Mensile Valori n. 98 2012

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Cooperativa Editoriale Etica Anno 12 numero 98. Aprile 2012. € 4,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento Contiene I.R.

MG PICCIARELLA / ROPI-REA / CONTRASTO

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Economia solare Tecnologie avanzate e prezzi in calo. Il fotovoltaico si fa strada Finanza > Acqua: bene comune. Presente anche negli investimenti dei fondi etici Economia solidale > La pummarola made in Italy rischia l‘estinzione. La Cina si fa avanti | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Elezioni francesi in vista. Hollande gioca l’arma della redistribuzione


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Al fotovoltaico serve una politica industriale di Marco Frey

C

L’AUTORE Marco Frey è professore ordinario presso il Sant’Anna di Pisa, dove è direttore dell’Istituto di management. È consigliere della Fondazione Cariplo con delega alle tematiche ambientali e chairman del Global Compact Italian Network. Sui temi della sostenibilità ha prodotto oltre 100 pubblicazioni e partecipato a più di 500 convegni nazionali e internazionali. | 2 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

osì come le grandi trasformazioni del nostro sistema economico, a partire dalla prima rivoluzione industriale, sono state legate alla disponibilità di nuove forme di energia (il vapore, poi l’energia elettrica da fonti fossili), così la prospettiva di un’economia più sostenibile e inclusiva sembra strettamente connessa alla valorizzazione progressiva dell’energia generata dal sole. In ciò la sfida per l’Italia e per l’Europa appare cruciale, data la nostra forte dipendenza energetica, che, in un contesto di scarsità crescente, sta già mostrando le sue conseguenze sulla competitività. Lo sviluppo, per molti versi sorprendente, delle fonti rinnovabili in questi anni è il risultato di diversi fattori: gli incentivi che hanno stimolato la domanda, l’attivazione della ricerca e sviluppo di soluzioni innovative e la crescita dell’offerta di prodotti e sistemi sempre più competitivi con quelli tradizionali. Per governare e sfruttare al meglio tale cambiamento occorre una prospettiva di sistema che sappia collegare le dinamiche della domanda a quelle dell’offerta e dell’innovazione. Sinora questo è mancato in Italia. Grazie a un’incentivazione particolarmente allettante si è messo in moto il mercato, che, in modo spontaneo e, per molti, inefficiente si è distribuito i benefici del sostegno pubblico. All’interno delle filiere del solare sono nate imprese e molti posti di lavoro, ma è mancata una politica mirata allo sviluppo di un’offerta competitiva. Questa è una storia che si ripete nel nostro Paese: siamo capaci di generare una buona creatività spesso in anticipo in settori emergenti, di cui non valorizziamo le potenzialità, trovandoci poi a inseguire altri che, spesso, da noi hanno imparato. Nell’ambito delle rinnovabili e, soprattutto, del solare, dove si sta avvicinando la cosiddetta grid parity, servirebbe una vera e propria politica industriale, che sappia orientare le dinamiche del mercato su obiettivi di lungo periodo. Se si sceglie il rispetto degli obiettivi di Europa 2020, insieme al rilancio dello sviluppo economico e della competitività del nostro Paese, il tutto si deve organizzare attorno ad alcune sfide fondamentali. La prima è quella ambientale di contenimento delle emissioni, per la quale sono strumenti efficaci i certificati verdi, che permettono di superare le continue rimodulazioni del sistema di incentivazione e le connesse polemiche. La seconda è quella della green economy, un’opportunità di trasformazione del sistema economico che deve essere pienamente sfruttata da un Paese in fase recessiva. Le imprese che hanno tenuto la testa alta negli ultimi anni sono quelle che hanno saputo valorizzare il trinomio internazionalizzazione, innovazione, orientamento green dei prodotti/servizi. Quali sono le possibilità per l’Italia? Nell’ultimo decennio non siamo stati capaci di sviluppare azioni di sistema in grado di conquistare una leadership tecnologica nei mercati delle rinnovabili, cosa che altri Paesi anche piccoli, come la Danimarca nell’eolico o l’Austria nelle biomasse, hanno saputo fare. Ci resta la possibilità di mantenere e conquistare alcune nicchie all’interno delle filiere, sfruttando le nostre capacità distintive e l’attitudine alla collaborazione innovativa. Manteniamo, infatti, una vocazione manifatturiera significativa e il mercato italiano oggi è uno dei più importanti del solare fotovoltaico. Tutto ciò mostra come sia importante non perdere ancora una volta il treno, costruendo uno scenario strategico di lungo periodo che sappia valorizzare tutto ciò che di buono è maturato e superare quanto invece costituisce un vincolo allo sviluppo di un settore chiave della nuova economia.  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 3 |


per leggere tra le righe Cooperativa Editoriale Etica Anno 12 numero 98. Aprile 2012. € 4,00 Cooperativa Editoriale Etica Anno 12 numero 97. Marzo 2012. € 4,00

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PETER PEREIRA / 4SEE / CONTRASTO

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Super bolla cinese Dopo anni di crescita incontrollata rischia un brutto atterraggio Finanza > Le armi (finanziarie) di distruzione di massa contro la Ttf Economia solidale > Il modello cooperativo contro la crisi del capitalismo | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Dopo le sette sorelle del petrolio, nuove società danno forma al mondo

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Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità MG PICCIARELLA / ROPI-REA / CONTRASTO

OLIVER BOLCH / ANZENBERGER / CONTRASTO

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità

Cooperativa Editoriale Etica Anno 12 numero 96. Febbraio 2012. € 4,00

Tracollo educativo

Economia solare Tecnologie avanzate e prezzi in calo. Il fotovoltaico si fa strada Finanza > Acqua: bene comune. Presente anche negli investimenti dei fondi etici Economia solidale > La pummarola made in Italy rischia l‘estinzione. La Cina si fa avanti | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Elezioni francesi in vista. Hollande gioca l’arma della redistribuzione

Alla base della crisi: addio istruzione, fattore di crescita e uguaglianza Finanza > I debiti degli Stati e la grande truffa dei credit default swaps Economia solidale > In pensione dopo perché si vive di più. Ma in Italia cala la vita sana | ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 | Internazionale > Le banche che finanziano l’inquinamento globale. C’è anche Unicredit

aprile 2012 mensile www.valori.it anno 12 numero 98 Registro Stampa del Tribunale di Milano n. 304 del 15.04.2005 editore Società Cooperativa Editoriale Etica Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano promossa da Banca Etica soci Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci, FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza, Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa, Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara, Circom soc. coop.,Donato Dall’Ava consiglio di amministrazione Paolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava, Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo, Fabio Silva (presidente@valori.it), Sergio Slavazza direzione generale Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it) collegio dei sindaci Giuseppe Chiacchio (presidente), Danilo Guberti, Mario Caizzone direttore editoriale Mariateresa Ruggiero (ruggiero.fondazione@bancaetica.org) direttore responsabile Andrea Di Stefano (distefano@valori.it) caporedattore Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it) redazione (redazione@valori.it) Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini, Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana, Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro, Andrea Montella, Valentina Neri grafica, impaginazione e stampa Publistampa Arti grafiche Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento) fotografie e illustrazioni Justin Guariglia, MG Picciarella, Hans Christian Plambeck, Tania, Laif (Contrasto); Rupak De Chowdhuri (Reuters); Enzo Lunari; Tomaso Marcolla abbonamento annuale ˜ 10 numeri Euro 35,00 ˜ scuole, enti non profit, privati Euro 45,00 ˜ enti pubblici, aziende Euro 60,00 ˜ sostenitore abbonamento biennale ˜ 20 numeri Euro 65,00 ˜ scuole, enti non profit, privati Euro 85,00 ˜ enti pubblici, aziende come abbonarsi  carta di credito sul sito www.valori.it sezione come abbonarsi Causale: abbonamento/Rinnovo Valori  bonifico bancario c/c n° 108836 - Abi 05018 - Cab 01600 - Cin Z Iban: IT29Z 05018 01600 000000108836 della Banca Popolare Etica Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori + Cognome Nome e indirizzo dell’abbonato  bollettino postale c/c n° 28027324 Intestato a: Società Cooperativa Editoriale Etica, Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano Causale: abbonamento/Rinnovo Valori È consentita la riproduzione totale o parziale dei soli articoli purché venga citata la fonte. Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite, non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto, l’Editore si dichiara pienamente disponibile ad adempiere ai propri doveri.

MG PICCIARELLA / ROPI-REA / CONTRASTO

| sommario |

Con i 2.400 moduli fotovoltaici installati sulla copertura dell’aula Nervi, l’auditorium della Santa Sede, il Vaticano è lo Stato più green del mondo. L’impianto è entrato in funzione nel novembre 2008, ogni anno permette di produrre in media 442 mila kWh di energia e di risparmiare 150 tonnellate di anidride carbonica.

globalvision

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fotonotizie

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dossier Economia solare Il futuro è adesso Energia dal Sole, quasi quasi conviene Balle solari Italia: la via d’uscita si chiama innovazione Il fotovoltaico convince, ma restano problemi aperti

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consumiditerritorio

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finanzaetica Acqua in Borsa. Per i fondi etici non è un tabù Si scrive acqua si legge democrazia Il bilancio lo voglio così C’era una volta l’Euro(pa)

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inumeridellaterra economiasolidale

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Oro rosso, futuro nero La “pummarola” ha sempre più gli occhi a mandorla L’economia sociale fa breccia in bolletta Una, nessuna, centomila facce della cooperazione Cooperative false, danno vero La buona amministrazione sale in cattedra

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esempio il caso delle correzioni rre ez e zio ni di ni di b bilancio iU lan correzione per svincolarsi dalla trappola delle spirali o r a debito. debito . to-interessi-deficit e ancora Una troppo lenta fa accumulare acorrezioni plizzando ida debito. rischia risch a domanda d biti; correzione rapida diocorrezione mettere in ginocchio l'economia ritirando il nuove iamouna per esempio il casoopiù delle di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spirali n a alizzando d domanda pubblica penalizzando la privata con l'aumento delle tasse. Ci eficit-debito-interessi-deficit epiù ancora Una troppo lenta fane accumulare anzi e debiti; una correzione rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando il o n e Goldilocks Goldilock s : m vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno rto della domanda pubblica oipenalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse. Cimisure che, di dib d b ili dno cmisure co o accompagnate dauna credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè vuole soluzione Goldilocks: di sostegno ne povertà le l e , port p ortano ort tan r e nto dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a internazionale e periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure che, me l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a s i cumulano cumulan no nel ne n l t effetti, ma detti effetti si tempo e riducono tangibilmente gli squilibri estare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilibri odo.Questa crisi, insomma, m ma, non ha visto vis vist to all'opera i in normali meccanismi ciclo, Colpo grosso alla francese ungo periodo.Questa insomma, non ha visto all'opera i in normali meccanismi ciclo,la del armi ella caduta e il rimbalzo zzo ooluzioni della ripresa. p H Ha a chiamato causa non tanto politica ciampo dellalacaduta ecrisi, ilLe rimbalzo della ripresa. Ha chiamato causa non tanto la del politica mica quanto politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo caldo" nto la politica vera. s soluzioni o luzioni Goldiloc Goldilo Goldilocks c k richiedono di mediare fra il "troppo caldo"Camerun, nei lager delle banane oppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la contesa do", di conciliare gli interessi, e r ressi, essi, ess , di d affront a affrontare a i dissensi ideologici, di placare la contesa sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi. corporation Ambiente, un nuovo rapporto Onu dice: “Non c’è più tempo” le: interessi, dissensi e contese contese che e dive di div diventano ve i ritmi più intensi in tempi di crisi. fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare e i passi adeguati. Li troverà? L’Iraq stanco di guerra rio è certamente E lah speranza èche soluzione trovata non sicostellazione riveli effimera quanto queste sfide la politica ha aranza stentato tro tr trovare ossoluzione vo extrasolare inon ritmi ené i troppo passi adeguati. Li troverà? 'altra speranza: il questo. pianeta "70 Virginis b" èche unala pianeta nella della amente questo. E la speranza e è la trovata non si riveli effimera quanto gine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché era caldo né troppo ranza: il Goldilocks pianeta "70 Virginis gainis b b" èleun pi p pianeta iun a perché extrasolare nella costellazione della altrevoci o, e quindi potenzialmente abitabile. Ma osservazioni del satellite Hipparcos dimostrarono guito che era troppo caldo. Ma forse giorno troveremo il giusto mezzo, sia su erto nel 1996 fu battezzato za z t o Go Goldilocks, oldilock oldiloc k s non era né troppo caldo né troppo questo che su qualche altro pianeta. iGoldilocks potenzialmente abitabile. le l e . Ma a le oss osservazioni s e r del satellite Hipparcos dimostrarono fondi era troppo ld ossu .uMa for fo forse giorno troveremo il giusto mezzo, sia su bancor questocaldo. che eo. q qualche ua a lcrshe un altro pianeta. action!

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Austerity e disoccupazione

La crisi finanziaria uccide il lavoro di Alberto Berrini

el nostro mondo, occidentale e sviluppato, crisi vuol dire innanzitutto disoccupazione. È, infatti, nel mercato del lavoro che il rallentamento economico, oltre che esprimere i suoi più evidenti e devastanti effetti sociali, può essere misurato. In Italia gli ultimi dati in proposito sono a dir poco allarmanti: riguardano le

richieste di ore di cassa integrazione. Queste, dopo quattro mesi di tregua, sono nuovamente esplose a febbraio (82 milioni) con un incremento del 49,1% rispetto al mese di gennaio e del 16,1% a confronto con lo stesso mese del 2011. Il loro eventuale completo utilizzo – ma già tale richiesta da parte delle imprese chiarisce qual è il quadro delle loro aspettative a breve termine – significherebbe altri 480 mila posti di lavoro a rischio. La maggior domanda di utilizzo di questo ammortizzatore sociale riguarda sia la “cassa integrazione ordinaria” – con una durata massima di 12 mesi per le crisi aziendali temporanee – (+23,9% rispetto a gennaio), sia la “straordinaria” – per ristrutturazioni – (+20,4%), sia per quella “in deroga” – per i settori esclusi da quella ordinaria – che decisamente esplode (+134%). Un trend che, protratto nel tempo, metterebbe in discussione la stessa sostenibilità di tale ammortizzatore poiché la “c.i.g. in deroga” – contrariamente alle altre due forme (c.i.g.o. e c.i.g.s.) che sono co-finanziate da contributi di imprese e lavoratori – è totalmente a carico della fiscalità generale. Tutto ciò comporta il rischio di affrontare il problema occupazionale privilegiando il suo aspetto “micro”, come se fosse un problema riguardante fondamentalmente il funzionamento del

TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT

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Col solo rigore l’Europa non riesce a seguire gli Usa nella ripresa occupazionale mercato del lavoro, vale a dire il modo in cui domanda e offerta di tale fattore della produzione si incrociano e quali sono le norme che devono regolare tale incontro. Ma non è così: soprattutto nelle fasi fatte di ampie oscillazioni, l’aspetto “macro”, ossia il trend di crescita dell’economia, diventa un elemento decisivo. Nella fase più critica della recessione 2008/2009 il mercato del lavoro più flessibile al mondo, quello statunitense, non ha difeso meglio, ma semmai peggio, i livelli occupazionali preesistenti. Oggi, al contrario, i migliori risultati sul fronte occupazionale dell’a-

rea Ocse arrivano dagli Usa: a febbraio sono stati creati oltre 220 mila nuovi posti di lavoro (è il terzo mese consecutivo in cui si supera la soglia dei 200 mila). Tale risultato non dipende certo dalle regole differenti che presiedono il mercato del lavoro americano e quello europeo, ma dalle diverse politiche economiche attuate. Da un lato le politiche espansive di Obama, coadiuvate e sostenute dalla Fed. Dall’altro l’austerità europea imposta soprattutto dal governo tedesco. Dunque da questa crisi bisognerebbe trarre un importante insegnamento. Come fin dal 2010 ha sostenuto l’economista di Harward Freeman, «l’anello debole del capitalismo non è il mercato del lavoro, ma il mercato finanziario. Le imperfezioni del mercato del lavoro impongono alla società tutt’al più costi modesti in termini di inefficienza, mentre le imperfezioni del mercato finanziario danneggiano pesantemente la società e chi ci rimette di più sono i lavoratori, non gli artefici del disastro». In una battuta l’economista americano sembra suggerire che in questi ultimi decenni avremmo dovuto regolamentare i mercati finanziari piuttosto che deregolamentare il mercato del lavoro. Ma non sempre la storia, anche quella recente, è maestra di vita.  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 7 |


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31,5 miliardi di dollari di passivo. È il dato registrato dalla bilancia commerciale (esportazioni meno importazioni) cinese a febbraio. Un disavanzo clamoroso, che non si vedeva dal 1998. Oggi quindi la Cina importa molto di più (31,5 miliardi di dollari, appunto) di quanto esporti. La cifra e il trend che rappresenta preoccupano e non poco, perché da almeno due decenni la crescita cinese si accompagna a un surplus di bilancio che ne alimenta investimenti infrastrutturali, commerciali e finanziari in un circolo virtuoso di cui hanno beneficiato, seppure in misura variabile, tanto le economie consolidate quanto i mercati emergenti (tra cui le economie africane), che hanno basato la propria espansione anche sugli investimenti di Pechino. La paura, quindi, è che il disavanzo finisca per drenare risorse sia negli investimenti commerciali sia in quelli del mercato dei bond sovrani. Ovvero che Pechino smetta definitivamente di acquistare il debito dei Paesi occidentali (in particolar modo quello degli Usa). Il deficit commerciale, inoltre, porta con sé un’altra conseguenza: secondo la Banca centrale cinese, infatti, proprio l’ultimo disavanzo dimostrerebbe la sostanziale attendibilità dell’attuale tasso di cambio con il dollaro. Come a dire che lo yuan avrebbe raggiunto un giusto equilibrio e non dovrebbe più essere ulteriormente apprezzato. Un’ipotesi che creerà nuova tensione con Washington che tuttora ritiene la valuta cinese sottovalutata per ottenere ingiusti vantaggi commerciali. A preoccupare i mercati, inoltre, c’è la revisione al ribasso della crescita del Dragone che, quest’anno, dovrebbe vedere il Pil aumentare del 7,5%, un dato poco confortante per un Paese che negli ultimi vent’anni ha spesso centrato un’espansione periodica prossima o superiore alla doppia cifra. [M.CAV.]

[Navi ferme nel porto in attesa di carico e scarico nell’Hutchison Container Terminal, di proprietà di Hutchison Whampoa Limited: il più grande terminal container a Hong Kong e uno dei più grandi del mondo. La maggior parte delle spedizioni cinesi è effettuata attraverso questo terminale].

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JUSTIN GUARIGLIA / REDUX / CONTRASTO

Import/export La bilancia cinese in rosso dopo 14 anni

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Rossa come una manifestazione dei metalmeccanici della Fiom. Ma dove il rosso non è quello delle bandiere, ma quello dei turbanti e delle tuniche dei facchini delle stazioni ferroviarie indiane, che hanno incrociato le braccia a Delhi il 13 marzo scorso. Massiccia l’adesione dei portabagagli, che hanno chiesto salari migliori, abitazioni, strutture mediche e un sistema pensionistico. I facchini non sono i soli a scioperare in India: le strade e le piazze del subcontinente sono occupate da manifestazioni sempre più spesso: come per lo sciopero generale che il 28 febbraio ha bloccato il Paese per 24 ore. Indetto da 11 sindacati, non soltanto di opposizione ma anche contigui al Partito del congresso attualmente al governo, ha raccolto l’adesione di più di cinquemila sigle sindacali. Milioni di lavoratori hanno chiesto una rete di sicurezza sociale pubblica, attraverso la creazione di un fondo nazionale di previdenza, l’applicazione delle leggi fondamentali del lavoro e una rigorosa azione punitiva contro le violazioni a queste leggi. Oltre all’adeguamento degli stipendi, che dovrebbero almeno seguire il galoppare dell’inflazione. Lo sciopero generale ha paralizzato soprattutto i settori bancariofinanziario e i trasporti; ha coinvolto le donne e gli studenti. Hanno scioperato anche i tassisti di Bangalore che negli scorsi anni erano scesi in piazza contro l’aumento dei prezzi dei carburanti, accompagnato dalla riduzione dei sussidi per la benzina, e in quelle manifestazioni erano riusciti a coinvolgere anche gli addetti delle società sviluppatrici di software di Bangalore. Le rivendicazioni riguardano anche la riduzione delle diseguaglianze nella società indiana, considerata la meno mobile al mondo, e la lotta alla corruzione, sull’onda del movimento promosso da Anna Hazare, il 74enne attivista politico indiano. [PA.BAI.]

[Facchini indiani trasportano un passeggero e il suo bagaglio su un carro a mano tirato in una stazione ferroviaria di Kolkata].

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REUTERS / RUPAK DE CHOWDHURI

Scioperi in India La grande proletaria si è mossa

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Una rondine non fa primavera e i circoli virtuosi – si sa – non si creano in un giorno solo. Eppure la notizia che arriva dalla Val di Fiemme è incoraggiante. I boschi di questo pezzo di Trentino orientale hanno una peculiarità. Non esattamente nascosta, ma di certo poco nota: producono legname di altissimo livello. Lo sapeva bene già trecento anni fa Antonio Stradivari: il liutaio cremonese girava tra gli alberi della valle per trovare i più adatti a essere trasformati nei suoi celebri violini. “Legno da risonanza”, lo chiamano i tecnici. Una piccola potenziale miniera d’oro, che però non sempre è stata sfruttata adeguatamente, soprattutto se i proprietari forestali marciano divisi alla ricerca degli acquirenti. Da qui l’idea, trasformata in realtà dal Servizio Foreste e Fauna della Provincia autonoma di Trento e dalla Camera di Commercio provinciale: vendere tutti i tronchi di pregio in un colpo solo ai migliori offerenti. Attraverso un’unica asta, con offerte scritte e segrete. Una soluzione inedita in Italia, ma che assicura vantaggi per tutti: semplifica la vita dei potenziali clienti, premia le eccellenze della nostra produzione forestale, assicura una fonte di reddito alla popolazione della valle, aiuta una tutela attiva del territorio contro erosione e cemento, verificata anche grazie alla scelta di certificare il legno secondo lo schema Pefc (utilizzato nel 74% dei boschi provinciali). «In Trentino vogliamo valorizzare il nostro legno perché non consideriamo questo settore né marginale né improduttivo», spiega Francesco Dellagiacoma, funzionario forestale della provincia di Trento. «In questo modo, le imprese provinciali possono usare prodotti locali, anziché importarlo da chissà dove. Solo così si può dare reale concretezza al concetto di sviluppo sostenibile». E magari si regala a un nuovo Stradivari la possibilità di costruire un violino che si ritaglierà un posto nella storia della musica. [EM.IS.] [Uno dei boschi dal quale si ricava legname di pregio. La sua gestione sostenibile è una tutela per il territorio e fonte di introito per le comunità locali.].

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ANDREA PROIETTI

Difesa del territorio Un’asta unica salverà i boschi?

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a cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Valentina Neri, Alberto Nigro ed Elisabetta Tramonto

Economia solare Tecnologie che abbassano i costi di produzione, crollo del prezzo del silicio, concorrenza cinese Il fotovoltaico diventa più conveniente, ma alcune aziende entrano in crisi

Il futuro è adesso > 16 Energia dal Sole. Quasi quasi conviene > 18 Balle solari > 20 Italia: la via d’uscita si chiama innovazione > 22 Il Fotovoltaico convince, ma restano problemi aperti > 24

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Solare, il futuro è adesso

Ricerca e sviluppo L’Asia punta sulle rinnovabili

di Andrea Barolini

Volano gli investimenti nelle fonti di energia pulita: +40% nel 2010, 9 miliardi di dollari. Al primo posto il solare

elle fotografie riprese dall’alto l’impianto fotovoltaico di Gemasolar, a Siviglia, inganna. Potrebbero, infatti, sembrare piccoli i 2.650 specchi che compongono una delle centrali più moderne al mondo. Invece ciascuno di essi misura ben 110 metri quadrati, disposti in cerchi concentrici e capaci di inseguire il Sole nel corso della giornata, riflettendo la luce verso il vertice di una torre centrale alta 140 metri. Una concentrazione di raggi che è in grado di portare la temperatura a 500°, calore che poi viene “stoccato” in una riserva di sali fusi (un misto di nitrato di potassio e nitrato di sodio). L’alta temperatura di tale composto consente di produrre a sua volta vapore acqueo, che aziona una turbina generando energia elettrica.

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L’impianto avviato in Spagna è ispirato alla centrale solare a concentrazione di Priolo Gargallo in Sicilia (vedi BOX a pag 23) – primo prototipo al mondo di solare termodinamico di seconda generazione – ma sfrutta una tecnologia più evoluta: quella “a torre centrale”. È il primo impianto di tali dimensioni, che a regime può garantire le necessità di 25 mila famiglie. E che, soprattutto, risolve uno dei principali problemi dei sistemi fotovoltaici (nonché una delle maggiori critiche dei detrattori): l’incapacità di generare elettricità nelle fasi di non-irraggiamento. Gemasolar, infatti, “gira” 6.570 ore sulle 8.769 totali di un anno. E può dunque produrre energia anche la sera, nel momento cioè del picco massimo di domanda. WWW.ENERZINE.COM

Celle ad alta resa, film sottili, tegole fotovoltaiche, sistemi di stoccaggio dell’energia. Il solare è una tecnologia pronta per essere sfruttata al massimo, grazie anche al calo dei costi di produzione

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Un obiettivo che sarà presto raggiunto anche in Corsica. L‘università dell’isola e Helion (gruppo Areva), con il sostegno della Collettività Territoriale, hanno inaugurato a gennaio la piattaforma di ricerca e stoccaggio di energia solare Myrte (Mission hydrogène renouvelable pour l’intégration au réseau électrique). Una centrale con potenza installata pari a 560 kWp, che si estende per 3.700 metri quadrati, collegata a un sistema di stoccaggio a idrogeno, che permette di gestire le fluttuazioni di produzione di energia. Attraverso l’elettrolisi si trasforma, infatti, l’energia in idrogeno e ossigeno nel corso delle ore di basso consumo. Una scelta vantaggiosa anche economicamente: il budget di 21 milioni di euro permetterà di produrre 700 MWh all’anno (quando sarà a regime, entro il 2015), capace di rispondere alla domanda di circa 200 famiglie.

A caccia di nuove tecnologie È sulla base di realtà come queste che l’Agenzia internazionale dell’Energia (nel rapporto Solar Energy Perspectives, del dicembre 2011) ha indicato il solare come una tecnologia in grado di assicurare entro il 2050 la metà della domanda mondiale (ci sranno nove miliardi di abitanti). Ciò grazie, anche e soprattutto, alle nuove scoperte: quelle già pronte per la diffusione su larga scala e quelle sperimentate in laboratorio. L’elenco è enorme: c’è chi ha cercato di puntare al miglioramento dell’efficienza delle celle fotovoltaiche (della loro capacità di trasformare l’energia solare in energia elettrica), come le recenti scoperte di un gruppo di ricercatori americani e giapponesi, che, rispettivamente, hanno raggiunto (in laboratorio) rendimenti pari al 40,8% e al 35,8% (contro una media del 15-18% tra quelle normalmente in commercio). Ciò grazie a semiconduttori a base di arseniuro di gallio-indio e germanio capaci di concentrare la luce. Similmente il laboratorio di Fisica di Cambridge a febbraio ha annunciato di aver raggiunto il 44%, sulla base di supporti definiti commercializzabili, criticati però perchè i materiali non sono interamente riciclabili e particolarmente costosi. Proprio per abbassare i costi di produzione, soprattutto in un’ottica più commerciale, numerosi ricercatori si stanno concentrando da tempo sui film: più sottili e basati su plastiche anziché sul silicio (con cui è costruita la maggior parte delle attuali celle commercializzate), con componenti metalliche necessarie per veicolare l’energia. In laboratorio tali pellicole hanno raggiunto rendimenti attorno al 19%, e al 9% per quelle commercializzabili.

Nonostante la crisi, gli investimenti in ricerca e sviluppo nel comparto delle energie rinnovabili risultano in forte aumento a livello mondiale. Lo conferma il rapporto Global Trends in Renewable Energy Investment 2011, redatto dall’Unep (il programma ambientale delle Nazioni Unite) insieme all’università di Francoforte e all’agenzia di stampa Bloomberg, che incorona i Paesi in via di sviluppo come quelli che maggiormente hanno contribuito a tale crescita. In totale, nel 2010, i finanziamenti alla ricerca sono cresciuti del 40% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 9 miliardi di dollari. Sono soprattutto i capitali pubblici ad essere aumentati fortemente (più che raddoppiati rispetto al 2009, ad oltre 5 miliardi di dollari). Quelli di provenienza privata, al contrario, risultano in aumento solo in Cina, India e Stati Uniti; quasi stagnanti in Europa e in netto calo nel resto dell’Asia (dove però l’apporto statale cresce esponenzialmente). È il solare ad aver ricevuto la quota maggiore di finanziamenti, pari a 3,6 miliardi. Ma spiccano anche la crescita dei capitali investiti nella ricerca sui controversi biofuels (2,3 miliardi, +100% rispetto al 2009) e nell’eolico (1,3 miliardi, +92%). Meno “interessanti” per gli investitori sono risultate INVESTIMENTI PUBBLICI E PRIVATI IN RICERCA E SVILUPPO NELLE RINNOVABILI: DOMINA L’ASIA [dati 2010 - in miliardi di dollari e crescita sul 2009]

CRESCONO GLI INVESTIMENTI IN RICERCA E SVILUPPO NEL SETTORE DELLE RINNOVABILI -16%

6%

10%

11%

[2004-2010 - in miliardi di dollari]

14%

40% 6

5

2004

5

5

4

4

2005

2006

2007

Investimenti privati

2008

2009

Europa

-25% 2591%

0.9 1.1

-2% -2%

USA 0.5 1.0 Cina 0.13 No data

25% 3%

invece le biomasse (600 milioni) e la geotermia (430 milioni). Quanto agli investimenti complessivi nel settore (non solo nella ricerca), il 2010 ha costituito infatti l’anno del “sorpasso” delle economie emergenti rispetto a quelle occidentali, che hanno sborsato 72 miliardi di dollari, contro i 70 dei Paesi più ricchi. Complessivamente i finanziamenti hanno raggiunto un livello record due anni fa, toccando i 211 miliardi di dollari: +32% rispetto ai 160 miliardi registrati nel 2009 e, soprattutto, +540% in più rispetto al 2004. INVESTIMENTI IN RICERCA E SVILUPPO NELLE RINNOVABILI: SOLARE AL PRIMO POSTO [dati 2010 - in miliardi di dollari e crescita sul 2009] Crescita

2.1 1.5

Solare Biocarburanti

0.3 2.0

Vento

0.5 0.8

8% 100% 92%

21% No data

0.01 0.1 AMER (exc. USA & Brasile) 0.02 0.1 India 0.04 0.04 Centro Est e Africa 0.004 0.001 Brasile

Investimenti privati

2010

Investimenti pubblici

Crescita

1.7 2.9

ASOC (exc. Cina & India)

9

Biomassa & w-t-e

0.3 0.3

18%

Geotermico

0.03 0.4

56%

-16% 8% -4% 3% 50% 10% 0% 8%

Investimenti pubblici

Valori più bassi, dunque, rispetto alle celle classiche, ma che offrono il vantaggio di abbattere i costi e la possibilità di essere installate pressoché ovunque. Un’altra innovazione importante è arrivata recentemente dall’Italia: la società Tegolasolare ha commercializzato delle tegole in terracotta che integrano celle fotovoltaiche. Con 40 metri quadri di tetto si può ottenere una potenza di 3 kWh. La francese Wysips propone, invece, delle finestre solari, che catturano l’energia nel corso del-

Marino

0.01 0.2

Piccole centrali idroelettriche

0.03 0.1

Investimenti privati

la giornata e la mettono a disposizione attraverso prese di corrente allacciate direttamente agli elettrodomestici. Un mezzo nuovo per sviluppare il fotovoltaico arriva da una collaborazione tra il Massachussets Institute of Technology (Mit) e il Politecnico di Losanna (Epfl). Utilizzando la proteina per la fotosintesi nelle piante il team guidato da Andreas Mershin ha sviluppato un sistema capace di produrre energia elettrica (anche il laboratorio Chose di Roma aveva negli anni

135% 60%

Investimenti pubblici

scorsi individuato nuove possibilità legate ai composti organici). La struttura ideata è una sorta di “foresta” di nanofili di ossido di zinco e una nanostruttura spugnosa di biossido di titanio: i nanofili sono i “cavi” nei quali passano gli elettroni. Secondo l’autore il sistema è talmente semplificato che qualunque laboratorio di scienze di un’università sarebbe in grado di produrlo. E, se si raggiungesse una buona resa, il costo sarebbe bassissimo perché gli “ingredienti” sarebbero praticamente gratis.  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 17 |


dossier

| economia solare |

| dossier | economia solare |

(Gme), in media 7 centesimi, si può dire che il fotovoltaico prodotto nel Sud Italia è quasi competitivo.

Energia dal Sole Quasi quasi conviene

Vantaggioso per piccoli impianti

di Alberto Nigro

| 18 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

dic ’11 mar ’12

dic ’10

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dic ’04

dic ’03

Secondo l’Epia (European Photovoltaic Industry Association) in Italia si raggiungerà la grid parity dal 2014. Il colosso cinese del fotovoltaico Suntech prevede di raggiungerla nel 2015. Abbiamo provato a fare dei calcoli, con l’aiuto di Guido Agostinelli, managing partner di Syntegra Solar. Risultato: nel Sud Italia il sola-

5,5 5,0 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0

dic ’02

Aspettando la grid parity

IL CROLLO DEI PREZZI DEI MODULI FOTOVOLTAICI (2001-2012)

dic ’01

P

re ha sfiorato la grid parity anche senza incentivi. Prendiamo un impianto da 100 kWp di potenza installata (una dimensione adatta a coprire il tetto di una fabbrica che voglia produrre energia per i propri processi industriali). Il costo di installazione si aggira attorno a 2.000 euro per kW, ma, con i più economici moduli provenienti dalla Cina, può scendere a 1.400 euro per kW. Questo si traduce, per un impianto di 100 kWp, in un costo di installazione pari a 140 mila euro, a cui naturalmente va sommato il tasso d’interesse relativo all’investimento. «I tassi applicati dalle banche possono variare di molto anche a seconda del periodo in cui viene chiesto il finanziamento», spiega Guido Agostinelli. «Abbiamo considerato diverse ipotesi: un minimo del 4,5%, che oggi non si trova sul mercato ma che fino a due anni fa era possibile, grazie a finanziamenti agevolati per il fotovoltaico, uno medio dell’8,5% e uno

Prezzo per Watt di picco

rodurre energia dal Sole allo stesso costo (o più basso) di quella acquistata dalla rete elettrica. Ancora non ci siamo, ma manca poco. Per i piccoli impianti e per l’autoconsumo pochissimo. Parliamo della grid parity, cioè la parità tra il prezzo di un chilowattora (kWh) prodotto, in questo caso, dal fotovoltaico e quello di un kWh acquistato dalla rete elettrica (ossia prodotto dal mix di fonti energetiche usate). Un risultato che, fino a qualche anno fa, era impensabile, ma il calo dei prezzi dei pannelli fotovoltaici, avvenuto negli ultimi mesi, ha reso questa tecnologia competitiva con le tradizionali fonti di energia. Nell’ultimo anno i prezzi dei moduli fotovoltaici in silicio cristallino si sono dimezzati: si è passati da 1,80 dollari per watt di inizio 2011 a 0,90 di fine anno. E, secondo Green Tech Media Research, per i prossimi due anni continueranno a scendere. Merito del calo del prezzo del silicio, della sovrapproduzione rispetto alla domanda, dell’aumento della concorrenza soprattutto dalla Cina e di una tecnologia che ha reso più efficienti i processi produttivi.

massimo del 10%». Abbiamo quindi considerato, in base all’insolazione, la produzione media di energia in Italia (1.150 kWh annui per kWp installati al Nord, 1.350 al Sud, 1.500 in Sicilia); la vita media di un pannello (25 anni); un rendimento medio (approssimato per l’intera vita dell’impianto al 75%) e abbiamo ipotizzato un impianto sul tetto di un grande edificio (se fosse a terra i costi sarebbero incrementati dal canone d’affitto del terreno), senza includere eventuali spese aggiuntive derivanti da modifiche strutturali, spese extra d’installazione o manutenzione straordinaria dei pannelli. Dividendo la cifra dell’investimento (comprensivo dei tassi d’interesse, ma non di tasse e crediti d’imposta), per i watt prodotti, si ottiene un prezzo per kWh tra i 6 e i 12 centesimi in Sicilia; tra i 7 e i 13 centesimi nel Sud Italia e tra gli 8 e i 15 centesimi nel Nord Italia (usando Simple Lcoe Model, cioè il costo di produzione costante dell’energia sull’intera vita operativa dell’impianto). Considerando che oggi acquistare in rete 1 kWh di energia costa, secondo i dati del Gestore dei mercati energetici NPD SOLARBUZZ RETAIL MODULE PRICE INDEX

Tra il 2014 e il 2015 la produzione di energia fotovoltaica potrebbe raggiungere l’efficienza economica. Per un piccolo impianto la grid parity è più vicina

Ma bisogna distinguere tra piccoli e grandi impianti. «C’è una differenza enorme tra il punto di vista di una famiglia che mette i pannelli sul tetto di casa e quello di un’azienda o un grande investitore che vedono il fotovoltaico come un business da cui trarre un certo margine di guadagno», commenta Alessandro Clerici, presidente del Gruppo di studio di Risorse energetiche e tecnologie del Word Energy Council. «Nel primo caso l’efficienza economica è molto più facile da raggiungere – continua Clerici – perché una famiglia consumerà tutta o quasi l’energia che produce. In questo caso per verificare la convenienza dell’investimento bisogna confrontare la spesa sostenuta per realizzare l’impianto (con tanto di interessi da pagare alla banca se si chiede un prestito) con il risparmio che si ottiene non pagando l’elettricità, che costa circa 22 centesimi per kWh. Nel caso di un grande impianto, invece, l’investitore dovrà decidere quale ritorno sul capitale vuole, cioè a quale prezzo vendere l’energia prodotta perché l’investimento sia remunerativo. Un prezzo deciso sulla Borsa dell’energia, che oggi viaggia sugli 8 centesimi a kWh. Inoltre un grande impianto ha dei costi aggiuntivi che la singola famiglia non deve sostenere: di manutenzione, che in un impianto da 1 MWp incidono tra i 2 e i 4 centesimi a kWh; ma anche i costi per il developer, un agente locale che si occupa di ottenere permessi e autorizzazioni; quelli per l’acquisto o l’affitto del terreno dove posizionare i pannelli; quelli di assicurazione e di allacciamento alla rete. Non solo, per valutare correttamente la grid parity occorre aggiungere al costo/prezzo di produzione anche i costi addizionali causati dalla volatilità e dall’intermittenza di questa fonte energetica; le spese per la necessaria capacità di riserva da fonti convenzionali; i costi di ampliamento/controllo/servizio della rete dalla quale si prende energia quando piove o di notte e per gli oneri di bilanciamento. Si può dire che la grid parity per i grandi impianti è ancora lontana». 

QUANTA ENERGIA PER PRODURRE UN PANNELLO? Un metro quadro di pannello fotovoltaico genera ogni anno circa 187 kWh, ma quanta energia serve per produrlo? Fino a 10 anni fa ci volevano 12 anni perché un pannello generasse una quantità di energia pari a quella usata per produrlo (si definisce tempo di ritorno energetico: energy payback time). Nel 2010 erano sufficienti in media 2 anni nel 2010 e qualche mese fa, Rec, azienda che opera nel fotovoltaico, ha annunciato che, grazie al riciclo e al miglioramento del processo, il tempo di ritorno energetico di un pannello in silicio si è ridotto ad un solo anno. L’energy payback time è un parametro fondamentale da considerare nella valutazione di una nuova tecnologia. Ma come ha fatto a ridursi così tanto? Gli investimenti nella ricerca hanno migliorato l’efficienza dei pannelli, gl’incentivi statali hanno aumentato la domanda e, di conseguenza, abbassato i costi di estrazione e produzione delle materie prime necessarie alla costruzione dei pannelli. Nella tabella che segue sono stati riportati i risultati di uno studio recente sui tempi di ritorno energetico dei pannelli solari più diffusi sul mercato. A Rec va il merito di averli dimezzati ulteriormente e averli resi competitivi con le tecnologie di sfruttamento delle fonti fossili. Quest’ultime hanno un tempo di ritorno di soli 6 mesi.

RICICLABILI FINO AL 90% I primi pannelli fotovoltaici sono stati messi in opera nei primi anni ’90; la vita media di un pannello è di 20-25 anni, ciò vuol dire che cominciamo a trovarci davanti ad un nuovo rifiuto da smaltire. Solo l’anno scorso in Italia sono stati “buttati” più di 50 mila pannelli. Tra vent’anni ci troveremo montagne di impianti fotovoltaici in disuso. Sembra un problema e invece, anche nel fotovoltaico, riciclare vuol dire risparmiare e, in particolare, competere con le fonti fossili. Si possono, infatti, ricavare silicio, vetro, alluminio e plastica, recuperando fino al 90% della materia prima. E, reinserendo alcuni materiali nel processo produttivo, si risparmiano soldi ed energia, abbassando i costi di produzione degli impianti. A scanso d’equivoci, il riciclo è diventato legge. Stando al IV conto energia si prevede che, entro il 30 giungo 2012, le aziende produttrici debbano aderire ad un sistema o a un consorzio che assicuri il riciclo dei pannelli fotovoltaici. Chi non si adeguerà alla normativa non potrà permettere ai propri clienti di usufruire degli incentivi statali ed europei che rendono l’investimento vantaggioso. A vederci lungo è stata PV Cycle, un’associazione senza fini di lucro con sede a Bruxelles, nata nel 2007, che oggi convoglia più di duecento enti, commercianti e produttori legati al solare. In Italia, con un po’ di ritardo, è arrivato Ecolight. È il consorzio nazionale per la gestione dei rifiuti; si propone di garantire il ritiro dei pannelli solari rotti o vecchi e il loro corretto trattamento, il loro recupero o il riciclaggio e lo smaltimento delle sostanze non riutilizzabili. Grazie alla produzione di energia pulita e alla possibilità d’essere riciclati quasi interamente, i pannelli solari godono di ottimi incentivi, scendono ancora di prezzo, e si confermano un investimento sicuro sia dal punto di vista economico che dell’impatto ambientale che ne consegue. A.N.

LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI AVVIA IL FONDO KYOTO È partita a metà marzo l’iniziativa della Cassa Depositi e Prestiti per stimolare l’avvio di progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra: investimenti per l’efficienza energetica; piccoli impianti ad alta efficienza per la produzione di elettricità, calore e freddo; impiego di fonti rinnovabili in impianti di piccola taglia, gestione sostenibile delle foreste. Un fondo da 600 milioni di euro (in tre cicli da 200 milioni), prestiti agevolati (tasso fisso dello 0,50%) per coprire fino al 70% dell’intervento (90% in caso di soggetti pubblici), che potrà essere agevolato in un periodo di tempo tra i 3 e i 6 anni. Il tutto con possibilità di cumulo con gli incentivi garantiti dal Conto Energia e con le detrazioni del 55% per gli interventi di risparmio energetico. Potranno usufruirne enti pubblici, imprese, società di servizi energetici (le Esco), condomini, ma anche privati cittadini. La scadenza per le domande: metà luglio prossimo. www.cassaddpp.it. Em. Is.

| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 19 |


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Balle solari

ITALIA: SE IL DOWNGRADE SI ABBATTE SULLE RINNOVABILI Quali sono i Paesi che riservano più opportunità per chi vuole investire nelle rinnovabili? Risponde il rapporto Renewable energy country attractiveness indices, che Ernst & Young pubblica ogni tre mesi con la classifica degli Stati di tutto il mondo. Nell’ultima uscita, a febbraio, l’Italia ha perso una posizione dal quinto al sesto posto. Mentre nel 2011 nel Belpaese gli investimenti in energie pulite (soprattutto nel solare) hanno raggiunto livelli record, per il 2012 le previsioni non sono altrettanto ottimiste. Colpa della crisi dell’Eurozona, della concorrenza asiatica e dei downgrade delle agenzie di rating. V.N.

I GUADAGNI DEI PETROLIERI CONTINUANO A CORRERE Le tragiche immagini della marea nera nel golfo del Messico avranno fatto ipotizzare a molti che il disastro ambientale e umano della piattaforma Deepwater Horizon fosse destinato a tradursi anche in un disastro finanziario per la British Petroleum. Ma, dopo il rosso da quasi 5 miliardi di dollari nel 2010, nell’anno appena trascorso il colosso petrolifero si è a dir poco ripreso: 23,9 miliardi di utile, ricavi in salita e un +14% dei dividendi. Non è mancato nemmeno il bonus da 1,6 milioni di dollari per l’amministratore delegato Bob Dudley. La BP è al quarto posto della Global 500, la classifica dei più grandi colossi aziendali compilata ogni anno dalla rivista Fortune. Nelle prime dieci posizioni svettano Shell, ExxonMobil, Sinopec Group, China National Petroleum e Chevron. Stando a quanto riporta il blog Climate Progress, per i giganti del petrolio quello appena trascorso è stato un anno particolarmente vantaggioso. Per Chevron e Shell, ad esempio, a fronte di un -3% della produzione, gli utili hanno fatto un balzo in avanti rispettivamente del 42 e del 54% in un anno. Per la ExxonMobil la produzione è rimasta quasi ferma (da 4,4 a 4,5 milioni di barili al giorno), ma i profitti galoppano, con 10 miliardi in più rispetto al 2010. V.N.

| 20 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

“La mano invisibile” che, secondo Adam Smith, dovrebbe “regolare il mercato” è in realtà una mano schiaffeggiatrice nei casi delle società tedesche che hanno delocalizzato per anni nel Sudest asiatico e ora si trovano a fronteggiare i prodotti dei Paesi emergenti in casa propria. E si trovano anche a misurarsi con il paradosso della produzione globalizzata: i posti di lavoro vanno nel terzo mondo, la finanziarizzazione delle rendite nel primo mondo. Come dice Phil Schneider, capo della società di consulenza Deloitte Consulting: «La verità scomoda per l’Occidente è che l’espansione delle energie rinnovabili nei Paesi sviluppati, al fine di ridurre le emissioni di carbonio, può essere una vera e propria miniera d’oro per le nazioni più povere».

Paese Usa India Cina Italia Spagna Australia Giappone Germania Marocco Francia Grecia Tunisia Portogallo Corea del Sud Israele Sudafrica Brasile Messico Egitto Turchia

La Cina si riconferma cioè la “fabbrica del mondo”, ma per i grandi investitori resta irrinunciabile un “pacchetto” nel fotovoltaico: come l’acquisto congiunto da parte del gigante di internet Google e del fondo di private equity Kkr di quattro parchi solari a Sacramento, in California. Affare che non è sfuggito nemmeno alla francese Total, che ha comprato il 60% della statunitense SunPower Corp. Ma soprattutto, come ha fatto la compagnia petrolifera britannica Bp, che ha annunciato lo scorso dicembre, dopo 40 anni, la fine della produzione nel settore fotovoltaico, per le difficoltà di stare al passo con l’innovazione tecnologica, a vantaggio dello sviluppo dei grandi impianti solari.

Solare a concentrazione

L’invisibile mano schiaffeggiatrice

1 2 3 4 4 6 7 7 9 9 11 12 12 12 15 16 16 16 19 20

Fotovoltaico

S

tere sul mercato pannelli fotovoltaici di buona resa e a prezzi bassissimi. Tanto bassi che dagli Stati Uniti, SolarWorld, appoggiata dai maggiori produttori statunitensi del solare, ha lanciato una campagna per imporre i dazi sull’importazione del fotovoltaico made in China, accusato di fare dumping – cioè di vendere sottocosto – grazie a “un gran numero di sussidi e trattamenti preferenziali” approntati dal governo cinese. Frank Asbeck, amministratore delegato di SolarWorld prevede di avviare un procedimento antidumping anche in Europa.

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Solare (totale)

olon Se, la prima società tedesca di impianti solari ad essere quotata in Borsa 13 anni fa, dopo aver avviato nel dicembre scorso la procedura di insolvenza, è stata acquisita a marzo dalla Microsol società produttrice di celle di silicio con sede negli Emirati Arabi Uniti. Non è l’unico gigante tedesco del solare ad essere in crisi: Q-Cell è alla ricerca di un acquirente, mentre Sma Solar starebbe per licenziare mille addetti. Quali sono i motivi di questa contrazione nel settore del fotovoltaico tedesco, un comparto all’avanguardia in

Europa e così lanciato da far pensare che il Sole non dovesse mai tramontare su di esso? Il dito viene puntato naturalmente sulla più generale crisi che attraversa l’economia mondiale, ma non solo. Le previsioni di sviluppo sono offuscate anche dal programma di massicci tagli alle sovvenzioni che il governo tedesco ha operato al fotovoltaico, a vantaggio dei grandi impianti eolici in mare. D’altronde, sostiene il governo della cancelliera Merkel, gli incentivi sono attivi dal 1991 e i risultati sono stati conseguiti, quindi è ora di cambiare. Ma i problemi per le imprese tedesche e anche per quelle statunitensi, colpite da un’ondata di fallimenti (Solyndra, Evergreen Solar, ecc.), nascerebbero soprattutto dalla concorrenza cinese, ormai in grado di immet-

FONTE: ERNST & YOUNG - RENEWABLE ENERGY COUNTRY ATTRACTIVENESS INDICES - FEBRUARY 2012 ISSUE 32

L’industria del fotovoltaico è in difficoltà per i tagli agli incentivi e per la concorrenza cinese. Intanto l’Italia compie una nuova capovolta nella programmazione delle politiche industriali: dichiara di voler puntare sui rigassificatori, la produzione petrolifera nazionale e il carbone pulito

ERNST & YOUNG: ATTRATTIVITÀ PER GLI INVESTIMENTI NEL SOLARE Posizione 2010

di Paola Baiocchi

Posizione 2011

dossier

74 65 61 57 55 53 52 51 49 49 46 45 44 44 44 43 42 42 41 37

74 69 66 63 53 53 61 70 47 56 51 44 47 50 46 41 46 43 39 40

75 54 46 42 60 54 27 0 54 29 33 48 36 29 38 50 32 40 45 28

Per l’Italia trivellazioni, carbone e rigassificatori Anche l’Italia è stata oggetto di attenzioni speculative per i suoi “conti energia”: i programmi di sovvenzione per le rinnovabili, che hanno contribuito a farci diventare la prima nazione al mondo per potenza installata nel 2011, anche se con una serie di punti oscuri. Come denunciato da Assosolare, l’associazione che riunisce più di 80 produttori italiani: nel settore delle rinnovabili le banche italiane sarebbero state battute negli investimenti da quelle straniere, 800 contro 4.200. Mentre il 31% degli incentivi sarebbe andato alle “fonti assimilabili” una di quelle formulette all’italiana che permette di fi-

LA BATTERIA DELLA DISCORDIA Nei mesi scorsi si è consumato uno “scontro”, perlopiù a mezzo stampa e nelle commissioni parlamentari, tra Assoelettrica (Enel in testa), l’associazione nazionale delle imprese elettriche, e Terna (Rete Elettrica Nazionale SpA), ente per via indiretta di dipendenza pubblica, responsabile in Italia della trasmissione dell’energia elettrica sulla rete ad alta e altissima tensione. L’accusa a Terna è di travalicare il proprio mandato, che le vieta di produrre energia, e di alterare il mercato elettrico realizzando impianti di accumulo di elettricità (batterie). A sua difesa Terna oppone il fatto che lo stesso mandato le richiede di gestire la rete e adoperarsi per evitare qualsiasi indisponibilità di energia al sistema Paese e sostiene che accumulare energia in fasi di sovrapproduzione per restituirla nei casi di bisogno non equivale a produrla. Non solo: secondo Terna nel 2010, a causa dell’assenza di accumuli, gli impianti eolici non hanno potuto generare energia per 470 milioni di kWh, “che sono stati egualmente pagati ai produttori e i cui costi sono finiti in bolletta. Con la realizzazione di batterie sarebbe stato possibile evitare la mancata produzione degli impianti a fonti intermittenti per circa 230 milioni di kWh all’anno e fornire riserva per circa 410 milioni di kWh all’anno”. Il “dibattito” è oggi sopito, ma non spento, da un decreto legislativo (n° 93 del 1° giugno 2011) che appoggerebbe la posizione di Terna, ribadendo che “il gestore del sistema di trasmissione nazionale può realizzare e gestire sistemi di accumulo diffusi di energia elettrica mediante batterie”.

nanziare con i soldi pubblici gli inceneritori dove si brucia la plastica. L’annuncio del ministro dello Sviluppo economico, Passera, di voler riformare gli incentivi per le rinnovabili ha gettato nella disperazione più totale gli operatori che hanno investito in ricerca e produzione e ora si trovano con gli ordini bloccati dall’incertezza delle scelte di politica industriale: l’Italia, dice Passera, deve puntare decisamente verso i rigassificatori e aumentare la produzione petrolifera nazionale. E per sovrappiù il ministro per l’Ambiente Clini ha affermato di credere nel carbone pulito. Noi invece crediamo che abbiano sbagliato secolo.  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 21 |


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Italia: la via d’uscita si chiama innovazione

VALLE D’AOSTA 1.067 | 13,5 MW

PIEMONTE 24.434 | 1079 MW

LOMBARDIA 49.334 | 1337,4 MW TRENTINO ALTO ADIGE 14.926 | 297,7 MW FRIULI VENEZIA GIULIA 17.482 | 300,6 MW VENETO 45.962 | 1171,5 MW EMILIA ROMAGNA 31.567 | 1277,2 MW

di Valentina Neri

MARCHE 1.2171 | 789,4 MW ABRUZZO 7.800 | 463,5 MW MOLISE 1.635 | 119,4 MW

LIGURIA 3.220 | 53,9 MW TOSCANA 17.795 | 488 MW

Incentivi troppo alti, prima, e tolti troppo bruscamente, oggi. In Italia a rischio 10 mila posti di lavoro nel fotovoltaico. Serve una politica coordinata per la ricerca IL SOLARE ITALIANO, DALL’UMBRIA AL DESERTO La Angelantoni all’inizio produceva impianti di raffreddamento. Ma Gianluigi Angelantoni, che l’ha ereditata dal padre, ha deciso di puntare sul Sole. Grazie a una tecnologia messa a punto dall’Enea, si è lanciato sulla produzione di tubi per la produzione di energia solare a concentrazione tramite i sali fusi. Ora è vice presidente del Kyoto Club e la controllata del gruppo, Archimede Solar Energy, ha attirato l’attenzione di una multinazionale come Siemens, che ha acquisito una partecipazione del 45%. A metà dello scorso settembre è sbarcata a Massa Martana (in provincia di Perugia) con uno stabilimento che, in un paese di meno di quattromila abitanti, darà lavoro a circa 200 persone entro il 2014. Archimede Solar Energy è anche uno dei partecipanti a Desertec, un progetto nato nel 2003, che mira a disseminare una rete di minicentrali in Nordafrica per convogliare l’energia del Sole del deserto. Gli ambiziosi obiettivi del progetto sono da una parte soddisfare il 10-15% del fabbisogno energetico europeo, dall’altra fornire energia, acqua potabile (impianti di desalinizzazione autonomi dal punto di vista energetico), sviluppo e posti di lavoro nei Paesi del Mena (Middle East North Africa). Un’idea tanto visionaria quanto controversa: il problema principale sta nella stima iniziale dei costi, che arriva a 400 miliardi di euro. Gli impianti costruiti saranno principalmente centrali solari termodinamiche e aerogeneratori (pale eoliche). I 500 MW di installazioni dovrebbero essere pronti entro il 2050. Il problema che ci si poneva fino a qualche tempo fa era la possibilità di trasferire l’energia dal Nord Africa fino all’Europa. Anche a questo è stata trovata soluzione grazie ai nuovi sistemi di trasferimento a corrente continua; sarà, infatti, possibile ridurre la dispersione di corrente al 3% ogni mille chilometri.

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+257%: basterebbe questa percentuale per descrivere il ruolo da protagonista dell’Italia nello scenario del fotovoltaico. Di tanto è aumentata la potenza installata nella Penisola, con 9 GW in dodici mesi: il 33% degli investimenti nel fotovoltaico effettuati nel 2011 in tutto il mondo. Superando anche la Germania, che si è fermata a 7,5 GW da nuovi impianti. Berlino mantiene comunque un netto primato per la potenza installata cumulativa, con 24,7 GW a fronte dei 12,5 italiani. Sono questi i dati forniti dall’Epia (Associazione europea dell’industria del fotovoltaico).

PUGLIA 23.447 2206,1 MW

UMBRIA 8.172 | 321,8 MW LAZIO 18.323 | 865,3 MW

CAMPANIA 10.057 | 375,6 MW CALABRIA 8.958 | 237,6 MW SARDEGNA 14.957 | 402,5 MW

Una strada lastricata di ostacoli Nemmeno un ostacolo di fronte al cammino trionfale del solare made in Italy? Piacerebbe poterlo dire, ma le sfide ci sono E sono cruciali. Le cifre degli scorsi anni, a detta di molti, sono state “gonfiate” da incentivi, che «in passato sono stati troppo alti – spiega Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista QualEnergia – per poi essere tolti bruscamente con misure retroattive. Adesso siamo in una fase delicatissima in cui il calo degli incentivi deve accompagnare la tecnologia verso la grid parity (vedi ARTICOLO a pag. 18) senza tagliarle le gambe». Anche perché, a mettere in crisi le aziende del Belpaese, già ci pensa la Cina (vedi ARTICOLO pag. 20), che inonda il mercato di componenti a prezzi stracciati e di buon livello qualitativo. E che può contare su una capacità produttiva che è quindici volte quella delle nostre industrie. Non stupisce, dunque, il fatto che, nonostante l’annata-record appena trascorsa, sia stato lanciato l’allarme. Secondo Asso Energie Future, che rappresenta il comparto italiano delle rinnovabili, il 50% dei posti di lavoro nel settore è a rischio: diecimila occupati. Soltanto in Veneto, che detiene la maglia rosa col 35% della produzione nazionale di panelli e componenti, sono già 1.250 gli addetti in cassa integrazione. «Queste stime, purtroppo, sono giustificate», commenta Silvestrini. Ma una via d’uscita, a suo parere, c’è: si chiama innovazione. «Impianti fotovoltaici d’avanguardia con rendimenti molto alti o soluzioni create ad hoc per l’edilizia, puntando sul design, sono i campi in cui l’Italia può avere un ruolo importante – spiega – perché non si tratta di prodotti che possono essere fabbricati su larga scala in Cina e poi spediti». Raggiungere questi obiettivi non sarà facile, perché «manca assolutamente in Italia una politica della ricerca coordinata e organica». 

FONTE: ATLASOLE (GESTORE SERVIZI ENERGETICI)

dossier

BASILICATA 3.728 | 223,5 MW

SICILIA 20.156 | 869,8 MW [Dati del 29 febbraio 2012]

Totale nazione Tutti gli impianti Meno di 20 kW

335.191

Potenza [MW] 12.893,1

294.302

1.759,6

Numero

Totale nazione Da 20 a 50 kW Oltre 50 kW

11.913

Potenza [MW] 470,9

28.976

10.662,6

Numero

IL SOLARE A KM ZERO CHE FA CONCORRENZA ALLA CINA Ha un tono soddisfatto, Averaldo Farri. D’altronde ci si stupirebbe del contrario quando si parla con il consigliere delegato di Power One: uno dei rari casi in cui sono stati gli americani ad arrivare in Italia alla ricerca della tecnologia per lanciarsi nel campo delle rinnovabili. L’hanno trovata a Terranuova Bracciolini, nell’aretino. E la scommessa è riuscita. L’azienda, che garantisce 1.245 posti di lavoro nella produzione di inverter fotovoltaici (vedi GLOSSARIO ) è passata indenne attraverso la crisi, quadruplicando il fatturato in cinque anni. La ricetta per mantenersi competitivi rispetto alla Cina, dove gli stipendi sono nove volte più bassi, è semplice: operare sul territorio. Il che significa, spiega Farri, non essere vincolati ai tempi e alle spese di trasporto: «La filiera è estremamente corta quindi siamo più rapidi e non abbiamo magazzino. Così abbiamo una maggiore disponibilità di cassa che possiamo reinvestire nell’innovazione, nella tecnologia e nel training per gli operai, innescando un circolo virtuoso» che incrementa l’efficienza. Nel 2009 l’idea di un fotovoltaico a km zero ha guidato la nascita del Consorzio TerraNuova, che affianca al “gigante” Power One una decina di aziende più piccole, per incrementare la sinergia. In cantiere c’è anche un altro progetto, che ha richiamato l’attenzione del ministro per l’Ambiente Corrado Clini e della regione Toscana: un distretto tecnologico delle rinnovabili e della green economy. V.N.

ARCHIMEDE, L’AVAMPOSTO DEL SOLARE TERMODINAMICO «L’impianto è spesso fermo. L’obiettivo non è strettamente quello di produrre energia bensì di sviluppare la ricerca per migliorare la resa energetica e diminuirne i costi». Parla così di “Archimede”, la prima centrale solare termodinamica di seconda generazione che produce energia anche di notte, l’addetto stampa del progetto, Luigi Di Fiore. Sono passati due anni dall’inaugurazione di questo prototipo di centrale solare a collettori parabolici lineari di Priolo (Siracusa). Una tecnologia frutto della collaborazione fra Enea ed Enel, che sfrutta le teorie del premio nobel Carlo Rubbia. È solare perché concentra i raggi del Sole attraverso l’utilizzo di specchi ustori parabolici; è termodinamica perché il calore viene concentrato e convogliato verso dei tubi in cui scorre un fluido a base di sali fusi; il liquido surriscaldato permette di generare energia elettrica a partire dal calore, attraverso il tradizionale processo a vapore delle centrali termoelettriche (è una speciale miscela ad elevata capacità termica che può raggiungere temperature di 550 °C). Le grandi novità rispetto alla prima generazione sono la possibilità di produrre energia in maniera costante e il nuovo tipo di coating, uno speciale rivestimento dei tubi che permette

il totale assorbimento della luce concentrata e quindi un miglior rendimento energetico. La possibilità di stoccare i sali fusi a 550 °C permette di generare vapore che può essere processato nella centrale termoelettrica a gas adiacente all’impianto. In questo modo è possibile produrre energia in funzione della domanda, anche in mancanza di Sole, per una durata di 8 ore. Qualora si restasse “in ombra” per periodi di tempo superiori, la centrale termoelettrica a gas adiacente ad Archimede colmerebbe la mancanza. L’obiettivo iniziale del progetto prevedeva 50 MW di potenza installata per produrre energia per 40 mila famiglie. La mancanza di fondi pubblici e il caro prezzo dell’energia prodotta hanno costretto i progettisti a ridimensionare l’investimento a un decimo. Risultato: un prototipo con una potenza installata di 5 MW, in cui si continua a perfezionare la tecnologia, abbassare i costi e renderla competitiva con le altre fonti energetiche. A.N.

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dossier

| economia solare |

| dossier | economia solare |

Il fotovoltaico convince Ma restano problemi aperti di Alberto Nigro

Faccia a faccia tra Mario Agostinelli e Davide Tabarelli: due punti di vista diversi che sul fotovoltaico sembrano incontrarsi. Una tecnologia su cui puntare, con alcuni problemi da risolvere n sostenitore da sempre delle energie da fonti rinnovabili e uno scettico ormai convertito, seppure ancora “sedotto” dal nucleare. Sono Mario Agostinelli, esperto di fonti rinnovabili e coautore del libro “L’energia felice” (oltre che del blog www.energiafelice.it), e Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Valori ha li ha messi a confronto.

U

È economicamente ed energeticamente sostenibile puntare sul fotovoltaico? A: Il nucleare costa incredibilmente di più. Il carbone, se si considera anche il sequestro di CO2, aumenta i suoi costi di base. Per quanto riguarda il gas servirà sempre più energia per andare a recuperarlo in profondità. Le altre tecnologie per la produzione di energia hanno a monte almeno 200 anni di industrializzazione e ricerca, il fotovoltaico ha una storia più recente. La ricerca sta sviluppando tecnologie a fotoni ed elettroni destinate a costare sempre di meno. Ho pubblicato uno studio in cui analizzo la fattibilità dell’investimento su piccola scala. Se si volesse tener conto dei finanziamenti allo stato attuale, anche con il IV conto energia, dopo 10 anni si rientrerebbe dell’investimento. T: Visto il successo che ha avuto in Italia, la caduta dei costi e gli impegni che ha assunto il nostro governo, il fotovoltaico è molto interessante. Il Sole non costa niente. Gli Stati Uniti stanno investendo | 24 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

Mario Agostinelli, esperto di fonti rinnovabili

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia

incredibilmente nel settore, a conferma della regola industriale che, a un incremento di scala e alla diffusione di una tecnologia, corrisponde una diminuzione dei costi. La tecnologia ha fatto passi da gigante, non tanto nel migliorare il rendimento dei pannelli fotovoltaici quanto proprio nel ridurre i costi di produzione. Probabilmente il prossimo conto energia disincentiverà alcuni tipi d’investimento, ma i rendimenti, specialmente al sud, sono così alti che converrà in ogni modo investire. C’è ancora spazio di miglioramento per le tecnologie del fotovoltaico? A: È una tecnologia che non ha per nulla raggiunto la maturità: mentre il silicio amorfo e policristallino hanno prodotto notevoli avanzamenti, i sistemi più innovativi come il solare a concentrazione o quelli sostenuti da composti più complessi del silicio hanno ancora

molto da esprimere. Presentano ottime possibilità anche le nanotecnologie e i microfilm sottili, ci si avvicina alla sostituzione del silicio con elementi organici fotoconduttori. T: È un’industria quasi matura, sul fronte delle tecnologie non c’è da aspettarsi molto. Continueremo a sviluppare meglio ciò che abbiamo già sviluppato, andremo verso il basso rendimento energetico, ma con costi minori. Credo che si debba insistere sulle tecnologie tradizionali, c’è troppa enfasi sul solare a concentrazione. Il principio è semplice, ma sfrutta tecnologie troppo care e troppo poco affidabili. Quanto è vicina l’Italia alla grid parity nel campo del fotovoltaico? A: La grid parity su tutto il suolo italiano si raggiungerà nel 2014. Se la ricerca fosse più attiva si potrebbero accelerare i tempi. T: In alcune aree della Sicilia di fatto è già stata raggiunta. È una tecnologia che necessita la stampella incentivi? A: Il sistema degl’incentivi fa parte di una politica industriale che deve accompagnare la fase di apprendimento di una tecnologia, fino al raggiungimento la soglia di parità con tecnologie più mature. Gli incentivi ci hanno permesso di diventare primi a livello mondiale (nell’installazione dei pannelli fotovoltaici nel 2011, ndr). Ora la politica industriale deve essere sostenuta con la ricerca e non con i consumi. L’incentivazione andrebbe spostata sulla ricerca, sull’avvio degli start-up, su prodotti innovativi insom-

ma, naturalmente in una fase di transizione che precede il totale raggiungimento della grid parity. T: I livelli di incentivazione sono stati troppo alti, ora s’incorre nel rischio regolatorio, com’è successo in Germania, dove la diminuzione degl’incentivi ha inciso negativamente sul mercato nazionale. In Italia si sta lavorando da qualche settimana sul V conto energia, probabilmente si ridurrà la convenienza degli impianti di grandi dimensioni e a terra. Sono seccato quando vedo tutto il denaro che in Italia viene dato sotto forma d’incentivi alle aziende che poi lo spendono per comprare pubblicità sui quotidiani. Se una tecnologia è sostenibile dovrebbe avere nella propria esistenza la migliore delle pubblicità. Sono quindi contrario agli incentivi a pioggia. Bisogna considerare il nucleare allo stesso modo, deve essere incentivato come il solare. Quali sono i limiti di questa tecnologia? A: Il problema del solare è l’immagazzinamento e la messa in rete dell’energia.

NON C’È QUATTRO SENZA CINQUE, FORSE…

QUARTO CONTO ENERGIA

[dati all’8-3-2012 da www.gse.it] Il “Conto Energia” è il decreto che stabilisce un incentivo per 20 anni per privati, imprese ed enti pubblici che installano Impianti Solari Fotovoltaici un impianto solare fotovoltaico connesso alla rete elettrica. Impianti in esercizio: 87.464 L’incentivo è proporzionale all’energia elettrica prodotta Potenza (kW): 4.378.954 e sostanzialmente corrisponde oggi a circa 40 centesimi per ogni Costo annuo (€): 1.568.634.968 euro speso. Il quarto Conto energia fissa gli incentivi per Impianti Solari Integrati il fotovoltaico dal 2011 al 2013, secondo un accordo raggiunto tra Impianti in esercizio: 1.258 il ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Ambiente, Potenza (kW): 26.316 Costo annuo (€): 11.038.894 e prevede da un lato una riduzione graduale degli incentivi per chi installa nuovi impianti, dall’altro stabilisce un tetto d 6-7 miliardi Impianti a Concentrazione ai fondi disponibili: tale soglia sarà probabilmente raggiunta già entro Impianti in esercizio: 3 Potenza (kW): 33 il 2012 o a inizio 2013, contrariamente a quanto il provvedimento Costo annuo (€): 15.678 prefigurava, contando di arrivare fino al 2016, col raggiungimento della cosiddetta grid parity, ovvero il momento in cui l’energia elettrica prodotta con metodi alternativi (energie rinnovabili) avrà lo stesso prezzo dell’energia tradizionale (rete elettrica). Il problema è come e se verranno rese disponibili altre risorse per sostenere il settore (un Quinto conto energia?) fino all’effettivo raggiungimento della grid parity.

Bisogna investire su questi fronti. Essendo fonti discontinue possono essere in eccesso o in deficit e devono essere riequilibrate e ridistribuite in maniera il più costante possibile. Conservare l’energia elettrica non è semplice, mentre è più semplice con quella termica. T: È un’industria matura, i limiti sono gli alti costi, ma grazie al fatto che il prez-

GLOSSARIO CELLA FOTOVOLTAICA: l’elemento base del modulo fotovoltaico, costituito da materiale semiconduttore che, opportunamente “drogato”, permette la conversione dell’energia solare in energia elettrica. La versione più diffusa è quella in silicio. CENTRALI SOLARI TERMODINAMICHE: sfruttano un sistema di specchi ustori per concentrare l’energia solare e scaldare un fluido che permette di produrre vapore. Il vapore prodotto permette di generare energia dal processo tradizionale delle centrali termoelettriche. Questi impianti sono detti anche centrali solari a concentrazione, Csp, Concentrating Solar Power. Possono essere: - di prima generazione: accumulano il calore del Sole in un fluido composto da oli diatermici che raggiungono temperature dell’ordine dei 350°C. - di seconda generazione: al posto dell’olio diatermico utilizzano una miscela di sali fusi che raggiungono temperature dell’ordine dei 550°C. Grazie alle elevate temperature e a dei serbatoi di stoccaggio, è possibile generare energia anche per le 8-15 ore successive alla scomparsa del Sole. È il caso della centrale solare a concentrazione di Priolo Gargalo in Sicilia. - di terza generazione: oltre alle tecnologie della seconda generazione viene inserito un sistema idrico che raccoglie il calore che si accumula sugli specchi ustori (che concentrano la luce ma comunque si scaldano incredibilmente). Gli impianti che sfruttano questa tecnologia in Italia sono attualmente in fase di progettazione, il primo attivo si trova in Israele, vicino Tel Aviv.

zo del gas è molto alto, l’elettricità costa molto quindi il limite economico si attenua. Un altro limite è che creano intermittenza e quindi degli accumuli a valle della loro produzione. Bisogna comunque riconoscere per esempio che molte compagnie petrolifere usano dei pannelli per fare andare gli impianti elettrici perché sono lontani e isolati. 

cristalli di silicio) e il policristallino (strati multipli di cristalli di silicio). Funzionano prevalentemente in presenza di Sole. Al fotovoltaico di seconda generazione appartengono i pannelli che funzionano anche con la luce diffusa. Ad esempio il silicio amorfo (in cui gli atomi di silicio sono disposti a caso) e il telluro di cadmio (TeCd), il cui utilizzo è illegale in Europa. Al fotovoltaico di terza generazione appartengono le ultime innovazioni del settore: nanofilm, composti organici e altri materiali di recente scoperta che, almeno in laboratorio, portano i rendimenti fino al 40 %, ma il cui costo è ancora troppo alto. INVERTER FOTOVOLTAICO: i moduli fotovoltaici producono energia sotto forma di corrente continua: gli inverter sono dispositivi che la trasformano in corrente alternata, da immettere direttamente nella rete elettrica. KW E KWH (OVVERO POTENZA INSTALLATA E ENERGIA PRODOTTA): la potenza installata è indicata con kW (chilowatt) o MW (megawatt), è detta anche potenza di picco, in quel caso, kWp e MWp (chilowatt e megawatt di picco); è la potenza massima che il sistema produce in un’ora di funzionamento a massimo regime. Nel caso del solare è un’ora di funzionamento con insolazione ottimale. L’energia prodotta, invece, si misura in kWh (chilowattora); solitamente è accompagnata dal tempo in cui è tata generata. Per il solare fotovoltaico, un impianto con potenza installata pari a un kWp, che in un anno funziona in media 1350 ore al sud Italia, produce 1350 kWh. MODULO FOTOVOLTAICO: un dispositivo, composto da celle fotovoltaiche in grado di convertire l’energia solare in energia elettrica. È l’unità base dei pannelli fotovoltaici.

COLLETTORI PARABOLICI LINEARI (Solare termodinamico a collettori parabolici lineari): gli specchi ustori della centrale sono posti in fila e permettono di concentrare la luce su un tubo.

SPECCHI USTORI: Archimede li usò contro i romani nella battaglia di Siracusa del 200 a.C., sono oggi utilizzati nelle centrali solari termodinamiche per concentrare la luce solare; la loro forma parabolica permette di convogliare più raggi nello stesso punto.

GENERAZIONI DI FOTOVOLTAICO (PRIMA, SECONDA E TERZA): il solare fotovoltaico è suddiviso in tre generazioni in base al periodo in cui furono sviluppate le tecnologie. Al fotovoltaico di prima generazione appartengono il silicio monocristallino (uno strato di

TORRE CENTRALE (Solare termodinamico a “torre centrale”): gli specchi ustori sono posti in modo tale da convogliare il calore in un unico punto dove viene fatto passare il fluido da riscaldare.

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| consumiditerritorio |

Smaterializzazione dei servizi

Il Cazzulati e la pensione elettronica

| 26 | valori | ANNO 12 N. 97 98 | MARZO APRILE 2012 |

E

di Paola Baiocchi

rarsi con Pepé, un uccellaccio che rappresenta tutti i brutti pensieri, come il rimorso per le cose mai fatte e le parole mai dette... Il Cazzulati ha molti compagni, vecchietti come lui: il dirimpettaio Bizzini cavalier Artemio, il professor Aoristo Perfetti, che insegnava greco e latino al liceo. C’è Laudomia Viganò vedova Zampoggi, inquilina del quarto piano che il Cazzulati vagheggia, c’è Desolina e la signorina Noemi Pegreffi, 102 anni ex maestra delle elementari, che non demorde. Sono tutti coriacei personaggi alle prese con quel “vizio” che si chiama voglia di vivere, trasformato in “resistenza”. Resistenza alla burocrazia, al carovita, al degrado della sanità, ai parenti, al progresso tecnologico, per la soddisfazione di consumare un po’ dei contributi versati e perché vogliono decidere loro quando andarsene. Può farcela il Cazzulati a resistere all’ultima (ultima solo per ora) riforma dell’Inps? L’Istituto nazionale della previdenza sta chiudendo al pubblico le sue sedi territoriali e sta informatizzando tutte le pratiche. Sono gli effetti combinati della riduzione del personale nel pubblico impiego e della riforma Brunetta per l’informatizzazione della pubblica amministrazione. Quelle riforme lanciate in nome della lotta “ai fannul-

domanda di assegni familiari per coltivatori diretti, coloni e mezzadri; o da richieste delicate come le agevolazioni contributive per i datori di lavoro che assumono lavoratori in mobilità. Si aggiunga a questo, poi, che in Italia non funziona niente. Perché la corruzione chiede la sua “stecca” a discapito della qualità in qualunque transazione o cantiere (pubblico o privato). Quindi il livello di complicazione è aumentato dai collegamenti elettrici che si interrompono per giorni dopo una nevicata o da contratti con gestori telefonici di cui non riesci a liberarti, ma che ti tagliano la linea. Chiudere gli sportelli Inps, nel contesto attuale, non è un’innovazione anticipatrice: è una trovata diabolica per rendere inaccessibili i servizi. E per concederli con il contagocce, come hanno capito molto bene i vecchietti di Lunari, «quando la società gli butta là una pensioncina con l’aria di dirgli: Va be’, ma che sia l’ultima volta!». 

WWW.ENZOLUNARI.IT

ritreo Cazzulati è un pensionato. Non ha avuto una vita illustre, non è stato un artista, un campione dello sport o un politico, ma ora è famoso perché vive nelle strisce disegnate da Enzo Lunari. Il Cazzulati è una Mafalda 1 attempata, che passa il tempo tra tazzine di caffè bevute in pigiama e la panchina ai giardinetti, dove a volte deve anche misu-

L’Inps sta chiudendo le sue sedi territoriali e sta informatizzando le pratiche loni” statali, per cui ora siamo in testa a tutti i Paesi europei come disponibilità dei servizi sul web. Un vantaggio teorico, perché ve la immaginate Laudomia Viganò che richiede il suo Pin2 Inps sul form3 elettronico, dove indicare la Pec4? «Se fossimo svedesi Laudomia uscirebbe tutte le sere a ballare con me», potrebbe dire il Cazzulati, infatti in Svezia il 91% delle case è collegato a internet, mentre in Italia sono online il 62% delle famiglie e il 39% della popolazione tra i 16 e i 74 anni non si è mai connesso alla rete. A queste carenze stanno cercando di far fronte i patronati, che vengono subissati da pratiche complicate come la

1 La bambina protagonista dell’omonimo fumetto del disegnatore argentino Joaquín Lavado, in arte Quino. 2 Il codice Pin, dall’inglese Personal identification number, è una sequenza di numeri che dà accesso a servizi informatizzati, come il Bancomat. 3 Modulo da compilare online. 4 Posta elettronica certificata: è un messaggio di posta elettronica che ha lo stesso valore di una raccomandata.

| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 27 |


LAIF / CONTRASTO

finanzaetica

| oro blu |

A meno di un anno dal referendum, riesplode il dibattito sulla gestione privata delle risorse idriche. Le utilities dell’acqua sono operative all’estero. Anche con i capitali dei fondi responsabili

Acqua in Borsa Per i fondi etici non è un tabù L di Matteo Cavallito

Si scrive acqua, si legge democrazia > 32 Il bilancio lo voglio così > 33 C’era una volta l’Euro(pa) > 34 De Grauwe: “Altro che austerity” > 34 | 28 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

a tregua post referendaria è durata circa sei mesi, giusto il tempo di ritrovarsi nuovamente invischiati nel dibattito sulle liberalizzazioni. Nel giugno 2011 la consultazione promossa dai movimenti per l’acqua aveva sancito in modo netto la necessità della gestione pubblica delle risorse idriche. Una tematica che è tornata prepotentemente d’attualità negli ultimi tempi, rilanciando una polemica mai sopita. Un dibattito riproposto implicitamente anche dall’Ocse, che di recente non ha mancato di sottolineare come il referendum abbia «rovesciato i piani per privatizzare i servizi del settore». Ma anche, al tempo stesso, una questione emersa nuovamente di fronte all’irrisolto caso dei profitti delle società di gestione delle risorse. Come a dire che ad oggi si resta in attesa di sapere che fine faranno le tariffe per i servizi idrici. Ovvero che cosa accadrà alla «adeguata remunerazione del capitale investito» che, secondo quanto promesso dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini, dovrebbe sparire in ossequio al referendum.

Investire nell’acqua Il dibattito, quindi, è nuovamente esploso. Anche nel settore finanziario. È possibile investire “responsabilmente” nel | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 29 |


| finanzaetica |

| finanzaetica |

Acqua, bene comune: i fondi socialmente responsabili possono investire nelle utilities? 11 in Europa lo fanno, con alti rendimenti comparto delle utilities? Può un fondo Sri (Socially responsible investing) acquisire quote di società che portano di fatto l’acqua in Borsa? La polemica ha investito anche Etica Sgr, la società di gestione del risparmio di Banca Etica. Il 28 aprile 2010, su sollecitazione del Comitato etico, il Cda aveva deciso di eliminare dai propri fondi comuni di investimento i titoli della I FONDI SRI DELL’ACQUA IN EUROPA Nome

Paese

Dimensione

Rendimento 3 anni

1.294,08

75.80%

Pictet Funds Water P*

Svizzera

SAM Sustainable Water Fund

Svizzera

463,51

62.73%

Sarasin Sustainable Water Fund A

Svizzera

180,26

82.47%

UK

134,38

nd

Swisscanto (LU) Equity Fund Water Invest B

Svizzera

75,44

94.76%

Lyxor ETF World Water*

Francia

54,49

71.83%

Tareno Waterfund

Svizzera

30,88

85.47%

Belgio

13,38

85.52%

ÖkoWorld Water For Life

Germania

10,21

58.05%

FBG 4Elements - Water

Svizzera

4,73

13.46%

Delta Lloyd L Water & Climate

Olanda

2,21

19.63%

iShares S&P Global Water

KBC ECO Fund Water

FONTE: SUSTAINABLE BUSINESS INSTITUTE (SBI), OESTRICH-WINKEL, GERMANIA WWW.NACHHALTIGES-INVESTMENT.ORG. DATI IN MILIONI DI EURO * LA CLASSIFICAZIONE SRRI È DISCUTIBILE IN ASSENZA DELL’ADOZIONE DI CRITERI DI ESG (ENVIRONMENTAL, SOCIAL AND GOVERNANCE)

L’ACQUA IN BORSA Le principali società dello STOXX Global 1800 Index per il settore Waste&Water.

FONTE: RAPPORTI ANNUALI DELLE COMPAGNIE, BLOOMBERG BUSINESSWEEK HTTP://INVESTING.BUSINESSWEEK.COM *DATI 2010

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United Utilities, una società britannica attiva nei servizi idrici, adottando una moratoria sul comparto che dura ancora oggi. La sospensione degli investimenti potrebbe però finire presto qualora fossero approvate le definitive linee guida per l’acquisto di azioni delle società di settore. «I nuovi criteri, elaborati in un lavoro congiunto con Altis, Alta Scuola impresa e società dell’Università Cattolica di Milano, toccheranno tematiche come la consapevolezza da parte delle aziende dell’utilizzo responsabile delle risorse idriche e del coinvolgimento dell’utenza», anticipa Francesca Colombo, analista dell’area ricerca di Etica Sgr, «oltre che la trasparenza dei meccanismi tariffari, vale a dire la previsione di tariffe agevolate e una corretta gestione della fonte di approvvigionamento, soprattutto nei casi di quei Paesi dove c’è un problema di disponibilità delle risorse». Il tema resta controverso: per qualcuno il conflitto pubblico/privato resta sostanzialmente un falso problema: «La questione non è fare profitti, ma dare un prodotto scadente e, in questo senso, gli esempi negativi non mancano nemmeno nel settore pubblico», afferma Gianni Caligaris del Comitato etico di Etica Sgr. Ma per altri è una questione di principio: l’acqua è un bene comune sul quale non è lecito ottenere alcun guadagno. Il dibattito continua.

Il futuro è sempre più privato? In Europa si contano almeno 11 fondi classificati come Sri (vedi TABELLA ) che investono nel comparto waste&water, ovvero che inseriscono nei propri portafogli i titoli di alcune delle maggiori società del settore della gestione dell’acqua potabile e di quella residuale (vedi SCHEDE ). Il gigante francese Suez Environnement è il titolo più presente nel fondo belga Kbc Eco Water nonché il secondo in classifica nella Top 10 del portafoglio del collega svizzero Sam Sustainable Water, in cui compaiono anche Veolia e United Utilities Group. Nel corso degli ultimi tre anni tutti e 11 i fondi hanno ottenuto rendimenti a doppia cifra. Nessun dubbio sul fatto che in futuro quello dell’acqua continuerà a rappresentare un tema particolarmente caldo. «I trend macroeconomici, in questo senso, sono evidenti», spiega Stefano Ramelli, analista Sri dell’agenzia di rating extrafinanziario Vigeo. «In primo luogo ci sono la crescita della popolazione mondiale, il cambiamento della dieta nei Paesi in via di sviluppo e la sempre maggiore urbanizzazione, tutti fenomeni che implicheranno un maggiore utilizzo di acqua. Il cambiamento climatico, poi, determinerà un ulteriore squilibrio tra le aree caratterizzate da siccità e quelle dove l’acqua è addirittura in eccesso, il che significa che sarà necessario creare mag-

UNITED UTILITIES GROUP PLC

PENNON GROUP PLC

SEVERN TRENT PLC

SUEZ ENVIRONNEMENT CO

Sede: Warrington, UK Dipendenti: 4.735 Ricavi: 1.513 mln £ Profitti: 596,4 mln £ www.unitedutilities.com

Sede: Exeter, UK Dipendenti: 4.354 Ricavi: 1.159 mln £ Profitti: 188,5* mln £ www.pennon-group.co.uk

Sede: Coventry, UK Dipendenti: 8.184 Ricavi: 1.711 mln £ Profitti: 272.6 mln £ www.severntrent.com

Sede: Parigi, Francia Dipendenti: 65.400 (2008) Ricavi: 14.830 mln € Profitti: 323 mln € www.suez-environnement.com

Fondata nel 1995 dalla fusione della Norweb con la North West Water, è la principale compagnia britannica del settore. Già parte del Ftse 100, l’indice che raccoglie i maggiori titoli di riferimento della Borsa di Londra, la compagnia realizza i servizi di fornitura dell’acqua potabile e di gestione del riciclo per circa 7 milioni di inglesi residenti nel Nord ovest del Paese.

Attiva dal 1989 come South West Water plc, ha cambiato il proprio nome nel 1998 dopo le acquisizioni negli anni precedenti di Haul Waste e Blue Circle Waste Management. L’azienda opera nelle regioni del Devon, Cornovaglia, Dorset e Somerset servendo circa 1,6 milioni di residenti. Parte del business anche la gestione delle acque residue, il riciclo e le energie rinnovabili.

Si occupa di fornire acqua e gestire i residui nelle Midlands e nel Galles raggiungendo una popolazione di 8 milioni di persone. Attiva anche in Belgio, la compagnia, oggi nella top 100 delle società quotate a Londra (Ftse 100), possiede laboratori di analisi nel Regno Unito e negli Stati Uniti e svolge attività di consulenza in Europa e nel Terzo Mondo. È stata fondata nel 1974.

È stata fondata nel 2008 dalla fusione di Gaz de France e Suez S.A, nata a sua volta nel 1880. Suez Environnement opera nel settore del waste management e delle utilities idriche sotto il controllo di GDF Suez S.A. che ne è azionista al 35%. Tra i principali gruppi al mondo nel settore acqua, mantiene tuttora le proprie attività in ogni parte del mondo.

giore efficienza nella distribuzione oltre che migliorare la tecnologia per la depurazione». La crisi della finanza pubblica nelle economie consolidate, inoltre, potrebbe ridurre notevolmente la stessa di-

VEOLIA ENVIRONMENTAL SERVICES, L.L.C. Sede: Parigi, Francia Dipendenti*: 77.466 Ricavi: 29.600 mln € Profitti: 1.700 mln € www.veolia-environmentalservices.com Sussidiaria della Veolia Environnement SA, la prima multinazionale del settore idrico del mondo, è stata fondata nel 2005 dopo l’acquisizione della Onyx Environmental Services. Si occupa anche di gestione dei rifiuti, attività di pulizia e manutenzione. È presente in 31 Paesi dove opera in 813 impianti e raggiunge circa 87 milioni di persone e una clientela di 813 mila imprese.

sponibilità dei comuni e degli enti locali a gestire l’intero apparato con un evidente assist per la privatizzazione. Oggi, in Europa, la gestione privata interessa circa il 10% delle risorse idriche del territorio. 

REPUBLIC SERVICES INC

WASTE MANAGEMENT INC

Sede: Phoenix, Arizona, Usa Dipendenti: 31.000 Ricavi: 8.193 mln $ Profitti: 588 mln $ www.republicservices.com

Sede: Houston, Texas, Usa Dipendenti: 43.000 Ricavi: 13.378 mln $ Profitti: 961 mln $ www.wm.com

Fondata nel 1996, controlla 334 compagnie del settore e opera su centinaia di impianti di trasferimento, smaltimento e riciclo dei residui. Tra le sue attività anche il riciclo di alluminio, carta, vetro e altro. Presente in 39 Stati Usa e a Porto Rico, la compagnia è anche attiva nella produzione di energia a partire dai gas originati nelle discariche e nei progetti di energia rinnovabile.

L’azienda è stata fondata nel 1968 e ha successivamente avviato una massiccia politica di acquisizione dei servizi di gestione dei rifiuti su scala locale. Nel 1998, la Waste Management si è fusa con la USA Waste trasferendo la propria sede da Chicago a Houston. A oggi opera negli Stati Uniti, a Porto Rico e in Canada raggiungendo circa 20 milioni di clienti.

| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 31 |


| finanzaetica | abbassiamo le tariffe |

| finanzaetica | responsabilità sociale d’impresa |

Si scrive acqua si legge democrazia

Il bilancio lo voglio così

di Paola Baiocchi

di Elisabetta Tramonto

A un anno dal referendum sull’acqua, muove i primi passi la campagna di “Obbedienza civile”, che prevede l’autoriduzione delle bollette del servizio idrico, per ottenere l’applicazione degli esiti referendari

Etica Sgr chiama a raccolta i propri interlocutori per sapere che cosa vorrebbero leggere sul suo bilancio integrato

È

passato quasi un anno dalla tornata referendaria dello scorso giugno ed è cambiato molto poco. Nonostante quasi 26 milioni di persone abbiano votato per la gestione pubblica dell’acqua, solo il Comune di Napoli si è dato da fare, ripubblicizzando l’azienda dell’acqua. Si potrebbe pensare che sia stato accolto l’ironico suggerimento di Bertolt Brecht “sciogliere il popolo per eleggerne un altro”, perché in alcune regioni i partiti che avevano sostenuto la campagna per l’acqua hanno preso iniziative che vanno nella direzione contraria a quella indicata dalle urne. È successo in Toscana, dove il 6 dicembre è stato deliberato un nuovo aumento delle tariffe del 6,5% ed è stata prorogata la concessione al gestore pubblico/privato Acque SpA, dal 2021 al 2026. Una scelta, come si dice in toscano, “a spregio”, presa dai sindaci dei 57 Comuni, quasi tutti amministrati dal Pd, che compongono l’Aato2 (Basso Valdarno). Un bacino di seicentomila utenti nelle province di Pisa, Firenze, Pistoia, Lucca e Siena, che ha macinato 12 milioni di utili nello scorso anno. Ma i comitati referendari non sono stati a guardare e hanno organizzato la campagna nazionale di “Obbedienza civile” che prevede l’autoriduzione delle bollette dell’acqua, come strumento di pressione per ottenere il rispetto dei risultati referendari. I referendum, ricor| 32 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

applicare la riduzione, ma hanno fatto “orecchie da mercante”». In molte regioni, invece Con un lavoro capillare i codi essere ridotte, mitati referendari, appoggiati le bollette sono aumentate. localmente da associazioni, sinI comitati si organizzano dacati e partiti come Rifondaper l’autoriduzione. zione e i Verdi, hanno calcolato le percentuali da detrarre dalle diamo, hanno abrogato la remunerazio- bollette e stabilito i passi legali da comne del capitale investito (secondo quesi- piere per non incorrere in “rappresaglie”, to) e l’obbligatorietà dell’affidamento ai come la sospensione del servizio. privati dei servizi pubblici come acqua, La prima mossa che i cittadini dorifiuti e trasporti (primo quesito). vranno fare sarà di recarsi presso uno degli sportelli messi in piedi dai volonOrecchie da mercante tari, con le ultime fatture del servizio Spiega Colin du Liège, coordinatore regio- idrico. L’intestatario del contratto donale della Toscana del Forum per l’acqua vrà firmare una lettera di reclamo/diffibene comune: «Il decreto del Presidente da per chiedere il rimborso delle percendella Repubblica che ha reso applicabili i tuali trattenute e poi revocare l’ordine referendum, è stato pubblicato sulla Gaz- di pagamento delle bollette, se effettuazetta ufficiale del 20 luglio 2011. Dal giorno to tramite banca. successivo ogni gestore avrebbe dovuto Il calcolo delle percentuali varia da gestore a gestore: nell’Aato 2 Basso Valdarno, per esempio, bisogna togliere a partire dal 21 luglio 2011 circa il 17% dal totale e per il 2012 il 18% circa. «I gestori non andranno in perdita – continua Colin du Liège – perché gli investimenti sono già compresi nelle fatPromuovi ture che i cittadini pagano, si chiede la la tua azienda sui restituzione della retribuzione del capitale». Che dovrebbe essere un 7%, ma viene aggiunto in più voci della tariffa, fino ad arrivare a percentuali tra il 10% e il 20%, a seconda del gestore.  Richiedi lo spazio a

THINK DIFFERENT

Periodici

sviluppo@valori.it www.acquabenecomune.org

S

apere dove la propria banca investe i nostri risparmi. Conoscere i fornitori di un supermercato, quanta strada percorrono le merci e quanta anidride carbonica viene emessa. Scoprire se a cucire la mia maglietta preferita sono stati lavoratori regolari i cui diritti vengono rispettati o bambini sottopagati. Vorremmo avere più informazioni dalle aziende con cui ci relazioniamo. Ma quale impresa chiede ai propri clienti: cosa vorresti sapere di me? Qualcuno lo fa, anzi lo ha fatto poche settimane fa. Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del gruppo Banca Etica, ha messo intorno a un tavolo i propri stakeholder, cioè coloro su cui l’attività della società ha un impatto, e ha chiesto loro che cosa vorrebbero vedere scritto sul bilancio. C’erano rappresentanti di associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori, sindacati, esponenti del mondo bancario e della gestione del risparmio, ma anche della stampa e del mondo universitario specializzati sui temi della responsabilità sociale d’impresa. Un’iniziativa inconsueta, che rientra in un percorso più ampio di Etica Sgr: aumentare la trasparenza nella propria comunicazione e completare le informazioni contenute nel bilancio integrato. Etica Sgr lo ha redatto per la prima volta l’anno scorso: una sorta di bilancio allargato, che integra in un unico documento le informazioni economico-finanziarie (obbliga-

GLI INVESTIMENTI RESPONSABILI CONVINCONO In questa lunga crisi finanziaria gli investimenti responsabili sembrano convincere più di quelli “tradizionali”. Lo dimostrano i risultati di Etica Sgr, che ha chiuso il 2011 con un utile in netta crescita: 577 mila euro di utile lordo (+22,7% rispetto al 2010) e 348 mila euro di utile netto (+20,4%), ma soprattutto con una raccolta netta dei fondi Valori Responsabili di 7,5 milioni, un patrimonio gestito a fine 2011 di 439 milioni di euro e un numero di clienti che nel 2011 è cresciuto dell’11,5%, toccando quota 21.400. Risultati in controtendenza rispetto al mercato. Secondo i dati di Assogestioni, l’anno scorso l’intero sistema dei fondi di investimento di diritto italiano perdeva 99,6 milioni di euro.

torie per legge) con quelle socio-ambientali. «Ogni giorno selezioniamo le imprese che possono entrare nei fondi comuni di investimento che gestiamo, sulla base dei loro comportamenti in ambito ambientale e sociale, ma anche della trasparenza della loro comunicazione. Il primo elemento che consideriamo è proprio il bilancio di sostenibilità, o quello integrato per le aziende che lo redigono», ha spiegato durante il workshop Alessandra Viscovi, direttore generale di Etica Sgr. «Anche noi, quindi – aggiunge Marcello Colla, responsabile dell’Area Amministrativa della società – non potevamo che essere più trasparenti possibile. Da qui la decisione di redigere il bilancio integrato e di organizzare questo incontro con gli stakeholder. Il nostro obiettivo è definire la soglia al di sopra della quale un’informazione è importante tanto da essere inclusa nel report, in inglese viene definita materiality. Un aspetto che potrebbe essere irrilevante per noi come azienda, ma importante per i nostri interlocutori, o viceversa».

APPUNTAMENTI 18-20 aprile 2012

SALONE DEL RISPARMIO Milano, università Bocconi ci sarà anche Etica Sgr e il 20 aprile alle 11.30 interverrà Amy Domini, fondatrice di Kinder Lydenberg & Domini Co., la più importante società di rating ambientale e sociale a livello mondiale

Le richieste degli stakeholder Due ore di dibattito, molte richieste, ma soprattutto una grande partecipazione. La possibilità di dire la propria su cosa si vorrebbe leggere su un bilancio è stata apprezzata. «Bisognerebbe comunicare i dati che dimostrano che le aziende che operano in modo sostenibile nel lungo termine hanno performance migliori di quelle che non seguono principi di sostenibilità», suggerisce Giovanni Marconi di Sap. Della stessa opinione Andrea Casadei di BilanciaRSI (Centro studi per la sostenibilità e la responsabilità sociale), secondo cui «dal bilancio integrato di Etica Sgr non emergono abbastanza i buoni risultati della società, in un mercato in calo (vedi BOX )». Da più parti la richiesta di informazioni sul fronte ambientale, poco presenti perché, spiega Marcello Colla, «come società di servizi, non abbiamo un forte impatto sull’ambiente, se non indirettamente». Ma, secondo Andrea Masullo di Greenaccord, «Etica Sgr dovrebbe inserire nel bilancio una quantificazione, anche economica, delle performance ambientali delle aziende che ha in portafoglio e dell’impatto della propria azione su di esse». Una richiesta di maggiori approfondimenti sul fronte ambientale arriva anche da James Osborne di Lundquist (società di consulenza sulla comunicazione on line e sulla sostenibilità): «Per esempio riguardo l’utilizzo di energie rinnovabili, c’è una bella differenza tra l’impatto ambientale di un pannello fotovoltaico e quello di una diga», spiega Osborne. Una carrellata di richieste, quindi. Ma il confronto con gli stakeholder sarà costante, promette Etica Sgr. Appunta| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 33 |


| finanzaetica | moneta unica |

| finanzaetica |

C’era una volta l’Euro(pa)

man, i costi di indebitamento di Atene sono stati equivalenti a quelli di Berlino.

LIBRI

IL FISCAL COMPACT Approvato da tutti i Paesi dell’Unione europea eccetto Regno Unito e Repubblica Ceca, il piano prevede l’obbligo per le nazioni Ue di uniformare le proprie politiche, raggiungendo il pareggio di bilancio (il rapporto tra deficit e Pil non dovrà superare lo 0,5%) con l’obiettivo di ridurre in futuro il debito fino a quota 60% del Pil.

Paul De Grauwe Economia dell’unione monetaria il Mulino, 2010

di Matteo Cavallito

L’Europa scivola in recessione e l’euro perde consenso. Il problema non è la moneta unica, ma la distribuzione diseguale dei vantaggi che ha generato

D

all’introduzione della moneta unica sono passati dieci anni e la crisi di consenso non è mai stata così forte. Chiamati a sostenere il costo del salvataggio greco, i contribuenti finlandesi maledicono la moneta che pretenderebbe di assimilare la loro economia a quella del Portogallo. Impossibilitati a ricorrere alla svalutazio-

ne competitiva, greci, italiani e spagnoli maledicono l’austerity e la svalutazione interna, ovvero la distruzione del potere d’acquisto attraverso l’imposizione fiscale e i tagli salariali. Il comune sentire, insomma, concentra le sue maledizioni sull’euro attribuendogli l’origine dei mali odierni. Eppure le cifre dicono il contrario. Almeno in parte.

Vantaggi (diseguali) per tutti Drastica riduzione dei rischi associati al cambio, aumento degli scambi commerciali, economie di scala e bassi tassi di interesse: secondo la società di consulenza McKinsey sono stati questi i vantaggi della moneta unica. Nel 2010, calcolano gli analisti, la presenza dell’unione monetaria avrebbe garantito da sola il 3,6% del Pil dell’area. Come a dire che se vi fossero state ancora dracme, pesetas, lire italiane e marchi tedeschi, la regione sarebbe stata più povera di 322 miliardi di euro. Solo

che, spiegano gli analisti, la distribuzione dei vantaggi è stata assai poco equa. I tedeschi avrebbero guadagnato dalla moneta unica circa 165 miliardi, vale a dire il 6,6% del Pil. E gli altri? Per l’Italia, ha precisato il rapporto, la percentuale scende al 3,1, per la Francia, addirittura allo 0,7. I nodi sono ovviamente due: da un lato l’export che ha favorito soprattutto Olanda e Germania dal momento che, si ipotizza, in assenza dell’euro marchi e fiorini sarebbero andati incontro nel decennio a un apprezzamento eccessivo. Non è un caso, rileva quindi McKinsey, che la bilancia commerciale sia andata fortemente in attivo in Olanda, Austria e Germania (con un surplus medio pari rispettivamente al 6, al 4 e al 2% del Pil)

De Grauwe: altro che austerity Solo gli investimenti salveranno l’euro di Matteo Cavallito

La crisi non finirà finché si applicheranno misure rigide. Servono stimoli economici, dai Paesi del Nord Europa Il fiscal compact produce solo recessione. Le economie più forti devono sbloccare la spesa seguendo una strategia che le periferie non sono in grado di applicare. L’opinione di Paul De Grauwe, docente di Economia internazionale dell’università di Leuven in Belgio. Professor De Grauwe, la Grecia è in default selettivo, la Bce ha appena finito di prestare un trilione di euro alle banche con un interesse dell’1%. Ritiene che il momento peggiore della crisi europea sia ormai alle spalle? Non c’è niente che sia alle spalle. Dipende tutto dallo stato dell’economia, le misure di austerity stanno spingendo l’economia nella recessione, una specie di effetto boomerang. Fino a quando continueremo a sperimentare questo circolo vizioso la crisi non sarà finita.

| 34 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

scivolando al contrario verso il passivo in Grecia, Portogallo e Spagna (-12%, -10% e -6%). Dall’altro lato, però, c’è la stabilità dei conti. Nel 1990, i Btp italiani e i bond decennali spagnoli, ad esempio, rendevano entrambi attorno al 14% contro l’8% dei tedeschi. In termini di spread fa 600 punti base, vale a dire la quota sfiorata nel novembre dello scorso anno nel confronto Btp/Bund. Dal 2002 in avanti, l’euro ha fatto crollare i rendimenti ma ha anche livellato i costi di finanziamento. Un effetto “zero spread” manifestatosi per circa sei anni e capace di coinvolgere tutti, anche quei titoli greci che nel 1993 rendevano tre volte gli omologhi tedeschi. In pratica, dall’introduzione della moneta unica fino al collasso della Leh-

del sistema bancario. Per queste ragioni i governi sono stati costretti a intervenire impegnando le proprie risorse e incrementando le proprie spese. Il fiscal compact non tiene conto di tutto questo e, se implementato troppo in fretta, farà scivolare i Paesi in una profonda recessione e in un aumento del peso del debito (in percentuale rispetto a un Pil che diminuisce a causa delle recessione stessa, ndr). È un circolo vizioso.

La Banca centrale europea non è un prestatore di ultima istanza e probabilmente non lo sarà mai. È il problema principale? Sì. La Bce ha fatto prestiti ingenti, ma le banche europee stanno usando solo una piccola parte della liquidità per comprare i titoli sovrani dei governi. In pratica, la Bce ha delegato al sistema bancario privato quello che dovrebbe essere il suo ruolo ma, al momento, lo stesso sistema bancario sembra troppo nervoso e timoroso per mettere in circolazione quel denaro che pure non gli manca.

Paul De Grauwe, docente di Economia internazionale dell’università Leuven in Belgio

Tutta l’eurozona ha approvato il nuovo fiscal compact. Una decisione giusta? Io credo che il fiscal compact sia basato su una diagnosi errata del problema. È chiaro che la Grecia, a causa del suo enorme debito, ha la necessità di ristrutturare il proprio bilancio. Ma il suo è un caso unico. Per tutti gli altri Paesi dobbiamo ricordare che l’origine del problema si colloca nel settore privato. La crisi, infatti, ha preso il via a causa dell’accumulo di un debito privato eccessivo, della bolla immobiliare e del collasso

Com’è possibile stimolare la crescita in Europa? Che investimenti servono? Prima di tutto la Commissione europea dovrebbe ammorbidire le misure di austerity nei Paesi periferici. In secondo luogo dovrebbe chiedere alle economie del Nord di implementare politiche di stimolo all’economia. In altre parole, le economie settentrionali dovrebbero fare quello che le altre non possono fare: aumentare la propria spesa e ridurre i propri surplus commerciali. La Banca europea per gli investimenti dovrebbe allo stesso

Scelte discutibili Questo e altro dovrebbe far riflettere i regolatori europei, impegnati oggi in una politica di rilancio decisamente discutibile. La Bce non ha voluto comportarsi da prestatore di ultima istanza, ovvero offrire garanzie illimitate sulle emissioni dei Paesi membri. Al contrario, ha preferito sbloccare prestiti per 1.000 miliardi al settore bancario a tassi agevolati (l’1%). L’austerity imposta dal fiscal compact (vedi SCHEDA ) e dalle politiche di risanamento contabile, ha denunciato Paul De Grauwe, uno dei massimi esperti dell’epopea euro (vedi INTERVISTA ), rischia però di vanificare ogni sforzo. Nel 2012, afferma la Commissione Ue, la ricchezza di eurolandia si contrarrà dello 0,3%. Il Pil tedesco crescerà appena dello 0,6%. Quello italiano diminuirà dell’1,3%, centrando il terzo peggiore risultato della regione dopo il -3,3% del Portogallo e il -4,4% della Grecia. 

tempo emettere eurobond per attrarre gli investimenti stranieri e sostenere la crescita. Qualcuno dice che l’euro è stato una grande opportunità per i tedeschi e un cattivo affare per le nazioni periferiche. Concorda? Intende dire che l’eurozona è troppo grande? Diciamo troppo poco omogenea… Sicuramente. E forse è stato un errore. Ma adesso abbiamo questa eurozona e ogni Paese ne è parte a pieno titolo con gli stessi diritti degli altri. Certo, ci sono Paesi membri “problematici”, ma non per questo possiamo semplicemente sbatterli fuori. Un paio di anni fa qualche analista ipotizzava una progressiva crescita dell’importanza dell’euro nell’economia globale. Ora non più. Pensa che, in assenza di eurobond e con una Bce che non si comporta da prestatore ultimo, l’euro potrà mai diventare un vero concorrente del dollaro? Ad oggi è impossibile pensarlo perché c’è troppa paura circa il futuro dell’eurozona. Quello che dobbiamo fare è creare quelle istituzioni politiche che ancora non ci sono. Fino a quando mancherà l’unione politica non ci sarà possibilità di competere con il dollaro.

| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 35 |


| islamfinanzasocietà |

Donne

a scuola con

Afghanistan, Iran, Iraq Esiste davvero l’8 marzo?

Per approfondire la crisi economico finanziaria e le risposte etiche e solidali

quando 28-29 aprile

19-20 maggio

dove

a MILANO due fine settimana presso la “Cascina Cuccagna”

???

… E IN ESTATE Una settimana per entrare nella green economy

quando 4-12 agosto dove a MAGGIANA (LECCO)

una settimana con la scuola estiva di Valori in un borgo medievale

?

uando qualche giorno fa, ho letto su un quotidiano che il nuovo codice penale iraniano non prevede più la lapidazione, mi è sembrata davvero una buona notizia. Ho provato una sensazione di sollievo e ho voluto credere che fosse, forse, un segno della primavera che incalza. Il sollievo è durato pochissimo, giusto il tempo di approfondire l’argomento

Q

di Federica Miglietta

e di verificare che ciò che è uscito dalla porta (codice penale) è rientrato dalla finestra (altre parti del codice iraniano) e che no, non è vero che le donne iraniane hanno fatto un passo avanti, perché la lapidazione continuerà a esistere e ad essere applicata alle donne adultere (non agli uomini, stando ai dati). E, contemporaneamente, giungono dall’Iraq le voci, ovviamente smentite dalle autorità locali, secondo cui circa novanta adolescenti sono stati lapidati perché vestono in modo troppo occidentale e seguono un gruppo rock i cui connotati sono stati definiti “satanici” dalle zelanti autorità religiose del posto. Dunque, poiché il gruppo in questione è satanico, la polizia religiosa (dal rassicurante nome di “brigata della rabbia”) ha provveduto a lapidare gli adolescenti peccatori. Se non fossimo ancora sufficientemente attoniti, potremmo provare a riflettere sul fatto che il marito del premio Nobel Shirin Ebadi (che non può rientrare in patria, pena un immediato arresto) è stato costretto a ripudiarla pubblicamente per “abbandono del tetto coniugale” e che in Afghanistan l’Alleanza del Nord ha preso delle decisio-

Le donne rimangono – dove vige la sharia e seppure con differenti gradazioni – degradate, vilipese, maltrattate. Oggetti di proprietà e non soggetti, minus habens bisognose della tutela di un marito, di un fratello, di un essere qualsiasi, purché uomo. E allora, mi chiedo, che senso ha continuare a rimanere come forze di peace keeping in Paesi come l’Iraq e l’Afghanistan e contribuire anche economicamente alla rinascita della nuova Libia o della nuova Tunisia? Perché, visto che il ricatto fa parte della abituale politica in uso nei nostri Paesi, non usarlo in funzione di un miglioramento necessario e non più procrastinabile? Aiuti economici versus cambiamenti legislativi, addestramento delle forze locali in cambio dell’abbandono di forme arcaiche e disumane di penalizzazione delle donne e degli indifesi. Tremo al pensiero che qualche componente delle Brigate della rabbia possa essere stato addestrato dai nostri valorosi, rispettosi e rispettabili carabinieri in missione nel post guerra. E non si può tacere davanti al fatto che le mimose, in molti Paesi islamici, non riescono davvero a fiorire. 

TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT

IN PRIMAVERA…

Perché non subordinare gli aiuti economici a Paesi come Libia e Tunisia al rispetto dei diritti di base delle donne? ni che fanno sembrare i Taliban addirittura “progressisti”. Potremmo continuare a lungo, purtroppo; le notizie, nonostante dai primi sommovimenti in Nord Africa e Medio Oriente sia passato quasi un anno, non accennano a migliorare.

INFORMAZIONI SUL SITO www.corsivalori.it | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 37 |


| inumeridellaterra |

500 300

Baciati dal Sole

FONTE: MARKET REPORT 2011 EPIA (EUROPAN PHOTOVOLTAIC INDUSTRY ASSOCIATION) - ILLUSTRAZIONE: DAVIDE VIGANÒ

| insolazione e fotovoltaico |

13

CANADA

500 350

750 700

140 140

di Alberto Nigro

| 38 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

2.000 2.900

GERMANIA

BELGIO

11

5

6

CINA

GRECIA

4.700 1.100

12.500 9.000

12 SLOVACCHIA

ITALIA

2

24.700 7.500

UCRAINA

3

SPAGNA

GIAPPONE

450 300

U

8

1

15

550 350

USA

n impianto fotovoltaico riceve molta più energia nelle dune del deserto che nel cuore dell’Europa, eppure, più della metà dei pannelli installati al mondo si trovano in Germania e in Italia. E tra queste due emerge un altro paradosso: la Germania ha un’insolazione di molto inferiore all’Italia (in particolare il Sud Italia è irradiato il doppio del Nord della Germania), ma ha una potenza fotovoltaica installata quasi doppia rispetto al Belpaese. Solo 7 dei 15 Paesi leader come numero d’installazioni si trovano in una posizione geografica vantaggiosa. I pannelli sono così “mal distribuiti” perché la diffusione del fotovoltaico è stata possibile solo in presenza di adeguate normative (soprattutto europee) e appetitosi incentivi statali. Il 2012 sembra dar ragione ai Paesi che hanno investito in questo settore: il costo dell’energia solare sfiora quello più alto delle fonti fossili e, nelle zone più soleggiate d’Europa, si può cominciare a parlare di grid parity (vedi ARTICOLO a pag. 18). 

FRANCIA

1.500 550

4

7

4.200 400

4.200 1.600

2.500 1.500

10 GRAN BRETAGNA

INDIA

1.200 700

14

I LIVELLI DI INSOLAZIONE NEL MONDO I 15 PAESI CHE HANNO INSTALLATO PIÙ PANNELLI FOTOVOLTAICI

1.0 - 1.9 2.0 - 2.9

Capacità totale installata a fine 2011 (MW)

3.0 - 3.9

Nuovi impianti installati nel 2011 (MW)

5.0 - 5.9

Posizione nella classifica per potenza totale installata

9 AUSTRALIA

4.0 - 4.9 6.0 - 6.9 [Unità di misura: kWh/m2/giorno]

Le bande colorate indicano la differente insolazione a seconda della zona del Pianeta, cioè la quantità di radiazione emessa dal Sole che raggiunge una data superficie in una certa unità di tempo: in questo caso chilowattora al metro quadrato al giorno. Si tratta di un valore medio nel peggiore mese dell’anno, cioè quello con la più bassa insolazione. A partire dai dati sull’insolazione è possibile calcolare l’energia generata da un impianto fotovoltaico nell’arco di un anno. Oltre alla posizione geografica, l’efficienza del pannello dipende da com’è direzionato rispetto al Sole e dal tipo di tecnologia utilizzata. | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 39 |


| made in italy a rischio/puntata 13 |

economiasolidale TANIA / A3 / CONTRASTO

A sinistra: un immigrato impiegato come lavoratore stagionale nella raccolta dei pomodori nelle campagne attorno a Maccarese (Roma)

La filiera del pomodoro rischia il collasso: produzioni diminuite del 30% in dieci anni. Aziende che continuano a chiudere. Rapporti difficili con la grande distribuzione. Prezzi spesso insufficienti a coprire i costi, tanto da costringere ad aumentare le quantità prodotte (ma anche le eccedenze).

Oro rosso Futuro nero

di Emanuele Isonio er secoli lo hanno considerato “l’oro rosso”. Quel soprannome in voga tra i contadini oggi condisce col sapore della beffa la fotografia delle coltivazioni di pomodoro italiane, rendendo ancora più assurdi e intollerabili i racconti dei produttori. Frustrati nel vedere i margini di profitto erodersi fino allo zero. Rabbiosi per la difficoltà di trovare una soluzione che assicuri un briciolo di futuro. Spaventati da una concorrenza estera a bassissimo costo e da mercati internazionali che trattano i prodotti dei loro campi sempre più come una commodity sulla quale speculare. Sconsolati nell’ammettere che in poco tempo rischia di andar perso il patrimonio – economico, agricolo e culturale – lasciato in eredità dai loro padri e dai loro nonni.

P

Se va bene si chiude in pari

La “pummarola” ha sempre più gli occhi a mandorla > 44 L’economia solidale fa breccia in bolletta > 46 Una, nessuna, centomila. Facce della cooperazione > 48 La buona amministrazione sale in cattedra > 52 | 40 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

Che si parli dei pomodori da consumare freschi o di quelli da destinare alla trasformazione industriale (gli esperti spiegano che le due filiere sono ben distinte l’una dall’altra), la preoccupazione dei produttori è la medesima: «Ormai chi li coltiva lo fa per non far chiudere la filiera», racconta Paolo Di Luzio, coltivatore | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 41 |


| economiasolidale |

| economiasolidale |

3.422.244 4.938.000

VENETO

2006 2011

TOSCANA

10%

2.342.600 1.574.000

0%

BASILICATA CAMPANIA

Produzione

Importazioni

Esportazioni

Scarti + alimentazione animale

Disponibilità

Consumo apparente

Consumo apparente pro capite

SICILIA FONTE: DATI ISTAT

| 42 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

1.358.688 1.203.488

5% 250.000 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

PUGLIA

LAZIO

500.000

0

EMILIA ROMAGNA

2.040.920 2.043.639

750.000

1.414.500 1.491.646

15%

3.161.240 2.095.800

16,4%

1.000.000

16,6%

20%

18,1%

22,0%

22,5%

23,4%

21,9%

1.410.700 2.336.580

LOMBARDIA

20,9%

1.250.000

18,8%

1.500.000

809.084 730.311

[Dati in quintali]

25%

22,6%

25,0%

1.750.000

Anche perché spesso i prezzi di vendita sono già di per sé insufficienti. «Nelle regioni meridionali (in cui si coltiva oltre la metà del pomodoro italiano, vedi MAPPA )

PRODUZIONE, LA TOP TEN ITALIANA

IL POMODORO FRESCO IN ITALIA 2.000.000

Strangolati dalla grande distribuzione

17.759.500 18.209.500

e presidente di Aiab Molise. «Con le colture convenzionali, i margini di guadagno spesso non esistono. Se va bene, si chiude in pari. Se poi il raccolto dovesse essere inferiore alle attese vai in rosso in un attimo. Ecco perché, a parte le grandi realtà agricole specializzate, la maggior parte dei produttori affiancano altre coltivazioni a quella dei pomodori. Si diversificano i raccolti sperando di ridurre i rischi». Oppure si orientano direttamente verso altri settori più remunera-

de è passato da diecimila a settemila». Gli alti costi e i bassi margini hanno permesso di rimanere in piedi solo a chi aveva le spalle sufficientemente larghe. «Le aziende – spiega Stefano Franzero, direttore di Unaproa, che associa 157 organizzazioni di produttori operanti in tutta Italia – si sono fortemente specializzate per ottimizzare la resa dei fattori di produzione». «In questo settore si va facilmente fuori mercato – aggiunge Bazzana – perché i costi di produzione sono particolarmente elevati, l’aumento delle dimensioni delle aziende ha imposto la raccolta meccanizzata, che richiede consistenti investimenti iniziali». Il morale della favola è facilmente intuibile: «O si producono quantità sufficienti o non ci si sta con i costi». Peccato che produrre di più significa aumentare il rischio di eccedenze e quindi il crollo del prezzo pagato.

14.935.555 15.408.560

tivi. E non di rado – soprattutto quando ci sono anni con un surplus di eccedenze – i pomodori rimangono nei campi perché raccoglierli non è un buon affare. «Il prezzo lo fa la quantità di pomodoro presente in campagna: se è presente in abbondanza, il prezzo crolla», spiega Lorenzo Bazzana, responsabile del Servizio Tecnico-Economico di Coldiretti. E, infatti, i dati evidenziano come la produzione del pomodoro da mensa sia scesa di un terzo in dieci anni, dal milione e mezzo di tonnellate del 2000 al milione (o poco più) del 2010 (vedi GRAFICO ). Un trend analogo lo fanno segnare i consumi: -35% in dieci anni quelli pro capite. Dai 25 chili annui consumati nel 2000 si è scesi ai 16,4 del 2010. Più importanti (e stabili) i numeri del pomodoro da industria: negli ultimi sei anni la produzione è rimasta attorno alla media dei 5,2 milioni di tonnellate, oscillando, a seconda delle annate, tra i 4,9 milioni del 2008 e i 5,9 milioni del 2007 e 2011. Eppure, dietro questa relativa stabilità, c’è una realtà ben più fosca per molte migliaia di produttori. «In quindici anni – conferma Bazzana – il numero delle azien-

CALABRIA

Sul prezzo finale di sughi e passate, la materia prima incide per meno del 10% dei costi. Pagare meglio i produttori avrebbe quindi un’incidenza irrisoria – afferma Bazzana – si è arrivati a pagare la materia prima 40 euro a tonnellata. E le passate di pomodoro raramente arrivano sugli scaffali con collocazioni di prezzo adeguate. È uno di quei “prodotti-civetta” che la grande distribuzione mette perennemente in offerta promozionale, che viene fatta però pagare al fornitore. Inevitabile che, in questo modo, i produttori siano schiacciati». L’aspetto paradossale sta nel fatto che, sul costo totale del prodotto, l’incidenza della materia prima è assolutamente marginale. Prendiamo la classica bottiglia di passata da 750 ml: trasporto, trasformazione e pubblicità rappresen-

tano il 72% dei costi. Imballaggio ed etichettatura incidono per un altro 19%. Il pomodoro in essa contenuto “vale” appena il 9% dei costi. «Se anche il prezzo pagato ai produttori aumentasse, l’incidenza sul costo finale sarebbe irrisoria» osserva Bazzana. Ma le leggi del mercato non permettono questo tipo di ragionamento. Soprattutto se, dall’altra parte del mondo, c’è qualche altro Stato – leggi: Cina – dal quale la materia prima può arrivare in Italia a prezzi stracciati (vedi ARTICOLO a pagina 44).

Urge un “ragionamento di filiera” Ma, se il rapporto complicato con la Gdo (Grande distribuzione organizzata) e la concorrenza estera (più o meno corretta) accomuna la filiera del pomodoro a quella di molti altri prodotti ortofrutticoli, c’è anche un problema strutturale che viene sottolineato da chiunque conosca da vicino il settore: le aziende di trasformazione, che prendono il prodotto fre-

POMODORI BIOLOGICI: SI PRODUCE DI MENO MA I MARGINI CRESCONO «Noi la scelta di convertirci al biologico l’abbiamo fatta diciassette anni fa. Oggi devo dire che quella decisione si è rivelata un vantaggio dal punto di vista economico. Se non l’avessimo fatta, con le attuali situazioni di mercato, saremmo stati costretti a chiudere». La testimonianza è di Giovanni Sabatelli, titolare della Masseria Giummetta di Montalbano di Fasano (Brindisi). Per lui quella scelta seguiva soprattutto motivazioni etiche («avevamo la nausea delle coltivazioni convenzionali. Volevamo tornare a fare un’agricoltura a misura d’uomo, senza essere costretti a ottenere quantitativi innaturali per starci con i costi»). Ma ha portato benefici materiali tangibili. Anche nel pomodoro il biologico si sta rivelando un importante alleato contro la scarsa remunerazione. Va fatta chiarezza: soprattutto per i pomodori, il biologico non è certo la panacea di tutti i mali. E se le conversioni al bio proseguiranno ai ritmi degli ultimi anni, il mercato potrebbe venire rapidamente saturato. Ma è indubbio che i margini di guadagno per i (pochi) produttori attuali siano maggiori che nelle filiere tradizionali. L’aspetto interessante è che i profitti arrivano nonostante, con il biologico, le quantità di pomodori prodotte siano ben più basse che nel convenzionale: «Oscillano tra 30 e 40% in meno – spiega Sabatelli – e per chi, come noi, coltiva in aridocoltura possono arrivare anche al 50% in meno». Il segreto è unire, al metodo biologico, canali di vendita alternativi alla grande distribuzione: «Non possiamo nemmeno immaginare di avvicinarci alla Gdo (Grande distribuzione organizzata, ndr). Ci strangolerebbe. Dovremmo vendere sottocosto» prosegue Sabatelli. «Molto meglio la vendita diretta ai singoli consumatori e ai Gruppi d’acquisto, con i quali fissiamo prezzi concordati di anno in anno. Solo così chi compra può entrare davvero in contatto con noi e immedesimarsi nei problemi che incontriamo ogni giorno». Em.Is.

sco e lo tramutano in passate e salse, sono troppe e spesso troppo piccole: 178, secondo Coldiretti, con ventimila persone impiegate e un valore alla produzione di oltre 2 miliardi di euro. «Un problema presente soprattutto al Sud – denuncia Franzero – che riduce la capacità di queste aziende di stare sul mercato». La loro solidità finanziaria, infatti, è spesso insufficiente. Non a caso è soprattutto al Meridione che si concentrano i problemi di solvibilità, che danneggiano la capacità di investimento delle aziende agricole. «Abbiamo 25 milioni di euro di contenziosi per mancati pagamenti della materia prima, pari al 10-15% del totale». L’ostacolo potrebbe essere aggirato facendo quello che gli addetti ai lavori chiamano “ragionamento di filiera”: «Produttori e trasformatori – è l’auspicio di Bazzana – devono capire di essere entrambi sulla stessa barca. Ormai la strada è obbligata: è essenziale certificare i costi di produzione per arrivare a contratti che paghino il giusto la materia prima e remunerino in modo adeguato i vari anelli della catena. Evitando la morte di uno o l’eccessivo arricchimento dell’altro». Le esperienze da mutuare da altre filiere non mancano. Il cambiamento di mentalità necessario rimane tuttavia epocale.  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 43 |


| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 13 |

La “pummarola” ha sempre più gli occhi a mandorla di Emanuele Isonio

Un “bug” fra le norme rende possibile un fenomeno che allarma i nostri produttori: produrre sughi e salse con pomodoro concentrato proveniente dalla Cina (ne arrivano via mare 200 tonnellate ogni giorno) e rivenderli come “made in Italy”. Una concorrenza figlia del dumping sociale, ambientale e sanitario assate, sughi, salse: l’Italia è il primo Paese esportatore di trasformati a base di pomodoro. Eppure dietro questi numeri si nasconde una verità che pochi conoscono: nel nostro Paese arriva concentrato di pomodoro estero in quantità sempre maggiori. Il concentrato viene rilavorato e poi esportato come made in Italy. Una triangolazione che i nostri produttori denunciano da tempo e che sta continuando a crescere: nei primi undici mesi del 2011 – accusa Coldiretti – le importazioni di concentrato di pomodoro sono cresciute del 20%. A fare la parte del leone la Cina, che, dopo aver superato l’Unione europea, rappresenta oggi il secondo bacino di produzione dopo gli Stati Uniti: ogni giorno nei nostri porti vengono sbarcati oltre mille fusti di concentrato da 200 chili ciascuno: +16%, dopo che l’anno precedente avevano fatto segnare un incremento del 174% rispetto al 2009. Il fenomeno è reso possibile da un baco nel sistema. O, se preferite, da un vuoto normativo: «Nei contenitori di prodotti a base di pomodoro, venduti al dettaglio – spiegano gli esperti di Coldiretti – è obbli-

gatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro». Ecco spiegato come sulle tavole mondiali finiscano prodotti italiani che in realtà utilizzano materie prime cinesi. «Questa situazione, oltre agli evidenti problemi qualitativi e di sicurezza alimentare, provoca danni economici diretti ai nostri coltivatori e di immagine al prodotto italiano. Una concorrenza sleale frutto di situazioni di dumping sul piano sanitario, ambientale e sociale», spiega Lorenzo Bazzana, responsabile del Servizio Tecnico-economico di Coldiretti. Da qui la richiesta urgente di introdurre un’etichettatura di tutte le fasi produttive: «I consu-

Dopo aver superato l’Unione europea, Pechino è oggi il secondo produttore mondiale di pomodoro, dietro gli Stati Uniti. Le importazioni in Italia sono ancora scarse, ma in un anno sono quasi raddoppiate matori devono poter distinguere la composizione dei prodotti trasformati, altrimenti come si fa a capire da dove arrivano le materie prime?». Fortunatamente i numeri assoluti indicano che non è troppo tardi per inter-

venire. «L’importazione dalla Cina è un fenomeno su cui porre attenzione se ci concentriamo sugli aumenti percentuali. Ma i numeri assoluti sono ancora bassi», osserva Stefano Franzero, direttore di Unaproa (Unione nazionale tra le organizzazioni dei produttori ortofrutticoli, agrumari e di frutta in guscio). Dalle 58 mila tonnellate del 2009 alle 97 mila dell’anno successivo, l’aumento è del 70%. Ma sono ancora una goccia nel mare di pomodoro da industria italiano. Rimane il fatto che l’inattività non è una soluzione. A meno di non voler destinare a declino certo un’altra filiera. Agricola e industriale. 

Terreni demaniali per giovani agricoltori: il Parlamento rende possibile l’affitto di Emanuele Isonio

Ogni anno, l’Agenzia del Demanio dovrà indicare le aree a vocazione agricola di proprietà pubblica da alienare

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| economiasolidale |

LA NUOVA PAC NON AIUTA Per la sopravvivenza del pomodoro italiano di certo sarà meglio non contare troppo sugli aiuti derivanti dalla nuova Politica agricola comune su cui si discute a livello Ue e che sarà in vigore dal 2014 e per i successivi sei anni. A meno di clamorose (quanto inattese) sorprese, i pilastri della riforma seguiranno due direttrici: l’agricoltura italiana vedrà sensibilmente ridotti i fondi finora erogati (si parla di un -7%), per trovare un nuovo equilibrio di risorse tra vecchi e nuovi Stati membri. E i criteri di erogazione verranno sensibilmente mutati: gli aiuti – come già avvenuto dall’anno scorso – non saranno più legati alle quantità prodotte (per evitare i problemi connessi con le sovrapproduzioni) e sarà introdotto l’aiuto unico per tutte le colture. A completare il nuovo quadro il cosiddetto greening, una componente ecologica che servirà a sostenere gli impegni ambientali, mediante un ulteriore aiuto a chi difende il suolo, la qualità delle acque e riduce le emissioni di anidride carbonica. Novità, queste, che certo non renderanno facile la vita ai produttori italiani di pomodoro: gli incentivi, infatti, saranno slegati dalla produttività e dalla qualità delle produzioni. E i Paesi come il nostro, in cui le colture intensive sono più diffuse di quelle estensive, saranno penalizzati rispetto ad altri Stati. Riuscire a costruire una filiera in grado di camminare con le proprie gambe è quanto mai urgente. Em.Is.

Per dire che siamo di fronte a un punto di svolta che favorirà il ritorno dei giovani in agricoltura è ancora presto. Soprattutto perché, per chiarire la reale portata del provvedimento, l’Agenzia del Demanio dovrà prima verificare quanti sono i terreni coinvolti. Ma c’è una norma da tenere sott’occhio, fra i numerosi punti del decreto liberalizzazioni appena licenziato dal Parlamento: è l’articolo 66. In base alla nuova norma, il ministro delle Politiche agricole dovrà individuare, entro il 30 giugno di ogni anno, i terreni a vocazione agricola, di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici, da vendere o da affittare. Un aiuto – secondo gli autori della norma – in favore degli agricoltori e, soprattutto, dei giovani, ai quali è riconosciuto un diritto di prelazione. In realtà la prima stesura aveva allarmato le associazioni del mondo agricolo e ambientalista. Nella versione del decreto uscito da Palazzo Chigi era, infatti, prevista solo la possibilità di vendere i terreni: «Una scelta inaccettabile – commenta Alessandro Triantafyllidis, presidente di Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) – perché si dismetterebbe un patrimonio comune prezioso, si agevolerebbe un processo di concentrazione dei terreni in poche aziende, favorendo le realtà già consolidate, le uniche in grado di sostenere forti investimenti. E poi c’è il rischio che, ad appropriarsi dei terreni a prezzi di favore, sia la criminalità organizzata, attraverso il riciclaggio dei proventi illeciti». Nell’iter di approvazione parlamentare del decreto, alla possibilità

di vendita è stato così aggiunto l’affitto, opzione ben più percorribile per i giovani aspiranti agricoltori perché richiede investimenti ben più bassi. «Il compromesso è abbastanza soddisfacente», commenta Francesco Ferrante, senatore Ecodem del Pd, firmatario dell’emendamento, poi recepito da Senato e Camera. «L’affitto permette di valorizzare terreni che finora non fruttavano un euro allo Stato e dà un’opportunità a molti giovani». E sul rischio-vendita aggiunge: «Dubito che ci sarà la fila per comprare terreni agricoli che, tra l’altro, non possono cambiare destinazione d’uso per i prossimi venti anni». «Il nuovo testo è sicuramente un segnale incoraggiante», ammette Triantafyllidis. «Ma è ancora lontano da quella che noi riteniamo la formulazione ottimale e dalla proposta fatta da quindici associazioni del settore. La possibilità di vendita permane e con essa il rischio di infiltrazione criminale. Tanto più che non viene stabilito un tetto limite massimo per la vendita dei terreni demaniali».

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| economiasolidale | energia etica |

| economiasolidale |

L’economia solidale fa breccia in bolletta

GLI IMPIANTI DEL GRUPPO DOLOMITI ENERGIA PROVE TECNICHE DI UNIONE IL SUD ETICO FINISCE IN UNA SOLA RETE

[Potenza nominale in kW]

PEIO (Cogolo) 27.089 kW TAIO (Malgamare) 3.418 kW 40.780 kW

di Emanuele Isonio

PREDAZZO 10.884 kW

EGNA MEZZOCORONA 71.3341 kW S. LORENZO 39.801 kW IN BANALE VEZZANO 6.575 kW 105.330 kW

Fornire elettricità rinnovabile e scontata: lo prevede un accordo tra l’associazione Co-energia e la Trenta Spa. Sottoscrivendo la nuova tariffa, si finanzierà anche un fondo di solidarietà. Ed è solo il primo passo di un piano ambizioso: superare il monopolio di Enel & Co, dimostrando che un approccio etico è possibile anche nel settore energetico ella difficile battaglia contro il monopolio dei colossi energetici, l’economia solidale ha senza dubbio messo a segno un bel colpo. E dà nuova linfa a quanti ritengono che il mercato si possa orientare in senso etico a partire dalle nostre scelte di consumatori.

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«Vuoi vedere che alla fine questo mondo riusciamo a cambiarlo davvero?». È raggiante Sergio Venezia, coordinatore del Comitato Verso il Distretto solidale (Des) della Brianza e presidente dell’associazione CO-Energia, quando può confermare che il progetto al quale sta lavo-

Da sinistra il bacino e la diga di Careser e la Centrale idroelettrica di Cogolo di Peio

rando da mesi e mesi è finalmente entrato nella fase operativa: CO-Energia, associazione nata nel 2010 per «attuare progetti collettivi di economia solidale», ha infatti stretto una convenzione con la Trenta Spa, società pubblica del gruppo Dolomiti Energia, che fornisce elettricità e gas naturale in tutta Italia e dalla quale dipendono quasi tutte le dighe trentine. Punti cardine dell’accordo: la vendita a prezzi scontati di energia elettrica proveniente solo da fonti rinnovabili e un fondo di solidarietà per alimentare futuri progetti solidali. All’iniziativa, collegandosi al sito www.co-energia.org o www.trenta.it, potranno aderire tutti i cittadini che non vogliono usare elettricità proveniente da fonti fossili: a loro la scelta tra tariffa

QUALI TEMI PER GIUGNO? I GAS SI PREPARANO PER L’ASSEMBLEA 2012 Giugno è ancora lontano. Settembre ancor di più. Ma i preparativi per organizzare il tradizionale incontro annuale dei gruppi d’acquisto, delle reti e dei distretti dell’economia solidale sono già ampiamente in moto. Anche perché l’incontro quest’anno si sdoppierà: a fine giugno (23-24 giugno) nelle Marche sarà ospitata l’assemblea (quella che fino all’anno scorso si chiamava Sbarco Gas). Il 15 e 16 settembre, invece, Venezia sarà teatro del convegno che anticiperà la conferenza internazionale su decrescita, sostenibilità ecologica ed equità sociale del 19-23 settembre. A metà marzo, ad Arcevia (Ancona) si sono tenuti gli incontri introduttivi che hanno dovuto mettere a punto i temi dei gruppi di lavoro e dell’assemblea. Come avvenuto l’anno scorso,

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durante il convegno di giugno, i gruppi di lavoro si concentreranno su temi settoriali (finanza etica, nuova agricoltura, Sud, comunicazione, commercio equo, energia). Ma, rispetto allo scorso anno, l’assemblea dei Gas non si limiterà a riunire le conclusioni dei diversi gruppi. Ci sarà infatti una proposta finale, discussa durante l’ultimo giorno di lavoro. E, diversamente dal passato, le discussioni non si svolgeranno solo durante l’incontro di giugno, ma si avvierà il confronto già prima, in modo da poter avere una base dalla quale partire. Due i temi proposti: il ruolo dell’economia solidale nei processi di trasformazione sociale e le caratteristiche del modello alternativo di comunità proposto dal mondo gasista. Em.Is.

DAONE PIEVE DI BONO 19.945 kW 55.787 kW

STORO 8.711 kW

TRENTO 30,11 kWp

RIVA DEL GARDA NAGO-TORBOLE 48.775 kW 18.654 kW

ROVERETO ROVERETO 30,11 kWp 8.290 kWp AVIO ALA 44.298 kWp 4.326 kWp Centrale idroelettrica Impianto fotovoltaico

VERONA (Bussolengo) 44.842 kWp (Chievo) 27.679 kWp

monoraria o bioraria. In entrambi i casi, la Trenta Spa garantirà uno sconto del 9% sul prezzo della componente energia (che salirà al 12% se il cliente accetterà di ricevere le fatture solo via mail e pagherà la bolletta attraverso la domiciliazione bancaria). «Chi lo vorrà – spiega Romano Stefani, responsabile dell’area mercato di Trenta e firmatario della convenzione – potrà inoltre sceglierci anche come fornitore di gas per avere a che fare con un unico operatore». Sono però altri gli aspetti più innovativi dell’accordo: come il diritto, riconosciuto a co-energia, di fare visite periodiche alle strutture di produzione per verificare che gli accordi sulla fornitura di energia verde siano effettivamente rispettati (la provenienza 100% rinnovabile dell’elettricità usata sarà comunque certificata dal Gse, Gestore nazionale dell’energia). Oppure l’istituzione di un “fondo di solidarietà e futuro”. Ad alimentarlo, una maggiorazione del 2% per ogni chilowattora consumato, addebitata in bolletta e da una cifra di pari importo versata dalla Trenta. Pratiche sviluppate all’interno di molti gruppi di acquisto so-

IMER 15.784 kW CARZANO 6.976 kW GRIGNO 7.676 kW

OLTRE ALLE CENTRALI MAGGIORI (INDICATE NELLA MAPPA) IL GRUPPO GESTISCE ANCHE LE CENTRALI DI COSTABRUNELLA NEL COMUNE DI PIEVE TESINO, POZZOLAGO NEL COMUNE DI BEDOLLO E DI PICCOLA DERIVAZIONE DI LA ROCCA NEL COMUNE DI BREGUZZO, DRO NEL COMUNE DI DRO, FIES NEL COMUNE DI DRO, FONTANEDO NEL COMUNE DI RONCONE, PONTE CORNICCHIO NEL COMUNE DI TRENTO, POZZENA NEL COMUNE DI DAMBEL, SAN MAURO NEL COMUNE DI FORNACE.

«Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada. Gli altri, una scusa». Pensare in grande, soprattutto quando i problemi da superare sono molti, non può essere che salutare. E fa quindi ben sperare il motto che campeggia sulla homepage della neonata Ressud (www.ressud.org): una sola rete di economia solidale che riunisce tutte le realtà del nostro Mezzogiorno. Distretti, Gruppi d’acquisto, produttori, aziende, cooperative, imprese sociali, associazioni, dopo un percorso durato quasi un anno, hanno deciso di creare un organismo che permettesse di rafforzare le connessioni tra i soggetti dell’altra economia meridionale e dare maggiore forza ai progetti dei territori. «Ma questo non ci basta», spiega Aldo Pappalepore, che in Ressud si occupa dell’area comunicazione. «Vogliamo anche rafforzare i rapporti con il Nord, per costruire nuovi spazi per i nostri produttori e dimostrare che un altro modo di concepire i rapporti economici può essere la via d’uscita per molte delle piaghe del Sud». Il primo banco di prova della nuova Rete sarà il progetto “Sbarchi in piazza” (http://sbarchinpiazza.ressud.org) che sta portando gli agricoltori meridionali in un tour che tocca molte città del centro-nord. Obiettivo: creare e consolidare rapporti, costruire occasioni di scambio e aprire nuovi canali di mercato. «Poi – spiega Pappalepore – insieme alle reti del Nord vogliamo avviare sistemi di garanzia partecipata che permettano di affrancarci dalle certificazioni tradizionali. E poi vogliamo diffondere tra gli agricoltori del Sud la cultura e la pratica del biologico, creando con patti di solidarietà le condizioni per la conversione». Em.Is.

lidali, ma che vanno oltre e si rivolgono a tutti i consumatori che condividono i principi dell’economia solidale. Magari geograficamente lontani. Ma eticamente molto vicini. «A fine anno – spiega Sergio Venezia – la somma ottenuta grazie al fondo sarà liquidata a co-energia che la userà per dar vita alla successiva fase del progetto e per iniziative locali».

E ora scatta la fase due Quello avviato a inizio marzo è, infatti, solo il primo passo di un piano ancora più ambizioso, che era già stato messo nero su bianco nel documento approvato dal Comitato Des Brianza nel giugno 2007. L’obiettivo finale è quello di “autoprodurre l’energia elettrica”. Che, poi, nella maggior parte dei casi, significa installare pannelli fotovoltaici sui tetti delle abitazioni e collegarli alla rete elettrica. Facile a dirsi, più complesso a farsi. Soprattutto per chi vive in appartamento: spesso infatti le proposte di sfruttare l’energia solare vengono soffocate sul nascere nelle assemblee condominiali dove prevalgono diffidenza ottusa e diffusa ignoranza. Per aggirare questo ostacolo,

co-Energia pensa di creare delle cooperative per l’installazione di pannelli fotovoltaici da collocare sui tetti di scuole, palestre e altri edifici pubblici che possano concedere i loro lastrici in comodato d’uso gratuito. L’idea è di permettere ad ogni cliente che ha scelto Trenta come gestore elettrico l’acquisto di quote delle nuove cooperative. L’energia prodotta dai pannelli sarà ceduta alla Trenta che la pagherà scontandola dalle bollette dei soci-consumatori. Gli incentivi del Conto Energia rimarranno invece alle cooperative per la manutenzione degli impianti. «Un’operazione win win», secondo Sergio Venezia. «Trenta ci guadagna in numero di clienti. Questi ultimi invece potranno finalmente investire sul solare eliminando sia il limite fisico sia quello economico». Avere un tetto disponibile non sarà più obbligatorio. E ognuno potrà decidere quante quote acquistare, a seconda della propria liquidità. A completare il tutto, la decisione di fissare anche un limite antispeculazione: «Nessuno potrà investire somme maggiori di quelle che avrebbe speso per un impianto da collocare sul tetto di casa propria».  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 47 |


| economiasolidale | le coop che fanno welfare |

| economiasolidale |

A sinistra: le attività di alcune cooperative aderenti a Legacoop A destra: i soci della cooperativa Placido Rizzotto Libera Terra al lavoro durante la scorsa vendemmia in un vigneto di Pietralunga, contrada del comune di Monreale. Nel vigneto è coltivata l’uva Grillo, una varietà autoctona tipica delle coste sicule

Una, nessuna, centomila facce della cooperazione di Corrado Fontana

Diffuse per tutto il Paese e di ogni dimensione, capaci di innovare ma anche di salvare le tradizioni, pronte a diversificare e a competere sul mercato, ma intenzionate a non snaturarsi: così resiste l’Italia delle cooperative ensate alle cooperative. Fatelo la prossima volta che assaporate una marmellata o un vino profumato di Sicilia, che indossate un capo d’alta moda o vi godete le vacanze in agriturismo, che trovate ben curata un’aiuola pubblica o vi affidate a prestazioni ambulatoriali in convenzione, che entrate in un negozietto di alimentari in montagna o bevete acqua pubblica in Trentino. Pensateci perché una buona parte dei beni e dei servizi di cui godiamo quotidianamente è prodotto, gestito, movimentato da imprese cooperative. La cooperazione abbraccia circa il 50% dell’agroalimentare nazionale, più del 30% nei settori del consumo e della distribuzione, più del 13% degli sportelli bancari. Le tre centrali principali della cooperazione italiana (Agci-Associazione generale cooperative

P

NELL’ANNO INTERNAZIONALE DELLA COOPERAZIONE Seconda puntata dedicata al mondo delle cooperative. Valori ha deciso di “festeggiare” così l’Anno internazionale della cooperazione: approfondendo un aspetto diverso di questa realtà economica su ogni numero del 2012.

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Giuliano Poletti, presidente di Legacoop

italiane, Confcooperative e Legacoop) valgono poi il 90% del welfare “fatto” in cooperativa.

Peso specifico elevato Un modello economico e organizzativo multiforme e per natura innovativo, che – si diceva su Valori di marzo – resiste alla crisi meglio delle imprese capitalistiche, tanto che il tasso di fallimento per le cooperative consorziate è, a detta dei tecnici, inferiore del 70% rispetto alle “concorrenti”. Ma, soprattutto, un medesimo impianto normativo basato su alcuni principi fondanti (“una testa un voto”, partecipazione, mutualismo, natura non speculativa, ecc.), la cui concreta realizzazione territoriale e i cui scopi riescono, però, a

esprimere esigenze territoriali e associative differenti. Le cooperative, insomma, non nascono tutte uguali, a cominciare dalla tipologia dell’intervento che distingue le cooperative “a mutualità prevalente” (lo sono ad esempio tutte le banche di credito cooperativo, vedi BOX ), ovvero quelle che svolgono la loro attività “prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi”; oppure che “si avvalgono prevalentemente delle prestazioni lavorative dei soci o degli apporti di beni o servizi da parte dei soci”. Tuttavia è lo scopo per il quale i soci si aggregano a definire il senso di una singola cooperativa (chi si mette insieme per avere una casa, fornire servizi o lavoro, rappresentare le istanze di chi vive di pesca o d’agricoltura) e questo scopo si può perseguire per diverse vie (cooperative sociali sono sia quelle che offrono servizi alla persona che quelle che inseriscono al lavoro soggetti svantaggiati) e può essere promosso da parte di comunità distinte di soci (dettaglianti o consumatori, ad esempio). Un modello capace di adattarsi, quindi, che ha generato grandi realtà produttive (Coop, Valfrut-

LA CORDATA SI FA IN TRE

BANCHE PARTECIPATE Banche sì ma non proprio come le altre. Le BCC, Banche di credito cooperativo, nascono alla fine dell’800 (la denominazione era quella di Casse Rurali ed Artigiane) con l’obiettivo esplicito di contrastare il sistema dei prestiti a usura cui erano costretti coloro i quali non avevano accesso al credito nelle banche ordinarie. La formula imprenditoriale della BCC si basa su cooperazione, mutualità (lo statuto prevede che parte degli utili debba essere impiegata a questo fine, oltre che per beneficenza) e localismo (operando in stretto legame col tessuto territoriale). Proprietari delle BCC sono i soci, i quali ricevono dividendi per un valore simbolico, stabilito per statuto, e contano ciascuno per uno, indipendentemente dalla quantità di quote possedute. Per natura legata al territorio e a una clientela di piccole e medie imprese, artigiani e famiglie, la BCC non predilige pratiche speculative e gode di vantaggi fiscali, in compenso è tenuta a concedere ai soci almeno il 50% del totale del credito. Le BCC sono presenti su tutto il territorio nazionale e organizzate per Federazioni territoriali (15 Federazioni locali: 2 provinciali nel Trentino-Alto Adige, 9 regionali e 4 interregionali) per circa 430 BCC o Casse Rurali (denominazione presente soprattutto nel TrentinoAlto Adige) con una raccolta diretta complessiva di 150 miliardi di euro, articolate in 4.400 sportelli; quasi un milione e 100 mila soci; oltre 6 milioni di clienti; 36.500 dipendenti. Vista la natura “non speculativa” delle attività delle BCC, questi istituti hanno subito limitatamente gli effetti della crisi finanziaria legata ai titoli spazzatura ma stanno soffrendo oggi che la crisi ha colpito il sistema produttivo, con conseguente difficoltà della clientela nel far fronte alle scadenze. La ripercussione si è tradotta in riduzione degli utili sui bilanci del 2010 e 2011.

ta, Unipol, Bcc, Abitare), rappresentando oggi complessivamente oltre il 7% del Pil e dando lavoro a circa un milione e trecentomila persone (è tra i pochi comparti che in questa crisi ha conservato un

LINK UTILI Legacoop, www.legacoop.it Confcoop, www.confcooperative.it Agci, www.agci.it Banche di credito cooperativo, www.creditocooperativo.it La Cordata, www.lacordata.it Goel, www.goel.coop Libera Terra, www.liberaterra.it Il Solco, www.solcoct.coop

saldo occupazionale positivo). Business che funziona, quindi, ma non solo.

“Eticonomia” partecipata Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, definisce «la cooperativa come modello che favorisce la “biodiversità economica”, che ha la preziosa funzione di far accedere a un livello di partecipazione alle strategie societarie un numero più ampio di persone, sviluppando la democrazia economica». Quest’anima ispiratrice muove in Italia centinaia di migliaia di teste e di voti che confrontano ogni giorno un sistema dalla forte impronta etica e partecipativa con l’esigenza di

Ricettività turistica con un ostello, un albergo low cost e delle strutture adibite a residence; servizi educativi e di supporto sociale alle persone fragili; un poliambulatorio con prestazioni di sanità leggera (fisioterapia, odontoiatria). La Cordata, realtà cooperativa milanese, ha così tradotto la propria capacità d’innovazione, diversificando. Perché «In questi tre ambiti – spiega il presidente, Claudio Bossi – interveniamo con tre modalità diverse. Quando parliamo di servizi alla persona, soggetti deboli e aree di più o meno grave marginalità, centrale è il rapporto con l’ente locale, come committente prevalente. Se parliamo invece di ricettività, entriamo in un settore dove la nostra cooperativa ha riversato competenze derivate dall’impegno educativo e dalla valorizzazione dell’elemento relazionale per creare un proprio modello di business. L’area della sanità, invece, è condivisa con altri soggetti: abbiamo creato una società “altra”, Welfare Milano, una srl senza scopo di lucro, condividendo questo percorso imprenditoriale con altre 9 cooperative sociali milanesi». E nel caso della sanità leggera (vedi anche Valori di dicembregennaio) il modello cooperativo di La Cordata ha saputo integrarsi con una srl no profit per gestire un flusso d’investimenti sensibilmente più alto di quello consueto, recuperando competenze di base sul mercato tradizionale (medici, fisioterapisti, direttore sanitario, manager operativi...). Cooperazione sociale multiforme, quindi, in cerca di una sintesi tra sostenibilità economica e principi: «La scommessa – conclude Bossi – è riuscire ad avere una struttura d’impresa e un servizio – il poliambulatorio medico – dove realizzare davvero l’integrazione sociosanitaria, che è il nostro obiettivo di cooperativa».

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competitività delle proprie imprese. L’ambivalenza diventa così dibattito rispetto a una sorta di “questione dimensionale” che opporrebbe, da un lato, la tendenza di certe cooperative ad allargarsi molto, indu-

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strializzando i processi produttivi e di governance e, dall’altro, la fedeltà ai principi di mutualità, territorialità e partecipazione interna. Un’ambivalenza per alcuni manifesta nella grande distribuzione, nel

confronto tra Coop Italia, colosso da 13 miliardi di fatturato nel 2010, e i negozi di comunità della Famiglia cooperativa trentina. Ma un dibattito la cui soluzione il presidente di Legacoop Giuliano Poletti

MILLE FACCE DELLE COOP*

SUD ITALIA NELLA RETE LIBERA COOP IN LIBERA TERRA Si chiama Libera Terra Mediterraneo ed è una società consortile, una srl che include le cooperative di Libera Terra, e altri operatori, dell’agroalimentare biologico, della finanza etica e del turismo responsabile. Dal 2008 fanno parte della sua rete le cooperative Placido Rizzotto, Pio La Torre e Terre di Puglia. Nello scorso maggio si sono aggiunte Lavoro e non solo, Libera Mente, Beppe Montana-Libera Terra e Le Terre di don Peppe Diana-Libera Terra. In questo modo la cultura antimafiosa e l’economia eticamente orientata si diffonde attraverso Sicilia, Calabria, Puglia e Campania con lo sfruttamento di beni e terre confiscate alla criminalità organizzata. Non solo un’esperienza degna di sostegno, ma capace di fatturare oltre sei milioni di euro nel 2009, attraverso la produzione, trasformazione e vendita di prodotti agricoli (vino, pasta, cous cous, legumi, conserve di frutta, salse, prodotti da forno) e grazie all’offerta di turismo responsabile di Libera il g(i)usto di viaggiare. Tutte le cooperative fanno capo a Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, anche la cooperativa pugliese Valle del Marro-Libera Terra, che pure non aderisce al consorzio. «Il concetto di mutualità tra i soci e le cooperative, la spinta ad assumersi le responsabilità in assemblea – ricorda il responsabile della comunicazione Francesco Paolo Citarda – sono componenti essenziali rispetto alla presa di consapevolezza di ciò che s’intende fare, volendo operare dietro un fortissimo carattere etico, che, per essere trasferito al meglio, deve essere equiparato alla qualità dei nostri prodotti. E questo si ottiene solo attraverso un meccanismo di responsabilità condivisa e diffusa, per il quale obiettivo il modello cooperativo è uno strumento fondamentale».

Cooperative false Danno vero di Corrado Fontana

Tra concorrenza sleale e vera attività criminale: il fenomeno delle “coop spurie” è una spina nel fianco del movimento. Un problema economico per il Paese e un enorme danno d’immagine Guerra senza quartiere, tanto più oggi che le risorse economiche scarseggiano, alle cosiddette cooperative false o spurie: questa volontà diffusa e trasversale pervade tutti i rappresentanti del variegato movimento cooperativo. E alla domanda sull’argomento i toni sono quelli più accesi, come emerge dalle parole del responsabile comunicazione di Confcooperative Giancarmine Vicinanza: «Sono sempre imprese delinquenziali

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affida al concetto di “congruità” tra scopi e forma organizzativa e che Giuseppe Guerini riporta alla necessità, valida per ogni soggetto cooperativo, di promuovere il coinvolgimento e la partecipazione dei so-

NEL SOLCO DELLO SVILUPPO «Mai come in questo periodo le cooperative sono legate alla nostra rete perché capiscono che tutela dalla crisi»: così si esprime Dino Barbarossa, presidente del consorzio siciliano di secondo livello (cioè di consorzi e singole cooperative) Il Solco di Catania. Una realtà partita dall’unione di 5 cooperative che oggi conta oltre 160 soggetti impegnati su diversi settori (ambientale, sanitario, politiche del lavoro...), con circa 2 mila persone occupate e un utile di 3 milioni di euro nel 2010. Un insieme perlopiù formato da piccole cooperative per una scelta voluta, a detta di Barbarossa, che privilegia il rapporto con la specificità del territorio delle varie provincie e località isolane.

Ecco le diverse tipologie di cooperative riconosciute dalla normativa nazionale:

GOEL SI FA IN TANTI Nato sulla spinta dell’attività del vescovo simbolo della lotta alla criminalità organizzata monsignor Giancarlo Bregantini, nel 2003 si è costituito il Consorzio Sociale GOEL, operativo nella Locride. Tra i soci troviamo cooperative sociali e consorzi di cooperative sociali impegnate in un ventaglio di attività estremamente diversificato: dall’agroalimentare al turismo responsabile, dall’animazione culturale ai servizi informatici, dalla gestione del verde pubblico alla produzione di tessuti d’alta moda della griffe Cangiari, con uno showroom di vendita posizionato strategicamente a Milano.

e truffaldine nel DNA, che evadono contributi previdenziali e infortunistici, oltre alle tasse, per fare economia pirata, non sempre riconducibili alla criminalità organizzata (nel mercato ortofrutticolo di Milano le false cooperative sono in mano alla ’ndrangheta). Ma non si tratta di cooperative sane che diventano cattive. Nascono criminali, molto spesso con la complicità dei commercialisti, e vivono un anno, qualche mese, poi chiudono e riaprono sotto altro nome». E il danno è anche d’immagine visto che – continua Vicinanza – «la notizia cattiva purtroppo viaggia tre volte di più e più velocemente rispetto a quella buona». Mele marce nascoste nel cesto «Difficile stimare il fenomeno – ci spiega Mario Frascarelli, direttore del Centro Servizi alle Cooperative aderenti a Legacoop di Ancona – tuttavia, orientativamente, si può presumere che le false cooperative non siano da ricercare tra quelle aderenti alle Centrali cooperative in quanto l’attività di vigilanza svolta dalle stesse consente di individuare tempestivamente eventuali cooperative deviate»: bisogna però ugualmente preoccuparsi visto che le imprese cooperative registrate nell’albo ministeriale sono 82 mila

COOPERATIVE DI ABITAZIONE Rispondono alle esigenze di soddisfare un bisogno abitativo delle persone: realizzano complessi edilizi che vengono poi assegnati ai soci in proprietà se la cooperativa è a “proprietà divisa” o in diritto di godimento se la cooperativa è a “proprietà indivisa”. COOPERATIVE DI LAVORO E SERVIZI Si costituiscono per permettere ai soci di usufruire di condizioni di lavoro migliori sia in termini qualitativi che economici, rispetto a quelli disponibili sul mercato del lavoro. Queste cooperative svolgono la propria attività sia nella produzione diretta dei beni che nella fornitura dei servizi. COOPERATIVE DELLA PESCA Sono costituite da soci pescatori e svolgono un’attività con un impegno diretto dei soci o un’attività di servizio ai propri associati, quali l’acquisto di materiale di consumo o di beni durevoli, o la commercializzazione dei prodotti ittici, o la loro trasformazione. COOPERATIVE DI CONSUMO Si costituiscono con lo scopo di assicurare ai sociconsumatori la fornitura di beni, sia di consumo che durevoli a prezzi più contenuti di quelli correnti di mercato. Per raggiungere tale scopo realizzano punti

ci, magari attraverso comitati territoriali. Coop e Famiglia cooperativa, intanto, fanno rete e stringono accordi commerciali che permettono anche la sopravvivenza dei negozi di comunità.  vendita ai quali possono accedere i soci, e, previo rilascio dell’apposita licenza di vendita, anche i non soci. COOPERATIVE AGRICOLE Sono costituite da coltivatori e svolgono sia attività diretta di conduzione agricola, sia attività di commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci. COOPERATIVE MISTE Sono comprese in queste tipologie tutte le cooperative che non rientrano nei settori prima richiamati e che svolgono attività diversificate, quali le cooperative culturali, le cooperative di garanzie che prestano fidejussioni o piccoli prestiti ai propri associati, cooperative che associano gli esercenti di attività commerciali. COOPERATIVE SOCIALI Sono cooperative regolamentate dalla legge 381 del 1981 e hanno come scopo quello di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione umana dei cittadini. Si distinguono in due tipologie: 1. quelle che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi (tipo A), 2. quelle che svolgono attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (tipo B).

QUESTIONE DI PRINCIPIO* Ecco alcuni dei principi basilari che sostanziano la nascita e l’organizzazione di ogni cooperativa: UNA TESTA UN VOTO La cooperativa è l’unica forma imprenditoriale che non consente la concentrazione in poche mani della proprietà di una società. Qualunque sia la quota di capitale posseduta, il valore del socio in assemblea è sempre uguale a uno. PARTECIPAZIONE Solo i soci della cooperativa possono essere eletti amministratori e solo tra essi può essere nominato il presidente. NATURA MUTUALISTICA Il fine di una cooperativa non è il profitto ma quello di: 1. per le Cooperative di consumo, servizi sociali, di abitazione e agricole, procurare ai soci stessi beni e servizi a condizioni più vantaggiose; 2. per le Cooperative di lavoro e servizi la tutela del posto di lavoro e della sua qualità. NATURA NON SPECULATIVA Nel momento dello scioglimento, i soci non possono dividersi il patrimonio della cooperativa, né possono vendere la società nel suo complesso. La legge consente che una parte degli utili non siano tassati, a condizione che siano reinvestiti per lo sviluppo della cooperativa stessa.

Oltre a essere iscritte a questa sezione, le cooperative sociali, a seconda dell’attività che svolgono, devono essere iscritte a una delle precedenti sezioni.

MUTUALITÀ VERSO L’ESTERNO Tra le missioni delle cooperative vi è quella di favorire, con contributi diretti e indiretti, la nascita di nuove cooperative. A questo fine tutte le cooperative destinano il 3% dei propri utili a un fondo mutualistico finalizzato alla promozione e allo sviluppo della cooperazione.

(*) Fonte Diventare cooperativa - Guida pratica: informazioni di base

(*) Fonte Diventare cooperativa - Guida pratica: informazioni di base

contro le circa 43 mila appartenenti all’Alleanza delle cooperative italiane, che riunisce Legacoop, Confcooperative e AGCI e rappresenta circa il 90% degli occupati e del fatturato di tutte le cooperative. E sulla localizzazione del fenomeno nel nostro Paese Frascarelli ricorda che, pur senza dati ufficiali, «le false cooperative hanno maggiore concentrazione nelle zone interessate a pseudo esternalizzazioni industriali e in quelle dove opera la criminalità organizzata». Un fenomeno diffuso in tutta Italia, infatti: al Nord (eclatante l’indagine della Guardia di Finanza di Cremona che ha scoperto fatture false per oltre 600 milioni di euro e 120 milioni di evasione fiscale prodotti attraverso una rete di finte cooperative di lavoro) come al Sud (a Corigliano Calabro la Finanza ha indagato a maggio 2011 352 persone per truffa all’Inps, mentre a Gioia Tauro è finita sotto indagine una grossa cooperativa di logistica). Se le (ri)conosci le eviti L’identificazione delle false cooperative non è però semplice e avviene esclusivamente grazie a ispezioni e controlli, effettuati dalla Guardia di finanza, dall’Agenzia delle Entrate, dalle istituzioni nazionali (Inps e Inail) e locali, a cominciare dagli osservatori

provinciali, costituiti a seguito di un accordo stipulato tra le tre grandi centrali e il ministero del Lavoro. Compito di questi osservatori è il monitoraggio degli andamenti e dello sviluppo delle forme cooperative e, ricorda il presidente di Legacoop Giuliano Poletti, «Non pochi dei casi di cooperative spurie che oggi finiscono sui giornali per comportamenti sleali, che evadono i contributi, non applicano i contratti... hanno origine da un buon lavoro di segnalazione di questi osservatori a Inps, Inail e soggetti vigilanti». Una spia della loro presenza è spesso insita nella partecipazione alle gare d’appalto con un’offerta al massimo ribasso il cui costo del lavoro sia particolarmente concorrenziale: ciò può nascondere l’applicazione di un contratto “piratesco” oppure l’applicazione solo virtuale di un contratto collettivo. La falsa cooperativa, da un punto di vista strettamente formale, ha in comune con quella virtuosa tutto l’assetto normativo, ma nella sostanza differisce, negli obiettivi illeciti che vanno dall’evasione fiscale e contributiva all’illecita somministrazione di mano d’opera al caporalato... oltre ai comportamenti di rilevanza penale che fanno capo al racket delle estorsioni, al condizionamento degli appalti pubblici e al riciclaggio.

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| economiasolidale | a lezione dai sindaci virtuosi |

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La buona amministrazione sale in cattedra di Valentina Neri

Centocinquanta Comuni a scuola di pratiche virtuose. Per conoscere (e replicare) le politiche più innovative n giro per l’Italia gli esempi di gestione sostenibile del territorio sono già parecchi. Perché a raccontarli non possono essere, in prima persona, le amministrazioni che li stanno sperimentando? L’idea è semplice, nasce dalla Scuola delle buone pratiche, diretta discendente della Scuola di Altra Amministrazione, avviata nel 2009 dall’Associazione dei comuni virtuosi. Finora le sessioni informative, dopo aver delineato il quadro normativo di riferimento, esponevano casi virtuosi già realizzati. «Quest’anno – racconta la coordinatrice Loredana Giudici – abbiamo partecipato a un bando della Fondazione Cariplo che chiede di fare qualcosa in più: mostrare un cambio di comportamento. Perciò abbiamo invitato alcuni Comuni, che avevano già partecipato alla scuola, a costruire un “laboratorio” per mettere in atto una buona pratica». Le amministrazioni sono accompagnate da Terre di Mezzo, col supporto della Lega delle autonomie locali. E, in seguito, salgono in cattedra: non per fare il resoconto di opere già concluse (visto che, per raggiungere alcuni degli obiettivi, possono servire anni), ma per mettere in cam-

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CORSICO (MILANO) UNA WHITE LIST PER I LAVORI PUBBLICI La legalità comincia dalle piccole cose. Perché, se tutti rispettano le regole, non solo la società diventa più giusta, ma si impedisce anche che si crei un humus favorevole alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Ne è convinta Maria Ferrucci, sindaco di Corsico, che ha lanciato il “Laboratorio della legalità”. Un’iniziativa complessa, che coinvolge quindici fra politici e funzionari e segue quattro filoni. C’è il fronte della sicurezza e c’è quello della lotta all’elusione e all’evasione fiscale per cui è stato organizzato un monitoraggio del territorio insieme al Servizio tributi e all’Agenzia delle Entrate. Intanto il team degli appalti punta a stilare una white list di società, del tutto trasparenti con la giustizia, a cui affidare le opere pubbliche. Parallelamente sta studiando un modo per agevolare le aziende che, anche nel privato, forniscono le garanzie imposte a chi opera con l’amministrazione pubblica: tracciabilità finanziaria, controlli sui dipendenti, sui componenti del Cda e sull’assetto societario. C’è infine un gruppo che sta stilando il codice etico per i funzionari pubblici e promuove un’iniziativa di sensibilizzazione sul gioco d’azzardo, che, complice la crisi, rischia di avere pesanti conseguenze sociali.

po la propria sperimentazione. Spiegandone obiettivi, ostacoli, principi. Il primo appuntamento, gratuito e aperto a tutti, è per il 30 marzo a Fa’ la cosa giusta!, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, giunta alla sua nona edizione milanese. A ottobre ci si riunirà di nuovo per approfondire i temi affrontati. Negli anni, sono circa 150 i Comuni che si sono iscritti alla scuola. La platea

non è composta solo da amministratori, «ma – continua Giudici – anche da giovani candidati alle elezioni e da molti cittadini attivi: persone che vogliono impegnarsi, anche senza avere una grande esperienza». E che, una volta tanto, cercano di imparare da chi non ha puntato sul cemento, ma sulla legalità, sull’ambiente, sulla qualità della vita. Come i cinque Comuni scelti quest’anno. Ecco le loro storie. 

GAZZADA DI SCHIANNO (VARESE) OBIETTIVO RIFIUTI ZERO

CASELLE LURANI (LODI) ABITARE AD ALTA QUALITÀ

Un territorio di meno di cinque chilometri quadrati ai piedi delle colline della provincia di Varese, per poco più di 4.500 abitanti. Un risultato già raggiunto, con il 65% di raccolta differenziata, che ha permesso di entrare nel novero dei “Comuni ricicloni”, che di anno in anno vengono premiati da Legambiente. Ma l’amministrazione di Gazzada di Schianno vuole fare di più. Per questo ha iniziato a lavorare con la Scuola delle buone pratiche, che, insieme ad Ambiente Italia, ha presentato una serie di opportunità per la riduzione dei rifiuti, già sperimentate in altre realtà simili, che coinvolgono soprattutto le piccole attività commerciali. Ora è il consorzio Coinger – che si occupa della gestione dei rifiuti in ventiquattro Comuni del territorio – a vagliarle, al fine di avviare una sperimentazione.

Un territorio come quello di Caselle Lurani, nel lodigiano, è l’ideale per chi lavora a Milano e non vuole allontanarsene troppo, ma al tempo stesso preferisce una vita meno caotica e immersa nel verde. Ma, in un contesto di villette e palazzine private e rigorosamente recintate, «si rischiava di perdere quel senso di unità sociale che era tipico delle nostre zone e deriva dalle loro radici contadine», spiega il sindaco Sergio Rancati. Il primo cittadino sta quindi studiando un percorso verso un Piano di governo del territorio che punti sulla qualità dell’abitare, garantendo anche una certa polifunzionalità degli spazi. Non solo quartieri residenziali, dunque, ma territori che prevedano luoghi d’incontro, piccole attività di quartiere, spazi che, pur essendo formalmente privati, si aprano a un uso collettivo. Un percorso che è stato valutato e discusso all’interno dell’amministrazione e con i cittadini. «Anche gli operatori dell’edilizia – continua Rancati – si sono resi conto che, in questo momento di crisi drammatica, questa ricerca risulta interessante perché mette in campo una riflessione sui modelli abitativi che cerca di incontrare esigenze nuove».

SORISOLE (BERGAMO) VILLAGGIO ECO-SOSTENIBILE “Abbattere i luoghi comuni”. È questo lo slogan che incuriosisce il sindaco di Sorisole Stefano Gamba, che nel 2010, insieme agli assessori Nicola Bombardieri e Giorgio Bonfanti, ha partecipato alla Scuola delle buone pratiche. «Uno su tutti: l’edilizia costituisce il motore dell’economia?», si chiede Gamba. Se bisogna redigere il nuovo Piano di governo del territorio di un Comune situato all’interno del Parco dei Colli di Bergamo, scardinare questo luogo comune diventa un vero e proprio punto di svolta. Così, in controtendenza, si dice “no” all’ennesimo centro commerciale che sarebbe dovuto sorgere su uno spazio verde di 42 mila metri quadrati. E si inizia a guardare con occhi nuovi all’adiacente area dismessa del Gres di proprietà del gruppo Italcementi. Le idee per riqualificarla sono tante: «Il Parco dei Colli sta lavorando per il recupero delle colture tradizionali – racconta il Sindaco – e si pensa a creare un marchio dei formaggi tipici. Si potrebbe fondare un mercato che valorizzi i prodotti locali. Anche la parte produttiva potrebbe trovare una collocazione, ma con un’area di ricerca e sviluppo e seguendo criteri di eco-sostenibilità». Il masterplan delle potenziali funzioni dell’area verrà presentato a Fa’ la cosa giusta!, in attesa degli interlocutori che raccolgano la sfida: realizzare un villaggio eco-sostenibile.

CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MILANO) ENERGIA DAL SOLE E SCELTE PARTECIPATE A Cernusco sul Naviglio, nella Martesana, tutto è cominciato da un audit energetico finanziato dalla Fondazione Cariplo: vale a dire da una valutazione dell’efficienza del sistema di gestione dell’energia, per poter correggere sprechi e dispersioni. A differenza di tanti Comuni che, bloccati dalla mancanza di fondi, non hanno modo di intervenire, l’amministrazione ha cercato di darsi da fare. Innanzitutto con un bando per un nuovo contratto di gestione calore che ha portato a un risparmio consistente: non solo monetario, ma anche in termini di emissioni nell’atmosfera. In seguito si è puntato sul fotovoltaico: dopo i piccoli impianti sulle scuole, nei prossimi mesi sarà il turno di un’area industriale dismessa, che ospiterà un parco solare. Il tutto coinvolgendo i cittadini, chiamati a partecipare alle scelte del Comune in diverse occasioni: tre consulte a stretto contatto con gli assessori, il Forum giovani, il bilancio partecipato e il Tavolo del lavoro, che analizza la situazione occupazionale sul territorio.

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| elezioni in Francia |

HANS CHRISTIAN PLAMBECK / LAIF / CONTRASTO

internazionale

Stretta di mano e appoggio incondizionato da parte della cancelliera Merkel al candidato Sarkozy

Colpo grosso

Il socialista Hollande è il candidato da battere alle elezioni presidenziali francesi, perché ha promesso di ricontrattare il pacchetto fiscale approvato dall’Europa. Contro di lui anche un patto tra Germania, Italia, Spagna e Regno Unito

alla francese di Paola Baiocchi e Andrea Barolini

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Camerun, nei lager delle banane > 58 Nuovo rapporto Onu sui limiti del Pianeta > 60 Iraq stanco di guerra > 62 | 54 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

ei primi giorni di febbraio, quando il gelo stringeva l’Europa nella sua morsa, un gruppetto di 150 militanti del Front de gauche ha indetto una manifestazione che è stata definita dagli organizzatori e dai media “la marcia dei pezzenti”. Hanno piantato bandiere rosse e offerto uno spuntino con pane, salame e vino rosso, davanti al castello di Yquem, vicino a Sauternes, nel dipartimento della Gironda, dove si produce un vino liquoroso considerato il migliore del mondo – premier cru classé – che continua a stabilire record nelle aste delle bottiglie d’antiquariato: la scorsa estate sono state pagate 75 mila sterline (circa 90 mila euro) per una bottiglia del 1811. I vigneti e il castello sono una delle più belle proprietà di Bernard Arnault, l’uomo più ricco della Francia e dell’Unione europea, quarto nella graduatoria mondiale con un patrimonio stimato in 33 miliardi di euro. Cosa rivendicavano i militanti anticapitalisti del Front de gauche? Di non riuscire ad arrivare alla fine del mese, a causa delle politiche liberiste che stanno riconducendo i lavoratori al medioevo anche in un Paese votato all’assistenzialismo come la Francia. Per questo hanno proposto che l’aumento dell’Iva – previsto da Sarkozy per rac| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 55 |


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FRANÇOIS BAYROU Cattolico, figlio di agricoltori e agricoltore, sposato e padre di sei figli, ha seguito tutta l’evoluzione del partito democristiano francese, il Centre des démocrates sociaux (Cds). Ha dato vita nel 2002 alla nuova Udf (Union pour la démocratie française), partito centrista, democristiano e liberale. Nel 2004 l’Udf è stata co-fondatrice, assieme al partito italiano della Margherita, del Partito democratico europeo (Pde), di cui Bayrou è co-presidente con Francesco Rutelli. Nel 2007 il partito ha subito un’altra trasformazione, non molto condivisa al suo interno, diventando Movimento democratico (MoDem), negli intenti un movimento autonomo dalla destra e dalla sinistra. Nelle precedenti presidenziali, al ballottaggio, l’elettorato di Bayrou ha votato Sarkozy.

EVA JOLY Candidata per Europe écologie e per il Partito ambientalista indipendente. È una norvegese naturalizzata francese. Ha fatto scalpore la sua proposta di rimpiazzare la tradizionale sfilata militare sugli Champs-Élysées con una “marcia cittadina”.

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ZH.WIKIPEDIA.ORG

FRANÇOIS HOLLANDE Candidato del Partito socialista (Ps), dopo la vittoria nelle primarie di ottobre su Martine Aubry, è al momento il favorito nei sondaggi. Laurea in giurisprudenza e formazione all’École nationale d’administration (Ena), la scuola nazionale di amministrazione fondata da De Gaulle dalla quale esce la classe dirigente francese (una sorta di “Bocconi”, ma pubblica e basata sul merito). Durante gli studi all’Ena conosce Ségolène Royal, dalla quale ha avuto quattro figli e si è separato poco dopo la sconfitta della candidata socialista contro Sarkozy, alle presidenziali del 2007. Primo segretario del Ps dal 1997 al 2001, è attualmente presidente del Consiglio generale de la Corrèze; ha sostenuto il sì al referendum per la Costituzione europea, che in Francia è stata bocciata.

WWW.MARISERYER.NET

WWW.FRANCESOIR.FR

FR.WIKIPEDIA.ORG

GLI AVVERSARI DI SARKOZY MARINE LE PEN Figlia di Jean-Marie Le Pen, fondatore nel 1972 del Front national (Fn). Il partito, razzista e ipernazionalista, negli anni ha riempito il vuoto lasciato dallo sbriciolamento del Partito comunista francese, conquistando parte dell’elettorato operaio con parole d’ordine populiste. Una riforma elettorale in senso proporzionale lo favorirebbe molto, perché in conseguenza dello sbarramento del maggioritario finora, anche a fronte di risultati a due cifre, il Front national ha ottenuto pochi deputati. Marine Le Pen sta svolgendo una campagna elettorale che viene definita “moderata” con attenzione ai temi sociali e contraria alla globalizzazione, in cui Sarkozy è «il candidato delle borse e delle banche» e lei è «l’unica alternativa a un sistema che ci farà fare la fine della Grecia». Secondo i sondaggi potrebbe superare il 15% dei suffragi.

JEAN-LUC MELANCHON Candidato per il Front de gauche (Fronte di sinistra), Melanchon faceva parte della corrente Nuovo mondo del Partito socialista. Dopo esserne uscito, fonda il Partito della sinistra che si fonde nel 2009 con il Partito comunista dando vita al Front de gauche. Nei sondaggi si attesta per ora al 10%.

GLI ALTRI IN CORSA Sarkozy incluso, sono dieci i candidati alle presidenziali. Oltre a quelli indicati nelle schede, il Consiglio costituzionale ha convalidato lo scorso 19 marzo i nomi di Nathalie Athaud (per Lotta Operaia), Jacques Cheminade (sostenuto da Solidarietà e Progresso), Nicolas DupontAignan (Prima la Repubblica) e Philippe Poutou (Nuovo Partito Anticapitalista). Dominique de Villepin, invece, non è riuscito a presentare le 500 firme di sindaci necessarie per presentare la candidatura.

Nathalie Athaud

Jacques Nicolas Cheminade Dupont-Aignan

Philippe Poutou

cogliere 12 miliardi di euro necessari per finanziare il costo degli ammortizzatori sociali – sia pagato con il capitale personale di Arnault, che resterebbe comunque enormemente ricco. Senza danneggiare 65 milioni di francesi.

WWW.CHRISTOPHE-MIQUEU.FR

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«Il mondo della finanza è il mio nemico» La provocazione si incentra su un tema che, di fatto, è al centro delle campagne elettorali di tutti i candidati (vedi BOX ) alla presidenza della Francia, primo turno previsto per il prossimo 22 aprile. Una maggiore distribuzione della ricchezza prodotta e la promessa di far pagare la crisi a chi ha di più sono i cavalli di battaglia che stanno facendo conquistare al candidato socialista, François Hollande, il primo posto nei sondaggi per le intenzioni di voto. Frasi come «il mio nemico è il mondo della finanza» e «chi guadagna più di un milione di euro dovrebbe pagare il 75% di tasse» sono musica per le orecchie della classe media francese, che ha visto eroso il proprio potere d’acquisto e sa che la posta in gioco nella prossima presidenza è lo stesso welfare, già oggetto di strette di cinghia negli ultimi anni. Ultime decisioni dell’amministrazione guidata da François Fillon, in ordine di tempo, l’anticipazione di un anno della riforma pensionistica (si potrà accedere alla retraite solo dopo i 62 anni a partire dal 2017 e non più dal 2018), l’innalzamento della Vat (l’Iva francese) agevolata dal 5,5% al 7% e l’aumento delle tasse per le società più ricche (+5%). Ma nella partita elettorale rientra anche il ruolo interventista che la Francia si è cucita addosso con la Libia e che potrebbe rivestire negli scenari mediorientali di Iran e Siria, Paese dove hanno già perso la vita due giornalisti-fotografi francesi.

Un patto anti-Hollande tra Cameron, Monti, Rajoy e Merkel Anche se Hollande, in base alla sua storia politica, viene giudicato un moderato, è sicuramente il candidato che Sarkozy deve battere. Tanto che contro di lui sarebbe stato forgiato, su iniziativa di Angela Merkel, “un patto segreto europeo”. Lo ha scritto il settimanale tedesco Der

Il Front de gauche ha manifestato davanti al castello di proprietà di Bernard Arnault, l’uomo più ricco di Francia e Europa

Spiegel, che afferma: «In colloqui riservati la cancelliera e i leader britannico, spagnolo e italiano hanno concordato di non incontrare lo sfidante socialista Hollande durante la campagna elettorale francese». La ragione di questo patto sarebbe l’intenzione del socialista di rinegoziare il fiscal compact (vedi BOX a pag. 35) e l’insieme delle intese raggiunte nel vertice europeo di Bruxelles del 2 marzo. Palazzo Chigi smentisce e parla per sua parte di ricostruzione fantasiosa. Un’ingerenza simile nella campagna presidenziale di un Paese estero è stata definita da Der Spiegel “Aussenpolitischer Coup”, cioè colpo grosso in politica estera, ma giocando con il significato inglese di coup, cioè colpo di Stato.

Sarkozy si sposta a destra Ma nella sua campagna Sarkozy insiste sul fatto che è solo suo il merito di aver impedito alla crisi di abbattersi sulla Francia con la stessa violenza che in Grecia. E lui si adopererà per rendere ancora più forte l’Esagono, per frenare il suo declino sociale e morale: quindi niente matrimonio per gli omosessuali, ma corsi di formazione per i disoccupati, lotta all’immigrazione, riduzione del numero dei parlamentari e introduzione di una dose di proporzionale nel sistema elettorale. Con ciò strizzando l’occhio a Marine Le Pen, la coriacea figlia di Jean-Marie Le Pen, che è

succeduta al padre nel 2011 a capo dello xenofobo partito Front national (Fn) ed è penalizzata dal maggioritario. Con l’attuale sistema occorre il 12,5% degli elettori di un collegio per conquistare un deputato, mentre il Fn potrebbe rappresentare una dote per Sarkozy. Nel 1986, infatti, quando Mitterand ha modificato in senso proporzionale il sistema, il Front national ha portato a casa 35 deputati. Per intercettare questi elettori già dal primo turno, Sarkozy ha tentato uno spostamento a destra del suo asse e ha chiamato al suo fianco come portavoce della campagna una “tosta”: il ministro dell’Ecologia e dello sviluppo, Nathalie Kosciusko-Morizet, considerata l’anticonformista della destra e la futura candidata presidente nel 2017. Ma nelle ultime apparizioni televisive (lunghe interviste concesse a France 2, TF1 e altre emittenti), il presidente-candidato è sembrato voler correggere il tiro, con toni più da partito popolare. I sondaggi danno infatti Marine Le Pen in continua crescita e forse questo ha convinto l’entourage di Sarkozy a evitare di lasciarsi troppo “scoperto al centro”. Il risultato è apparso però più goffo che altro e il presidente potrebbe ritrovarsi alla fine schiacciato dalla “presa” di

L’ex calciatore Eric Cantona aveva dichiarato di voler partecipare alle elezioni. Per riportare l’emergenza casa al centro del dibattito politico

Hollande sull’elettorato moderato e dalla morsa del Front national.

Farina, uova, maleducazione e calcio Anche in queste presidenziali non manca la maleducazione, come quella di Marine le Pen che legge il giornale durante una trasmissione televisiva, mentre il suo avversario, il comunista Melanchon, interviene. Né mancano le gaffes, si sono visti lanci di farina (ricevuti da Hollande) e di uova (ricevute da Sarkozy). E per poco non c’è stato in pista un outsider che avrebbe fatto parlare di sé: l’ex calciatore Eric Cantona, che in un primo momento aveva avanzato la propria candidatura (trovando subito qualche sindaco disposto a sostenerlo), salvo poi ammettere la “trovata” pubblicitaria: «L’ho fatto per riportare l’emergenza casa al centro del dibattito», ha dichiarato. E dire che un precedente c’è già stato. Nel 1980 Michel Gérard Joseph Colucci, popolare attore comico noto con il nome di “Coluche”, avviò una vera campagna e si presentò a suo modo: «Mi appello ai fannulloni, agli sporcaccioni, ai drogati, agli alcolizzati, ai froci, ai parassiti, ai giovani, ai vecchi, agli artisti, ai galeotti, alle lesbiche, agli apprendisti, ai negri, ai pedoni, agli arabi, ai francesi, ai capelloni, ai pazzi, ai travestiti, agli ex-comunisti, agli astensionisti convinti. Tutti assieme con Coluche! Il solo candidato che non ha alcuna ragione per mentirvi». Chi può dire, oggi, altrettanto?  | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 57 |


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Camerun, nei lager delle banane di Andrea Barolini

Nel Sud-Ovest della nazione africana decine di migliaia di operai lavorano in condizioni al limite della sopravvivenza, per aziende locali e multinazionali

La sveglia è alle 4, al lavoro si resta dalle 6 alle 18, ma anche fino alle 22 (e ovviamente le ore in più non sono pagate). Non solo, il magazine francese racconta anche di pratiche disumane, e illecite anche in Camerun, come lo spargimento di fungicidi per via aerea effettuato mentre i lavoratori sono nelle piantagioni a raccogliere le banane. Mentre la fornitura di equipaggiamenti di protezione, anch’essa disciplinata dalla legge, non sempre viene effettuata. Neppure gli stivali, fondamentali per proteggersi dai serpenti velenosi, sono indossati da tutti. Né i guanti per le donne che lavorano nelle vasche di acqua e cloro in cui si lava il raccolto.

14 ore di lavoro per 30 euro al mese

I

l comune di Penja si trova a meno di cento chilometri a Nord di Douala, nella regione di Moungo, in Camerun: 28.600 persone, circondate dalle migliori terre del Paese. Colline rese fertili dalle origini vulcaniche e dal clima tipico tropicale, caldo e umido. È qui che lavora la maggior parte dei 46 mila operai impiegati nel mercato delle banane. La loro vicenda, fatta di condizioni di lavoro e di vita insostenibili, salari da fame, rischi sanitari e diritti calpestati, negli ultimi mesi è finita sempre più sotto la lente dei media internazionali. Il mensile francese Alternatives economiques ha raccontato la situazione del sito di “Job”, uno dei compound nei quali alloggiano i lavoratori della Cameroon development corporation (Cdc), società | 58 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

Pochi centesimi in più nei mercati occidentali basterebbero a migliorare le condizioni di lavoro semi-pubblica ereditata dai tempi della colonizzazione, le cui coltivazioni (non solo di banane) si estendono lungo il litorale di Tiko. Qui è stato prodotto il 40% delle 240 mila tonnellate di banane che sono state raccolte in Camerun nel 2011, finite poi principalmente sui mercati inglese e francese. Un immenso lavoro che gli operai eseguono tra strutture fatiscenti, fogne a cielo aperto, con poche latrine per centinaia di persone. E un solo giorno di ferie alla settimana.

Come se non bastasse, anche le condizioni economiche sono al limite della sopravvivenza. Affittare una stanza nell’area costa circa 10 mila franchi Cfa al mese, ovvero 15,25 euro: la metà di quanto guadagna un lavoratore. Vengono poi richiesti forfait mensili, intorno ai 5 mila franchi, per la luce elettrica. Altri 2 mila per l’acqua potabile, che comunque occorre andare a prendere alle fontane. Una situazione drammatica, che fu denunciata già ad aprile dello scorso anno da un documentario intitolato “La Banane”, realizzato da Franck Bieleu, la cui proiezione è stata, guarda caso, vietata nel Paese africano: «La media salariale è di 23 mila franchi», ha confermato l’autore. Una cifra con cui è impossibile tirare avanti: basti pensare che in Camerun si stima servano almeno 80 mila franchi al mese per sfamare un nucleo familiare di

sei persone (ovvero il numero medio di componenti nella nazione africana). Da parte sua, la Cdc dichiara di fornire un alloggio gratuito ai propri lavoratori, ma il parco immobiliare risulta largamente insufficiente rispetto alla domanda. A chi avrebbe diritto alla casa ma non riesce a ottenerla, è concesso un rimborso. Pari però solo al 25% dello stipendio. Il tutto fuori dai limiti della legge, dal momento che in Camerun il minimo salariale per un operaio non qualificato al primo impiego è fissato a 31.777 franchi, mentre il livello minimo generale è di 28 mila franchi. Eppure esiste un ente certificatore europeo, GlobalGap, che dovrebbe garantire la qualità sociale e ambientale delle banane camerunensi.

Diritti sindacali? Un miraggio Alcuni lavoratori, per tentare di migliorare le proprie condizioni, hanno cercato di organizzarsi. Ma con magri risultati. Esiste un sindacato, la Fako Agricultural Workers Union (Fawu), che conta quattromila aderenti, di cui duemila operai addetti ai campi di banane. Si tratta però di un’entità senza finanziamenti, in cui lavorano solo 7 persone. Incapace perciò di monitorare realmente la situazione.

Questo vale per la Cdc, anche in ragione della sua natura giuridica semipubblica. Ancora peggiore è la situazione alla Plantations du Haut Penja (Php), azienda di proprietà della francese Compagnie frutière, con sede a Marsiglia, primo produttore del Paese, che controlla il 50% del mercato. «In questo caso non c’è alcun dialogo», denuncia Patrick Vewessee, presidente della Fawu. La Php si è infatti dotata di un sindacato interno, a cui capo è stato posto lo stesso responsabile del personale dell’azienda. Qui le condizioni di lavoro risultano ancora più dure: mezz’ora e non un’ora di pausa a metà giornata, aiuto per l’alloggio non superiore ai 5 mila franchi. «La Php è estremamente potente – ha spiegato Bieleu nel suo documentario – dal momento che può contare sull’appoggio di influenti personaggi politici e delle élite locali». Anche per questo «alcune persone che si sono rifiutate di cedere le proprie terre sono state imprigionate. Nonostante ciò il governo ci ha impedito di esprimerci». Ciò che fa più rabbia è il mero calcolo di quanto ci vorrebbe per cambiare le cose. Garantire un salario umano agli operai africani non graverebbe, infatti, se non in modo del tutto marginale sul prez-

IL MERCATO AFRICANO DELLE BANANE L’Africa esporta solo il 3% delle banane prodotte in tutto il mondo. La mancanza di infrastrutture comporta, infatti, un netto aumento del costo delle coltivazioni: due volte tanto rispetto a quelle dell’America Latina e, per questo, i grossisti preferiscono acquistare altrove. Mancano i sistemi di imballaggio, così come i concimi: i produttori li importano e questo grava sui prezzi per il 45%. Non solo: quasi tutta la produzione va in Europa, dal momento che l’America del Nord e l’Asia sono troppo lontani. Nel maggio del 2010, inoltre, l’Ue ha siglato due accordi bilaterali con la Colombia e il Perù, che abbassano i diritti doganali proprio sulle esportazioni di banane, fissandoli a 75 euro per ciascuna tonnellata (contro i 148 imposti agli altri Stati). E si attende un’intesa simile anche con l’Ecuador. Per le banane africane, insomma, è difficile immaginare un futuro rigoglioso.

zo delle banane nei supermercati occidentali. La mano d’opera rappresenta solo lo 0,07% del costo finale del prodotto, nel caso della frutta camerunense. Un paio di centesimi in più pagati nel Nord del mondo, insomma, potrebbero cambiare radicalmente la vita di decine di migliaia di persone. 


| internazionale | sostenibilità |

| internazionale |

Un nuovo rapporto Onu dice: «Non c’è più tempo»

Agricoltura, mancano 30 miliardi di investimenti

di Andrea Barolini di Andrea Barolini

A pochi mesi dalla Conferenza mondiale sul Clima di Rio, un rapporto voluto dal segretario generale Ban Ki-moon ammonisce: «Abbiamo violato i limiti della Terra. Se non si rinuncerà ai risultati di breve termine, non salveremo le future generazioni»

G

razie al rapporto Our common future (Il futuro di ciascuno di noi) firmato nel 1987 dall’allora presidente della Commissione mondiale su Ambiente e sviluppo, Gro Harlem Brundtland, si introdusse per la prima volta la nozione moderna di “sviluppo sostenibile” nel dibattito internazionale, puntando il dito contro la grande povertà del Sud e i modelli di produzione e di consumo del Nord. Lo scorso 30 gennaio è stato pubblicato dall’ufficio del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, un altro rapporto Resilient People, Resilient Planet: A future worth choosing (Persone resilienti, Pianeta resiliente: il futuro vale una scelta). E già si parla di un documento successore del rapporto Brundtland. A redigerlo sono stati ventidue esperti di alto livello, tra i quali il ministro indiano dello Sviluppo rurale Jairam Ramesh, il ministro brasiliano dell’Ambiente Izabella Teixeira, il commissario europeo al Clima, Connie Hedegaard, e la stessa Brundtland. Il risultato è un monito ai governi di tutto il mondo ad agire immediatamente. L’obiettivo di Ban Ki-moon era infatti quello di aumentare la pressione politica in vista della Conferenza mondia| 60 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

le sul clima Rio+20, che dal 20 al 22 giugno si terrà in Brasile. In cento pagine si traccia un quadro che dovrebbe convincere capi di Stato e di governo a non perdere più altro tempo. Lo sviluppo sostenibile, hanno spiegato gli esperti, oggi è una necessità impellente. Negli ultimi decenni, si legge nel rapporto, la povertà nel mondo è diminuita. E si prevede, di qui al 2030, che in Asia, America Latina e Africa, 70 milioni di persone all’anno raggiungeranno la “classe media”: soddisfare i loro bisogni implicherà aumentare la produzione agricola del 50%, quella energetica del 45% e la disponibilità di acqua del 30%. Il che, semplicemente, è incompatibile con quelli che vengono definiti “i limiti del Pianeta Terra”. Resilient People fa riferimento a un altro studio, firmato dall’esperto di risorse marine Johan Rockström per lo Stockholm Resilience Center, secondo il quale occorre immaginare delle frontiere nello sfruttamento delle risorse della

A distanza di venticinque anni, due documenti delle Nazioni Unite costituiscono una prova della scarsa efficacia dell’azione di governi e istituzioni internazionali sul tema dello sviluppo sostenibile. Dal rapporto del 1987 (a sinistra) di Gro Harlem Brundtland, medico e già direttrice generale dell’OMS, a quello di un panel di esperti pubblicato dal Segretario generale dell’ONU a gennaio si è fatto troppo poco

Terra, all’interno delle quali possiamo vivere in uno “spazio di sicurezza”. Si tratta di limiti che in tre casi – climate change, ciclo dell’azoto e biodiversità – sono già stati superati. «Corriamo il rischio – ammoniscono gli autori del rapporto – di condannare fino a tre miliardi di persone alla povertà. È per questo che è difficile ritenersi contrari al principio dello sviluppo sostenibile». Eppure politici e istituzioni faticano a passare dalle parole ai fatti. Il motivo? «Per loro il tempo che conta è quello presente: si cercano solo risultati sul breve termine», accusano senza mezzi termini gli stessi esperti.

Un nuovo paradigma Gli autori propongono 56 raccomandazioni per ottenere un «cambiamento di paradigma». A cominciare dai metodi per misurare la crescita economica, che «dal 2014 in poi dovrebbero essere modificati radicalmente». Indispensabile l’abbandono del concetto di Prodotto interno lordo, a favore di un indice dello sviluppo sostenibile che tenga conto del consumo di risorse. «La maggior parte dei beni e dei servizi che sono venduti oggi non integrano correttamente i costi sociali ed ambientali provocati dalle produzioni», scrivono gli esperti. Resilient People, Resilient Planet, insomma, è al contempo un grido d’allarme e una pesante responsabilità per chi prenderà parte ai negoziati in occasione di Rio+20. Un documento avanzato, soprattutto considerando la natura istituzionale di chi lo ha scritto. Lo stesso Pat Lerner, senior political advisor di Greenpeace international, ne ha sottolineato la bontà complessiva. 

Coltivare la terra nei Paesi in via di sviluppo è sempre più difficile. Il vicepresidente dell’Ifad ammette: «Spesso le politiche dei governi favoriscono le grandi agroindustrie» Per i piccoli agricoltori, soprattutto nel Sud del mondo, le condizioni di lavoro sono sempre più difficili. Le risposte di governi e istituzioni internazionali non sono state sufficienti. Lo ammette anche Kevin Cleaver, vicepresidente dell’International fund for agricultural development (Ifad) delle Nazioni Unite, intervistato da Valori: «Occorre cambiare mentalità». Perché non si riesce a vietare il land-grabbing e si punta invece su norme volontarie? Rimaniamo convinti che le linee guida volontarie siano un metodo appropriato per spingere verso buone pratiche. Nel frattempo, però, le coltivazioni sono sostituite con fiori da recidere o più remunerativi biocarburanti. Ciò fa diminuire la produzione di beni alimentari e i prezzi schizzano alle stelle. Le guidelines da sole non bastano per le sfide che abbiamo di fronte. Ma insieme a una mobilitazione sociale possono comunque aiutarci a confrontarci con le preoccupazioni legate al land-grabbing. In tutto ciò appaiono evidenti le responsabilità di alcuni governi nei Paesi in cui l’Ifad opera… I governi dovrebbero incoraggiare lo sviluppo della piccola agricoltura. Generalmente, però, non concedono finanziamenti sufficienti e le loro politiche di fatto favoriscono la grande industria. Mancano all’appello, a livello globale, IFAD È… investimenti tra i 14 e i 30 Il fondo Ifad è un’agenzia specializzata miliardi di dollari all’anno. dell’Onu, con sede a Roma, nata nel 1978. Da allora ha investito circa Che andrebbero gestiti 13,7 miliardi di dollari, sotto forma in modo responsabile e di donazioni e prestiti a tassi agevolati, trasparente, attraverso per finanziare progetti nel Sud del i partner internazionali mondo. È costituita da un e le organizzazioni della partenariato che comprende 167 Stati, società civile. Si tratta tra membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), di un deficit finanziario dell’Ocse (Organizzazione che mette in pericolo per la cooperazione e lo sviluppo la sicurezza alimentare economico) e altre nazioni e la stessa lotta alla povertà. in via di sviluppo.

Kevin Cleaver, vicepresidente dell’Ifad

Questo dal punto di vista “pubblico”, nel caso delle multinazionali il loro approccio spesso non è orientato alla sostenibilità, né per l’ambiente né per le comunità. Gli investimenti del settore privato possono giocare un ruolo importante per colmare il deficit di cui ho parlato. E non è detto che l’orientamento al business sia per forza incompatibile con gli interessi dei piccoli agricoltori.

In concreto, però, spesso lo è… Ma si possono prevedere approcci che promuovano mutui benefici per coltivatori e investitori, scegliendo preferibilmente partnership che non prevedano grandi acquisizioni di terreni. Bisogna condividere rischi e benefici, promuovendo business “inclusivi”. A patto che sia garantito anche ai piccoli soggetti l’accesso al mercato, che sia incentivata la loro organizzazione, che sia loro garantita una voce politica. Si verificano casi incredibili, come quello dell’Armajaro Holdings, fondo speculativo inglese che nel 2010 ha comprato 40 mila tonnellate di cacao, facendo esplodere il prezzo. Anche un esperto dell’Onu, Olivier de Schutter, ha confermato che il costo dei beni alimentari cresce per le speculazioni. Crediamo che i prezzi siano saliti per una serie di cause: tra queste la speculazione. Ma anche per questioni relative alle scorte, ai disastri naturali, alla struttura dei mercati agricoli. A giugno il mondo si riunisce a Rio per la Conferenza sul clima. Ancora una volta da un summit può dipendere il futuro di milioni di piccoli coltivatori. Occorre garantire loro supporto per adattarsi agli impatti del cambiamento climatico. Credo che il lavoro svolto dai consessi sotto l’egida delle Nazioni Unite sia molto importante. Ma è chiaro anche che serve un cambiamento di mentalità collettivo. Agricoltori, comunità locali, governi: tutti devono fare la loro parte. Un altro ostacolo per gli agricoltori nei Paesi in via di sviluppo è la mancanza di prestiti. Una via utile può essere quella del microcredito. In India, però, si parla di contadini ultra-indebitati, di metodi di riscossione degni delle peggiori mafie... L’accesso ai servizi finanziari è cruciale per il successo delle iniziative nelle aree rurali e per l’economia in generale. Le vicende dello scorso anno dimostrano che le istituzioni finanziarie internazionali, le agenzie bilaterali, le Ong e lo stesso Ifad non hanno compreso la vera natura di tale domanda di credito. Spesso perché non si conoscono abbastanza le vite reali di chi chiede denaro. Occorre fornire un ventaglio più ampio di servizi micro-finanziari, anche al di là dei micro-prestiti. 

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| internazionale | osservatorio medio oriente |

| internazionale |

Ordinamento politico: democrazia parlamentare Capitale: Baghdad Superficie: kmq 438.317 (una volta e mezza l’Italia) Indipendenza: 3 ottobre 1932 dall’amministrazione britannica su mandato della Lega delle nazioni Popolazione: 31.129.225 (stime 2012): 75/80% arabi, 15/20% curdi, 2% turchi, poi caldei, assiri, iraniani Lingue: arabo, curdo (una lingua della famiglia iranica) Religione: Musulmani 97%, di cui 60/65% sciiti, sunniti 32/37%, cristiani e altri 3% Moneta: dinaro iracheno Alfabetizzazione: 74,1% (uomini 84,1%. Donne 74,1%)* Mortalità infantile: 40,25 morti/1.000 nati Speranza di vita alla nascita: 70,85 anni Disoccupazione: 15% (stima 2010) Popolazione sotto la soglia di povertà: 25% (stima 2008) Industrie: petrolio, prodotti chimici, tessili, cuoio, materiali da costruzione, industria alimentare, fertilizzanti, lavorazione e montaggio di carpenteria metallica Pil: 127,2 miliardi $ Pil pro capite: 3.900 $ (stime 2011) Debito estero: 45,29 miliardi $ Spese militari: 8,6% del Pil, nel 2006

L’Iraq stanco di guerra di Paola Baiocchi

* popolazione di 15 o più anni in grado di leggere e scrivere

Lo scorso dicembre gli Stati Uniti hanno completato la ritirata delle ultime truppe dalle basi irachene. Lasciano un Paese da ricostruire, in cui le tensioni tra sciiti, sunniti e curdi saranno i detonatori delle prossime divisioni

«P

redatori del mondo intero, i Romani, dopo aver devastato tutto, non avendo più terre da saccheggiare, vanno a frugare anche il mare; avidi se il nemico è ricco, smaniosi di dominio se è povero, tali da non essere saziati né dall’Oriente né dall’Occidente, gli unici che bramano con pari veemenza ricchezza e miseria. Distruggere, trucidare, rubare, questo, con falso nome, chiamano impero e là dove hanno fatto il deserto, lo hanno chiamato pace»*. Scritte nel primo secolo dopo Cristo, le parole di

Gli sciiti rappresentano la minoranza dei musulmani, ma sono maggioritari in Iran, in Iraq (dove sono tra il 60 e il 65%) e nel Bahrein (62%). Sono presenti in Pakistan (20%), in Afghanistan (20%), in Siria (17%), nel Kuwait (30%). In Libano sono sciiti gli Hezbollah (30%). I principali luoghi santi degli sciiti sono in Iraq | 62 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

Tacito sulle conquiste dei romani sembrano tagliate su misura sull’Iraq, la terra tra i fiumi Tigri ed Eufrate, oggetto di troppe attenzioni da parte degli imperialismi occidentali, inglesi, tedeschi, francesi e statunitensi a partire dall’inizio del XX secolo. Lo scorso dicembre le truppe statunitensi hanno ultimato la ritirata di 170 mila militari dalle 509 basi irachene, lasciando un centinaio di militari a difesa dell’ambasciata americana nella zona verde di Baghdad, e circa 5.000 contractors utilizzati dal Dipartimento di Stato e dalle imprese private. Alle loro spalle c’è un Paese dove ancora si contano almeno 10 morti al gior-

4.045 decessi di civili nel 2010 4.087 nel 2011 Da 162.000 a oltre 1 milione i morti tra civili e combattenti LIBRI

no: secondo Iraq body count (Ibc) sono stati 4.087 i civili uccisi in attentati o in incidenti nel corso del 2011, quarantadue decessi in più rispetto al 2010. Dall’inizio della seconda Guerra del Golfo, il 19 marzo 2003, fino ad oggi il database di Ibc (vedi BOX ) ha documentato 114.631 decessi di civili iracheni. Ma, soprattutto, gli Stati Uniti lasciano un Paese in cui hanno smantellato l’impianto laico, sostituito con uno Stato confessionale governato da sciiti, sunniti e curdi, che sarà l’origine della prossima divisione dell’Iraq. Un Paese in cui la condizione delle donne è tornata quella degli anni ’20; dove tutte le infrastrutture, dalle strade agli acquedotti, dopo dodici anni di embargo e nove di guerra sono da ricostruire; un Paese in cui i musei nazionali e i siti archeologici sono stati saccheggiati o bombardati e le banche dei semi, che conservavano varietà millenarie, sono state distrutte.

Attentati ai danni degli sciiti Vali Nasr prefazione di Farian Sabahi La rivincita sciita Iran, Iraq, Libano. La nuova mezzaluna Università Bocconi editore, 2007

La contrapposizione tra sciiti e sunniti nasce proprio in Iraq nel 656. Al momento della successione di Alì, il quarto califfo dopo Maometto, un’altra componente rivendica di avere diritto al titolo; attorno ad Alì si raggruppano i suoi sostenitori (shiat Alì), gli sciiti (vedi Valori aprile 2010). Destituito, Alì dà vita comunque a una linea di imam avversari dei califfi. Tuttora la concezione dell’imamato è la differenza più evidente tra sciiti e sun-

FONTE: CIA WORLD FACTBOOK, 2012

IL PAESE IN CIFRE

LA MEZZALUNA FERTILE Nella Mezzaluna fertile, l’area tra i due fiumi Tigri ed Eufrate, attorno all’8000 a.C. l’umanità ha iniziato la coltivazione dei cereali. Da qui i cereali addomesticati sono stati diffusi in tutto il continente asiatico, in Europa e in Africa, permettendo la nascita di città e società complesse, come quella dei Sumeri che, sempre nella Mezzaluna fertile, nel 3000 a.C. hanno inventato la scrittura. Sumeri, Assiri, Babilonesi, e poi i Parti, i Romani sono solo alcuni dei popoli che si sono contesi questo territorio, punto di incontro sulla via della seta tra la Cina, l’Europa e l’Africa che, dopo essere stato parte dell’impero ottomano, dal 1920 viene amministrato dalla Gran Bretagna su mandato della Società delle nazioni, l’antenata dell’Onu. Nel 1932 l’Iraq ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna, anche se resta fino agli anni ’60 una delle basi militari mediorientali più importanti per gli inglesi e una delle loro principali fonti di approvvigionamento di petrolio. L’Iraq è repubblica dal colpo di Stato del 1958 del generale Karim Kassem, in cui viene ucciso re Faisal II. Nel 1960 l’Iraq è tra i fondatori dell’Opec, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. Dopo altri due golpe militari, nel 1963 e nel 1968, in Iraq il potere viene assunto dal Consiglio del comando della rivoluzione, che elegge tra i suoi membri il presidente della Repubblica, affiancato dal 1973 da un’Assemblea legislativa di 250 membri, eletti per quattro anni. Nello stesso periodo l’Iraq nazionalizza la compagnia petrolifera e stabilisce rapporti di collaborazione con l’Unione sovietica, tornando poi ad allinearsi su posizioni filo-occidentali. Nel 1979 diventa presidente Saddam Hussein intenzionato a trasformare l’Iraq in potenza regionale e Stato guida del mondo arabo. Nel 1980 la disputa sul controllo dello Shatt al Arab innesca una guerra con l’Iran, sostenuta dagli Usa, che dura otto anni mettendo in ginocchio l’Iraq. Lo Shatt al Arab è il fiume formato dalla confluenza del Tigri e dell’Eufrate, su cui si affaccia la città irachena di Bassora, navigabile per un vasto tratto e perciò strategico per il passaggio delle petroliere. Nel 1990 l’Iraq invade il Kuwait, accusandolo di sfruttare il petrolio iracheno con trivellazioni orizzontali attraverso i confini. Nel gennaio 1991 gli Usa di George Bush padre intervengono contro l’Iraq con una coalizione internazionale, costringendo gli iracheni alla resa dopo un mese di guerra e almeno 100 mila vittime. Negli anni successivi Hussein rimane alla presidenza reprimendo nel sangue le rivolte dei curdi al Nord e degli sciiti al Sud. L’embargo stabilito dall’Onu nel 1991 dopo l’invasione del Kuwait è durissimo e causa almeno un milione di morti, per la metà bambini. Nel marzo 2003 gli Stati Uniti, con una coalizione detta di “volenterosi”, invadono l’Iraq; nonostante Bush figlio abbia dichiarato il 1° maggio 2003 “missione compiuta” le truppe americane lasciano definitivamente il Paese il dicembre scorso.

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| internazionale |

niti: l’imam incarna sia l’autorità temporale che quella spirituale ed è considerato la continuazione del ciclo della profezia. Gli sciiti rappresentano la minoranza dei musulmani, ma sono maggioritari in Iran, in Iraq (dove sono tra il 60 e il 65%) e nel Bahrein (62%). Sono presenti in Pakistan (20%), in Afghanistan (20%), in Siria (17%), nel Kuwait (30%). In Libano sono sciiti gli Hezbollah (30%) e una piccola percentuale di sciiti è presente anche in Arabia Saudita (3%). I principali luoghi santi degli sciiti sono in Iraq, dove sono sepolti dodici dei diciotto imam successori del Profeta. Per AsiaNews, l’Agenzia di stampa del Pontificio istituto per le missioni estere (Pime): «In Iraq è in atto un piano per la frammentazione della nazione, studiato a lungo a tavolino, cui mancava solo un pretesto per l’attuazione definitiva». «Il più recente capitolo di questa saga – continua AsiaNews – è il conflitto che si è aperto fra sunniti e sciiti, provocato dalle divisioni interne al governo, divenute quasi insanabili dopo che il premier sciita Nouri al-Maliki ha emesso un ordine di cattura per il vice-presidente, il sunnita Tariq al-Hashemi, accusato di finanziare gruppi terroristi e rifugiatosi al Nord, nella regione curda». Una situazione esplosiva, destabilizzante e facilmente influenzabile dai Paesi confinanti, che viene rinfocolata dai numerosi attentati ai danni degli sciiti in Iraq, che nei primi giorni dell’anno hanno causato più di cento vittime e un migliaio di feriti. Per l’Iraq, stanco di guerra, ancora non c’è pace. 

«NOI NON TENIAMO IL CONTO DEI CORPI» I decessi dei civili sono solo “effetti collaterali” nella neolingua usata per commentare le “guerre chirurgiche” inaugurate nei Balcani negli anni Novanta e continuate nel Golfo Persico. «Non teniamo il conto dei corpi», afferma infatti il generale Tommy Franks, che guida l’invasione statunitense dell’Iraq e la destituzione di Saddam Hussein nel 2003. Si chiama invece Iraq body count (Ibc) il progetto nato nel gennaio 2003 per iniziativa di volontari inglesi e Tommy Franks, generale statunitense statunitensi, con l’intento di documentare gli effetti dell’intervento militare sui civili iracheni. Il database di Ibc, utilizzando rapporti in lingua inglese di mezzi di informazione arabi o occidentali, report delle Ong e documenti ufficiali, stabilisce che sono stati 162 mila i morti di questa guerra, tra civili e combattenti. Esistono molte altre fonti che ritoccano verso l’alto queste cifre: sarebbero 654.965 i decessi fino alla fine del 2006, per la rivista scientifica Lancet. Mentre secondo il sondaggio svolto dall’Opinion reserach business, presso le famiglie irachene, sarebbero 1.033.000 le morti violente a causa della guerra dell’Iraq. http://www.iraqbodycount.org/ http://costsofwar.org/

* Tacito, Agricola (De vita et moribus Julii Agricolae), 98 d.C. circa.

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altrevoci MALATTIE DA OSCAR 2012 LE SCELGONO LE MULTINAZIONALI DEL FARMACO

LE BORSE FUORI DALLA CRISI L’ECONOMIA REALE RESTA FERMA

Big Pharma, la rete delle multinazionali del farmaco, programma oggi quali guai di salute avrete domani. Propone alla comunità scientifica, magari sulla stampa di settore, le malattie su cui intende investire e le inocula nel senso comune con la pubblicità. La tesi è ben documentata da un articolo di Martha Rosenberg, giornalista esperta di salute del magazine statunitense Consumers Digest, che scommette su quali saranno le patologie blockbuster per il 2012. Ed espone un catalogo dei pre-requisiti perché una malattia possa diventare campionessa d’incassi: deve esistere, ma offrire “spazio di manovra” diagnostico e poche prove certe della sua presenza; deve contemplare sintomi poco evidenti, ma gravi conseguenze e peggioramenti se non viene trattata; deve essere poco conosciuta e analizzata, con difficoltà di trattamento; deve offrire spiegazione a vaghi problemi di salute già riscontrati dal paziente; deve avere un nome o una sigla facile da ricordare e di immediata identificazione medica e, soprattutto, deve essere curabile con un nuovo farmaco costoso senza equivalenti generici. Gli Oscar di Big Pharma del 2012 potrebbero quindi essere queste: Adult Adhd, ovvero deficit dell’attenzione e iperattività disorganizzata negli adulti; e poi artrite reumatoide e fibromialgia, cui si aggiungono alcuni disturbi del sonno (una vera “miniera d’oro”, secondo la Rosenberg). [C.F.]

CALCOLARE IL BENESSERE? A ROMA LO FANNO I CITTADINI

TERRA FUTURA 2012 PROTAGONISTA IL LAVORO

ACQUA IN BOTTIGLIA ITALIA PRIMA IN EUROPA

Che sia necessario trovare nuovi indicatori, migliori del Pil, per misurare il reale benessere di una popolazione è ormai indubbio. Ma chi deve scegliere quali parametri usare e quale importanza dare a ognuno di essi? In Provincia di Roma hanno risolto così: attraverso il sito http://capitalemetropolitana.provincia.roma.it i cittadini possono esprimere il loro giudizio assegnando un valore da 1 a 3 a 17 voci divise in 6 categorie. Un percorso di partecipazione pubblica al termine del quale verrà composto il set di indicatori che saranno poi utilizzati dall’amministrazione provinciale per valutare il grado di benessere collettivo.La decisione della Provincia di Roma arriva mentre, anche a livello nazionale, proseguono i lavori per fissare il set di indicatori. A marzo si è riunito il comitato di esperti del Cnel e dell’Istat, che pubblicherà a dicembre prossimo il primo rapporto sullo stato del benessere equo e sostenibile del Paese. Un sondaggio preliminare realizzato dall’Istat su 45 mila persone ha mostrato come la salute resti la voce più importante, seguita dal futuro dei figli e dalla possibilità di avere un lavoro e un reddito dignitosi, e buone relazioni con amici e parenti. La partecipazione alla vita della comunità era invece all’ultimo posto.

Non manca molto al ritorno a Firenze per il consueto appuntamento di Terra Futura (25-27 maggio alla Fortezza da Basso). Tema centrale della mostra-convegno di quest’anno sarà il lavoro. Di più, la restituzione di valore al lavoro, per riportarlo al centro dell’agenda politica di un’Europa sempre più consunta dalla crisi e spinta verso derive di nuovi egoismi sociali e nazionali. Come estremo effetto della finanziarizzazione dell’economia, ricorda infatti la Fondazione Culturale Responsabilità Etica, tra gli organizzatori dell’evento, «il lavoro diventa costo (da tagliare), vincolo alla libertà d’impresa (o meglio di profitto, che diventa assoluto cui piegare ogni altro valore), ostacolo al dispiegarsi degli spiriti animali della finanza… oggi gli scambi finanziari sono circa 23 volte superiori a quelli commerciali e mentre questi sono andati decrescendo dall’inizio della crisi, i primi continuano ad aumentare». Terra Futura sarà un’occasione d’incontro per chi cerca nuove vie, un luogo di partecipazione, una tre giorni fitta di convegni, seminari, presentazioni di libri, workshop e dibattiti, ma un anche vetrina di filiere sostenibili, di produzioni innovative che sposano saperi e sapori antichi con nuovi indirizzi di rispetto del Pianeta. E Valori sarà presente, come sempre.

[EM. IS.]

[C.F.]

L’Italia si riconferma come primo Paese in Europa e terzo al mondo (dopo Arabia Saudita e Messico) per il consumo d’acqua in bottiglia. Con un totale nel 2011 di 6 miliardi di bottiglie di plastica, pari a 196 litri per abitante. A dimostrarlo sono i dati resi noti durante il World Water Forum tenuto a Marsiglia nel mese di marzo appena trascorso. Cifre che parlano da sole, soprattutto quando si ragiona in termini di impatto ambientale. Per avere un paragone, basta pensare – ricorda Roberto Colombo, presidente di Ianomi Spa (Infrastrutture Acque Nord Milano) e rappresentante delle aziende idriche della provincia – ai risultati ottenuti grazie alle 81 case dell’acqua installate in diversi comuni in provincia di Milano. Questi piccoli chioschi che distribuiscono acqua gratuita hanno evitato la produzione di oltre 32 milioni di bottiglie di plastica. Il che significa che sono stati risparmiati il trasporto su 3.252 tir, il consumo di 1.936 tonnellate di petrolio e la produzione di altrettanta anidride carbonica. [V.N.]

Il fenomeno è ormai evidente e le cifre sono inequivocabili. Per il mercato borsistico la crisi sembra ormai conclusa. Il 13 marzo scorso Wall Street ha chiuso gli scambi spingendo il suo indice di riferimento, il Dow Jones, a quota 13.070, il livello più elevato dal dicembre 2007. Un traguardo simbolico che ha permesso al mercato Usa di mettersi finalmente alle spalle i ribassi del 2008, preludio al crack Lehman e al dilagare della crisi globale. La risalita coinvolge anche gli indici europei: nei primi due mesi e mezzo dell’anno Londra ha guadagnato il 6,7%, New York l’8%, Milano l’11,7%, Parigi quasi il 13%, Francoforte addirittura il 20%. Sempre negli Usa, il Nasdaq ha sfondato nuovamente quota 3.000 punti, un livello che non si sperimentava da oltre un decennio. A spiegare l’impennata, sostengono gli analisti, una nuova fiducia nella ripresa (per quanto lenta) dell’economia mondiale. Ma anche, se non soprattutto, la nuova circolazione di liquidità garantita dalle maxi emissioni della Fed e della Bce. La teoria suggerisce che la ripresa dei mercati dovrebbe tradursi prima o poi in una crescita dell’economia reale, ma per questo ci vorrà ancora tempo. Soprattutto in Europa, dove l’austerity pesa ancora in maniera eccessiva. [M.CAV.]

BANCA ETICA DENUNCIA LA “FINANZA CASINÒ”

DALL’INDUSTRIA MINERARIA LA MINACCIA ALLE ACQUE

CALCIO IN CINA CAMPIONI E TRUFFE

“Non con i miei soldi!”. Non potrebbe esserci slogan più immediato per la nuova iniziativa lanciata da alcuni soci e clienti di Banca Etica e coordinata dallo stesso istituto insieme a Fondazione Culturale Responsabilità Etica. Il sito www.nonconimieisoldi.org dà spazio a una campagna di informazione sui meccanismi e sui rischi della “finanza casinò” che si alimenta proprio con i soldi dei risparmiatori. E lancia un’azione virale, in cui si può scegliere letteralmente di “metterci la faccia” per diffondere una maggiore consapevolezza e promuovere le possibilità di cambiamento. Proprio Banca Etica – rappresentata dal presidente Ugo Biggeri – era presente al meeting tenuto tra l’8 e il 10 marzo a Vancouver dalla Global Alliance for Banking on Values (Gabv), la rete indipendente composta dalle principali banche di tutto il mondo che si ispirano ai principi della finanza etica. Un network che già opera in 24 Paesi e mira a raggiungere il miliardo di persone entro il 2020, per offrire loro un’alternativa a un sistema finanziario che – soprattutto in seguito alla crisi – ha inevitabilmente perso la fiducia di molti.

Oltre 180 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi prodotti dall’industria mineraria vengono scaricati ogni anno nei fiumi, laghi e oceani di tutto il mondo. Metalli pesanti e altre sostanze chimiche velenose che mettono a rischio ogni organismo vivente. La denuncia, grave e documentata, proviene da Earthworks e MiningWatch Canada, due gruppi di attivisti per la riforma del settore estrattivo, attraverso una ricerca intitolata Troubled Waters, che chiama alle proprie responsabilità le aziende minerarie leader, accusandole di adottare sistematicamente metodi di smaltimento irresponsabile dei rifiuti, in particolare scarti di lavorazione contenenti arsenico, piombo, mercurio e cianuro scavati in Alaska, Canada, Norvegia e Sud-Est asiatico. Ma il rapporto mette anche in luce i meccanismi usati dalle compagnie minerarie per aggirare le leggi e i divieti di smaltimento del Paese di estrazione riversando i rifiuti lontano dalle cave, in acque di pertinenza di altre nazioni. Catherine Coumans, coordinatore della ricerca per MiningWatch, dichiara di aver «scoperto che delle più grandi società minerarie al mondo solo una adotta politiche contro lo smaltimento dei rifiuti nei fiumi e negli oceani e nessuna contro lo scarico nei laghi». Laddove poi le leggi ci sarebbero (Usa, Canada, Australia) spesso vengono rese inefficaci da emendamenti e deroghe ad hoc.

Fino a poco tempo fa i calciatori a fine carriera o gli allenatori in disgrazia trovavano una sponda accogliente negli Stati Uniti, dove continuare a giocare fino alla pensione con ritmi meno pesanti rispetto agli impegni europei. La nuova frontiera del calcio invece è la Cina, dove dal 1951 si è cominciato a disputare il campionato da dilettanti e dal 1994 da professionisti. E dove ora questo sport sta diventando una vera passione. Così il francese Nicolas Anelka, dopo quattro anni al Chelsea, ha firmato un contratto biennale e da gennaio gioca nello Shangai Shenhua, la squadra di proprietà per il 75% di Zhu Jun, noto businessman della società quotata al Nasdaq The Nine City. Didier Drogba, il centravanti ivoriano che gioca nel Chelsea, e Marcello Lippi, l’ex giocatore della Juve ed ex commissario tecnico della Nazionale, potrebbero essere i futuri nuovi acquisti del campionato cinese. Pagati con ingaggi milionari porterebbero visibilità a uno sport che, nel nuovo Eldorado cinese, ha acquisito anche tutte le caratteristiche negative che purtroppo il calcio si tira dietro. Lu Jun, il primo arbitro cinese in una partita di Coppa del mondo (2002), andrà in carcere per aver accettato tangenti per truccare i risultati di alcune partite. Quattro le società coinvolte e tra queste anche lo Shangai Shenhua.

[V.N.]

[PA.BAI.]

[C.F.] | 66 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 67 |


| ECONOMIAEFINANZA |

| FUTURE |

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

a cura di Francesco Carcano | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it

LIBERIAMO IL TEMPO E IL PAESE RISORGERÀ

UN MUSEO DEL RICICLO TUTTO DA CLICCARE

Benedetta Cosmi Liberalizzaci del male Rubettino, 2012

Da anni ormai si sente parlare di liberalizzazioni con la netta sensazione di non arrivare mai al cuore del problema. Nei provvedimenti presi dagli ultimi governi, compreso quello di Mario Monti, che pure ha fatto tanto in materia, manca un pezzo importante del discorso che riguarda l’impatto che ha la vecchia gestione degli orari di lavoro su un’organizzazione moderna. Il tempo, risorsa scarsa per eccellenza, è anche la più blindata, condiziona in modo pesante la vita delle persone e quindi l’economia del Paese reale. Basti pensare a quanto impattano i mezzi di trasporto urbani e ferroviari sui pendolari, gli studenti, i cittadini. O alla ricaduta dell’adozione di orari, fuori da ogni logica, nei luoghi pubblici, come ad esempio le biblioteche, che diventano inaccessibili proprio nei momenti in cui si ha più tempo libero. Bisogna liberalizzare il tempo, soprattutto quello di chi lavora, se si vuole far riemergere l’economia sommersa di un Paese che altrimenti rischia di affondare.

Due milioni di pagine cliccate è un record interessante per un progetto che racconta di arte nata dal riutilizzo di rifiuti. www.museodelriciclo.it, lanciato nel febbraio 2010, raggiunge al secondo anno un record di contatti all’insegna del motto “tutto si trasforma”. Le opere, esposte virtualmente nelle pagine del sito, raccontano anche un’evoluzione dei costumi e un’attenzione nuova ai temi del riciclaggio. Il progetto è promosso dal consorzio Ecolight che si occupa della raccolta dei rifiuti catalogati Raee e sta dando origine ad alcuni prodotti di design destinati al mercato come le lampade MBLamp, prodotte partendo dal riciclo di schede madri di computer. Secondo Giancarlo Dezio di Ecolight «attraverso il museo vediamo l’arte creata riciclando i rifiuti; ma siamo convinti che il riciclo, in quanto “buona pratica”, sia una forma d’arte capace di insegnare a rispettare maggiormente l’ambiente».

SATELLITI INDIPENDENTI PER RETI LIBERE

L’INDIVIDUO AL CENTRO DEL PIL

COME CAMBIARE NELL’ECONOMIA GLOBALIZZATA

LA STORIA DELL’IRI TRA LUCI E OMBRE

Il progresso di una nazione può essere rappresentato dal Pil così com’è concepito? Se un Paese cresce in termini di Prodotto interno lordo, ma non diminuisce il numero dei cittadini che non hanno accesso all’istruzione, alla salute e ad altre opportunità di realizzazione individuale, possiamo dire che quel Paese progredisce? Occorre liberarsi dalla dittatura del Pil e introdurre una nuova misura della ricchezza delle nazioni che tenga conto della dignità e dello sviluppo umano. Qualcosa si sta muovendo nel mondo ufficiale, dove alcune organizzazioni, come ad esempio la Banca Mondiale e le Nazioni Unite, e diversi leader politici hanno accettato di porre le capacità – le condizioni cioè di poter sviluppare le proprie potenzialità e abilità in una società che consenta effettivamente di usarle – come criterio di valutazione del benessere.

Bisogna cambiare e rompere gli schemi che hanno informato il passato. La globalizzazione impone una ridefinizione non solo degli obiettivi e delle strategie aziendali, ma anche delle modalità e degli strumenti per raggiungerli. Nel nuovo paradigma il profitto deve conciliarsi con l’etica che ha come ricaduta principale l’assunzione di una responsabilità sociale verso tutti i portatori di interesse. Lo diceva già Adam Smith, ma forse oggi i tempi sono maturi per far riaffiorare questa importante consapevolezza soprattutto nel management, non sempre sensibile e formato per recepire le nuove istanze. Allora diventa cruciale il tema della cultura aziendale che va rinnovata, perché il complesso delle conoscenze acquisite spesso non garantisce nemmeno il “salvataggio”. Non esiste un modello vincente e non è dimostrabile che la riproposizione delle buone pratiche che hanno caratterizzato il successo di alcune aziende determinino delle regole trasferibili in altre. Conoscerle, però, è meglio.

L’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri) è stato un simbolo, nel bene e nel male, dell’Italia. Voluto da Mussolini nel 1933, per evitare il fallimento delle principali banche e imprese italiane e con esso il crollo dell’economia, già provata dalla crisi mondiale esplosa nel 1929, l’Iri è stato protagonista prima della ricostruzione e poi del miracolo economico. Dopo le difficoltà emerse negli anni ’70 e il programma di ristrutturazione e rilancio degli anni ’80, l’istituto conclude la sua attività nel 2002 dopo le operazioni di privatizzazione che contribuiscono in misura significativa al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e all’adesione italiana all’euro. In questo primo volume viene preso in esame il primo e complesso quindicennio dell’istituto, dal pieno della grande depressione ai drammatici frangenti fra la tragedia della guerra e l’ardua opera di ricostruzione post-bellica.

Martha C. Nussbaum Creare Capacità il Mulino, 2012

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Luigi Pastore Dal caos al cosmo Marte Edizioni, 2012

Valerio Castronovo Storia dell’Iri 1933-1948 Laterza, 2012

L’acronimo è Hgg, ma prima di addentrarsi è meglio dare un’occhiata al sito shackspace.de. Dall’autorevole palco del Chaos Communication Congress di Berlino la proposta di una rete internet non soggetta a limiti e restrizioni tramite l’invio nello spazio di alcuni satelliti indipendenti anima i sogni di hacker e libertari. Come fare? Semplice, in teoria: basta prendere i migliori geek del Pianeta, qualche finanziatore radical o avviare una raccolta fondi diffusa e condividere le istruzioni per mettere in orbita dei satelliti nello spazio interstellare sopra l’equatore e a una quota superiore alle sovranità nazionali. Nessuno nasconde due problemi di fondo del progetto Hackerspace Global Grid (Hgg): le immani difficoltà tecniche e il potere contro cui si scontra, identificabile negli apparati di sicurezza praticamente di tutto il mondo. Ma questo per gli immaginari hacker e geek è in fondo il terreno di scontro più fertile: tecnologia e libertà radicale di espressione, senza censure. Solo vent’anni fa pochi avrebbero detto che internet avrebbe conquistato parte della nostra giornata, del lessico, delle abitudini di vita. E, del resto, se il patron di Virgin pensa a portare turisti nello spazio perché non portarvi anche un progetto di libertà?

ARRIVA UBER, PERSONAL DRIVER VIA IPHONE

HACKERSPACE DI RETE E DI GOVERNO

Un click sullo smartphone e il vostro taxi privato si mette in moto per raggiungervi. Strada facendo potete seguire il suo percorso e scendere in strada quando sta per arrivare. Uber, servizio di taxi privati statunitense attivo anche a Parigi, è insieme un servizio di trasporto e un’efficace applicazione per il mobile che sta suscitando molto interesse in particolare nel mondo iOs, il sistema operativo di iPhone. Ideato come potenziale applicativo nel 2008, il progetto si è strutturato come servizio al cittadino per debuttare come società nel 2010. Almeno tre gli elementi di interesse: l’interfaccia utente, semplice e attenta al vissuto dell’utilizzatore di smartphone; la semplicità (basta un click o un sms per attivare il servizio); l’utilizzo simultaneo di molte funzionalità dello smartphone, dalla geolocalizzazione tramite Gps alle mappe, all’utilizzo della messaggistica per finire con l’uso del cellulare come strumento di pagamento con addebito su carta di credito.

Hanno lo stesso nome, ma collocazioni e finalità diverse: gli spazi hacker fioriscono nel mondo come espressione della libertà radicale di espressione, ma possono altrimenti essere figli dei governi e delle loro non sempre liberali pratiche. Gli hackerspace in versione cinese sembrano avviati sulla seconda delle due strade. Il governo nazionale della Cina ha, infatti, annunciato un piano per l’apertura di cento hackerspace pubblici, ritenuti strumenti e luoghi di innovazione e progettazione del futuro tramite i mezzi forniti dalla Rete. Diverse le opportunità di contatto e lavorative che ne derivano: come si nota dal sito del recente spazio aperto a Shangai, www.xinchejian.com, al centro dell’attenzione vi sono alcune nuove potenzialità offerte dal sistema della Rete, in particolare la creazione, modellazione e stampa 3D di prototipi e sull’innovazione nella ricerca attraverso la condivisione di esperienze e capacità. L’analisi critica e l’intervento hacker restano per ora prerogativa di spericolate minoranze.

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| TERRAFUTURA | a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it

BOLLATE, DAL CARCERE AL PALCOSCENICO La casa di reclusione di Bollate, in provincia di Milano, è una vera e propria eccellenza all’interno del desolante panorama delle carceri italiane. Oltre alla rivista Carte Bollate, al vivaio Cascina Bollate e a numerose altre iniziative per l’educazione e il lavoro, i detenuti hanno un inedito canale per esprimersi: un vero e proprio laboratorio teatrale. A gestirlo è la cooperativa E.s.t.i.a., nata nel 2003 e attiva in diversi campi (dalla falegnameria al service tecnico). A partire dal 2007 l’attività di produzione teatrale in carcere ha ottenuto il sostegno della Fondazione Cariplo e delle istituzioni locali. «Facciamo teatro danza, quindi un lavoro molto corporeo», racconta il presidente Michelina Capato Sartore. «A partecipare sono due gruppi di circa quindici persone, formati da detenuti ed ex detenuti: ma ci sono anche allievi esterni». Fra i testi messi in scena Camus, Testori, Panizza. Ma ci sono anche spettacoli di clown come Sogni in bolla, che viene portato nelle scuole, e in primavera si riprenderà Non più - Frammenti di libertà, all’improvviso, già rappresentato lo scorso novembre. www.cooperativaestia.org

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LE DONNE DI SCAMPIA CHE SCOMMETTONO SUL LAVORO

IN VENETO SI ARREDA COL RICICLO

ANCHE AL SUD APPRODA IL BANCO INFORMATICO

Nel 2005 un corso di formazione professionale mette in comunicazione alcune donne alla ricerca di un’opportunità di lavoro, concreta e onesta, in un territorio difficile come quello di Scampia. Nasce così la cooperativa La Roccia. Attualmente gestisce una sartoria specializzata soprattutto in borse, che ha sperimentato anche una linea di abbigliamento per bambini e di vestiti estivi femminili. Di recente si è aggiunta anche la Bottega artigiana per il libro, nata sempre da un corso di formazione con l’obiettivo di occuparsi di rilegature commerciali, attività di restauro, cartotecnica e oggettistica per casa e ufficio. Mantenere economicamente in piedi una realtà del genere «non è facile», ammette senza mezzi termini la responsabile, Francesca De Geronimo. A sostenere la cooperativa, oltre ai collaboratori (educatori, assistenti sociali, tutor), sono il centro di formazione Alberto Hurtado che fornisce gli spazi e il supporto amministrativo, i soci sovventori e i negozi, anche di grandi città come Milano e Roma, che hanno deciso di scommettere sul progetto. cooplaroccia@gmail.com

Sedie, poltrone, librerie. Con una particolarità: sono tutte composte al 100% di cartone riciclato. A produrle è la veneta P-One, nata dalla società di comunicazione e design Publiremor e da Pro-gest, gruppo che si occupa della produzione di carta da riciclo. A metà febbraio ha inaugurato il suo primo showroom a Lanzago di Silea, in provincia di Treviso. «Pro-gest compra a macero dalle società municipalizzate – spiega l’amministratore delegato di P-One, Tiziano Remor – porta la carta nelle cartiere sparse sul territorio e da lì negli ondulatori. A quel punto noi trasformiamo il cartone ondulato in moduli». Questi ultimi sono la base per i complementi d’arredo, progettati da due designer specializzati in soluzioni ecocompatibili. Si va dalle seggiole per bambini della scuola materna, dal costo di pochi euro, alle chaise-longue di design, alle scrivanie. «Quindi – assicura Remor – tutto viene dal macero, dal riciclo italiano, e a sua volta può essere recuperato al 100%». www.ponedesign.it

Il Banco informatico, tecnologico e biomedico (BITeB) ha iniziato nel 2003 a sostenere il non profit attraverso la tecnologia: riceve in dono software e hardware nuovi oppure computer dismessi dalle aziende, li sottopone a test e li ricondiziona in laboratorio, per poi donarli alle associazioni. Ma la presenza nel Sud Italia finora è stata solo sporadica, ostacolata dai tempi e dalle spese di trasporto. Il BITeB, dunque, ha scelto di fare un passo in più, tramite un presidio attivato in Abruzzo e la presentazione ufficiale del 15 febbraio a Bari, di fronte ai rappresentanti delle istituzioni e di una cinquantina di associazioni. L’evento è stato ospitato dall’Hub del San Paolo Social Network: una rete di associazioni, che prende il nome da un quartiere popolare del capoluogo pugliese, la cui capofila è la cooperativa sociale Esedra. Proprio nell’Hub hanno sede una cinquantina di attività diverse: dal corso di giornalismo radiofonico allo sportello di orientamento al lavoro, ai momenti musicali. Il San Paolo Social Network ha già ricevuto dal BITeB una ventina di pc, ma, soprattutto, ha stabilito una collaborazione che – si auspica – porterà a un dialogo sempre più costante con le associazioni meridionali. www.biteb.org

| ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 71 |


| bancor |

Grecia

I falsi miti sul salvataggio di Atene dal cuore della City Luca Martino

ella Grecia antica anche il più forte tra gli eroi mitologici, Ercole, morì per un destino tragico: a causa del veleno mortale nel quale, su invito di Nesso, la moglie gelosa aveva impregnato la sua tunica. La donna credeva fosse una pozione amorosa, invece era il sangue del vendicativo centauro intriso del veleno che lo stesso eroe aveva usato per ucciderlo. La cultura ellenica celebrava nel mito il concetto stesso di sorte, spesso tragica, cui non è dato sottrarsi, ma rifletteva anche sugli accadimenti che ne determinano il corso e su come l’uomo dovrebbe propiziarsene i favori. A distanza di tremila anni, appare davvero tragico assistere al declino, forse alla fine, di quella nazione che per prima aveva capito che l’empietà e la tracotanza sono alla base delle miserie terrene. Oggi, ristrutturando l’intero suo debito, la Grecia sancisce il fallimento delle sue finanze pubbliche e si appresta a decenni di povertà e di isolamento. Ciò, in primo luogo, per colpa delle dissennate politiche economiche che i governi di Atene hanno attuato negli ultimi quindici anni e della miopia di una classe dirigente che non ha voluto né saputo modernizzare un Paese ancora sostanzialmente arretrato. Ma le responsabilità sono anche delle autorità europee, della Commissione e dell’agenzia Eurostat, che per anni hanno assecondato le operazioni di cosmesi finanziaria escogitate da molti Paesi per rientrare (fittiziamente) nei parametri di Maastricht. Avvenne con l’Italia quando nel ’97 stipulò con JP Morgan un costosissimo swap di copertura di alcuni titoli emessi in yen, dimezzando artificialmente il proprio disa| 72 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT

N

vanzo di spesa. E avvenne con la Grecia quando strutturò un’operazione simile in dollari con Goldman Sachs – che poi girò il rischio alla tedesca Depfa – azzerando di fatto il deficit senza neanche riportare in bilancio le enormi perdite future derivanti dal valore implicito dello swap. È per via di queste e di altre simili operazioni che si sono accumulati fino a due anni fa gli oltre 200 miliardi di euro di debito verso i privati che oggi affossano le casse di Atene e sulla cui ristrutturazione aleggia più di un falso mito. Primo: questa operazione salva anzitutto la Grecia; in verità chi si salva davvero sono le banche, che evitano perdite enormi. Secondo: l’adesione allo swap del debito greco è stata volontaria; in realtà tanti sono stati gli incentivi, tra questi la

liquidità immessa recentemente nel sistema dal maggiore dei creditori, la Banca centrale europea, e tante le pressioni anche da parte del debitore stesso, implicite nelle clausole di azione collettiva (Cac). Terzo: il settore privato ha contribuito di più di quanto abbia fatto il settore pubblico. Considerando anche il precedente intervento (a principale sostegno peraltro del settore bancario) e gli aiuti che i governi europei elargiranno ad Atene nel prossimo futuro, più che dell’intervento del settore privato in quest’unica operazione si dovrebbe parlare della più estesa operazione di socializzazione delle perdite a carico di tutta l’Unione europea. Quarto: l’operazione è stata un successo. Anzitutto, se dovessero attivarsi i credit default swap, come sembra probabile dopo l’avvio delle Cac, molte delle temutissime perdite si realizzerebbero comunque. E avere un Paese alla fame e una banca centrale con un bilancio di tre miliardi di euro non assomiglia a un successo e neanche, come commentato da qualcuno, a un “miglioramento paretiano” (alla lettera: riallocazione di risorse in un sistema economico a beneficio di alcuni senza peggioramento delle condizioni di altri), si tratta al massimo di una sconfitta per tutti, in primis per i Greci.  todebate@gmail.com | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 | valori | 73 |


| action! |

L’AZIONE IN VETRINA THE COCA-COLA COMPANY 16 mar 2012:

KO 70,16

Il rendimento in Borsa di Coca-Cola negli ultimi dodici mesi (in blu), confrontato con l’indice S&P 500 (in rosso)

^GSPC 1404,17

10%

5%

0%

-10%

2011

Mag

Giu

Lug

Ago

Set

Ott

Nov

l dialogo è la base su cui si costruiscono tutte le relazioni. La regola vale soprattutto quando le visioni degli azionisti non coincidono con quelle del management. È il primo aspetto che si nota nella relazione tra gli azionisti attivi canadesi del Northwest & Ethical Investments (Nei), società di gestione del risparmio che promuove fondi etici, e Coca-Cola. Nel 2011 gli azionisti di Nei hanno sollecitato la compagnia a rendere trasparenti i legami tra la remunerazione dei manager e le performance ambientali, sociali e di governance (Esg) di cui si parla nel report di sostenibilità, ma che non troverebbero un riscontro nella realtà. Coca-Cola non ha risposto e Nei ha preparato una mozione per chiedere il voto di tutti gli azionisti. Per timore della mozione e delle ripercussioni che avrebbe potuto avere Coca-Cola ha finalmente reagito chiedendo un incontro con Nei e ammettendo che i suoi parametri sono insufficienti. Dopo un lungo dialogo tra società e azionisti critici Coca Cola ha ceduto: d’ora in poi fornirà più indicazioni sul legame tra i compensi dei manager e i parametri Esg. In cambio Nei ritirerà la mozione. 

I

| 74 | valori | ANNO 12 N. 98 | APRILE 2012 |

L’AZIONISTA DEL MESE

Coca-Cola cede agli azionisti critici

UN’IMPRESA AL MESE

FONTE: YAHOOFINANCE

-5%

Dic

2012

Feb

Mar

a cura di Mauro Meggiolaro e Francesco Zoppeddu

Northwest & Ethical

www.neiinvestments.com

Sede Toronto - Canada Tipo di società Società di gestione del risparmio che promuove fondi di investimento etici. È controllata dal Desjardins Group (50%, banche di credito cooperativo canadesi) e dalla Provincial Credit Union Central (50%). Asset gestiti circa 3,4 miliardi di euro. L’azione su Coca-Cola Nei s’impegna a indirizzare l’impresa verso i temi di sostenibilità. Considera un obiettivo importante rendere efficace il legame tra la remunerazione dei manager e le performance ambientali, sociali e di governance (Esg). A questo proposito ha avviato un dialogo con Coca-Cola e, in seguito, ha ritenuto opportuno ritirare una mozione che avrebbe presentato all’assemblea della società in aprile proprio sul piano di remunerazione. Altre iniziative Nei ha avviato un dialogo con circa 40 imprese per incoraggiarle ad introdurre pratiche di sostenibilità ambientale e sociale. Tra queste troviamo imprese del settore minerario (7), telecomunicazioni e IT (7), industriale (13), finanziario (13) ed energetico (14). Tra le imprese target del settore energetico è presente anche ENI, in relazione al progetto di estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose in Congo Belga.

The Coca-Cola Company

www.coca-cola.com

Sede Atlanta, Georgia - Sati Uniti Borsa Nyse - New York Stock Exchange Rendimento negli ultimi 12 mesi + 11,90%. Attività The Coca-Cola company, oltre ad essere tra le aziende più conosciute al mondo grazie al suo prodotto originario è una delle più grandi corporation operanti nella produzione, distribuzione e vendita di concentrati per bevande analcoliche e sciroppi. Azionisti Azionariato diffuso. Azionisti principali: Berkshire Hathaway Inc. (8,81%); Vanguard Group Inc. (4,19%); State Street Corporation (3,84%); FMR LLC (3,44%); BlackRock Institutional Trust Company, N.A. (2,50%). Perché interessa agli azionisti responsabili? Negli ultimi quindici anni i prodotti della Coca-Cola Company e delle sue controllate sono stati oggetto di campagne di denuncia riguardo i possibili danni alla salute, le scadenti performance ambientali (uso di acqua, pesticidi e l’impatto del packaging), le controverse strategie di marketing, le pratiche monopolistiche e la presunta violazione dei diritti di proprietà. 2009

2010

Ricavi [Miliardi di dollari] 30,9 35,1 Numero dipendenti circa 23.000 (2009) in tutto il gruppo

Utile [Miliardi di dollari]

2009

2010

6,8

11,8



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