Ourphoto 04 - ITA

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1 Š Giorgio Fochesato


Sommario E’ tutta Colpa del Grafico... - Giorgio Fochesato Lomography… anima vintage - Massimo Bertoni Tutorial: Backstage Set Formaggio - Carlo Nadalin Kids, Fashion and... - Fabio Giovannetti Con te partirò. Compatta, telefonino, mirrorless o reflex ? Federico Zaza West America - Maurizio Fontana Beauty Fake Behind The Scenes - Roberto Midulla e Francesco Pellegrino Alternative street:istruzioni per l’uso... - Gianmaria Veronese La Fotografia A Kilometri Zero - Fiorenzo Carozzi Terra Di Nessuno? Claudia Rocchini Lo Sguardo In Camera - Riccardo Piccirillo Usciamo Dal Letargo Carlo Tinnirino Chissà quanto riuscirò a scrivere Thailandia - Matteo Fantolini Condivisione in Rete e l’inflazione della fotografia evoluzione o estinzione della creatività? - Roberto Tomesani clicca sulle bandiere per andare direttamente all’articolo

2 Ai sensi della Legge n.62 del 7 marzo 2001, si dichiara che questa pubblicazione non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.


Editoriale Book menù maxi.

Bentornati a tutti voi e, prima di iniziare a sfogliare questo nuovo numero di ourphoto, desideriamo ringraziarvi tutti. Oltre 30000 lettori per il numero 3. Molto più, francamente, di quanti potessimo immaginare. Questi numeri ci fanno intuire che OurPhoto abbia scelto il taglio giusto. Quindi si continua. Come ogni settore, o quasi, anche la fotografia sta subendo delle enormi modifiche dettate dal progresso. Sempre più fotografi, sempre più docenti, sempre più cugini con la reflex ai quali si chiede “ma si dai, fammele tu le foto che hai la macchina buona”. Quindi sempre piu’ difficoltà, sempre più concorrenza e sempre più offerta. Di ogni livello, ad ogni livello. Oramai è come un enorme fast food. Si consuma sempre più fotografia, a prezzi sempre più bassi e soprattutto dai sapori sempre più buoni ed adatti ai consumatori. Questo fa innervosire alcuni, preoccupare altri e sognare altri ancora. Ed è una cosa tanto normale quanto buona ed inevitabile. Normale in quanto, non raccontiamoci balle, è semplicemente perchè il mondo va avanti, sempre. Si evolve e, diciamolo, migliora costantemente. È buona perchè l’aumento dell’offerta e della concorrenza stimola tutti e permette crescita e miglioramento di un intero settore. È inevitabile perchè sarà sempre più dura. Un esempio? Occhio agli instagramers, stanno arrivando. Sono quasi 30 milioni. Sembra quindi una battaglia troppo dura, quasi persa, per tanti che vogliono iniziare così come per tanti che vorrebbero. Ma io credo che ciò avvenga principalmente per un errore comune: fare il fotografo viene inteso come fare matrimoni, eventi di paese, book e magari workshop. Sbagliato, apriamo la mente, il progresso, la fame/necessità di fotografie ha creato innumerevoli altre possibilità per chi vuole lavorare nel mondo della fotografia... Fotografo di moda adulti, bambini, taglie forti, reportage di viaggio, urbano, industriale, commerciale, time lapse di eventi o di processi industriali, vendita on line di immagini d’autore e di microstock, still life da pubblicità e still life da volantino, creazione di gruppi d’aggregazione come forum on line o club di quartiere, testi e manuali mirati piuttosto che vendita di corsi e tutorial, creazione di app e siti internet, vendita di accessori tecnici, postproduzione, stampa, location finder, stylist, agenzia modelle/i giovani e non... Ed abbiamo solo iniziato. Liberate la mente. In un fast food non c’è solo chi cucina e chi vende. C’è un mondo dietro.

Fabio Camandona 3


E’ tutta Colpa del Grafico... TESTO Giorgio Fochesato giorgiofochesato.com

C

’è tanta confusione....

Partiamo da qua. Sento parlare di grafici che avrebbero distrutto la fotografia e di fotografi che avrebbero distrutto la grafica. Un pò per colpa di chi le fotografie le regala e un pò per colpa del microstock che è “il male assoluto” e rappresenta il motivo principale della crisi fotografica. Ovviamente io non ci credo, ma c’è molta gente che ancora la pensa così. Poi ovviamente ci sono i fotografi che si improvvisano grafici, perchè siccome la professione è in crisi allora è meglio saper fare tante cose, poi pazienza se si fanno male o bene. Del resto è sufficiente andare su Google e le risorse gratuite si trovano ovunque. Se siamo un pò svegli possiamo realizzare un sito internet in 10 minuti, venderlo, metterci dentro qualche foto, un testo e siamo pure dei webdesigner. Quello che penso è che nessuno abbia ucciso nessuno. Si tratta di semplice evoluzione. C’è chi riesce ad adattarsi ed a creare nuove opportunità sfruttando quello che il mercato offre. Evolvendosi. Provando nuove strade. In questa ottica ci sono molte persone che ci provano, pochi riescono veramente ad emergere, altri navigano a vista e magari fanno molte cose. In ogni caso vista da fuori, la situazione sembra una jungla nella quale è difficile districarsi. Ma se la guardiamo da dentro, noi che facciamo questa professione, che ci occupiamo di fotografia, cosa vediamo? Parto dalla mia esperienza professionale. Io nasco come Ingegnere Informatico, che ha fatto il programmatore, il webdesigner e anche il commerciale per una software house. Poi ad un certo punto della mia carriera mi sono stufato di quello che facevo, ho messo uno zaino sulle spalle, mi sono messo a fare fotografie in giro per il mondo, vendendole a pochi centesimi di dollaro. Bellissimo, ma sarei andato poco lontano se mi fossi limitato a fare fotografie per il gusto di farle. Quello che io faccio ora è usare la fotografia per realizzare dei prodotti finiti che poi possano essere utilizzati da un grafico, da un pubblicitario o da un photoeditor. Quando realizzo una foto-

FOTO Giorgio Fochesato www.unitalianosuistock.com

grafia non penso al puro piacere di farla. Qualcuno obietterà che questa non è fotografia, che la fotografia è arte e che scattare con l’obiettivo di vendere non è nobile. Ok, non è nobile, ma la nobiltà a mio avviso è un concetto medievale. Preferisco scattare per vendere, vedere il mondo in lungo e in largo e godermi le mie fotografie e le mie cartoline, orgoglioso di realizzarle. Il punto del discorso è che non mi sento un fotografo puro. Realizzo una fotografia sfruttando tutte le mie esperienze passate. Penso a quello che può servire ad un webdesigner oppure ad un pubblicitario. Penso a cosa una fotografia deve avere per attirare l’attenzione di chi la cerca. E poi scatto la foto. In pratica è come se fossi un grafico allo stato grezzo. Cerco di anticipare quello che i grafici fanno. Quindi il grafico non è un mio nemico, ma un mio amico. Se pensiamo alla fotografia come arte, allora dobbiamo parlare di ricerca, di espressione, ecc... e non parlare di come ci si può guadagnare. Se vogliamo pensare alla fotografia come una professione allora dobbiamo pensare all’uso finale che la fotografia deve avere. Ribaltiamo la situazione. Pensiamo a chi scatta le fotografie per documentare una situazione, il fotoreporter. Se escludiamo i casi estremi in cui la foto è sufficiente averla scattata, nella maggior parte dei casi il fotografo scatta un’immagine pensando alla composizione, alla scena, al momento che sta immortalando. Se è il momento giusto o se conviene aspettare un secondo prima di aspettare la fotografia perfetta. In realtà il fotografo anche in questo caso si piega a delle regole, cogliere l’attimo nel miglior modo possibile, nel modo che la scena sia documentata al meglio. Per fare contento un lettore o un photoeditor. Non importa se puntiamo a vendere la foto ad un grafico o ad un photoeditor. Il procedimento è simile. Scattare per soddisfare l’esigenza di qualcuno. Quindi non pensiamo che il grafico abbia ucciso la fotografia, solo perchè lui ha delle necessi4


tà che noi dobbiamo soddisfare. Non pensiamo che i grafici abbiano ucciso la fotografia perchè si mettono pure loro a fare fotografie. Non pensiamo che i grafici abbiano ucciso la fotografia perchè non gli piacciono le fotografie in bianco e nero con la grana grossa come chicchi d’uva. iStockphoto per esempio è nata proprio così, un gruppo di designers che si raggrupparono e iniziarono a scambiarsi fotografie, gratuitamente, perchè acquistarle dai fotografi costava troppo... dodici anni alcuni di quei designer sono fotografi affermati ovunque nel mondo. Non credo che il problema sia trovare il colpevole. Il problema piuttosto è quello di adattarsi, avere il coraggio di cambiare le proprie abitudini, rischiare nuove strade. La fotografia è un lavoro su commissione. Si crea un prodotto per qualcuno. Senza qualcuno disposto ad acquistarlo... beh allora non c’è via di scampo. Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo, con le fotografie gratis (o a basso prezzo) quelli che ci hanno veramente guadagnato sono i grafici. Perchè ora non pagano a sufficienza la nostra arte e le nostre creazioni. Però allora non ci rendiamo conto di una cosa molto semplice... quanti progetti può realizzare un grafico ora? Decine o centinaia di progetti in più rispetto ad una volta. Di conseguenza, utilizzerà un numero di immagini e fotografie sempre maggiore. A volte saranno

gratuite, a volte saranno a pagamento, a volte saranno su commissione. La cosa che maggiormente conta è che in questo momento la quantità di progetti e design che vengono realizzati è altissima (e in costante crescita, a differenza di quello che sento dire in giro, la richiesta di fotografie nei prossimi anni è destinata a crescere ancora). Il fatto di poter produrre molto materiale differente stimola ulteriormente la creatività di coloro che comprano le fotografie. Stimolare la creatività significa anche andare fuori dagli schemi, uscire dai soliti canoni di bellezza e scoprire nuovi stili e nicchie. È un circolo vizioso che non è difficile da capire. Avere maggiore scelta di fotografie porta alla realizzazione di più progetti. Più progetti portano ad una maggiore creatività. La maggiore creatività porta a nuovi stimoli per i grafici. Nuovi stimoli portano alla ricerca di novità. La voglia di novità del grafico permette al fotografo di soddisfare anche la sua ricerca personale. Soddisfare la ricerca personale del fotografi fa in modo di... continuare a scoprire nuove strade e produrre nuove immagini. Ops... Vuoi vedere che ho scoperto l’acqua calda?! ;)

Alla prossima! Rock On! Gio

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Vuoi scrivere, le tue idee? Vuoi raccontare, il tuo ultimo viaggio? Vuoi condividere, le tue esperienze? Vuoi avere risposte, alle domande? Se hai risposto Si ad almeno una domanda allora sei il nostro prossimo autore.

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Lomography…

anima vintage

Massimo Bertoni

massimobertoni1970@libero.it Chi la conosce? Probabilmente ne avete già sentito parlare, oppure avete visto qualcuna di queste strane fotografie fatte con quelle vecchie macchinette che sembrano giocattoli e sicuramente avrete pensato: “ma questa è sbagliata!” …e invece no, perché quello che normalmente in fotografia viene considerato un difetto, in Lomografia …è la sua virtù! Ma per approfondire meglio, senza volerla celebrare e nemmeno denigrare, andiamo con ordine…. Che cosa è: La Lomografia è un mondo a parte nell’infinito universo dell’immagini, un genere fotografico che preferisce non correre al passo coi

tempi ma resta orgogliosamente ancorato al rullino analogico. C’è chi l’adora e la chiama arte, e c’è chi la odia e la chiama moda…di certo è un fenomeno in continua espansione e che cattura l’attenzione di molti; ne è una prova il fatto che quasi tutti i software di fotoritocco hanno filtri o tutorial che ne ricreano l’effetto, cosi come le app per gli smartphone. Nasce dalla rivalutazione di piccole fotocamere russe e cinesi degli anni 7

60/70/80 che presentavano numerosi difetti per via della bassa qualità di costruzione (da qui “toycameras”) e delle particolari lenti che montavano , a volte di plastica e a volte di vetro. Sfocature evidenti, colori ipersaturi, vignettatura marcata, effetti bolla e aberrazioni ottiche e cromatiche sono il marchio di fabbrica di una Lomografia, caratteristiche a cui è impossibile sfuggire usando queste macchinette…e questo è proprio ciò che si vuole! Lo strumento che c’è quindi tra noi e quello che vediamo, non serve a riprendere il più fedelmente possibile la scena, ma diventa un mezzo per distorcere la realtà…donando all’immagine un’atmosfera onirica, con un velo di mistero e ironia. Il gusto dell’utilizzo delle pellicole, nei formati 35 e del + raro 120, è un ulteriore segno di identificazione di un movimento che va nettamente controcorrente all’evoluzione tecnologica del digitale, così come la necessità di identificarsi in un linguaggio tutto suo, dove il primo passo è stato quello di sostituire sempre il prefisso “foto” con “lomo”. La sua filosofia: “Don’t think, just shot!”ovvero “non pensare, scatta!” è la sintesi del pensiero lomografico e delle 10 regole d’oro (una sorta di manifesto culturale ) che ne ispirano il modo di scattare; questi dogmi vanno contro i principi base che insegna ogni buon fotografo (come studio, preparazione, qualità dell’attrezzatura e regole di composizione) ed esortano a liberarsi dalle mille funzioni che le fotocamere moderne offrono, senza quindi preoccuparsi di focali, diaframmi e iso, ma concentrandosi invece sul soggetto o sull’evento e affidandosi solo al proprio istinto. Una visione quindi molto più poetica e


molto meno tecnica dell’atto di fotografare…che non lascia spazio a schemi o procedure ma vive di emozioni e improvvisazione e che successivamente genera un nuovo modo di leggerne il risultato, con la consapevolezza che l’oggetto che abbiamo usato ci ha messo del suo in maniera rilevante e dove ogni dettaglio va mostrato e non nascosto. La storia: Tutto nacque nel 1982 quando un generale russo portò in visione al direttore della LOMO (Leningradskoye Optiko-Mekhanicheskoye Ob’edinyeniye, potente industria di ottiche per strumenti medicali e militari) una Cosina CX-1, una macchinetta fotografica giapponese semplice e leggera; dopo averla esaminata, disposero la costruzione di un modello praticamente identico, la LC-A (Lomo Compact Automatic) che, grazie anche al prezzo contenuto, ebbe un buon successo sul popolo sovietico e venne presto commercializzata nell’intero blocco comunista. Fu infatti a Praga che due studenti austriaci (Wolfgang Stranziger e Matthias Fiegl) durante una vacanza nel 1991, scovarono e acquistarono in un mercatino una Lomo LC-A, scattarono per gioco e senza pensare, tornarono a Vienna e, sviluppati i rullini, si trovarono tra le mani delle fotografie curiose, divertenti e romantiche al tempo stesso, tanto che pure i loro amici se ne innamorarono e l’interesse iniziò a diffondersi.

Sull’onda dell’entusiasmo, l’anno dopo i due amici fondarono la Lomographic Society International, un ente un po’ azienda e un po’ circolo culturale, ed iniziarono a prendere accordi economici sia con le autorità sovietiche (tra cui l’allora vicesindaco V. Putin) per riprendere la produzione delle Lomo, che con altre aziende che producevano macchine dello stesso livello, come Diana e Holga, per la distribuzione delle fotocamere

nel resto del mondo; l’intuizione si rivelò azzeccata…far viaggiare su due binari paralleli una nuova “religione” fotografica (capace di catturare le simpatie di molti, specie dei giovani) e una profiqua azione commerciale di recupero e rivalutazione di fotocamere lowcost (e relativi stock di rullini), il tutto senza concorrenza, in quanto le grandi case giapponesi erano già impegnate nella corsa ai pixel. Con la discesa su internet nel 1994 il successo fu totale, si incrementarono le vendite e si moltiplicarono le iniziative: nacquero così

le prime Lomo Embassy, iniziarono a tenersi i primi congressi, si aprirono i primi Lomostore e si tennero le prime mostre internazionali con i caratteristici LomoWalls, immense pareti dove confluiscono migliaia di immagini, ognuna con la sua storia e la sua anima.

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Lomography oggi: Un marketing efficace, un sito completo e aggiornato ed un costante e mirato restyling di modelli d’epoca (con accessori annessi) sono lo specchio sincero della vivacità e del continuo dinamismo del fenomeno Lomography. Lo sviluppo esponenziale di internet ed i moderni scanner per pellicola hanno permesso lo scambio di foto, opinioni e consigli tra le comunità lomografe di tutto il mondo, dando ancora più impulso alla crescita della LSI; le fotocamere (ormai quasi tutte prodotte in Cina) sono diven-

SARDINIA - è una punta e scatta formato 35mm con lente grandangolare di plastica da 22mm e deve il nome alla sua forma particolare, che ricorda le scatolette delle sardine. Con diverse stampe sul corpo macchina per un look vintage. HOLGA 120 - nata in Cina, formato quadrato, interamente in plastica con una lente a menisco da 60mm per la sua caratteristica vignettatura molto marcata. COLORSPLASH - formato 35 mm dalla forma bizzarra, in plastica con rivestimenti in gomma, con lente “Lomo” e possibilità di scegliere tra 12 filtri colorati per il flash.

tate veri e propri oggetti di culto e molti le collezionano per via delle svariate forme, colori e funzioni…per contro i loro prezzi non sono più i pochi euro dei mercatini ma si sono ben presto adeguati al livello del brand. L’offerta propone decine di modelli, con relative varianti e numerose edizioni speciali, tra cui le più famose sono le seguenti: LOMO LCA+ - la classica da cui tutto ebbe inizio! Facile da usare, tascabile e robusta, utilizza i normali rullini da 35mm ed è ancora oggi costruita manualmente. Una curiosità? si dice fosse la macchina in dotazione alle spie russe per via della lente che montava, un 32mm f2.8 che garantiva un buon campo di visione, anche in condizioni di luce precaria. DIANA+ - l’originale era prodotta ad Hong kong negli anni 60, la versione odierna è una delle lomocamere più versatili, 2 formati quadrati su pellicola da 120mm, doppie esposizioni, posa B, possibilità di foro stenopeico, numerosi accessori e lenti intercambiabili.

HORIZON PERFEKT - lente in vetro per un obiettivo rotante ( si sposta quando scatti) che offre 120° di visuale su quasi 58mm di pellicola; con diaframmi e tempi d’apertura variabili e rivestimento in ABS. ACTIONSAMPLER - quattro lenti per quattro mini foto sullo stesso fotogramma ma con tempi di esposizione diversi. POP 9 - come sopra ma con 9 minifoto sullo stesso fotogramma, per effetti geometrici sorprendenti. SUPERSAMPLER - quattro lenti allineate da 20mm per quattro frame in breve sequenza sullo stesso fotogramma da 35mm, carica a molla con cordicella come i vecchi giocattoli, 2 possibilità di tempi (0,2sec o 2 sec), senza mirino. Ogni scatto è una piccola storia. OKTOMAT - anche qui 8 porzioni di immagine nello stesso fotogramma, con angolazioni e tempi diversi. SPROCKET ROCKET - con lente superwide per un formato panoramico che impressiona tutta la superficie della pellicola, sprockets (dentini) inclusi, e manopole di avanzamento per doppie esposizione. SPINNER 360° - si scatta tirando una cordicella


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e la fotocamera ruota sul proprio asse in una frazione di secondo, per una panoramica a 360 gradi con tutto a fuoco…fotografo compreso. FISHEYE - la prima toycamera 35 mm. con lente ad occhio di pesce e angolo di campo di 170°. Semplicissima, solo 2 tasti e una ghiera, grande profondità di campo ed effetto spioncino assicurato. LUBITEL 166 - stile marcatamente retrò per questa fotocamera biottica con lente da 75mm e mirino a pozzetto. Scatta in medio formato 120 ed è dotata di autoscatto. A questi vanno aggiunti altri modelli ed una ricca gamma di rullini, a colori, bianco e nero, agli infrarossi oppure semplicemente…scaduti. SI o NO? Il confine è molto sottile, la Lomografia può piacere o non piacere, apprezzarla o ignorarla è davvero soggettivo, dipende da come ognuno di noi si approccia alla fotografia, da come la interpreta, dal gusto personale e dal nostro metro di giudizio, costruito sulla propria “formazione culturale fotografica”…di certo, a fronte di molte immagini senza senso, vi sono tanti scatti dal fascino innegabile, ma riassumendo il pensiero dei due fronti in causa, a questa domanda risponderebbero così: Perché SI (secondo un lomografo) - Perché posso esprimere la mia fantasia con semplicità, posso giocare con la casualità e divertirmi in ogni momento, all’improvviso, con spontaneità e poi c’è il sapore dell’attesa, di quando si porta il rullino a far sviluppare, della sorpresa nell’aprire la busta delle stampe e scoprire come è rimasta quella scena che ho immortalato …e c’è l’odore della carta fotografica da annusare, il rumore del trascinamento della pellicola da sentire e il barattolino dei rullini da toccare! E poi perché posso scattare senza ansia, senza paura di un giudizio tecnico e posso curiosare, sperimentare e creare qualcosa di unico, perché non esiste una lomografia uguale all’altra! Perché NO (secondo un fotografo) - Perchè la mancanza quasi totale di controllo non da niente “di mio” all’immagine che ne verrà fuori, è tutto casuale e involon-


tario. Tutto il movimento non è altro che una operazione commerciale, geniale ma non di certo artistica ed ha perso del tutto il concetto originale da cui è nato; tanti la comprano per seguire la moda, perché fa tendenza o per sentirsi “alternativi” nei confronti dell’ormai comune mondo digitale. Inoltre il prezzo attuale di queste fotocamere, vista la bassa qualità di costruzione, è di molto superiore al loro valore reale, senza poi contare i costi ripetitivi di sviluppo e stampa. Se volete provare a cimentarvi con una toycamera o avete nostalgia del rullino, il Lomostore a Milano è in zona Brera e i ragazzi del negozio sono pronti a darvi tutte le informazioni che chiedete milan@lomography.com Consiglio: quando porterete il vostro rullino a far sviluppare…ricordatevi di avvisare lo stampatore che avete utilizzato una Lomo!

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Le 10 regole d’oro. 1) Porta la tua macchina sempre con te 2) Usala sempre, giorno e notte 3) La lomografia non è un interferenza con la tua vita, è parte di essa 4) Non guardare nel mirino, scatta allungando il braccio 5) Avvicinati il più possibile agli oggetti del tuo desiderio lomografico 6) Non pensare 7) Sii veloce 8) Non preoccuparti in anticipo di come verrà lo scatto 9) Non preoccuparti nemmeno dopo 10) Non preoccuparti delle regole


Tutorial: Backstage Set Formaggio TESTO e Foto Carlo Nadalin www.carlonadalin.it

In questo articolo vedremo il “dietro alle quinte” della foto inerente ad un set da formaggi. L’immagine finale è quella mostrata qui sotto e il mio obiettivo era quello di arrivare ad un forte impatto visivo nonostante la semplicità del soggetto.

ANALISI DEL SOGGETTO Innanzi tutto salta all’occhio l’accostamento dei materiali; l’acciaio così liscio e lucente affiancato al legno che per natura è un materiale caldo e materico. Questo aspetto dovremo quindi tenerlo in considerazione durante la costruzione del set. Continuando la nostra analisi possiamo notare che su ogni manico è presente un incavo e quindi anche questo dettaglio dovrà essere messo in evidenza nella nostra immagine finale. Questo aspetto dovrà essere tenuto in considerazione sia in fase di scatto che in post-produzione per metterlo bene in evidenza. Infine da un’analisi piu accurata di ciascun oggetto possiamo notare come il legno sia differente tra un coltello e l’altro, o meglio sono molto simili a gruppi di due. Abbiamo una coppia con un legno a venature più marcate ed una coppia con una trama più fine. Questo aspetto ci aiuterà a decidere la composizione. 12


REALIZZAZIONE DEL SET FOTOGRAFICO Ora che abbiamo concluso la nostra analisi cominciamo a montare un set che tenga conto di tutti gli aspetti appena evidenziati. Innanzi tutto ho scelto di disporre gli oggetti alternando un coltello con il manico a venatura marcata ad uno con trama piu fine così da avere una composizione più bilanciata dando quindi un senso a questa “differenza”. Poi ho inserito una lastra di polistirolo sottile sotto le lame così da tenere il soggetto parallelo al piano di appoggio. Questo è un accorgimento che si usa spesso quando si fotografano coltelli o simili in quanto altrimenti la lama si appoggerebbe per natura al piano di appoggio facendo alzare di conseguenza il manico e si avrebbe un soggetto inclinato. Solitamente si usano piccoli pezzi di plastilina o spessori simili molto ridotti in modo che questi risultino nascoti dietro la lame, ma in questo caso non era necessario perchè visto che l’immagine che avevo in mente prevedeva uno scontorno totale del soggetto per essere poi inserito in una nuova ambientazione, il fatto che lo spessore si veda o meno poco ci cambia. Il set era così composto:

1] Piano di appoggio bianco 2] Visto che abbiamo del metallo cerchiamo come sempre di far specchiare il diffusore retroilluminato su di esso così da avere un acciaio lucente e privo di riflessi parassiti. Quindi ho usato un foglio di carta da lucido abbastanza grande e inclinato in modo che questo si specchiasse sulle lame 3] Un punto luce dietro al diffusore 4] Ho inserito 3 pannellini argentati sostenuti da dei semplici morsetti e posizionati a “U” rispetto al soggetto.

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Nello specifico il pannello in alto a creato quel baffo di luce sulla lama del primo coltello. Il pannello di destra nella foto del set a schiarito tutti gli spessori dei manici. Il pannello in basso nella foto del set a schiarito lo spessore laterale del manico del primo coltello. Questo è stato posizionato in modo inclinato così da schiarire solo il legno e abbiamo evitato che si riflettesse anche sulla parte cromata del manico che già aveva dei bei chiari-scuri. La foto che ne risulta è la seguente

Diciamo che è un buon punto di partenza ma che non mi convince al 100% quindi cerchiamo di vedere quali sono i PRO e i CONTRO di quest’immagine. Punti di forza di quest’immagine: 1] composizione OK 2] assenza di riflessi parassiti sull’acciaio 3] soggetto bene in evidenza in ogni zona Per contro abbiamo: 1] illuminazione un pò piatta sul legno 2] 3 lame su 4 sono prive di sfumatura...diciamo una luce un pò piatta anche qui. Dobbiamo quindi aggiustare il nostro set cercando di mantenere i punti a favore di questa foto ma andando a sistemare i “contro”. Ragioniamoci un attimo... 3 lame su 4 sono piatte e soltanto l’ultima ha una sfumatura molto gradevole tipica del metallo. Se sposto la luce andrò a modificare anche l’ultima lama perdendo quindi tale sfumatura o comunque sia andandola appunto a modificare. OK non sposto la luce ma perchè 3 sono piatte e una no? La risposta è molto semplice... il fascio luminoso è molto ampio rispetto alle dimensioni del soggetto. 14


Ecco la soluzione: aggiungiamo una bandiera per tagliare il fascio luminoso senza spostare nient’altro del nostro set. Alla fine il nostro set risulta

Come possiamo vedere è stato inserito soltanto un pannello tra la luce e il diffusore. Solitamente quando si parla di “Bandiera” si pensa subito alle classiche alette nere presenti nei fari ma in realtà per “bandierare” un punto luce basta mettergli davanti qualsiasi cosa e quindi vanno benissimo cartoncini, lastre di polistirolo, pannelli ecc... l’importante è tagliare il fascio luminoso. Tutto il resto del set è rimasto identico.

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Se la confrontiamo con la Figura 2 possiamo vedere come quest’ultima sia decisamente migliorata: 1] sul legno si sono creati dei chiaro-scuri più evidenti che aiutano ad aumentare la tridimensionalità dello scatto. 2] ora anche la prima lama ha una sfumatura molto simile a quella dell’ultimo coltello e quindi abbiamo una situazione del tipo scuro-chiaro-scuro. Questo ci fa capire che c’è una “pozza di luce” sulle lame dove il punto più forte si trova in corrispondenza delle due lame centrali e man mano che andiamo verso i bordi c’è una cadenza di luminosità. Ovviamente non tutte le lame potranno avere la stessa sfumatura in quanto noi stiamo fotografando una composizione di 4 soggetti e in questi casi è tipico del metallo il fatto di risultare lucente e quasi bianco “puro” nelle zone di luminosità più intensa. Perfetto, sulla base di quanto sopra, possiamo quindi ritenerci soddisfatti del risultato ottenuto in fase di scatto. FASE DI POST-PRODUZIONE Terminata la fase di ripresa fotografica passiamo all’elaborazione del nostro file. E’ impensabile descrivere passo-passo ciascuna operazione fatta con Photoshop con relative immagini di esempio quindi cercherò di segnalare le principali fasi che si sono susseguite per arrivare al risultato finale. Ciò che vi posso garantire però è che la fase di post-produzione si è basata sulle normali tecniche di ritocco con cui sono solito agire quotidianamente e che ho descritto in dettaglio nel mio “Video-Corso di Post-Produzione Professionale” (maggiori informazioni sul sito www.carlonadalin.it). 1] se abbiamo scattato in Raw (che consiglio sempre) dobbiamo per prima cosa convertire questo file in tiff o jpg così da poterlo elaborare poi con Photoshop

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2] una volta ottenuto il nostro file bitmap cominciamo come di consueto con la prima fase di pulizia. Quindi classici strumenti “timbro clone”, “toppa” ecc... per andare a sistemare eventuali imperfezioni del soggetto e rimozione di polvere, graffi ecc... 3] scontorno accurato del soggetto (io in

questi casi preferisco ancora basarmi sullo strumento penna e creare relativi tracciati) 4] duplichiamo il soggetto su un nuovo livello così da ora in avanti trascureremo il fondo che, come dicevamo all’inizio, verrà poi sostituito 5] correzione cromie, luminosità e contrasti delle lame in metallo 6] correzione cromie, luminosità e contrasti dei manici in legno 7] creiamo un nuovo livello sotto al soggetto e utilizziamo lo strumento “sfumatura” impostato sul metodo “radiale” per creare una sfumatura circolare sul fondo. Scegliamo ovviamente i colori “primo piano” e “sfondo” che saranno poi i colori della nostra sfumatura (nel mio caso colori neutri con una leggera dominante fredda) 8] creiamo un nuovo livello vuoto sopra al livello “sfumatura” appena creato (quindi questo livello vuoto si troverà tra lo sfondo e il soggetto). Selezioniamo lo strumento “Pennello”, impostiamo una grandezza molto grande e con “durezza” pari a “0” (quindi un pennello sfumato). Impostiamo l’opacità a circa 80% e scegliamo come colore di primo piano il bianco. Facciamo un “Click” per pitturare partendo piu o meno dal centro del soggetto. Questo permette di ottenere un ulteriore sfumatura e di aumentare la “pozza di luce” ricreata sul fondo. Così facendo il livello soggetto si stacca meglio dal fondo e allo stesso tempo abbiamo coerenza tra la pozza di luce che colpisce il soggetto e la “finta” pozza di luce che colpisce il fondo. Ora se vogliamo possiamo ingrandire questa pennellata per aumentare la zona luminosa o, volendo, creare ulteriori livelli e ripetere le operazioni di “pennellate” sino a trovare la giusta “pozza” che vogliamo ottenere. 9] Adesso selezioniamo il livello del soggetto e applichiamo uno “Stile di Livello” - “Ombra Esterna”. Questo stile, se usato singolarmente, non è adatto se vogliamo ricreare un ombra realistica su un piano di appoggio vero ma visto l’effetto di “galleggiamento” che volevo ottenere, questa volta è proprio l’effetto che fa al caso nostro. Impostiamo una distanza molto ampia, una sfumatura dell’ombra molto alta e poi riduciamo l’opacità per smorzare l’effetto. Perfetto così abbiamo ricreato la nostra nuova ambientazione


simulando che i coltelli fossero sospesi in aria. 10] Adesso non ci resta che ottimizzare ulteriormente il soggetto per sistemare eventuali luci, ombre e cromie, per fondere meglio il nostro soggetto con il nuovo fondo 11] Tecniche varie per aumentare la nitidezza e la tridimensionalità Et voilà... lavoro finito! CONCLUSIONI In questo tutorial abbiamo visto come anche un soggetto all’apparenza molto banale si possa prestare ad essere usato per una foto di forte impatto visivo. In casi come questi ci viene in aiuto la post-produzione piu o meno creativa che ognuno di noi può scegliere di mettere in pratica però una cosa è certa... come sempre la post-produzione serve per arrivare al risultato che ci siamo prefissati e non a “migliorare” una foto palesemente sbagliata. Ecco che conviene prima “pensare” e poi “agire”... il tutto è stato pianificato a priori e questo mi ha permesso arrivare al risultato voluto senza particolari problemi.

Già sapevo di voler scontornare il soggetto per ottenere un effetto “anti-gravità” e quindi in fase di scatto ho messo quella famosa lastra di polistirolo come spessore per le lame così da tenere i soggetti paralleli al piano di appoggio. Già sapevo di volere uno sfondo sfumato che simulasse una pozza di luce ed ecco perchè sul set ho cercato di ottenere questo effetto anche sulle lame del soggetto. ... e via dicendo! Vogliamo parlare del set? Molto minimalista...1 luce + 1 foglio di carta da lucido + 3 coperchi cuki + 3 morsetti + 1 cartoncino per bandiera + 1 spessore in polistirolo Questo a dimostrazione che non sempre è necessaria un’attrezzatura da migliaia di euro per fare foto “particolari” ma bensì dobbiamo essere in grado di sfruttare al meglio ciò che abbiamo. Come sempre fase di scatto e post-produzione devono essere due fasi collegate e fatte una in funzione dell’altra e non essere considerate come due step di lavoro indipendenti.

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Kids, Fashion and... TESTO Fabio Giovannetti info@2clickphoto.com

Tutti o quasi prima o poi abbiamo avuto il piacere di fotografare un bimbo: che sia nostro figlio, nostro nipote, il figlio di amici o un bimbo che gioca per strada poco importa: il loro atteggiamento così spontaneo, la grande espressività che scaturisce da un semplice sguardo, è qualcosa di assolutamente raro ed affascinante a cui è difficile resistere e non provare ad immortalarlo in una foto. Noi, come spesso accade, ci siamo accostati a questo particolare mondo quasi per caso. Organizzando set con protagonisti i bambini per alcuni progetti legati al mondo del microstock, ci siamo ritrovati a confrontarci con una realtà che non ci aspettavamo e che ci ha subito attratto. E’ bastato poco infatti per farci coinvolgere da questo settore ed abbandonare definitivamente il progetto originario del microstock, per dedicare tutte le nostre risorse ad un mondo tanto affascinante quanto complesso come quello della fotografia pubblicitaria e di moda per bambino. Affascinante perché per un fotografo che ami ovviamente il ritratto e la moda, è indubbiamente stimolante lavorare su un set che consente di esprimere il proprio stile e la propria creatività in modo molto spiccato, così come accade lavorando nel campo della fotografia di moda per adulti. Dietro la foto di un marchio o di un editoriale di moda che ha come protagonista un bimbo infatti, c’è un grande lavoro esattamente come accade per i colleghi che si occupano dei “grandi”. Indipendentemente dal fatto che il committente sia un grande marchio di abbigliamento per una pubblicità o un catalogo, una rivista per un editoriale, o una ricerca personale per il proprio portfolio, si parte sempre da un’idea attorno alla quale viene sviluppato e creato il set, con tutto ciò che questo comporta: recupero dei materiali nel caso di un set in studio o ricostruito, ricerca della location nel caso di un’esterna, ricerca del piccolo modello/i attraverso le agenzie o il contatto diretto con i genitori, studio dello styiling per quanto riguarda vestiti ed acconciature, trucco e “parrucco” con make up artist specializzate per bimbi. ¬ 18

FOTO 2 Click Photography www.2clickphoto.com

Complessa perché i modelli sono appunto bambini, che devono principalmente divertirsi e non stressarsi come piace tanto fare a noi adulti, ma allo stesso tempo è necessario eseguire un lavoro, portare a casa “la foto”, e quindi l’impegno del fotografo e del team diventa fondamentale. Così come accade per un bravo ritrattista, che deve trovare la giusta sintonia con il modello che ha di fronte, con i bimbi è fondamentale conquistare la loro fiducia, cercando di trovare il giusto equilibrio tra gioco e impegno. Con un bimbo, soprattutto con i più piccini, è molto difficile ottenere qualcosa semplicemente chiedendola, anzi, spesso si ottiene esattamente l’opposto, soprattutto se


il piccolo modello avverte pressione e aspettative. E’ necessario portare poco a poco il bimbo verso la foto che vogliamo e non il contrario, e allo stesso tempo essere sempre pronti ad approfittare di quel momento in cui potrebbe cadere la naturale barriera della diffidenza per lasciare posto a quell’espressione spontanea che stavamo aspettando e che probabilmente avevamo già visto fuori dal set. Un altro aspetto importante con cui ci si trova a confrontarsi è il rapporto con i genitori dei bimbi. Anche se si tratta di un aspetto di cui si occupano principalmente le agenzie che seguono i piccoli modelli proponendoli ai casting e alle aziende, conquistare la fiducia dei genitori equivale spesso a conquistare indirettamente anche quella del bimbo e viceversa. Un ultimo accenno infine ad un altro passaggio fondamentale: la post produzione, che come in tutti gli ambiti della fotografia ormai, è fondamentale anche in questo settore. Si è infatti portati a pensare che i bimbi, soprattutto i neonati, abbiano una pelle liscia e rosea, assolutamente priva di imperfezioni. In realtà anche nei bimbi è necessario padroneggiare bene le tecniche di post produzione tipicamente utilizzate nel ritratto, da affiancare al proprio personale modo di interpretare e sviluppare il negativo digitale.

A livello più personale, scattare con i bimbi oltre che un lavoro è un’avventura continua, a volte una sfida difficile alla nostra pazienza che spesso viene vinta da un sorriso inaspettato, e soprattutto un modo per ricordarci sempre che al di là di tutto quello che facciamo, degli obiettivi che possiamo avere o che vorremmo raggiungere, c’è sempre qualcosa di più importante. Inutile dire che essere in due oltre che nella vita anche nel lavoro, in particolare in questo lavoro che è anche una comune passione, ci aiuta molto e ci crediamo a tal punto da averlo evidenziato nel nome che abbiamo scelto per la nostra attività. La nostra dualità, con le nostre differenti personalità, ci agevola in particolar modo con i bimbi, perché spesso sono loro che “scelgono”, anche se in modo non sempre evidente, con chi abbassare le difese. In due è più semplice perché chi si occupa di scattare, di “cercare” la foto, può contare sull’aiuto dell’altro che interagisce con i bimbi, che sa già senza bisogno di parole quello che entrambi stiamo cercando. Si crea così una forte sinergia in cui ci scambiamo i ruoli in modo molto naturale, a volte anche all’interno dello stesso servi-

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zio, un po’ come quando si sceglie l’obiettivo più adatto per quella particolare foto. Ovviamente ognuno ha le sue peculiarità, che nel nostro caso sono fortunatamente complementari: io da buon ex informatico sono più portato verso la parte prevalentemente tecnica del lavoro mentre in Manuela prevale il lato artistico e compositivo, per cui anche in questo caso i ruoli ed i compiti si distribuiscono in modo quasi automatico. Un’ultima cosa che mi sento di spiegare è il motivo per cui abbiamo deciso di occuparci solo di bimbi. Ho sempre ritenuto importante specializzarsi in un settore specifico, non solo per la fotografia ma anche per altre attività. Ritengo che l’unico modo per dare il massimo sia conoscere a fondo non solo quello che si sta facendo ma anche con chi e come lo si fa. Ci rendiamo conto che impariamo e cresciamo continuamente a livello professionale non solo quando “facciamo” foto o frequentiamo un corso specifico o parliamo di fotografia, ma anche e soprattutto restando costantemente a contatto con l’ambiente in cui lavoriamo, con il mondo delle agenzie specializzate, seguendo le aziende del settore, stringendo contatti attraverso i social networks con le

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mamme dei bimbi che potrebbero essere i futuri protagonisti di un progetto o di un lavoro, insomma respirando ed assorbendo ogni giorno tutte le informazioni possibili legate alla realtà con cui abbiamo scelto di lavorare. Con queste premesse ci risulterebbe davvero difficile seguire settori differenti, non potremmo calarci completamente in quello che stiamo facendo come siamo abituati a fare, e in questo senso ci piacerebbe che venisse

riconosciuta e data l’importanza che merita a questo aspetto da chi sceglie i professionisti a cui affidare un lavoro, perché non c’è miglior esperto di chi si occupa a 360 gradi del proprio settore. E con i bimbi la tecnica fotografica passa spesso in secondo piano per lasciare spazio a creatività, ambiente sereno e giocoso e tanta, tanta pazienza.

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Con te partirò. Compatta, telefonino, mirrorless o reflex ? TESTO Federico Zaza www.federicozaza.it

La fotografia è indissolubilmente legata al viaggio. Il ricordo di quest‘ultimo è quasi sempre, ed in maniera preponderante, affidato in maniera esclusiva alla fotografia. Naturalmente esistono altri mezzi come la ripresa video, ma è un discorso più di nicchia, più particolare. Comunque proprio per come è strutturato il nostro modo di ricordare, cioè per immagini singole, la fotografia rimane il mezzo privilegiato per appuntare le nostre note visive, per rendere indelebili i nostri ricordi del viaggio, e non solo. Tra l’altro in quest’epoca digitale la convergenza tra sistemi video e fotografici è innegabile ,ma questa è un’altra storia. Esattamente come esistono diverse tipologie di viaggi, esistono anche diverse tipologie di fotocamere. Scegliere di partire “armati” solo con il nostro amato cellulare è ben diverso che prendere una buona reflex e due o tre lenti per poter affrontare qualsiasi situazione in maniera ottimale. Prendiamo quattro diversissime scelte tecniche: una reflex digitale, una compattina semplice con zoom abbastanza esteso che sta in una tasca, un

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cellulare ed una mirrorless. Ora, chiaramente , sono macchine destinate a diversi utenti ,in teoria, ma in pratica posso intrecciarsi benissimo con fotografi di diversissima esperienza ,cultura e sensibilità che affrontano situazioni completamente diverse. Anche per i viaggi è possibile riscontrare una tale varietà di opzioni che rende complicata la scelta se non si hanno idee ben chiare. Fare un weekend lungo di tre o quattro giorni con il classico pacchetto, tipo i “box” di diversi marchi e prezzi, che vanno tanto di moda ora, e dove tutto è assolutamente già stabilito ed organizzato, sarà profondamente diverso che partire zaino in spalla spostandosi in bed & breakfast o in ostelli. Altra enorme variabile è il posto ove ci rechiamo. Andare in Islanda, ovviamente comporta scelte tecniche diverse che una visita di qualche giorno a Roma. Naturalmente il tipo di fotografia che vorremo fare è assolutamente fondamentale per capire quale sia il mezzo più adatto alle nostre esigenze. Dover fare 30 foto ricordo, chiedendo al passante di inquadrarci in coppia con la nostra compagna o compagno, difficilmente giustifica il peso e l’ingombro di una DSLR e tre obiettivi. Usando un eufemismo. Probabilmente in un caso del genere, di un uso totalmente disimpegnato della fotocamera, in una chiave di utilizzo di poche foto del posto e qualche foto ricordo di noi stessi, una compatta semplice potrebbe essere una scelta positiva. Peso ed ingombri ridottissimi, buona escursione zoom che fa sempre comodo, almeno per come la vede la maggior parte dei non addetti ai lavori, ed una facilità di utilizzo


a prova di errore. In questa categoria rientrano macchine come la Sony HX9V, la Nikon Coolpix S9100, la Panasonic TZ 20 (ma è già stata presentata la TZ 30 con uno zoom da 24-480 mm, che per un giocattolo che sta in tasca, è incredibile). O ancora la Canon SX 230 HS o la Samsung WB 210. Il vero limite di tutte queste macchine è la loro qualità d’immagine. Poche hanno funzioni manuali, ad eccezione di questa eccellenza che ho elencato, tutte hanno sensori microscopici che nel corso degli anni, di generazione in generazione, si sono affollate sempre più di pixel. E purtroppo i costruttori, invece di pensare al loro reale utilizzo, hanno pensato ad argomenti di marketing, a come vendere. Vista la prospettiva moderna secondo la quale “avere di più “ (in questo caso megapixel e zoom…) equivale comunque ad un

miglioramento. E questi sono stati gli unici argomenti di vendita. Senza troppi giri di parole è palese che questo tipo di utilizzatore stamperà pochissimo, al limite girerà un paio di video e li si fermerà. Allora mi chiedo.. perché non fermarsi con i megapixel a 5-6, al massimo, ed offrire file più leggeri, adattissimi alle stampe almeno fino ad un 20X30, con una resa cromatica ed un rapporto segnale-rumore assolutamente migliori rispetto alla bassissima qualità generale che oggi impera in questa fascia di prodotti? Evidentemente c’è bisogno di certi argomenti per vendere qualche pezzo in più, peccato. La qualità è standardizzata verso il basso, del resto i sensori sono quelli, ottimizzati in maniera del tutto simile. Se avessero almeno la possibilità di salvare in RAW, con zoom meno estremi ma dalla più elevata qualità e luminosità, con sensori leggermente più grandi e meno ricchi di pixel, potrebbero ambire anche alle tasche di utenti più esigenti. A mio parere si allargherebbe ulteriormente la loro appetibilità. Il RAW ,che per onor di cronaca è appannaggio esclusivo della Fujifilm F770\775 EXR, permetterebbe di alleviare parzialmente il più grande difetto di que-


ste fotocamere: la riduzione del rumore on camera che nel salvataggio in JPEG fa si che i dettagli più fini e quelli delle zone a contrasto più basso vengano persi. Certo è che non basta il RAW, servono anche densità di pixel inferiori, cioè meno mp sui sensori microscopici delle compatte. C’è da dire che, di fatto, il target di questa tipologia di macchine non si accorge di tali problemi grazie alla quantità di pixel che nasconde semplicemente le magagne. In pratica si lavora in sovrabbondanza per poter avere una qualità del dato catturato comunque inferiore rispetto a quello che si avrebbe se si lavorasse esclusivamente verso la direzione di una maggior qualità fotografica. E di quello che davvero serve ad un dato target di utenti. Rimarchevole la qualità dei video di queste macchine, in particolar modo della Sony HX9V, dotata anche di uno stabilizzatore notevole. Ultima nota su questa categoria è l’evoluzione dei sistemi AF, particolarmente evidenti sulle Panasonic. Sull’ultima TZ30, infatti, ha annunciato lo stesso sistema delle ben più complesse e performanti mirrorless m4\3. In pratica grazie ad un refresh del sensore estremamente elevato (120 Hz ) si hanno prestazioni eccellenti in qualsiasi condizione di luce. Specie in AF-S.

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La scelta di un viaggio con un iPhone o con un moderno smartphone dotato di una parte fotografica interessante può essere più trasversale, invece. Il ragazzo che parte per un interrail, ad esempio, spesso terrà il telefono spento per non pagare in roaming, ma avrà la comodità di avere una macchina fotografica a peso ed ingombro zero. La bellezza è anche quella di poter condividere, appena si trova un hot spot wi-fi, qualche scatto con gli amici che non sono partiti, magari su Facebook o Tweeter. Ma è notevole anche la ricchezza dei software che si sviluppano per queste piattaforme. Penso ad Hypstamatic per iPhone (dove si sceglie il rullo, la lente, i diversi flash, etc) o di editing in fase successiva allo scatto come Tilt & Shift Generator, sempre per il melafonino. Lo smartphone è anche lo strumento principe di chi viaggia per lavoro molto spesso, penso ad esempio al

manager. Ma anche a chi ritiene semplicemente che per dei ricordi sia assolutamente sufficiente .Ed in effetti lo è, almeno al pari delle compatte di cui abbiamo parlato prima. Con una qualità che tutto sommato è assolutamente adeguata all’uso che se ne farà, cioè la condivisione su un social network o al massimo una stampa 10X15 o 13X18 cm quando proprio si esagera . Le differenze qualitative con la categoria delle compatte standard non sono affatto clamorose, pensando all’output finale (visione su televisori HD o piccole stampe). Casi limite a parte, chiaramente, dove le compatte qualche margine ce l’hanno ancora. Anche fotografi avanzati possono scegliere uno smartphone per un progetto particolare, che magari consente uno sviluppo formale, fotograficamente parlando, adatto al mezzo. Sicuramente la moda del momento sono le mirrorless, in fase di crescita sui mercati di tutto il mondo ed una realtà consolidata nel mercato giapponese dove hanno conquistato circa il 40% del mercato. Una buona m4\3 (micro quattro terzi) ed uno zoom, magari il nuovo Panasonic pancake 14-42 compatissimo e leggero possono bastare. Al più ci si aggiunge un tele compatto e si viaggia con leggerezza e soddisfazione. Una “vecchia” Panasonic GF2 si porta a casa con relativamente pochi soldi ed offre un buon kit da viaggio con le ottiche di cui sopra, o anche con i meravigliosi fissi nati apposta per questo formato. Uno su tutti il 20 f1.7 Panasonic, un vero must per chi entra in questo sistema, al momento il più completo come quantità di lente proposte. Alcune di altissimo livello qualitativo ,tra cui proprio il 20 che è estremamente nitido a qualsiasi apertura, con uno sfocato piacevole, buona distanza minima di MAF ,ottimo AF, piccolissimo tanto che sta in tasca di un jeans…. Partire con macchine come la Panasonic o come la Olympus EP3 o anche la più recente Nikon 1, che non appartiene al


consorzio m4\3 ma è una efficientissima e piacevolissima mirrorless, permette sicuramente di avere più possibilità creative, più qualità rispetto a qualsiasi compatta ed ingombri e pesi ridotti rispetto ad un sistema reflex. Un equilibrio davvero invidiabile. Soprattutto il sistema Nikon 1 ed il m4\3 Olympus\Panasonic sono le due alternative maggiormente ottimizzate dal punto di vista di pesi e dimensioni contenuti. Sia per i corpi macchina che per le lenti. Queste macchine consentono anche di lavorare. Il “lavoro” fotografico di un amatore ,anche in viaggio, è quello di un progetto personale, chiaramente. Fotografare quindi seguendo una traccia, un tema ,cercando una narrazione secondo una linea guida, un’idea. In questo territorio la fotografia di viaggio assume sia il valore di ricordo, ma soprattutto una valenza personale, cioè lo sviluppo dell’idea di quella persona in quel determinato tempo e luogo. Non solo la foto ricordo, la foto del turista, insomma. Che, per carità, ha pari dignità ma anche un senso, un significato diverso. Con strumenti simili, adattissimi a scopi più sofisticati ed ad una fotografia decisamente più impegnata, abbiamo performance di tutto rispetto in diversi ambiti come AF molto veloci, soprattutto nelle ultime m4\3 e delle Nikon

1. Queste ultime vantano un innovativo sistema AF ibrido efficace anche in modalità continua (AF-C) . Ma anche esposimetri precisi ed affidabili ; scatti in RAW e buon rapporto segnale rumore anche a sensibilità relativamente alte. Insomma hanno tutto quel che può servirci. Non sarà come sulle migliori reflex ma si può fotografare senza limitazioni. E soprattutto con le Nikon avere un connubio macchina - lenti piccolissimo. Partire con un sistema reflex invece ha senso se l’idea è quella di un viaggio strettamente fotografico. Altrimenti le altre opzioni fin qui esaminate, a mio giudizio, possono offrire un equilibrio migliore nel compromesso inevitabile tra qualità d’immagine ,pesi ed ingombri. Queste ultime voci, infatti, in un viaggio che richiede diversi spostamenti, sono spesso determinanti nella scelta dell’attrezzatura da utilizzare. I sistemi reflex APS-C sono molto estesi, vantano macchine a partire da prezzi abbastanza abbordabili e dimensioni e pesi contenuti. Se dovessi sbilanciarmi direi che tra le entry level sceglierei Nikon o Canon, con una preferenza per Nikon

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per le ottiche kit che trovo siano superiori qualitativamente, in media. Una Nikon D3100 o D5100 o una Canon EOS 1100D o 550\600D possono permettere di affrontare qualsiasi situazione con una qualità eccellente. Ho lasciato fuori volutamente la Pentax perché è un pochino una storia a parte. Mi spiego. Vanta due corpi macchina notevoli e soprattutto di una serie di ottiche fisse per formato ridotto APS-C. Piccole, luminose ed estremamente performanti. Che sia l’ammiraglia k-5 o la base k-r (comunque estremamente ben dotata, tecnicamente parlando) con queste lenti accoppiate potrete avere un’ eccellente qualità e pesi ed ingombri ridotti al minimo, per la categoria. Incredibilmente a catalogo ci sono diversi pancake che coniugano eccellentemente prestazioni, luminosità, resa ed ingombri in un mix davvero unico nel panorama attuale delle reflex digitali. Per la K-r parliamo chiaramente di prezzi diversi, e per caratteristiche andrebbe correttamente confrontata con macchine della categoria semi professionale come la Canon 7D o la Nikon D300s. L’ho inserita in questo articolo, a differenza delle due citate, esclusivamente perché le peculiarità del suo corredo le consentirebbero di essere, probabilmente, la miglior macchina di “lusso” DSLR da viaggio. Basta andare a vedere le dimensioni del 15 f4, del 35 f2.4 ,del 70 f2.4 o del 77 f1.8 e ci si rende conto dell’unicità di questo bellissimo sistema. Che troppo spesso non viene considerato, purtroppo.

E quella elencata, per inciso, è solo una delle tante combinazioni possibili di lenti Pentax. Di fissi e di pancake ne vanta davvero tanti. Certamente qualsiasi sia la scelta del modello di DSLR in viaggio, oggi, ha senso solo se si parte per un tour prettamente fotografico e non si vuol rinunciare alla precisione di un mirino ottico, alle capacità di un sistema AF a rilevazione di fase, ad una pulizia e qualità d’immagine assoluta anche in condizioni non semplici, un’autonomia elevatissima perché impossibilitati ad avere l’accesso ad una rete elettrica per diversi giorni etc, etc . Insomma ad aspetti critici che emergono solo quando l’impegno profuso nella fotografia va ben oltre la foto ricordo. Naturalmente anche in questo caso va considerato il contesto: andare di ostello in ostello o di campeggio in campeggio con sistemi così vistosi forse non è il massimo, specie se non è assolutamente indispensabile. Ma anche problemi geografici e\o sociali possono incidere su una corretta scelta dell’attrezzatura. Forse in un luogo dove ,per motivi culturali diversi ,non si vede di buon occhio la macchina fotografica ,anche qualcosa di meno invasivo potrebbe essere considerato per poter scattare

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con meno difficoltà. O, nel caso si dovesse camminare per tanti km ogni giorno ,non sempre sarà il caso di sostenere a lungo pesi troppo elevati. D’altra parte viaggiare in zone poco ospitali, con alti tassi di umidità, temperature particolarmente basse o alte, o sabbia particolarmente fine come quella di alcuni deserti, etc sono tutte situazione in cui una macchina tropicalizzata, cioè resistente alle più avverse condizioni climatiche ed ambientali, può far comodo. Come questa Pentax K-r. Esistono alternative, comunque, anche nelle altre categorie. Per le compatte sono in vendita tutta una serie di macchine adatte ad un utilizzo molto gravoso. Impermeabili, adatte a temperature basse ed alte, resistenti ad urti, possono essere una scelta adeguata per quelle situazioni di viaggio estreme. Nella categoria ricordo la Nikon Coolpix AW100 e la Panasonic FT4. Dotate, tra l’altro di GPS e, solo quest’ultima ,di impostazioni manuali. La qualità d’immagine risente degli stessi limiti delle compatte standard. Tra le mirrorless l’unica tropicalizzata è la nuovissima Olympus OM-D EM-5, presentata, tra le altre cose, anche con due lenti adatte a lavorare in queste situazioni un pochino critiche.

Come possiamo vedere ,il quadro commerciale è ricco di offerte diversificate ed interessantissime. Inoltre nuove macchine si stanno affacciando sul mercato. Ad esempio la mirrorless orientata i professionisti ed amatori evoluti, la Fujifilm X-1 Pro. O la Sony Nex 5n. Ci sono poi vie intermedie tra le varie categorie fin qui descritte. Come ad esempio le compatte avanzate ,tipo Fujifilm X100 o Canon G12 o Nikon P7100. Soluzioni che si collocano a metà strada tra le compatte tradizionali e le mirrorless. Mi pare evidente che parliamo di un mercato che ha colmato praticamente qualsiasi tipo di esigenza di questo tipo. Difficile potersi lamentare. Ad ognuno di noi il viaggio dei suoi sogni. Che sarà necessariamente diverso da quello di chiunque altro. Di conseguenza sarà diversa la scelta della macchina ideale. Buon viaggio.

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West America TESTO Maurizio Fontana

mauriziofontana1975@gmail.com

Riuscire a visitare il mitico West degli USA per poter guardare con i miei occhi tutti quei luoghi che ho sempre ammirato nei film, sui poster e nei libri di fotografia è sempre stato un mio sogno nel cassetto, sogno che è diventato realtà lo scorso anno. Alcuni miei viaggi nascono da una scintilla, da un idea che mi balena per un secondo in testa e che mi porta ad approfondire su internet il pensiero fuggente che ho avuto, in questo caso invece era un fuoco che mi ardeva dentro già da tempo e stava aspettando solo il momento giusto per “divorarmi”. Tutti i viaggi che abbiamo fatto con Paola, la mia fidanzata, li ho sempre organizzati personalmente, questo incluso, utilizzando 3 semplici strumenti: una buona guida (Lonely Planet), una generosa cartina e tanto tanto internet. La guida risulta fondamentale per un’infarinatura generale e per capire anticipatamente gli usi e i costumi dei luoghi, la cartina per segnare il percorso con le varie tappe da seguire, internet per prenotare tutto il prenotabile (voli, alberghi, noleggio auto ecc ecc) e per approfondire la ricerca di posti che talvolta non sono neppure indicati sulle guide. Una semplice ricerca su Google immagini oppure Flickr inserendo le giuste parole chiave (regione, stato, città) può farvi scoprire luoghi meravigliosi di cui non avete mai sentito parlare e addirittura che non avreste mai pensato potessero esistere! Quindi ho iniziato a spulciare su internet decine di foto per cercare di capire dov’erano state scattate, scoprire i luoghi e segnarli sulla cartina aiutandomi con Google Earth. Una volta segnati i punti non mi restava altro da fare che “unirli”, questo è stato il momento più difficile perché, visto che i giorni di vacanza sono sempre limitati, ho dovuto rinunciare a qualcosa di troppo e/o di troppo lontano e dopo qualche settimana di riflessioni finalmente sono riuscito a dare una forma al viaggio. Il 15 Settembre 2011 io, Paola ed il nostro amico Arnaldo decolliamo da Genova con scalo a Parigi 28

e destinazione San Francisco dove avevo preventivamente prenotato le prime 2 notti in un albergo, relativamente centrale e vicino all’auto noleggio, dal quale 2 giorni dopo saremmo dovuti partire per la nostra avventura, di circa 5000 km, che il 3 Ottobre ci avrebbe visti arrivare a Las Vegas per il volo di ritorno. A San Francisco decidiamo di dedicare poco meno di 2 giornate, giusto il tempo per vedere le attrazioni più famose, fare 4 passi per la città, riprendersi dal jet lag (ci sono ben 9 ore di fuso orario rispetto all’Italia) e assistere ad un’alba al Golden Gate, anche perché ci aspettano davvero tante cose da vedere. Il 16 Settembre ci svegliamo 1 ora prima dell’alba saltiamo su un taxi e durante il tragitto facciamo colazione con ciambelline e succo di frutta. Dopo 25 minuti ci ritroviamo su molo ad est del ponte sulla sponda lato città. Scendiamo dall’auto, mi do una veloce occhiata in giro e non scorgo nessuno, siamo soli di fronte al Golden, incredibile! Tutto è ancora avvolto dal buio, la strada è bagnata dalla rugiada ed i lampioni rivelano la presenza di una leggera nebbiolina tipica del luogo, scorgo un ombra nella nebbia, è un ragazzo che fa jogging. C’è un freddo umido e pungente mi alzo il cappuccio della giacca e con l’attrezzatura fotografica in spalla mi incammino verso il ponte pensando a quanto sia vero quel detto che recita “non esiste inverno più freddo di un’estate a San Francisco”. Sta iniziando “l’ora blu” il cielo è grigio di nuvole e foschia, l’odore salmastro del mare, che sale dalla spuma delle onde lunghe che si infrangono sugli scogli, mi riempie i polmoni e mi fa sentire un po’ a casa; peccato che non sia una delle migliori albe dal punto di vista fotografico ma essere lì in quel momento non ha prezzo! Mentre il cielo inizia a schiarire la passeggiata inizia a popolarsi di sportivi, molto gentili e amichevoli e sugli scogli bagnati dall’oceano si intravedono stelle marine di colore rosso-arancio grosse come piatti. Le condizioni meteo sono molto variabili quindi decido di sistemare il treppiede preparare tutta


l’attrezzatura necessaria e aspettare che la natura mi stupisca in qualche modo, nel frattempo mi godo i delfini ed i leoni marini che scorazzano per la baia! Mi giro dalla parte opposta, vedo il sole squarciare le nubi e proiettare uno spot di luce sul Golden Gate, era quello che aspettavo!

strada che taglia il parco trasversalmente da ovest a est attraverso boschi centenari, praterie sconfinate, crinali con viste mozzafiato e laghi turchesi immersi in un verde lussureggiante. Qui lo Yosemite da il meglio di sé riguadagnandosi tutti i punti che aveva perso i giorni precedenti!

Il mattino successivo si parte, ci aspetta un lungo tragitto in auto che attraversa la California trasversalmente e che ci condurrà nel cuore dello Yosemite National Park: la Yosemite Valley; sono molto eccitato perché lo consideravo una meta importante da cui mi aspetto moltissimo, in realtà il parco è molto bello ma sfruttato all’inverosimile, è tutto un enorme business pieno di contraddizioni che, forse causa le alte aspettative che avevo nei suoi confronti, mi ha deluso un po’. Complice il poco tempo a disposizione l’ho trovato molto dispersivo e con i punti di interesse relativamente interessanti, tutto questo comunque non mi ha impedito di portarmi a casa un bel tramonto ricordo a cui sono affezionato:la mia prima roccia americana che si infuoca al tramonto!

Arriviamo al Tioga pass a 3.000 mt di altitudine usciamo dallo Yosemite e iniziamo a scendere verso Lee Vining una cittadina di 220 anime posta vicino al Monolake. Pranziamo presso il “solito” e caratteristico fast food del benzinaio di turno, cerchiamo un motel per la notte e ci rechiamo in una zona a sud del lago chiamata South Tufa, caratterizzata da particolari conformazioni di tufo che emergono dalla spiaggia e dall’acqua. Manca ancora parecchio al tramonto ma il cielo si sta annuvolando pesantemente generando contrasti cromatici impressionanti: una tempesta si sta formando proprio sopra il lago e potrebbe essere una buona occasione da sfruttare. Si alza il vento, l’acqua si increspa, il cielo nero scarica saette nel lago e la temperatura crolla di una dozzina di gradi, venti minuti prima era una soleggiata e torrida giornata di settembre ora sembra una scena dell’apocalisse, mancava solo Mosè ad aprire le acque del lago…

Dopo aver trascorso 2 notti nella Yosemite Valley si parte per Monolake percorrendo obbligatoriamente la Tioga pass road, una meravigliosa

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Una situazione mai vista a dir poco inquietante ma ipnotica e meravigliosa allo stesso tempo: piazzo il treppiede in posizione bassa e con la gambe molto aperte in modo da dargli più stabilità possibile, monto l’attrezzatura, proteggo il tutto con la coperta antipioggia, indosso la mantella impermeabile e aspetto! Passa qualche minuto ed inizia a piovere, il vento si fa sempre più insistente e tutti scappano a rifugiarsi dalla pioggia, restiamo sulla spiaggia solo io ed il mio amico e compagno di viaggio Arnaldo, mi accuccio, a pochi metri dal cavalletto, in mezzo agli arbusti che emanano ancora un po’ di calore e aspetto il tanto agognato raggio di sole! Il temporale dura circa 40 minuti dopodiché il sole spunta in un lembo di cielo sgombro, tra le nuvole e le montagne che circondano il lago. Prima illumina le rocce di tufo poi scompare dietro le montagne incendiando tutte le nuvole del cielo di arancione e creando arcobaleni dalla parte opposta al tramonto! Non sento più il freddo e scompare la stanchezza perché mi trovo di fronte e tutt’attorno il tramonto più “imponente” e bello che abbia mai visto nella mia vita, sto quasi per impazzire dalla gioia e non so neppure dove girarmi per fotografare cosa!

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La mattina seguente ci aspetta un’altra tirata in auto da Monolake alla Death Valley, da 2000 mt di altitudine ci ritroviamo a -90 mt slm, la depressione più bassa di tutto il nord America. Sulla carta presentava molti punti di interesse, a mio avviso alcuni sono solo specchietti per allodole per attirare turismo in un luogo dove a fine settembre ci sono ancora 46°, altri invece sono molto interessanti per la loro unicità come Badwater (un lago salato per la maggior parte dell’anno asciutto)

e Zabriskie Point (un punto di vista panoramico a 180° su delle colline dalla conformazione particolarissima, utilizzate anche come set cinematografico in alcuni film). Non nascondo di aver provato un poco di timore ad attraversare queste zone perché la temperatura era proibitiva ed i telefoni cellulari non avevano campo, in caso di guasto dell’auto sarebbe stato un bel problema. La tabella di marcia della vacanza prevedeva 2 notti nella Death Valley ma, dato che il primo giorno eravamo riusciti a vedere tutto ciò che ci interessava ed il caldo torrido ci stava fiaccando, la mattina successiva al nostro arrivo fuggiamo dalla Valle della Morte per andare a lambire la periferia di Las Vegas e puntare verso lo Zion National Park, il primo dei parchi di terra rossa e canyon della nostra vacanza. Lo Zion è, a mio parere, uno dei parchi americani più belli perché, oltre ad essere ricco di vegetazione che crea un contrasto cromatico verde-rosso molto suggestivo, presenta alcuni corsi d’acqua al suo interno che danno origine a paesaggi molto eterogenei fra loro. In pochi km si possono ammirare panorami mozzafiato a strapiombo sui canyon e passeggiare nel letto del fiumi dei canyon stessi.


Una particolarità dello Zion è la Subway, una sorta di grotta scavata dall’acqua di un fiume che ha originato un tunnel molto simile a quello delle metropolitane, da qui l’origine del suo nome. Un luogo meraviglioso, lontano dal tempo e dalla civiltà, non facilmente accessibile (15 km andata e ritorno a piedi seguendo il letto di un fiume), per nulla pubblicizzato perché considerato sito da preservare e per il quale rilasciano solo 20 permessi al giorno. Alle 6.00 del mattino siamo di fronte allo sportello del visitor center che rilascia i permessi e siamo fortunati ad ottenerne 3 per il giorno successivo. E’ stato faticoso trovarla e raggiungerla ma dopo 4 ore di cammino con cibo, acqua e materiale fotografico in spalla arriviamo ai piedi di una serie di cascatelle chiamate Arch Angel falls: un velo d’acqua scorre lentamente sopra queste rocce di color marrone rossiccio ed il verde acceso della vegetazione circostante si contrappone creando un piacevolissimo contrasto cromatico. Risalendo ancora qualche centinaio di metri ci ritroviamo di fronte all’ingresso della Subway situato nella gola di un canyon non troppo largo e con le pareti quasi verticali, la morfologia del luogo trasmette un impatto di imponenza e di mistero, un’accoppiata che suscita emozioni di forte impatto e che ripaga ampliamente tutti gli sforzi fatti per raggiungerla! Prudentemente, causa il fondo molto scivoloso, ci avviciniamo al tunnel, entriamo e dopo qualche decina di metri usciamo dalla parte opposta: il letto del fiume inizia a presentare buche sempre più profonde che si perdono in una pozza che occupa il fiume per tutta la sua ampiezza, siamo arrivati! L’acqua ferma crea giochi di riflessi meravigliosi e la luce che entra nel tunnel dalla parte opposta illumina la parete facendo risaltare dettagli e colori della roccia.

L’avevo sempre vista solo in fotografia e l’avevo sempre sognata ed immaginata, essere qui, camminarci dentro, poterla fotografare è stata una

soddisfazione personale immensa! Lo Zion mi ha regalato tante altre emozioni ma purtroppo le parole sono limitate, un po’ come i giorni di vacanza, e per potervi raccontare tutta la vacanza ce lo lasciamo alle spalle, con malinconia per i pochi giorni a disposizione ma con la promessa di ritornarci, prima o poi. Ci dirigiamo verso est in direzione Page, una città vicino al lago Powell, nostra base per le prossime 2 notti perché qui intorno ci sono punti d’interesse davvero notevoli. Uno di questi è The Waves, un sito all’interno del Paria Park, per il quale rilasciano solo 10 permessi al giorno tramite una lotteria a sorte: nonostante ci presentiamo per 2 mattine consecutive purtroppo la fortuna, questa volta, non è dalla nostra parte e dobbiamo a malincuore rinunciare all’escursione in quella meta. Ci “consoliamo” con uno scenografico tramonto allo Horseshoe Bend (Ferro di Cavallo) e succesivamente visi-

tando l’Antelope Canyon che tiene testa alla sua fama e alle aspettative che in lui riponevo: meraviglia per gli occhi, il cuore e la mente!

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Partiamo da Page, puntiamo a Nord verso il Red Canyon, ed imbocchiamo verso est la route 12 considerata, insieme alla route 24, una delle strade americane più scenografiche dal punto di vista paesaggistico: il lungo trasferimento che dura quasi tutta la giornata e piacevolissimo, pacato e ricco di soste per assaporare e fotografare queste meravigliose viste che la natura ci regala in rapida e continua successione. Una sosta obbligata al Bryce Canyon per ammirare l’infinita maestosità dell’Amphitheater e poi proseguiamo verso la città di Escalante dove faremo tappa per la notte. L’Escalante Canyon è una vastissima regione, ricca anch’essa di punti d’interesse notevoli ma la maggior parte di questi è raggiungibile tramite strade sterrate impervie percorribili solo con potenti jeep e successivamente attraverso lunghi trekking che richiedono il pernottamento in tenda. Essendo sprovvisti di entrambe le cose ripieghiamo sulla visita alle Calf Creek falls che ci regalano una piacevole e rilassante giornata. Da Escalante parte la route 24, altra meraviglia che ci conduce alla strategica cittadina di Moab che si trova tra Canyonlands e l’Arches National Park, il punto base ideale per potersi godere pienamente questi 2 meravigliosi parchi. All’interno di Canyonlands si respira tutta l’atmosfera del mitico West, una vista sconfinata a perdita d’occhio su di una terra aspra, brulla, inospitale eppure attraente ed affascinante per le sue sfumature di colore, le sue forme, il silenzio, l’appagamento dell’anima che si prova osservandola. Che sia alba o tramonto che sia il Mesa Arch o il Dead Horse Point non cambia nulla le sensazioni sono sempre le medesime: un sottile filo di vento ti accarezza il viso, la mente si sgombra dai pensieri e senti la pace del luogo che inizia ad avvolgerti e coccolarti, la stanchezza svanisce e ti ritrovi come sospeso in un limbo finchè non noti un cespuglio tremare… un minuscolo scoiattolino ti passa davanti e ti scruta con curiosità e timore, si muove a piccoli scatti fulminei, ti scappa un sorriso e ritorni coi piedi per terra, il sole è tramontato ed è ora di rientrare in motel!

E’ stato in questi 2 parchi dove ho avuto il giorno più lungo di tutta la vacanza, sveglia alle 5.00 per vedere a Canyonlands il Mesa Arch all’alba,

giornata trascorsa all’interno dell’Arches National Park passeggiando in mezzo a giganti monoliti ed imponenti archi di pietra scavati dall’erosione degli agenti atmosferici, tramonto al Delicate Arch (simbolo dell’Utah), cena e ritorno nell’Arches Park per qualche scatto in notturna,

mi sono sdraiato nel letto a mezzanotte e mezza! La vacanza ha ormai fatto il giro di boa da qualche giorno, Moab è il punto più ad est del nostro percorso, ci rimangono pochi giorni, dobbiamo scendere verso sud e poi puntare verso ovest per il rientro a Las Vegas. Sulla via del ritorno dobbiamo ancora visitare la Monument Valley e di passaggio il Grand Canyon e la Route 66. La Monument Valley è proprio così come l’avete vista nelle foto e nei documentari, il punto di vista principale è quello e quando si giunge a destinazione si ha come l’impressione di averla già vista, anche qui la natura ci fa un bel regalo donandoci un tramonto mozzafiato.


Il Grand Canyon invece dal vivo fa impressione, c’è una strada che lo costeggia sul lato sud con vari punti panoramici dai quali lo sguardo si perde all’orizzonte senza poter scorgere segni di civilizzazione, nuvole sparse qua e la che scaricano pioggia, il sole che cerca di squarciarle creando spot di luce sulle pareti delle montagne e nelle gole delle valli, i colori che continuano a mutare a seconda della luce, laggiù in fondo si può scorgere il fiume Colorado stranamente color turchese!

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E’ la penultima sera e ci accingiamo a trascorrerla in un motel a Selingman sulla Route 66, la notte è piovosa e usciamo a fare 4 passi per digerire la cena. La pioggia crea un’atmosfera particolare, di malinconia, di decadimento, di quello che un tempo era oro ed ora è solo ruggine, sembra una città fantasma…

ma forse lo è veramente, forse questa sera rispecchia un po’ anche le mie sensazioni perchè domani sarà l’ultimo giorno, l’ultima notte a Las Vegas La città della perdizione, dell’ostentazione, del tutto finto, delle mille luci. Di giorno vive, di notte si incendia. Dopo tanti giorni di natura selvaggia, di libertà è un po’ traumatico il rientro in questo tipo di civiltà ma riusciamo ad assorbirlo velocemente e ne approfittiamo per comprare gli ultimi souvenirs e provare il brivido della roulette. La passione per la fotografia, in particolar modo per quella di paesaggio, influenza profondamente tutta la vacanza perché la ricerca della luce migliore (in alcuni casi la meno peggiore) ti “costringe” a seguire i ritmi della natura viaggiando durante le ore centrali della giornata e sfruttando il più possibile albe e tramonti: lasciare il luogo di partenza verso le 9-10 del mattino in modo di arrivare alla meta nel primo pomeriggio per avere il tempo di trovare una sistemazione per la notte, recarsi con largo anticipo sul luogo prescelto per il tramonto per una ricognizione della zona prima di decidere il posto dove piazzare il treppiede. Si fa colazione durante o dopo l’alba, si pranza


quando si ha fame e si cena quando il tramonto è finito! Per questi motivi è d’obbligo un ringraziamento particolare a Paola ed Arnaldo, miei compagni d’avventura, che hanno avuto la tenacia di resistere e “sopportarmi” fino alla fine. Tutto ciò può apparire strano per un vacanziere medio perché alla fine la vacanza diventa una sorta di “massacro” ma, aldilà delle foto, la possibilità di godere panorami mozzafiato in situazioni di luce uniche non è solo una goduria per il sensore della macchina fotografica ma anche per l’occhio, la mente e lo spirito della persona che osserva!

Ritrovarsi sullo strapiombo di un canyon circondati dal nulla mi ricorda molto “infiniti silenzi e profondissima quiete” penso non ci siano parole più adeguate per descrivere il senso di soddisfazione e pacatezza che si infonde in tutto il corpo: il sole scende, le ombre camminano, le nuvole corrono e tu sei lì fermo immobile comodamente seduto a gustarti la tua sigaretta alla fine della giornata sapendo di aver fatto del tuo meglio per impressionare quei momenti nella tua mente e nella tua macchina fotografica conscio del fatto, che una volta tornato a casa, basterà guardare quella foto per rivivere dentro te quelle intense emozioni che hai provato!

Vi riproponiamo in sequenza ingrandita le foto di questo racconto...

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BEAUTY FAKE BEHIND the SCENES TESTO Roberto Midulla - FOTO Francesco Pellegrino www.francesco-pellegrino.com

Da bambino non mi piaceva giocare, fare sport, andare in giro con gli amici, ma disegnavo fumetti, prima riproducendo i cartoni animati che vedevo in televisione, poi inventando storie e personaggi.

Una vita passata a creare, a disegnare, dipingere, cantare, a cercare la forma d’arte a me più congeniale, per liberare tutto ciò che ho dentro. Da bambino leggevo, leggevo molto. E immaginavo, mi perdevo in quel mondo che ogni giorno mi costruivo attorno. Mi appassionai di moda, per me importante strumento di autoespressione oltre che innegabile forma d’arte. Iniziai a disegnare delle collezioni di moda, giocavo con i tessuti. Ad un certo punto mi venne il desiderio di espormi, forse per superare la mia timidezza, forse per trovare uno stimolo che mi spingesse ad uscire dal guscio in cui mi chiudevo sempre di più. Modificai con tanti sacrifici il mio fisico decisamente fuori forma, cercando di riconoscermi allo specchio che sembrava riflettere un me stesso che non mi rappresentava. Dopo aver tentato di entrare in numerose agenzie nonostante la mia altezza di certo poco notevole, 180 cm, ho deciso un bel giorno di propormi come fotomodello freelance. Con umiltà, voglia di fare, pronto ai rifiuti, alle critiche e, perchè no, alle porte in faccia. Perchè posare per me è un’arte, anzi è essere oggetto dell’opera d’arte stessa. Davanti all’obiettivo riesco a far emergere lati della mia personalità che normalmente, cosciamente o incosciamente, tendo a sopprimere, riesco a dar vita a diversi personaggi che altro non sono che le vere sfaccettature della mia personalità fin troppo complessa. Recitare, dunque. Esprimermi ed inventare, allo stesso tempo. Far emergere me stesso e crea42


re innumerevoli alter-ego, indossare delle maschere di vetro dietro cui nascondere, seppur non totalmente, il mio vero volto. Il fulcro di questa passione consiste, per quanto mi riguarda, nel non pormi alcun tipo di limite, nel far sì che nessun ostacolo possa interporsi tra me e il progetto mio e del fotografo. La creazione è ricerca, autoanalisi, sacrificio anche. Ho posato seminudo in esterna sotto la pioggerella

invernale, ho imparato (e sto imparando) l’arte del Make Up per garantire sempre lavori di qualità e trovare un ulteriore modo di esprimermi, ho affrontato intemperie, situazioni scomode ed inusuali, mantenendo sempre la medesima, massima lucidità e voglia di dare forma concreta ad un’idea. Un bravo modello a mio avviso non è (soltanto) una bella bambola, ma, per emergere e mostrare di avere quel qualcosa in più, deve essere una persona reattiva, con voglia di fare, deve essere camaleontico, saper raccontare una storia attraverso

Difficilmente mi lascio abbattere da una difficoltà o da una novità, anzi le vivo come uno stimolo, mi metto continuamente in gioco, sfido me stesso ed i miei limiti oltre alle avversità esterne. 43


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un gesto, una posa o un semplice sguardo. Non si tratta solo di mettersi in posa e sfoderare il proprio profilo migliore con outfits all’ultima moda ed un make up di tutto punto. Se si vuole emergere è necessario osare, fare qualcosa di inusuale, aspirare al meglio, richiedere qualità dal lavoro proprio e degli altri, cercare per questo di collaborare con i migliori, essere partecipi non solo con il corpo ma anche con l’impegno e una buona dose di creatività ed eclettismo. Essere parte attiva del progetto, metterci del proprio, così da sentire ogni immagine come qualcosa di proprio alla creazione della quale si è partecipati attivamente. Non mi sono tirato indietro nel ricoprirmi il viso di lattice, plastilina e vermi reali per uno shooting sullo scorrere del tempo e sugli effetti che questo ha sul corpo, né nel sopportare il freddo in servizi, spesso in esterna e durante rigide giornate invernali, che richiedevano fossi seminudo. Ho indossato una calotta per simulare una calvizia che non mi ha certamente abbellito, mi sono imbrattato il viso come un guerriero durante una rappresaglia, ho improvvisato passi di danza cercando di essere credibile pur essendo un profano in materia. Un modello completo e concorrenziale deve essere versatile, deve rendere bene in situazioni diverse e indossare sempre al meglio i panni del personaggio da interpretare. La fotografia e la creazione che ne sta alla base mi forniscono nuovi stimoli ogni giorno, mi fanno collaborare con persone, professioniste o meno, che vivono questa passione con impegno e dedizione, e i rapporti più stretti credo si formino quando si ha un progetto comune. La fase della progettazione è forse quella che mi diverte e gratifica di più. Si parte spesso da un’immagine, da un’emozione che si vuole trasmettere, e da lì si costruisce una storia, un messaggio, il significato che darà un senso al significante. Ci si mette a tavolino, si fanno ricerche, si abbozzano degli schizzi e ci si scambia idee ed opinioni che permettono, tassello dopo tassello, di dare forma al progetto stesso. Ed ogni volta che ne ho appena realizzato uno penso già al successivo, senza mai fermarmi né avvertire stanchezza Per imparare, migliorarmi, crescere e scoprire ancora altre sfaccettature di me. 45


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HO SEMPRE PENSATO CHE LA

FOTOGRAFIA SIA COME UNA

BARZELLETTA: SE LA DEVI SPIEGARE NON È VENUTA BENE Ansel Adams

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Alternative street: TESTO Gianmaria Veronese www.gianmariaveronese.com

“Arricchisca pure rapidamente l’album del viaggiatore e ridia ai suoi occhi la precisione che può far difetto alla memoria, adorni pure la biblioteca del naturalista, ingrandisca gli animali microscopici, conforti perfino di qualche informazione le ipotesi dell’astronomo. Salvi pure dall’oblio le rovine cadenti, i libri, le stampe e i manoscritti che il tempo divora, le cose preziose di cui va sparendo la forma, che chiedono un posto negli archivi della nostra memoria: sarà ringraziata e applaudita. Ma se le si concede di usurpare il dominio dell’impalpabile e dell’immaginario, e di tutto quello che vale solo per quel tanto d’anima che l’uomo vi mette, allora poveri noi!”

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istruzioni per l’uso...

FOTO Gianmaria Veronese email: giammavero@gmail.com

Era circa la metà del 1800, quando Charles Baudelaire scrisse queste righe. Ma di cosa stava parlando? Della fotografia ovviamente, o almeno della prima forma di essa, meglio conosciuta come dagherrotipia (dal suo inventore Daguerre). Il dibattito sulla possibilità di considerare la fotografia un’arte era al centro di tutte le correnti di pensiero di quegli anni. Come si evince dalle parole di Baudelaire, il grosso difetto che veniva attribuito alla fotografia era l’essere creatrice di una mera copia della realtà, senza che si lasciasse scampo all’immaginazione del fotografo. Ed in effetti questa è una grossa pecca che limita di molto le possibilità di stupire con le nostre immagini. Infatti la vita è, per i più, una monotona routine e riuscire a creare stupore con immagini che la ritraggono in modo scontato e banale è impresa impossibile. Quello che cerco di fare quando scatto è quindi proprio ritrarre scene di una normalità imbarazzante, ma in maniera insolita, così da creare interesse negli occhi di chi guarda l’immagine. Voglio


far vedere come vi sia del bello anche nella banalità di ogni giorno. Certo non sto dicendo che sia facile, anzi! In un mondo dove ogni giorno siamo sommersi da centinaia di immagini, dove tutti provano in qualche modo a farci credere che la vita sia bella, è davvero una sfida molto dura. D’altronde io credo che se fosse facile, la realtà diventerebbe scontata da ogni punto di vista. Però è qui la sfida. E’ qui che entra il gioco la bravura del fotografo. E’ qui che entriamo in gioco noi, con la nostra capacità di cogliere immagini che solo il nostro occhio creativo può vedere. Non diamo per scontato che l’assenza di un momento topico, di un gesto, di una presenza umana possa dar luogo a un’immagine vuota. Pensiamo piuttosto come giocare con quello che abbiamo a disposizione e a ritrarlo come nessuno se lo aspetterebbe. Questo è quello che dobbiamo fare! Facciamo vedere noi a Baudelaire come la fotografia si possa considerare arte a tutti gli effetti! A tal proposito, quello che consiglio di fare è sicuramente avere sempre con sé la macchina fotografica. Non sapremo mai quando i nostri occhi vedranno l’immagine di cui vanno in cerca e non possiamo perdere l’occasione di catturarla nel momento in cui si comporrà davanti a noi. Attenzione però: il fatto di avere la macchina con

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noi, non deve in qualche modo farci sentire in obbligo di scattare. Questo è infatti molto controproducente. Scattare “per forza” è una delle cose che odio, che mi fa portare a casa gli scatti peggiori. Quando visitiamo un luogo, nuovo o vecchio che sia ai nostri occhi, non preoccupiamoci di fare foto, piuttosto lasciamo che i nostri occhi siano stimolati da quello che vedono. Solo così riusciremo a cogliere quello scatto di cui siamo alla ricerca. Per migliorare ulteriormente la capacità del nostro cervello a ricevere l’input allo scatto, non preoccupiamoci di tutti quei tecnicismi di cui si parla nei forum. Chi se ne frega se non ho messo perfettamente a fuoco o se ho esposto male bruciando le alte luci. Alla peggio butterò via la foto, ma non la possibilità di averla scattata. Ignoriamo tutte quelle diavolerie cui ci hanno abituato le moderne macchine fotografiche. KISS! Keep it simple and stupid! Cerchiamo di ridurre al minimo lo sforzo della nostra mente per pensare a come scattare e sfruttiamo tutta la nostra materia grigia sul contenuto dell’immagine. Mettiamoci l’anima e il cuore in quel maledetto dito indice destro! Quando H.C.Bresson diceva: “Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. È un modo

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di vivere.” Mica parlava di macchine fotografiche! Infatti la fotografia è una cosa che passa prima dagli occhi per poi andare al cuore. Ed è il cuore che fa scattare quel tic nervoso vita all’otturatore. Come pensiamo di liberare il cervello se le nostre preoccupazioni sono i megapixel o le aberrazioni cromatiche?? Insomma, scattate con quel che volete, ma scattate usando il cervello! Leifer diceva “La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha.” Bene, d’ora in poi quando scatterete le vostre foto fate vedere qual è la stupenda realtà che solo i vostri occhi vedono e stupite la gente con le vostre immagini! Buona luce!


LA FOTOGRAFIA A KILOMETRI ZERO TESTO Fiorenzo Carozzi www.fiorenzocarozzi.com

Riviste, libri, ma soprattutto i forum ed i blog sul web ci riempiono gli occhi e la mente d’immagini scattate in ogni posto del mondo. Negli ultimi anni vi è stato un forte aumento del numero dei fotografi paesaggisti che, mediamente, si esprimono ad un buon livello qualitativo. Concetti appartenenti ad un’élite fotografica fino a qualche anno fa, quali la ricerca del luogo, l’attesa della luce migliore ed i criteri di base della composizione, sono diventati, soprattutto grazie al web, di dominio comune tra i foto-amatori. L’uso ormai diffuso dei filtri digradanti neutri (o del doppio scatto) ha migliorato enormemente la qualità delle esposizioni consentendo di cogliere le più sottili sfumature di luce e di colore, anche in condizioni d’illuminazione estreme. L’uso della fotografia digitale ha permesso, anche a chi ha incominciato da pochi mesi con la fotografia, di provare e riprovare e fare tesoro degli errori. Oltre ciò, sofisticati software per il trattamento dei file, quali l’HDR, lo star-trail e svariati plug-in, sono ormai entrati nelle dotazioni di molti landscapers, consentendo di ottenere effetti grafici incredibili. Tutto ciò è molto positivo poiché ha dato la possibilità a molti, incluso il sottoscritto, che, anche grazie all’età, ha alle spalle decenni di fotografia analogica, di migliorare sensibilmente la qualità dei propri lavori. Si vedono fotografie tecnicamente perfette, ben esposte e ben composte, spesso con

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FOTO Fiorenzo Carozzi carozzi.fiorenzo@alice.it

effetti di colore e di luci accattivanti. Il rovescio della medaglia è un’esasperazione dell’approccio alla fotografia paesaggistica che si traduce in una ricerca ossessiva della “location” ed in una certa omologazione degli scatti. Consolidata la tecnica, per emergere con scatti degni dell’attenzione del pubblico (soprattutto del popolo del web), tra gli elementi citati sopra che fanno una fotografia (location, luce, composizione) si tende sempre più ad enfatizzare il valore del primo, la location, o meglio la ricerca ossessiva della location famosa e straordinaria. Spesso gli scatti eseguiti in questi luoghi sono ricchi di colori e di luci speciali e non può che essere così: trovarsi al tramonto o all’alba al Bryce Canyon, con una buona attrezzatura da paesaggista e con una buona luce non può che portare ad una fotografia spettacolare. A me sembra però che molte di queste fotografie scattate in luoghi famosi, siano molto simili tra loro e prese tutte con la stessa angolatura, quella dello “scatto originale”, realizzato dal grande paesaggista. Si assiste insomma ad una certa omologazione degli scatti che, alla fine, non trasmettono più alcuna emozione all’osservatore. La voce del fotografo che dovrebbe essere fatta di luce e composizione, si trasforma in un balbettio ripetitivo di immagini già viste, dove è “il luogo” a primeggiare e non la fotografia. A questa tenden-


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za si sottraggono un certo numero di landscapers, che hanno la possibilità di fermarsi nelle “locations straordinarie” per il tempo necessario e da esse, anche grazie alla loro bravura, trarre il meglio a livello compositivo e di luce, con scatti meditati, originali ed emotivamente coinvolgenti. Per uscire da questa situazione che è propria di una quantità crescente di paesaggisti e che a me sembra di empasse, intravedo tre strade: la prima (alla portata di pochi) estremizzare sempre più la ricerca del luogo straordinario, la seconda (la più difficile) approcciare il luogo straordinario con spirito innovativo, nascondendone i tratti a tutti noti e valorizzando quelli meno conosciuti, il terzo è il ?ritorno a casa?. E’ su quest?ultimo aspetto che mi vorrei qui soffermare con qualche riflessione, perché è la mia fotografia di tutti i giorni e probabilmente è anche quella di molti che qui mi leggono. Nella fotografia paesaggistica, dove sono cruciali il momento dello scatto e la luce, fotografare vicino a casa ha degli indubbi vantaggi che derivano dalla conoscenza dei luoghi e dalla possibilità di scegliere le con-

dizioni atmosferiche migliori, che spesso vogliono dire condizioni di luce migliori. Vicino a casa, si può tornare più volte negli stessi luoghi, sperimentare inquadrature diverse, composizioni alternative, focali differenti, colori che dipingono l’immagine con nuove tonalità, nelle varie stagioni. Scattare vicino a casa significa fotografare con maggiore tranquillità, senza l’ansia di realizzare uno scatto importante a tutti i costi, perché c’è la consapevolezza che vi saranno altre chances, magari dopo pochi giorni. Scattare vicino a casa significa prestare più attenzione al dettaglio, al particolare, vedere cose che, se si fosse in quel luogo per la prima volta, possono sfuggire. Per me, che vivo sulle Prealpi varesine, il “ritorno a casa” significa l’acqua cheta dei miei laghi, dei fossi di campagna e delle paludi, la terra e gli alberi delle campagne, assolate d’estate e nebbiose ed a volte ricoperte dalla neve in inverno. E’ proprio qui, in questi luoghi vicino a casa che cerco, non sempre con successo, di trasformare la mia fotografia paesaggistica, da semplice illustrazione, in un qualche cosa che possa generare emozioni, non strettamente legate al luogo, ma all’immagine in se stessa. E’ qui che metto tutto il mio impegno fotografico per rivelare la straordinarietà di certi luoghi per altri versi molto comuni


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ed ordinari. E’ qui che cerco di “fare” delle fotografie, usando il luogo o un suo dettaglio solo come mera materia prima, mettendoci poi del “mio” nelle scelte del momento dello scatto, di quello che deve essere incluso ed escluso dall’inquadratura, della direzionalità della luce e della posizione della macchina fotografica. Mi piace fotografare soprattutto tra ottobre e marzo, nei mesi freddi, quando, nei mie luoghi di casa, i contorni delle cose sono sfumati dalla nebbia o dalle brume mattutine, quando la luce è spesso diffusa e contribuisce a confondere le dimensioni delle cose, quando la nebbia gelata sugli alberi trasforma i profili in arabeschi, quando la neve copre la campagna ed il paesaggio diventa surreale, quando sulla superficie dell’acqua ghiacciata s’intravedono nuove e diverse forme. Quando esco per una sessione fotografica, al tramonto o all’alba nelle zone vicino a casa, non vado quasi mai senza una meta. Scelgo il luogo che ho precedentemente già visitato, magari senza macchina fotografica, e lì mi dirigo. Se il luogo mi è famigliare cerco di prefiggermi uno schema fotografico (cosa inquadrare, con quali focali) ma cerco anche di tenere la mente libera per fotografare quello che, in quelle determinate condizioni, mi sembra più bello. Giunto sul posto, mi faccio guidare dalla luce che trovo (sovente imprevedibile) verso lo schema fotografico prefissato o, più spesso, verso qualcosa di diverso. La luce disegna le ombre, crea le dimensioni e le profondità, da vita ai colori. Giro il luogo, avanti e indietro, mi sposto a destra e poi a sinistra, su e poi giù, cerco il soggetto, le linee guida, le simmetrie, la posizione reciproca delle figure che aggradano ai miei occhi ed alla mia mente. Mi chiedo quale sia la giusta combinazione di forme e di luce che possa trasformare l’anima di quel luogo, in quel momento, in una fotografia. All’alba il tempo non è molto, bisogna essere rapidi e scegliere prima che appaia la prima luce, la più bella; verso il tramonto le scelte si possono fare con più lentezza. Spesso non riesco a vedere quella meravigliosa combinazione di linee, luci, ombre, colori o sfumature monocromatiche che “fa” la fotografia; a volte la luce necessaria scompare dietro al grigiore che, ahimè, affligge i nostri orizzonti; a volte mi sembra di cogliere questa speciale combinazione di elementi, ma quando essa si trasforma in immagine sul display, risulta deludente. Molte delle uscite

fotografiche si risolvono quindi, per motivi vari e diversi, in grandi frustrazioni; è il destino dei fotografi paesaggisti che non possono metter in posa il soggetto e quindi sperano sempre che il giorno dopo si possa fare di meglio. Qualche volta però si creano delle situazioni di tale simbiosi tra me, l’ambiente e la luce che questa combinazione finalmente scatta, la voce del fotografo si sente e la prima visione sul display lo conferma. E’ un momento magico ed esaltante che appaga degli sforzi fatti e delle uscite infruttuose. Ogni luogo, anche quello vicino a casa, ha una sua anima, che sta nella bellezza e nell’armonia percepita, nei sentimenti e nelle memorie, nelle fantasie e nei pensieri; la sensibilità, l’abilità e l’esperienza del fotografo possono scoprirla e trasformala in immagine. Non è però automatico che quest’anima sia percepita anche da chi la fotografia la osserva. Quando però, oltre che dal fotografo, lo spirito del luogo, trasformato in immagine, è colto anche dall’osservatore, ecco che la fotografia, per usare una metafora di Ansel Adams, diventa un’epifania. La fotografia a kilometri zero o quasi, vicino a casa, è una grande palestra di tecnica e di pensiero; ci si allena a cercare di trasformare l’ordinario in straordinario, ad essere un tutt’uno con la luce e le forme, a guardare, ovunque si volge lo sguardo, in ogni momento della giornata, per “vedere” la composizione migliore. Questa palestra potrà essere di grande utilità quando, durante le vacanze o durante un tour fotografico ci si imbatterà in un luogo famoso e straordinario. L’allenamento di casa consentirà di vedere quel luogo con occhi propri, libero da schemi e fare una fotografia personale ed originale. Per finire qualche dettaglio tecnico: fotografo con un Canon EOS 5D Mark II, un grandangolo Canon 16-35mm f2.8, uno zoom Canon 70-200mm f4, un cavalletto Gizo, una serie di filtri NDG digradanti neutri Lee, tra i quali, quelli da me più usati sono lo 0,6 e lo 0.9 hard, filtri ND che sottraggono 2, 3 e 10 stop per aumentare i tempi di posa ed ottenere gli effetti del “movimento” ed un polarizzatore sempre montato sul porta-filtri. Indispensabili sono poi una buona attrezzatura contro il freddo, gli scarponi, gli stivali e la bussola, per sapere sempre dove nasce e dove va morire il sole e con lui la luce. Bibliografia Cornish Joe: Fisrt Light; Aurum Press Ltd, 2002 Hillman James: L’anima dei luoghi; Rizzoli, 2004 Noton David: Waiting for the Light; David & Charles, 2008 Ward David: Landscape Beyond; Aurum Press Ltd, 2008


Non colui che

ignora l’alfabeto, bensì colui che

IGNORA LA FOTOGRAFIA sarà

L’ANALFABETA DEL FUTURO

Walter Benjamin 57


Il furto delle immagini online è sempre più frequente. Anche da parte di giornali e gruppi editoriali. Ecco come difendersi con i suggerimenti degli avvocati specializzati in diritto d’autore.

TERRA DI NESSUNO? TESTO Claudia Rocchini www.claudiarocchini.it

• In questo articolo verranno affrontate anche alcune tematiche legislative necessarie per illustrare le opzioni possibili in caso riproduzione non autorizzata di una nostra fotografia. • Le indicazioni contenute, pur essendo state elaborate con l’ausilio di legali specializzati, sono da ritenersi generiche e indicative, e non possono in alcun modo esaurire l’argomento né sostituirsi a una consulenza personalizzata da parte di un avvocato: ogni caso è storia a sé. • Rivolgendoci a un pubblico di non addetti ai lavori, cercheremo di semplificare e sintetizzare il più possibile, estrapolando i concetti indispensabili per aiutare a scegliere come è opportuno agire. Perché “Terra di nessuno”? • “Tutte le opere di ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo e l’espressione, formano oggetto del diritto d’autore” (Art. 2575 Codice Civile). • Le fotografie sono tutelate dalla Legge sul Diritto d’Autore (n° 633, artt. 87 e seguenti). Ma la L.d.A. risale al 1941 ed è nata per tutelare le opere su carta. • Anche se nel tempo ha subito modifiche e integrazioni necessarie per rimanere al passo con le nuove tecnologie, sono in molti a lamentare una mancanza di regole specifiche atte a tutelare l’utilizzo delle fotografie in Internet. • Il problema non è la mancanza di regole, semmai l’eccesso, aggravato dall’introduzione della legge sulla Privacy e, soprattutto, dalla complessità di adeguare la L.d.A. alle specificità del web e della tecnologia fotografica digitale. • Se dici web, dici guaio: esempi recenti hanno dimostrato come il Legislatore, quando si tratta di Internet, sembra conoscere solo superficialmente e in via teorica la materia su cui sta legiferando. 58

• Rubare una foto online è facile, basta un copia e incolla. C’è poi la diffusa convinzione che i contenuti su Internet siano gratuiti. In aggiunta, esiste una sostanziale certezza di impunità, soprattutto da parte di soggetti forti, quali giornali e gruppi editoriali, che di fronte a legittime rivendicazioni, spesso le ignorano od offrono, come compensazione, la semplice citazione del nome dell’autore. Fotografie e diritto d’autore • La L.d.A. riconosce tre tipologie di immagini aventi differente protezione giuridica, in relazione all’apporto creativo del fotografo: le mere riproduzioni fotografiche, le fotografie, le opere fotografiche. • Stabilire nei fatti le differenze tra le tre tipologie è spesso arduo. • Un esempio su tutti: per poter considerare una fotografia come “opera fotografica” (la cosiddetta “foto artistica”) bisogna che sia originale e creativa nella forma, tale da rendere riconoscibile l’apporto di un fotografo professionista. Vista l’impossibilità di predeterminare criteri oggettivi che attestino l’originalità o meno dell’opera, sarà l’organo giudicante a dirimere l’eventuale controversia. Focus • Visto che ci interessa capire come tutelarci in caso di riproduzione non autorizzata, in questa sede diamo per scontato che parliamo di fotografie in senso ampio, senza addentrarci nelle distinzioni tra le tre categorie, rimandando chi è interessato a specifici approfondimenti. • Riferimenti legislativi per approfondimenti: artt. 2, 87 L.d.A. Prima di pubblicare • In molti pubblicano fotografie online con la semplice dicitura “Tutti i diritti riservati”, convinti che sia sufficiente a rivendicare la paternità di una fotografia. Molto spesso così non è .


• Tecnicismi, cavilli, omissioni, approccio non adeguato alla controparte, materiale probatorio non riconosciuto come valido in sede legale, sono fattori discriminanti che possono ritorcersi contro. Ricordiamoci sempre che in un eventuale contenzioso ciò che conta non è avere ragione, ma poter dimostrare di averla. Gli articoli cardine della L.d.A. • Articolo 90: contiene le indicazioni che devono essere tassativamente presenti in una fotografia per poterne rivendicare la paternità. • Articolo 70: sancisce i principi alla base della “corretta citazione” Rivendicare la paternità di una fotografia • Cosa significa? Vuol dire poter dimostrare di esserne stato in possesso in una specifica data. • Gli accorgimenti più diffusi consistono nella dicitura “Tutti i diritti riservati” sulla fotografia, nell’apporre un watermark, più o meno invasivo, o nel pubblicarla a bassa risoluzione. Non sempre sono sufficienti: 1.“Tutti i diritti riservati”: se manca il nome del fotografo o se non esiste un diretto collegamento all’autore nella pagina web, fa venir meno il diritto di rivendicazione. 2.Il watermark, soprattutto se non invasivo, può essere eliminato con un colpo di clone. Se invasivo, deturpa la fotografia. 3.La bassa risoluzione non garantisce da un illecito utilizzo online, vedasi per esempio le pubblicazioni non autorizzate nelle gallery dei quotidiani. Requisiti articolo 90 L.d.A. • La fotografia deve contenere uno dei seguenti elementi: 1.Il nome del fotografo, o dei datori di lavoro, o del committente (colui che detiene i diritti di utilizzazione economica) 2.La data dell’anno di produzione 3.Il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata In caso di assenza di queste informazioni, la riproduzione della fotografia potrebbe non considerarsi abusiva, a meno di poter dimostrare il dolo del riproduttore. I metadati ...Ma i metadati si possono manipolare! • Vero. Ma non è una procedura così semplice, soprattutto non alla portata di chiunque. Per dirla con Chrome è “Roba da smanettoni”. • In un ipotetico contenzioso, se oltre al jpg possiamo produrre anche il raw, la posizione di chi ruba si aggrava, perché verrebbe dimostrato il dolo.

• Al di là degli infiniti esempi di possibile manipolazione, va considerata la cosiddetta “consuetudine dei comportamenti”: chi si rende responsabile di un prelievo non autorizzato, in moltissimi casi lo fa nella convinzione o nell’ignoranza che tutto quello che c’è in Rete sia gratuito o “liberamente citabile”. Oppure sa che sta commettendo un illecito, ma lo fa nella speranza di non essere colto con le mani nel sacco. Altri strumenti • Servizi online di certificazione e marcatura temporale: a ogni fotografia inviata viene assegnato un codice che identifica univocamente l’opera fotografica: certifica cioè che una data opera in un determinato momento è in possesso dell’utente che l’ha registrata. • Servizi a pagamento, gratuiti solo per un limitato numero di fotografie. Si può inviarle online o scaricare un client apposito. Utili al professionista , meno al fotoamatore, tenuto conto che una casella di posta certificata offre le stesse garanzie. La corretta citazione • E’ il principio secondo cui il diritto di paternità verrebbe rispettato principalmente con la citazione della fonte. L’art. 70 della L.d.A. prevede la possibilità di utilizzare “brani o parti di opera” e di comunicarli al pubblico “se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”. • Una citazione è corretta se e solo se viene inserito un link testuale alla URL dell’immagine, con un riferimento ipertestuale, o la fotografia viene riprodotta in bassa risoluzione (inferiore ai 72 dpi) ed a piccole dimensioni. L’incorretta citazione “E’ vero che è consentita la libera pubblicazione su Internet e a titolo gratuito di immagini a bassa risoluzione, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro, ma è altrettanto vero che la presenza di un qualsiasi riferimento pubblicitario, (che sia un banner, un testo, un elemento grafico o altra soluzione di web advertising poco importa), nella pagina Internet che

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ospita fotografie altrui, fa venir meno la possibilità di appellarsi a questi argomenti. In questi casi si parla di ‘lucro indiretto’”. Valentina Frediani, titolare Studio Frediani www.consulentelegaleinformatico.it Esempio di riproduzione non autorizzata con citazione non corretta I comportamenti più diffusi di chi è vittima di un furto • Viene fatta una schermata della pagina del sito che ospita la fotografia rubata (elemento ritenuto probatorio) e si ricorre alla cosiddetta “diffida informale”: si scrive ai titolari del sito responsabile del prelievo chiedendo la rimozione dell’immagine pubblicata. • I professionisti procedono con l’invio della fattura o di un avviso di fattura. • Azioni scarsamente efficaci e spesso senza seguito, potenzialmente dannose nel caso in cui si decida in seguito di ricorrere a un legale. Perché sono azioni inefficaci? • In molti casi la lettera o la fattura provocheranno una semplice rimozione della fotografia, per essere magari sostituita con un’altra di un altro malcapitato e gestita con le medesime modalità della vostra, senza alcun riscontro alle richieste. • La semplice schermata potrebbe non essere sufficiente come elemento probatorio. • L’assenza di scuse o di un qualsiasi riscontro è una forma di autotutela da parte di chi commette l’illecito: rispondere in forma scritta significherebbe ammettere più o meno formalmente di aver violato un vostro diritto. Memo • Anche se l’immagine viene rimossa, si ha diritto a un risarcimento per il tempo che è stata pubblicata. • Il risarcimento aumenta se l’immagine viene pubblicata in una pagina che contiene un qualsiasi riferimento pubblicitario, in quanto si configura il cosiddetto “lucro indiretto”. Come agire? • Valutare se il gioco vale la candela. Cominciamo con l’analizzare il sito incriminato. Se la foto è pubblicata su siti, blog, o forum amatoriali che non

contengono riferimenti pubblicitari al di là di semplici adwords, potrebbe valer la pena chiedere la rimozione o considerare una semplice richiesta di citazione della fonte. Da episodi così, molte volte fatti in buona fede , per ignoranza, se gestiti con un minimo di diplomazia e senso pratico, possono derivare interessanti collaborazioni. • Se invece la nostra immagine è pubblicata su siti di altra natura e portata, vedi per esempio siti di quotidiani o periodici a rilevanza nazionale e/o locale, vanno fatte anche altre considerazioni, a cominciare, se siamo professionisti, dal nostro posizionamento sul mercato per essere in grado di ipotizzare una giusta richiesta di compenso e/o risarcimento. Il materiale probatorio • Oltre alla schermata, salvare l’intera pagina, comprensiva di codici. Il materiale andrà copiato su un cd non riscrivibile. • Meglio rivolgersi a un esperto informatico: la logica è rendere immodificabile la pagina Internet incriminata e riprodurla in una copia conforme che fa fede ai fini probatori. E se si finisce in Tribunale? • Avvocato Frediani: “In generale e fermo restando che si sia in grado di dimostrare la paternità dell’opera, è raro che si arrivi a un contenzioso in tribunale, solitamente ci si accorda per un equo compenso. Soprattutto i grandi gruppi editoriali, online e cartacei, proprio in virtù della loro caratura e notorietà, tendono ad allinearsi alle disposizioni delle normative nazionali. Senza contare che in un contenzioso verrebbe coinvolto anche il direttore della testata, per responsabilità oggettiva di omesso controllo. Per non parlare dell’impegno economico per l’editore, perché al risarcimento verrebbero aggiunti i costi legali”. Professionisti • Per avere un’idea del valore del nostro lavoro, si rimanda alle tabelle pubblicate su TAU VISUAL. Viene sconsigliato di procedere con il fai da te e di inviare una diffida informale e/o una fattura: in molti casi si è dimostrata una perdita di tempo. E’ molto più efficace rivolgersi a un avvocato che stilerà per conto nostro una lettera di richiesta di rimozione e risarcimento. • In molti obiettano che l’avvocato costa. Una semplice lettera non ha costi che un professionista non sia in grado di sostenere. E in molti casi si rivela sufficiente.


• Anche noi, in quanto professionisti, abbiamo un costo. A ognuno il suo mestiere. Fotoamatori • A maggior ragione la diffida informale tenderà a essere totalmente ignorata o, nei migliori dei casi, viene proposta come compensazione l’adozione della corretta citazione: l’inserimento del vostro nome e cognome e del link al vostro sito/blog/album. Proposte che in molti accettano. Ma ciò non è giusto. • Per due motivi: 1. Si alimentano le polemiche dei fotografi professionisti verso i fotoamatori che cedono gratis le fotografie pur di vedere il proprio nome pubblicato. 2. Implicitamente si perpetuano le cattive abitudini della riproduzione non autorizzata. Considerazioni • In generale, non condivido le accuse di chi sostiene che i fotoamatori, concedendo gratuitamente le proprie fotografie pur di vedere il proprio nome pubblicato, rovinino il mercato. Il professionista, prima di diventare tale, è stato fotoamatore e come tale qualche foto gratis l’avrà ceduta, con le stesse modalità. • Ciò premesso, invito i fotoamatori a riflettere sui loro comportamenti: potrebbe capitare anche a voi di passare dall’altra parte della barricata, diventare professionisti e pensarla diversamente. • Non ha senso alimentare guerre tra poveri, semmai potrebbe valer la pena unirsi e affrontare la questione come un principio. Quindi, ok alla compensazione proposta, ma in aggiunta richiedete anche un risarcimento, simbolico, di 10 euro e date notizia ovunque della vostra azione. Rendetela trasparente, diffondetela, teneteci aggiornati sui riscontri. Potrebbe essere un primo importante segnale.

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Lo Sguardo in camera TESTO Riccardo Piccirillo www.riccardopiccirillo.com

FOTO Riccardo Piccirillo

Nel cinema e nella televisione vige una regola ferrea: l’attore deve guardare sempre dentro la telecamera. Se non lo fa, non risulta convincente, lo stesso regista viene probabilmente tacciato di scarsa tecnica: insomma è considerato un errore. Sono molto rari i casi in cui questa regola viene scavalcata e il risultato è ugualmente soddisfacente. Tutto questo accade nel caso di una ripresa con telecamera, ma in fotografia questa regola vale ugualmente? Insomma, quanto conta lo sguardo in camera?

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Nel caso di un ritratto, lo sguardo in camera è quanto di più naturale ci si possa aspettare. E’ evidente che se il nostro soggetto guarda in camera, il ritratto avrà più profondità; si ridurrà la distanza tra il fotografo e il soggetto e, soprattutto, tra il soggetto e chi osserva. Guardando negli occhi siamo naturalmente più vicini al soggetto, e di conseguenza al fotografo. I ritrattisti lo sanno bene ed è raro incontrare ritratti particolarmente riusciti senza lo sguardo in camera. Anche io, quando scatto un ritratto, di fronte all’obbligo di una selezione, scelgo lo scatto con lo sguardo in camera piuttosto che quello con il soggetto di profilo e con lo sguardo rivolto altrove.

Ho fatto questa premessa, perché la redazione di Ourphoto, dopo aver visto gli scatti che faccio in strada, mi ha chiesto di raccontare come faccio a relazionarmi col soggetto, se c’è un approccio particolare e che tecniche uso, ma, soprattutto come faccio ad avere lo sguardo in camera così spesso. La fotografia, per essere comunicativa e maggiormente di impatto, ha però bisogno di un soggetto spontaneo e non in posa. Ritengo che un soggetto non in posa ma contemporaneamente con lo sguardo in camera sia il massimo che si possa ottenere.

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Allora, ricapitolando, il segreto di uno street shot accattivante è un soggetto interessante che non si metta in posa ma che rivolga lo sguardo verso la camera. Esistono due metodi per ottenere ciò: uno dove il soggetto è consapevole di essere ripreso e uno dove crede di non essere ripreso. Vediamo il primo metodo: il soggetto consapevole. Mi riferisco a quegli scatti dove il soggetto sa di essere ripreso e dove io chiedo espressamente l’autorizzazione a scattare. Ecco un esempio:

In questa immagine, Edoardo, il nostro soggetto, mi guarda in camera, sa di essere fotografato, ma ci regala un’espressione naturale, non di chi sa di essere in posa. Come ho fatto a fotografarlo? Ho visto avvicinarsi Edoardo da lontano, ho cominciato a fotografare da molto tempo prima che lui si avvicinasse e man mano che il soggetto si avvicinava, ho continuato a scattare. Dopo che gli ho fatto almeno due o tre scatti nell’arco di pochi secondi, gli ho rivolto la parola, chiedendogli se potevo fotografarlo. Alla sua risposta positiva, ho fatto nuovi scatti, ma io avevo già lo scatto buono, non mi interessava più riprenderlo. In effetti il migliore scatto resta quello della prima consapevolezza di essere ripreso, non quello successivo dove Edoardo mi ha regalato un sorriso. In questo scatto l’espressione è naturale, curiosa e quasi infasti- 65 dita, ma sicuramente vera.


A quel punto gli ho chiesto il nome e gli ho promesso che gli avrei portato una foto stampata o che gliel’avrei inviata via mail (Edoardo non ha mail, perciò ho consegnato una foto ad un bar lì vicino dove lui l’ha ritirata). Molte delle persone che hanno visto questo scatto mi hanno detto di non avere il coraggio di fermare la gente per chiedere di fare una foto. Io, invece dico, fatelo! Si ottengono risultati insperati. Ho trovato tantissime persone disponibili. nel caso specifico, io fotografavo il vicolo con un grandangolo e Edoardo mi ha visto scattare. Bene, se avesse voluto evitare di essere ripreso, avrebbe cambiato direzione o non mi avrebbe guardato. Già il fatto che lui mi stava guardando mi ha fatto capire che potevo chiedere senza rischiare di ricevere un no secco. A volte prima di autorizzarvi, vi fanno una domanda e cioè “che ne devi fare di queste foto?”. Io rispondo che sono per me e che sto fotografando i volti interessanti di quella città e che, se tutto va bene, saranno foto pubblicate ma che parlano della città e della gente. Molti, hanno semplicemente paura che siano foto di scherno o dove si noti qualcosa di illegale o di scomodo. Voi rassicurateli, e ditegli che siete un fotografo bravo, spesso e volentieri accettano. Se poi, invece vi dicono no, non insistete e cercate un altro soggetto. Il secondo metodo: soggetto inconsapevole o scatto rubato La difficoltà del secondo metodo è quella di ottenere lo sguardo in camera. Cioè, se state facendo un ritratto a qualcuno che non sa di essere ritratto, come fate a farlo guardare in camera? Anche qui un esempio potrà chiarire meglio (pagina seguente). Stavo fingendo di fotografare la strada appoggiato al muro. Il soggetto inquadrato si è incuriosito e ha guardato verso di me. Sostanzialmente il segreto sta nell’inquadrare precedentemente la scena e aspettare che il soggetto si accorga della presenza del fotografo. Poi, il soggetto guarderà in camera e quello sarà il momento del click. Il problema principale di questo tipo di scatti è la successiva autorizzazione a essere ripresi da parte del soggetto. Io, dopo aver scattato, dico al soggetto che nello scatto è rientrato anche lui e mostro lo scatto dal monitor della macchina, poi chiedo, sperando di avere l’autorizzazione… ma quella delle liberatorie è una questione molto più complessa.

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USCIAMO DAL LETARGO

prima parte

TESTO Carlo Tinnirino www.mypt.it info@mypt.it

Con questo articolo voglio darvi tregua (breve!!!) per tutto quello che riguarda gli “allarmi alimentari”, non che non ce ne siano stati, anzi… è stato stimato che in media sono più di 1.000 i prodotti che vengono ritirati ogni anno dal mercato! I più diffusi riguardano la presenza di Salmonelle, seguiti dalla Listeria e l’Anisakis (robetta). In questo articolo comunque sia, mi “stoppo”; non vi posso di volta in volta far vivere patemi d’animo a voi e alle vostre famiglie. Vi lascio solamente ad una riflessione: “Perché il ministero che dovrebbe proteggerci, non rilascia un elenco con tutti i prodotti ritirati?” Ricordo che tutti gli alimenti ritirati (quelli che beccano!) sono codificati dalle imprese, dai supermercati e ovviamente dal ministero, diramare un bollettino online settimanale per informarci sarebbe un’operazione semplice e a costo zero. Per il momento in Italia, gli unici che offrono questo importantissimo servizio ai cittadini è la Regione Autonoma della Valle d’Aosta (http://www. regione.vda.it/sanita/prevenzione/sicurezza_alimentare/allerta/elenco_i.asp) e casualmente proprio il supermercato Gros Cidac di Aosta. Vi lascio mangiare in pace, ma voi continuate a lottare e ha leggere le etichette! Siamo sempre in guerra. Torno al mio titolo… usciamo dal letargo! Non dite poi che non vi avevo avvertito; tutti gli anni mi tocca vedere persone con 5-10 Kg (oltre non commento) che illuminati dal sacro fuoco della prova costume si lanciano in diete dimagranti assurde e allenamenti da veri e propri atleti olimpionici, il tutto ovviamente in completa autonomia. Sessioni infinite di aerobica più volte al giorno, carichi di lavoro davvero impressionanti e dimostrazioni di forza di volontà che a volte mi hanno reso davvero orgoglioso di alcune persone… orgoglio riposto davvero male. Perché? Perché violentarsi così in nome di una prova costume porta solo a mollare. Non dico che l’essere spronati dalla prova costume non possa essere un ottimo motivo per cam68

biare vita, ma quest’anno per quanto mi riguarda (crisi o meno), mi rifiuto! Al mio lavoro ci tengo e ci tengo a fare le cose bene. Quest’anno non mi faccio fregare dall’ondata ansiogena della prova mare (qualcuno mi fregherà sicuramente! Me lo sento...) ma mi venisse un’intolleranza al pollo :-) se mi metterò a seguire il personaggio classico di inizio estate, da maggio in poi chi c’è c’è chi non c’è può andare in edicola a comprare il classico “perdi 30 Kg con 2 minuti al giorno di piegamenti sui mignolini” che trova e lo rimando a settembre. Tanto quest’anno vi becco! Donna tipo: faccia già smunta e spiritata (quando arriva da me ha già almeno una settimana di “dieta della stella alpina himalayana”, si è già sparata 5 confezioni di “Cola-grasso-alla-facciadi-chi-fa-una-vita-sana” (che se solo uno di quei robi funzionasse nessuno avrebbe più bisogno di me!) e almeno 60 Km di tragitto misto tra corsa e bicicletta), panza gonfia e molle (almeno 8 Kg di sovrappeso) dovuta da anni di completa immobilità e bagordaggini irrorate da birra e super alcolici. E classico dei classici: sopra “magre” (molli!) e sotto un sedere che ormai ha una vita propria, un metabolismo a parte, preso chissà dove e appiccicato sotto al busto. Con sguardo serio, deciso e motivato: “Vorrei tonificarmi e asciugarmi, perdere circa 5 kg e vorrei perderli tutti qui sotto, come faccio? Sopra andrei anche bene… ma è qui sotto che proprio non mi piace. Tra 10 giorni parto per le vacanze e vorrei rimettermi il costume che mettevo 10 anni fa”. Uomo tipo: cifotico, spalle strette, scottata facciale causata da lampade ad alta pressione, sopracciglia invisibili dovute al macabro divertimento della sorella o fidanzata del momento (non cito la depilazione perché denoto che è sempre più normale ormai per l’uomo, ma il sopracciglio è veramente segno del “mi sto mettendo in pista”) e ovviamente addominale unico che gli parte dal petto e gli finisce direttamente sulla coscia. Con insufficienza e a bassa voce: “Vorrei avere delle


braccia più grosse e tirare fuori la “tartaruga” che tra 5 giorni parto per le vacanze… è già da ieri sera che non tocco alcolici e mi sono iscritto in palestra… mi fai la scheda?!?” Questo è tutto vero; ovviamente la ricerca di una scorciatoia è sempre in agguato e la domandina sull‘efficacia del prodotto “X” oppure “Y” ce la infilano sempre e ormai nel tempo ho avuto la spiacevole esperienza di avere richieste di doping e di vedere con i miei occhi persone farne uso senza soppesare il rapporto beneficio-conseguenze! Giuro che il prossimo che mi chiede una cosa del genere lo insulto pesantemente a costo di farmi denunciare. Quindi, se volete da oggi e PER SEMPRE abbandonare una vita stanca, malsana, innaturale e magari riuscire ad arrivare a questa estate con una forma mentale e fisica migliore… tirate fuori grinta e volontà che è ora di iniziare. Mia breve nota personale: è un obbligo morale a mio parere non andare in giro a rappresentare l’opulenza e lo squilibrio di questa moderna società che ci vede per 2 quinti in sovrappeso e obesi e il rimanente a morire di fame… discorso lungo che mi piacerebbe affrontare prima o poi. Torniamo a noi… Questo è il momento del cambiamento è il momento di fare quello che siamo “programmati” a fare, quello che in natura siamo “programmati” ad essere, l’unico modo per rispettarci così da poter rispettare anche gli altri. Come iniziare? Prima di tutto, voglio che possiate iniziare a ridere e a sorridere al mondo; voglio che conquistiate il rispetto delle persone intelligenti insieme all’affetto dei giovani. Vorrei che vi guadagnaste l’approvazione della gente sincera e che trovaste la forza di sopportare i tradimenti dei falsi amici. Vorrei che apprezzaste la bellezza esteriore, ma che vedeste la bellezza e il meglio di chiunque. Vorrei che vi sforzaste a lasciare intorno a voi qualcosa di migliore, sapere che un giorno qualcuno starà meglio proprio perché state agendo già da questo momento responsabilmente. Vorrei che vi sentiste parte di qualcosa… perché siamo parte di qualcosa, la nostra terra, parte integrante della natura. E la natura non ci vuole sedentari, grassi, flaccidi, depressi, ansiosi e stressati. Che vi piaccia o meno, siamo animali.

Accorgiamoci di questo, accettiamolo e miglioriamoci cercando di prendere il meglio di quello che ci offre la vita moderna combinandolo con quello che abbiamo dentro. Sono molto serio a riguardo. Le prove sul DNA infatti dimostrano che geneticamente non siamo cambiati quasi per niente: più precisamente il genoma umano è cambiato del 0,02%, quindi la costituzione genetica dell’uomo paleolitico è praticamente identica a quella attuale. Non abbiamo subito mutamenti, ci siamo evoluti dal punto di vista culturale, tecnologico e scientifico, ma siamo ancora animali. Abbiamo perso la libertà, distrutto la famiglia, annientato l’unica vera società umana (la tribù), siamo ormai costretti in mostruosi insediamenti sovrappopolati che chiamiamo città e ci vogliono far vivere fino a 80-90 anni con l’accanimento terapeutico. Voglio come prima cosa che voi cerchiate di ascoltare dentro di voi la belva forse assopita. Voglio sentirla ringhiare, ululare… esprimersi. Quando vi allenerete (fisicamente) vorrei vedere solo quello che si cela all’interno di tutti voi. Questo è l’inizio dell’allenamento. La parte più difficile, la parte più estenuante che fa davvero la differenza. In questo modo e con questo tipo di volontà si inizia a lavorare con me perché credo che sia l’unico modo per non prendersi in giro e per costruire qualcosa che non abbia il solo fine del “six pack” (in inglese quello che noi maschietti nominiamo come “tartaruga”) o del “culo a mandolino” che se hai la volontà e la genetica dalla tua parte, per qualche anno potrai anche sfoggiarlo in qualche piscina o qualche spiaggia, ma alla prima delusione, alla prima scelta difficile, quando la perdita di motivazione arriva… si ritorna ad essere gli str**zi di prima con qualche foto tarocca in più sul profilo di Facebook. 69


Chissà quanto riuscirò a scrivere Thailandia.Capitolo 2 Escursioni TESTO e FOTO Matteo Fantolini

www.matteofantoliniphotography.com • matteofantolini@hotmail.com

MERCATO GALLEGGIANTE DI DAMNOEN SADUAK Partenza ore 7.00 Colazione di corsa con rischio di capitombolo giù per i quattro piani di scale della guest house per la sveglia ad un orario che in Italia segna le 1.00 di notte, e via sul pulmino. Ricordo poco del viaggio di andata. Ricordo altre persone con noi. Penso sia stato qualcosa come un’ora e mezza di tragitto in direzione sud-est da Bangkok . Dai finestrini del minibus parevano appese come ad un invisibile filo di nylon dal grigio del cielo, le nuvole scure sulle risaie e lungo la strada. Sembrava un’illusione ottica. All’arrivo ci raduna una guida che spiega quattro cose e mentre Luisa, diligente, ascolta, io comincio a controllare tempi e diaframmi sulla macchina fotografica per capire quali impostazioni utilizzare con quel cielo bianco sporco e l’acqua ristagnante del fiume del colore della melma. Saliamo a bordo di una “Long Tail Boat”, piccola imbarcazione da trasporto controllata da un bastone molto lungo e un’elica quasi affiorante a dimostrare la poca profondità del canale e, come in un salto nel passato, attraversiamo una zona di palafitte dove agricoltori e commercianti vivono del raccolto dei campi e delle vendite ai turisti. Bambini sorridenti e madri premurose che li lavano con l’acqua del canale, simboli di adorazioni ed offerte divine, natura selvaggia e il sorriso della gente ci scortano in un quartiere sviluppato per metà sulla terra ferma e per l’altra metà sul piccolo corso d’acqua dove sembra si siano ritrovate in un ingorgo tutte le canoe della Thailandia. La vita del mercato inizia presto. Dalle sette del mattino i venditori scambiano merci coi locali e verso le dieci 70

si dedicano all’attività più redditizia: la vendita ai turisti. Sono centinaia le persone che da tutta Bangkok visitano questo mercato e ne affollano le sponde, e sono tantissime anche quelle che non sognerebbero mai di perdersi un giro a bordo delle canoe – comandate da locali, ovviamente – e si infilano ostinate in ingorghi di traffico a remi, come se quello di città non gli bastasse. Sono Belle – Maiuscolo – le facce della gente. Gente che frigge, che cucina, sbuccia cocchi, prende sole, prende pioggia, invecchia e sopravvive su quelle barche che con le barche hanno in comune la sola caratteristica di stare in acqua e galleggiare. Colori sgargianti di cappelli ed ombrellini di carta o di riso e canna di bambù, artigianato locale, e tanto tanto cibo. Ci cominciamo a chiedere se in Thailandia non sia d’uso avere la cucina in casa poiché tutti mangiano per strada a qualsiasi ora. Ricerco tra i mercanti quello sguardo da rubare, prendo posto, sposto cose, cerco luce – rischio anche di cadere in acqua con cavalletto e macchina fotografica – e aspetto l’attimo dove quella signora col sorriso simpatico ed il cappello sulle ventitré mi volga uno sguardo. Cerco i colori in una giornata che se li è rubati il cielo mentre il ritmo del mercato scorre lento dentro le mie lenti. Vivo gli odori. C’è cibo ovunque. Ci cominciamo a chiedere se in Thailandia non sia d’uso avere la cucina in casa poiché tutti mangiano per strada a qualsiasi ora. E questo pensiero ci sarà compagno per tutto il viaggio! Cibo sulle barche, sulle sponde, anche lungo


le vie dietro la zona coperta del mercato. Pesce ad essiccare, uova cotte sulla piastra, spiedini di carne e spremute di frutta. Si vendono spezie e si preparano zuppe, si friggono banane e si assaporano rinfrescanti bibite fluorescenti. Frutti colorati a risaltare sul verde del canale mentre dalla mano dei venditori passano a quella dei compratori, la confusione della gente. Abbaia un cane e nessuno se ne accorge ma non c’è un rumore più forte di altri. Una sbadiglia, qualcuno anche dorme. E’ la vita del mercato, questa. A sera ritroviamo nelle nostre immagini le rughe delle mani delle vecchie signore che si scambiano commenti sorridenti in quella lin-

gua irripetibile, i ritagli degli sguardi, e la sensazione di uno scambio vero e proprio, d’altri tempi. Stanchi sorridiamo soddisfatti, perché neanche un guizzo finale di antipatia della guida, incrociata appena durante l’escursione, ha disturbato il piacevole ricordo di questa giornata.

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ERAWAN FALLS L’umidità e l’afa si fanno sentire nell’estate urbana della capitale: fa caldo ed è gradevole immaginare il refrigerio delle acque della Cascata dai sette livelli, Erawan Falls, zona Kanchanaburi, un paio d’ore fuori Bangkok. Una giornata all’insegna della natura lontano dal caos e dal traffico cittadino.

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Il serpente d’asfalto che separa la capitale da quel luogo incantato s’inerpica sulle colline verso ovest, sfilando campi coltivati e paesi in un’alternanza di verde e colori e riflessi di cielo sulle enormi risaie lungo la via. L’autista che ci accompagna è tanto silenzioso durante il tragitto quanto è perentorio nel pretendere il nostro ritorno alla vettura dopo quattro ore esatte dal momento in cui ci ha lasciati nel piazzale d’ingresso. Ci incamminiamo per un sentiero avvolto dalla vegetazione dove insetti e scimmie ci scortano fino ad arrivare al corso d’acqua che scende dalla montagna davanti a noi. Addentrandoci saliamo: ci inerpichiamo a piedi tra radici e massi lungo il fiume, ascoltiamo lo scorrere scrosciante dell’acqua e il canto delle cascate attraverso le fronde, incontriamo alberi vestiti a festa a simboleggiare le offerte dei fedeli al Buddah e respiriamo tutto l’odore della foresta che ci abbraccia. Foresta. Foresta. Foresta. Alcuni bambini giocano con fionde artigianali cacciando dei nemici immaginari nascosti sui rami degli alti alberi mentre i più grandi godono rilassati la tranquillità del posto. Ci fermiamo varie volte per osservare il panorama sulla vallata e scattare qualche foto al torrente che si modella della forma delle rocce, e per riprendere fiato finché non decidiamo di tuffarci nel laghetto del quinto livello. Troppa salita ancora da percorrere per raggiungere gli altri due salti e troppo poco tempo per noi per poi tornare all’appuntamento. Il contesto rapisce l’attenzione. Tu sei lì che guardi e non ti accorgi che il tempo corre, ti rendi conto che non è tutto fermo perché le foglie si scuotono e l’acqua si

muove, ma vorresti rimanere lì, fonderti col paesaggio, come ad essere una figura ritratta di spalle in un quadro ad acquarelli che incantata perde lo sguardo nello sfondo. Immobile. Morbido. Il cielo è coperto e l’acqua è fredda di un freddo che svanisce quando ci entri dentro, c’è solo da fare attenzione a non scivolare sulle rocce umide e viscide sulle sponde dei laghetti e da tollerare il fastidio dei pesci che delicatamente vengono a mordicchiare le gambe in cerca di cibo. Una sensazione un po’ strana, all’inizio, ma sopportabile. Bambini ed adulti s’inventano giochi e avventure da esploratori tra gli alberi della foresta e le acque delle piccole cascate e utilizzano le rocce come scivoli per tuffarsi mentre per noi si comincia a fare tardi. E’ l’ora di rientrare. Piacevole annotazione è il rispetto per l’ambiente. Non c’è una carta lasciata in giro ed è richiesta una cauzione per ogni bottiglia di plastica introdotta nel parco, che viene restituita dai ranger all’uscita dimostrando di avere ancora con sé la


bottiglia e non averla lasciata in giro. Sulla via del rientro è interessante la fermata presso la cittadina di Kanchanaburi, famosa per il ponte ferroviario sul fiume Kwai, protagonista di un episodio importante per la Thailandia durante la seconda guerra mondiale e narrato nel celebre film di David Lean del ’57. La chiamano la “death railway” in seguito allo spreco di vite umane cadute durante la costruzione della ferrovia che sarebbe servita ai giapponesi per il movimento delle armi tra la Thailandia e la Birmania. Difficile da spiegare, ma è come se si respirasse un’aria di guerra. Quella sensazione di attesa di un bombardamento raccontata mille volte nelle pellicole di Hollywood: anche la musica in diffusione rievoca quei momenti. Non c’è nessun colore particolare, sembra di entrare in un dipinto in seppia e sulla piazza attraversata dalla ferrovia poco prima del ponte campeggia un’enorme scritta composta in caratteri verde e rosso sbiaditi che dice “II WAR”. Non so, mi ha fatto effetto

vedere i bambini giocare tra le lettere. E’ già sera al rientro in hotel e, stanchi dopo una doccia, ripercorrendo la giornata tra i nostri scatti, rimpiangiamo il rumore del vento tra le foglie e il fragoroso scrosciare delle acque, ora che il sottofondo musicale è garantito dai clacson e dal traffico di una Bangkok che non dorme mai.

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TIGER TEMPLE

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Situato a circa 170 km da Bangkok, raggiungibile per mezzo di escursioni organizzate dalle numerose agenzie di viaggio della capitale o più semplicemente accordandosi con un tassista per una giornata “fai da te”, nelle vicinanze della cittadina di Kanchanaburi si trova il Wat Pha Luangta Bua Yannasampanno Forest Monastery, meglio conosciuto con il nome di “Tiger Temple”. Più precisamente si tratta di un vasto appezzamento di terreno boschivo donato ai monaci buddisti dalla regina nel 1994 nell’occasione del suo compleanno (12 Agosto); una foresta recintata che è cresciuta fino ad oggi, anche per mezzo di altre donazioni, fino a raggiungere l’estensione di circa 6500 mq. I monaci della foresta monastero, come per gli altri templi da sempre considerati custodi di un luogo di accoglienza e ospitalità per i bisognosi, ricevettero in dono dagli abitanti dei vicini villaggi alcuni animali affinché questi potessero trovare un luogo sicuro dove crescere. Dopo breve tempo il parco ospitava pavoni, cinghia-

li, galli, alcune specie di cervi, bufali, mucche e cavalli. Sul finire degli anni novanta il monastero divenne famoso poiché ricevette in dono un cucciolo di tigre. La madre era stata uccisa dai bracconieri nelle vicinanze dei confini col Burma e il cucciolo fu acquistato da un privato che decise poi di liberarsene. La persona che sarebbe dovuta occuparsi della sorte dell’animale lo consegnò ai monaci del monastero che se ne presero cura ma le condizioni di salute del cucciolo, una femmina, non lasciavano presagire niente di buono ed infine dopo cinque mesi questa morì. E’ purtroppo prassi per i bracconieri cacciare esemplari adulti e lasciare abbandonati i piccoli, ma fortunatamente poche settimane dopo altri due cuccioli maschi vennero condotti dai monaci. Arrivarono, pochi mesi dopo, altri due maschi e grazie all’intervento della polizia Thailandese che intercettò un traffico illegale, poco tempo dopo vennero condotte al monastero altre quattro tigri femmine. Il tempo conta oggi una ventina di esemplari tra quelli nati e cresciuti in cattività e quelli invece salvati. La visita del parco è soggetta al pagamento di un biglietto d’ingresso e fuori dal cancello di accesso


sono affisse alcune enormi immagini recanti le attrattive supplementari che si possono acquistare ed il regolamento del parco. Alcune specifiche riguardano chiaramente l’abbigliamento. Pur essendo un tempio diverso dagli altri è pur sempre un luogo di culto pertanto è richiesto un abbigliamento adeguatamente sobrio. E’ assolutamente sconsigliato l’utilizzo di colori particolarmente vivaci e sgargianti che potrebbero attirare l’attenzione dei felini ed è assolutamente consigliato rifornirsi con dell’acqua. Le visite sono concesse solamente dalle 13:00 alle 16:00, volutamente nell’orario più caldo del-

la giornata e nel momento della digestione degli animali. Durante la mattina le tigri vengono lasciate libere di girare per il parco sempre sotto la supervisione degli operatori. Dopo un nutrito pranzo a base di pollo, cibo secco per gatti e carne cotta – affinché queste non associno il sapore della carne al sangue – vengono legate per la visita dei turisti e dopo le 16:00

vengono liberate nuovamente per quello che viene chiamato “l’afternoon show”. Gli operatori sono ragazzi giovani, thailandesi ed europei di ogni nazionalità che si fermano nel monastero a prestare servizio di volontariato informando i turisti e accudendo le tigri in cambio di vitto e alloggio. Sicuramente la migliore occasione per essere a contatto diretto con questi splendidi esemplari. Seguendo le indicazioni si percorre un viale che termina in una vallata come a formare un canyon con una piccola cascata ed un laghetto sul fondo, dove è situato un apposito riparo dal sole con panchine e dove gli operatori spiegano il comportamento più adeguato da tenere in presenza degli animali. E’ necessario muoversi verso le tigri in silenzio e lentamente, non voltare mai loro le spalle e non avvicinarsi troppo alla testa. Le tigri, sonnecchianti, sono legate a terra per mezzo di solide catene e si lasciano avvicinare dai turisti curiosi che vengono condotti, da due volontari per ognuno, per le fotografie in compagnia di questi splendidi animali. E’ uno dei volontari a maneggiare le macchine fotografiche dei turisti, mentre l’altro supervisiona da vicino, affinché le macchine non vengano scambiate per giochi penzolanti rischiando magari di risvegliare l’istinto curioso della zampata di un tale felino! Sentirne il respiro e vederne muovere la gabbia toracica dà appena un’idea della potenza di questi esemplari da oltre 200 kg. Le tigri appaiono stranamente docili ed

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assonnate, appena infastidite dal ronzare delle mosche, sembrano neanche sentire il timoroso tocco dei visitatori che poggiano la mano sulle loro schiene e sul costato. Sin da piccole vengono abituate al contatto con gli umani dapprima coi monaci ed i volontari affinché questi diventino parte integrante della loro quotidianità. E’ forte la sensazione che gli animali vengano sedati per risultare potenzialmente meno aggressivi, ma gli operatori, negando assolutamente, spiegano che la tigre è un predatore notturno che preferisce riposare nelle ore più calde del giorno, e che un animale sedato è disorientato e spaventato, quindi più pericoloso. In una zona non lontana dal canyon delle tigri, i cuccioli più giovani vengono nutriti dalle mani dei volontari e coccolati dai monaci mentre gli altri animali scorrazzano liberi. Uno dei supplementi acquistabili all’ingresso del parco è la possibilità di cibare in autonomia uno dei cuccioli tramite un biberon. Attorno alle ore 16.00, poco prima della chiusura alle visite del parco, i turisti vengono radunati tutti insieme e le tigri vengono accompagnate dai volontari fuori dal canyon e portate in un’altra zona a guinzaglio come fossero animali domestici. Far uscire prima le tigri è necessario affinché queste non si trovino mai persone che gli volgano

le spalle. L’altro supplemento proposto per la giornata è la partecipazione all’ “afternoon show”. Una volta usciti dal parco i turisti che non hanno scelto questa opzione, i volontari conducono quelli rimasti al centro del canyon dove prima si trovavano le tigri, vicino al laghetto con la cascata. Per mezzo di reti metalliche su strutture tubolari facilmente componibili, i turisti vengono chiusi in una gabbia ed alcuni volontari spiegano quanto seguirà. Le tigri, prossime al nuovo ingresso in scena, saranno stavolta libere di muoversi senza catene e giocare tra di loro e nell’acqua. La gabbia che contiene i turisti è alta poco più di un metro pertanto è comunque sempre necessario attenersi alle regole fondamentali di non fare troppo rumore, non accovacciarsi e non dare mai le spalle agli animali. Altri volontari invece si occupano di andare a prendere le tigri. Nel pomeriggio la temperatura si fa leggermente meno calda e con il rinfrescarsi delle ore del pomeriggio queste sembrano risvegliarsi dal torpore. Si stirano, si grattano e si rinfre-

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scano nell’acqua. I volontari si inventano giochi con un bastone di legno molto lungo all’estremità del quale è legato un sacco di plastica che ha la sola funzione di fare rumore se sbattuto a terra. Questo sembra essere la maggiore attrattiva per i felini che, come gatti, corrono e saltano cercando di rincorrere quel rumore a loro familiare. Nel laghetto sono stati posizionati anche dei grossi massi che servono da trampolino di lancio quando i volontari sporgono il bastone sopra l’acqua e le tigri saltano per raggiungerlo. Altre invece si azzuffano amichevolmente ed altre ancora cercano di arrampicarsi sugli alberi. L’afternoon show ha una durata non prevedibile. Dipende dalla voglia di giocare e dall’umore delle tigri. Quando queste decidono che il loro periodo di ricreazione può aver fine, i volontari – che sembrano trattare i grossi felini come peluche – con padronanza e attenzione le riconducono al guinzaglio distanti dalla gabbia. Solo una volta che le tigri sono nuovamente tutte legate e sotto controllo, la gabbia viene smontata ed i turisti liberati.

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La visita a questo particolare monastero conduce certamente a molti spunti riflessivi. E’ palese che gli animali godono di ottima salute tanto quanto è discutibile vederli legati alle catene. E’ anche importante tenere conto della condizione in cui verte la specie delle tigri in tutti i territori selvaggi del sud est asiatico. Purtroppo il bracconaggio ed il commercio in particolare di pelle, ossa e pene di tigre – molto utilizzati nella medicina cinese – ne ha ridotto drasticamente il numero. L’obiettivo del Tiger Temple è quello di preservare questa specie anche se questa generazione di tigri non verrà mai rimessa in libertà. Data la condizione nella quale questi animali sono cresciuti, hanno perso l’istinto alla caccia ed hanno acquistato troppa familiarità con l’uomo che si occupa perfino di cibarli. Potrebbe per loro essere molto pericoloso. La prossima generazione godrà invece dei frutti delle donazioni che hanno reso possibile il progetto e la futura realizzazione di “Tiger Island” dove gli animali verranno ospitati e curati ma tenuti a minimo contatto con l’uomo, verranno instradati alla caccia e poi rilasciati nel loro ambiente naturale.


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LE FOTOGRAFIE POSSONO RAGGIUNGERE L’ETERNITÀ ATTRAVERSO IL MOMENTO

Henri Cartier-Bresson


Condivisione in Rete e l’inflazione della fotografia evoluzione o estinzione della creatività? TESTO Roberto Tomesani www.fotografi.tv

Ovvero: capire come il fenomeno della condivisione della creatività, delle immagini, delle licenze d’uso in Rete sia un fenomeno positivo (e quindi come sfruttarlo) o se sia l’avvisaglia della disgregazione della creatività stessa (e quindi come difendersi). Un tema forse più importante della scoperta della fotografia. Si tratta di un tema di un’importanza capitale per la nostra professione, e per tutte le altre attività umane che si basano su processi creativi che possono essere conosciuti e condivisi attraverso il canale della Rete. Un tema di tale importanza da potersi considerare come storicamente fondante, come - e forse più dell’invenzione della fotografia stessa. Ci si riferisce al fatto che le disponibilità attuali hanno reso possibile un fenomeno storicamente inedito: la condivisione semplicissima, immediata - e quindi aperta a tutti - degli strumenti di lavorazione creativa, ma anche delle idee stesse, delle fonti a cui attingere, e dei frutti della creatività, e quindi delle opere che derivano dalla creatività. La stessa OurPhoto che stai leggendo ora ne è un esempio lampante: idee, immagini, pensiero, informazione, sapere e conoscenza, condivisi fra tutti, grazie alla Rete. Stiamo quindi parlando del fatto che la Rete ha reso possibile la condivisione, senza ostacoli, di conoscenze e di frutti della creatività che realmente fino a pochissimi anni fa non erano condivisibili se non attraverso canali piuttosto rigidamente prefissati e, quindi, di facile controllo. Ora, di fatto, è possibile mettere in comune con gli altri - ed attingere da tale comunità - tutte le idee ed i frutti creativi che le idee portano con sè: testi, musica, fotografia, grafica, software, creatività pura, idee per l’advertising, eccetera. Poichè tutti i lavori creativi si basano sullo scambio del 85

frutto di idee ed inventiva fra due categorie di soggetti: da un lato, chi ha idee ed inventiva, e dall’altro chi non avendole - le vuole acquisire, è evidente che la improvvisa e totale “permeabilità” fra le due sponde ha modificato e sempre più modificherà in modo radicale tutte le dinamiche dei mondi che orbitano attorno alla creatività ed alle sue applicazioni. Che cosa, della condivisione, è cosa buona Questo fenomeno di portata storica nell’intelligenza dell’Umanità ha in se un germe epocalmente fondante di una nuova società. La globalizzazione non è più solo un fenomeno di mercato da condividere oppure contestare, ma - volenti o nolenti - il nuovo modello della nostra intelligenza e cultura planetaria. Ciò che differenzia il genere umano dai ragni, dalle carote, dai cani, dai canguri e dalle lumache è che ciascuna delle altre forme di vita può modificarsi, nel tempo, solo mediante processi di miglioramento darwiniani della specie: i soggetti con patrimonio genetico più adatto all’ambiente sopravvivono meglio degli altri, quindi si riproducono più facilmente e quindi evolvono in direzione delle caratteristiche “preferibili” alla propagazione dei loro geni (in realtà, sono i geni stessi le identità che si duplicano e perpetuano, usando l’organismo vivente come sacrificabile mezzo di trasmissione di loro stessi da una generazione all’altra). Ma, al di là dell’evoluzione della specie, un ragno tesse la tela esattamente come faceva cento anni fa, una cane maschio alza la zampetta come l’istinto gli suggerisce da sempre, ed una lumaca organizza la sua vita esattamente come faceva nel Medio Evo. Invece noi umani, capaci di astrarre concetti e di prefigurarci cosa potrebbe succedere in base alle nostre azioni, ci scambiamo vicendevolmente informazioni, congetture e istruzioni, che ci fanno cambiare il modo di interagire con gli altri e con l’ambiente. Continuamente, vorticosamente,


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evolvendoci e mutando non solo a cavallo di generazioni di individui, ma anche con una rapidità proporzionale alla rapidità con cui riusciamo a scambiarci tali istruzioni di vita. Bene. L’entusiasmante portata della condivisione in Rete della conoscenza è che si tratta della più favolosa opportunità di conoscenza ed evoluzione mai avuta dall’Umanità. Significa che ora, grazie alla condivisione, la conoscenza è davvero patrimonio di tutti, il che si tramuta in un’accelerazione incredibile della nostra evoluzione. Restiamo nell’ambito della creatività, e ancor più in specifico della fotografia, che è poi il campo che ci interessa. Condividere le immagini significa che ho la possibilità di mostrare il mio lavoro a un’enormità di interlocutori, che prima non avrei potuto raggiungere. Significa che posso attingere a spunti ed idee di altri, che avrei impiegato una vita a ottenere tramite i canali pre-internet. Significa che posso vendere la mia canzone, o il mio disegno, o la mia immagine a pochi centesimi alla volta, ma ad un mercato spaventosamente grande, composto di milioni di individui, e non di decine di clienti. Significa che, grazie alle licenze d’uso non restrittive - come Creative Commons - posso fare in modo che il mio lavoro, la mia creatività, il mio nome, si diffondano con una rapidità esponenziale, che assolutamente solo le dinamiche “a cascata” come quelle innescate dalla rete possono fare. Qualche esempio per tutti: su www.jamendo.com posso trovare valanghe di buona musica sperimentale, ma posso anche propormi offrendo in condivisione la mia musica e farmi notare se questa viene apprezzata; su http://sourceforge.net posso trovare applicativi software in open source da utilizzare per la mia produttività, ma anche scambiare conoscenza, codici ed informazioni e trovare potenziali sostenitori; su www.zooppa.com posso curiosare fra moltissime proposte creative in ambito advertising, e farmi notare da clienti ed agenzie anche se sono un creativo che vive fuori dai giri delle consuete agenzie; su www.istockphoto.com posso non solo acquistare immagini, illustrazioni e filmati di alta qualità in royalty free a prezzi contenuti, ma anche proporre le mie produzioni creative, controllare cosa vendono gli altri, quante volte, fare una stima dei guadagni mensili possibili, scambiare idee e pareri con la comunità dei creativi che mi piacciono, e mantenere un’attività professionale di stock.

Tre gli elementi caratterizzanti, in positivo: a) Tutta la conoscenza disponibile. Grazie alla condivisione, si ha a disposizione tutta la conoscenza del mondo, in un batter d’occhio, e spunti infiniti. Ma attenzione: la qualità e l’utilità di questi elementi è proporzionale a quanto intelligente, illuminata, creativa e preparata è la ricerca che viene fatta. La Rete è davvero democratica sulla quantità dei contenuti (perché potenzialmente tutto è a disposizione di tutti) ma a suo modo anche selettiva sulla qualità degli stessi: una persona di scarsa cultura non saprà discernere le tracce, troverà tendenzialmente contenuti di scarso spessore, ed avrà la sensazione fondata - di muoversi in un’immondezzaio globale di idiozie. Quanto più preparato - umanamente e professionalmente è chi effettua le ricerche tanto più i risultati saranno vicini a quello che gli occorre. La Rete, di fatto, amplifica enormemente il potenziale espresso da chi la usa: come avviene per i programmi, vale la regola G.I.G.O. (garbage in, garbage out: se ci metti spazzatura, ne esce spazzatura). b) Un mercato eccezionalmente più ampio Grazie alla condivisione, ho la possibilità di vendere contenuti a prezzi unitariamente bassissimi, ma ad un pubblico spaventosamente più grande rispetto a quello tradizionale. I canali di microstock ne sono un esempio. c) La possibilità di attirare contatti offrendo contenti. Grazie alla condivisione, è possibile offrire contenuti e informazione gratuitamente, con questo acquisendo una posizione privilegiata di contatto con gli individui interessati a quei contenuti. Ad esempio, Mauro Boscarol, divenuto uno dei docenti più richiesti in campo di gestione del colore e prestampa grazie alla notevole quantità di contenuti resi disponibili gratuitamente al suo blog: http://www.boscarol. com/blog/

Che cosa, della condivisione, è pericoloso In realtà, però, accettare il fenomeno della condivisione come un bene incondizionato è un atteggiamento miope. 87 Gli aspetti positivi della condivisione della


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conoscenza sono notevoli, e li si è accennati. Attenzione, però! Un conto è la condivisione della conoscenza, ed altro è la condivisione dei frutti della conoscenza. Come si accennava prima, tutti i lavori creativi si basano sullo scambio del frutto di idee ed inventiva fra due categorie di soggetti: da un lato, chi ha idee ed inventiva, e dall’altro chi - non avendole - le vuole acquisire. Una sorta di jing e jang, vuoto e pieno, positivo e negativo. Questi due poli, perché diversi, mantengono la tensione, e la tensione produce lavoro. Tu hai una cosa. Io no, ma ne ho altre. Scambiamocele. E questa dinamica produce movimento, flusso, mercato, azione, lavoro. Ma se tutti - grazie alla condivisione - hanno disponibilità di tutto, questa dinamica viene men. La completa permea-bilità in condivisione è - nè più nè meno - la stessa identica dinamica che sta alla base dell’entropia dell’universo. Apparentemente “paroloni”, per definire però un concetto semplice: quando metto in libera comunicazione con dei vasi comunicanti dei contenitori diversamente pieni, in un primo momento si riverseranno reciprocamente fiumi di contenuto; dopo poco, però, quando tutto si sarà livellato, non succederà più niente. Niente. Il libero fluire dell’energia da una parte all’altra porta all’annichilimento. È, appunto, l’entropia: la direzione verso cui scorre l’universo, la dispersione dell’energia verso un livello omogeneo e quindi improduttivo, il passaggio dell’organizzazione (strutturata) della materia verso livelli via via di maggior disordine, e cioè di casuale disposizione. Omogeneamente livellato, l’universo tende ad annichilirsi. Il “nulla” da temere non è il vuoto: è l’assenza di tensione fra le parti, cioè l’assenza di disparità fra vuoto e pieno: è il grigiamente omogeneo, senza ritorno. Torniamo sulla Terra e nel concreto. È entusiasmante che si possa disporre di immagini in un batter d’occhio. Ma, come ben sappiamo, la sovrabbondanza di immagini ha prodotto una svalutazione delle stesse. Poichè tutti le possono avere facilmente, hanno drammaticamente perso di valore. La creatività fotografica stessa, grazie alle nuove tecnologie, ha inizialmente avuto un apparente incremento grazie alle funzioni offerte dagli applicativi di fotoritocco. Ma dopo pochissimo tempo, i mezzi a disposizione di tutti (ad esempio, banalmente, i filtri di Photoshop) utilizzati da tutti sono diventati banali,

omogeneamente diffusi e quindi senza valore. Ora l’intervento “creativo” usando una filtrazzata di Photoshop è sconsolantemente banale, non creativo. Alla stessa stregua, anche la postproduzione di alto livello ha impastoiato una buona parte della creatività fotografica, portando ad un’immagine di sapore omogenamente artificiale. E, come contenitori di vernice di colori diversi che vengano messi in comunicazione fra loro, quello che si ottiene dal progressivo mescolamento delle vernici è inizialmente variegato e striato, e poi, sempre di più, a differenza delle caratteristiche di partenza, diviene grigio, indistinto e - soprattutto - irreversibile. Non si separa più la vernice bianca dalla nera, una volta mescolate fra loro. Il fenomeno della condivisione non si può arrestare, non si può ostacolare, e soprattutto: non è reversibile. Le risposte fuorvianti Prendere coscienza di questa evoluzione del nostro mercato o, meglio, del nostro universo professionale è importante, e qualsiasi nuova personale percezione non può che far bene. Ci sono tuttavia alcune risposte istintive ma fuorvianti, da evitare. a) Nuovo = Buono. Non è sempre vero, non necessariamente. Semplicemente: “nuovo” è uguale a “nuovo”. Punto. Se poi, nella propria situazione, la novità è cosa buona, questo dipende dalla situazione personale. b) Conosciuto e sperimentato” = “buono”. Non è sempre vero, non necessariamente. Si tratta dell’errore “Ancora lo stesso”; come descritto da Paul Watzlavich nel suo “Istruzioni per rendersi infelici” (vedi a: http://www.fotografi.org/ancora_lo_stesso. htm a cui si rimanda): se una soluzione è stata efficace nel passato, questo non significa che sia ancora efficace allo stato attuale. c) “Contenuti generati dall’utente come buon modello di business”; ovviamente, chiunque utilizzi i contenuti generati dall’utente (che siano testi, foto, musica, pettegolezzi,

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commenti, informazioni, ecccetera, poco importa) come mezzo per riempire uno spazio, e poi usa gli accessi a quello spazio come veicolo per pubblicità, non può che vedere la tendenza ai “contenuti generati dall’utente” come sempre positiva. Si tratta però di una posizione parziale, vera solo in alcuni casi, un pò come quella di chi vede il freddo come un aspetto positivo... perché la sua attività è commerciare in sciarpe e stufette. d) “Barriere corporative e ordini”. Molti, specie se più radicati alla cultura degli anni scorsi, immaginano la creazione di Ordini Professionali e simili steccati di corporazione come un valido antidoto ai problemi dell’eccessiva condivisione in Rete. Questa soluzione, in realtà, è irrimediabilmente anacronistica, inefficace e utopica. Tolti i pochi casi di professioni per le quali la creazione di regole all’accesso ed all’esercizio serve a garantire la salute o l’interesse della comunità umana (ad esempio, l’ordine dei Medici per evitare che un ciarlatano mi possa danneggiare la salute, o degli Ingegneri per evitare che un improvvisato costruisca un ponte che viene giù al primo temporale), la Comunità Europea da molti anni impedisce l’istituzione di altri ordini professionali. Anche la creazione di semplici barriere corporative ha - su fenomeni planetari come la Rete - la stessa efficacia che potrebbe avere il cercare di fermare un mare in tempesta usando le mani.

sempre appannaggio solo di chi le sa avere. Quindi, ad esempio: NON fotografie di paesaggio, ma progetti di comunicazione sul territorio, tradotti in immagini; NON fotografie di oggetti, ma invenzione di oggetti fotografici, cioè che usano l’immagine per essere oggetto decorativo; NON fotografie di ritratto e matrimonio, ma creazione di eventi appositi per coinvolgere i giovani, gli sposi, le persone in attività che possano essere documentate fotograficamente; NON fotografie di catalogo, ma invenzioni di operazioni multimediali, applicaioni per tablet e guerrilla marketing usando anche l’immagine fotografica. NON fotografie di curiosità dei costumi, ma racconti giornalistici curiosi e pervasivi, finalizzati a descrivere tendenze del momento; NON ricerca creativa intimistica, autoreferenziale e fine a se stessa, ma analisi dei desideri e dell’esperienze emotive dei nostri simili, per offrire loro letture visive di queste percezioni. NON corporazioni restrittive, ma gruppi di persone che cercano di favorire fra loro la conoscenza e la collaborazione. Keep in touch...

Cosa resta allora davvero di valore Cosa fare, quindi? Prendere coscienza del fatto che il fenomeno della condivisione della conoscenza è un fenomeno epocale, dirompente e positivo. Che la condivisione dei contenuti, invece, è fenomeno parzialmente positivo e parzialmente “entropizzante”, e cioè che sta portando alla distruzione di una parte delle dinamiche di mercato in fotografia (come in altri ambiti creativi). Che l’unico elemento che non viene intaccato dalla condivisione dei contenuti e che anzi viene favorito dalla condivisione della conoscenza è la progettualità e l’invenzione di nuove idee. Che il nostro lavoro in ambito fotografico, quindi, resterà nei prossimi anni un lavoro remunerativo, interessante umanamente e gratificante professionalmente solo nella misura in cui ci trasformeremo da “persone che sanno fare fotografie” a “persone che sanno avere delle idee e tradurle in immagini”, dato che le immagini perderanno sempre più rapidamente di valore, e le idee invece resteranno

Roberto Tomesani coordinatore generale Associazione Nazionale Fotografi Professionisti TAU Visual http://www.youtube.com/tauvisual

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OurPhoto il nostro non periodico di fotografia. OurPhoto crede nella condivisione delle idee e delle esperienze dei fotografi di ogni livello ed attrezzatura. OurPhoto è nostro, nel senso che è una risorsa per tutti. OurPhoto è una pubblicazione libera da pubblicità, vincoli di contratto e/o marketing con aziende di settore e non. OurPhoto è senza pubblicità.

© Matteo Fantolini

OurPhoto è scritta dai lettori per i lettori, il nostro compito è di rendere graficamente omogeneo la forma degli articoli, senza stravolgerli.


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