Mensile Valori n. 90 2011 _ Supplemento Finanza e Società

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La lotta di liberazione contro le mafie >4 Racconti da un Paese dove la normalità è eroica >6 Green finance. L’universo degli investimenti per l’ambiente >8 La contaminazione “verde” colpisce la finanza tradizionale >10 Quale sistema bancario dopo la crisi >12 Nord e Sud: cooperando si resiste alla crisi >14

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valori www.valori.it

LA PISCINA DEL SIGONELLA INN, A MOTTA S. ANASTASIA (CT), UNO DEI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA WWW.BENISEQUESTRATICONFISCATI.IT

socıetà

Anno 11 numero 90 Giugno 2011 Inserto gratuito di

Legalità, investimenti verdi e cooperativismo C’è modo e modo per usare i capitali Ha diversi nomi e declinazioni, ma in tutto il mondo si sente il bisogno di una finanza che rispetti l’uomo e l’ambiente. Può essere uno strumento per avere una società migliore, ma la società civile deve prendere le redini della finanza


| editoriale |

UN VIAGGIO TRA I SAPORI DEL MONDO.

Contaminazioni

La finanza che guarda al futuro

di Marco Santori, presidente di Etimos Foundation

I APPUNTAMENTO

Il biologico Equosolidale Alce Nero è una nuova terra da scoprire e gustare. È un viaggio che sa di buono e di genuino, quello del biologico Equosolidale Alce Nero. Gusta l’aroma intenso del caffè coltivato in Perù e Nicaragua o del tè proveniente dall’India. Eccellente è la bontà del cacao del Costa Rica, sapientemente trasformato in tavolette. In ogni prodotto trovi la qualità e il gusto, garantiti da oltre mille agricoltori soci, che con passione lavorano nel pieno rispetto della natura e producono diversi tipi di caffè, cioccolata, tè, riso basmati, succhi, confetture e miele. Buon viaggio. Anzi buonissimo con il biologico Equosolidale Alce Nero.

JOIN FOR CHANGE 2011. LA FINANZA CHE GUARDA AL FUTURO È il titolo dell’evento, promosso da Etimos Foundation, Consorzio Etimos e Gruppo Abele, che si è svolto a Torino dall’11 al 13 maggio. Tre giornate di dibattito su tre temi specifici: l’economia tra finanza e illegalità, la green finance e la finanza cooperativa. Tra gli ospiti: don Luigi Ciotti (Gruppo Abele), Gian Carlo Caselli (Procura della Repubblica di Torino), Gianluca Faraone (Libera Terra), Enrico Fontana (Legambiente), Monica Frassoni (Partito Verde europeo), Gianluca Manca (Eurizon Capital), Pierluigi Stefanini (Unipol), Jean-Louis Bancel (Crédit Coopératif), Fabio Salviato (Febea) e Jean Bernard Fournier (Développement international Desjardins). Tutti i materiali preparatori e di approfondimento, le interviste e gli interventi dei relatori sono disponibili all’interno del portale www.etimedia.org.

N QUESTI ANNI L’ABBIAMO CHIAMATA,

di volta in volta, finanza etica, finanza alternativa, finanza sociale, finanza sostenibile. Ma, al di là delle definizioni o delle appartenenze, una cosa è chiara: non c’è Paese al mondo, dai più ricchi a quelli dove ancora la povertà dilaga, che non abbia bisogno di veder crescere una finanza virtuosa, capace di essere motore di uno sviluppo economico diffuso, rispettoso dei diritti delle persone e degli equilibri dell’ambiente. Non possiamo più permetterci che le esperienze riconducibili a questo orizzonte di principi si limitino a posizioni di nicchia e a ruoli di testimonianza o di timido contagio rispetto alla finanza tout court. Aprirsi e conoscersi, senza paura di contaminazioni; dialogare e costruire reti, senza il timore di perdere la propria identità: è quello che dovrebbero fare tutti coloro che si muovono in quel vasto ambito che, oltre alla finanza, attraversa la politica, l’economia, l’impresa, la cooperazione sociale e quella allo sviluppo. Tutti: a partire da chi in questi settori compie scelte strategiche ai più alti livelli, per finire con chi le rende operative o ne è investito come semplice cittadino. Perché, spesso, non ci rendiamo conto che, sia pure con forme e strumenti diversi, in molti stiamo lavorando parallelamente agli stessi obiettivi, che partono dalla creazione di valore economico e sociale e arrivano dritti dritti a porre le condizioni per la felicità delle persone, la sicurezza della società in cui viviamo e, in ultima istanza, anche la pace e la fine dei conflitti tra stati. Ecco dunque l’importanza di un dibattito, culturale ancora prima che tecnico, e di un’opera di divulgazione che si serve anche di strumenti come questo inserto. Qui, sviluppando una riflessione originale sulla finanza virtuosa, abbiamo voluto partire da tre temi specifici: il rapporto tra economia, finanza e illegalità, la green finance e la finanza cooperativa di fronte agli esiti della crisi mondiale. Si tratta di tre filoni distinti, percorsi però da un unico filo conduttore, quello del legame, necessario e imprescindibile, tra finanza e società. Un legame che appunto non si esaurisce nel concetto, troppo ampio e insieme riduttivo, di finanza sociale, ma vive nel confronto continuo tra istanze necessariamente diverse: da un lato quelle della finanza, che punta per sua natura ad attirare capitali e investirli con il massimo rendimento; dall’altro quelle dei diversi organismi che compongono la società stessa e concorrono in vario modo ai suoi equilibri: la politica, le istituzioni pubbliche, il sistema produttivo, gli organi di controllo e regolamentazione, le associazioni e i movimenti che rappresentano la società civile e i suoi aneliti di giustizia, equità, tutela del bene comune e salvaguardia dell’ambiente. Certo, la finanza ha un ruolo strategico nelle nostre società, perché può orientarne lo sviluppo. Ma cominciamo a chiederci anche chi può orientare, a sua volta, la finanza. E quale ruolo possono giocare le istituzioni pubbliche, la politica e gli strumenti legislativi, gli attori economici e la società civile in questo processo di orientamento. Forse scopriremo che non è impossibile riprendere in mano le redini del nostro futuro.

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La lotta di liberazione contro le mafie

La piscina del Sigonella Inn a Motta Sant’Anastasia (Ct), prestigioso albergo confiscato al faccendiere Placido Aiello.

I professionisti che fanno da cerniera tra due mondi La criminalità ha bisogno di figure con la “faccia pulita” per riciclare il danaro sporco: commercialisti, avvocati, notai, professionisti rispettabili aprono le porte dei salotti alle mafie. OCENTE DI STORIA DELLA criminalità organizzata all’Università di Roma Tre, Enzo Ciconte ha da poco pubblicato ’ndrangheta padana, documentato libro sulla diffusione dell’imprenditorialità criminale nel Nord Italia, che riserva molte sorprese a chi crede che le ‘ndrine siano un fenomeno radicato solo in Calabria.

D di Paola Baiocchi COME INSEGUIRE una lepre con il passo da tartaruga», ha affermato recentemente Antonio Ingroia, procuratore aggiunto alla Procura antimafia di Palermo. La lepre sono i capitali finanziari della criminalità, la tartaruga sono i mezzi di cui dispone la magistratura per inseguirli mentre in qualche secondo fanno il giro del mondo attraverso società di comodo e paradisi fiscali. Senza fare una lunga lista della spesa, che comprenderebbe anche beni strumentali banali come carta, computer e benzina, da anni i magistrati chiedono che l’Italia adotti la legge europea sul riciclaggio del danaro.La legislazio-

«È

FONTE: GAFI, GRUPPO D’AZIONE FINANZIARIA INTERNAZIONALE CONTRO IL RICICLAGGIO DI CAPITALI

LAVAGGIO, CANDEGGIO E CENTRIFUGA LE TRE TAPPE DEL RICICLAGGIO 1) COLLOCAMENTO: (placement stage) con il quale ci si “sbarazza” del denaro contante proveniente dalle attività criminali, con trasformazione del contante nella “moneta scritturale”, rappresentata da saldi attivi dei rapporti costituiti presso intermediari finanziari 2) COMPLETAMENTO DEL CAMUFFAMENTO DEL DENARO: (layering stage) ed eliminazione delle tracce contabili del denaro “sporco” tramite ulteriori trasferimenti

Economia sommersa e criminale «Accanto all’economia criminale che rappresenta circa il 10% del nostro Pil - continua Veltri - c’è l’economia sommersa, che è cresciuta durante la crisi di 3 punti percen-

3) INSERIMENTO NEL MERCATO LEGALE DEL DENARO “CENTRIFUGATO”: (integration stage)

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ne italiana, infatti, non prevede l’autoriciclaggio: per fare un esempio, chi vende droga e ne “lava” i proventi, può essere punito per traffico di stupefacenti, ma non per aver beneficiato del danaro sporco. Un limite evidente, che ha finora prodotto pochissime condanne per riciclaggio, ma ha reso enormemente ricca la ’ndrangheta, che ha conquistato una posizione dominante nel traffico della cocaina in Europa e ha investito in attività finanziarie o produttive, soprattutto nel Nord Italia (vedi INTERVISTA nella pagina accanto). «Nel Mezzogiorno la mafia non investe spiega Elio Veltri, politico e autore di molti libri - perché porta i suoi soldi nelle zone ricche. Quando poi investe lo fa con le sue “regole”: impone l’assenza dei sindacati, recluta in nero, tratta materiali scadenti, è assolutamente falso che la mafia crei opportunità. Anzi sottrae ricchezza che non è sottoposta a tassazione». Nel 2007 il Pil pro capite delle quattro regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Campania e Calabria), con presenza mafiosa in 610 comuni, era il più basso del Sud mentre il tasso di disoccupazione era il più alto.

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tuali raggiungendo nel 2010 il 20% del Pil, l’evasione fiscale più grande d’Europa. Più di un terzo della ricchezza prodotta in Italia è illegale o criminale». L’Istat calcola ogni anno la quota di sommerso prodotto, che entra a far parte del nostro Pil, ma sfugge a qualsiasi tassazione, contribuendo a spostare la pressione fiscale da un valore “apparente” del 42% a uno “effettivo”, per chi paga le tasse, di circa 8-10 punti percentuali in più, secondo stime Eurispes. Improponibile qualsiasi riforma fiscale se prima non viene eliminata questa ingiustizia. «Battersi contro l’evasione ridurrebbe l’illegalità e viceversa», aggiunge Veltri. «Ma mi sembra che non si voglia risolvere né l’una né l’altra. Si usa una “retorica degli arresti”, che sposta il problema sulla magistratura, mentre è un problema politico: i beni consolidati delle mafie italiane vengono stimati in 1.000 miliardi di euro. La loro confisca risolverebbe il problema del debito pubblico. Ma i sequestri vanno a rilento e costituiscono il 10% dei patrimoni mafiosi e di questi solo la metà arriva a confisca. L’approvazione di un testo unico della legislazione antimafia – conclude Veltri - e il funzionamento a pieno ritmo dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati potranno dare un contributo positivo alla soluzione del problema».

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In che modo avviene la transizione verso il Nord della ’ndrangheta? Parliamo di persone che, avendo accumulato molto danaro negli ultimi quindici, venti anni con il traffico degli stupefacenti o con i traffici nell’edilizia, adesso devono investirli, “pulirli”, rendendoli soldi utili. Quindi o prestano a usura soldi agli imprenditori, con lo scopo di rilevarne le aziende - ma questi sono interventi più parcellizzati - oppure trovano i contatti con i commercialisti, i banchieri, gli avvocati che gestiscono più clienti. Nel libro uso il termine “uomini cerniera” perché mi sembra più efficace di “colletti bianchi”: si tratta di persone che svolgono una funzione attiva per mettere in collegamento due mondi che non si sono ancora incontrati. Un po’ come quelli che seguono lo scudo fiscale, anche questi uomini cerniera fanno consulenze, ma, a differenza di quelli che praticano attività legali, questi fanno una doppia partita, hanno una facciata pulita e contemporaneamente lavorano per la criminalità. Nel libro si sottolinea un altro degli elementi che favorisce la diffusione della ’ndrangheta al Nord e cioè che l’imprenditoria locale ha un concetto dello Stato di grande disprezzo. Questo contribuisce a farli incontrare con la delinquenza, perché sono uno la faccia sporca dell’altro.

Questo disprezzo verso lo Stato non si trova solo al Nord, è comune a tutti gli imprenditori che vogliono fare quello che vogliono.

finanziaria, economico-affaristica e quindi non ha nessun interesse a contrastare la ’ndrangheta, che è un potere vero, economico e politico. Per adesso convivono.

LIBRI

Poi c’è il versante della Enzo Ciconte politica, perché la padaIn quali settori è più presente la ’ndrangheta nità ricordata nel titolo ’ndrangheta? padana non è geografica, ma è Dipende dalla regione, dalle diRubbettino Editore, 2010 un richiamo alla Lega. verse realtà e dalle ‘ndrine, ma Come mai la ’ndranghenon c’è settore economico in cui ta si sviluppa così bene non siano presenti, dalla sanità nei territori amministrati al gioco d’azzardo, ad esclusione dalla Lega? della prostituzione. Sottolineo che sono uno dei pochi a pensaPerché i leghisti finché si trattava re che la ’ndrangheta non gestidi combattere il soggiorno obbliRenzo Guolo sca anche la prostituzione. gato si sono spesi, ma era una Chi impugna la Croce. battaglia che non costava nulla. Lega e Chiesa Quando invece si sono trovati di Le sembra che la percezione delLaterza, 2011 fronte al commercialista, magari l’illegalità in Italia sia aumentaleghista o che allo stesso tempo ta? Per esempio che si individui aveva fatto affari con l’imprenditore leghista nell’evasione fiscale un’altra faccia e con quello ‘ndranghettista, si è fermata. dell’illegalità? Non bisogna dimenticare che la Lega ha racPenso che questa percezione sia aumentacolto l’elettorato che precedentemente era ta, anche se non c’è nessuna forza politica democristiano e che negli ultimi anni si è fiche metta la lotta all’evasione al centro delnanziarizzata, cioè è prevalsa la sua anima le priorità.

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REGGIO LIBERA REGGIO CHI RESISTE AL RACKET “VIVO GRAZIE AL MARSUPIO che trattiene un proiettile”, titolavano il 9 febbraio scorso le cronache locali, raccontando dell’attentato nel quale Tiberio Bentivoglio era sopravvissuto miracolosamente. Chi aveva attentato alla vita del commerciante sessantenne di Reggio Calabria, voleva commemorare a modo suo un anniversario: la condanna di tre estorsori avvenuta proprio un anno prima, grazie al contributo dato alle indagini da Bentivoglio, titolare da 31 anni della Sanitaria Sant’Elia, un negozio di articoli per la prima infanzia, che dal 1998 è stato preso di mira dal racket con incendi, furti, bombe e ogni sorta di intimidazioni alle quali questo determinato signore si è sempre rifiutato di cedere. Ha reagito alla terra bruciata che gli hanno fatto nel quartiere gli “amici degli amici”, grazie alla collaborazione di Libera e di altre associazioni: con loro ha creato Reggio Libera Reggio, un cartello di imprese, professionisti, associazioni e cooperative che si impegnano a contrastare il racket e di consumatori critici che si impegnano ad acquistare nei negozi che espongono il logo. Per acquisti: www.sanitariasantelia.eu. Pa. Bai.

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Racconti da un Paese dove la normalità è eroica

IN UN EX APPARTAMENTO DELLA ’NDRANGHETA A MILANO È DI MODA CAMBIARE

di Paola Baiocchi

Riconsegnare al lavoro e alla legalità i beni sequestrati alle mafie è un importante tassello della lotta all’illegalità. Ma, se perseguire la criminalità fosse un obiettivo prioritario della politica, tutto sarebbe molto più semplice. L RACCONTO DI MASSIMO ROCCO SEMBRA fatto della precaria essenza della storia recente di questo Paese, un giovane con tanti lavori alle spalle: nel mondo dello spettacolo a Roma, l’immancabile call center, responsabile di un reparto in un negozio di arredamento. Poi, da settembre scorso, un’accelerazione nella sua vita e in quella di altre quattro persone, che vengono selezionate con un bando pubblico da una Commissione esaminatrice di cui fanno parte rappresentanti della Prefettura e della Provincia di Caserta, dell’Associazione Libera e di Obiettivo lavoro. Sono stati scelti per formare la Cooperativa “Le terre di don Peppe Diana”. Intitolata al parroco di Casal di Principe assassinato dalla camorra il 19 marzo 1994, la Cooperativa gestirà un importante bene confiscato alla criminalità: 90 ettari tra Castel Volturno e Teano. È un racconto che sembra un filo d’erba che si piega sotto il vento, una scommessa che

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molti interessi criminali e meccanismi farraginosi cercheranno di far fallire e che noi invece sosterremo: saranno loro cinque, che prima di settembre non si conoscevano, a gestire un caseificio nelle ex stalle per i purosangue del camorrista Michele Zaza, a Castel Volturno. Lì verranno prodotte le “mozzarelle della legalità”, una produzione biologica di alta qualità nel rispetto delle tradizioni locali, che servirà anche a coinvolgere altre attività sane della zona. «Quello della Cooperativa “Le terre di don Peppe Diana” - spiega don Luigi Ciotti - è uno dei tanti progetti che costruiscono speranza. Perché la speranza non è solo attesa di un futuro migliore. La speranza può e deve essere costruita adesso, nel presente». Ascoltando la voglia di mettersi alla prova di Massimo, giovane presidente della Cooperativa, che oltre a trovarsi in prima linea contro la camorra si scontra anche con la burocrazia, viene da chiedersi: ma perché ogni

cosa in Italia deve essere così difficile? Perchè una richiesta normale - lavorare, costruire legalmente un’attività, dare il proprio contributo positivo alla società - è così complicato da avere le dimensioni dell’azione eroica?

Un G8 alla rovescia La risposta sta nei numeri, sta nell’essere i membri elettivi di una sorta di G8 alla rovescia: l’Italia ha l’apparato criminale-mafioso più imponente d’Europa dopo quello russo. La massa di danaro che gestiscono la criminalità russa, cinese, giapponese, sudamericana e italiana rappresenta la terza potenza economica mondiale. Una potenza in grado di sovvertire qualsiasi regola del mercato e di condizionare fortemente l’economia legale e la democrazia. L’impegnativa affermazione è contenuta in uno studio condotto dal senatore John Kerry con la collaborazione dell’Università di Pittsburgh, diventato un rapporto

PIO LA TORRE LA SUA LEGGE HA DEFINITO ILLEGALE LA MAFIA

E!STATE LIBERI 2011 SONO DECINE I CAMPI DI LAVORO

organizzati da Libera a partire da luglio, per contribuire alla gestione dei beni confiscati in tutta Italia. I minorenni devono essere accompagnati da un adulto, i maggiorenni possono partire anche singolarmente. Nella quota di partecipazione (da 100 a 225 euro) non è previsto il costo del viaggio, ma sono compresi vitto e alloggio. Sul sito di Libera (www.libera.it) si trova il programma completo dei campi di volontariato sui beni confiscati. Il consiglio di Libera è di affrettarsi a dare l’adesione perché le richieste sono superiori ai posti disponibili.

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NON ESISTEVA UNA FIGURA DI REATO SPECIFICA contro la mafia prima della legge che porta il nome di Pio La Torre, deputato, membro della Commissione parlamentare antimafia, segretario del Partito comunista italiano (Pci) in Sicilia, che nella sua attività aveva già colto la vicinanza tra mafia e P2. Costata la vita a La Torre e al suo collaboratore Rosario Di Salvo (30 aprile 1982), la legge viene approvata 16 giorni dopo l’uccisione del generale Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, con sua moglie e l’agente di scorta, avvenuta il 3 settembre 1982. La legge introduce nel Codice penale, con l’articolo 416 bis, il reato di associazione di tipo mafioso, che definisce finalmente il carattere illecito della mafia. La legge Rognoni-La Torre stabilisce il divieto del subappalto per le opere pubbliche, prevede per la prima volta misure di prevenzione patrimoniali volte a colpire l’accumulazione illecita di patrimoni e la confisca obbligatoria di tutti i beni pertinenti al reato da redistribuire alla collettività. Pa. Bai.

“CANGIARI” IN CALABRESE E IN SICILIANO vuol dire cambiare e sicuramente il numero 10 di viale Monte Santo a Milano ha visto un bel cambiamento: da appartamento della ’ndrangheta a show room appena inaugurato di Cangiari, marchio di moda creato dal Consorzio sociale Goel. Nato nel 2003 su iniziativa di monsignor Bregantini, per stimolare il cambiamento e contrastare lo strapotere della criminalità, Goel raccoglie numerose imprese sociali della Locride e della Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, tanto da essere tra le prime imprese private della Locride per numero di dipendenti. Opera in moltissimi progetti con attività che coinvolgono portatori di handicap, detenuti o ex detenuti, immigrati, minori in difficoltà, persone con disagi mentali, disoccupati, rifugiati politici, anziani, persone con problemi di dipendenza. Cangiari è uno dei settori dell’attività di Goel, tutorato da Santo Versace e patrocinato dalle principali istituzioni della moda italiana. Le collezioni sono certificate da Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale) sulla base dei criteri generali e particolari definiti dal Global organic textile standard (Gots). Sono bei capi, disegnati da una “comunità creativa”, interamente realizzati in Calabria, con materiali artigianali di qualità - lane tessute a telaio, ricami a mano - secondo tecniche tradizionali calabresi. Tutta la filiera di produzione è composta da cooperative che si battono contro le mafie e inseriscono al lavoro persone svantaggiate. Pa. Bai. Alle quali viene offerta una possibilità di “cangiari” la propria vita.

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEGLI IMMOBILI CONFISCATI Con l’esclusione della Valle d’Aosta e dell’Umbria, gli immobili confiscati sono dislocati in tutte le regioni italiane, con una distribuzione che risulta: Nord 11,37% Centro 5,87% Sud 82,77%

16 19 767

Nord 11,37%

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123 83 29 40

Centro 5,87%

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presentato al Congresso degli Stati Uniti e poi un libro (The New War: The Web of Crime that Threatens America's Security, 2005). Per quanto riguarda le mafie italiane Kerry sottolinea che «per assicurarsi protezioni ad alti livelli i mafiosi italiani si concentrano sui politici, comprano numerosi ufficiali di grado elevato e corrompono politici di altri Paesi. Inoltre sono rispettate perchè hanno fornito alle altre il know how».

nato, disseminato in tutte le regioni italiane, tranne la Val d’Aosta e l’Umbria; una differenziazione nei beni come quella che le famiglie più ricche al mondo mettono in atto ma che sicuramente affidano a uno stuolo di gnomi svizzeri, a consulenti occhialuti e a società di gestione immobiliare che li fanno ben fruttare. E che lo Stato italiano ha affidato all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità orL’Italia ha l’apparato criminale- ganizzata (Anbsc), istituita da mafioso più imponente d’Europa, circa un anno con una dotadopo quello russo, che ha fornito zione di 30 persone in tutto, alle altre mafie il know how divise tra la sede centrale di Reggio Calabria e quella deA fronte di un apparato così comLIBRI centrata di Roma. petitivo e del tutto senza scrupoli, che Negli ultimi mesi hanno fattura almeno 135 miliardi di euro consegnato 420 beni a Col’anno in Italia, secondo i dati stimamuni, Enti pubblici, forze di ti da Sos Impresa, l’associazione di Polizia, associazioni culturali Confesercenti, vengono contrapposti o di volontariato. Contratmezzi e numeri molto differenti, soDaniele Poto tando con le banche il costo prattutto in alcune attività fondamenLe mafie delle ipoteche nei casi di imtali, ma non altrettanto telegeniche nel pallone mobili che ne erano gravati. quanto gli arresti. Ega - Edizioni gruppo Abele, 2010 In 30, destinati a diventare 100 entro il 2012, con l’oIn 30 per 9.857 beni biettivo di aprire sedi anche a 3.362 appartamenti, 4 impianti Palermo, Milano e Napoli, sportivi, 3 cave per estrazione, 16 alma recuperando personale berghi, 1.911 terreni agricoli, 826 già formato e già operativo box, 359 ville, 183 capannoni, perfinell’ambito delle Pubbliche no un castello e così via fino ad arriElio Veltri e Antonio Laudati amministrazioni, in particovare al totale di 9.857 proprietà. SoMafia Pulita lare dall’agenzia del Demano i beni sottratti alla criminalità, Longanesi, 2009 nio. Eppure un settore strateun patrimonio immobiliare sconfi-

86

820 11

1443

Sud 82,77% 4468

Al 31 dicembre 2010 il totale degli immobili destinati e usciti dalla gestione dell’Agenzia nazionale (Anbsc) è di 6.913, il 70,1% di quelli confiscati, di cui: Immobili destinati consegnati

Immobili destinati non consegnati

Immobili usciti dalla gestione

5.594

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403

gico come quello dei beni confiscati avrebbe bisogno di maggiori investimenti sulla formazione di proprio personale, anche perché l’Agenzia non rappresenterà un costo del quale Tremonti potrebbe un giorno dire “dobbiamo tagliarlo”. Ci spiega infatti Antonio Cananà, viceprefetto dell’Anbsc che «quando andranno a regime le recentissime disposizioni sull’autofinanziamento dell’Agenzia, questa funzionerà esclusivamente con risorse sottratte alla criminalità e quindi a costo zero per il contribuente». Se è vero che il diavolo sta nei dettagli, sono queste difficoltà che vengono frapposte allo svolgimento di attività delicate, ma fondamentali per spostare la lancetta del Paese dall’illegalità alla legalità diffusa, che ci fanno venire seri dubbi sulla volontà della politica di opporsi in forma definitiva alle mafie.

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Green finance L’universo degli investimenti per l’ambiente di Andrea Di Turi

Fondi, indici azionari, bond. La scelta per chi voglia investire nel settore della green economy è vastissima.

Dall’Europa agli Usa piccoli e grandi investitori puntano sul verde e i prodotti finanziari specializzati si moltiplicano.

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L GREEN NEW DEAL EVOCATO DAL PRESIDENTE

degli Stati Uniti, Barack Obama, passa anche da un ruolo più attivo della finanza nella costruzione di un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Si sta, infatti, delineando una green finance, un vero e proprio comparto della finanza che investe nella green economy. Negli ultimi anni è aumentata considerevolmente sui mercati l’attenzione nei confronti di settori trainanti della green economy, come le energie da fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico, biomasse), che stanno conoscendo tassi di sviluppo elevatissimi in tutto il mondo. I mercati hanno, dunque, iniziato a puntare su società specializzate in settori green, com’è stato in Italia per Enel Green Power, che dalla quotazione in Borsa nell’autunno 2009 ha visto il valore del proprio titolo aumentare di circa un quarto. A farlo sono stati in particolare i grandi investitori istituzionali: il Fondo pensione governativo norvegese, secondo fondo sovrano al mondo (vicino ai 400 miliardi di euro di asset), ha messo oltre 3 miliardi di euro su investimenti ambientali, mentre due fondi pensione danesi, PensionDanmark e Pka, hanno acquisito il 50% di un maxi-impianto eolico in costruzione nello Jutlland.

Il kit dell’investimento green Per investire in questi settori si sono moltiplicati prodotti e strumenti finanziari ad hoc. Ci sono ad esempio i fondi verdi, o green fund, rivolti prevalentemente al settore dell’energia pulita, che costituiscono una parte ancora

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contenuta, ma crescente (circa 35 miliardi di euro), degli investimenti socialmente responsabili (o Sri) in Europa, specie in Paesi come Svizzera e Germania. In Italia è attivo il fondo Pioneer global ecology, che con oltre un miliardo di euro di asset gestiti, investiti in settori come energia pulita, riciclaggio dei rifiuti o depurazione delle acque, è uno dei maggiori in

Europa. Sul mercato italiano si trovano anche diversi Etf (Exchange traded fund, particolari fondi negoziati come azioni) focalizzati sulla green economy e, in particolare, sulle rinnovabili, come ad esempio iShares S&P Global Clean Energy o Lyxor Etf New Energy. Oltre ai fondi, sono aumentati considerevolmente anche gli indici azionari che strizza-

ATTENZIONE ALLE PERFORMANCE AMBIENTALI INDICI “VERDI” CRESCONO LA GREEN FINANCE UTILIZZA indici azionari di riferimento, i cosiddetti indici “verdi”, che selezionano le società quotate in base alla loro appartenenza a settori green e alle performance ambientali. Questi indici si sono moltiplicati negli ultimi anni. Uno dei più famosi è il Ftse4Good Environmental Leaders Europe 40, lanciato dalla Borsa di Londra nel maggio 2007 (appartiene alla famiglia di indici socialmente responsabili Ftse4Good). L’indice individua le migliori società quotate europee in termini di best practice ambientali, di capacità di gestione del rischio ambientale e di riduzione dell’impronta ambientale prodotta dal proprio business. Uno degli ultimi arrivi nel mondo degli indici green si deve invece a un altro famoso index provider internazionale, Stoxx, che ad aprile ha lanciato l’indice Stoxx Global Esg Environmental Leaders: comprende il miglior 25%, in termini di performance ambientali, fra le società che appartengono all’indice tradizionale Stoxx Global 1800 Index.

IMPRESE SOTTO ESAME CARBON DISCLOSURE PROJECT UNA DELLE PIU IMPORTANTI INIZIATIVE a livello internazionale nell’ambito della finanza green è senz’altro il Cdp-Carbon Disclosure Project (www.cdproject.net). Lanciato agli inizi degli anni 2000, Cdp è un’iniziativa non profit promossa da un gruppo di grandi investitori istituzionali (oggi ne raccoglie più di 550, con qualche decina di grandi imprese, che insieme gestiscono asset finanziari per oltre 70 mila miliardi di dollari) per chiedere alle società quotate sulle Borse valori di tutto il mondo di dare maggiori informazioni (facendo appunto disclosure) sulle loro politiche ambientali, in particolare sulle strategie che mettono in campo per la riduzione delle emissioni di CO2 e per il contrasto al fenomeno dei cambiamenti climatici. Nell’ultimo rapporto elaborato di recente sulle imprese italiane, che ha preso in considerazione le prime 60 società quotate sulla Borsa di Milano, è risultato che, ad offrire l’informazione più trasparente in termini di qualità e completezza del reporting ambientale, sono, nell’ordine: Eni, Terna, A2a, Fiat, Banca Mps e Italcementi.

CLIMATE POLICY INITIATIVE SI CHIAMA CLIMATE POLICY INITIATIVE (CPI) ed è un progetto partito verso la fine del 2009 a San Francisco, col supporto anche del noto finanziere-filantropo George Soros. Valendosi di uno staff di una quarantina di analisti, ha come obiettivo quello di supportare i governi di tutto il mondo nell’analisi e nell’attuazione di politiche efficaci per operare la transizione verso una low-carbon economy, cioè un’economia a basse emissioni di CO2. Fra le analisi che ha prodotto (disponibili su www.climatepolicyinitiative.org) figura un recente studio sul settore fotovoltaico in Germania e Cina. Cpi ha uffici, oltre che a San Francisco, a Pechino, Berlino, Rio de Janeiro e anche in Italia, sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, presso la sede della Fondazione Eni Enrico Mattei, che figura fra i partner di Cpi insieme alla Pontificia Università Cattolica di Rio.

no l’occhio al green. La Borsa di Londra è una delle più attive in questo campo, avendo lanciato una molteplicità di indici verdi, come il Ftse Cdp Carbon Strategy, il Ftse4Good Environmental Leaders Europe 40 o il Ftse Environmental Technology Index, che identifica le migliori imprese che sviluppano tecnologie verdi in campi come l’efficienza energetica o il controllo dell’inquinamento. Il Nasdaq, la Borsa statunitense dei titoli tec-

Un bene confiscato: il castello di Miasino (No).

nologici, ha introdotto in autunno il Nasdaq Green Economy Index, seguito poi da una fitta serie di sotto-indici specifici per i vari settori della green economy (clean energy, green building). Ma anche altri provider di indici azionari, Stoxx, Standard & Poor’s, Msci, sono presenti sui mercati con indici verdi. In Italia nel 2010 Ecpi ha lanciato l’indice verde Global Carbon Equity Index. Anche sul mercato delle obbligazioni hanno iniziato a far capolino prodotti finanziari verdi, emessi da enti e istituzioni, come le banche di sviluppo, allo scopo di raccogliere risorse per lo sviluppo della green economy. Nel 2010 la Banca Europea per gli investimenti (Bei) e la Asian development bank hanno emesso bond per diverse centinaia di milioni di euro e di dollari per finanziare progetti su energie rinnovabili ed efficienza energetica. E la Climate bond initiative sta lavorando al primo standard per i green bond.

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Fondi pensione protagonisti della trasformazione green La finanza può fare molto per la green economy. Parola di Gianluca Manca, di Eurizon Capital. «Incanalare credito verso progetti con caratteristiche “verdi” e stimolare società quotate su questi temi». A SOSTENIBILITÀ È un’opportunità di business importante. La novità è che è una guerra di tutti: se l’aria non è respirabile, ad esempio, è un problema che riguarda chiunque», a dirlo è Gianluca Manca, Head of sustainability di Eurizon Capital Sgr, Società di gestione del risparmio del Gruppo Intesa Sanpaolo, e co-presidente dell’Asset management working group di Unep Fi, l’iniziativa Onu per la promozione della sostenibilità in finanza. Ultimamente si sta dedicando al progetto Globe Eu, think-tank promosso dal Parlamento europeo per elaborare una proposta di legge sugli investimenti green.

«L

Cosa può fare la finanza per la green economy? Il suo ruolo è duplice: incanalare credito verso progetti con caratteristiche green e fare da

stimolo alle società quotate su questi temi. Ma quali sono i soggetti che più possono farsi promotori delle istanze green sui mercati? A fare la differenza sono i soldi e gli interessi della collettività, quindi ancora una volta artefici di questo cambiamento saranno senza dubbio i fondi pensione. Nei fondi pensione possono entrare tutti, per cui è giusto che rappresentino gli interessi di tutti, occupandosi di questioni come il deterioramento delle condizioni dell’aria e dell’acqua, che vanno a detrimento della vita di chiunque. In parte già lo fanno, ma potrebbero sviluppare un rapporto fiduciario più forte coi loro aderenti: se questi dessero maggior peso alla partecipazione, chiedendo di essere rappresentati come cittadini oltre che come investitori, il fondo pensione diventerebbe uno strumento politico a uso e consumo di tutti.

BOOM D’INVESTIMENTI NELLE RINNOVABILI GLI ULTIMI DATI EUROSTAT dicono che, se nel 1999 le fonti rinnovabili rappresentavano il 5,4% del mix energetico europeo, nel 2009 sono arrivate al 9%, con in testa Lettonia (36% del totale), Svezia (34%) e Austria (27%). Ci sono poi casi come la Spagna, dove a marzo l’energia eolica è diventata la prima fonte energetica, e la Germania, che punta nel 2050 a soddisfare l’80% della domanda di energia con eolico e fotovoltaico. A livello mondiale, gli investimenti nelle rinnovabili nel 2010 hanno toccato i 243 miliardi di dollari, in crescita del 30% sul 2009. Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha calcolato che per garantire un passaggio verso un’economia low-carbon basterebbe investire ogni anno il 2% (circa 1.300 miliardi di dollari) del Pil globale.

giusto che i fondi ‘‘ Èpensione si occupino degli interessi di tutti: come le condizioni dell’acqua e dell’aria

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La contaminazione verde colpisce la finanza “tradizionale”

mazioni e criteri green sono sempre più decisivi per calibrare le scelte d’investimento, sono i risultati di uno studio realizzato da Unep Fi (United Nations Environment Programme Finance Initiative) e dal Sustainable business institute tedesco, che ha coinvolto 65 grandi investitori istituzionali di tutto il mondo: solo un terzo di essi si dichiara sufficientemente informato sui rischi diretti e indiretti delle imprese in relazione ai cambiamenti climatici, chiedendo quindi con forza che questo gap venga colmato rendendo accessibile una maggiore quantità di previsioni, analisi e in-

Podere Tinaio, confiscato a Suvignano, Siena.

terpretazioni sugli effetti che i cambiamenti climatici possono avere sui vari settori di business. Sono ormai quasi 900, infine, con circa 25 mila miliardi di dollari di asset complessivamente gestiti, le istituzioni finanziarie che hanno firmato i Principi per l’investimento responsabile lanciati dall’Onu nel 2006 (UnPri): aderendo all’iniziativa, si impegnano ad integrare parametri ambientali, oltre che sociali, nella loro attività di analisi e selezione degli investimenti. Anche la finanza mainstreaming, insomma, è sempre più tinta di verde.

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di Andrea Di Turi

I grandi investitori si sono accorti che valutare la dimensione ambientale di un investimento, oltre a quella economicofinanziaria, permette di ridurre i rischi e di aumentare la possibilità di ottenere rendimenti alti.

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E È VERO CHE SI STA AFFERMANDO

una finanza “verde”, specializzata nell’investire nella green economy, è altrettanto vero che cresce la “contaminazione verde” della finanza tradizionale o mainstreaming. I grandi investitori, cioè, sempre più spesso integrano criteri di attenzione all’ambiente e alla sostenibilità nelle loro metodologie d’investimento. Anche perché si sono accorti che valutare la dimensione ambientale di un investimento, oltre che quella economico-finanziaria, permette di ridurre i rischi e di aumentare la possibilità di ottenere rendimenti interessanti, specie nel medio-lungo periodo.

Un esempio emblematico di questa contaminazione è quello che vede protagonista Standard & Poor’s, la celebre agenzia di rating che, con le sue valutazioni, è in grado di decidere del destino di un’azienda e persino di uno Stato. Prevedendo che le politiche con cui le imprese gestiscono il tema dei cambiamenti climatici diventeranno sempre più cruciali per la loro competitività sui mercati, S&P sta integrando in modo strutturale i rischi climatici nei suoi processi di valutazione del merito di credito delle aziende. Probabilmente già entro la metà di que-

Standard & Poor’s da quest’anno ha inserito i rischi climatici nei processi di valutazione

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le presenti all’interno di indici azionari green. Per restare in Italia, invece, si segnala come Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari, si stia attivando su iniziative come quella del recente studio “Il partenariato pubblico-privato e gli investimenti nelle energie rinnovabili”, finalizzato a sensibilizzare la pubblica amministrazione appunto sul tema delle energie rinnovabili.

Più informazioni green Forse ancora più significativi, però, di quanto la finanza sia diventata consapevole che infor-

SE ANCHE LE BANCHE DIVENTANO “GREEN”

Dagli Usa all’Italia

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st’anno, tutte le imprese analizzate da S&P avranno anche una valutazione legata alla loro esposizione ai rischi rappresentati dai cambiamenti climatici. Un altro caso riguarda Calpers, il fondo pensione dei dipendenti pubblici della California, uno dei maggiori al mondo. All’interno della struttura di gestione del fondo, infatti, Calpers ha deciso di costituire un’unità ad hoc con lo specifico compito di investire una parte degli asset del fondo in compagnie che si distinguono per le loro strategie ambientali, selezionandole fra quel-

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SE LO SAPESSE UN “NORMALE” correntista bancario, sempre col coltello fra i denti quando deve rapportarsi con la propria banca, potrebbe stupirsi non poco. Ma è un fatto che, fra le imprese più impegnate e attente all’impatto ambientale della propria attività, vi sono gli istituti di credito. Un obiettivo importante e ambizioso in questo senso, ad esempio, è stato dichiarato poco tempo fa da Banca Mps, che ha annunciato di voler diventare entro il 2013 carbon neutral, vale a dire azzerare le proprie emissioni di CO2. La banca senese, inoltre, ha introdotto indicatori legati alla emissione di anidride carbonica fra gli obiettivi assegnati alle proprie strutture interne, in base ai quali vengono poi assegnati premi di produttività. E qualche anno fa, a Castelnuovo Berardenga nelle campagne del Chianti, ha realizzato la prima filiale interamente progettata e realizzata con criteri di sostenibilità, ricavandola da un vecchio fienile abbandonato. Anche un altro big del credito in Italia, Intesa Sanpaolo, è da tempo impegnato sul fronte green. Ad esempio con un programma quadriennale 2008/2012 per la riduzione dei consumi elettrici e puntando tra l’altro sull’utilizzo di energia prodotta da centrali idroelettriche e certificata col marchio “Energia pura”: iniziative, insieme ad altre, che le hanno permesso di ottenere prestigiosi riconoscimenti, come il Green globe banking award (www.ggbanking.it) assegnato ogni anno alle banche che si distinguono per l’attenzione all’ambiente. Da segnalare, infine, che in ambito Abi (Associazione bancaria italiana) è stato costituito il consorzio Abi Energia (www.abienergia.it) per l’ottimizzazione dell’utilizzo di energia nelle imprese bancarie.

Rischio finanziarizzazione e “bolla” per la green economy L’ombra della speculazione incombe sulla green economy. Lo ipotizza Antonio Tricarico, di Crbm. Al settore delle rinnovabili potrebbe accadere la stessa sorte delle materie prime agricole, trasformate in una sorta di subprime.

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L SETTORE FINANZIARIO PUÒ FARE

molto per sostenere l’affermarsi di un’economia amica dell’ambiente. C’è però il rischio che le dinamiche speculative perverse, che hanno condotto allo scoppio della crisi, possano replicarsi anche in questo campo. «La green economy non è quasi neanche iniziata e c’è già il rischio di una green bubble», cioè di una bolla speculativa. A dirlo è Antonio Tricarico, coordinatore della Crbm (Campagna per la riforma della Banca mondiale). «C’è un grossissimo problema», afferma, «che possiamo chiamare di finanziarizzazione della green economy, una sorta di processo di “lehmanizzazione”», dal nome della banca d’affari statunitense, Lehman Brothers, al cui fallimento nel settembre 2008 si fa risalire l’inizio della crisi. Cosa intende con il termine “lehmanizzazione”? Dal 2008 in poi, di fronte a una crisi strutturale dei mercati finanziari riguardo alle attività finanziarie classiche, azioni, obbligazioni, immobili, la liquidità si è spostata

in modo significativo non solo CAMPAGNA PER LA MOBILITÀ SOSTENIBILE sulle tradizionali commodity, come petrolio, oro, ma anche È PROMOSSA dall’associazione Pamoja per invitare tutti i cittadini a utilizzare sulle commodity agricole (cereaspontaneamente mezzi alternativi li, caffè, cacao, cotone, ndr). all’automobile, soprattutto alla domenica. Adesioni su Ciò ha generato una cosa mai www.pamoja.it/campagna1x100. vista prima: la commodity agricola si è trasformata in un’attività finanziaria. Possedere una tonnellata vate equity, che collocano le imprese in di grano, ad esempio, una volta non mi daBorsa drogandole rispetto al loro valore va una rendita, oggi sì, attraverso l’ingereale. Questo perché i mercati finanziari e gneria finanziaria. Al punto che si parla di il capitale privato sono diventati i princiuna commodity finance, che sostanzialmenpali intermediari del processo economico. te replica nel mondo fisico il modello dei mutui subprime (i prodotti finanziari che C’è una via d’uscita? hanno scatenato la crisi, ndr). Si potrebbero creare delle banche pubbliche d’investimento per la sostenibilità. Non i carrozzoni del passato, ma, ad I peggiori aspetti della finanza speesempio nel caso italiano, riappropriarsi culativa, insomma, stanno penesecondo una logica di sostenibilità e di trando nelle logiche con cui si proinvestimenti nell’interesse pubblico di ducono e si commercializzano nel una parte della Cassa Depositi e Prestiti. mondo i prodotti agricoli di base… Per farne un vero motore di investimento Queste aberrazioni possono generare bolle pubblico di lungo periodo in questi settospeculative. In India, ad esempio, il merri: una sorta non di private equity, ma di cato delle energie rinnovabili è finanziato public equity. principalmente dai fondi speculativi di pri-

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Quale sistema bancario dopo la crisi

vità creditizia (cioè concede prestiti). Le conseguenze riguardano tanto le banche quanto i clienti che rischiano di vedere diminuire la remunerazione sul proprio conto e aumentare il costo di un prestito. A fronte di queste difficoltà la risposta del pubblico è stata stanziare somme gigantesche destinate alla parte del sistema finanziario maggiormente responsabile della crisi, ignorando quella sana. Anche la nuova regolamentazione internazionale, che si riduce praticamente nelle norme di Basilea III, rischia di penalizzare pesantemente la finanza cooperativa.

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Tra i beni elencati su www.benisequestraticonfiscati.it: l’albergo Parco dei templari ad Altamura (Ba).

di Andrea Baranes

Mentre molte banche sono sopravvissute alla crisi grazie agli aiuti e alla modifica delle regole contabili, la finanza cooperativa ha superato la bufera (meglio) continuando a fare la banca. E IL FALLIMENTO DI LEHMAN Brothers, a settembre del 2008, ha rappresentato per molti versi il punto più critico della recente crisi finanziaria, sono molti gli istituti che hanno chiuso i battenti e ancora di più quelli sopravvissuti unicamente grazie ai giganteschi piani di salvataggio messi in piedi dal-

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CARTA D’IDENTITÀ LE BANCHE COOPERATIVE sono entità finanziarie che appartengono ai loro membri, che sono contemporaneamente proprietari e clienti. Spesso sono create da persone che vivono nello stesso territorio. Forniscono ai loro aderenti servizi bancari e finanziari (prestiti, depositi, conti correnti). Si differenziano dalle banche commerciali per la loro organizzazione, gli obiettivi, i valori e la governance. In molti Paesi sono sottoposte al controllo delle autorità bancarie e devono rispettare le stesse norme delle altre banche. Nonostante le differenze da un Paese all’altro, le banche cooperative seguono dei principi comuni:

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sono di proprietà dei clienti, per cui non hanno come obiettivo la ricerca del massimo profitto, bensì fornire ai membri i migliori prodotti e servizi; sono sottoposte a un controllo democratico da parte dei membri della cooperativa, che eleggono il Cda. Ogni membro ha diritto a un voto, a prescindere dal numero di quote possedute;

Forza e debolezza della finanza cooperativa… Un’indagine dell’Abi (Associazione bancaria italiana) del marzo 2011 ha mostrato come in Italia le banche che “fanno le banche”, ovvero che si dedicano in maniera preponderante all’attività creditizia, hanno superato la crisi molto meglio di quelle più “finanziarizzate”. È quanto è accaduto alla finanza

hanno un forte legame con il territorio, e contribuiscono al suo sviluppo, anche aumentando l’accesso al credito, in aree dove le banche tradizionali sono meno presenti.

Tratta dal sito dell’International Co-operative Banking Association (ICBA): www.icba.coop

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le maggiori potenze economiche occidentali. Alcune delle più grandi banche europee oggi presentano bilanci in attivo unicamente grazie al cambio in corsa delle regole contabili, deciso dalla Commissione europea, che ha permesso di iscrivere i titoli “tossici” non più al valore di mercato (mark to market), ma a quello di carico, nascondendo così situazioni di grande difficoltà. Molte di queste stesse banche sono oggi tra i maggiori detentori dei titoli di Grecia, Irlanda e Portogallo, con gli enormi rischi che ne derivano. La finanza cooperativa, al contrario, ha continuato a fare ciò che le banche dovrebbero fare: intermediazione creditizia e allocazione del capitale per lo sviluppo dell’economia. Grazie alla partecipazione dei soci alle scelte strategiche, al radicamento sul territorio e al finanziamento dell’economia “reale”, questa “fetta” di mondo bancario ha attraversato la crisi relativamente indenne, proprio grazie a un modello operativo che da molti era giudicato “arretrato” rispetto alla grande finanza.

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cooperativa che non si è avventurata su terreni rischiosi come quelli dei derivati o di altri prodotti finanziari pericolosi, tanto per le banche quanto per i clienti. Scopo delle banche cooperative non è la massimizzazione dei dividendi per i propri azionisti (anche perché non ci sono azionisti, ma soci), bensì esercitare l’intermediazione finanziaria: raccogliere capitali e concedere prestiti e finanziamenti. Ma, nonostante questo, i problemi non sono mancati neanche per la finanza cooperativa. In primo luogo una crisi che ha colpito l’insieme dell’economia ha ovviamente avuto pesanti ripercussioni per chi lavora sull’erogazione di prestiti. Non solo, diverse banche centrali hanno portato vicino allo zero il costo del denaro nella speranza di rilanciare l’economia. E il calo dei tassi ha comportato una drastica riduzione dello spread, ovvero della differenza tra il tasso di interesse sulla raccolta e quello richiesto per gli impieghi. Mentre molte grandi banche realizzano ormai più della metà dei loro utili da intermediazione finanziaria e possono addirittura guadagnare da una situazione che incentiva il carry trade (acquistare denaro dove i tassi sono bassi e cambiarlo in altre valute che possono essere prestate a interessi più elevati, in modo che al momento della riconversione ci sia un guadagno), la riduzione degli spread ha colpito in maniera maggiore chi, come la finanza cooperativa, svolge in maniera preponderante l’atti-

I pericoli di Basilea III Le banche non sono tutte uguali di Andrea Baranes

Tagliata su misura per le banche di maggiore dimensione, Basilea III non riconosce le specificità della finanza cooperativa. Un modello taglia unica che rischia di essere inefficace e controproducente. N UNA LETTERA AL COMITATO DI BASILEA, l’Associazione internazionale delle banche cooperative (Icba) si è detta “profondamente preoccupata” da una riforma che potrebbe portare a “una destabilizzazione globale del sistema bancario in molti Paesi”. L’oggetto del contendere è l’accordo di Basilea III, introdotto dal G20 per superare alcuni limiti della precedente versione (Basilea II, in vigore dal 2004), che si è dimostrata insufficiente a fronteggiare la recente crisi. In pratica Basilea III prevede che gli istituti di credito debbano tenere a disposizione una certa quantità di capitale per ogni prestito concesso. È una sorta di “precauzione”, che considera l’eventualità che, nell’insieme dei prestiti erogati, alcuni non vengano restituiti. Se la banca non avesse una propria disponibilità di capitale potrebbe trovarsi in difficoltà o mettere a rischio i risparmi della clientela. Ma Basilea III, pensato per chiedere una maggiore solidità al sistema bancario, sembra tagliato su misura per le banche di maggiore dimensione e non riconosce in alcun modo la

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specificità della finanza cooperativa, rischiando al contrario di penalizzare alcune delle esperienze più interessanti e innovative degli ultimi anni. Un modello “taglia unica” per l’insieme del mondo bancario che rischia quindi di essere inefficace e controproducente.

Fuori dalle regole Come ha drammaticamente mostrato la crisi del 2007, le banche hanno esasperato il processo di cartolarizzazione dei propri crediti anche per portarli fuori dal bilancio e aggirare i vincoli previsti dall’accordo di Basilea II. Si è così sviluppato un “sistema bancario ombra” di società che agiscono come banche, ma eludono le regole e i controlli previsti per il sistema ufficiale e che, secondo un rapporto della Fed (Federal reserve) del luglio 2010, assicurano ancora oggi 16 mila miliardi di dollari di intermediazione, a fronte di 13 mila miliardi del sistema ufficiale. In assenza di una seria regolamentazione di questo segmento parallelo, Basilea III potrebbe ulteriormente esasperare tali compor-

tamenti e premiare i più “furbi”. All’opposto, per la finanza cooperativa e per le banche che rispettano le regole il nuovo accordo comporterebbe ulteriori severissimi paletti alla possibilità di erogare credito all’economia reale. Tutto questo senza contare che gli istituti di maggiore dimensione continuano ad adottare propri modelli di valutazione del rischio, che permettono un certo margine di manovra, mentre gli altre devono seguire quelli standardizzati, molto più rigidi.

Lo scoglio della ricapitalizzazione E non è tutto. Per rispettare i nuovi parametri di Basilea III la maggior parte delle banche dovrà aumentare il proprio capitale sociale. Gli istituti quotati in Borsa potranno reperire i capitali necessari sui mercati finanziari. Il discorso è diverso per le banche cooperative, che nascono dall’impegno di una base sociale, che spesso non ha le risorse economiche per assicurare un sostanziale aumento di capitale. In pratica nell’accordo non viene in al-

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PROPOSTA: CRITERI SOCIALI E AMBIENTALI TRA I PARAMETRI DI BASILEA L’ACCORDO DI BASILEA III prevede requisiti patrimoniali più severi per i prestiti giudicati più rischiosi. L’esame del rischio si basa sui dati patrimoniali e di bilancio del richiedente. Il non profit, il terzo settore, le imprese di piccole dimensioni sono invariabilmente considerati a rischio massimo. Di conseguenza Basilea III impone vincoli molto severi a chi, come la finanza cooperativa, ha come mission garantire l’accesso al credito ai cosiddetti “non bancabili” e sostenere lo sviluppo di progetti con positive ricadute sulla società. Sono invece favorite le grandi imprese, che hanno già facilità di accesso al credito e che sono spesso responsabili di progetti con enormi impatti sociali e ambientali, e sono resi possibili i finanziamenti ad attori più speculativi quali hedge fund o fondi di private equity. Una soluzione efficace potrebbe essere introdurre criteri sociali e ambientali nella valutazione del rischio complessivo e del merito creditizio del richiedente. Pensiamo, per esempio, alla transizione dai combustibili fossili alla green economy. Aumentare i requisiti patrimoniali richiesti per le imprese operanti nel settore dei combustibili fossili e diminuirli per chi opera nelle rinnovabili sarebbe uno straordinario incentivo in questa direzione. Anche da un punto di vista meramente economico, i recenti disastri della BP nel Golfo del Messico o della centrale nucleare di Fukushima in Giappone hanno purtroppo dimostrato le gigantesche ricadute finanziarie dei danni ambientali. Un rischio che gli attuali parametri di Basilea non considerano in alcun modo.

cun modo riconosciuto il fatto che gli azionisti di una banca cooperativa non cercano la massimizzazione del valore dell’azione, ma investono con un’ottica di lungo periodo (fat-

tore che, tra l’altro, ha assicurato alle banche cooperative una maggiore capacità di affrontare la crisi). Ancora peggio, come sottolinea la lettera

dell’Icba al Comitato di Basilea, “le nuove regole potrebbero impedire alle banche cooperative di considerare le azioni dei soci come una forma di capitale sicuro” (Tier 1 Capital). Questo potrebbe costringere alcune esperienze ad abbandonare il proprio modello cooperativo nel tentativo di aumentare il proprio capitale, con costi spropositati. Pensiamo in particolare ad alcune esperienze nel Sud del mondo. Da una parte una ricapitalizzazione può essere un’operazione molto complicata. Dall’altra i prestiti sono fondati sulla conoscenza e la fiducia per il richiedente, che molto spesso è socio dello stesso istituto erogatore. Parliamo di circuiti di prossimità, radicati sul territorio e nei quali la finanza cooperativa dimostra tutto il suo valore aggiunto. In queste condizioni, valutare il rischio di un prestito unicamente sui dati patrimoniali non solo è fortemente penalizzante, ma è anche poco indicativo del merito creditizio del richiedente.

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Nord e Sud: cooperando si resiste alla crisi di Andrea Baranes

Le banche cooperative sono state meno segnate dalla crisi perchè hanno come scopo soddisfare i bisogni dei propri soci. Sarebbero così al riparo dalla tentazione di offrire prodotti ad alto rischio. Lo sostiene Jean-Bernard Fournier. E RETI DI FINANZA COOPERATIVA sono state meno colpite dalla crisi economico-finanziaria rispetto alle banche tradizionali». Commenta così, riferendosi alle realtà sia del Nord che del Sud del mondo, Jean-Bernard Fournier, vice direttore generale di Développement international Desjardins (Did), una società canadese specializzata nel sostegno tecnico e in investimenti nella finanza cooperativa nei Paesi del Sud del mondo.

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Quali conseguenze ha provocato la crisi finanziaria per la finanza cooperativa e per le istituzioni di microfinanza nei Paesi in via di sviluppo? Per quanto riguarda le istituzioni di microfinanza nei Paesi in via di sviluppo, sono due i problemi principali provocati dalla crisi fi-

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nanziaria. In primo luogo un aumento del numero di default dei beneficiari dei prestiti, che non sono stati più in grado di restituire il prestito, o perché hanno perso il lavoro, oppure, se avevano un’attività commerciale, perché hanno visto calare drasticamente la domanda di prodotti. In secondo luogo molte istituzioni di microcredito, in America Latina, Africa e Asia, hanno incontrato crescenti difficoltà nell’ottenere finanziamenti dalle banche regionali di sviluppo, a loro volta indebolite dalla crisi. In più le difficoltà incontrate dalle istituzioni di microfinanza sono state aggravate da una

diminuzione degli investimenti correlati a progetti di sviluppo, dall’aumento dei tassi di interesse e da una stretta nei crediti concessi da altre banche private. Invece le istituzioni di microfinanza organizzate in forma di cooperativa non hanno incontrato le stesse difficoltà, soprattutto perché i depositi dei clienti, spesso anche soci della realtà, sono la fonte dei loro stessi finanziamenti. Di conseguenza il “contagio” della crisi non le ha travolte.

Le istituzioni di microfinanza organizzate sotto forma di cooperative hanno risentito meno dei danni della crisi

Ma perché la finanza cooperativa è rimasta più al riparo dalla crisi? Per diversi motivi. Prima di tutto le cooperative di credito e risparmio hanno la missione di fornire prodotti e servizi che incontrino i bisogni dei propri clienti e soci. Il che rappre-

senta una protezione contro la tentazione di sviluppare e vendere prodotti che offrono potenzialmente elevati tassi di profitto, ma con un rischio talmente elevato da mettere in pericolo la già precaria situazione di milioni di persone nei Paesi poveri. In più, l’obiettivo delle banche cooperative è realizzare un utile soddisfacente e affidabile, che è cosa ben diversa dal cercare il massimo profitto a ogni costo. Inoltre le cooperative possono contare sui risparmi del territorio e della base sociale, il che le rende molto meno dipendenti da finanziamenti esterni per garantire la propria liquidità. In ultimo, le realtà della finanza cooperativa hanno una struttura di governance basata sulla trasparenza e sulla consultazione, due condizioni essenziali per sopravvivere in periodi di turbolenza.

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Un’altra immagine dell’albergo Parco dei templari ad Altamura (Ba).

A piccoli passi per arrivare lontano di Alessia Vinci

Una singola banca cooperativa è di piccole dimensioni, ma l’insieme della finanza cooperativa nel mondo controlla ampie fette del mercato bancario. E l’importanza di questo settore va al di là dei numeri. UANDO SI PENSA A UNA BANCA trolla ampie fette del mercato bancario, in Europa e nel mondo, con punte particocooperativa si immagina larmente significative sia nei paesi ricchi una realtà di piccole dimen(soprattutto Francia, Olanda e Italia) che sioni, con un capitale sociale ridotto e una in quelli nel Sud del mondo. clientela concentrata in un territorio limiLe prime 50 banche cooperative nel tato. Questa descrizione spesso corrisponde al vero, ma la rilevanza della finanza coomondo accumulano entrate per 150 miliardi di euro. In Francia i tre principali perativa va ben al di là della dimensione del singolo istituto. In primo luogo ci sono i gruppi cooperativi bancari (Crédit Agriconumeri complessivi: basta guardare la dile, Bpce e Crédit Mutuel) controllano il mensione aggregata dei capitali mossi dalle 50% del mercato dei prestiti del Paese e il banche cooperative nel mondo per consta60% di quello dei depositi, con un reddito tarne il peso. In secondo luogo bisogna ananetto aggregato di 53.4 miliardi di euro lizzare i risultati raggiunti: è sulle banche (dati Icba-International Co-operative cooperative che si basa la sopravvivenza di Banking Association, Global 50 classificamolte realtà imprenditoriali in Italia, in Eution al 31 dicembre 2008). In Europa le ropa e nel mondo, in particolare nei Paesi banche cooperative controllato il 19% del in via di sviluppo, dove la finanza cooperamercato dei prestiti e il 21% dei depositi. tiva spesso ha assunto la forma del microcredito. Le prime 50 banche cooperative

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Numeri esplicativi La finanza cooperativa con-

nel mondo accumulano entrate per 150 miliardi di euro. Una realtà importante da Nord a Sud

Una realtà particolarmente diffusa in Italia (30% del mercato dei prestiti, 34% dei depositi); in Germania (16% del mercato dei prestiti, 19% dei depositi); in Olanda (30% del mercato dei prestiti e 43% dei depositi) e in Finlandia (32% dei prestiti e 34% dei depositi). Ma la finanza cooperativa ha una presenza significativa anche in Sud Corea, con gruppi bancari come Nacf e Kfccc; in Giappone, con Norinchukin Bank; in Canada, con il movimento delle Caisses Desjardins (vedi INTERVISTA a Jean-Bernard Fournier a pag 14); in Marocco, con il gruppo delle Banques Populaires du Maroc; in Messico, con la Caja Popular Mexicana; in Brasile con la Sicredi Confederation; a Taiwan, con la Taiwan Co-operative Bank. È una presenza solida e diffusa, lontana dai clamori che il sistema finanziario ha suscitato nel corso dell’ultima violenta crisi mondiale, da cui le banche cooperative sono uscite sostanzialmente indenni.

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