvata alla fine di luglio a Washington, quello che cerca di fare Obama - le cui origini familiari poco hanno a che vedere con l’epopea della corsa all’oro o con lo spirito libertario dei Figli della Libertà di Boston che gettarono in mare il carico di tè di alcune navi della Compagnia delle Indie - è di proseguire a ritroso nella sua lunga marcia nel far west di Wall Street. Il lungo braccio di ferro con i Repubblicani e le lobby finanziarie ha ridimensionato di molto alcune tra le più importanti delle 2.323 pagine della riforma dei mercati recentemente approvata anche dal congresso a Washington: dal fondo di garanzia a carico delle banche (idea ripresa peraltro anche da Alessandro Profumo in un articolo sul Financial Times del 12 Luglio) alla separazione delle attività di trading da quelle commerciali, dalle regole specifiche sul livello di indebitamento e sulle dotazioni di capitale delle banche alla supervisione del settore assicurativo, alcuni dei provvedimenti più incisivi della riforma sono stati di fatto cancellati. Rimangono tuttavia alcune misure che vanno nella giusta direzione: il 5% di ogni attivo cartoralizzato dovrà rimanere in seno alle banche, le quali, laddove raccolgano i risparmi della clientela, non potranno più esercitare attività di proprietary trading; gli investimenti in fondi di private equity saranno limitati; i processi di liquidazione delle banche in caso di fallimento dovranno essere anticipatamente formalizzati e condivisi con le Autorità di controllo; i fondi pubblici non verranno più usati per salvare le banche, ma per aiutarne la clientela in caso di “genuina” difficoltà. Saranno infine istituiti un nuovo comitato di controllo e alcune agenzie a tutela dei consumatori con poteri di chiusura delle banche per manifeste irregolarità. Molti denunciano la portata limitata dello storico provvedimento, denunciando il rischio che, per far fronte a questa maggiore regolamentazione, le banche immettano sui mercati, tramite i propri consulenti, strumenti finanziari ancor più complessi di fatto aumentandone ulteriormente il rischio sistemico: ripensando a quanto sosteneva più di 2000 anni fa Aristotele nella “Politica” e nell’ “Etica Nicomachea”, stigmatizzando la “produzione di valori di scambio senza un incontro di bisogni reali” e paventando i “rischi della ricerca illimitata della ricchezza contro natura”, viene da condividere tali critiche, ma occorre riconoscere che la legge firmata da Chris Dodd e Barney Frank - due esponenti democratici che in passato avevano pur commesso errori difendendo le politiche clintoniane di concessione di mutui senza garanzie rappresenta pur sempre un importante passo avanti nella giusta direzione per contrastare i rischi di nuove crisi sistemiche che il far west di Wall Street arreca al mondo intero in nome di quella che Aristotele definiva la “crematistica non necessaria”. todebate@gmail.com

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Un altro passo oltre il Pil: anche il Cnel lo mette in dubbio >46 Impresa sociale: tutti la vogliono, in Italia e in Europa >50 Servizi pubblici, se sei virtuoso ti tirano le pietre >54

economiasolidale IN PUGLIA NASCE LA RETE DEI PRODUTTORI BIOLOGICI

GREEN ECONOMY MEDICINA SCACCIA CRISI: CI PUNTA IL 30% DELLE PMI ATTESI UN MILIONE DI POSTI

SOSTENIBILITÀ: LE RISPOSTE PASSANO PER IL WEB

CACCIAMO VIA I RIFIUTI: TORNA “PULIAMO IL MONDO”

CONTRATTI SCADUTI MA IL CAMPIDOGLIO LATITA. A ROMA CHIUDE LA CITTÀ DELL’ALTRA ECONOMIA?

NOTIZIE MEDICHE ANTI-LOBBY: NASCE INFORMASALUS

Il grande ostacolo allo sviluppo dell’agricoltura è spesso rappresentato dalla frammentazione dei produttori e dalla difficoltà, quindi, di competere con i grandi produttori tradizionali. Da questa convinzione è nata l’idea di Biologico Meridiano, un consorzio di produttori biologici operanti in Puglia, nei comuni di Bitonto, Mesagne e Altamura. Dell’organizzazione faranno parte 17 agricoltori e quattro importanti cooperative di produzione di grano e olio: il mulino Camema (di Altamura, Bari), Finoliva (società olivicola per la qualità), Libera Terra Puglia ed Alce Nero & Mielizia. «Questa nuova organizzazione – afferma Lucio Cavazzoni, presidente di Alce Nero & Mielizia – vuole rendere più forte la collaborazione tra le realtà del mondo bio, metterle in rete e dar loro nuovo impulso alla produzione e alla trasformazione dei prodotti». La rete rafforzerà i singoli produttori, rendendo possibile attuare le sinergie necessarie al salto di qualità sul fronte delle tecnologie utilizzate, della capacità gestionale, delle risorse finanziarie e della promozione dei prodotti. L’attività di Biologico Meridiano inizierà con la produzione di grano duro biologico, materia prima per la pasta bio di Alce Nero.

Non è più una prospettiva futuribile: la green economy si sta affermando come uno dei settori più pulsanti dell’economia italiana. Una chiave cruciale per affrontare in modo innovativo l’attuale crisi economica. Un’indagine della Fondazione Symbola per le Qualità italiane, di Unioncamere e dell’Istituto Tagliacarne rivela che il 30% delle piccole e medie imprese manifatturiere italiane (tra 20 e 499 addetti) nella crisi puntano anche su scelte connesse alla green economy. Percentuale che cresce ulteriormente nelle imprese che esportano (33.6%), in quelle cresciute economicamente anche nel 2009 (41.2%), e nelle aziende che hanno elevato la qualità dei loro prodotti (44.3%). L’indagine ha individuato 317 figure professionali “verdi”, all’interno di tutte le categorie professionali, con picchi tra i legislatori, i dirigenti, gli imprenditori e, più ancora (60%) tra artigiani, operai specializzati e agricoltori. Sulla base dell'andamento delle assunzioni green registrate negli ultimi anni si può stimare che tra nuovi occupati e riqualificazione di attività esistenti siano in gioco almeno un milione di posti di lavoro. «Superare la crisi - spiega Ermete Realacci, presidente di Symbola - è una sfida che l’Italia può vincere se saprà cogliere nelle caratteristiche del suo sistema produttivo le radici di una scommessa sul futuro. È questo il senso della green economy: la prospettiva di un’economia a misura d’uomo che affronta le questioni ambientali scommettendo su innovazione, ricerca e conoscenza». Oltre alla crisi economica, anche la sfida climatica si sta rivelando un alleato per la diffusione dei lavori verdi. La ricerca Symbola-Unioncamere rivela che vari settori del made in Italy stanno innovando sia i processi di produzione per aumentare efficienza energetica e ridurre i rifiuti, sia i prodotti finali: dal ceramico al fotovoltaico, dal settore del legno fino al conciario e al comparto nautico, che sta affrontando il tema del fine vita delle imbarcazioni.

Seconda edizione del workshop “A road to take: il web 2.0 per la sostenibilità” per internauti etici, blogger smanettoni o semplici curiosi di quello che la rete può fare. Tutto nasce dall’esperienza di Zoes, il primo social network equosostenibile italiano e consiste in una due giorni (24-26 settembre, a Vicchio in provincia di Firenze) di corso (iscrizioni aperte fino al 4 settembre, costo 130-170 euro). Un’edizione 2010 indirizzata, soprattutto, agli operatori dell'economia civile, solidale, sostenibile e alternativa e focalizzata sull’uso pratico degli strumenti messi a disposizione dal web sociale. Il workshop alternerà conversazioni, laboratorio e convivialità insieme a professionisti di livello internazionale tra i quali Luca Conti (giornalista freelance e blogger), Gianluca Diegoli (autore dell’e-book 91 discutibili tesi per un marketing diverso) e Alberto Cottica (economista e blogger, nonché fisarmonicista) e il programma si sviluppa su tre macro-aree: 1) l’identificazione di strategie e strumenti per l’utilizzo del web in senso sostenibile; 2) il marketing e la comunicazione sostenibile di impresa; le modalità partecipative, le potenzialità del crowdsourcing. E se non sapete cosa è il crowdsourcing potete scoprirlo su Wikipedia o a Vicchio Mugello.

“Puliamo il Mondo” la versione italiana del più grande evento di volontariato ambientale nel mondo, Clean Up the World, compie diciassette anni. Dal 24 al 26 settembre, su iniziativa di Legambiente, un esercito di volontari muniti di guanti, rastrelli e ramazze si ritroveranno in ogni parte d’Italia per ripulire dai rifiuti abbandonati strade, piazze, parchi, spiagge e fiumi. Nella tre giorni di campagna molte amministrazioni locali saranno impegnate nella riqualificazione delle aree urbane per preservare gli ambienti naturali dall'abusivismo edilizio e dalla cementificazione. A livello locale l’iniziativa si svolgerà in collaborazione con associazioni e comitati, ma i veri protagonisti saranno ancora una volta i singoli cittadini con interventi di recupero dal degrado e raccolta dei rifiuti, azioni semplici ma efficaci che producono un reale cambiamento. «Puliamo il Mondo è un’azione simbolica ma estremamente concreta – spiega il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – con cui vogliamo recuperare numerosi luoghi al degrado e, allo stesso tempo, promuovere il corretto smaltimento dei rifiuti e l'attenzione al territorio». Nata a Sidney nel 1989, Clean Up the World coinvolge centinaia di paesi e più di 35 milioni di persone. In Italia, l’anno scorso, vi hanno preso parte 1.700 comuni e circa 700 mila volontari tra famiglie e associazioni, insegnanti e studenti, che sono riusciti a ripulire 4.500 aree.

Era stata inaugurata nel novembre 2007 in un’area pregiata, ma dismessa, al centro di Roma, nell’ex mattatoio di Testaccio. Per restituirla ai cittadini avevano lavorato insieme il Comune e il Tavolo dell’Altra Economia, un gruppo di circa 40 enti non profit, nato per diffondere nel tessuto economico della Capitale metodi alternativi di produzione, risparmio, consumo e lavoro. La Città dell’Altra Economia (CAE), uno dei primi spazi in Europa esclusivamente dedicato alle pratiche economiche alternative, è diventato un punto di riferimento per i romani e un esempio per esperienze simili: 3500 metri quadri di esposizione, vendita, eventi, incontri su bioagricoltura, energie rinnovabili, finanza etica, turismo responsabile, riuso e riciclo. Ma il futuro della CAE romana potrebbe essere breve. Dal 2008 la giunta ha cambiato colore politico. Da Veltroni ad Alemanno: «A settembre - denuncia il Consorzio che gestisce la “Città” - scadono i contratti d’affitto con il Comune delle venti organizzazioni che da tre anni sperimentano iniziative concrete di economia solidale». I responsabili del Consorzio denunciano uno strano silenzio da parte di assessori e dipartimenti del Campidoglio che non forniscono risposte «alle richieste di incontro che da mesi lanciamo» (anche esponenti dell’opposizione hanno invano presentato interrogazioni in Consiglio comunale). E l’assenza di risposte sta già producendo effetti: «Non potendo investire e operare in un quadro di assoluta incertezza sul futuro, il 30 giugno la bottega del commercio equo è stata costretta a chiudere». Un mese più tardi, stessa sorte per il “Bioequoristorante”. L’unica risposta del Comune è contenuta in una nota del Dipartimento periferie, che annuncia un nuovo bando per far subentrare nell’area nuove imprese sociali. Quando? «È in corso di elaborazione» si legge. «Dovrebbe» esser pronto entro settembre.

La lobby del farmaco controlla ormai gran parte dell’informazione scientifica e i mass-media tradizionali vivono grazie alla sua pubblicità occulta o palese. Ricevere le notizie “scomode” è quindi sempre più difficile. Gli allarmi - rivelatisi “pilotati” dagli interessi economici e industriali - della Sars prima e, soprattutto dell’influenza A/H1N1 si sono però rivelate un boomerang per Big Pharma. Il numero dei cittadini che chiedono informazioni indipendenti è in crescita: per questo, da qualche settimana è on line un nuovo portale – Informasalus.it – che raccoglie i migliori articoli della letteratura medica per offrire un punto di vista obiettivo e scientifico su medicina tradizionale, omeopatia e tecniche alternative. Notizie clamorose ma spesso ignorate dalla stampa. Qualcuna, presa a caso: il comitato di farmacovigilanza svedese sospetta che il vaccino anti Influenza suina abbia provocato casi di narcolessia; in Italia ci sono casi di psicofarmaci somministrati senza il consenso dei genitori; la casa farmaceutica AstroZeneca ha patteggiato 520 milioni di dollari per chiudere le indagini federali sul marketing illegale del suo farmaco Seroquel. Per aumentare la velocità di diffusione delle notizie, Informasalus ha poi aperto anche un profilo Facebook con aggiornamenti costanti sulle notizie più “fresche”.

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Un altro passo oltre il Pil, anche il Cnel lo mette in discussione

PUNTIAMO SULLA QUALITÀ ECCO L’ITALIA DEL PROGRESSO “SOFT”

È giunto il momento di rivedere l’indicatore della ricchezza, anche a causa della crisi. Non è indicato per misurare il benessere. Un recente rapporto del Consiglio dell’Economia e del Lavoro ne propone una revisione.

“I

statistici a integrazione del Pil”. Dopo l’Ocse, la Commissione europea e la Commissione Stiglitz (vedi BOX Calendario), un altro organismo, espressione dell’economia mainstream, entra nel vivo del dibattito attorno al Pil per proporne una revisione. Un altro soggetto istituzionale che definisce il Prodotto interno lordo insufficiente a misurare il benessere di un Paese e a guidare le politiche pubbliche. “Misura quantitativa dell’attività macroeconomica, il Pil ha assunto negli anni il ruolo di indicatore dell’intero sviluppo economico-sociale e del progresso in generale. Tuttavia - si legge nel rapporto del Cnel - dati la sua natura e il suo scopo, esso non può costituire la chiave di lettura di tutte le queSBILANCIAMOCI: SEI PROPOSTE DALLA SOCIETÀ CIVILE stioni oggetto di dibattito pubblico, non potendo fornire indicazioni su aspetti coCOMMISSIONE STIGLITZ E GLOBAL PROJECT DELL’OCSE hanno chiesto un processo democratico e partecipato me, tra gli altri, l’inclusione sociale, la disuper individuare il set di indicatori a integrazione del Pil. In Italia una rappresentanza della società civile guaglianza, l’inquinamento o la percezione si è già organizzata. I primi di aprile Sbilanciamoci (che da otto anni elabora il Quars, l’indicatore della “Qualità regionale per lo sviluppo”, che considera anche fattori sociali e ambientali) ha animato un dibattito sui nuovi del benessere soggettivo da parte dei cittaindicatori, creando un eterogeneo gruppo di lavoro, formato da rappresentanti dei ministeri dell’Economia dini. Può succedere, ad esempio, che il Pil e delle Finanza, dell’Ambiente e del Lavoro; dell’Istat; dell’Ocse; dell’Isae; della Commissione europea; cresca, ma che i dati associati a questi aspetdi Legambiente e WWF; del Social Watch; delle università di Milano, Napoli, Firenze, Bologna, Roma, Pavia, Modena e Reggio Emilia (tutti a titolo personale, senza un impegno formale da parte dell’istituzione di provenienza). ti peggiorino”.

L COSA SI MISURA INFLUENZA IL COSA SI FA. Se gli strumenti utilizzati non sono corretti, o non riescono a cogliere tutte le caratteristiche dell’oggetto di indagine, possono indurre a prendere decisioni inefficienti o addirittura di Elisabetta Tramonto inefficaci”. Da questa considerazione ha avuto origine il rapporto, pubblicato a giugno dal Cnel (il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, organo consultivo del Governo, delle Camere e delle Regioni), intitolato “Le dimensioni del benessere. Costruzione e utilizzo di nuovi indicatori

Un dibattito, sostenuto anche dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini, presente al primo incontro. A metà luglio il gruppo di lavoro ha pubblicato un documento intitolato “Benessere e sostenibilità. L’uso degli indicatori di qualità sociale ed ambientale nelle politiche pubbliche: le proposte della società civile”. “Superare il Pil è più che altro un processo culturale e politico e non una semplice questione metodologica”, si legge nel documento. “Per questo lo sviluppo degli indicatori non dovrebbe essere solo frutto di un lavoro tecnico-scientifico, ma, piuttosto, di un processo politico garantito da un dibattito aperto”. «È importante il rapporto pubblicato dal Cnel, significa che qualcosa si sta muovendo a livello istituzionale», spiega Tommaso Rondinella di Sbilanciamoci. Sei le proposte lanciate dal gruppo di Sbilanciamoci: 1] recepire le raccomandazioni della “Commissione Stiglitz”; 2] dare vita a un “patto di stabilità economico, sociale e ambientale per il Paese”; 3] attuare pienamente la legge che prevede che il bilancio dello Stato sia articolato in missioni e programmi di spesa, individuando le finalità cui sono destinate le risorse pubbliche, a cui sono associati obiettivi da raggiungere e indicatori finalizzati a verificare il conseguimento degli obiettivi; 4] sviluppare una contabilità satellite ambientale, di genere e sociale; 5] rafforzare il lavoro dell’Istat sugli indicatori di benessere; 6] attuare un processo di comunicazione, coinvolgendo la pubblica amministrazione e rappresentanti politici nel dibattito attorno ai nuovi indicatori del benessere. www.lunaria.org - www.sbilanciamoci.org - www.sbilanciamoci.info

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Promessa mantenuta Lo aveva promesso il presidente del Cnel, Antonio Marzano, l’anno scorso (ottobre 2009) a Busan, in Corea, durante il terzo forum mondiale dell’Ocse. Marzano, che è anche presidente dell’associazione internazionale che raggruppa gli istituti omologhi al Cnel (l’Aiece, Associazione Europea degli Istituti di Congiuntura), aveva promesso di farsi promotore a livello internazionale della creazione di tavole rotonde in ogni

UN PAESE CHE PER LE PROPRIE PRODUZIONI industriali ed economiche investe sulla qualità dei prodotti ha maggiori possibilità di vincere la concorrenza internazionale. Ecco perché è necessario individuare un indicatore economico che sappia misurare il tasso di qualità raggiunto: ne sono convinti i ricercatori che hanno dato vita all’indice Piq (Prodotto interno di Qualità, Valori ne ha già scritto sul numero di luglio 2009), messo a punto dagli economisti della Fondazione Symbola. Non segue i filoni di analisi legati ai temi di felicità e benessere e non è quindi nato per calcolare tali fattori all’interno di un sistema economico. Il suo obiettivo è, piuttosto, quello di misurare il posizionamento di un Paese o di un settore industriale rispetto al parametro della qualità. «Il Piq è la risultante della sommatoria delle quote percentuali

di qualità in ciascun settore di attività, moltiplicata per il rispettivo valore aggiunto», spiega Luigi Campiglio, prorettore della Cattolica di Milano. La fotografia dell’Italia attuale delinea un Paese diviso a metà. Tutt’oggi “imballato” da un sistema industriale ed economico antiquato che rappresenta ancora la maggior parte del prodotto interno. Ma, accanto ad esso, si sta sviluppando una produzione “soft” che, secondo i ricercatori del Piq, ha inciso nel 2009 per il 46,3% dell’economia italiana. 430 miliardi di euro. Ma le differenze tra i ventisette settori dell’economia italiana considerati nel rapporto sono quasi abissali. Un dato su tutti: trenta punti percentuali dividono il settore in cui l’indice di qualità è più alto (la chimica, col 62%) dal comparto turistico (alberghi e ristorazione) in cui i prodotti di livello incidono solo per il 32%.

Paese per ragionare sul set di indicatori per misurare il progresso. Quasi contemporaneamente, nell’autunno dell’anno scorso, la Commissione Stiglitz e il Global Project erano arrivati a una conclusione analoga: un solo indicatore non è in grado di rappresentare la complessità della società moderna. Come alternativa al Pil, serve un set di indicatori, basato su più dimensioni, che considerino parametri sociali e ambientali. Ma i due istituti erano d’accordo anche su un altro punto: questi indicatori devono essere definiti con un processo democratico e partecipato. Da qui la proposta rivolta ai Governi di istituire delle tavole rotonde per individuare in modo condiviso gli indicatori alternativi. Una richiesta indirizzata ai singoli esecutivi anche dalla Commissione europea in una Comunicazione inviata al Parlamento nell’agosto 2009.

“Merito” della crisi Secondo il rapporto elaborato dal Cnel i tempi per una discussione attorno al Pil e una sua eventuale revisione sarebbero ormai maturi, soprattutto a causa della crisi economico-finanziaria, che ha fatto vacillare i fondamenti su cui lo stessi Pil si basa. “La discussione sul valore del Pil come indicatore di benessere – si legge nel rapporto del Cnel - assume un diverso rilievo dopo la crisi economica dell’ultimo biennio. Si può tranquillamente riconoscere, infatti, che il drammatico avvitamento recessivo che ha rischiato di disarticolare l’economia mondiale sia disceso dalla formulazione di teorie errate, che hanno illuso sulla possibilità di una sostenibilità indefinita degli squilibri macroeconomici”.

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L’anno scorso il presidente del Cnel aveva promesso iniziative per aiutare la definizione di nuovi indicatori

C’è poi un altro aspetto da sottolineare: il Piq esclude dal perimetro della propria misurazione la parte del Pil legata al lavoro sommerso o all’evasione ed elusione fiscale. «In questa scelta – spiega Ermete Realacci, presidente di Symbola, che interverrà alle Giornate di Bertinoro – c’è evidentemente anche una scelta etica. Ma soprattutto una considerazione di politica economica. Nell’economia sommersa c’è senza dubbio l’ombra dell’economia illegale. Ma c’è una fascia di economia grigia, causata da un’eccessiva “leggerezza” della politica industriale italiana, che dovrebbe cogliere le transizioni e accelerare i cicli di innovazione e di investimento». Certo, non avere un ministro dello Sviluppo economico da mezzo anno, di certo non aiuta a costruire una politica industriale che incentivi la qualità.

CALENDARIO: LE TAPPE PER SUPERARE IL PIL NOVEMBRE 2004 PALERMO: PRIMO FORUM MONDIALE DELL’OCSE “STATISTICS, KNOWLEDGE AND POLICY” L’Ocse lancia la sua attività per promuovere lo studio e la condivisione di informazioni tra Paesi per individuare un nuovo sistema di indicatori del benessere e del progresso. GIUGNO 2007 ISTANBUL: SECONDO FORUM MONDIALE DELL’OCSE Porta alla “dichiarazione di Istanbul per misurare e promuovere il progresso delle società”. Vengono messe nero su bianco le intenzioni dell’Ocse di individuare degli indicatori di benessere e progresso che possano orientare le decisioni politiche dei governi. 2007: NASCE IL GLOBAL PROJECT ON MEASURING THE PROGRESS OF SOCIETIES L’Ocse avvia un progetto specifico per la creazione dei nuovi indicatori del progresso. Partner dell’iniziativa: Banca Mondiale, Undp, Unicef, Ilo, Inter-American Development Bank, Commissione europea. www.oecd.org/progress NOVEMBRE 2007: BEYOND GDP La Commissione europea, insieme a Parlamento europeo, Club di Roma, Wwf e Ocse, organizza a Bruxelles una conferenza internazionale dal titolo Beyond Gdp (Oltre il Pil), durante la quale annuncia la sua intenzione di proporre un’integrazione al Pil. LUGLIO 2009, L’AQUILA: RIUNIONE DEL G20 Nella relazione finale viene inserita una richiesta rivolta ai Paesi membri di: “incoraggiare il lavoro sui metodi di misurazione per tenere maggiormente in considerazione dimensioni sociali e ambientali dello sviluppo economico”. AGOSTO 2009: COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA A PARLAMENTO E CONSIGLIO La Commissione europea dichiara che il Pil è un indicatore insufficiente per misurare il progresso e da appuntamento al 2012 ai governi perché propongano delle alternative. SETTEMBRE 2009: PUBBLICATE LE RACCOMANDAZIONI DELLA COMMISSIONE STIGLITZ Nel febbraio del 2008 il premier francese Sarkozy incarica una commissione di 25 esperti, guidata dai tre premi Nobel Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, di individuare nuovi indicatori del benessere e del progresso. A settembre 2009 arriva il rapporto con cui la Commissione propone un set di indicatori invece del solo Pil. OTTOBRE 2009, BUSAN (COREA): TERZO FORUM MONDIALE DELL’OCSE Il titolo del terzo forum mondiale è: “Pianificare il progresso, costruire scenari, migliorare la vita”. Il Global Project dell’Ocse arriva a conclusioni simili a quelle della Commissione Stiglitz: serve un set di indicatori per misurare il benessere della società, che sia individuato con un processo condiviso.

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Zamagni: «È il momento giusto per la nostra utopia»

benessere ha due dimensioni: “Iluna materiale, e per calcolarla il Pil va bene. Ma per la dimensione

Un’edizione speciale per le Giornate di Bertinoro, che compiono 10 anni. Tema del 2010: “Verso l’economia del benessere”. Ne parliamo con l’ideatore dell’evento.

“V

ERSO L’ECONOMIA DEL BENESSERE”.

È questo il tema chiave scelto quest’anno per le Giornate di Bertinoro, organizzate, come ogni anno, da Aiccon (Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit). Un appuntamento importante di Andrea Barolini per il terzo settore e la società civile, giunto al suo decimo compleanno. Stefano Zamagni, l’ideatore dell’evento, ripercorre la (lunga) strada percorsa finora e spiega il perché del tema scelto per quest’anno. Economia, felicità, benessere. Se ci si volta indietro a guardare il terremoto finanziario degli ultimi due anni mettere insieme questi termini sembra quasi un’utopia… È vero: può sembrare un’utopia. Ma di certo non un’ucronia. Può darsi, infatti, che non ci sia ancora un “luogo” (utopia), ovvero un Paese in cui tali concetti possano essere tradotti in realtà. Ma certamente non abbiamo sbagliato i tempi (ucronia): i temi delle Giornate di Bertinoro sono di straordinaria attualità. Sta dicendo che siamo ancora lontani dalle applicazioni concrete? Io sono ottimista. Per tre ragioni: primo, perché la gen-

il gioco dell’avversario, perché aumentano la paura della gente. L’approccio giusto è quello che va oltre e non contro il Pil. Bisogna puntare ad arricchirlo.

te si sta stufando e il cosiddetto “paradosso della felicità” non è più solo un curiosum degli economisti. Secondo, negli ultimi 10-15 anni sta esplodendo il movimento dei consumatori socialmente responsabili. La stessa enciclica papale ne ha parlato: oggi “votare col portafoglio” è una pratica chiara a tutti, basti pensare al fenomeno dello slow food. Infine, per le stesse imprese, anche quelle capitalistiche, è finita l’epoca della passività della domanda: anche loro devono cercare “un’alleanza” per rispondere alle esigenze di benessere. Luxottica ha da poco stipulato un accordo sindacale con i dipendenti in cui si prende in considerazione non più solo il lavoratore, ma la sua famiglia intera. E non è un caso isolato.

Eppure nessuno agli “alti livelli” ha accettato di utilizzare indicatori alternativi. Ci vuole tempo. Il benessere ha una componente acquisitiva e una espressiva: la prima è la dimensione materiale e per calcolarla il Pil va bene, perché misura la capacità di un sistema di soddisfare i bisogni materiali: mangiare, bere, curarsi. Ma trascura la seconda: gli esseri umani hanno anche una dimensione culturale, spirituale, espressiva. Dobbiamo misurare questi aspetti intangibili.

Da molti anni il Pil è additato come uno dei colpevoli di una distorsione nell’informazione riguardante la reale capacità dell’economia di generare benessere. Di indicatori alternativi ne sono stati proposti a decine: perché nessuno si è affermato? Perché c’è stata una demonizzazione. Si tratta di un clamoroso autogol. Io non demonizzo il Pil: dico che è insufficiente. Sia chiaro: credo alla buona fede dei movimenti della decrescita, ma dico che secondo me fanno

Una delle vostre sessioni è dedicata al credito al Terzo settore: quest’ultimo ha patito più o meno degli altri il credit crunch? Il Terzo settore patisce il credit crunch da sempre, perché i suoi attori sono sempre stati esclusi dall’attività finanziaria, considerata uno strumento del Pil. Dobbiamo

culturale, spirituale, servono nuovi strumenti di misurazione

capire che per produrre beni intangibili serve anche la finanza ed eliminare l’idea che la finanza sia intrinsecamente “sporca”: ricordiamoci che la prima Borsa nacque a Firenze alla fine del ’400 e per 150 anni funzionò proprio come Borsa sociale. Se ora è degenerata è colpa delle nostre scelte. Le Giornate di Bertinoro compiono dieci anni: l’anniversario cade in un momento di grandi trasformazioni. C’è però anche il rischio che alla fine “tutto cambi affinché nulla cambi”? Rispondo con dei dati. Nel 2004 usciva il libro “Economia civile”, oggi è stato tradotto in quattro lingue. Nel 2009 è uscito il “Dizionario di Economia civile”, al quale hanno lavorato 50 studiosi italiani. Il prossimo anno sarà pubblicato un testo universitario di microeconomia applicata all’Economia civile. Quest’anno il tema ha fatto parte delle tracce scelte per gli esami di maturità in Italia. E negli Usa la Civil economy spopola. Questi sono fatti. E dicono che l’idea si sta diffondendo.

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vita, e quindi nell’economia, dobbiamo ritrovare questa dimensione etica. Che ci fa fare le cose per bene non per interesse, ma perché è giusto così. Una visione della società e dell’economia molto lontana da quella attuale… Ma è indispensabile arrivarci. Se l’economia perde il LIBRI contatto con questo tipo di gratuità, implode. Oggi la gente fa il proprio dovere per paura di sanzioni o controlli. E, infatti, appena può aggira le regole. Questo vale tanto per una transazione di Borsa quanto per la fregatura data a un turista da un tassista disonesto. Non crede che un adeguato sistema di controlli sia più utile che attendersi un comportamento retto dalle persone? Serve una virtù intrinseca dei comportamenti. L’idea

8 - 9 ottobre BERTINORO (FORLÌ) VERSO L’ECONOMIA DEL BENESSERE Le Giornate di Bertinoro per l’economia civile X edizione legiornatedibertinoro.it Stefano Zamagni, economista all’università di Bologna, è presidente dell’Agenzia per le Onlus.

APPUNTAMENTO

22 - 26 settembre TORINO TORINO SPIRITUALITÀ VI EDIZIONE Gratis. Il fascino delle nostre mani vuote torinospiritualita.org

«È l’unico modo per rifondare i rapporti economici», spiega l’economista Luigino Bruni. «Pensare di risolvere tutto con controlli e sanzioni è impossibile. Ci sarà sempre qualcuno che vuole aggirare le norme».

«S

APPUNTAMENTO

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«Il tema della gratuità deve tornare a pesare in economia» siero che fa capo a Latouche e ai filosofi della decrescita: se la si imE VOGLIAMO DAVVERO CAMBIARE i rapporti economici su vasta scala, permeandoli di etica e di magina come qualcosa di diverso e opposto all’economia “normarispetto, dobbiamo smettere di pensare che le” la si relega in un angolo e le si fa fare la fine della carità. l’economia del dono sia solo quella degli scambi informali, delle bandi Emanuele Isonio Cioè qualcosa di buono, giusto, ma non indispensabile? che del tempo, delle liberalità fatte Esatto. Io, scherzando, la paragono al “limoncello”: se c’è a fine pada privati o da fondazioni filantropiche. Dobbiamo invece porre il sto, meglio. Altrimenti non cambia molto. tema della “gratuità” all’interno dell’economia tradizionale». Luigino Bruni, docente di Economia politica al- Luigino Bruni. L’economia del dono come la intende lei, come si conl’Università di Milano-Bicocca, ha in mente un modo dicretizza? verso dal solito di concepire “l’economia del dono”. Cerco di spiegarlo con una frase di Primo Levi: “Il muratore italiano che mi ha salvato la vita (durante la prigionia ad Auschwitz, ndr), portandomi cibo di nascoProfessor Bruni, che cosa c’è che non va negli sto per sei mesi, detestava i nazisti, il loro cibo, la loro scambi informali? lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar Assolutamente nulla. Ma, se si concepisce l’economia su muri, li faceva dritti e solidi. Non per obbedienza, del dono solo riferendola quell’ambito, la si marginalizma per dignità professionale”. Ecco, io credo che nella za. È secondo me l’errore che commette il filone di pen-

che i controlli possono evitare e prevenire i comportamenti illeciti poteva, forse, funzionare al tempo degli Stati nazionali, quando c’era un territorio ben preciso da controllare. Oggi non funziona più. Gli scambi si fanno in rete o in qualche Paese sperduto. O si educano i cittadini fin da piccoli a un’etica della gratuità o l’attuale sistema diverrà insostenibile.

Luigino Bruni L’ethos del mercato Bruno Mondadori, 2010

In Italia siamo più o meno pronti di altri Paesi ad accettare questo tipo di riflessione? Il nostro Paese storicamente, dal Medioevo ai Comuni al Rinascimento, è stato la culla di un’idea di economia civile a vocazione comunitaria, agevolata dalle nostre radici cristiane. Ma questa vocazione all’incontro e al rispetto reciproco si è ammalata. Dando così vita al familismo amorale, alle mafie, al fascismo. Dobbiamo ritrovare tale vocazione, mondandola degli aspetti degenerativi.

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Fotografarla è un’impresa

FONTE: EURICSE

| economiasolidale | non profit | LE TIPOLOGIE DI IMPRESE SOCIALI IN EUROPA PAESE

FORME GIURIDICHE AMMESSE

DISTRIBUZIONE DEI PROFITTI

GOVERNANCE

DEFINIZIONE DELL’OBIETTIVO SOCIALE

Belgio Legge 13 aprile 1995

Società per azioni, cooperativa a responsabilità limitata; società a responsabilità limitata

La redistribuzione dei profitti è possibile, ma limitata

Partecipata

Attività finalizzate al perseguimento di una finalità sociale. La definizione di finalità sociale risulta da alcuni elementi costitutivi previsti dalla legge.

Italia Legge 118 del 13 giugno 2005

Associazioni, fondazioni, cooperative, imprese for profit

La distribuzione dei profitti diretta e indiretta non è ammessa

Partecipata

Produzione e scambio di servizi nei seguenti settori: assistenza sociale e sanitaria, educazione e formazione, tutela dell’ambiente, turismo sociale, servizi culturali, inserimento lavorativo di persone svantaggiate, a prescindere dal settore di attività dell’impresa.

Finlandia Legge 1351/2003

Tutte le imprese, prescindendo dalla forma giuridica e struttura proprietaria

La distribuzione dei profitti è ammessa senza limitazioni

Non è prevista una governance partecipata

Le imprese sociali devono assumere almeno il 30% di persone affette da disabilità e disoccupati di lunga durata

Regno Unito Community interest company Disposizioni del 2005

Imprese disciplinate dall’Atto sulle Società del 1985

La distribuzione dei profitti è ammessa parzialmente

Partecipata

Ampio raggio di attività volte a soddisfare i bisogni della comunità. La definizione dell’obiettivo sociale è valutata dal Regulator

Difficile definirla, ma l’interesse per l’impresa sociale cresce e le sue forme si moltiplicano.Tra un approccio personalistico “stile Usa” e uno più partecipativo, sul modello delle cooperative, l’Europa predilige il secondo.

«I

L CONCETTO DI IMPRESA SOCIALE è utilizzato in Europa e in nord America, ma in misura crescente anche in Asia, America Latina, nei Balcani, in alcune repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Diverse le definizioni di impresa sociale, spesso di Corrado Fontana molto distanti, a seconda del contesto di riferimento e dall’approccio utilizzato». Lo sostiene la dottoressa Giulia Galera, coordinatrice dell’area Ricerca di Euricse (European research institute on cooperative and social enterprises). «Un primo approccio riconosce il ruolo fondamentale dell’imprenditore sociale come promotore dell’iniziativa di impresa (che può essere anche una tantum). Ha trovato terreno fertile negli Usa e in alcuni Paesi in cui le organizzazioni donatrici statunitensi hanno investito assai negli ultimi 15 anni», spiega la ricercatrice. «Un secondo approccio, invece, attribuisce un ruolo centrale alla produzione del bene o del servizio, che deve essere di interesse collettivo, e alla dimensione collettiva dell’impresa, all’aspetto partecipativo e alla gestione democratica». Tale approccio, più svincolato dalla fi-

gura del filantropo-imprenditore, si sta esprimendo maggiormente in Europa, grazie alla forte tradizione del movimento cooperativo e, più in generale, del Terzo settore; grazie alle organizzazioni non profit tradizionali - via via “imprenditorializzate” per rispondere a bisogni insoddisfatti dall’offerta pubblica e for profit - e alle imprese cooperative, che assumono responsabilità di interesse generale, facilitando l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati o gestendo servizi sociali per tutta la comunità. Uno sviluppo tra linee comuni e varietà estrema, a seconda dei Paesi dove nasce l’impresa e dei modelli e scopi applicati e perseguiti localmente. E, sebbene a livello europeo esistano piattaforme e organizzazioni che promuovono il concetto di impresa sociale e lo scambio di buone prassi, «la ricerca continua ad essere per lo più frammentata e molti studiosi operano isolatamente», sottolinea la dottoressa Galera. Una difficoltà di dialogo che alcuni soggetti cercano di superare: l’EMES (European research network), puntando sull’elaborazione di definizioni condivise, aggrega centri d’indagine e ricercatori che studiano l’impresa sociale nei rispettivi Paesi e, di

recente, è stato coinvolto nella creazione di una omologa rete di ricerca asiatica; l’italiano Iris Network e lo stesso Euricse catalizzano il lavoro dei massimi esperti europei sull’argomento e mirano alla condivisione internazionale dei saperi.

La legge non è uguale per tutti In Europa la gran parte delle imprese sociali ha adottato le forme giuridiche della cooperativa e dell’associazione. La forma associativa prevale nei Paesi in cui questo modello tollera un certo grado di libertà nella vendita di beni e servizi, come in Francia e Belgio. Viceversa, laddove le associazioni sono più limitate nello svolgimento di attività economiche, come nei Paesi nordici, le imprese sociali sono spesso create attraverso la cooperativa. Stati come il Portogallo, la Spagna e, più recentemente, la Francia hanno così imitato, nel corso degli ultimi 15 anni, la strada intrapresa dall’Italia col riconoscimento dell’attività d’impresa sociale mediante questa forma giuridica. Coniugare la legge con l’interesse sociale e le attività

svolte per perseguire la propria mission imprenditoriale non è però semplice. Alcuni Paesi hanno perciò allargato le maglie definitorie, introducendo inquadramenti più generali per le imprese sociali, sia rispetto alle attività svolte che alle forme statutarie ammesse. Come in Belgio, dove l’impresa a finalità sociale è stata introdotta nel 1995, o più recentemente in Italia, con la legge 118/2005, e poi nel Regno Unito, con le community interest companies (Cic). «È corrisposta l’espansione del raggio di attività delle imprese sociali – conclude Giulia Galera – sempre più propense a produrre servizi di interesse generale non strettamente di welfare, ma anche culturali, ricreativi, ambientali o volti a sostenere lo sviluppo economico di comunità svantaggiate».

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Tutti la vogliono, in Italia e in Europa Pochi dati aggregati, ma numeri in crescita: il modello variegato dell’impresa sociale desta interesse in tutto il

C

HI VOLESSE UN QUADRO capace di fotografare il panorama europeo dell’impresa sociale rimarrebbe deluso. I dati su giro d’affari e posti di lavoro sono carenti e quelli disponibili (Euricse, EMES e Iris Network) riguardano solo Paesi o settori in cui il fenomeno è più studiato. di Corrado Fontana Ma l’espansione del fenomeno è inequivocabile. In Italia, dall’approvazione della legge 381 sulle cooperative sociali (1991), il tasso di crescita annuale è stato del 10-20%. Nel 2005, anno della legge 118 sulle imprese

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sociali, esistevano più di 7.300 cooperative sociali che impiegavano 244 mila lavoratori e 35 mila volontari, con un giro d’affari superiore ai 6 miliardi di euro. Il primo rapporto sull’impresa sociale di Iris Network valutava che nel 2009 le imprese sociali fossero circa 20 mila con 300 mila lavoratori, 5 milioni di utenti e 10 miliardi di fatturato. In Gran Bretagna “impresa sociale” vuol dire, invece, sostanzialmente charities (cioè istituti di carattere filantropico in ambito soprattutto educativo e assistenziale), se si

continente. E molti già guardano ai mercati dell’Est. escludono le recenti community interest companies, parte marginale del Terzo Settore. Nel 2005 esistevano 15 mila imprese sociali, con un giro di affari di 22,3 miliardi di euro e 775 mila lavoratori, di cui 300 mila volontari. Lo scorso aprile, però, alla conferenza internazionale di Belgrado “Imprenditorialità sociale - opportunità e prospettive”, organizzata dalla Ong Grupa 484, la dottoressa Sarabajaya Kumar dell’università di Oxford citava cifre diverse (62 mila imprese sociali con 800 mila persone impiegate e un con-

tributo di 8 miliardi e 400 mila sterline al Pil nazionale). Sia in Italia che nel Regno Unito le imprese sociali sono parte integrante del Terzo Settore, definite sulla base del loro scopo sociale e della limitazione alla distribuzione dei profitti imposta dagli statuti costitutivi. Ma qualche differenza c’è. Mentre la nostra legge promuove la governance |

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L’interno di un negozio gestito da un’impresa sociale a Vienna, in Austria.

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APPUNTAMENTO 16 - 17 settembre RIVA DEL GARDA (TRENTO) WORKSHOP SULL’IMPRESA SOCIALE VIII EDIZIONE L’innovazione nella collaborazione” Centro Congressi di Riva del Garda www.irisnetwork.it

SITI aysps.gsu.edu Nonprofit studies program www.emes.net Istituto EMES www.euricse.eu Istituto Euricse www.irisnetwork.it Iris Network www.wiseproject.eu Progetto WISE impresasociale.info Blog impresa sociale www.484.org.rs Ong Grupa 484 www.consorziocgm.org Consorzio italiano di cooperative Cgm socialfirmseurope.org Cefec, rete europea di imprese sociali, cooperative, ong e organizzazioni per il lavoro dei disabili

L’INNOVAZIONE NELLA COLLABORAZIONE LA COLLABORAZIONE COME DESTINO. Si potrebbe sintetizzare in questi termini il complesso delle relazioni tra imprese sociali e altri attori pubblici e privati. Una formula sbrigativa che, quasi come un giano bifronte, contiene una verità e insieme un rischio. La verità è che, sì, collaborare è la conditio sine qua non per imprese, come quelle sociali, che si candidano a produrre - come affermato a livello normativo e statutario - beni di utilità sociale, che rispondono a obiettivi di interesse generale. Il rischio è che questa stessa affermazione si riduca ad artificio retorico, riservando poca o nulla attenzione a elementi di investimento, impatto, gestione. È per questa ragione che l’ottava edizione del Workshop sull’impresa sociale di Iris Network andrà alla ricerca dell’innovazione che caratterizza le collaborazioni promosse dalle imprese sociali. Il prossimo 16 e 17 settembre, a Riva del Garda in Trentino, si presenteranno oltre trenta buone prassi che, in modi diversi, hanno messo all’opera la capacità di networking di queste imprese, guardando, certo, agli strumenti e alle risorse messe in campo, ma considerando

anche la natura degli interlocutori. Le imprese for profit vengono spesso evocate nel dibattito tra gli addetti ai lavori per le forme di mecenatismo ispirate alla responsabilità sociale d’impresa, ma le buone prassi che verranno presentate al Workshop vedono prevalere piuttosto partnership commerciali che contrattualizzano anche la dimensione sociale. È il caso, ad esempio, della cooperativa Cauto di Brescia, che ha siglato un accordo con un supermercato della zona per lo smaltimento dei rifiuti e, insieme, per la costruzione di un banco alimentare gestito dalla sua rete di volontari. Un altro campo denso di collaborazioni innovative riguarda la creazione di reti locali in forma di distretto. Sono le eredità virtuose di progetti di sviluppo locale, come Equal, che hanno dato continuità a sistemi collaborativi tra imprese sociali, enti locali, altri soggetti di terzo settore per la co-produzione di beni di interesse collettivo. Oppure iniziative, come il Polo di innovazione di Torino, dove il “sociale” viene riconosciuto come generatore di innovazione. Infine, il Workshop si occuperà,

da vicino dello start-up di nuove imprese sociali, diverse da quelle fin qui riconosciute e affermate, come le cooperative sociali nell’ambito dei sistemi di welfare. È un percorso fin qui caratterizzato da lentezze e scetticismi (anche da parte di molti esponenti del terzo settore), ma, nonostante questo, più di qualcosa si sta muovendo. Sono oltre 600 le imprese sociali costituite ai sensi della più recente normativa e, in alcuni casi, si scorgono elementi di innovazione soprattutto per quanto riguarda le architetture societarie. È il caso, ad esempio, di Valle Camonica Solidale, un’impresa sociale s.r.l. costituita da una fondazione e tre cooperative sociali per la gestione di una struttura residenziale per anziani. Come sostiene Carlo Borzaga presidente di Iris Network e animatore del Workshop - la normativa è una rivoluzione culturale perché consente di fare impresa per finalità diverse dal lucro, al di fuori di “nicchie” più o meno consolidate. Si tratterà di verificare a quali condizioni gli elementi di innovazione oggi frutto di sperimentazioni più o meno avanzate potranno diventare patrimonio comune. Flaviano Zandonai

Filantropia e crisi Usa: il non profit cerca risorse

partecipata e individua una gamma di attività definite come campi di "utilità sociale" (servizi di welfare, lavoro, integrazione, servizi ambientali, sanità, istruzione), la norma inglese sottolinea l’opportunità di ricevere risorse provenienti dal mercato (spesso fino al 50%) e consente l’impegno delle social enterprises in tutti i settori dell’economia.

Mercato aperto a est L’Europa dell’Est suscita particolare interesse per l’Italia sul fronte dell’impresa sociale. Non è un caso che la Fondazione Unidea di Unicredit stia investendo risorse per il progetto “Piattaforma dell’impresa sociale nell’Europa centroorientale” che, partendo dalle best practices italiane, mira a realizzare attività di sostegno al sistema della cooperazione sociale in Europa dell’Est. Un programma nato nel 2007 che oggi si propone di concentrare gli interventi in Polonia, identificata come il territorio più favorevole per lo sviluppo di un progetto di sviluppo dell’impresa sociale. La Serbia è un altro Stato molto attivo nell’elaborazione di politiche sistematiche – finora assenti – dedicate alla crescita e regolamentazione della social entrepreneurship: ad aprile vi si è svolta una conferenza internazionale sul tema, con esperti locali e provenienti da Italia, Austria e Regno Unito. In questi mesi è stato inoltre avviato un programma di consulenza e scambio di buone prassi tra le autorità serbe, a Milano da osservatori in agosto, e i dirigenti di imprese sociali appartenenti al consorzio di cooperative Cgm. La strada, nel solco dell’attenzione all’economia sociale di molti Paesi dell’ex blocco sovietico, parte in Serbia da quei “laboratori protetti” (Des) che fecero fronte al bisogno di lavoro degli invalidi lasciati dalla II Guerra mondiale: alcuni sono ancora attivi, in particolare in Vojvodina (nord della Serbia).

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UE SUL TRENO DELL’ECONOMIA SOCIALE SI CHIAMANO “WISES” (WORK INTEGRATION AND SOCIAL ENTERPRISES) oppure, in Italia, cooperative sociali di tipo B per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Ad esse è stato dedicato un progetto biennale (Wise project), finanziato dalla Comunità europea e conclusosi a dicembre scorso. Un programma ambizioso, coordinato dal consorzio italiano di cooperative Cgm, per mettere a confronto e condividere esperienze simili sviluppatesi in Austria, Belgio, Finlandia, Italia, Malta, Polonia, Romania e Spagna. È stata individuata e catalogata un’ampia varietà di modelli d’impresa e di servizio (associazioni non profit, s.r.l. tradizionali, imprese d’integrazione e di sviluppo del lavoro, cooperative di lavoro, cooperative sociali, s.r.l. non-profit orientate socialmente, organizzazioni non governative, centri e club per l’integrazione sociale, centri per l’attivazione professionale, cooperative per disabili, s.r.l. di proprietà di impiegati), tutti riconducibili alle wises. Si è anche potuto quantificare il fenomeno: circa 5.500 wises e affini operano nei Paesi coinvolti dal progetto – 2400 solo in Italia – con oltre 85 mila dipendenti, tra soggetti svantaggiati – soprattutto disabili – e non. È un inizio e la Comunità Europea non sembra Riciclo cellulari e olii disdegnare la sollecitazione. Patrizia Toia, usati alla Berthold europarlamentare del Gruppo dell’Alleanza progressista Schlaich Social Entrepreneurship Eco di Socialisti & Democratici, citando la risoluzione Wises in Austria. sull’economia sociale approvata a febbraio 2009, spiega come: «Insieme agli altri colleghi e componenti dell’intergruppo “Economia sociale” abbiamo preparato delle raccomandazioni, perché questo settore possa assumere un ruolo da protagonista nella nuova strategia “Europa 2020”. Le imprese dell’economia sociale si sono rivelate più resistenti durante la crisi: contribuiscono alla creazione di posti di lavoro sostenibili, sono radicate a livello locale e non de-localizzano, sono meno dipendenti dal ciclo economico, offrono servizi che richiedono un uso intensivo di manodopera e prestazioni sociali e sono uno strumento fondamentale per l’inserimento lavorativo di gruppi vulnerabili. Occorre creare un Osservatorio europeo per l’economia sociale, al fine di facilitare lo scambio di buone pratiche e inserirle a pieno titolo sia nel calcolo del Pil che dell’occupazione».

Le donazioni negli Stati Uniti crollano e il Terzo Settore si ricorda dell’impresa sociale per sopravvivere. «Ma c’è chi non disdegna l’elusione fiscale», denuncia Dennis Young docente di Amministrazione pubblica alla Stanford University.

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IENTE SOLDI, NIENTE OPERE DI BENE. L’equazione è semplice, purtroppo, e vale anche per gli Usa. Suscita una riflessione da parte del professor Dennis Young, docente di Amministrazione pubblica e politica alla Stanford University e di Corrado Fontana membro del Nonprofit studies program: «Ho il sospetto che la crisi abbia portato molte organizzazioni non profit a guardare maggiormente alle entrate e all’impresa sociale, dato che altre fonti di reddito sono state duramente colpite e, probabilmente, non ci sarà un rimbalzo rapidamente. La crisi ha avuto

Stati Uniti il settore non profit rappresenta “Negli il 5% del Pil e l’11% dei posti di lavoro nazionali ” | 52 | valori |

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qui un grave impatto sul settore non profit: si è registrato un calo dei contributi per la beneficenza, il rendimento degli investimenti da donazioni è diminuito in molti casi e i finanziamenti pubblici sono stati tagliati in molte aree. Allo stesso tempo la domanda per i servizi delle organizzazioni non profit è aumentata, mettendo tensione in misura rilevante sul settore». Ma cosa significa “impresa sociale” negli Usa? Negli Stati Uniti l’impresa sociale ha un certo numero di interpretazioni. Il più comune considera imprese commerciali, gestite da organizzazioni senza fini di lucro, destinate a generare introiti secondo quanto (di solito) è necessario per perseguire un obiettivo sociale coerente con la missione dell’organizzazione. Come un servizio di architettura paesaggistica che impiega ex detenuti. Imprese sociali negli Stati Uniti sono però anche imprese a scopo di lucro che han-

no tra i loro obbiettivi quello di contribuire a uno scopo sociale. Ad esempio la società del gruppo Newman che produce condimenti per insalata e gira i suoi utili in beneficenza, sovvenzionando ad esempio un campo estivo per bambini malati di cancro.

fare diverse cose, sia rispetto alle entrate che alle iniziative correlate alle proprie finalità. Tuttavia la legge è interpretata liberamente e le organizzazioni più scaltre riescono di solito a trovare il modo per evitare l’imposta.

Che stima si può fare del fatturato e dei livelli di occupazione dell’impresa sociale statunitense? Avete leggi dedicate specificamente all’impresa sociale? Non vi è alcuna stima precisa, tuttavia il settore non profit nel suo complesso rappresenta circa il 5% del Pil e Qui la legge consente alle organizzazioni senza scopo di Dennis Young. l’11% dell’occupazione nazionale. E circa il 50% delle lucro di intraprendere attività redditizie. Se tali attività sono legate alla missione caritativa dell’organizzazione gli utili non entrate delle organizzazioni non profit negli Stati Uniti derivano da sono tassati, se invece sono estranee alla mission, l’organizzazione è reddito da lavoro in qualche forma. La proporzione di introiti delle tenuta a pagare una unrelated business income tax (ndt: “imposta non organizzazioni senza scopo di lucro derivante da reddito da lavoro è correlata agli introiti dell’attività”). Questo quadro funziona abba- in crescita nel tempo, ma gran parte di questo deriva da contratti e da rimborsi governativi associati alle tasse di mercato. stanza, perché offre ampia flessibilità alle organizzazioni non profit per

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Servizi pubblici, se sei virtuoso ti tirano le pietre Italia, terra di paradossi: in Campania, il Comune di Camigliano è stato sciolto perché ha raggiunto, da solo, il 65%

di raccolta differenziata. E il nuovo decreto Ronchi mette a rischio decine di eccellenze nella gestione della cosa pubblica.

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ER LO STATO ITALIANO, un ente locale con un sistema di raccolta rifiuti eccellente va trattato peggio di quelli infiltrati dalla mafia, dalla camorra o da qualche altra organizzazione criminale. Per toccare con mano questo di Emanuele Isonio paradosso, apparentemente assurdo, si veda la vicenda di Camigliano. Nella Campania in cui il business della monnezza è una delle attività preferite di camorristi e politici corrotti, questo piccolo comune di 1.749 abitanti a 40 chilometri da Caserta, rappresenta una mosca bianca. La sua amministrazione è riuscita a ottenere risultati invidiabi-

COMUNI RICICLONI 2010 VENETO IN TESTA, SALERNO RE DEL SUD NON È SOLO IL TASSO DI RACCOLTA DIFFERENZIATA ALL’85% ad aver fatto vincere a Ponte nelle Alpi il premio “Comune Riciclone”, promosso da Legambiente. La giuria, composta da membri del Consorzio recupero imballaggi, di Federambiente e dell’Anci, ha infatti valutato anche l’effettivo recupero dei materiali raccolti, i costi e la qualità del servizio. Dietro Ponte nelle Alpi, un esercito di 1.488 enti locali (e 12 milioni di cittadini) che rientrano nei parametri della classifica (per diventare “Comune Riciclone” bisogna aver superato la soglia del 50% di differenziata). E alla quale tutti dobbiamo esser grati: grazie alla raccolta differenziata infatti sono state evitate 2,3 milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera (pari al 5% dell’obiettivo del protocollo di Kyoto per l’Italia). A tale risultato va poi aggiunto che quasi sette milioni di rifiuti sono stati sottratti alle discariche. La parte del leone spetta ancora al Nord - Veneto in primis - con il 67% di amministrazioni virtuose sul totale dei Comuni, seguito da Friuli (34%), Lombardia (28) e Piemonte (24). Eppure le buone pratiche si diffondono anche al Sud: in Sardegna dal 3% del 2002 i Comuni in classifica sono saliti al 35%. Tra le grandi città, nessuna ha superato la soglia stabilita per rientrare nella classifica virtuosa. Le più popolose in classifica sono Reggio Emilia (166.678 abitanti) e Salerno, miglior capoluogo riciclone nel Centro Sud, con un tasso di raccolta differenziata del 60,3%.

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li: raccolta differenziata al 65% (contro una media regionale che sfiora il 10%), compostaggio domestico, incentivi per gli eco-pannolini, eco-euro da usare nelle cartolerie locali destinati ai bambini che consegnano bottiglie e lattine ai centri di riciclaggio, utilizzo dei led nel cimitero comunale per risparmiare energia, 1.800 litri di olio vegetale raccolti tra le famiglie e venduti a una società che li trasforma in biodiesel, rimpinguando le casse comunali. Il tutto senza aumentare, da quattro anni, la Tarsu (Tariffa rifiuti solidi urbani) ai cittadini. Un miracolo. Possibile grazie alla scelta di gestire in proprio la raccolta dell’immondizia, trattenendo i soldi versati dai propri cittadini con la tassa rifiuti. Ma nell’Italia in cui il federalismo sembra un must irrinunciabile, lo sforzo di Camigliano non è stato premiato. Anzi.

Punire l’efficienza La legge 26 del 2010 impone ai Comuni di demandare il servizio di raccolta ai consorzi provinciali, che, in Campania, hanno dimostrato di essere – nei migliori dei casi – inefficienti. Chi si organizza da sé quindi va punito, a prescindere dai risultati ottenuti. Altro che eccellenza da imitare: il “no” di Camigliano è evidentemente un precedente pericoloso. Non importa che, nel frattempo, il Comune abbia vinto una causa al Tar contro l’obbligo di entrare nelle società provinciali. E infatti, il governo, attraverso

il prefetto di Caserta, prima intima al sindaco di Camigliano, Vincenzo Cenname, di consegnare alla gestione provinciale gli archivi sui versamenti della Tarsu e della Tia (Tariffa Igiene ambientale). Poi, ad inizio agosto, il ministro dell’Interno Roberto Maroni (paladino federalista) rimuove Cenname dall’incarico e il consiglio comunale viene sciolto in attesa di nuove elezioni. «È una situazione pazzesca. Siamo diventati un fiore all’occhiello nella gestione dei rifiuti. Abbiamo dimostrato che “pubblico” non vuol dire “inefficiente”. Ma anziché essere presi a esempio, veniamo puniti per non esserci adeguati a una legge che non distingue gli amministratori virtuosi da quelli incapaci». Cenname farà ricorso. Ma da privato cittadino: «Mi pagherò la difesa con i miei soldi, così non graverò sulle casse comunali». Al fianco di Cenname è scesa fin da subito l’associazione dei Comuni virtuosi, che da anni raccoglie (e premia) le migliori politiche pubbliche a livello locale. «Quella del governo è una scelta insensata. Da qualunque lato la si guardi». Da mesi il governo non scioglie il comune di Fondi (dove le infiltrazioni mafiose sono acclarate, ndr). Ma in appena dieci giorni, in pieno agosto, ha decretato lo scioglimento di Camigliano. Se lo Stato punisce i Comuni che hanno dato esempio di efficienza, soprattutto in una zona in cui le istituzioni sono troppo spesso un mero strumento di tornaconto personale, come può sperare di ottenere la fiducia dei cittadini?».

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I LATI OSCURI DEL DECRETO (ANDREA) RONCHI MA QUELLA DI CAMIGLIANO è solo la punta di un iceberg, frutto di una linea politica interessata solo a colpire le gestioni pubbliche tout court. A tutto vantaggio del privato. Ancora maggiori danni arriveranno infatti dalla manovra finanziaria approvata dal Parlamento e dal decreto Ronchi (non Edo, ma Andrea Ronchi, attuale ministro delle Politiche comunitarie), che impone la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L’esempio più paradossale, in questo senso, arriva da Ponte nelle Alpi, fresco vincitore del premio per il Comune “più riciclone d’Italia” (vedi BOX ). La manovra voluta da Tremonti vieta partecipazioni societarie ai Comuni con meno di 10 mila abitanti e ne permette una sola a quelli con meno di 30 mila. Cosa significa, in termini pratici, lo spiega Ezio Orzes, assessore comunale all’Ambiente del comune veneto (8 mila abitanti). «In tre anni siamo riusciti a passare dal 24% di raccolta differenziata a oltre l’85%. Allo stesso tempo, il costo del servizio è passato dai 950 mila euro del 2007 agli 839 mila dell’anno scorso (-11%). La rivoluzione è stata possibile grazie alla creazione di una società a totale capitale pubblico, la Ponte Servizi srl. Ora, la nuova legge finanziaria ci obbliga a dismetterla. Un meccanismo incomprensibile che si basa solo sul numero di abitanti e non considera alcun parametro di efficienza». Nel “tritacarne” tremontiano finiranno così i carrozzoni pubblici creati Ezio Orzes, assessore solo per logiche clientelari e veri e propri gioielli all’Ambiente di Ponte amministrativi, in grado di competere (e vincere) delle Alpi (BL), “Comune Riciclone anche rispetto ai privati. Che saranno invece i grandi 2010”. beneficiari del decreto Ronchi. Il testo prevede che entro dicembre 2011 i servizi locali debbano essere messi a gara e che le società pubbliche cedano ai privati almeno il 40% delle quote e li nominino anche “soci gestionali”. «Di fatto – denuncia Ezio Orzes – si toglie ai Comuni qualsiasi potere di controllo nella gestione dei servizi, si cancellano tutte le eccellenze costruite con grande fatica dalle amministrazioni virtuose e si fa un regalo ai privati che rileveranno le società a prezzi di saldo». E i cittadini che vantaggi avranno dalla nuova situazione? «Nessuno», secondo Orzes. «Perché quando una società pubblica tocca livelli di eccellenza, non c’è privato che tenga. Al massimo, infatti, si potrà confermare la qualità del servizio. Ma i privati, a differenza del pubblico, devono ottenere utili, che di solito si aggirano sul 20-25%. Ponte Servizi srl oggi ha costi di gestione ridotti all’osso. Non ha nemmeno il CdA. Solo un amministratore unico: un concittadino pensionato, che riceve 12 mila euro Em. Is. lordi all’anno». Indovinate su chi graveranno i ricarichi?

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APPUNTAMENTI SETTEMBRE>NOVEMBRE

4 - 25 settembre PORTOFERRAIO (ISOLA D’ELBA) OPERAZIONE PELAGOS 2010 Anche quest’anno si parte con Operazione Pelagos 2010, il progetto di Greenpeace, Idea Calypso e Fondazione Exodus. Le prenotazioni sono aperte a tutti quelli che vogliono vivere il mare e contribuire a proteggerlo. Una settimana a bordo del veliero Bamboo tra delfini, snorkeling e biologia marina. www.greenpeace.it 6 - 10 settembre VALENCIA (SPAGNA) 25TH EU PVSEC Venticinquesima edizione della conferenza mondiale sull’energia solare fotovoltaica (European Photovoltaic Solar Energy Conference). I lavori si svolgeranno dal 6 al 10 settembre, mentre l’esibizione (5th World Conference on Photovoltaic Energy Conversion) si svolgerà, sempre nella fiera della città spagnola, dal 6 al 9. www.photovoltaic-conference.com

7 - 10 settembre ROMA ZEROEMISSION ROME 2010 L’edizione 2010 sarà caratterizzata da una rinnovata modalità di svolgimento, e comprenderà Eolica Expo Mediterranean dal 7 al 9 settembre; PV Rome Mediterranean, CSP Expo, ECO House, Geoenergy Expo, CO2 Expo e CCS Expo dall’8 al 10 settembre. www.zeroemissionrome.eu 13 - 17 settembre MONACO DI BAVIERA (GERMANIA) IFAT 2010 Una delle principali fiere internazionali focalizzata sulle nuove tecnologie e lo sviluppo di servizi nel campo della gestione idrica, del territorio e nel riuso e riciclaggio dei rifiuti. www.ifat.de 16 - 19 settembre TODI SANE IDEE Kermesse dedicata alla cultura (e alla pratica) del Ben-Essere. Conferenze, seminari, forum e mostre mercato approfondiranno, con la partecipazione di docenti, esperti e addetti ai lavori, i diversi aspetti legati all’universo “dell’arte di vivere”. www.saneidee.it | 56 | valori |

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18 - 19 settembre VILLA GUARDIA (CO) L’ISOLA CHE C’È Settima edizione della fiera comasca dell’economia solidale e del consumo consapevole. L’isola che c’è è anche un’ampia rete di economia solidale che si è formata sul territorio comasco dalla fine del 2003, coinvolgendo realtà di vari ambiti: commercio equo, finanza etica, consumo critico, cooperazione sociale, riciclo e riuso, energie rinnovabili, agricoltura biologica, artigianato, turismo responsabile, solidarietà internazionale. www.lisolachece.org

23 - 25 settembre BOLZANO KLIMAENERGY Fiera dedicata esclusivamente agli usi commerciali e pubblici delle energie rinnovabili, è visitata da operatori del settore e si distingue per il carattere altamente specializzato e qualificato di espositori, visitatori e del programma di contorno. www.fierabolzano.it 24 - 26 settembre ITALIA PULIAMO IL MONDO CLEAN-UP THE WORLD È l’edizione italiana di Clean Up the World, il più grande appuntamento di volontariato ambientale del mondo. Una campagna di pulizia che comunica la necessità e la voglia di riapproporiarsi del proprio territorio prendendosene cura, che segna il bisogno della gente di mettersi in relazione per tutelare gli spazi pubblici, prendendo coscienza che, oltre a ripulire, si dovrebbe imparare a non sporcare. www.puliamoilmondo.it/2010 25 - 26 settembre TREVISO QUATTRO PASSI VERSO UN MONDO MIGLIORE L’evento è tra i principali punti di riferimento nazionali per quanto riguarda la cooperazione, lo sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente. “Reti Liberatutti, scopriamo l’economia delle relazioni” è il tema della sesta edizione: le buone pratiche che mettono in rete i soggetti economici, i produttori i consumatori. Dalla cooperazione a nuove forme di lavoro, dalla filiera corta all’economia di prossimità, dal commercio equo e solidale all’agricoltura. www.fieraquattropassi.org 27 - 29 settembre PECHINO (CINA) IFAT 2010 Seconda conferenza ed esibizione

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A CURA DI ANDREA BAROLINI | PER SEGNALAZIONI SCRIVERE A REDAZIONE@VALORI.IT

internazionale dedicata all’energia fotovoltaica. Luogo dell’evento il China World Trade Center. www.ipvsee.com

29 settembre - 1°ottobre RAVENNA RAVENNA 2010 È una manifestazione, giunta alla 3a edizione, che si svolge interamente nel centro storico pedonale di Ravenna all’interno di 12 Sale attrezzate, in Piazza del Popolo e nelle principali vie del Centro Storico. Un evento a km zero dedicato ai temi come i rifiuti, l’acqua, l’energia, l’economia ambientale; ma anche ad elementi culturali che abbracciano il cinema, musica e arte. www.ravenna2010.it ottobre ROMA OBIETTIVI SUL LAVORO 2010 Concorso per audiovisivi che si propone di indagare e dare visibilità, attraverso il linguaggio delle imma-gini in movimento, al tema del lavoro e a tutti gli aspetti più rilevanti che attualmente lo caratterizzano. www.ucca.it 1 - 17 ottobre BERGAMO BERGAMOSCIENZA Festival di divulgazione scientifica che dal 2003, grazie all’intuito e alla volontà di un gruppo di amici, Soci dell’Associazione Sinapsi, coinvolge la città proponendo un programma fitto di eventi gratuiti. Lo scopo è portare la scienza “in piazza” e renderla fruibile a tutti, sopratttuto ai giovani e alle scuole. www.bergamoscienza.it

3 ottobre ITALIA BIODOMENICA È la giornata nazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione biologica organizzata da Legambiente, Associazione Italiana Agricoltura Biologica e Coldiretti. Per il consumo di prodotti sicuri e di qualità, legati al territorio e alle sue tradizioni. www.biodomenica.it 7 - 8 ottobre CREMONA COMPRAVERDE-BUYGREEN Mostra-convegno dedicata a politiche, progetti, beni e servizi di green procurement pubblico e privato. L’evento è promosso da Provincia di Cremona, Coordinamento Agende 21 Locali

Italiane, Regione Lombardia, Ecosistemi e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale. 7 - 10 ottobre AUGUSTA (GERMANIA) RENEXPO Undicesima edizione della fiera delle energie rinnovabili e della bioedilizia. La manifestazione si terrà presso il Trade Fair Center Augsburg. www.renexpo.de 8 - 10 ottobre BASTIA UMBRA (PG) KLIMAHOUSE UMBRIA 2010 Fiera specializzata nell’efficienza energetica e nella sostenibilità edilizia, accompagnata da un ricco congresso al quale potranno assistere fino a 400 operatori del settore. Il primo giorno della manifestazione, venerdì 8 ottobre, l’ingresso é riservato a soli operatori, mentre sabato 9 e domenica 10 ottobre è aperta al pubblico. www.fierabolzano.it /klimahouseumbria2010 27 - 30 ottobre BOLOGNA SAIE 2010 Salone internazionale delle costruzioni che offre alle aziende espositrici la possibilità di incontrare i 170.000 operatori del settore che ogni anno raggiungono la fiera per discutere e confrontarsi su soluzioni, progetti, tecnologie per le costruzioni. www.saie.bolognafiere.it

3 - 6 novembre RIMINI KEY ENERGY 2010 Fiera Internazionale per l’energia e la mobilità Sostenibile, il clima e le risorse per un nuovo sviluppo: è la sede in cui tecnici e rappresentanti di enti locali hanno l’opportunità di approfondire, presentare e conoscere l’evoluzione delle tecnologie e normative in tal senso. www.keyenergy.eu

3 - 6 novembre RIMINI ECOMONDO La più importante fiera sulle tecnologie verdi e nuovi stili di vita, luogo di incontro privilegiato tra l’industria dell’ambiente e della sostenibilità e gli stake holders istituzionali, associazioni di categoria, Pubblica Amministrazione, ONG. www.ecomondo.com


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Africa. Economia invisibile: condanna o necessità >60 Illegale, sommerso e non solo. Dai Paesi poveri all’Ue >62 MFF: Ngo World Videos. Obiettivo sulla cooperazione >65

internazionale FRANCIA, ACCORDO SUI PREZZI DEL LATTE

LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA DELL’AIA CONFERMA LA SECESSIONE DEL KOSOVO

DOPO OTTO ANNI IN EUROPA TORNA LA POLIOMELITE

LA SPAGNA LEADER NEL SOLARE TERMODINAMICO

ENERGIA E FINANZA, DURE SANZIONI ALL’IRAN DALL’UNIONE EUROPEA

EMERGENCY RIAPRE L’OSPEDALE DI LASHKAR-GAH

I produttori di latte francesi hanno annunciato nelle scorse settimane (precisamente il 18 agosto) di aver raggiunto un accordo sull’aumento dei prezzi. A confermarlo è stato il primo sindacato agricolo del Paese, la FNSEA: in tal modo si pone fine ad un lungo periodo di scontri e proteste, sfociate in piena estate nelle richieste di boicottaggio dei prodotti venduti da Lactalis (nel dipartimento dell’Orne) e di quelli a marchio Bel e Banduel (nel dipartimento di Rhone Alpes). Alla base dell’agitazione - per gli agricoltori c’è stata infatti proprio la quota a loro riservata sul prezzo di vendita, considerata troppo bassa e corresponsabile del brusco calo dei loro ricavi (-50% nell’ultimo anno). I nuovi prezzi subiranno un aumento del 10%, ha dichiarato Olivier Picot, presidente dell’Association de la transformation laitière (ATLA), che rappresenta industrie e cooperative. In termini assoluti la crescita sarà di 31 euro per mille litri nel secondo semestre del 2010 (a quota 301 euro su base annua). Da parte sua, la filiera si è impegnata ad introdurre un indicatore della competitività internazionale nel settore: una mossa gradita agli industriali che, in questo modo, sperano di combattere meglio la concorrenza tedesca.

L’indipendenza dichiarata unilateralmente dal Kosovo il 17 febbraio 2008, secondo la Corte internazionale di giustizia dell’Aia «non ha violato né il diritto internazionale in generale, né la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza, né il quadro costituzionale». Il parere del massimo organo di giustizia dell’Onu era stato richiesto dalla Serbia in seguito al distacco di Pristina da Belgrado; pur avendo solo un valore consultivo, il parere ha una forte valenza politica perché afferma che l’indipendenza «deve essere considerata alla luce della situazione de facto». È stata anche respinta la tesi sostenuta da Belgrado, e cioè che la risoluzione Onu 1244, votata alla fine dell’intervento delle Nazioni unite del 1999, parlava del Kosovo come di una provincia serba temporaneamente sotto amministrazione Onu. La Corte ha ora affermato che: «La dichiarazione di indipendenza è coerente anche con la risoluzione 1244 che non ne contiene la proibizione». Nell’immediato nei Balcani si teme un rinfocolarsi della tensione tra serbi e albanesi del Kosovo, in particolare nella zona di Mitrovica. Ma il parere della Corte di giustizia, su un caso che ha analogie con la secessione del Pakistan degli anni ’70, avrà conseguenze anche nel resto d’Europa. Ha, infatti, rilanciato l’iniziativa di molte regioni che spingono da tempo per l’autonomia e che hanno ora un’ampia liberatoria per la secessione: dalla Corsica ai Paesi Baschi passando dalla Catalogna, per tornare ai Balcani in Bosnia-Erzegovina, dove la Repubblica serba potrebbe dichiarare l'indipendenza dalla Federazione croato-bosniaca, o in Macedonia, dove la nutrita minoranza musulmana concentrata ai confini con il Kosovo potrebbe cercare di staccarsi da Skopje. Ma anche in Italia, dove la secessione è un cavallo di battaglia della Lega Nord, al quale ha solo momentaneamente rinunciato per ottenere il federalismo, obiettivo che per ora segna il passo.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha segnalato il ritorno della polio nella regione europea, dichiarata “polio free” nel 2002. Il focolaio è scoppiato nel Tajikistan, che geograficamente appartiene all’Asia, ma rientra nella giurisdizione europea dell’Oms. I casi segnalati fino al 30 giugno erano 334, circa tre quarti di quelli totali nel mondo, localizzati soprattutto nella regione Sud Est del Paese, al confine con l’Afghanistan e l’Uzbekistan. Il virus sembra essere di origine indiana e questo rilancia le critiche sulla campagna vaccinale condotta in India, dove il vaccino orale ha avuto un alto tasso di fallimento nelle precarie condizioni igieniche e di sovraffollamento. Ne parla il New England Journal of Medicine: cominciano a circolare virus di polio derivati da quelli usati per i vaccini. Sono ceppi innocui, ma geneticamente instabili e quindi, circolando in popolazioni con livelli di immunità bassi, si modificano e tornano ad assumere il profilo virulento. Diversi focolai si sono diffusi così: anche quello scoppiato in Nigeria nel 2006, che è stato difficile da contenere con campagne vaccinali supplementari. Oltre alle strategie vaccinali sbagliate, anche le guerre sono causa di focolai dove resiste il virus. Proprio mentre una serie di successi (nel 2000 i casi di polio erano crollati del 99%) avevano fatto pensare di essere a un passo dall’eradicamento del virus della poliomelite dal mondo.

Con l’inaugurazione della centrale termodinamica La Florida, a tre chilometri da Alvarado nell’Estremadura, la Spagna diventa il primo Paese al mondo con 432 MW di potenza installata di solare termodinamico, davanti agli Stati Uniti che hanno centrali per 422 MW. La centrale La Florida da 50 MW è di proprietà della Renovables Samca, gruppo aragonese le cui attività sono diversificate nel settore minerario, nell’agricoltura, nella plastica, nel tessile e nell’eolico. La Spagna è ben decisa a sfruttare i suoi 340 giorni di sole l’anno e scommette sul termodinamico: sono già in esercizio 11 parchi termodinamici, 20 sono in fase avanzata di costruzione e si prevede di raggiungere entro l’anno i 600 MW installati. Il termodinamico produce energia elettrica trasformando la radiazione solare in calore ad alta temperatura che può essere accumulato in serbatoi, superando in tal modo il problema della variabilità della fonte primaria. Con il sistema di accumulo l’impianto è in grado di produrre in modo costante e continuativo energia elettrica, anche in presenza di nubi e nelle ore notturne, ottenendo una disponibilità simile a quella di impianti termoelettrici a combustibili commerciali. La centrale La Florida, estesa su una superficie di 552.750 mq (77 campi di calcio), utilizza 672 specchi parabolici a inseguimento solare e una tecnologia di stoccaggio termico a sali fusi di sodio e potassio.

È stato varato a fine luglio dall’Unione europea un ulteriore pacchetto di sanzioni durissime nei confronti dell’Iran. Le misure votate dai ministri degli Esteri dei 27 Paesi sono destinate a colpire soprattutto i settori energetico e finanziario iraniano. Una prima parte rende esecutive le sanzioni già decise dall’Onu il 9 giugno scorso, il secondo pacchetto invece va ben oltre e ricalca le decisioni di Stati Uniti e Australia. Sarà proibito esportare benzina in Iran, l’Europa dice stop a nuovi investimenti, assistenza tecnica o trasferimenti di tecnologie nei settori del gas e del petrolio, in particolare nei settori strategici della raffinazione e della liquefazione del gas, nei quali l’Iran sta cercando di colmare le carenze costruendo raffinerie, che dovrebbero essere terminate nel 2012. Pur essendo il quarto produttore mondiale di petrolio - il secondo per riserve accertate (dopo l’Arabia Saudita) e di gas (dopo la Russia) l’Iran deve importare il 40% del suo fabbisogno di carburanti perché non ha impianti di raffinazione sufficienti. L’acquisto di carburanti in Iran è già contingentato ed è possibile solo con una tessera di consumo. Con l’embargo europeo, al quale si è aggiunta la Russia, le difficoltà cresceranno assieme alle tensioni nella delicatissima area iraniana. Inoltre saranno rafforzati i controlli sulle merci e saranno più difficili nuovi scambi commerciali. È stato stilato un elenco di una sessantina tra banche, assicurazioni finanziarie e società di trasporto che si vedranno interdire l’attività in Europa; saranno richieste autorizzazioni speciali per transazioni finanziarie con l'Iran superiori a 40 mila euro. Le sanzioni europee dovrebbero convincere la Repubblica Islamica a recedere dalla sua politica nucleare; l’Iran, tuttavia, ha criticato le nuove sanzioni. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Ramin Mehman Paras, citato dall’agenzia Isna, ha sottolineato che «le sanzioni complicano le cose e allontanano le parti da un punto di comprensione reciproca».

«Cari amici, siamo molto felici di annunciarvi che giovedì 29 luglio abbiamo riaperto il Centro chirurgico di Lashkar-Gah. Un giornalista ci ha chiesto “Perché?”. Ma la risposta la sapete già: perché è il nostro lavoro, perché quell'ospedale serve, perché è l'unica struttura gratuita nella regione, perché quell'area è teatro di una guerra sempre più violenta, perché i 70 letti delle corsie - da quando è stato aperto e fino al giorno della sua forzata chiusura il 10 aprile scorso - sono sempre stati pieni. Perché la popolazione ne ha bisogno: e noi non abbiamo bisogno di altri perché. Ancora grazie per il vostro sostegno. A presto, Cecilia Strada (presidente di Emergency)». Con questa lettera è stata ufficializzata la riapertura del Centro chirurgico di Emergency in Afghanistan, dopo la chiusura dello scorso aprile e l’accusa a tre volontari italiani di essere collaboratori dei talebani. Un team composto da un chirurgo, due infermieri, un logista e 140 afghani, tra personale medico, ausiliario e amministrativo, ha ripreso possesso della struttura (che non ha subito furti ma è stata invasa dalla sabbia), dopo le rassicurazioni del governatore della regione di Helmand. La riapertura è frutto delle pressioni della società civile, rimasta priva di una struttura di assistenza fondamentale. Il governo ha porto le sue scuse ufficiali e le autorità hanno assicurato pieno rispetto dell’autonomia dell’ospedale.

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FULVIA BONIARDI

DA DANDORA A NAPOLI: LE DISCARICHE FANNO GOLA ALLA CRIMINALITÀ NEL 2006 IL MINISTERO DELLE FINANZE DI NAIROBI commissiona al ministero dell’Ambiente italiano uno studio di fattibilità per il trasferimento di Dandora, pagandolo 721 mila euro. Dello studio è incaricata una società italiana, Eurafrica. Il perché di questo passaggio non è chiaro: per l’allora direttore generale del ministero dell’Ambiente, Corrado Clini, sono stati i colleghi kenyani, i quali negano. La posizione di Eurafrica è da subito ambigua: la sede operativa è a Roma, a casa di Bruno Calzia (socio); quella legale a Napoli, a casa di Tiziana Perroni, moglie di Calzia (amministratore unico). La società, con capitale di appena diecimila euro, non ha competenze sullo smaltimento di rifiuti. Inoltre ci sono già altri progetti per la chiusura di Dandora e la creazione di una nuova discarica: uno è della Jacorossi, società italiana che lavora nel settore da anni, è costato al governo kenyano 300 mila euro e prevede anche il coinvolgimento di una parte degli abitanti di Korogocho per differenziare i rifiuti nella nuova discarica. Una situazione ambigua, presto denunciata dai missionari comboniani a Korogocho. Sulla base della loro segnalazione il ministero italiano decide di bloccare i fondi per lo studio. Vengono aperte due inchieste per fare luce sulla vicenda: una interna al ministero, una dalla magistratura romana. Entrambe archiviate. Sotto accusa per diffamazione finiscono invece padre Alex Zanotelli e padre Daniele Moschetti, i primi a lanciare la campagna per la chiusura di Dandora. Per padre Moschetti il caso è già stato archiviato. «Io non ho ancora ricevuto comunicazioni ufficiali - spiega padre Zanotelli - Clini potrebbe ancora presentare ricorso, i termini non sono scaduti. Ma la nostra preoccupazione vera ora è il destino di tutti coloro che con la chiusura di Dandora resteranno senza un reddito». Sempre impegnato nelle lotte per i diritti civili, oggi padre Zanotelli vive a Napoli e anche qui si occupa di discariche: «A Napoli è peggio che a Dandora: sulla questioni rifiuti qui ha perso tutto il popolo italiano. Il problema non è stato risolto, anzi è peggiorato. Ma nessuno ne parla più, e il popolo campano è tornato a essere solo».

Grazie all’economia informale in Africa vive tra l’80% e il 95% della popolazione. Lavoro nero e sottopagato, nessun diritto, sfruttamento, ma spesso l’unica fonte di reddito.

I

di Sara Milanese

ECONOMIA INFORMALE ESCLUSA L’AGRICOLTURA [IN PERCENTUALE SUL PIL] Settore informale in % sul Pil che non comprende l’agricoltura Settore informale in % sul totale del Pil

54,7

60

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FONTE: CHARMES 2006

Economie in transizione 21,7 13,9

Caraibi

22,2 21,2

30,8 25,9 America Latina

0

Asia

10

Nord Africa

20

Sud-Sahara Africa

30

23,9 28,8

30,4

40

37,7

37,7

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L ROQUE SANTEIRO, IL MERCATO ALL’APERTO PIÙ GRANDE DELL’AFRICA, verrà chiuso: lo ha comunicato il 2 luglio il comune di Luanda, capitale dell’Angola. Al suo posto sorgeranno nuove infrastrutture per riqualificare il bairro popolare di Sambizanga. Il mercato, una distesa a perdita d’occhio di bancarelle di ogni tipo, verrà trasferito a Panguila, 18 chilometri a nord di Luanda. Le autorità assicurano: ci saranno “migliori condizioni igieniche e di sicurezza” per tutti. Ma, più che alla salute dei venditori, Luanda sembra interessata al flusso quotidiano di 10 milioni di dollari che passa per il Roque, alimentato ogni giorno da 15 mila angolani. Denaro su cui, finora, il fisco non aveva alcun controllo. Grazie all’economia informale vive tra l'80 e il 95% della popolazione del Continente. Regolare questo sistema, ormai consolidato, di compravendita e di lavoro in nero è una sfida che richiede una forte volontà politica, virtù di cui le amministrazioni africane, deboli e corrotte, non sembrano dotate. Secondo l’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, quantificare il giro di denaro legato all’economia invisibile in Africa è praticamente impossibile: sfugge a qualsiasi controllo. E si insinua ovunque. Anche tra i rifiuti.

Rifiuti e redditi Nairobi ha quattro milioni di abitanti, che producono circa 2.400 tonnellate di rifiuti ogni giorno. Tutti depositati nell’unica discarica della città: Dandora. Dopo anni di promesse, la sua chiusura sembra finalmente vicina: nel 2012 sarà attivo un nuovo centro di raccolta rifiuti a Ruai, a dieci chilometri a Est. Gli ambientalisti sono soddisfatti: finora i rifiuti - cittadini, ospedalieri e industriali - sono stati scaricati a cielo aperto, senza nessun controllo, causando malattie della pelle e respiratorie, diarrea, tumori. Per cinquant’anni hanno inquinato la terra, il fiume Nairobi e le falde acquifere sotterranee. Gli abitanti di Korogocho, lo slum che convive con la discarica, invece protestano: Dandora è la loro condanna, ma anche l’unica fonte di reddito, grazie al riciclo e alla rivendita di rifiuti. «La crisi delle famiglie è già cominciata: si scaricano meno rifiuti e non si trovano più quelli pregiati, che si rivendono facilmente come rame, alluminio, ferro». Racconta padre Paolo Latorre, missionario comboniano che vive a Korogocho. «Da anni ci battiamo per la chiusura di questa discarica, ma tra le nostre richieste c’è sempre stata l’attenzione per le famiglie che, con la chiusura di Dandora, si troveranno senza

A sinistra, Roque Santeiro, l’enorme mercato all’aperto a Luanda, in Angola. In alto, la discarica di Dandora a Nairobi, in Kenya. Entrambi sono fucina dell’economia informale africana ed entrambi verrannno presto chiusi.

lavoro. Le autorità non se ne sono mai preoccupate». L’accesso alla nuova discarica, a Ruai, sarà regolato e controllato: con Dandora anche il business del riciclaggio dei rifiuti è destinato a finire. E migliaia di famiglie resteranno senza una fonte di reddito.

I numeri dell’informalità I livelli di informalità variano da Paese e Paese: la Banca Mondiale individua una media mondiale del 33%, tra il 3% del Canada e il 67% della Bolivia. In alcuni Paesi latinoamericani i lavoratori non regolari sono il 30% del totale, ma nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana raggiungono l’80%. L’Europa non ne è immune: il settore informale in Georgia rappresenta il 67,3% dell’economia nazionale, in Ucraina il 52%, in Bielorussia e Moldavia supera il 45%. In Africa e nei Paesi più poveri il fenomeno si concentra nel lavoro agricolo e nel commercio di strada, è in genere a conduzione familiare e prevede un passaggio di competenze informale. Nei Paesi emergenti è invece più strutturato: comprende il settore manifatturiero e anche quello industriale. In India, per esempio, i lavoratori informali rappresentano il 44% dei dipendenti nei servizi e il 28% di quelli nell'industria. Nonostante le differenze, in tutto il mondo questa resta una realtà di lavoro precario, senza diritti garantiti, con piccoli proprietari che si arricchiscono e lavoratori in nero sottopagati. Anche per questo motivo, più che combattere il sistema dell’economia informale, secondo l’Ilo è necessario promuovere il decent work, cioè condizioni di lavoro dignitose, salario minimo e garanzie assistenziali, in modo da creare un’alternativa appetibile al lavoro in nero. Un obiettivo raggiungibile con la collaborazione tra governo, datori di lavoro, sindacati e società civile, ma che per il momento fatica a realizzarsi, sia per la debolezza delle istituzioni locali, sia perché, in assenza di controlli e di norme fiscali rigide, anche per i poteri forti (politici, imprenditori locali e società straniere) fare affari “informali” è molto più conveniente.

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A destra, la distesa di bancarelle del mercato di Roque Santeiro, a Luanda, in Angola. Verrà chiuso e spostato a Panguila, 18 km a nord. Un modo per arginare l’economia informale e costruire un sistema fiscale.

GLOSSARIO ECONOMIA NON DIRETTAMENTE OSSERVATA Attività che devono essere incluse nel Pil ma che, in quanto non osservabili in modo diretto, non sono registrate nelle indagini statistiche presso le imprese o nei dati fiscali e amministrativi utilizzati ai fini del calcolo delle stime dei conti economici nazionali. È la somma di: economia illegale; economia informale; sommerso statistico, economia sommersa. ECONOMIA ILLEGALE Le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibite, e quelle attività che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. ECONOMIA INFORMALE Le attività produttive legali svolte su piccola scala, con bassi livelli di organizzazione, con poca o nulla divisione tra capitale e lavoro, con rapporti di lavoro basati su occupazione occasionale, relazioni personali o familiari. Non è sinonimo di attività nascosta al fisco, poiché fa riferimento agli aspetti strutturali dell’attività produttiva e non alla problematica dell’assolvimento degli obblighi fiscali e contributivi.

LIBRI

SOMMERSO STATISTICO Le attività produttive legali non registrate esclusivamente per deficienze del sistema di raccolta dei dati statistici.

Mario Biggeri Franco Volpi Teoria e politica dell’aiuto allo sviluppo Franco Angeli, 2010

Nicolò Bellanca Pavanello Mariano Mario Biggeri Renato Libanora Le forme dell’economia e l’economia informale Editori Riuniti, 2009

Alex Zanotelli Daniele Moschetti Cesare Ottolini Francesco Fantini W Nairobi W libro fotografico Emi, 2004

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SARA MILANESE

Alessandro Volpi Senza misura. I limiti del lessico globale BFS Edizioni, 2008

ECONOMIA SOMMERSA Nelle definizioni internazionali coincide con il solo “sommerso economico”, cioè con l’insieme delle attività produttive legali svolte contravvenendo a norme fiscali e contributive. Si scompone in: fatturato occultato e costi illecitamente dedotti; valore aggiunto occultato da lavoro irregolare; componenti statistiche.

Illegale, sommerso e non solo Dai Paesi poveri all’Europa

All’interno dell’economia non direttamente osservata, accanto a sommerso e illegale, c’è il settore informale. In crescita in tutto il mondo a causa della globalizzazione.

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NUMERI DELL’ECONOMIA INFORMALE NEI PAESI emergenti o in via di sviluppo sono importanti: in alcuni Paesi africani l’informale rappresenta l’85% dell’economia e ci sono almeno 420 di Paola Baiocchi milioni di lavoratori informali in India, con regole e sindacati». È Mario Biggeri, docente di Economia dello sviluppo all’Università di Firenze, a spiegarci le caratteristiche dell’informale, di questo eterogeneo mondo che nelle classificazioni ufficiali rientra nell’economia non direttamente osservata, a fianco del sommerso e dell’illegale (vedi GLOSSARIO ). L’informale viene calcolato nel Pil e le sue attività possono essere in qualsiasi settore, dal primario al terziario, «spaziando dalla sussistenza pura alle piccole e dinamiche imprese. È un fenomeno legato alla globalizzazione e i suoi numeri sono in aumento in tutto il mondo, con uno spostamento dei confini geografici», aggiunge Mario Biggeri.

Senza confini e senza diritti... L’informale avanza anche nei Paesi industrializzati, come l’Italia, dove, sotto la spinta della crisi, i lavoratori escono dal formale e - se riescono a restare nel legale - entrano nell’informale, perdendo diritti. Il sindacato segue l’informale, ma confessa l’impossibilità di tenere tutto sotto controllo di fronte alle infinite forme con cui il lavoro può ANNO 10 N.82

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essere “prestato”. Valerio Zanollo, del dipartimento Lavoro della Cgil-Lombardia, ce ne parla: «Molte attività sono nate dall’informale. Penso ai caradour nel varesotto, che una volta estraevano sabbia dai fiumi con i carri e i buoi e adesso sono importanti imprese di trasporti o di costruzioni. Ma ora ci sono tutta una serie di lavori di nicchia che non si evolvono: i lavori nelle discoteche, i dog sitter, chi gestisce siti web. Le risposte arrivate dagli ultimi governi – continua Zanollo – hanno addirittura peggiorato la situazione: prima i lavoratori dell’agricoltura avevano i contratti stagionali con i contributi e dopo la stagione potevano avere il sussidio di disoccupazione. Ora con i voucher non si ha diritto a prestazioni a sostegno del reddito come gli assegni familiari, la disoccupazione o la maternità». I voucher, o buoni lavoro, introdotti dalla legge Biagi per il lavoro “occasionale accessorio” si sono trasformati in strumenti di pagamento anche per lavori non occasionali, dice Zanollo: «Chi consegna i quotidiani lo fa tutti i giorni, dovrebbe avere un altro inquadramento. Per arginare il problema della perdita di diritti dovrebbero essere drasticamente ridotti i tipi di assunzione e il contratto a tempo indeterminato dovrebbe tornare ad essere la norma e non l’eccezione».

...ma scintilla per lo sviluppo Non sempre informale vuol dire evasione fiscale, ma se è l’unica forma di lavoro, invece di rappresentare un’oc-

cupazione per studenti o un’integrazione al reddito familiare, diventa un piano inclinato verso il sommerso, che in Italia ha cifre da capogiro: tra i 250 e i 275 miliardi di euro l’anno, tra il 16,3 e il 17,5% del Pil, secondo le stime pubblicate dall’Istat a luglio. Un sommerso costituito per lo più dalla sottodichiarazione del fatturato e dal rigonfiamento dei costi. Una massa enorme di denaro che porterebbe al pareggio il debito pubblico e che, invece, ci rende di fatto un paradiso fiscale con tre milioni di lavoratori senza diritti. Ma, se da un lato «il settore informale è un sintomo di disfunzioni economiche, visto come fonte di occupazione a basso reddito, dall’altro può essere un’opportunità per innescare il processo di sviluppo nei Paesi a basso reddito dell’Africa sub-sahariana», continua Mario Biggeri. «Il settore informale, rappresentando il nucleo delle forme economiche generatrici di reddito per i poveri, dovrebbe costituire il punto di partenza per l’avvio di qualsiasi riforma economica e sociale. Lo sviluppo umano dell’Africa non può passare solo attraverso la rapida espansione del settore moderno, come dimostrano più di cinquant’anni di occasioni perse. La crescita economica deve manifestarsi preferibilmente anche in quei settori dai quali i poveri traggono il proprio sostentamento ed essere accompagnata da politiche dirette a espandere l’accesso a servizi sociali essenziali di base».

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LA FORMA DELLO STATO CHE TIPO DI FISCALITÀ STA DEFINENDOSI in molte parti del mondo? Che senso ha ancora il prelievo di ricchezza compiuto attraverso tasse e imposte? Ridurre i margini del sommerso, e anche dell’informale, implica introdurre forme di regolazione istituzionale e di emersione connessa al prelievo fiscale. Ma la lunga stagione delle flat tax ha trasformato la natura stessa dell’imposizione fiscale, ne ha sostanzialmente delegittimato il carattere distributivo e ha accentuato l’esigenza di spostare il carico dai redditi ai consumi, dalle persone alle cose. Nel Pianeta della liberalizzazione dei circuiti di capitale, la concorrenza fiscale è diventata decisiva e dunque adottare sistemi semplificati, con aliquote secche, basse e destinate a colpire consumi e beni senza troppa attenzione all’equità e, appunto, alla redistribuzione è risultato l’imperativo da seguire. Così facendo però il sommerso di fatto si trasforma in base imponibile, ma solo per effetto di un colossale sconto generalizzato in termini fiscali, che comporta una costante contiguità con i caratteri di fondo dei paradisi fiscali. Anche il sistema delle royalties sulle materie prime e, in generale, sulle commodities assume caratteri analoghi; si tratta di nuove forme di dazi sul consumo al ribasso che ritagliano una quota parte minima di prelievo ad attività che di fatto si rinuncia a regolamentare. In questo senso la fiscalità indiretta sui consumi e sui beni evita la costruzione di uno Stato e di una politica tributaria, ma, di fatto, non modifica la natura stessa del sommerso e non traduce in formale l’informale perché manca l’impalcatura stessa dello Stato. L’imposizione acquisisce in molti realtà africane la natura del prelievo-tangente istituzionalizzata attraverso la royalties a benefici di Stati-persona che rinunciano a qualsiasi vocazione realmente pubblica e collettiva. Il sistema fiscale non modifica il sommerso né l'informale, ma finisce per adeguarsi ad esso, soprattutto nella misura in cui sommerso e informale si sovrappongono almeno in parte all’illegale e al criminale. Un’altra questione riguarda la moneta: di fronte alla crisi delle valute di riferimento internazionale, ai processi di sganciamento dalle divise principali e ai fenomeni sempre più evidenti di svalutazione legata alla speculazione ingegnerizzata, la moneta non ha nessuna attrattiva nelle economie connotate da informalità. Anzi rischia di svolgere funzioni destabilizzanti e quasi vessatorie. In questo senso, il tema dell’informalità, più ancora che quello del sommerso, assume i contorni della strada quasi obbligata, rispetto a forme di strutturazione economica che non sono perseguite in termini fiscali per ragioni di supposta convenienza - a cui è connesso spesso il fallimento o la rinuncia rispetto ad un orizzonte di democratizzazione statuale e che non sono praticabili rispetto ai processi di monetarizzazione. Alessandro Volpi

docente di Storia contemporanea e Geografia politica economica presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa

L’informale viene calcolato nel Pil e le sue attività possono essere in qualsiasi settore, dalla sussistenza pura alle piccole imprese |

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Economia sociale per il decent work

Intervista a Luca Jahier, del Cese: “Fondamentale il ruolo di mutue e cooperative nel sistema sanitario africano”.

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L 15 LUGLIO il Cese, il Comitato economico e sociale europeo, ha approvato un documento che chiede alle istituzioni europee di sostenere lo sviluppo dell’economia sociale in Africa. «L’economia sociale sta a cavallo tra l’economia ufficiale, fatta di imprese, di Sara Milanese strutture di Stato, di import-export, e l’economia informale. Perché nasce in questa area di confine», spiega Luca Jahier, Presidente del Consiglio nazionale delle Acli e relatore del documento approvato.

Promuovere i diritti dalle comunità «In Rwanda il 75% degli abitanti ha accesso alla copertura assistenziale grazie a mutue private, auto-organizzate, basate su principi cooperativi: un pilastro del sistema sanitario nazionale». È solo uno dei tanti esempi di successo. «Assieme a cooperative, fondazioni, associazioni e imprese sociali, le mutue sono una delle 5 strutture classiche di questa forma di economia», che in Africa è profondamente radicata nel contesto sociale: genera occupazione, coesione sociale e colma le lacune della pubblica amministrazione. «Si basa su strutture tradizionali, come la comunità, il villaggio, il quartiere e ha un’altissima capacità di resilienza». Secondo l’Ilo sta giocando un ruolo chiave nella promozione del decent work. Si presenta come ponte tra un’economia informale e una in cui i diritti dei lavoratori sono tutelati. Compresi quelli dei più deboli: minori e donne.

L’economia sociale non riguarda solo servizi, uno dei maggiori fornitori della rete del commercio equo è la Oromia Company Coffee, una confederazione cooperativa etiope di caffè, nata su iniziativa dei cittadini, che poi reinvestono nella costruzione di scuole e ospedali. Un modello di economia sociale che si sta diffondendo in tutto il continente. «Nel disinteresse, finora, della comunità internazionale: i soggetti non sono riconosciuti come attori e quindi non vengono coinvolti nei processi decisionali o di definizione delle politiche», continua Jahier. Se l’economia sociale è una realtà consolidata, il riconoscimento del suo ruolo in Africa è molto recente: l’Ilo le ha dedicato una conferenza a Johannesburg nell'ottobre 2009.

Non solo in Africa Da qui è partito l’interesse del Cese: «L’approvazione di questo documento è il primo passo per informare i responsabili della politica Ue del ruolo dell’economia sociale nei paesi africani. Vogliamo che vengano coinvolti nella cooperazione allo sviluppo Ue-Africa». Ma serve anche il contributo dei governi locali: devono promuovere leggi che li favoriscano, non solo in Africa. «L’economia sociale è un fenomeno presente in tutto il mondo e si declina a seconda dell’area in cui si sviluppa: in Spagna si parla di economia solidaria, in Repubblica Ceca le cooperative sono inserite nel mondo industriale», continua Jahier «Sempre di più il modello di associazioni, fondazioni e imprese sociali diventa garanzia per i diritti dei lavoratori».

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Obiettivo sulla cooperazione

I CINQUE FILM FINALISTI

Per il secondo anno il Milano film festival e Coopi danno spazio alla comunicazione sociale attraverso il concorso Ngo World Videos (di cui Valori è media partner).

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EL DRAMMA AFRICANO DELL’AIDS, del devastante terremoto ad Haiti, della logorante guerra civile nella Repubblica democratica del Congo si è parlato a lungo. Associazioni e Ong presenti sul territorio hanno cercato di comunicare al mondo ricco e opulento cosa significa vivere, oggi, dall’altra parte della Terra. Spesso, però, lo hanno fatto attraverso forme un po’ di Andrea Barolini standardizzate nel tentativo di colpire la sensibilità di chi riceve le informazioni. Un metodo legato soprattutto all’esigenza di convincere quante più persone possibili a dare il proprio contributo ai progetti promossi dalle stesse associazioni. “Ngo World Videos - Reportage dal Sud del mondo”, concorso per cortometraggi prodotti o promossi da Ong e associazioni umanitarie italiane ed internazionali che operano nei Paesi del Sud del mondo, vuole invece dare voce a un altro (non necessariamente migliore, né più utile, ma semplicemente diverso) modo di fare comunicazione sociale. Ideato in collaborazione con l’organizzazione non governativa italiana Coopi, il concorso sarà presentato il 17 settembre (dalle 16 alle 19, presso la sala Scatola magica del teatro Strehler del capoluogo lombardo), nell’ambito della rassegna cinematografica Milano film festival. Per il secondo anno consecutivo, la kermesse milanese ospita il premio, il cui obiettivo principale è di stimolare la produzione di documentari di alta qualità cinematografica, rivolgendosi così un pubblico più ampio. «Il Milano film festival raggiunge un pubblico ampio e giovane - osserva Ingrid Tamburin, responsabile dell’evento per Coopi - e da anni è impegnato anche sui temi legati al sociale. Fino allo scorso anno, però, mancava una rassegna dedicata specificatamente alla cooperazione». Quello del 2009 è stato un evento di “prova”, rivelatosi un successo: «Alla giornata in cui abbiamo presentato i film si sono presentate non soltanto moltissime persone, ma soprattutto tante Ong: l’evento si è trasformato così in un importante momento di confronto e discussione sulla comunicazione sociale». Sopra, la locandina A giudicare i film finalisti di quest’anno sarà una giuria INFO dell’NGO World composta da tre esperti (uno per il punto di vista cinemaVideos. A destra, alcuni estratti tografico, uno per quello giornalistico, uno per quello fotodei cinque film che grafico). «Complessivamente abbiamo ricevuto circa quasi contenderanno il premio ranta lavori», spiega Cristina Caon, che per il Mff ha curato MILANO FILM FESTIVAL per il 2010. la prima selezione. «Tra questi ne abbiamo scelti cinque, 10 - 19 settembre Teatro Studio non basandoci tanto sulla bontà dei progetti raccontati Teatro Strehler quanto sulla qualità del prodotto cinematografico. E priviTeatro dal Verme legiando chi non ha puntato sul pietismo, ma sui punti di Parco Sempione Acquario Civico forza dei progetti stessi, tenendo presenti quegli elementi Casa dei registi che corrispondono agli Obiettivi del millennio». Qualità e milanofilmfestival.it utilità sociale, dunque. Al servizio di un mondo migliore.

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ACTION URGENCE HAITI Dopo il sisma del 13 gennaio 2010 l’isola di Haiti ha un’anima da curare. La Onlus Terre des Hommes, già operativa con progetti di sviluppo, ha fatto fronte alla nuova emergenza, fornendo supporto medico e portando beni di prima necessità a una popolazione che non ha più nulla.

THE LOST CHILDREN OF GOMA Nel caos della guerra civile nella Repubblica democratica del Congo spesso i bambini perdono le loro famiglie. Il lavoro della Icrc è quello di ritrovarli e riportarli ai parenti sopravvissuti. Storie di speranza per un nuovo inizio.

HOBIECUT La Wawoto Kacel è una cooperativa sociale di artigiani che operano a Gulu, nel nord dell’Uganda. Composta da 152 lavoratori per lo più svantaggiati, sieropositivi, disabili e vittime di guerra. Un affresco del loro lavoro, tra autosufficienza e valorizzazione della più grande risorsa di un Paese: la dignità.

STILL FIGHTING, LOTTANDO ANCORA Aids: nello Swaziland una maledizione. La popolazione, grazie a un lavoro di sensibilizzazione, ha impiegato anni per potere parlare liberamente di questo oscuro male e prendere consapevolezza che esiste una via di salvezza. Rimanendo uniti.

AFGHANISTAN James Nachtwey, celebre fotografo di guerra, ci restituisce scatti monocromi delle anime dimenticate dei detenuti della prigione afghana di Pol-i-charki, sguardi perduti di un istituto di salute mentale e vulnerabili corpi meccanici di un centro di riabilitazione.

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APPUNTAMENTI SETTEMBRE>DICEMBRE

12 settembre TURCHIA REFERENDUM COSTITUZIONALE I cittadini turchi sono chiamati a ratificare le riforme costituzionali approvate dal Parlamento tra la fine di maggio e l’inizio di giugno. 13 - 17 settembre MONACO DI BAVIERA (GERMANIA) IFAT 2010 Una delle principali fiere internazionali focalizzata sulle nuove tecnologie e lo sviluppo di servizi nel campo della gestione idrica, del territorio e nel riuso e riciclaggio dei rifiuti. www.ifat.de 15 - 17 settembre GINEVRA (SVIZZERA) WTO PUBLIC FORUM 2010 Si intitola “The Forces Shaping World Trade” la tre giorni di incontri pubblici realizzata dall’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto). A confronto accademici, politici, rappresentanti istituzionali, membri dei sindacati ed esponenti della società civile. www.wto.org

18 settembre AFGHANISTAN ELEZIONI PARLAMENTARI Il martoriato Afghanistan torna al voto tra mille incertezze e molte paure. L’ultimo appuntamento elettorale (le presidenziali dell’anno scorso) è stato caratterizzato dalle accuse di brogli e dall’escalation della violenza dei talebani. 19 settembre SVEZIA ELEZIONI GENERALI

20 - 25 settembre VIENNA (AUSTRIA) CONFERENZA GENERALE DELLA IAEA 54ma sessione della Conferenza generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (International Atomic Energy Agency - IAEA). www.iaea.org/index.html 26 settembre VENEZUELA ELEZIONI PARLAMENTARI | 66 | valori |

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In un clima di grave incertezza alimentata dalle crescenti difficoltà economiche, il Venezuela va al voto per il rinnovo del Parlamento. Non è esclusa un’alleanza generale tra tutte le forze di opposizione, che contrastano il partito di maggioranza guidato dal presidente Hugo Chávez.

27 settembre - 1 ottobre KYOUNGJU (COREA DEL SUD) FAO REGIONAL CONFERENCE FOR ASIA AND THE PACIFIC (APRC) www.fao.org 29 settembre MOBILITAZIONE DEI SINDACATI Tra le rivendicazioni della giornata di mobilitazione indetta dai sindacati europei e dalla Cgil, anche i temi della giustizia climatica.

3 ottobre BRASILE ELEZIONI PARLAMENTARI E PRESIDENZIALI 131 milioni di brasiliani si recano alle urne per scegliere il nuovo presidente: Luiz Inácio Lula da Silva non può, infatti, essere eletto per la terza volta consecutiva. Assieme alle presidenziali si svolgeranno anche le votazioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato. Il 31 ottobre il secondo turno elettorale. I sondaggi mostrano una crescita di interesse per la candidata Dilma Rousseff del Pt, (partito dei lavoratori) lo stesso partito di Lula. Il presidente uscente ha assicurato tutto il suo appoggio alla campagna della Rousseff. Favorito per ora nei sondaggi José Serra (Psdb), leader del partito della social democrazia brasiliana e attuale governatore dello Stato di San Paolo. 3 ottobre BOSNIA ERZEGOVINA ELEZIONI PARLAMENTARI E PRESIDENZIALI

9 - 11 ottobre WASHINGTON DC (STATI UNITI) MEETING ANNUALE DEL FMI E WB Annuale incontro dei vertici del Fondo monetario internazionale e Banca mondiale (nella foto: l’immagine

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A CURA DI PAOLA BAIOCCHI | PER SEGNALAZIONI SCRIVERE A REDAZIONE@VALORI.IT

di una recente contestazione). www.imf.org/external/am/index.htm 12 ottobre GIORNATA GLOBALE DI AZIONE PER LA GIUSTIZIA CLIMATICA I movimenti sociali e le reti internazionali tra cui Climate Justice Now! nel corso del Forum sociale europeo di luglio a Istanbul hanno lanciato l’appello a tutti i soggetti sociali, i comitati, le reti, le organizzazioni di base ed i singoli cittadini per ricominciare a mobilitarsi di fronte ad una crisi economica, sociale ed ecologica senza precedenti. 16 ottobre GIORNATA MONDIALE DELL’ALIMENTAZIONE Contemporaneamente alle manifestazioni per Giornata mondiale dell’alimentazione, indette dalla Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione, la Via Campesina organizza una Giornata mondiale di mobilitazione contro la multinazionale Monsanto, gli Ogm e i padroni dei brevetti. Via Campesina è il movimento internazionale che raggruppa le organizzazioni contadine e di lavoratori agricoli di svariate parti del mondo, che si pongono tra gli obiettivi la sovranità alimentare dei popoli. www.viacampesina.org 24 ottobre IRAQ CENSIMENTO COMPLETO Rinviato di un anno e molto contestato nelle sue modalità che discriminerebbero su base etnica, si svolgerà durante il mese di ottobre il primo censimento completo dell’Iraq dopo 23 anni. Si stabilirà qual è il numero degli iracheni all’estero e quanto siano stati costretti a muoversi al suo interno, durante i sette anni di guerra.

24 ottobre REPUBBLICA DEL NIGER REFERENDUM COSTITUZIONALE Dopo il colpo di Stato dei militari del febbraio 2010, che ha spodestato Mamadou Tandja e ha insediato un Consiglio supremo per la restaurazione della democrazia, il Niger si reca alle urne per votare il referendum costituzionale che precede le elezioni parlamentari e presidenziali del 26 dicembre 2010. 2 novembre STATI UNITI ELEZIONI DI MID TERM

Ogni due anni la Camera viene completamente rinnovata, così come un terzo dei seggi del Senato. Le votazioni che si svolgono esattamente dopo due anni dall’insediamento del presidente, indicano il gradimento che la presidenza raccoglie. I repubblicani puntano a raccogliere considerevoli successi (nella foto: Barak Obama).

8 - 12 Novembre VIENTIANE (REPUBBLICA DEMOCRATICA POPOLARE DEL LAOS) PRIMA RIUNIONE DEGLI STATI MEMBRI DELLA CONVENZIONE SULLE MUNIZIONI A GRAPPOLO Dopo l’entrata in vigore il 1°agosto come legge internazionale della Convenzione (non ratificata dall’Italia), si svolge la prima assemblea degli Stati firmatari, a Vientiane capitale della Repubblica democratica popolare del Laos, un Paese che ha subito ingenti bombardamenti con bombe a grappolo statunitensi. Obiettivo della riunione è quello di mobilitare il maggior sostegno possibile al Trattato, per raggiungere la sua universalizzazione. www.clusterconvention.org 28 novembre HAITI ELEZIONI PARLAMENTARI E PRESIDENZIALI I caschi blu delle Nazioni Unite seguiranno l’andamento delle elezioni presidenziali, che si sarebbero dovute tenere nel febbraio, ma sono slittate a causa del sisma del 13 gennaio. Tra i candidati anche il cantante hip-hop, Wyclef Jean, 37 anni, divenuto famoso con i Fugees. L’attuale presidente, René Préval, molto contestato per la gestione del dopo terremoto, non potrà candidarsi, perché la Costituzione impedisce che possa correre per un terzo mandato quinquennale. 29 novembre - 10 dicembre CANCUN (MESSICO) 16° SUMMIT SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI (COP 16) Sedicesima edizione dell’incontro delle Nazioni Unite dedicato ai cambiamenti climatici. Dopo l’insoddisfazione per i risultati della Conferenza di Copenaghen dello scorso dicembre, i movimenti per la giustizia climatica attendono ora un segno di svolta sostanziale.


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economiaefinanza

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altrevoci a cura di Michele Mancino

STORIOGRAFIA DEL MERCATO ITALIANO DELL’ENERGIA

QUANDO L’ECONOMIA SI SERVE DEI SICARI

STAGISTI E SOMMERSI DI TUTTA ITALIA UNITEVI

MEGLIO AFFRONTARE I RACCONTI SGRADEVOLI

LA VITA PERDUTA NEI DETTAGLI PERIFERICI

Hanno nomi particolari e divertenti come Gasdotto, Barbagas, Gastronomi, Turbogas, La macchina del Gas, Gasino, Gaspaccio, Gaspita. Giochi di parole attorno alla parola “gas”, che, come i lettori di Valori sanno bene, significa Gruppi di acquisto solidale, famiglie che si organizzano per acquistare insieme prodotti - di solito biologici - direttamente dai produttori, instaurando con loro un rapporto di fiducia sulla base di un prezzo trasparente e condiviso. Dalla prima esperienza a Fidenza nel 1994 stanno aumentando esponenzialmente. Sono 702 quelli iscritti alla Retegas, molti di più quelli sparsi per l’Italia. In questo libro Michele Bernelli - giornalista professionista, specializzato nei temi della salute naturale e dell’alimentazione biologica, che nel 2004 ha dato vita al Gasd’8 ed è socio fondatore di Gas Energia - e Giancarlo Marini - giornalista anch’egli, è stato coordinatore della rete Lilliput di Milano e, con Bernelli, ha dato vita al Gasd’8, gruppo di acquisto solidale del QT8 di Milano – raccontano le storie dei protagonisti del mondo dei Gas, senza trascurare le esperienze straniere, i rischi e le prospettive di sviluppo di questa esperienza, che dal cibo si sta allargando alla telefonia e alle energie alternative.

Per giudicare al meglio l’attuale situazione del mercato dell’energia italiano è necessario conoscerne le origini, la storia, l’evoluzione, i rapporti con lo Stato centrale, la società civile, gli enti locali. Muove da questa idea il volume La piramide del gas. Distribuire energia al territorio (1945-2009) di Francesco Samorè, che propone un modello interpretativo - su base fondamentalmente storiografica - dei rapporti intercorsi dal dopoguerra ad oggi tra il colosso Eni, le utilities locali e i poteri forti del nostro Paese. Soffermandosi sulla figura, centrale, di Enrico Mattei, sulla Snam, sull’Italgas, sulle società “metanine”, sulla “metanizzazione” del Sud negli anni 60, il libro traccia un’analisi della filiera distributiva, ricorrendo ad archivi di imprese e di enti pubblici, in un percorso che offre uno spaccato dell’economia italiana fatto di aspri scontri, alleanze a geometria variabile e intrecci inestricabili con la politica.

Un premio Pulitzer l’ha definita «Una delle storie più importanti della nostra epoca». Per dieci anni John Perkins è stato uno dei “sicari dell’economia”. Una definizione inquietante, ma che ben rappresenta un’élite di professionisti il cui compito è trasformare, in cambio di laute retribuzioni, la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo in un continuo processo di indebitamento e di asservimento agli interessi delle multinazionali e dei governi più potenti del mondo. Perkins ha fatto questo sporco lavoro di destabilizzazione, rigorosamente dietro le quinte, in Indonesia, Iraq, Ecuador, Panama, Arabia Saudita, prima di affrontare una graduale presa di coscienza che lo ha portato a farsi difensore dell’ecologia e dei diritti civili delle popolazioni sfruttate. Un’autobiografia e, al tempo stesso, un’inchiesta di denuncia che costringe il lettore a riesaminare sotto prospettive nuove l’ultimo mezzo secolo di storia.

In Italia sono circa 500 mila gli stagisti, però solo il 9%, dopo il periodo di stage, viene assunto. Si tratta di un mondo sommerso che è riemerso grazie a un libro e a un blog di successo (La repubblica degli stagisti) che ha dato voce ai tanti giovani precari in cerca di un ingresso dignitoso nel mondo del lavoro. Uno stagista può passare a vita da uno stage all’altro senza avere una retribuzione minima, perché la normativa italiana, a differenza di altri Paesi, non lo prevede. L’autrice dà due consigli: da una parte anticipare il più possibile i periodi di stage, dall’altra rifiutare quelli gratuiti. D’altronde, lei sa come funziona, perché di stage ne ha fatti ben cinque. Qualche passo avanti è stato fatto, grazie alla mobilitazione dei navigatori: è stata creata una carta dello stagista e viene dato un bollino a quelle aziende che ne rispettano il dettato. In definitiva, questo è un libro che aiuta gli stagisti a non farsi sfruttare.

In genere l’uomo di fronte al dolore sceglie la via della fuga, della rimozione o della malattia. Ci si ripiega e si continua a sopravvivere, in attesa dell’oblio finale. Jole Zanetti, invece, nei suoi racconti ingaggia un corpo a corpo con le ombre dell’esistenza (maternità, famiglia, rapporto coniugale, amore, abbandono, morte), affrontando con coraggio il dolore più profondo e lancinante. Guarda alla vita senza soggezione, condividendo tutto con il lettore senza affidarsi a una preparazione, a un preambolo. La sua è una scrittura che non ha bisogno di impalcature, di artifici e vestizioni stilistiche. Semplicemente, arriva al lettore così com’è stata da lei percepita. Per dirla alla Doninelli, autore della postfazione: «Questo essere tutto qui e ora è il carattere dominante dei racconti di Jole Zanetti. La coscienza femminile si presenta al lettore nel momento esatto in cui balena, come lama d’acciaio, la certezza che tutto è compiuto. Il racconto si presenta sempre come un atto definitivo».

“L’ubicazione del bene”, secondo di nove racconti, è quello che dà il titolo a tutta la raccolta. Nel sceglierlo, probabilmente (e con ragione), si è pensato al loro filo conduttore, che non è l’esistenza come tema generale, bensì una certa esistenza, che agli occhi del lettore può apparire inutile, insensata, priva di un fine che non sia solo quello di riprodurre le funzioni vitali. Eppure questi ritratti non lasciano indifferenti. Si insinuano, colpiscono e scuotono perché fotografano esistenze piene di un’angoscia vestita di normalità e quindi molto vicine alla nostra. Cortesforza è un luogo che esiste non solo nell’immaginario dell’autore. È la periferia di tutte le città che si nutre di una vita anestetizzata, dove la linfa vitale delle persone si disperde nel transito di una tangenziale che collega senza unire, nell’inutilità di una comunità artificiale, nell’affermazione di un ordine in cui nessuno, in fondo, si riconosce. La vita diventa solo un caos di dettagli che nulla possono contro la disfatta del quotidiano.

Edizioni Ambiente, 2010

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SE AVETE LIBRI, EVENTI, PROGETTI DA SEGNALARE, SCRIVETE A MANCINO@VALORI.IT

NON SOLO CIBO PICCOLI GAS CONTINUANO A CRESCERE

MICHELE BERNELLI E GIANCARLO MARINI L’ALTRA SPESA CONSUMARE COME IL MERCATO NON VORREBBE

narrativa

FRANCESCO SAMORE LA PIRAMIDE DEL GAS DISTRIBUIRE ENERGIA AL TERRITORIO (1945-2009)

JOHN PERKINS CONFESSIONI DI UN SICARIO DELL’ECONOMIA

Editore Bruno Mondadori, 2010

Minimum Fax, 2010

ELEONORA VOLTOLINA LA REPUBBLICA DEGLI STAGISTI

Laterza, 2010

JOLE ZANETTI RACCONTI SGRADEVOLI

RITORNO IN LIBANO, TERRA DI GUERRA E SPERANZA SI DIVENTA POLIZIOTTI ANCHE PER AMORE DI GIUSTIZIA Roberto Antiochia era un poliziotto ed è andato a morire contro la mafia mentre era in vacanza, per difendere il collega e amico Ninni Cassarà. Aveva solo 23 anni quando fu falciato, insieme al suo commissario, dai Kalashnikov di Cosa Nostra. La storia di Roberto cambierà per sempre la vita di una giovane liceale che decide di diventare poliziotta per amore di chi è stato ucciso per affermare la giustizia, di chi ha osato ribellarsi ai soprusi e alle violenze. Prima la scuola di polizia di Nettuno e poi, per scelta, la Sicilia, a Palermo e a Trapani. Indossare una divisa non è un modo per portare a casa uno stipendio sicuro per chi non ha un mestiere, come si diceva una volta. Per la protagonista è una scelta dettata da una forte tensione morale verso la legalità che dovrà passare anche attraverso l’ambiguità e la messa in discussione dell’operato delle forze dell’ordine durante il G8 di Genova. NANDO DALLA CHIESA POLIZIOTTA PER AMORE

Melampo, 2009

In genere si ritorna al proprio Paese d’origine per ritrovare il racconto di una storia interrotta. Così è per Elia, libanese, che ritrova il suo piccolo borgo arroccato in cima alla montagna. Era partito vent’anni prima per gli Stati Uniti. Ora vuole capire perché. Il Libano è per definizione un Paese complesso, baciato dalla natura e devastato dagli uomini che hanno alimentato una guerra fratricida durata quasi quindici anni e non ancora del tutto terminata. La storia di Elia e della sua famiglia si intreccia, dunque, con quella del suo Paese, caratterizzato da sempre da una convivenza multiculturale e da una identità politico religiosa frammentata, ricchezza straordinaria e allo stesso tempo fragile limite perennemente messo in discussione. Ataviche rivalità si sommano a nuovi equilibri geopolitici, ma per Elia il Libano è la terra da cui tutto è iniziato. JABBOUR DOUAIHY PIOGGIA DI GIUGNO

Feltrinelli, 2010

GIORGIO FALCO L’UBICAZIONE DEL BENE

Einaudi, 2009

Garzanti, 2010

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terrafutura

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EDUCARE FACENDO, DOVE “TUTTO SCORRE”

PER FARE UN UOMO CI VUOLE IL LEGNO

Si dice Panta Rei – dal greco “tutto scorre” – ma dal novembre 1992, quando è nata l’idea di realizzarlo, si legge “Centro di esperienze per l’educazione e la formazione allo sviluppo sostenibile”. Sui 165 ettari di una collina a Passignano sul Trasimeno (Perugia) sono state infatti recuperate con tecniche di bioedilizia (muri in terra e paglia e materiali del territorio) tre strutture zootecniche costruite negli anni 70, ma danneggiate da un incendio e non più utilizzate dai primi anni 90. Qui hanno trovato nuova collocazione la coltivazione biologica e l’allevamento di pecore e capre per il recupero del territorio, con una produzione di formaggio e carne, ma soprattutto i 60 posti letto del centro “Panta Rei” e i 50 della fattoria “La buona terra”, dove le scolaresche vivono l’esperienza dei campi-scuola. Qui si sperimenta il ciclo dell’acqua depurata con l’energia da pannelli solari e reimmessa nel circuito idraulico; il valore della stagionalità di frutta e verdura. E poi il percorso del cibo: dal chicco di grano al pane; dal pascolo a latte e formaggio; dall’oliva all’olio.

Il valore della storia di un tronco e quello della storia dell’artigiano che lo lavora passano nei mobili finiti che abitano le nostre case. Un valore artigianale e, quindi, unico, che si costruisce giorno dopo giorno anche nella falegnameria del carcere romano di Rebibbia, dentro le mura, grazie a un progetto di reinserimento sociale e professionale che ha coinvolto 12 detenuti della casa circondariale. A portarlo avanti è la cooperativa Demethra di Rieti, nata nell’ottobre 2007 dai fondi nazionali per la lotta alla droga e promossa dal Sert e dalla provincia. Il progetto si chiama “Liberi di fare”, è iniziato dalla falegnameria in disuso – ma fornita di tutte le attrezzature – già presente nel carcere romano ed è passato attraverso un corso di formazione di 300 ore e un titolo regionale ottenuto dai 12 detenuti che l’hanno frequentato. Da marzo 2009 la falegnameria lavora a pieno regime con 2 detenuti che vi sono impiegati stabilmente e commesse che provengono da fuori le mura: arredi di negozi, architetti, arnie per apicoltori, mobili su commissione e lavori sul disegno dei clienti.

www.pantarei-cea.it | 70 | valori |

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Certo chi è stato a Terra Futura 2010 non si sarà perso un assaggio di una bevanda vegetale fresca a base di qinoa e cioccolato o di riso e mandorla allo stand di Isola Bio. Per chi invece non ha provato ancora l’esperienza, il consiglio è di assaggiare quanto può essere gustosa e dissetante una bibita fatta di soli ingredienti naturali e biologici (riso, orzo, avena, soia miglio, farro, mais bianco), magari addolcita da zucchero di canna del commercio equo e solidale (marchio Fair Trade). E poi i succhi di frutta, anch’essi da coltivazione biologica, e i prodotti per la cucina come la crema di riso e di farro, fino al dessert al cacao. Tutto realizzato da Abafoods, un’azienda di Badia Polesine (Rovigo), che, da pioniera, una decina di anni fa si è lanciata in questo business e ha creato il marchio Isola Bio. Una scommessa vinta – parrebbe – considerato che il fatturato annuo si aggira sui 15 milioni di euro e prodotti nati per venire incontro a chi fosse intollerante a determinati cibi ora si vendono in molti mercati (Isola Bio è leader nella vendita della bevanda di riso in Italia e Francia ed esporta in Bulgaria, Ungheria, Brasile e Spagna) e stanno allargando il bacino dei loro estimatori. Le certificazioni ecologiche per tutta la filiera produttiva sono attese per quest’anno ma Abafoods punta alla sostenibilità anche scegliendo di usare solo materiale promozionale su cartalatte, cioè derivata dal riciclo dei cartoni tetrapak.

www.abafoods.it www.isolabio.it

liberidifare@libero.it ANNO 10 N.82

BERE BIO FA BENE ANCHE AL PIANETA

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LOPPIANO: BENI COMUNI OLTRE IL PROFITTO

SUI FONDALI MARINI PER LA SALUTE

NEGROPONTE RIPARTE DAL TABLET LOW COST

C’è la fattoria (Fattoria Loppiano) e c’è il progetto (Terre di Loppiano): entrambi vogliono dire prodotti coltivati nel rispetto dell’ambiente e dell’etica del lavoro. Il progetto nasce nell’ottobre del 2006 dall’incontro di quattro aziende agroalimentari e si inscrive in una visione più ampia del mercato, alternativa a quella della concorrenza tradizionale, che si definisce Economia di comunione e raggruppa 750 aziende nel mondo. Nella pratica si tratta di imprenditori che pensano a un’idea di profitto condiviso, al rispetto di rapporti eticamente validi con le istituzioni e tra le imprese, e a una destinazione parzialmente “solidale” dei loro utili. Di questi utili, infatti, una parte viene indirizzata a sostenere e sviluppare l’azienda; una alla formazione alla “cultura del dare”, che accomuna gli aderenti al progetto. Infine una parte è usata per aiutare chi ne ha bisogno. In concreto, si destina il 30% degli utili a un fondo di solidarietà per i popoli di Paesi in via di sviluppo amministrato da una Ong, l’Amu (Azione mondo unito).

Tiziano Terzani, descrivendo la sua avventura umana in Un altro giro di giostra lo aveva usato come esempio per raccontare l’incontro con le frontiere più estreme della medicina alternativa. Ora, otto anni più tardi, sulla rivista Nature Chemistry viene pubblicato uno studio, finanziato da Ibm e svolto dal Marine Biodiscovery Centre dell’Università di Aberdeen, sul fondo marino come luogo di ricerca di organismi utili per la cura di importanti malattie. Si cercano specie marine finora non analizzate per scoprirvi molecole in grado di contrastare malattie come cancro, infezioni e infiammazioni: la natura ancora sconosciuta come rimedio alla malattia. Secondo il direttore del Marine Biodiscovery Centre i ricercatori sono alla ricerca di «organismi unici da cui sia possibile derivare composti chimici» in grado di interagire con malattie ormai capillarmente diffuse. Come ammette il direttore del Centro Marcel Jaspars, tuttavia, «per poter sfruttare questo potenziale dobbiamo prima comprendere la struttura molecolare di questi composti». Ma le prime analisi ad alta profondità sembrano incoraggianti.

Guerra di cifre al ribasso per l’offerta di One Laptop per Child, la grande operazione di Nicholas Negroponte per dotare i Paesi emergenti di tecnologia a costo accessibile. La schermaglia non verte tanto e solo sul costo dell’hardware (i 35 dollari di un futuribile tablet indiano o i 100 dollari del laptop promosso da Negroponte) quanto sulle finalità e modalità dell’utilizzo da parte del consumatore finale. «Non serve un Ipad per imparare», ripetono i sostenitori di One Laptop per Child, che rilanciano una filosofia suggestiva basata su software open source, elementi tecnologici minimali, minimi consumi e grande resistenza all’uso. L’annuncio della prossima disponibilità di un tablet da 35 dollari, dato dal ministro Indiano per lo Sviluppo delle risorse umane, Kapil Sibal, aveva fatto temere la chiusura del progetto di Negroponte, che ha invece rilanciato proponendo un’alleanza basata tanto sulla tecnologia accessibile quanto sulla pura finalità educativa, e non ludica, del progetto. L’obiettivo resta la disponibilità entro il 2012 di una completa strumentazione accessibile dedicata agli studi e alla informazione di base.

www.terrediloppiano.com www.edc-online.org www.azionemondounito.org

future |

IL SOCIAL NETWORK RIPARTE CON IL GPS EBOOK UN FENOMENO DA UN MILIONE DI COPIE Amazon triplica le vendite di eBook (libri digitali) rispetto alla fine del 2009 e, per la prima volta, nei bilanci l’editoria elettronica supera per volume di vendite il cartaceo. Altri segnali: lo scrittore Ryu Muratami (artista poliedrico e regista di Tokyo Decadence) annuncia che il suo prossimo volume sarà pubblicato a sua cura direttamente su iPad e avrà una colonna sonora e video firmata Ryuichi Sakamoto. Dato il prezzo di vendita di 17 dollari, elevato per l’editoria digitale ma legato a nomi di autori d’eccezione, il pareggio dell’investimento si avrà con la vendita dei primi 5.000 files. Altri dati per segnalare un’inversione di tendenza che ha incuriosito anche esperti come Umberto Eco e che segnalano il possibile superamento globale dell’editoria elettronica rispetto a quella tradizionale: Barnes&Noble segna un +51% di vendite di contenuti digitali rispetto all’anno precedente e cinque autori superano le 500 mila copie vendute sul supporto di Amazon (Kindle), con un autore di culto (Stieg Larsson) che supera il milione di download con i suoi titoli in formato eBook.

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Essere comunità significa condividere emozioni, speranze, aspettative, ma, a volte, anche fisicità. I “Social Network Location Based” sono nuovi social network che, eredi di Facebook, integrano due concetti chiave che la prima generazione di social network non sempre ha saputo integrare: il gaming e il rating (gioco e votazione) e il mapping (taggatura o geolocalizzazione). FourSquare e Gowalla, due applicazioni divenute improvvisamente note anche in Italia, si basano sulle funzioni Gps integrati negli smartphone più diffusi e consentono di creare continue mappe dei nostri spostamenti o riti quotidiani (dove beviamo il caffè, dove portiamo il nostro cane, in quale biblioteca o libreria scegliamo i libri). Visibili in Rete e “votabili”con stellette in base al gradimento, questi luoghi ed esperienze possono essere condivise in tempo reale con altri utenti, creando appuntamenti non più solo virtuali. Inoltre il meccanismo premia la fedeltà d’uso: ogni segnalazione geo-mappata (chiamata check-in) consente di accumulare punti, fino ad essere eletto “sindaco” onorario di un luogo che può essere un caffè affermato, un negozio, un parco. Ma, ovviamente, occorre fare attenzione alla privacy.

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VENTISEI FOTOGRAFI, VENTISEI DIALOGHI SUL RAPPORTO RAPPOR TO TRA FOTOGRAFIA E ARCHITETTURA Gli autori intervistati: Olivo Barbieri Gabriele Basilico Gianantonio Battistella Gianni Berengo Gardin Luca Campigotto Vincenzo Castella Alessandra Chemollo Giovanni Chiaramonte Patrizia Della Porta Daniele Domenicali Vittore Fossati Guido Guidi

NOME TITOLO

ATTIVITÀ

PAESE

Conergy Centrotherm Photovoltaics Evergreen Solar First Solar GT Solar Manz Automation Meyer Burger Phoenix Solar PV Crystalox Solar Q-Cells Renewable Energy Corporation Roth & Rau SMA Solar Technologies Solar Millennium Solaria Solarworld Solon Sunpower Suntech Power Sunways

Sistemi fotovoltaici Linee produttive per pannelli solari Celle e moduli fotovoltaici Moduli fotovoltaici (film sottile) Linee produttive per pannelli solari Linee produttive per pannelli solari Seghe speciali per lavorazione pannelli Costruzione di centrali solari Silicio policristrallino Celle fotovoltaiche Silicio, celle, moduli fotovoltaici Linee produttive per pannelli solari Inverter solari Solare termico Moduli fotovoltaici Celle e moduli fotovoltaici Moduli e sistemi fotovoltaici Celle e moduli fotovoltaici Celle e moduli fotovoltaici Celle e inverter solari

Germania Germania USA USA USA Germania Svizzera Germania Gran Bretagna Germania Norvegia Germania Germania Germania Spagna Germania Germania USA Cina Germania

a cura di Mauro Meggiolaro

Pino Musi Lorenzo Mussi Emanuele Piccardo Francesco esco Romano o Paolo Rosselli o Massimo Vitali Italo Zannier Marco Zanta

0,62 € 32,87 € 0,64 $ 126,29 $ 7,57 $ 50,30 € 26,50 CHF 28,91 € 58,00 £ 5,43 € 15,84 kr 20,61 € 82,37 € 21,33 € 1,68 € 9,19 € 3,75 € 10,19 $ 8,27 $ 4,68 €

-85,38% 11,31% -80,36% 10,10% 59,58% -33,23% 88,82% -5,18% -55,31% -84,95% -79,22% 7,46% 84,11% 30,14% -44,74% -53,87% -84,69% -68,41% -57,27% 67,14%

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ON FERMATEVI ALLE APPARENZE. Il settore solare sta ripartendo, –18,70% Valori Solar Energy Index i segnali ci sono. Solo che ci vuole ancora pazienza. Molta pazienza. Le industrie del settore sono intervenute per aumentare l’efficienza, vista la continua pressione al ribasso sui prezzi dei Eurostoxx 50 +1,70% moduli. First Solar ha chiuso il secondo trimestre con numeri positivi. Vendite in crescita del 12%, costi di produzione per i moduli fotovoltaici Rendimento dal 15.10.08 al 24.08.2010 in discesa del 13%. Non è bastato per compensare i minori ricavi dovuti ai prezzi dei moduli, Sunways www.sunways.eu ma intanto la strada sembra segnata e l’impreSede Konstanz sa ha alzato le sue stime per fine anno rispetto Borsa FSE – Francoforte sul Meno alle previsioni degli analisti. Buoni anche i riRendimento dal 15.10.2008 al 24.08.2010 +67,14% sultati di Suntech Power, che però continua a Attività Fondata nel 1993, Sunways è un’impresa tedesca specializzata nella produzione di convertitori, moduli e celle solari. Quotata in borsa dal 2001, nel gennaio del 2008 ha aperto a Bologna la sua deludere nel nostro indice (-57,27% da inizio prima sede italiana. gioco): nel secondo trimestre le vendite di panRicavi [Milioni di euro] Utile [Milioni di euro] Numero dipendenti 2008 nelli sono salite del 12% rispetto a fine marzo e 177,5 16,9 317 2009 del 181,7% anno su anno. Le azioni del solare 296 hanno ancora molta strada da percorrere prima 147,5 di tornare ai livelli del 2008. Ma intanto i numeri di giugno parlano, timidamente, di un’inversione di tendenza. Dopo mesi di delusione è –1,9 già un ottimo segnale.

UN’IMPRESA AL MESE

Alberto Muciaccia

RENDIMENTO DAL 15.10.08 AL 24.08.2010

€ = euro, $ = dollari Usa, £= sterline inglesi, CHF = franchi svizzeri, NOK = corone norvegesi. Fonte dei dati: Thomson Reuters/Financial Times Nota: la rubrica “indice etico” ha natura puramente informativa e non rappresenta in alcun modo una sollecitazione all’investimento in strumenti finanziari. L’utilizzo dei dati e delle informazioni come supporto di scelte di investimento personale è a completo rischio dell’utente.

Duccio Malagamba Maurizio Montagna

CORSO DELL’AZIONE 24.08.2010

-18,70%

Moreno Maggi

Francesco Jodice

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VALORI SOLAR ENERGY INDEX

Timidi segnali di ripresa

Marco Introini

IN LIBRERIA

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Spesa pubblica

Il decentramento non fa risparmiare di Roberto Romano*

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RA IL 2000 E IL 2009 LA SPESA PUBBLICA DELL’ITALIA in rapporto al Pil è cresciuta significativamente, in particolare

se utilizziamo l’Ue a 16 come riferimento: se per l’Italia la crescita è stata pari al 12,%, per l’Ue si è fermata al 9,3%. Considerando invece la spesa primaria, cioè la spesa al netto degli interessi sul debito pubblico, questa è cresciuta del 18,8%, contro una media Ue del 12,7% (Dati estratti da Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni pubbliche SEC95 - Anni 1980-2009, 28 giugno 2010, Istat). Il forte aumento della spesa primaria è principalmente imputabile all’effetto rincorsa dell’Italia rispetto alla media europea. Infatti nel 2000 la spesa primaria italiana era molto più bassa di quella europea, è solo alla fine del 2009 che quest’ultima si è avvicinata alla spesa media europea, rispettivamente 47,3% e 47,9% del Pil. A rigor di logica i servizi pubblici italiani dovrebbero essere migliori oppure aumentati, ma nel corso di questi anni non si è realizzato né l’uno né l’altro requisito. Inoltre, il tasso di crescita della spesa pubblica supera il tasso di crescita dell’inflazione del periodo considerato pari al 22,5%. L’unico aspetto “positivo” è legato alla dinamica del debito pubblico, che per l’Italia è molto più bassa della media europea. Per il Belpaese è cresciuto del 6%, mentre per l’Europa del 14,4%. Evidentemente tutti gli Stati europei hanno incrementato il proprio debito pubblico per far fronte alla crisi finanziaria e in particolare alla crisi del sistema creditizio. A ciò si deve aggiungere la dinamica del Pil italiano molto più basso di quello europeo di almeno di 9,5 punti percentuali, che in parte spiega la crescita della spesa pubblica in rapporto al Pil. Ma l’aumento della spesa suggerisce una maggiore analisi per funzione, oltre che per ente di spesa. La spesa regionale Si registra una maggiore crescita della spesa regionale rispetto a quella è cresciuta rispetto centrale, almeno fino al 2005, in ragione di molte nuove deleghe concesse a quella centrale. alle Regioni, anche se questi aumenti sono meno giustificabili negli anni Ma senza coincidere successivi. In qualche misura il decentramento della spesa pubblica non con un aumento dei sembra aver favorito il controllo della dinamica. Infatti, per tutto il periodo servizi pubblici erogati considerato (2000-2009), tutte le spese delle principali funzioni comparate tra centro e Regioni crescono a tassi che avrebbero permesso dei servizi pubblici migliori, ma la frammentazione della spesa pubblica in qualche misura condiziona la qualificazione della stessa spesa. Si pensi alla crescita spropositata dei consumi intermedi, sia a livello centrale che regionale, rispettivamente del 44% e del 54,6%. È sicuramente vero che la crescita di questa voce dal 2005 è molto più alta per l’amministrazione centrale, ma anche le Regioni non sembrano attrezzate a contenere questa spesa, oppure ad aumentare e migliorare i servizi. Quindi decentramento della spesa non sempre fa rima con risparmio, piuttosto con la difficoltà a governare-armonizzare la finanza pubblica, soprattutto quando la finanza “locale” passa dal 51% di quella totale nel 2000 al 57% del 2008. Il differenziale di crescita dovrebbe essere maggiormente indagato e osservato. Infatti, storicamente la spesa locale è stata più difficile da controllare e con il federalismo fiscale si rischia di modificare l’equilibrio tra imposte erariali, reali, contributi (previdenziali e non) e tariffe. Il controllo della spesa pubblica deve essere “realizzato” non per ragioni di equilibrio economico, raggiungibile con un adeguamento della pressione fiscale, bensì perché ad un aumento della spesa pubblica non è coinciso un aumento dei servizi pubblici erogati. Un approfondimento sul come, che cosa e per chi deve operare la spesa pubblica non è più rinviabile. Sarebbe opportuno che non venga lasciato a una sola * della rivista www.economiaepolitica.it parte politica, quella del centro-destra, peraltro protagonista di gestioni clientelari e poco trasparenti.

Ora puoi. Il vero tetto al mutuo lo mettiamo noi. mutuo variabile

“Tetto al Tasso”.

Il mutuo "Tetto al Tasso" è la nuova straordinaria opportunità di BPM per chi cerca una soluzione innovativa, senza rinunciare a protezione e sicurezza. Per l'intera durata del mutuo, infatti, il tasso non potrà andare oltre il 5%. "Tetto al Tasso" è un mutuo indicizzato, ancorato al tasso BCE* (Banca Centrale Europea), da sempre più stabile rispetto ad altri indici di mercato. Con "Tetto al Tasso" BPM ti offre da subito la convenienza di un tasso variabile e per sempre la certezza che il tasso non supererà la soglia predeterminata. Con "Tetto al Tasso" BPM è sempre più vicina nel difendere, proteggere ed aiutare chi è già nostro cliente. E chi vuole diventarlo.

Per informazioni rivolgersi a:

AGENZIE BANCA POPOLARE DI MILANO www.bpm.it

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Prendere visione delle condizioni economiche mediante i Fogli Informativi disponibili presso ogni agenzia BPM (D. Lgs. N. 385/93) o sul sito www.bpm.it. L’erogazione del finanziamento è subordinata alla normale istruttoria da parte dell’agenzia. Esempio: mutuo ipotecario importo 100.000,00 euro, durata 30 anni, rimborso in rate mensili, spese di istruttoria 400,00 euro, spese incasso rata 24,00 euro annue, importo rata: 405,60 euro. TAN pari a 2,70%, TAEG pari a 3,094% comprensivo del costo delle coperture assicurative. (*) Tasso ufficiale BCE, decorrenza 13.05.2009, pari all’1,00%. Offerta valida sino al 30.09.2010, salvo esaurimento plafond. Il presente messaggio ha finalità esclusivamente promozionali.


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