Editoriale
Finalmente il momento è arrivato: il nuovo portale www.pianeta4zampe.it è online. Da questo mese, i nostri lettori hanno a disposizione, oltre alla rivista, anche un portale aggiornato giorno per giorno, che offre notizie e approfondimenti sui nostri beniamini domestici, sull’affascinante mondo della fauna selvatica e, non ultimo, su tutto ciò che possiamo fare in concreto perché il nostro stile di vita rifletta l’amore che ci lega agli animali. Ci addentreremo così per esempio nel mondo della cosmesi naturale, informando i nostri lettori su tutto ciò che consente di realizzare il proprio make-up e prendersi cura del proprio corpo nel rispetto sia della salute, sia dei nostri amici a quattro zampe. Allo stesso modo, ci addentreremo nell’universo della cucina, recensendo alimenti e bevande, alla ricerca di quelli che più ci avvicinano alla natura e che meno comportano sofferenza per il mondo animale. Non saremo mai tra coloro che si schierano dicendovi che dovete essere vegetariani, non vegetariani o vegani: non ci riteniamo ancora abbastanza autorevoli per dirvi cosa dovete fare! Consapevoli del fatto che le scelte di coscienza non possono essere imposte, dedicheremo spazio sia agli stili di vita che escludono la carne dall’alimentazione, sia a quelli che non vi rinunciano. D’altronde,
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anche chi non è vegano, può fare molto per ridurre, attraverso il consumo consapevole, la sofferenza degli animali. Spazio anche alla moda pet-friendly, alla ricerca di quei capi che sono prodotti secondo logiche cruelty-free. E poi libri, eventi culturali e tutti gli appuntamenti con le iniziative benefiche dedicate ai pets. Tutto questo e altro ancora troverete nel nostro nuovo portale. All’inizio di ogni mese, online anche la rivista, con i contenuti da sempre apprezzati dal nostro pubblico, dedicati al benessere dei nostri animali da affezione. Da non perdere, questo mese, il reportage dedicato agli apiari urbani realizzati dalla Onlus AmazeLab, per iniziare la primavera all’insegna della salvaguardia della biodiversità.
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ANCHE QUANDO LA REALTÀ FA PAURA, C’È UNA FORZA CHE PUÒ TRASFORMARLA. E RENDERLA MAGICA COME UNA FIABA. LA STORIA DELL’OCA CORAGGIOSA CHE HA COMMOSSO L’ITALIA SUPERANDO IL PEGGIORE DEGLI INCIDENTI. www.beccodirame.com
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Esposizioni canine e feline PAGINA 2
Un altro come te. Quando si è disposti a tutto pur di sentire ancora vicino il cane che si è perso
La savana è servita. Il privilegio di un gatto Bengal in giro per casa PAGINA 32
L’insospettabile complessità dei gorilla
PAGINA 4
PAGINA 40
Come dare la cittadinanza alle api (e rendere felici interi quartieri)
Altro che animali! Dagli elefanti di Annibale ai cani eroi dell’11 settembre, storie di un’insostituibile amicizia, di Roberto Allegri e Diego Manca
PAGINA 8
Dove gli animali ritornano liberi PAGINA 18
Quattro chiacchiere con la modella animalista PAGINA 22
Irish Wolfhound, il fascino del cacciatore
PAGINA 48
BALZOO: Il Primo Banco Italiano di Alimenti per cani e gatti. Un progetto innovativo per aiutare uomini e animali PAGINA 50
PAGINA 26
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info@enci.it
sede@anfitalia.it
Ente Nazionale della Cinofilia Italiana
Associazione Nazionale Felina Italiana
ESPOSIZIONI CANINE
Raduni
Esposizioni Nazionali
24 . 04
XXIX Raduno C.I.A.B.S. - Bovari Svizzeri Club Italiano Amatori Bovari Svizzeri Cascina Boschi - Volta Mantovana (MN) +39 0522 382145
Raduno Weimaraner Weimaraner Rescue Onlus Misano Adriatico Tel. 331 1787365
30. 04
57° Esposizione Nazionale di Grosseto (GR) Gruppo Cinofilo Grossetano Camping Cieloverde Marina di Grosseto 0564/321611
Raduno Di Primavera Levrieri Comitato organizzatore: A.I.A.L.A. - C.d.L. - C.P.L.I. Hotel West Garda - Padenghe (BS) Tel. (+39) 030 9907161
30. 04
24° Esposizione Nazionale Canina Gruppo Cinofilo Jonico Mottola (TA) Tel. 0522 382145
Raduno BASSOTTI (A.B.C.) Camping Cieloverde - Marina di Grosseto - tel. 0564 321611
30. 04
Raduno BULLDOG (C.B.I.) Camping Cieloverde - Marina di Grosseto - tel. 0564 321611
26. 04
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Esposizioni
30. 04
Raduno SPITZ TEDESCHI Camping Cieloverde - Marina di Grosseto - tel. 0564 321611
30. 04
Raduno C.I.M. - MASTIFF Camping Cieloverde - Marina di Grosseto - tel. 0564 321611
30. 04
Raduno ALANI - Camping Cielo verde - Marina di Grosseto tel. 0564 321611
30. 04
Raduno LAGOTTO ROMAGNOLO Camping Cieloverde - Marina di Grosseto - tel. 0564 321611
ESPOSIZIONI FELINE Esposizioni Nazionali
23/24 . 05
Esposizine felina di Gottolengo Gottolengo (BS) - Afi – WFC
30. 05
Esposizione Felina Golden Cat Show - Vicenza Organizzazione: Di Molfetta Anfi
Esposizioni Internazionali
16/17. 05
Cats & Tulips - Asperen Paesi Bassi
23/24 . 05
Raghtime TICA Cat Club Peterborough - Inghilterra
30. 04/01.05
Cats 4 Us e. V. - Frankfurt am Main - Germania
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Un altro come te.
Un altro come te. Quando si è disposti a tutto pur di sentire ancora vicino il cane che si è perso Costosa e ancora poco diffusa, la clonazione degli animali da compagnia genera interrogativi e dibattito. Noi ne abbiamo parlato con David Kim, ricercatore della Soam, uno dei centri coreani a cui americani ed europei si rivolgono per clonare il proprio amico a quattro zampe. Astrid Blake
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Quanti clienti si sono rivolti a voi nel corso dell’ultimo anno? Non possiamo divulgare il numero di clienti relativi all’anno 2015, in quanto si tratta di informazioni commerciali riservate. Tuttavia, posso dirvi che abbiamo clonato 184 cani nel 2015 e 754 cani in totale fino a oggi.
Da dove provengono i vostri clienti? La maggior parte vengono dagli Stati Uniti e dall’Europa.
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Un altro come te.
Potete clonare qualunque tipologia di cane? Ci sono casi o razze specifiche in cui non può essere fatto? Siamo in grado di clonare qualsiasi razza di cane. Fino a oggi, tra i vari casi con cui abbiamo avuto a che fare, abbiamo fallito solo in due circostanze. Una volta è accaduto con il cane da compagnia di un famoso professore universitario. In quel caso, siamo stati in grado di ottenere un paio di cuccioli, ma non sono sopravvissuti. Abbiamo scoperto un’anomalia epigenetica e, in collaborazione con il professore uni-
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versitario, abbiamo cercato la causa genetica del problema. Dopo il trattamento terapeutico delle cellule, abbiamo portato avanti il processo di clonazione ancora una volta e consegnato tre cuccioli in due settimane. Il secondo caso in cui non abbiamo avuto successo si è verificato quando un nostro cliente di Singapore ci ha fornito un campione di tessuto originale molto degenerato e le cellule fresche che siamo stati in grado di coltivare erano limitate. Abbiamo potuto soltanto effettuare un paio di volte il tentativo, ma purtroppo non ci sono state gravidanze.
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Un altro come te.
La clonazione è costosa? Il costo di clonazione di un cane è di centomila dollari Usa, ma tra i nostri servizi c’è anche la possibilità di creare una banca di cellule in cui conservare le cellule del proprio cane da compagnia fino a quando si è pronti a clonare. Il costo delle banche cellulari è di tremila dollari per i primi tre anni e cento dollari per ogni anno successivo.
Qual è la vostra filosofia? Pensate che 6
le persone possano sentirsi più felici grazie al vostro lavoro? Secondo la nostra filosofia, attraverso le biotecnologie avanzate, siamo in grado di contribuire a riportare a casa un importante membro della famiglia, contribuendo a prolungare la felicità che i proprietari hanno condiviso con i loro cani da compagnia. Siamo orgogliosi del fatto che la nostra tecnologia abbia portato gioia e soddisfazione per un gran numero di famiglie.
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Un altro come te.
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Come dare la cittadinanza alle api
Come dare la cittadinanza alle api (e rendere felici interi quartieri) Apiari creativi in città , coinvolgimento dei cittadini e visioni pioneristiche di ecologia metropolitana. Sono solo alcune delle attività di AmazeLab, ma sono state essenziali nella trasformazione di un quartiere milanese che oggi è apprezzatissimo. E che, fino a qualche anno fa, faceva parte di quelle periferie alle quali si crede, troppo spesso, di poter dedicare meno attenzione Sara Chessa
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Come dare la cittadinanza alle api
Recatevi in un quartiere degradato. Prendete la creatività e trasformatela in un’alleata del design urbano. Aggiungete un’abbondante quantità di filosofia di vita eco-friendly. Amalgamate bene mescolando lo sguardo degli architetti a quello degli urbanisti, degli storici dell’arte e, magari, anche dei sociologi. Dopodiché, cuocete tutto al fuoco vivace del coinvolgimento dei residenti, curandovi di trasmettere il loro “sapere locale” alle istituzioni, per motivarle meglio. Il risultato? Potrebbe sorprendervi e assomigliare a quello ottenuto nel quartiere Isola a Milano, il cosiddetto “retro della stazione Garibaldi”, un tempo
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marginalizzata “zona di confine” tra centro e periferia e oggi, invece, area metropolitana vivibile, costellata di iniziative dedicate all’ecologia e all’arte, più sicura, più “a misura di residente”. Lo sanno bene quelli dell’associazione no profit AmazeLab, equipe di esperti nelle più diverse discipline utili all’ecologia urbana. Loro, al risultato ottenuto all’Isola, hanno contribuito negli anni con numerose iniziative che sarebbe curioso replicare in tante “aree difficili” delle nostre città. Già, perché, quasi sempre, un’area difficile non è nient’altro che un’area dimenticata, una porzione di territorio urbano sulla quale, erroneamente, si pensa di poter “investire meno impegno”. Quasi che le periferie possano essere definite “degradate” in quanto tali e non perché ci si arrende ad una visione che accetta di vederle “ai margini”.
Il quartiere Isola tanto tempo fa e la nascita del progetto “Green Island” “Droga, sporcizia inenarrabile, un lampione ogni cinquecento metri”. Così Claudia Zanfi ricorda le vie sul retro della stazione Garibaldi, gettando per un attimo lo sguardo verso il passato. Con una laurea in Storia dell’Arte ed una specializzazione in semiotica presso la scuola di Umberto Eco, Claudia si trasferisce a Milano nei
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Come dare la cittadinanza alle api
primi anni Duemila, dopo quindici anni di lavoro presso il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Modena, la sua città. Sarà per il suo amore per il bello – deformazione professionale? – ma non riesce proprio a guardare impassibile il triste destino del quartiere Isola, dove va ad abitare. È convinta che, per dare il via ad un cambiamento, una delle cose fondamentali sia “aggiungere bellezza”. Non può farlo da sola, ma la sua specializzazione nello studio dei linguaggi le suggerisce
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di dar vita ad un team che ne parli tanti, differenti: da quello dell’architettura a quello del design, delle scienze ambientali , dell’urbanistica partecipata. Ogni modo di parlare del mondo, si sa, deriva dal modo specifico con cui al mondo stesso si guarda. Così, più occhi hanno iniziato a osservare la realtà della zona con volontà di contribuire al cambiamento. Da propositi come questi nasce AmazeLab e, in particolare, il suo progetto “Green Island”, letteralmente “isola verde”.
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Come dare la cittadinanza alle api
Come cambiare la vita di un quartiere. La consapevolezza ci salverà Non solo aumentare la bellezza, ma anche la consapevolezza. Da un lato quella delle istituzioni, che devono essere messe davanti alla fotografia di ciò che stanno dimenticando, dall’altro lato quella dei cittadini stessi, che vanno aiutati a riscoprire i punti di forza del proprio quartiere, per poterli valorizzare. Così, se un fronte vengono inviate lettere agli amministratori comunali e richiesti colloqui necessari a illustrare la drammatica situazione dell’area, sull’altro si dà il via ad un folto calendario di visite guidate, alla scoperta delle bellezze del quartiere. “Questo quartiere”, spiega Claudia Zanfi, “ha alcune architetture storiche importantissime, ad esempio tre edifici dei Terrani, che sono due degli architetti più famosi del razionalismo italiano. Abbiamo fatto visite guidate assieme a degli esperti di storia dell’architettura, alla quali hanno partecipato molti cittadini, sia giovani che adulti, interessati e curiosi di scoprire questo quartiere”.
I residenti di Isola. Non solo “stakeholder” da coinvolgere, ma anche “ispiratori”
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Weimaraner Rescue Italia
“Stakeholder” è una parola inglese che significa “portatore di interesse”. In particolare, quando si parla di progetti urbanistici o di sviluppo locale, gli stakeholder sono i beneficiari dell’azione stessa, coloro che vedranno la loro vita migliorare a seguito delle misure portate avanti. I fautori del progetto “Green Island”, augurandosi che le istituzioni dessero vita a progetti concreti in cui i residenti di Isola fossero, appunto, gli stakeholder, si sono fatti messaggeri dal 2002 in poi del disagio di questi ultimi. In realtà, c’è da dire che sono stati spesso gli abitanti stessi ad
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Come dare la cittadinanza alle api
auspicare che il team di AmazeLab si facesse portavoce delle istanze più urgenti. “La nostra è una realtà che ha a che fare con la cultura e con l’ecologia urbana, ma il nostro entrare più in profondità in alcune tematiche è stato sollecitato da alcuni cittadini, in particolare da vicini dello studio e da una serie di giovani artigiani che hanno il loro spazio proprio sulla via che si affaccia sulla stazione”, ricorda Claudia. E aggiunge: “Loro in prima persona vivevano questo disagio e desideravano attivare qualche azione che permettesse di costruire un nuovo paesaggio.
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Gli apiari creativi Sono passati diversi anni, oggi il quartiere Isola è molto più sicuro, l’illuminazione è migliorata e, per la pulizia delle strade, non è necessario attendere che passino, ogni tre giorni, gli addetti: la frequenza dei lavaggi della strada è aumentata notevolmente. È la stessa Claudia Zanfi a confermarcelo, da residente. Certo, tutto si può migliorare, ma il team che ha portato avanti Green Island è consapevole di aver dato un contributo affinché le cose si muovessero. E, dato che l’imperativo di AmazeLab continua ad 13
Come dare la cittadinanza alle api
essere quello di aggiungere “bellezza, consapevolezza e conoscenza”, nel 2015 si è pensato bene di coinvolgere designer e creativi da tutto il mondo per realizzare apiari artistici, in grado di soddisfare allo stesso tempo la ricerca del bello e il valore dato alla biodiversità. In particolare, al ruolo che gli insetti impollinatori hanno nel preservare e alimentare quest’ultima. “Il 70% della frutta e della verdura che noi troviamo è impollinata dalle api. Quindi, questo loro lavoro è fondamentale”, spiega la Zanfi. E prosegue: “Non è tutto. L’impollinazione permette che i semi “volino”, che la vegetazione sia in continua trasformazione, che questo prezioso processo prosegua da un balcone all’altro, da una città all’altra”. Parole poetiche per descrivere un meccanismo indispensabile, messo a rischio, come più volte abbiamo detto su queste pagine, dai drammatici casi di morie di api che molti esperti attribuiscono all’inquinamento da pesticidi. Possibile rimanere inerti? Non per Amaze Lab, che ha deciso di indire un concorso creativo internazionale per realizzare le arnie dell’apiario cittadino ideato in collaborazione con Legambiente. Partner dell’iniziativa anche la Middlesex University , dove Claudia Zanfi ha una piccola collaborazione come visiting professor. Da qui uno scambio proficuo tra l’istituzione educativa inglese e il Politecnico di Milano, con visite di studenti londinesi e workshop sul
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tema. Il risultato? Un terreno abbandonato da anni è stato trasformato in un “villaggio di api”, facendo realizzare da artigiani locali dodici dei quaranta progetti di “casette” arrivati da tutto il mondo.
Preparare la colazione alle api. La semina dei fiori assieme ai residenti del quartiere “Il nostro lavoro è quello di sensibilizzare sull’argomento il cittadino, sia comune, sia esperto, perché l’ape è generalmente temuta, è confusa con la vespa. Pur facendo an-
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Come dare la cittadinanza alle api
GREEN ISLAND 2016
PROGETTARE PAESAGGI FUTURI A cura di Claudia Zanfi/Atelier del Paesaggio
Milano Design Week
> LUNEDì 11 APRILE: Atrio Stazione Garibaldi, Piazza Freud 1 (MM2 Pta Garibaldi) ore 12.00-‐13.00: Conferenza Stampa + Opening ‘ARBRE MAGIQUE/Albero della Biodiversità’, installazione artistica di eco-‐design del duo Volpati/Nucara; opening del ‘Giardino in Stazione’, allestimento verde a cura di Atelier del Paesaggio. Presentazione del vincitore per il concorso ‘Nuove Ecologie Urbane’, sulla riqualificazione di aree pubbliche della Stazione Garibaldi. In collaborazione con Centostazioni -‐ Ferrovie dello Stato Italiane. Aperitivo BIO e omaggi floreali. > MARTEDì 12 APRILE: Giardino segreto del Terraggio, via Terraggio 5 (MM2 Cadorna) ore 17.00-‐18.00: Laboratorio con merenda per bambini e famiglie sulla biodiversità urbana e sugli insetti impollinatori. Progetto speciale per il giardino a cura del duo Volpati/Nucara. In collaborazione con 5VIE Art&Design. > GIOVEDì 14 APRILE: Spazio Lombardini22, via Lombardini 22 (MM2 Pta Genova) ore 19.00-‐20.00: Installazione eco-‐arnia realizzata per il giardino dall’artista Simone Berti. A seguire Aperitivo e Musica. > DOMENICA 17 APRILE: Apiario d’Artista, Orti via Padova/angolo via Esterle (MM2 Udine) ore 10.00-‐12.00: Colazione con laboratorio di design artigianale per auto-‐costruzione di alveari, utilizzando solo legno urbano, in collaborazione con ‘Woodworker Unplugged’ di Raul Luraschi. Degustazione guidata di mieli dal mondo (a cura di Conapi/Mielizia). GREEN ISLAND è Pet&Bike friendly: vieni a trovarci in bicicletta con gli amici a 4 zampe. UFFICIO STAMPA: Studio Valeria Zanoni, cell: 393.0552272, email: valeria@tree-‐ideas.it INFO: aMAZElab Arte, Cultura, Paesaggio +39.02.6071623 -‐ info@amaze.it -‐ www.amaze.it
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Come dare la cittadinanza alle api
Claudia, “i semi saranno diventati fiori. E le api troveranno il loro cibo”.
Pionieri della partecipata
che la vespa un lavoro di impollinazione, è un po’ meno utile rispetto all’ape”, afferma la nostra intervistata. E racconta: “Conoscendola, ci si rende conto che non è necessario averne paura, perché loro non sono aggressive, non pungono per aggredire ma soltanto per difesa dell’alveare”. Questo lo hanno compreso in tanti lo scorso autunno, quando AmazeLab, assieme alla collettività, ha seminato un intero campo di fiori utili agli impollinatori. “In primavera”, auspica 16
progettazione
Quando è iniziato il percorso di Green Island, nel 2003, l’ecologia non era di moda, non era considerata un’urgenza, tanto meno era inserita nelle agende come può esserlo oggi”, spiega la dottoressa Zanfi. Non solo. A non essere “di tendenza”, all’epoca, era anche il bottom-up approach, ovvero quel modo di porsi davanti ai problemi che non cala le soluzioni dall’alto imponendole alla comunità, ma, al contrario, coinvolge i “saperi locali”, il punto di vista e le conoscenze dei residenti. Un presupposto di base della progettazione partecipata nelle città. A quanto pare, AmazeLab è riuscita a renderlo un punto cardine della propria azione già “in tempi non sospetti”. A volte, non essere “di moda” equivale ad essere dei pionieri.
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Come dare la cittadinanza alle api
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Dove gli animali ritornano liberi
Dove gli animali ritornano liberi Siamo abituati da sempre a vederli dentro una fattoria o addirittura all’interno di sovraffollati allevamenti intensivi, dove difficilmente conosceranno la bellezza degli spazi aperti. C’è però anche chi sceglie di acquistarli per evitare loro il destino del macello e riportarli alla vita naturale, in ampi prati in cui possono riscoprire, a poco a poco, la libertà. Sono i “santuari” o rifugi per animali. Iniziamo oggi un viaggio a tappe alla scoperta di questi luoghi di rinascita Sara Chessa
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Qualche tempo fa, sui social network, circolava un video struggente. Protagonista, una mucca prelevata da un allevamento, in procinto di essere condotta altrove. Nel video, veniva messo in evidenza il terrore negli occhi dell’animale, come se una sinistra intuizione lo portasse ad associare quel repentino trasferimento alla propria imminente fine. Alla fine, invece, un colpo di scena. La mucca si ritrova in uno splendido prato, circondata da altri suoi simili, liberi di pascolare all’aperto e di ricevere
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Dove gli animali ritornano liberi
Lunghi dell’Oasi della Pace “La belle verte”. Con lui abbiamo iniziato a esplorare l’affascinante e complesso universo dei santuari, ancora inesistente per la legge italiana ma più che mai “vivi” per coloro che li visitano e li gestiscono.
Una tappa a “La belle verte”, la “non fattoria”
il calore diretto del sole, oltre che la sua luce. Nei suoi occhi, a quel punto si legge lo stupore. Forse non ha mai visto tutta quella bellezza, quegli ampi orizzonti. Eppure, a poco a poco realizza di essere libera. Di poter “camminare”. Di poter vivere la vita di un animale, non quella di un oggetto di consumo, privo di diritti. Commossi di fronte a questa testimonianza, ci siamo domandati se anche in Italia esistessero realtà simili. Le abbiamo trovate e abbiamo intervistato il responsabile di uno di questi centri, Mario
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Capre, pecore, una mucca di quelle allevate “per carne”, due vitelli, una coppia d’asini con il loro cucciolo, tre maiali e un numero variabile di galline, galli e conigli. Sono gli ospiti del rifugio “La belle verte”, letteralmente “il pianeta verde”, citazione cinematografica che riporta all’omonimo film di Coline Serreau, i cui personaggi, con esilaranti vicende, mettono in evidenza la drammatica lontananza dalla natura che il mondo occidentale attraversa in quest’epoca. Alla natura, alla Belle Verte, si cerca invece di riavvicinarsi. “Noi siamo una realtà familiare. I due rifugi principali in Italia hanno un numero di animali molto alto, noi abbiamo preferito fare una piccola fattoria, una non fattoria, dal momento che non produciamo”, spiega Mario. Le dimensioni ridotte consentono costi di gestione non superiori ai quattrocento Euro al mese. In più, come altri rifugi, la Belle Verte può contare su donazioni di persone che condividono gli stessi valori. “La mia famiglia ed io ci crediamo molto”, ci dice. “Abbiamo
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Dove gli animali ritornano liberi
questi animali e non possiamo fare a meno di questa attività. Anche la fatica, quando c’è la passione, si sente poco”.
La mucca della Belle Verte. Ciò che tutte le mucche vorrebbero vivere Incuriositi, abbiamo chiesto a Mario Lunghi se fosse il rifugio stesso ad andare alla ricerca di nuovi ospiti a quattrozampe o se invece esistessero delle realtà pronte a cedere degli animali. A quanto pare, il bisogno di cercare ulteriori ospiti non esiste: l’offerta è davvero alta. “Tanti animali allevati per l’alimentazione”, spiega, “vengono abbandonati o liberati. Oppure, c’è il caso di colo20
ro che adottano, per esempio, il maialino, rendendosi conto troppo tardi del fatto che diventi grande”. Se quest’ultimo caso ha a che fare con la scarsa consapevolezza di chi adotta l’animale da compagnia senza considerare le conseguenze, il primo è invece meno facile da comprendere: un allevatore che, anziché macellare gli animali allevati per tutta la vita a scopo produttivo, decide di liberarli e contatta un santuario per animali. “La nostra mucca, prima che arrivasse qui, è stata utilizzata per fare tanti cuccioli, che le sono stati sempre portati via”, racconta Mario. E prosegue: “Dopo quindici anni di sfruttamento, il suo proprietario ci si era paradossalmente un po’ affezionato e ha preferito non chiamare i macelli. Non PIANETA QUATTRO ZAMPE
Dove gli animali ritornano liberi
che altro quelle di animali abituati a stare a lungo fermi, di conseguenza per loro fare un paio di metri è già un tracollo dal punto di vista fisico. Durante il primo mese dimagriscono, sembra che stiano peggio. L’alimentazione negli allevamenti è fatta per l’ingrasso, composta di cose che non dovrebbero far parte del cibo naturale di questi animali”.
potendo più produrre né latte né vitelli, ha voluto dare la mucca a qualcuno che desse la garanzia di non ucciderla”. Un sintomo di una nuova consapevolezza in via di diffusione? È ciò che il nostro intervistato si augura. E, probabilmente, non solo lui.
La prima reazione degli animali dopo la liberazione Chi pensa che sia facile trovarsi, all’improvviso, ad avere a che fare con la libertà, si sbaglia. È ciò che ci fa capire Mario, descrivendoci la reazione iniziale degli animali dopo l’arrivo negli spazi liberi della Belle Verte. “Agorafobia, paura degli spazi, difficoltà di inserimento nel gruppo. Bisogna un po’ gestirla la situazione, anche se, nel giro di poco tempo, l’inserimento a livello gerarchico sociale all’interno del gruppo avviene in maniera abbastanza naturale”, spiega. E prosegue: “Le reazioni sono più PIANETA QUATTRO ZAMPE
La questione della sterilizzazione Essendo i rifugi luoghi di ritorno alla natura, ci colpisce scoprire che i santuari prevedano la sterilizzazione, pratica che, a rigor di logica, può essere considerata un’interferenza umana nella vita animale. “Non abbiamo preso la decisione a cuor leggero”, racconta Mario. “Tuttavia, ad oggi, non ci è ancora possibile prevedere la possibilità di riproduzione, se non per i più piccoli, come ad esempio i conigli, specie che lasciamo più vicina alla natura”. Il perché, come ci viene poi spiegato da diversi responsabili di rifugi, si lega alla necessità di accogliere il maggior numero possibile di animali provenienti dagli allevamenti. In futuro, chissà. Se l’obiettivo è quello di riportare questi animali alla condizione originaria di libertà, forse ci sarà spazio anche per riconsiderare, nel concetto di “ritorno alla natura”, la centralità dell’esperienza riproduttiva. 21
Quattro chiacchiere con la modella animalista
Maura, all’inizio di quest’anno hai presentato il tuo calendario benefico in un grande evento presso la discoteca Just Cavalli. Come è andata?
Quattro chiacchiere con la modella animalista Sfilare con una pelliccia? Mai e poi mai. Tra servizi fotografici, prove in teatro e ciak cinematografici, Maura Anastasia non rinuncia ad essere sempre in prima linea nelle iniziative a favore dei quattrozampe. E, molte di queste, è lei in prima persona a idearle. Astrid Blake
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Grazie agli sponsor del calendario – ai quali non ho chiesto denaro ma donazioni di cibo per animali – tante associazioni che si occupano di quattrozampe hanno ricevuto grandi quantità di alimenti per cani e gatti in condizioni di bisogno. Non è il mio primo calendario. Questo, come i precedenti, mi ha permesso di destinare risorse a strutture che accolgono gli animali in tante città d’Italia, credo, anzi, che non ci sia una provincia dove non sia transitato un mio pacco indirizzato a gattili e canili.
Con te, in questo calendario, anche Edoardo Raspelli, il celebre critico gastronomico conduttore della trasmissione Melaverde. Esattamente. Questo è, a tutti gli effetti, il calendario di Maura Anastasia ed Edoardo Raspelli.
A proposito, sappiamo che a breve dovrebbe partire anche un progetto cinematografico che coinvolge entrambi. Sì, è così. Al momento, non posso svelarvi
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Quattro chiacchiere con la modella animalista
tanto, se non che si tratta di un film del regista Ettore Pasculli, che già ha diretto Edoardo in un altro film, “Asfalto Rosso”. Riguardo a me... Ebbene sì, nel cast ci sarò anche io.
È l’unico cast cinematografico che ti vede presente, al momento? No, sono stata coinvolta in altri due importanti progetti cinematografici ma, anche qui, al momento posso dirvi poco. Solo una piccola anticipazione: la regia di uno dei due film sarà di Edoardo Spagnolo.
Recitare davanti alla macchina da presa è molto importante per te, sappiamo che il tuo futuro lo vedi nel mondo del cinema. Eppure, non si tratta dell’unico ambito in cui si esprime la tua vocazione di attrice. Cosa ci dici del teatro? Sebbene il cinema sia la mia priorità, porto avanti anche la mia grande passione per il teatro, recitando con la compagnia “Prove d’attore”, che spesso realizza anche spettacoli benefici in favore del gattile di Galliate.
Quello di cui sei madrina. Sono madrina ufficiale sia del gattile di Galliate – che fa capo all’Associazione
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Amici dei Gatti Onlus – sia del gattile di Madone, gestito dall’associazione Amici per i Baffi.
Ci risulta che non siano le uniche iniziative pet-friendly in cui vieni investita di un ruolo ufficiale. Di recente, ho partecipato attivamente come madrina alla Giornata per la tutela degli animali esotici, che si è svolta in contemporanea a Milano e a Roma.
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Quattro chiacchiere con la modella animalista
sicuro non nego il mio supporto.
Ti sei impegnata in prima persona anche nelle manifestazioni contro Green Hill, che hanno poi contribuito ad arrivare alla chiusura del centro, le cui responsabilità nei maltrattamenti animali sono state confermate dall’ultima sentenza. Ho fatto parte di coloro che si sono incatenati per protesta contro Green Hill. In generale, anche sul lavoro, rifiuto qualsiasi proposta che comporti il maltrattamento di animali. Mi è capitato anche di rifiutare di prestare la mia immagine a campagne pubblicitarie di livello nazionale che mostravano il banco frigo di un supermercato, nonostante a realizzarle fosse un grande regista.
Così, oltre ad occuparti quotidianamente di cani e gatti, ti sei dedicata anche agli animali da compagnia che vengono da lontano. Conigli, criceti, nutrie... Anche loro vanno protetti, chiaro. Certo, dedicando io tanto tempo alle iniziative incentrate su gatti e cani, spero che qualcun altro faccia lo stesso con altre specie. Tuttavia, se mi viene richiesto di partecipare a iniziative benefiche dedicate ad altri animali, di
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Sarebbe dunque impossibile vederti in pelliccia in passerella? Impossibile. In generale, penso che l’indifferenza di fronte alle sofferenze che stanno dietro alla produzione delle pellicce abbia a che fare con una grande ignoranza.
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Irish Wolfhound, il fascino del cacciatore
Irish Wolfhound, il fascino del cacciatore Nato per la caccia al lupo, vive oggi sempre più spesso in appartamento. La sua maestosa bellezza ha però bisogno di esprimersi negli spazi aperti. E deve essere assecondata anche nelle città. Astrid Blake
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Irish Wolfhound, il fascino del cacciatore
Una fotografia trovata da bambino sul “Piccolo Fioroni”, famoso libro illustrato dedicato ai cani. È lì che è nato il colpo di fulmine per l’Irish Wolfhound per Mariano Camplone, titolare dell’allevamento Candeire di Pescara. A seguito di questo primo incontro fortunato tra le pagine dell’enciclopedia, Mariano parte alla ricerca di un Wolfhound da adottare. La destinazione? Neppure tanto vicina. Si sposta in Lombardia, nella zona di Pavia, presso un’oasi faunistica. Lì, nella zona di Castello sant’Alessio al Vialone, trova quello che cerca. “E’ un posto molto bello, un castello vero e proprio”, racconta. “C’è un immenso parco dove la famiglia Salomon alleva questi meravigliosi cani. Sono riuscito a prendere un maschietto di questa razza. Da quel momento, per la loro indole così buona e pacifica, non siamo riusciti più a staccarcene”.
Un passato da cacciatori, ma senza rischi per i gatti di casa Come accennato, sono cani nati per la caccia al lupo. Data l’immensa mole che lo caratterizza, la sua “attività venatoria” potrebbe rivolgersi anche verso i cervi, i cinghiali e altri animali di grossa taglia. Questo ci spiega Mariano, ricordando però che, a un certo punto, in Irlanda si assistette alla scomparsa dei lupi stessi. Da qui, l’adattamento dell’Irish Wolfhound alla vita casalinga. “Anche
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in appartamento sta benissimo”, afferma il nostro intervistato. Tuttavia, avverte: “Ha comunque sempre bisogno di muoversi, di correre, di avere a disposizione ampi spazi. Questi, per fortuna, Mariano è in grado di non farglieli mancare. “Grazie a Dio, vivo proprio a due passi dalla riserva naturale della Pineta Dannunziana, un luogo che questi animali non possono che adorare”, racconta. Così, descrive corse spensierate degli Irish Wolfhound lungo la spiaggia, ma anche tragitti che in un’ora d’auto conducono in montagna, con altrettanta soddisfazione di questi levrieri. “Quando hanno occasione di stare nei boschi, si divertono
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tantissimo, quello della caccia rimane comunque il loro mondo”, sostiene il titolare di Candeire. Eppure, ci tiene a precisarlo: la propensione di questi cani per la caccia non sta a significare impossibilità di convivere con i gatti. “Si adattano a tutti coloro che fanno parte della vita familiare, anche ai neonati, ne ho avuto riprova”, assicura.
Il carattere dell’Irish Wolfhound “Come carattere, sono assolutamente affidabili, sono cani che consiglio a chiunque”, afferma Mariano. Il nostro intervistato ha avuto modo di osservare centinaia di volte
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il comportamento di questi cani. “Noi andiamo spesso in spiaggia con i nostri Wolfhound, incontriamo tante altre persone che portano i loro cani, trovandoci a volte di fronte a cani di taglia piccola che, per paura, aggrediscono. Ebbene, il Wolfhound non solo non è aggressivo in partenza, ma neppure di riflesso”, racconta il nostro allevatore. E aggiunge: “Una femmina di questa razza non farebbe mai del male. Un maschio, se aggredito, si farebbe valere, ma non si tratta del tipo di cane caratterizzato dalla tendenza a mordere”. Nel complesso, rimane una certezza: la giocosità e l’amore per gli spazi aperti, tipiche del cane da cac-
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cia, creano con la bontà e la dolcezza di cui questo cane è capace una combinazione unica nel suo genere.
Salute e benessere Esiste una patologia genetica a cui i proprietari di Irish Wolfhound devono necessariamente fare attenzione. “Si tratta dello Shunt Portosistemico (PSS), malformazione vascolare a causa della quale il cane può andare incontro a seri fenomeni di intossicazione”, spiega Mariano. In condizioni normali, il sangue refluo proveniente dall’apparato digerente viene condotto attraverso la vena porta verso il fegato, dove le tossine vengono metabolizzate. Dopo questa operazione, il percorso del sangue prosegue lungo la vena cava. Lo Shunt Portosistemico comporta il passaggio del sangue direttamente dalla vena porta alla vena cava, senza la purificazione che avviene nel fegato. Facile immaginare la gravità delle conseguenze, che coinvolgeranno, oltre agli apparati urinario e gastroenterico, anche il sistema nervoso centrale. “Esiste un test serio che può rilevare la presenza della malattia, gli allevatori responsabili lo fanno entro i primi due mesi”, spiega il titolare dell’allevamento Candeire. “Se lo Shunt è extraepatico, ossia se la vena interessata passa all’esterno del fegato, il chirurgo può intervenire”, continua. “Se invece il PSS è
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intraepatico, intervenire diventa difficilissimo. In questi casi, non appena scoperto il problema, è consigliabile a mio parere l’eutanasia: è una patologia che porta troppa sofferenza per tutta la durata della vita”. Le altre due patologie a cui è necessario fare attenzione, sono l’osteosarcoma ed eventuali problemi di cuore dovuti alla mole. Anche qui, l’opportuno esame cardiologico in clinica veterinaria permette di individuare i soggetti colpiti dal problema.
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Per saperne di piĂš.. Origine: Altezza: Peso: Muso: Testa: Orecchie: Collo: Occhi: Coda: Pelo: Colore: Carattere:
Irlanda maschi 81-86 cm, femmine 71 cm maschi minimo 55 kg, femmine minimo 40,5 kg lungo e moderatamente appuntito lunga e orizzontale piccole, a rosa piuttosto lungo, forte e muscoloso scuri lunga e leggermente ricurva - di spessore medio è ben fornita di pelo ruvido e duro su tutto il corpo grigio, tigrato, rosso, nero, bianco puro, fulvo (color daino) agnello in casa, leone a caccia
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La savana è servita.
La savana è servita. Il privilegio di un gatto Bengal in giro per casa Chi lo alleva, se ne è innamorato perché assomiglia ad un leopardo in miniatura. Conversando con due conoscitori della razza scopriamo, tuttavia, che il Bengal aggiunge alle caratteristiche del grande felino una dolcezza fuori dal comune. Astrid Blake
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Foto di Silvia Pampallona
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“coccoloni e patatoni”. Sfatato, dunque, il mito secondo il quale si tratterebbe di una razza aggressiva. Andiamo dunque a scoprirli, assieme ai nostri due esperti.
Bengal, amore a prima vista
Un leopardo, ma non certo “da salotto”. Non è fatto per sembrare un soprammobile, il Bengal. Ce lo assicura Barbara Fogato, dell’allevamento Gryfo Bengals. È, al contrario, un gatto che ama alla follia il gioco. Se anche il proprietario dovesse scordarsi per qualche secondo di questo piccolo particolare, lui provvederà subito a dargli un “promemoria”. “È capace di portare la sua pallina o il suo topino finto ai tuoi piedi, per esortarti a giocare”, racconta Barbara. Altri segni particolari? La dolcezza. Daniele, dell’allevamento Bengalitaly, li definisce
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Sia Barbara che Daniele allevano Bengal da diversi anni. Ad accomunarli, nei rispettivi allevamenti, un particolare. Entrambi, infatti, hanno iniziato l’avventura assieme al proprio partner: Daniele ha dato il via a questo affascinante percorso con sua moglie Natalia, mentre Barbara lo ha fatto assieme al suo fidanzato, Jonathan. Per la titolare di Gryfo Bengals, l’amore per i felini comincia nella più tenera età. I suoi genitori la portano spesso con loro quando si recano alle mostre. Nel 2012, accade però qualcosa di nuovo. Barbara “trascina” il suo fidanzato ad un’esposizione e, per la prima volta, entrambi fanno conoscenza dal vivo questa razza. Se all’inizio Jonathan non sembrava tanto preso dall’idea di creare un allevamento, in quel momento cambia tutto. Di più: è lui a esortare Barbara all’acquisto del primo esemplare. Daniele ci racconta invece che, in un primo momento, lui e la sua compagna, avevano in casa solamente una gattina europea, un tempo “di strada”. Quando viene loro in mente di affiancare alla piccola un gatto di razza, inizia da parte loro uno studio più
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attento. Vedono tanti gatti, ma quando finalmente incontrano il Bengal, non hanno dubbi: è il loro gatto.
Caratteristiche fisiche e fascino da grande felino Quando chiediamo a Daniele quali aspetti del “look” di questo gatto lo abbiano affascinato di più, lui non ha dubbi: la maculatura. È quest’ultima a contraddistinguerlo maggiormente rispetto ad altre razze, ancor più della morfologia. Oltre alle ca-
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ratteristiche prettamente fisiche, ve ne è un’altra più “impalpabile”, ma riscontrabile a prima vista: il portamento. “Sono sempre stata affascinata dai grandi felini”, racconta la titolare di Gryfo Bengals. E prosegue: “Li ho sempre ritenuti animali molto eleganti, dunque vedere questo leopardo in miniatura è stato fatale, anche perché il Bengal, con tanti suoi movimenti - per esempio con la tendenza a tenere la coda all’ingiù come i grandi felini - ti fa sentire in tutto e per tutto come se fossi non a casa tua, ma in un angolo di savana”.
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Il carattere del gatto Bengal “Sono gatti che “parlano”, vogliono instaurare un rapporto col proprietario”, spiega Daniele. E ci racconta di essere rimasto colpito, in particolare, dalla loro intelligenza. E, per darci l’idea di cosa intenda, ci descrive la reazione delle femmine Bengal di fronte all’introduzione in casa di un nuovo micio. “Rimangono quasi in religiosa accettazione. Si mettono in un angolo, aspettano che l’altra gatta o l’altro gatto li facciano avvicinare”, racconta. Gatti che rispettano spazi PIANETA QUATTRO ZAMPE
e tempi dell’altro, insomma. E con gli esseri umani? Dolcissimi e, secondo il titolare di Bengalitaly, molto attenti all’orologio. “Io mi sveglio alle 6.30 e alle 6.29 trovo accanto a me il mio gattino che mi dà i bacini sulla faccia perché devo alzarmi”, afferma. Dove abbiano dormito durante la notte, neanche lo si deve chiedere: accanto ai loro umani, senza dubbio. Sulla spiccata intelligenza del Bengal concorda anche Barbara, che anzi mette sul tavolo una propria originale definizione per questo felino: il “gatto da lavoro”. Secondo la nostra intervistata, mu-
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tuare questa definizione dal mondo cinofilo ha un senso. “Se questa razza viene cresciuta nel modo giusto, può darti tutto quello di cui una famiglia ha bisogno. A livello affettivo, dunque, non vi mancherà nulla. “È quasi morboso con la sua famiglia”, spiega la nostra intervistata. E aggiunge: “Non ha conservato nulla di selvatico, per quanto riguarda il carattere”. Su questo, interviene anche Daniele, che ricorda l’unico aspetto per cui forse potremmo rilevare vicinanza tra i gatti Bengal e le abitudini dei grandi felini: il rapporto con l’acqua. Non che tutti abbiano l’abitudine di entrare in vasca per fare il bagno, ma, se lasciate a loro disposizione un piccolo contenitore con dell’acqua, non dovrete sorprendervi nel ritrovarli a giocare infilandovi dentro le zampe: sono antiche reminiscenze che si fanno sentire. A proposito di attività ludiche, Barbara sottolinea quanto queste siano importanti per questo micio. “È un gatto che solitamente richiede molta attenzione, vuole il gioco e la compagnia del suo padrone”, spiega. E, nel dirci questo, ne approfitta per sfatare un altro mito. “A differenza di quanto si senta spesso dire in giro, il Bengal si affeziona a tutta la famiglia. Per questa razza, la “casa” è ovunque, purché ci sia la sua famiglia. Non si preoccupa affatto di essere portato via nei viaggi, per lui “casa” è dove sei tu. È molto importante, quando si rientra dal lavoro, alla sera, dedicargli un momento di
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coccole e di gioco”. Come ci fa notare anche Daniele, il gatto Bengal vi farà capire molto bene di essere contento del vostro rientro.
Benessere e salute Il pelo corto del Bengal fa sì che non necessitino di troppe cure. Una spazzolata ogni tanto, non vi chiederanno di più. Barbara, tutt’al più, ci rivela un piccolo segreto. “Si può utilizzare ogni tanto sul mantello un panno in microfibra oppure in pelle di daino”, spiega. Il pelo del Bengal evidenzierà ancora di più la sua caratteristica setosità. Segreti di bellezza a parte, chiediamo ai nostri due intervistati come sia messa questa razza quanto a salute. Non male, secondo le risposte di entrambi: sono gatti che non si ammalano spesso. Unico neo, la possibilità di risultare positivi all’HCM, la cardiomiopatia ipertrofica felina. La malattia, di origine genetica, consiste in una malformazione del cuore, più precisamente un ingrossamento del ventricolo sinistro. Per compensare, l’atrio corrispondente deve dilatarsi, portando ad un ristagno di sangue che può essere causa della formazione di trombi. “In realtà”, spiega Barbara, “la razza di cui stiamo parlando non vede un’incidenza alta della malattia. La presenza di quest’ultima nei geni dei gatti è dovuta a passati incroci con alcuni altri gatti, in particolare col Maine Coon, che può esse-
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re soggetto alla patologia in questione. Si tratta delle pratiche di “outcrossing”, operate da alcuni allevatori nella fase iniziale dello sviluppo di una razza, al fine di fissare alcune caratteristiche e formare via via lo standard. Assieme alle conseguenze positive, sono arrivate, a livello genetico, anche alcune “magagne”, come per l’appunto, l’HCM”. Prendere precauzioni, però, è possibile. “Se stiamo parlando di riproduttori”, spiega Daniele, “è necessario effettuare una volta all’anno l’ecocardiografia. Mentre per il Maine Coon è disponibile un test genetico, per il Bengal questa possibilità non esiste”. È necessaria, insomma, un’ecografia fatta in clinica veterinaria in cui si misurino atri, ventricoli e frequenza cardiaca per stabilire se il gatto è sano. “Quando un cliente è interessato all’acquisto di un cucciolo, sia da compagnia, sia da riproduzione, si informi dall’allevatore se mamma e papà del cucciolo abbiano fatto questo esame”, suggerisce Barbara. E conclude: “Gli allevatori di Bengal, quelli seri, cercano in qualche modo di prendere esemplari che vengano da linee pulite. Noi allevatori abbiamo creato tutti insieme – a livello mondiale – una lista nera di gatti che sono risultati dubbi oppure positivi a questo esame, in modo da controllarne le discendenze e, magari, non utilizzare direttamente riproduttori che provengono da quelle linee”.
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Le voci sul Bengal “gatto dominante” I nostri due intervistati, in base alla loro esperienza, si sentono entrambi di smentire le voci secondo cui, per via dell’indole “dominante” che caratterizzerebbe il Bengal, bisognerebbe fare molta attenzione nel momento cui si volesse affiancare quest’ultimo ad altre razze “più miti”. “Ricordate la gattina randagia di cui vi ho parlato, quella che io e mia moglie abbiamo adottato?
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Per saperne di più.. Origine : Peso : Corporatura : Coda : Testa : Naso : Orecchie : Occhi : Mantello : Carattere : Carattere : Curiosità :
Stati Uniti maschi fino 8-9 kg, femmine fumo 6 kg grande, lungo e muscoloso media, piuttosto tozza con punta nera arrotondata allungata e piccola grosso piccole,leggermente protese in avanti, ben distanziate con poca peluria grandi a mandorla pelo corto, folto, morbido. Il mantello può essere a macchie o striato curiosi e attivi, necessitano di spazio per il gioco è per stare appartati indipendente,soffrono però di solitudine caso abbastanza raro tra i gatti, amano l’acqua
I Bengal sono arrivati dopo di lei e non è sorto alcun problema”, spiega Daniele. E prosegue: “Almeno in base a ciò che ho visto finora, non accade che si attacchino, non vanno a fare la lotta per spodestare l’altro”. In sintonia con Daniele è Barbara, che ci racconta delle valanghe di foto ricevute da chi adottato i suoi Bengal e di come queste ultime “certifichino” assai spesso la nascita di immediati rapporti di amicizia tra questi gatti e gli altri già presenti nella
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casa in cui vanno ad abitare. “Certo, il primo giorno può capitare che ci sia qualche “soffio” o qualche zampata”, spiega. “Tuttavia, in genere, già dopo due giorni dormono e giocano insieme. È un gatto che si adatta benissimo ad altri animali, cani compresi”.
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L’insospettabile complessità dei gorilla
L’insospettabile complessità dei gorilla La ricercatrice italiana Veronica Vecellio ha scelto di seguire le orme della grande studiosa Dian Fossey, celebre per l’enorme contributo dato alla salvezza di questa specie. Ormai di stanza in Rwanda, ci racconta il legame tra povertà delle comunità umane e rischio di estinzione dei gorilla. E, ascoltandola, scopriamo che questi primati somigliano all’uomo assai più di quanto avremmo immaginato Sara Chessa
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Uno li vede così, grandi e forti, intoccabili. Difficile immaginare che abbiano bisogno di protezione. Ancora più difficile immaginarli “complicati”, quanto a relazioni interpersonali e struttura sociale. È, invece, proprio così. “Visti da vicino i gorilla sono emozionanti”, spiega la nostra intervistata. “Quello che impressiona di più”, continua, “è la loro indole, la loro somiglianza con l’essere umano”. La fonte è decisamente affidabile: Veronica Vecellio è una donna che di sicuro non ha studiato soltanto sui libri. I gorilla li osserva da vicino da anni, a casa loro, in Rwanda, nel cuore della foresta tropicale. E, davvero, non devono essere in tanti, al mondo, coloro che, come lei, hanno 42
una conoscenza minuziosa dell’individualità e dei rapporti sociali di ben centoventitré gorilla, appartenenti a tre differenti generazioni. Una laurea con lode in Biologia alla Sapienza di Roma e un “desiderio di Africa” che si manifesta fin dall’infanzia. Questa era Veronica qualche anno fa, prima di raggiungere il Karisoke™ Research Center del Dian Fossey Gorilla International Fund.
La breve e intensa vita di Dian Fossey, emblema dell’amicizia possibile tra umani e gorilla Operando tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo, il Dian Fossey InterPIANETA QUATTRO ZAMPE
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national Gorilla Fund si prefigge, per l’appunto, di dare un seguito attivo al lavoro la ricercatrice californiana Dian Fossey, che nel 1967 diede vita al Karisoke™ Research Center sui monti Virunga, al confine tra i due stati africani. Obiettivo? Proteggere e studiare i gorilla di montagna, esposti a un grave rischio di estinzione. In quegli anni, National Geographic e altre illustri testate pubblicano foto e reportage sulle scoperte di Dian Fossey. Che, con migliaia di ore di dedicate all’osservazione intensiva dei gorilla, ne conquista la fiducia e riesce, da vicino, a studiarne l’ecologia e l’organizzazione sociale. Per far acquisire maggiore credibilità alle sue scoperte in seno alla coPIANETA QUATTRO ZAMPE
munità scientifica, la Fossey si iscrive al Dipartimento di Comportamento Animale del Darwin College di Cambridge. Conseguirà il dottorato ne l 1974. Da quel momento, le montagne Virunga tornano ad essere la sua residenza fissa. È il 1977 quando uno dei suoi primati preferiti viene ucciso dai bracconieri. Si tratta del gorilla Digit, che darà il nome ad un fondo di protezione da quel momento avviato in maniera ufficiale dalla ricercatrice statunitense. È l’organismo che raccoglierà le risorse necessarie per i progetti di conservazione e che, dopo la sua morte, verrà a lei intitolato. Una scomparsa prematura che commuove non soltanto i colleghi, ma l’intera opinione pubblica. Si 43
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tratta infatti di un omicidio: Dian Fossey viene assassinata il 26 dicembre 1985, nella sua baita presso il Karisoke™ Research Center. Oggi, il Dian Fossey International Gorilla Fund unisce due obiettivi essenziali: la protezione del gorilla nel suo habitat naturale e l’aiuto alle popolazioni locali che con esso condividono l’ecosistema. E, come ci spiegherà Veronica Vecellio, le due cose vanno di pari passo.
Lavorare in Africa. Un sogno diventato realtà Quando Veronica Vecellio si avvicina per
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la prima volta all’Africa da ricercatrice, ha appena ventiquattro anni e sta preparando la sua tesi di laurea. Per condurre le sue ricerche, la nostra intervistata si reca nella Repubblica Centrafricana. Qui, trascorre oltre un anno, studiando l’alimentazione dei gorilla di pianura della zona occidentale. Dopo il conseguimento a pieni voti del titolo universitario, viene assunta nell’ambito di un progetto legato all’ecologia dell’alimentazione tra i bonobo, nella Repubblica Democratica del Congo. Location precisa? Il Parco Nazionale Salonga, dove raccoglie dati utili alle ricerche dell’Istituto Max Planck, con sede in Germania. Il suo vero
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sogno, però, è quello di seguire le orme della dottoressa Dian Fossey e studiare i gorilla. Così, contatta Katie Fawcett, ex direttore del Karisoke Research Center, con l’obiettivo di candidarsi per una posizione di assistente di ricerca. La carriera della studiosa italiana va avanti a passi da gigante. Nel 2007, Veronica Vecellio diventa infatti coordinatrice del Programma Gorilla del Karisoke™ Research Center.
Protezione dei gorilla e povertà delle comunità locali Il parco dei Vulcani Virunga non è molto grande. Attorno agli appena 450 chilometri quadrati entro cui si estende, vi
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sono villaggi e coltivazioni umane. E non stiamo parlando di poche case sparse: bisogna infatti considerare che il Rwanda è uno dei paesi più densamente popolati in Africa. Cosa vuol dire? Nello specifico significa che, secondo le stime, tutt’intorno ai confini del parco, ci sono almeno settecento abitanti per chilometro quadrato. “Per necessità e per tradizione, c’è una consistente diffusione dell’uso illegale di risorse naturali, dal bracconaggio all’uso di legname”, racconta Veronica Vecellio. “Queste attività”, prosegue, “rappresentano i maggior rischio per i gorilla di montagna e la situazione non potrà cambiare finché non verranno attuate alternative economiche che permettano di alleviare la povertà del Rwanda”. Certo, la nostra ricercatrice è la prima a riconoscere che per questo sia necessario del tempo. “Il governo rwandese fa moltissimo in questo senso, ma la gente è tanta e così pure la povertà. È quindi importante coinvolgere la gente che vive in questi villaggi con programmi di educazione e sensibilizzazione”, spiega. Anche il Dian Fossey Gorilla International Fund fa la sua parte. “Noi – come il governo rwandese, l’ente parco e altre organizzazioni non governative – lavoriamo moltissimo sullo sviluppo delle comunità locali, fornendo aiuti sanitari, accesso ad acqua pulita, educazione ambientale nelle scuole e posti di lavoro.
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Verso una convivenza pacifica tra umani e gorilla Che i gorilla non siano pericolosi, non si può dire. Come la stessa Veronica ci spiega, hanno un fortissimo istinto alla difesa e, se si dovessero sentire minacciati, potrebbero attaccare. La speranza di chi porta avanti la ricerca scientifica e i programmi di aiuto è, tuttavia, che la conoscenza di questa specie ed il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni porti ad un equilibrio in cui né gli umani né i gorilla delle montagne abbiano occasione di rappresentare una minaccia gli uni per gli altri. Del resto, le popolazioni locali sono ben consapevoli dell’importanza delle azioni portate avanti dal Dian Fossey International Gorilla Fund. “Il coinvolgimento e’ provato dall’altissima domanda di lavoro che riceviamo”, spiega la nostra intervistata. E conclude: “In particolare, vediamo molto entusiasmo nei ragazzi delle scuole, ma anche nelle autorità locali. La gente sa che il Parco e i Gorilla sono una grande risorsa e apprezzano il fatto che organizzazioni come la nostra aiutino le persone proprio ad aiutare i gorilla. Ogni nostra attività o programma di sensibilizzazione ha moltissimo pubblico e liste infinite di domande di partecipazione. E questo è un ottimo segno!”
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Altro che animali!
Altro che animali! Dagli elefanti di Annibale ai cani eroi dell’11 settembre, storie di un’insostituibile amicizia, di Roberto Allegri e Diego Manca Astrid Blake
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Ripercorrere la storia dell’uomo, dal più lontano passato ai ritmi del presente, alla ricerca di ciò che abbiamo dimenticato sugli animali come compagni di vita, come dono che allieva la solitudine, come fonte di bellezza per il pianeta. È ciò che fa il veterinario scrittore Diego Manca assieme al giornalista di “Chi” Roberto Allegri, iniziando il viaggio con il ricordo di un antico contratto - tanto affascinante quanto tristemente dimenticato - tra l’uomo e gli animali stessi. Un “accordo” prezioso, che sottende l’appartenenza ad uno stesso mondo. Per
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quanto obliato a causa della distanza della vita umana attuale dall’armonia della natura, esiste ancora, nella nostra memoria, una nebulosa immagine del “patto” di cui i due scrittori raccontano. È questa riminiscenza che ci rende capaci di stringere, con i beniamini a quattro zampe delle nostre case, amicizie di incredibile profondità. Come quelle qui raccontate, in un alternarsi equilibrato e coinvolgente di narrativa e riflessione, illuminando entrambe con toccanti intersezioni di testimonianze provenienti da nomi celebri: Luciano Pavarotti regala uno scritto che ritrae la sua esprienza con i cavalli, Katia Ricciarelli evoca la gioia della sensazione di completa fiducia verso la propria cagnolina. E così altri scrittiche si susseguono, lasciando la sensazione di poter scorrere pagine di diario che completano con delicatezza le osservazioni, gli studi e i racconti proposti dagli autori del libro. Dulcis in fundo, un viaggio illuminante nelle tradizioni spirituali mondiali e dai loro modi di descrivere le creature a quattro zampe, ben lontani dalle accezioni negative che purtroppo i nostri vocabolari sono obbligati a riportare per il termine stesso “animale”, data la diffusa abitudine linguistica di utilizzarlo per indicare aspetti poco gradevoli della realtà. Il riferimento è, in particolare, a quelle accezioni dell’aggettivo per le quali si presume che il contrario di “animale” sia “spirituale”. Una “presunzione”
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che la penna di Allegri e Manca si sente di smontare, portando davanti agli occhi del lettore la sconfinata carrellata di testimonianze che i testi sacri offrono riguardo alla provenienza dell’uomo e dell’animale “dallo stesso Soffio”. Al giorno d’oggi, di fronte al dibattito caldo sui diritti degli animali e davanti allo sfruttamento che l’uomo porta avanti dimenticando il “contratto” originario di condivisione del pianeta, ci sembra interessante osservare come le figure caratterizzate da spiritualità più intensa – dal Buddha a san Francesco di Assisi – siano state anche quelle che più hanno mostrato sensibilità verso la sofferenza animale. Segno che, forse, l’indicazione nei dizionari del termine “spirituale” come esatto contrario della parola “animale” potrebbe davvero essere suscettibile di discussione.
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BALZOO: Il Primo Banco Italiano di Alimenti per cani e gatti. Un progetto innovativo per aiutare uomini e animali 600 mila sono i cani vaganti/ abbandonati, oltre 2 milioni i gatti di strada e migliaia le persone in difficoltà economica che non riescono a sostenere le spese per alimentare il proprio cane o gatto. 50
In Italia il 55% delle famiglie ha un animale domestico, cane o gatto, di queste quasi il 20% è sulla soglia della povertà ed il numero cresce ogni giorno. Parliamo quindi di migliaia di famiglie, pensionati e nuovi disoccupati che, a causa della crisi economica, faticano ad arrivare a fine mese. Queste persone sempre più si rivolgono alle associazioni caritatevoli per avere aiuti e sostegno ma il problema rimane per i loro compagni a quattro zampe, che non vogliono abbandonare. PIANETA QUATTRO ZAMPE
BALZOO
I numeri di Balzoo
Un aiuto concreto ed emergenziale Prima non esisteva ma oggi, oramai da 4 anni, esiste “BALZOO” il Banco Italiano Zoologico Onlus - un’Associazione no-profit fondata da Luigi Griffini che risponde e risolve proprio queste situazioni emergenziali. “Prima di Balzoo, una persona in difficoltà aveva solo due alternative, rinunciare ad un pasto o abbandonare il proprio cane/gatto” - spiega Luigi Griffini che continua “sopratutto per i pensionati l’amico a 4 zampe è spesso l’unico affetto rimasto nella loro vita, rappresenta un vero e proprio punto di riferimento affettivo e sono membri della famiglia a tutti gli effetti. Chi ha una cane o gatto capisce molto bene quello che dico e sanno quanto affetto possono dare incondizionatamente”. PIANETA QUATTRO ZAMPE
La situazione ha carattere emergenziale. Il numero di coloro che si rivolgono a noi è in costante crescita, persone che fino a pochi mesi fa avevano un lavoro, un’attività o un negozio oggi si trovano senza una certezza per il futuro. Ci sono poi le “gattare”, persone spesso anziane di grande cuore e tanta buona volontà, che accudiscono i gatti di strada (le colonie feline) che oggi non riescono più, con la loro piccola pensione, a sostenere le spese. Parliamo di una realtà, spesso dimenticata, che fa un grande lavoro quotidiano sia per sfamare questi animali ma anche per provvedere alle sterilizzazioni evitando così il moltiplicarsi dei gatti nelle città. Balzoo ha oltre 30 sedi sul territorio e durante il 2015, con i suoi volontari, ha distribuito 1,5 Milioni di pasti sfamando oltre 30.000 fra cani e gatti aiutando anche 700 famiglie in difficoltà. E’ vera emergenza.
Tu cosa puoi fare? Il Banco Italiano Zoologico Onlus - Balzoo ha aperto sedi in molte città ma c’è tanto da fare. TU puoi fare molto per questo progetto autofinanziato. Le donazioni da privati sono fondamentali per continuare e portare aiuto concreto dove ancora non siamo presenti. Per ulteriori informazioni visitare il sito web: www.balzoo.it oppure facebook /balzoo. 51
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