Amatevi gli uni e gli altri

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sperienze di ita

EV "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri." (Gv.15,17)

Periodico della ComunitĂ

Piccolo Gruppo di Cristo n. 151 - anno XXXII Aprile 2011


In questo numero...

Giosuè

I re o s i n t e r v i e n e s u l t e m a "Comunione e condivisione dei beni". E s p e r i e n z e d i Vi t a e s c e segnato da avvenimenti storici e attuali che ci richiamano ai giorni della passione e morte di Gesù, da v i v e re c o m u n q u e e s e m p re con speranza e fede nella re s u r re z i o n e e g r a n d e solidarietà verso i fratelli in difficoltà.

Sommario

Dalla Redazione tanti auguri di una buona e santa Pasqua.

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La comunione in Comunità

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Il mio nome è Shahbaz...

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Le radici ritrovate

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Decalogo di C.M.Martini

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Filosofia del popolo Masai

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Conversione

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Il Fondo Famiglia e Lavoro

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Lettera a un don...

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Un meraviglioso scambio

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Orientamenti CEI sull’Educare

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La bellezza del mistero

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Un periodico speciale

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Una vacanza alternativa

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È accaduto...


Il Fondatore

LA COMUNIONE IN COMUNITÀ (DESIO, 27 FEBBRAIO 2011) Nella vita ci sono situazioni e passaggi non sempre facili: nelle difficoltà a volte i giovani mancano di esperienza e gli anziani mancano di forza. Perciò se non vai con il Signore, se non ti affidi a lui, se non ti fai correggere e guidare da lui, non riesci a vivere la comunione, né intesa come fraternità, né intesa come condivisione dei beni. I nostri sforzi risultano insufficienti e non risolvono i problemi. Quindi ci vuole pazienza, tenendo conto dei nostri limiti, ma riusciremo a comprendere e vivere un amore di misericordia solo vivendo nel Signore. La comunione come misericordia e fraternità Anche a costo di essere trattato come uno troppo ingenuo o che fa preferenze, cerco di capire il carattere della persona che ho di fronte, la sua storia, l'educazione che ha avuto. Devo tenerne conto: non posso giudicarla solo per quello che sta facendo ora, ma devo andargli incontro per cercare di capire se già sta facendo molto o se invece non sta facendo niente. Occorre considerare la persona nel suo insieme e nell'insieme delle virtù: bisogna avere la prudenza e la sapienza nel giudizio, che sarà una valutazione, se necessario critica, del comportamento della persona, ma non un giudizio sul suo cuore, che spetta solo a Dio. Voi dite che alcune persone sono antipatiche, ma io ringrazio il Cielo e dico, e penso di non dire una bugia, che di antipatici non ne ho. Perché, se mi faccio guidare da Gesù, come posso dire che uno mi è antipatico sapendo che Gesù lo

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ama? O io faccio quello che fa Gesù, e quindi lo amo, altrimenti che consacrato sono? Ci vuole pazienza se voglio vivere veramente la vita consacrata. Dal guardare tutto con amore come lo guarda il Signore nasce anche una saggezza, una comunione, per cui non mi arrabbio dentro, e non giudico per giudicare, ma cerco di capire le difficoltà e le situazioni difficili che sta passando questa o quella persona. Se noi tutti in comunità potessimo guardarci con questo amore…! Dico "potessimo", perché vedo invece come stanno le cose: alcuni fanno molta fatica, altri pensano di essere arrivati anche se non lo sono, altri si accontentano di fare ciò che pensano loro anziché imitare le virtù del Signore. Noi dobbiamo vivere come ha vissuto Gesù in tutta la sua vita. Vi assicuro che andando dentro il Vangelo, vivendolo, si diventa sereni. Perché, se anche qualcuno parla male di me, anche indirettamente, o me ne dice un sacco, cosa me ne importa? A me interessa il giudizio di Dio, non quello degli uomini! Semmai mi dispiace per lui, non per me. Quando qualcuno sbaglia, io prego per lui, perché abbia la forza di chiedere perdono al Signore e il Signore lo perdoni. Ci verrebbe da puntare i piedi, e invece no, perché nella vita sempre avremo difficoltà e ostacoli. Ciò che conta è amare il prossimo e aiutarlo a diventare santo. Dobbiamo chiederci: "Ma io come lo amo? Io lo amo come lo ama Dio?". Perché io sono chiamato ad amare come ama Dio! Meditare sulla comunione in Comunità


significa fare un esame di coscienza sul reciproco servizio comunitario. L'articolo 28 della Costituzione ci invita a "essere un cuor solo e un'anima sola ed entrare tutti in Gesù, porta di salvezza e di gloria". Voglio e mi impegno perché questo avvenga? Sono felice perché questo avvenga in me? Pagando io di persona, certo. Perché se noi vogliamo darci da fare nell'evangelizzazione, lo facciamo guardando il Signore e lasciando che sia lui a metterci in condizione di farlo. Perché anche quello che facciamo noi, se l'altro non lo capisce (mi riferisco a chi non crede), a cosa serve la nostra testimonianza? È necessario quindi che il Signore aiuti me a essergli fedele e sia lui a illuminare l'altra persona perché capisca cosa vuol dire essere cristiani. Guardiamo il mondo d'oggi: i cristiani dove sono? Prevalgono gli interessi, le furbizie, le sporcizie… E sono cristiani. Non è che il cristiano sia migliore del musulmano, del pagano, dell'ateo. Riportiamo questo discorso dentro il Gruppo: impegniamoci a vivere nel Signore e a esprimere amore per tutti, sempre, anche quando ci fanno del male. "Deo gratias" quando mi fanno del male, perché così posso offrire qualcosa al Signore. Dobbiamo muoverci su questa linea, altrimenti il Cristianesimo nella Chiesa dove sta? La comunione come condivisione dei beni nella sobrietà austera Parlando poi di comunione come condivisione dei beni, e quindi come sobrietà austera, guardiamo pure le spese che vengono fatte nella Chiesa, ma prima riconosciamo che facciamo anche noi delle spese sciocche e poco evangeliche. Ci sono chiese per le quali si continua a spendere troppo in tutti i sensi, magari

per abbellirle senza pensare a quelle dei poveri missionari che non hanno neppure da mangiare! Questa è Chiesa? "Padre nostro, a me la bistecca, all'altro la buccia delle patate…". Come posso chiamarlo Padre nostro? Dobbiamo accontentarci e poi amare, amare sempre! Ciò di cui io parlo non è l'amore di sentimento, ma l'amore che magari vive in mezzo alle lacrime, in mezzo alla miseria. E quindi la Comunità deve fare tanti passi su questo, io me ne accorgo, lo sento. Lasciamo stare gli altri Istituti di vita consacrata, io prego per tutti, prego anche per loro, ma pensiamo a noi. Se non diventiamo simili a Gesù, se non ci sacrifichiamo per diventare così, non offriamo alla Chiesa quella santità di cui è chiamata a essere madre. La nostra preghiera deve essere sempre su questa linea. Il Gruppo ci aiuta, ma ognuno è responsabile della sua personale santità, della sua profetica missione. Se sono poco santo è causa mia, non è colpa degli altri. E se do giudizi negativi sugli altri la colpa è mia; così pure se non aiuto, per quanto mi compete, i componenti del Piccolo Gruppo a migliorare nelle virtù cristiane, il Gruppo ne risente. Questo va fatto però senza violenza, senza arroganza, ma con quell'espressione d'amore che è tra me e Dio. Ognuno deve fare il suo esame di coscienza. Il responsabile a cui chiediamo i consigli o i permessi per le nostre spese a volte si trova costretto a dirci dei sì che dovrebbero essere dei no, perché se anche ci dice un no, capisce di non essere capito e accettato. Capita anche questo. È la nostra coscienza che deve guidarci! Dobbiamo accontentarci del necessario, per quanto riguarda il vitto, le spese, le gite e tutto il resto. Guardando al positivo, è importante andare a trovare

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Il Fondatore gli ammalati, sostenere chi ha bisogno, aiutare i bambini… Ognuno è responsabile di se stesso e deve rendere conto a Dio degli errori che fa. Lui è pieno di misericordia, ma se mi ha chiamato a essere consacrato, e Gesù per primo si è consacrato a me perché io mi consacri a lui, è bene, è piacevole, è gioioso, è felicità poterlo accontentare, rispondendo a lui con un colloquio come tra Padre e figlio e tra fratelli. Perché Gesù è nostro fratello, nostro fra-

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tello vero che su questa terra ci prepara a entrare in cielo con le virtù evangeliche. Grazie, Signore, per il dono della vocazione alla santità! Intervento di Ireos dopo la riflessione di Vilma C. e Francesco C. per la Comunità di San Pio V


Il mio nome è Shahbaz Bhatti

Nel celebrare la Pasqua del Signore e il suo Sacrificio per la nostra salvezza, richiamiamo alla memoria i tanti olocausti che f anno parte della nostra storia: a cominciare da quello del popolo ebraico a quelli noti e meno noti che avvengono di questi tempi e di cui sono vittime tanti cristiani nel mondo che testimoniano la fede col martirio. Ecco allora qui di seguito il testamento spirituale lasciato dal ministro pakistano Shahbaz Bhatti, ucciso il 3 marzo scorso. Ascoltiamo poi, nel racconto di Gabriella, l'esperienza di vita e di fede di suo nonno Giuseppe Fiano, ebreo convertito al cristianesimo, arrestato nel'43 a Milano e morto nel campo di concentramento di Auschwitz.

"Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l'amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al Esperienze di vita

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Testimoni servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico. Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i biso-

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Esperienze di vita

gnosi, i poveri. Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d'amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna".

La redazione


Le radici ritrovate Questa è una semplice, ma, per me, significativa esperienza di come il Signore mi ha donato di partecipare, anche fisicamente, ad una manifestazione per non dimenticare le vittime dell'olocausto tra le quali vi è stato anche mio nonno. Mi trovo a Vaiano Cremasco, a pochi chilometri da Milano, dove nel 1937 Gilberto Fiano, aiutato economicamente dal fratello Giuseppe, ha avviato uno stabilimento di legnami segati, compensati e tranciati, attività proseguita poi da mio padre: la "SACET" È una giornata uggiosa, piuttosto fredda e con Bruna, che è venuta a trascorrere qualche giorno da me e mio fratello con la sua famiglia, mi avvio verso il Comune, dove avrà inizio la marcia della memoria: "Marcia dei Lumini" a ricordo di tutte le vittime dei campi di concentramento e di un esponente della famiglia Fiano, ucciso ad Auschwitz, mio nonno Giuseppe, genitore di nostro padre Arturo. Salutiamo l'organizzatore della manifestazione, il Sindaco, i componenti della giunta comunale e gli ex operai di nostro padre che, ricordandoci quando eravamo bambini, ci salutano affettuosamente; intanto vengono accesi i lumini che sono stati distribuiti a tutti. Si fa silenzio e ci muoviamo uscendo dal cortile del Comune verso la scalinata che porta al sagrato della Parrocchia che fa da palcoscenico a due attori accompagnati dal suono di una fisarmonica; gli alunni della scuola media, coinvolti nella preparazione, portano sulla scalinata una grande bandiera della Pace. Nel silenzio che ci avvolge, improvvisamente si alza,

lacerante, il suono tipico della sirena, che scandiva la "vita" dei campi di concentramento con i tre appelli giornalieri. Il suo sibilo fa salire un brivido lungo la schiena, perché voce di dolore, di uomini, donne e bambini ai quali è stata tolta ogni dignità: "come pecore portate al macello". Ascoltando questo prolungato suono che trafigge il cuore come una lama, mi viene spontaneo riandare ad un'altra sirena, con un suono avvolgente di richiamo sereno, molto diverso, che per tanti anni fin da bambina ho udito e che per molte delle tante persone presenti scandiva i tempi lavorativi in SACET ed era espressione di una realtà positiva di lavoro e guadagno per tante famiglie del paese, sorgente di benessere, di vita, che ancora oggi, in persone ormai anziane e nei loro figli suscita sentimenti di gratitudine. Mentre l'acuto della sirena sembra non terminare mai, scendo in me stessa per rivolgermi al Signore che, mai avrei immaginato, mi avrebbe portato qui oggi: "Signore, perché tanta sofferenza che neppure riesco ad immaginare? E ancora oggi, quanto dolore, quanti olocausti noti e sconosciuti! " - e Lui mi risponde: "Li conosco tutti, perché io ero e sono lì, con coloro che hanno vissuto l'olocausto e coloro che nel mondo lo vivono oggi. Io ho portato nella mia carne tutte queste atrocità e sofferenze, e loro, che hanno seguito la strada che io ho percorso, sono passati dal buio alla Luce con me, per me, in me". Quando il sibilo lacerante si affievolisce, quasi come una liberazione, si alza il suono della fisarmonica che lenEsperienze di vita

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In memoria tamente ci avvolge con musiche ebraiche e accompagna la lettura di brani di vari autori: Primo Levi, Joyce Lusu, Yitzhak Katzenelson, Padre David Turoldo. La loro voce si diffonde con toni forti, penetranti, dolci, poi improvvisamente incalzanti, laceranti, che si fanno urlo verso il cielo che sembra muto e chiuso sul dramma che si concretizza nell'interpretazione dei due attori che interpretano con espressività la lettura di queste memorie di vita e di morte. La marcia ora si snoda, silenziosamente, come una lunga scia luminosa per le vie del paese, osservo la fiammella tremolante sotto la pioggia del lumino che tengo in mano e, guardandomi intorno, constato che c'è molta gente di ogni età: giovani, famiglie con i figli, anziani che hanno sfidato la fredda giornata ed altri che si trovano lungo il percorso o sono alla finestra. La luce del mio lumino illumina anche i miei ricordi di una fetta della mia vita trascorsa a Vaiano, che oggi riconosco Monte delle beatitudinisono i miei primi molto significativa: anni di cui non ho memoria, ma nei quali so di aver ricevuto l'affetto profondo di mio padre, che cercava di compensare anche quello di mia madre che era a Milano per assistere mia sorella gravemente ammalata e anche quello di alcune persone che con la loro affettuosa vicinanza mi hanno aiutato. Ricordo bene invece, negli anni seguenti, i sereni periodi di vacanza che trascorrevo all'aria aperta quando, suonata la sirena del termine della giornata lavorativa della SACET, mi catapultavo fuori e cominciavo ad inanellare lunghe corse in bicicletta o a giocare tra le cataste di assi che mi sembravano grattacieli….. Ora ci fermiamo, siamo ad un piccolo parco dedicato ai martiri di Cefalonia, 10

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la fisarmonica cattura l'attenzione con il suo suono intenso e sofferente per accompagnare i due interpreti nella lettura di testimonianze giunte dai campi di concentramento: esprimono tutto il dolore, la sofferenza interiore, ma anche l'innocenza inconsapevole di bambini con l'ultimo giocattolo che sono riusciti a tenere stretto fin lì, che, quasi come un gioco, vengono accompagnati per mano verso un muro davanti a un fucile o verso una camera a gas… E tu nonno Giuseppe, che non ho avuto il dono di conoscere, chi eri, come e cosa hai vissuto in quel tuo tempo di prigionia? Riprendiamo il cammino e il mio pensiero va a ciò che mi è stato raccontato di lui. Il nonno Giuseppe e tutti i suoi fratelli erano ebrei originari di Ferrara, città dove si era radicata, una consistente comunità ebraica. Nonno Giuseppe, sposatosi con Giannina, altoatesina di fede cattolica, era imprenditore nel settore del commercio del legno e ciò lo portava a frequenti trasferimenti con la famiglia: mio padre e sua sorella nacquero a Zagabria che a quel tempo era sotto l'impero asburgico. Per alcuni anni la famiglia visse a Villa Opicina vicino a Trieste. Dagli anni 30 si stabilisce a Milano. La famiglia è molto unita anche dopo la morte della nonna nel 1937. Quando mio padre conobbe e poi sposò mia madre Lina, il nonno Giuseppe inizia un intenso rapporto con la famiglia di lei, relazione che diviene molto fraterna con il consuocero Francesco di profonde radici cristiane. Questa fraterna amicizia porta Giuseppe a chiedere al consuocero di accompagnarlo nella preparazione al Battesimo, conversione, come mi ha raccontato mio nonno Francesco, intimamente desiderata e coltivata, che ha dato significato


al suo profondo sentire. Il 30 agosto 1941 nonno Giuseppe riceve il S. Battesimo, gli fa da padrino il nonno Francesco, che gli regala un libro di preghiere con dedica che è giunto fino a me. Ormai in pieno periodo bellico, si fanno pressanti sul nonno Giuseppe gli inviti a lasciare Milano come hanno già fatto tutti suoi fratelli. Anche il fratello Gilberto si era rifugiato in Svizzera. Quando il nonno Francesco, sfollato in Val d'Ossola con la sua famiglia e due sorelle Fiano, vedendo che le visite delle S.S. erano divenute più frequenti in casa Fiano, lo sollecita a lasciare Milano, il nonno risponde: "Perché mi devo nascondere? Non ho fatto nulla di male e non ho mai svolto attività politica." La sua onestà, rettitudine e limpidezza interiore lo sostennero in questa scelta anche quando il cerchio si strinse sempre più. Mi sono sempre chiesta il perché del suo comportamento, forse riteneva che la sua moralità e lealtà potessero dar ragione a chi veniva a prenderlo, perché chi è innocente e limpido non teme. Non ho risposte, ma sono certa che aver fatto in se stesso la sintesi del Dio dell'antico Testamento con il Dio Amore incarnato in Gesù gli ha dato la forza di attendere i suoi "interlocutori". Prima di venire arrestato ha lasciato al consuocero un libretto bancario per saldare, se non fosse tornato, alcuni piccoli debiti che, a causa dell'inizio della guerra, non aveva potuto pagare ad alcuni suoi clienti. Al termine del periodo bellico, nonno Francesco riuscì a contattare queste persone che rimasero stupite nel vedere verificarsi una cosa che non si aspettavano: conoscevano la correttezza del nonno Giuseppe, ma non immaginavano che sareb-

be arrivata a quel punto. Viene arrestato dai tedeschi il 5 dicembre 1943 e rinchiuso nel carcere di S. Vittore a Milano. Nonno Francesco che era stato capo delle guardie delle carceri, riesce a far avere alcuni colloqui tra Giuseppe e la nuora Lina, perché mio padre era in guerra sul fronte africano. Mia mamma tentò anche di parlare direttamente con i tedeschi andando al loro comando, ma il tentativo fu vano. Dopo alcune settimane il nonno fu trasferito a Fossoli dove venivano portati gli ebrei prima della deportazione in Germania. La mia mamma lo andò a trovare anche a Fossoli; il nonno che conosceva bene il tedesco fu "assunto" come traduttore ed ebbe modo di parlare più volte col comandante del campo che gli sembrava una persona coscienziosa che lo rassicurava che il campo sarebbe stato chiuso e trasferito altrove, ma che non sarebbe successo nulla di tragico. Forse il nonno credeva a ciò o almeno questo è quello che disse a mia mamma forse per tranquillizzarla: quella fu l'ultima volta che si incontrarono. Con questi pensieri la marcia dei lumini giunge al piccolo parco, posto sul luogo dove sorgeva la SACET, intitolato "Parco della memoria 27 gennaio 1945 a ricordo di Giuseppe Fiano". Comincia a nevicare, il freddo è sempre pungente, è ormai buio, ma sull'erba del giardino attira lo sguardo una rotaia bianca disegnata con il gesso che giunge, restringendosi, ad un piccolo palco in legno scuro; non ci vuole molta fantasia per riandare a quelle rotaie che entravano nel campo di Auschwitz… Man mano che ci disponiamo intorno, deponiamo i nostri lumini sulle strisce bianche che lentamente Esperienze di vita

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In memoria s'illuminano e sembrano acquistare vita. Dal palco vengono letti gli ultimi brani scelti per tenere viva la memoria, poi alcuni bambini leggono dei pensieri che hanno steso dopo essere stati coinvolti nella preparazione di questa iniziativa, a loro si uniscono alcuni adulti. Viene poi letto un documento d'archivio attestante la presenza di Giuseppe Fiano sul convoglio 14 che raccoglieva solo ebrei a tutti gli effetti e che partì da Verona il 2 agosto 1944 verso la Germania con destinazione Auschwitz. Vi giunse il 6 agosto e immediatamente, con molti altri con i quali aveva condiviso quell'ultimo viaggio di salita al "monte Calvario", venne destinato alla camera a gas. La sirena riprende il suo acuto, lacerante lamento suscitando commozione, quasi a sottolineare che la marcia della memoria deve essere ri-cordata, cioè riportata al centro del nostro cuore e vissuta nel quotidiano. Al termine, salgo con mio fratello sul palco per esprimere il nostro ringraziamento a tutta la cittadinanza e dire, soprattutto ai giovani, che con i lumini, che abbiamo portato per le vie del paese e deposto simbolicamente sulle rotaie di Auschwitz, vogliamo affermare che tutti coloro che sono morti o sono passati nei campi di concentramento sono per noi una luce, che desideriamo illumini il nostro cammino. Per questo cercheremo di vivere ogni giorno da marciatori della Pace testimoniando che la vera pace si diffonde e radica con sacrificio, dominio di sé, rettitudine, onestà e rispetto dell'altro, perché ognuno racchiude un inestimabile valore umano e spirituale che va ascoltato, coltivato e mai reciso neppure con le parole, perché anche queste 12

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possono ferire e uccidere. Al termine riceviamo diversi ringraziamenti e testimonianze di stima nei confronti di coloro che hanno lavorato quando alla SACET c'era nostro padre, nel quale hanno ritrovato alcune caratteristiche positive del nonno la cui vita è stata raccontata in un libro, pubblicato l'anno scorso, in cui si è voluto raccontare la storia della SACET. Per un attimo, silenziosamente, do un ultimo sguardo a quel luogo ancora illuminato, ringrazio il Signore perché mi accorgo che oggi Lui mi ha fatto un grande dono che, inconsciamente, attendevo: ho ritrovato le mie radici, proprio lì al termine di quelle rotaie, all'ingresso di quel campo dove il 6 agosto 1944, il nonno ha celebrato "in olocausto" la festa della Trasfigurazione! Grazie, caro nonno, anche se non ti ho mai conosciuto, oggi ti ho incontrato quale tramite dell'Amore di Dio che attraverso il tuo vissuto mi invita a proseguire la salita al monte incarnando come hai fatto tu la "Preghiera del cammino" che porta alla trasfigurazione, alla città santa, la nuova Gerusalemme, alla vita in Dio, alla piena Pace della gloria.

Gabriella F.


DECALOGO PER UN ESAME DI COSCIENZA DELLA COMUNITA' CRISTIANA Care sorelle e cari f ratelli, d i a lo g a n do c o n M a u r o , i n merito al percorso formativo 2 0 1 0 / 2 0 1 1 , i n c e n t ra to s u l m i s te r o della Comunità, abbiamo rammentato il "Decalogo per un esame di coscienza della Comunità cristiana" che sua Eminenza il Cardinale Carlo Maria Martini, nell'anno pastorale 1977/1978, aveva proposto all'arcidiocesi ambrosiana. Questo testo conserva, a mio avviso, tutta la sua f reschezza e attualità anche per le cinque comunità locali che formano l'unico P iccolo Gruppo di Cristo. Lo ripropongo a tutti per un esame di coscienza personale, convinto che lo Spirito è sempre vivo, va oltre il tempo e ci aiuterà a vivere il momento presente con uno sguardo rivolto verso il futuro di Dio. M i s o n o p e r m e s s o , do p o o g n i "comandamento" di suggerire alcune domande che ci aiutino nell'esame di coscienza. Ognuno, quando troverà la domanda fatta al "Piccolo Gruppo", la rivolga a se stesso e si senta interpellato in prima persona.

Piccolo Gruppo la tua fede è quella della Chiesa cattolica? Piccolo Gruppo vivi intensamente l'adesione al Dio vivente che la Chiesa ti ha fatto incontrare? Sei una comunità che ascolta la Parola con fede, che celebra la divina liturgia e testimonia il Vangelo del Signore Gesù? Come vivi la beatitudine dei puri di cuore, degli afflitti, dei misericordiosi? 2. Sottomettiti alla Parola di Dio nella preghiera interiore e nella comunione con i tuoi Pastori, per essere una comunità ricca di intelligenza spirituale, capace di fare sintesi in mezzo alla frammentazione e confusione del nostro tempo!

DECALOGO PER UN ESAME DI COSCIENZA DELLA COMUNITA' CRISTIANA

Piccolo Gruppo come vivi l'intelligenza spirituale? Sei pronto a sottometterti alla Parola di Dio? Ti lasci mettere in discussione da essa? Sei al tuo interno "scuola di preghiera" e di "lectio divina"? Aderisci sinceramente al magistero dei Pastori della Chiesa? Misuri l'intelligenza legata al tuo carisma e ai responsabili a te interni con l'intelletto della fede cattolica e con la guida dell'intelligenza delle S c r i t t u r e o ff e r ta d a l P a pa e d a l Vescovo?

Sii una comunità di fede, 1. nutrita dalla fede di tutta la Chiesa e vivi nell'adesione incondizionata del cuore e della vita al Dio vivente, che ha parlato a noi in Gesù Cristo. Coltiva la rettitudine delle intenzioni, sii gioiosa nell'afflizione, pronta nella misericordia verso i lontani e i vicini!

3. Sii una comunità desiderosa di crescere nella scienza della fede, nutrita di solidi Maestri, che siano voce della sinfonia della verità che illumina e salva, quale essa è presente nella varietà e ricchezza di testimonianza donata all'intera comunione cattolica, nel tempo e nello spazio, nel passato come Esperienze di vita

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Esame di coscienza nel presente! Sii una comunità che scrive e attua un piano pastorale in fedeltà allo Spirito!

In tutte le nostre cinque comunità locali è necessario aprirsi al dono dello Spirito Santo, in comunione con tutta la Chiesa: siamo una comunità che si nutre della scienza della fede? Curiamo la formazione catechistica e teologica dei nostri membri? Ci preoccupiamo di ascoltare i maestri di teologia e di esperienza spirituale, che lo Spirito suscita nella Chiesa e che essa ci propone o raccomanda? 4. Sii una comunità docile al dono del consiglio, rispettosa dei cammini personali di maturazione spirituale e pronta ad aiutare ciascuno a vivere nella libertà le proprie scelte sotto l'azione del Consolatore e la guida di persone sagge e interiormente libere!

Siamo una comunità dove il dono del consiglio è apprezzato e promosso? Gli itinerari di maturazione personale delle coscienze sono in noi rispettati e valorizzati, anche quando possono creare fatica al comune cammino? Incoraggiamo i nostri membri alla pratica della direzione spirituale, vissuta possibilmente con persone che siano sufficientemente libere rispetto alla tentazione di assolutizzare l'appartenenza al gruppo? Siamo consapevoli che il gruppo è "una via" , una delle tante vie della Chiesa ? Che questa "via" è veramente ecclesiale solo quando riconosce che anche "altre vie" sono o possono essere vocazioni di Dio e che senza di esse il piano salvifico, nell'oggi della Chiesa, non è completo? 5. Sii una comunità viva nella speranza capace di testimoniare a tutti e sempre l'eccedenza delle promesse

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di Dio, che ci libera da ogni prigionia dei mali presenti e dalla paura della morte, e ci fa guardare avanti con fiducia, con distacco dai beni terreni e dai soldi, con una certezza più forte di ogni fallimento o persecuzione o sconfitta!

Piccolo Gruppo sei una comunità ricca di speranza? Davanti ai tanti mali del tempo presente, mantieni alta la capacità di guardare sempre e comunque all'orizzonte dell'avvenire di Dio per noi? Testimoni la speranza a quanti ti incontrano? Vivi la gioia di quanti sperano nel Signore? Vivi la beatitudine dei poveri in spirito, degli affamati di giustizia, dei perseguitati? 6. Sii una comunità che vive sotto lo sguardo di Dio, desiderosa di piacere in tutto a lui solo, e perciò vigile e operosa nel timore del suo santo nome, libera da calcoli e valutazioni solo mondane!

Piccolo Gruppo quale posto dai al timore di Dio nelle tue valutazioni e nei tuoi progetti? Sei una comunità che si lascia giudicare dal Signore, preoccupata di piacere a lui in ogni cosa? Ti misuri sulle esigenze del Vangelo e della sequela di Gesù o ti lasci a volte ammaliare da calcoli di riuscita terrena? 7. Sii una comunità forte nella speranza, perseverante nella via che Dio ha tracciato per te e la Chiesa ha confermato attraverso i suoi Pastori, libera e coraggiosa nella fedeltà e nella testimonianza, anche a caro prezzo, aberante per tutti i tuoi membri e per chiunque ti avvicina, nel dono della libertà vera che viene dal Signore!

Piccolo Gruppo sei una comunità forte nella speranza? Sei costante nei tuoi cammini, perseverante nella tua fedeltà alla chiamata di Dio? Sei affi-


dabile? Mantieni fede agli impegni assunti, anche se questo dovesse costarti e chiederti sacrifici non indifferenti? 8. Sii una comunità viva e operosa nella carità, aperta, capace di gesti concreti di riconciliazione, accogliente e generosa verso tutti i fratelli e le sorelle nella fede, anche se diversi da te, pronta a far spazio all'altro, chiunque sia e da qualsiasi parte venga, per riceverlo con rispetto e amore e offrirgli con gratuità il dono che Dio ti ha fatto. Perdona largamente con gioia, opera con tutte le forze per la pacificazione del cuore!

Piccolo Gruppo sei una comunità aperta? Sei accogliente e generoso? Sei rispettoso delle diversità che esistono nella Chiesa, non solo a parole, ma coi fatti e nella verità? E sei aperto e accogliente con chi dal di fuori si avvicina a te, specie a chi è in cerca del volto di Dio e desidera incontrare Gesù Cristo? Sei pronto a non servirti della Chiesa, ma a servirla, perché cresca il regno di Dio, anche se tu dovessi scomparire? Quale la tua mitezza di fronte alle incomprensioni e alle offese? Quale il tuo servizio alla comprensione e alla pace? 9. Sii una comunità ricca di pietà, innamorata di Dio e desiderosa di rispondere al suo amore con un amore umile, ma tenero, appassionato e disposto a far compagnia al suo dolore e alla sua gioia in ogni momento!

Piccolo Gruppo sei una comunità di fede, di speranza e di carità che si lascia riconoscere in modo particolare per la sua pietà? Sei una comunità tesa ad adorare e venerare Dio in ogni tua scelta? Nutri nei tuoi membri questa tenerezza per Dio, che è frutto di

un grande amore, ricevuto dall'alto e donato con gratuità? Dai testimonianza in questo mondo dell'urgenza di amare il Signore al di sopra di tutto, con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutto il tuo essere? 10. Sii una comunità ricca di sapienza spirituale, capace di misurare e vivere ogni cosa sotto il primato della carità, che viene da Dio e ci fa partecipi della vita di Dio: fa' strada a lui e al suo amore infinito, piuttosto che farti strada in questo mondo?

Piccolo Gruppo sei una comunità che vive la sapienza dell'amore e la sapienza della Croce? Attui in tutto il primato della carità? Ti lasci amare da Dio per essere in ciascuno dei tuoi membri accogliente e generoso nell'amore? Vi invito ora a mettervi in ginocchio e nel silenzio della vostra cameretta a chiedere con fiducia perdono a Dio per le nostre mancanze, recitando il "Confiteor". Quindi a rialzarvi e a ricominciare con la Grazia e la Luce che ci provengono da Dio a realizzare, personalmente e comunitariamente, il progetto che Dio ha su di noi, per non essere più oscurità, ma luce che risplende nel mondo. Con affetto, tutti vi abbraccio Giancarlo B.

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Ascoltando altre culture

MASAI: DIECI REGOLE PER VIVERE INSIEME 1. Nella comunità tutti danno un contributo: tratta le persone con rispetto, non urlare né litigare.

8. Preparati alle sfide che la vita ti presenterà: impara a sopportare il dolore e le avversità senza lamentarti.

2. Usa l'aggressività con saggezza contro chi minaccia davvero le cose importanti per la comunità. Non lasciare che la tua furia determini le tue azioni.

9. Per prevenire i rischi e sfruttare le opportunità che ti si presentano, fai attenzione ai particolari e al mondo che ti circonda.

3. La comunità è forte se resta unita: per rendere minime le divisioni, in ogni conflitto cerca una soluzione che ti dia un compenso per il danno subito e non semplicemente vendetta. Poi vai avanti e dimentica il torto.

10. Educa i tuoi figli con coerenza senza paura di essere severo: quel genitore che ha paura di sentire piangere il proprio figlio, prima o poi sarà lui a piangere.

4. Assumiti le tue responsabilità nei confronti della comunità in cui vivi, rispetta il tuo ruolo e quello degli altri, concentrati sui tuoi doveri più che sui tuoi diritti. 5. La natura ci dà quello che ci serve per vivere: rispetta ogni essere vivente e non essere inutilmente crudele e distruttivo. 6. Ricorda che chi viene da una cultura diversa ha valori e abitudini diverse dalle tue, altrettanto legittime. Rispettali e non giudicarli con i parametri della tua cultura. 7. Liberati dalle false necessità e non lasciare che il possesso o la ricerca di cose che non ti servono veramente ti renda infelice.

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Il popolo Masai trasmette di generazione in generazione queste buone regole di vita. Anche se non viene citata esplicitamente una divinità a cui far riferimento, ritroviamo in questo decalogo una sintonia sia con i nostri Dieci comandamenti, che con gli articoli della nostra Costituzione, che ci invitano alla fraternità e alla comunione spirituale.


CONVERSIONE Abbiamo chiesto a Toni di pubblicare questa lettera inviata alla Comunità di San Carlo. Ve ne proponiamo solo un ampio stralcio nella convinzione che alcuni spunti e in particolare la metafora dell'ascensione sia utile e davvero un bell'augurio di crescita personale e comunitaria valido per tutte le nostre Comunità. Carissimi, … è passato poco più di un anno dal mandato ricevuto per seguire la nostra comunità di San Carlo come responsabile e ritengo giusto fare un primo bilancio del cammino fatto sin qui in sintonia con il Responsabile Generale e con gli altri fratelli responsabili delle comunità che sono nel Piccolo Gruppo di Cristo. Prima considerazione è quella di constatare che è stato un anno di Grazia nel quale abbiamo camminato insieme sottolineando lo stile del: "Un cuor solo ed un'anima sola" nel solco tracciato dai primi apostoli e discepoli come descritto negli Atti. Ci siamo lasciati condurre dallo Spirito Santo in ascolto, in preghiera ed obbedienza evidenziando una rinnovata disponibilità al cambiamento che le novità e le responsabilità a diversi livelli ci hanno visti coinvolti. Ci siamo incamminati in una nuova direzione che il Signore ci ha indicato attraverso le piccole comunità. A me piace vedere questo cambiamento di direzione come la via della "conversione" personale ed anche comunitaria. Qui ognuno può esaminare se stesso e guardare quanto il Signore ha opera-

to con la sua grazia in questo passaggio. È anche giusto dire che non sempre tutto è stato semplice o facile perché dentro di noi ci sono spesso delle resistenze quando dobbiamo perdere il nostro equilibrio attuale per muoverci verso un altro punto. Questo movimento che descrive lo spostarsi in avanti l'ho ritrovato in quella definizione che un alpinista dava della scalata/arrampicata e che trovo molto significativa. Cioè dati 3 punti di appoggio (che garantiscono la posizione) il corpo protende verso un punto più alto a cui affidare il nuovo sostegno nel raggiungere ancora un altro equilibrio stabile. Io credo che sia bello anche applicarlo alla vita spirituale e di santità nella quale il Signore ci vuol vedere salire. Provo a parafrasare la scalata attraverso ciò che il Signore, nella chiamata di ciascuno nel Piccolo Gruppo, vuole donarci. Innanzi tutto consideriamo la montagna, che è il dono della vita umana e spirituale nella quale ciascuno è posto per giungere alla vetta, luogo della bellezza eterna. Seguono i 3 punti di appoggio: povertà, castità, obbedienza che sono i sostegni su cui poggia il nostro sì al Signore. Poi consideriamo la via che scegliamo: per salire questa è la vocazione dei cristiani "ancorché consacrati" o mistici nel Piccolo Gruppo di Cristo ed infine l'attrezzatura, l'equipaggiamento e non ultimo la guida. L'attrezzatura (corda, imbragatura, moschettoni, chiodi) non necessariamente deve essere la più sofisticata, ma deve essere buona ed efficiente:le pratiche di preghiera, o meglio la vita spirituale devono essere efficienti per farci pregare ed essere

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In cammino di conversione persona preghiera perché ci assicura di poter salire in modo sicuro e spedito. L'equipaggiamento (zaino, giacca vento, guanti, scarponi), cioè cosa indossiamo per salire, sono le virtù che ciascuno ha scelto di indossare o che, obbedendo per amore, ha deciso di vivere per rendere così giusta, bella ed affascinante la propria vita. Poi ci sono i compagni di cordata, perché non si sale quasi mai da soli. Sono i nostri responsabili personali. Sono i fratelli e le sorelle della comunità ai quali ci leghiamo spiritualmente ed umanamente per compiere l'ascesa. Su questo punto vorrei soffermare la vostra attenzione. Chi direttamente ha provato a scalare sa che ci si lega in due, al massimo in tre, perché mentre il primo facendo strada sale, l'altro lo assicura attraverso i moschettoni e la corda. Se questo è vero per scalare la montagna, lo si può considerare altrettanto vero nella esperienza che la nostra comunità mette in atto, attraverso l'accompagnamento tra il responsabile ed il fratello nella via della santità. In questo legame rappresentato dalla corda è fondamentale considerare questo mezzo come la fiducia che rende possibile salire senza il rischio di cadere, cosi come i moschettoni e i chiodi possono rappresentare la virtù dell'umiltà che permette ad entrambi di essere nella condizione migliore per gestire il proprio ruolo. Chi guida indica che si può salire più in alto e in questo passaggio allo stesso tempo si fida sapendo che chi lo assicura a sua volta salirà. [……] Infine per salire è necessaria e indispensabile la guida che apre la via, che come avrete certamente intuito è il Signore Gesù. Lui, indica e accompagna il cammino di ogni cordata, di coloro che andando 18

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dietro a lui salgono verso la vetta. Questo anno, lo stare dietro di lui o meglio sotto il suo sguardo si è evidenziato nella fedeltà agli incontri di nucleo e di comunità ed in particolare nelle tante occasioni di Adorazione che ci sono state offerte in un silenzio denso di gratitudine, di ascolto, di ringraziamento. Per tutto questo, che si è reso possibile e visibile tra noi in una testimonianza di benevolenza reciproca ringrazio in Signore per il dono che siete voi. [….] Voglio offrirvi un ultimo pensiero molto pratico. Quest'anno per Natale, Laura mia moglie mi ha chiesto come regalo di sistemare il box e la cantina. La cosa mi infastidiva un po' però insieme abbiamo portato a termine l'operazione dedicandovi un'intera giornata che è terminata con lo smaltimento delle cose da buttare portate in discarica. Durante il lavoro di cernita delle cose da tenere e da buttare facevo questa riflessione che mi è servita come esame di coscienza. Di quanti oggetti, tante volte anche superflui, ci circondiamo e poi, perché rimpiazzati da altri, mettiamo in cantina, ci dimentichiamo di loro e tuttavia quando ci è chiesto di eliminarli ci dispiace. Forse perché rimaniamo attaccati affettivamente o perché ci ricordano momenti della nostra vita. […] Aver raggiunto un obiettivo perché ben compreso e approfondito ci fa sentire a posto, lo consideriamo un bene conquistato e nostro per un po', poi però non lo coltiviamo, cioè non lo facciamo diventare virtù e così lo mettiamo da parte in cantina, per non vigilanza e qualche volta per pigrizia o perché siamo attratti da altro che riteniamo più importante. Cosi quando mi viene


chiesto di liberare la cantina del mio cuore mi dà fastidio e divento rigido. E così non ascolto lo Spirito del Signore che mi chiede di fare pulizia perché lui ogni giorno vuole riempire il mio cuore invitandomi a: "Lavorare, pregare, fare opere di bene senza pretendere alcuna ricompensa", cioè evitando di accumulare sicurezze e/o ritenere di essere a posto. Io gli resisto, non mi lascio convertire e così non mi accontento di chiedere e di gioire per "il pane quotidiano", quello sovrastanziale della Parola e della Eucaristia che il Signore ci dona ogni giorno e che ci chiede di ricercare ogni giorno e di condividerlo attraverso la testimonianza di una vita

di virtù praticate. Devo ringraziare mia moglie per avermi fatto fare la pulizia della cantina (e non solo perché adesso è in ordine.) A voi tutti carissimi buona ascensione e di nuovo buon anno di grazia. Toni F. Conversione di S.Paolo - 25 gennaio 2011

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Condivisione

Il Fondo Famiglia Lavoro C'è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù. C'è una solidarietà umana da ritrovare nei nostri paesi e nelle nostre città per uscire dall'anonimato e dall'isolamento, perché chi vive momenti di difficoltà non si senta abbandonato. (Dionigi Tettamanzi) Con queste parole, la notte di Natale del 2008, il nostro Arcivescovo annunciò l'iniziativa del Fondo Famiglia Lavoro (FFL) per venire incontro, attraverso l'ascolto e un contributo economico, a coloro che sono colpiti dalla crisi. Un gesto profetico che continuerà per tutto il 2011 e ha permesso finora a molte famiglie di avere un aiuto, anche se non risolutivo, ad affrontare situazioni spesso drammatiche di perdita del lavoro. Vi racconto la mia esperienza. La Caritas, che ha organizzato e diretto il Fondo Famiglia Lavoro, ha costituito dei "distretti decanali" nei quali alcuni volontari (come il sottoscritto) hanno messo a disposizione del tempo per ascoltare le situazioni di necessità, venutesi a creare in seguito alla sopraggiunta perdita del lavoro. Sottolineo "sopraggiunta", poiché la finalità del fondo è volutamente quella di sostenere le nuove situazioni emergenti: per intenderci, chi il lavoro non l'ha mai avuto o è da tempo disoccupato non rientra in questa tipologia d'intervento e per loro esistono altre forme di assistenza che vengono indi20

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viduate dai "Centri di Ascolto"' presenti in ogni Parrocchia, Decanato o Unità Pastorali. Nel nostro caso UPF sta per Unità Pastorale Forlanini che raccoglie 5 parrocchie: S.Nicolao, S. Galdino, Beata Vergine Addolorata in Morsenchio, Sacro Cuore in Ponte Lambro e Monluè. Ho citato il nome delle parrocchie, poiché esse, pur essendo attigue, rappresentano un variegato territorio sociale ove sono comprese abitazioni di certo pregio fino alle periferie note per il loro degrado (Ponte Lambro). Nel nostro distretto sono presenti 4 operatori: gli incontri vengono fissati in seguito alla segnalazione dei Centri di Ascolto, dei sacerdoti, delle suore che sono venuti a conoscenza del problema lavorativo, e i colloqui avvengono sempre alla presenza di due collaboratori che devono compilare una appropriata scheda, nonché allegare una relazione sull'andamento dell'incontro. È compito poi della commissione decanale dare l'ok e poi inviarla in Caritas Diocesana, dove un apposito comitato delibera l'erogazione di un contributo. È molto importante, come ci ha detto il cardinale Tettamanzi all'inizio di questa attività, ricordare che il nostro compito non si deve limitare ad una fredda compilazione tipo "a domanda - risposta", ma occorre riuscire, per quanto possibile, a ridare un po' di speranza a persone che stanno vivendo un forte trauma nella loro vita, perché possano sentirsi davvero "ascoltate anche nel cuore". Ci ha anche raccomandato di "fidarci" di quello che ci dicono, non indagando o pretendendo documenti su docu-


menti (come facevo quando lavoravo in banca e il sospetto sulla sincerità di chi mi stava chiedendo un prestito era sempre ben presente), consapevoli che qualcuno pur di ottenere qualcosa rincara la dose o nasconde qualche motivo. "Noi non siamo qui per giudicare ma per condividere…": come sempre le parole dell'Arcivescovo sono molto semplici, ma molto chiare ! Ci aiutano, in questi momenti di incontro, alcuni accorgimenti sperimentati nelle nostre precedenti esperienze lavorative: ascoltare con disponibilità di tempo, l'accomodarsi insieme attorno ad un tavolo e non dietro una scrivania, far sedere le persone di lato e non di fronte, cogliere ogni piccola occasione per metterli a proprio agio (un esempio: quando si chiede il luogo di nascita è importante, se lo conosciamo, fare qualche apprezzamento…. Questa piccola complicità predispone il colloquio sul binario giusto.) Chi e quanti ne abbiamo incontrati? Di tutto e di più. Sostanzialmente una metà stranieri, di questi molti laureati al loro Paese ma qui in Italia solo soci-dipendenti di cooperative di prestazioni d'opera, spesso sottopagati e prontamente lasciati a casa quando il lavoro scarseggia. Lavorare per una cooperativa vuol dire non avere le ferie, né la liquidazione, che non è prevista poiché già compresa nella paga oraria (???); la malattia non si sa cosa sia ed inoltre non c'è neppure il "licenziamento" che permetterebbe per lo meno di ottenere da parte dello Stato un certo importo per i primi 8 mesi, sotto la forma di "sussidio di disoccupazione". Ma ci sono anche persone che hanno studiato in Italia, che magari hanno

girato il mondo, che conoscono più lingue straniere, ma che ora ad una certa età (già dai 45/50 anni) non riescono più ad inserirsi nel mondo lavorativo e chiedono di poter effettuare qualsiasi lavoro: dalle pulizie, all'imbiancatura, all'attività di badanti. La nostra scheda infatti cerca di raccogliere dati anche nella prospettiva futura di una possibilità d'impiego, in relazione alle caratteristiche e alle conoscenze specifiche, pur sapendo che è assai difficile di questi tempi. Abbiamo avuto colloqui con persone di qualsiasi etnia, religione, stato sociale, immigrati regolarmente in Italia ed anche non regolarmente, occupanti abusivi e persone che ricordano a memoria l'importo delle bollette della luce o del gas che hanno in sospeso da pagare. Fino ad ora si sono presentati una quarantina di casi e sono state erogate delle somme che vanno da 1.000 a 2.500 euro, a seconda della gravità delle situazioni, sotto forma di sussidio mensile che viene consegnato dal parroco di competenza territoriale. In qualche caso l'erogazione è avvenuta una tantum se era urgente per affrontare un impegno improrogabile. Ogni persona ha la sua storia e difficilmente un caso è simile all'altro e quando la accompagniamo all'uscita e chiudiamo la porta ci guardiamo in faccia tra noi del distretto, un po' sconsolati…e ci suggeriamo qualche passaggio da indicare nella relazione al fine di fare un quadro della realtà il più possibile veritiero. La tristezza spesso nasce dal fatto che queste persone si sono messe in un guaio ancora più grosso perché prive di informazione o mal consigliate (mi riferisco a grossi debiti con finanziarie,

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Condivisione a rate insopportabili, mutuo casa al 100% e in più il finanziamento a parte per i mobili). In alcuni casi ci hanno riferito di essere state consigliate di licenziarsi, perché, è stato detto loro, forse dal datore di lavoro, che le dimissioni volontarie sono meglio del licenziamento!… Poi magari sono andati al sindacato, che in questi casi è impotente, e si trovano chiuse altre strade di sostegno. Mi piacerebbe raccontare di alcune persone dignitosissime, che ho ancora davanti agli occhi, ne cito una per tutte: è uno straniero laureato, con conoscenza di tre lingue, che alla mia domanda su dove passava la notte mi ha risposto: andavo al dormitorio di via Ortles ( vi ricordate Sabatino? Via Ortles era il luogo dove lui portava la cena) …..ma non tutti i giorni perché costa 3 euro per notte !!! Ma non lo ha detto per piangere miseria, piuttosto con una dignità indescrivibile tanto che io, un po' sconvolto e un po' com-

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mosso, nell'accompagnarlo all'uscita ho allungato la mano…..Ci credete se vi dico che ha rifiutato ed ho dovuto metterglieli in tasca di forza? Concludo con un grazie al nostro Cardinale Tettamanzi che ha sostenuto sempre questa iniziativa, e in questi tempi, in cui il Fondo è al lumicino di risorse economiche, ha messo in vendita delle icone sacre e dei presepi che gli erano stati regalati in questi anni di guida della nostra Diocesi, pur di racimolare risorse da destinare agli ultimi. Uno slogan del Cardinale sulla crisi è racchiuso nella REGOLA DELLE 5 ERRE da lui coniata, che è un invito per tutti noi, e non necessita di commenti ( o forse ne necessita eccome !!!) 1Ridurre 2Riciclare 3Riparare 4Rispettare 5Regalare Renato R.


Lettera a un don (Ognuno può indicare il nome di un sacerdote con il quale ha condiviso un pezzo di vita). Caro don...., in questi giorni, parlando con alcune persone della nostra esperienza parrocchiale, con toni tristi uno di noi ha esclamato:"Cosa avete imparato voi dal prete?" La domanda ci ha spiazzato e ci ha colti un po' impreparati. Come puoi immaginare ha dato sfogo ai più diversi echi. Ma questa domanda ci è rimasta dentro perché non si può risolvere con due battute. Abbiamo pensato a te, e per grazia, a tanti altri sacerdoti. Un primo aspetto che emerge nella nostra personale storia e per cui ti stiamo scrivendo è la condivisione. Ricordiamo bene quel dopo cena in cui ti abbiamo chiesto se eri disposto a camminare insieme a noi sposi, e a cercare insieme di crescere nella dimensione sponsale/nuziale della nostra vocazione. Ricordiamo la tua sorpresa, ma soprattutto il tuo "si". In questi anni dobbiamo riconoscere che, forse, sei stato più ricercatore e più fedele di noi. Non ti sei semplicemente fatto più vicino a noi, ma ti sei messo in gioco. Questo ci ha spronato non solo durante i nostri incontri ma anche osservando come quel "si" tentavi di spezzarlo nel tuo essere sacerdote e nello scoprire e vivere la tua sponsalità, nonostante pochi ti capissero, e i tuoi "doveri" ti chiamassero altrove. Ci hai insegnato e fatto fare esperienza di una presenza, quella di Cristo in noi. Lo hai fatto condividendo, ma soprattutto celebrando l'amore di Cristo nel-

l'Eucaristia. Con pazienza ci hai condotto a vivere con te questo mistero. Non possiamo dimenticare quando ci hai proposto di inginocchiarci insieme di fronte all'Eucarestia in parrocchia, durante i corsi estivi, nei tempi forti della liturgia. E senza parole ci hai fatto vedere la tua relazione con Cristo e la tua unione sponsale con Lui. Abbiamo scoperto che, al di là di tanti discorsi, abbiamo bisogno di vedere, quasi toccare, come sia vera e possibile questa unione con Lui.In questi anni ci hai mostrato come le nostre vocazioni (come tutte le vocazioni) sono generate dal mistero pasquale e come questo mistero è mistero di relazione e di dono sponsale con il Cristo e con la Chiesa, ma anche tra noi. Ce lo esprimi quando non accentri tutto su te stesso. Quando ci chiedi di aiutarti a vivere questa relazione nella preghiera, nei sacramenti, e nella quotidianità. Quando interroghi direttamente il nostro essere sacramento. Quando cerchi la "teologia" nuziale nel nostro vivere di sposi, di genitori, di figli. Quando, come sei, cerchi di rivivere lo stesso amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa. Sposa che siamo noi, a volte comprensiva altre bisognosa, a volte entusiasta altre arrabbiata, a volte comunitaria altre funzionale, a volte presente altre disattenta, a volte generosa altre povera, a volte amata altre ferita. Spesso non abbiamo capito il tuo amore, come tu non hai capito il nostro. A volte amare come Cristo ama significa rispondere alla chiamata di diventare colui che ama senza essere amato, senza essere corrisposto. Questo tuo modo di Esperienze di vita

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Lettera

vivere l'amore e di amare ci interroga. Interroga il nostro modo di amarci tra noi sposi, e di aprirci verso gli altri (sacerdoti compresi). Nella vita di coppia diamo per scontato che l'amore sia reciproco, sia scambiato, sia senza condizioni, sia vivo. Malgrado la non comprensione e le ferite tu comunque, a modo tuo, hai cercato di essere accogliente. Un'accoglienza che non è stata funzionale o identificata con un dare quello che veniva chiesto. Hai cercato di vivere un'accoglienza che ci facesse sentire calore, che ci facesse sentire di essere a casa. Un'accoglienza che è presenza. Hai provato ad amarci per quello che siamo, e hai acconsentito che anche noi ti amassimo per quello che sei come uomo e come sacerdote. Lo riconosciamo: non è facile. Non demordere anche con coloro che oggi continuano a tenere la loro porta chiusa.Con discrezione sei entrato nella nostra casa, giochi con nostro figlio, e hai visitato e condiviso le nostre ferite, le nostre stanze buie. Ci hai commosso quando ci hai confidato che questo tuo visitarci ti fa sentire meno solo. Con tenerezza ci hai sempre detto, cantato e ripetuto che "nulla potrà separarci dall'amore di Cristo" né la fatica , né le ferite, né la sof24

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ferenza, né la morte. In molte nostre situazioni non potevi fare molto, ma il tuo continuare ad indicarci la speranza che nulla ci separa da Cristo ci ha donato forza, sollievo e coraggio. Come spesso ripeti, l'amore di Cristo trasforma le ferite in feritoie attraverso le quali possiamo scorgere fin da ora luce. Tornando alla battuta iniziale su cosa abbiamo imparato da te, ci accorgiamo che non è tanto una questione di cosa abbiamo imparato o di cosa abbiamo ricevuto, ma piuttosto di legami. La nostra relazione con te si è trasformata in un legame. Un legame costruito dai nostri modi di essere e di agire, e non una cosa in più da realizzare e gestire. Un legame che è familiare, spirituale, ecclesiale insieme. Un legame che trova in Cristo e nella Chiesa la sua radice e il suo collante. Ringraziamo e lodiamo il Signore per questo legame. Ringraziamo e lodiamo il Signore per il dono delle vocazioni e di come Lui ci offra la possibilità di metterci in reciproca comunione nella Chiesa. Ringraziamo e lodiamo il Signore per tutti i sacerdoti e in particolare per te. Gloria, Antonio, Samuele G.


Un meraviglioso scambio Vorrei dirvi innanzitutto che cosa ho provato e non ho dimenticato della "tre giorni celibi" vissuta a inizio d'anno: tanta serenità e letizia, un' intensa comunione e fraternità. Come moderni "cercatori di Dio", ci eravamo messi tutti in cammino … in viaggio con le auto o con i treni, attraversando le autostrade o i binari delle nostre regioni, per giungere nella nostra casa di Desio. Ci siamo "di-staccati" dalle nostre case, dalle nostre realtà quotidiane, dai nostri impegni e responsabilità, per ritrovarci e vivere tutti insieme alla presenza del Signore. Sul treno che mi portava a Milano la mia mente è ritornata indietro con i ricordi a quando da bambina mio padre mi parlava del suo lavoro nelle stazioni. Come ferroviere-elettricista si era occupato per svariati anni del controllo degli scambi dei binari. Ora è tutto computerizzato, ma trenta quaranta anni fa chi svolgeva quel servizio, oltre ad occuparsi di quadri elettrici, doveva camminare per molto tempo lungo le rotaie per controllare il buon funzionamento degli scambi, pensare alla loro manutenzione e riparazione. Mi diceva spesso che era un lavoro di grande responsabilità, perché il minimo errore avrebbe potuto provocare un incidente, far deragliare il treno o non far prendere la direzione giusta a quello di passaggio. Questo "scambio", questo piccolo snodo, impercettibile spesso ai nostri occhi, assume un'importanza così grande per i nostri spostamenti umani … e se io guardo alla mia vita spirituale oggi posso dire che il Signore ha

disposto sul mio "cammino terreno" svariati binari con diversi "scambi", che mi hanno permesso di percorrere (e mi aiuteranno ancora) la mia strada verso Lui, e che mi hanno dato modo di cambiare direzione, di fare degli incontri di grande valore e di approdare a mete importanti. I "giorni celibi" sono stati per me un nuovo "scambio" per la mia vita personale e comunitaria; un meraviglioso "scambio" che ci ha aiutato a consolidare la relazione tra di noi e tra noi e il Signore! Lui è stato il centro del nostro incontro, Lui la luce che abbiamo seguito e che desideriamo continuare a seguire! Incontrarci è sempre un momento di grande e forte emozione e condividere le nostre gioie, le nostre difficoltà nel cammino umano e spirituale ci aiuta a crescere nella relazione tra di noi e nella comunità. La bellezza di meditare-pregare-adorare insieme il Signore, di mangiaremasticare-deglutire insieme la Parola e l'Eucaristia, lo "scambiarci" esperienze e pensieri, il condividere i pasti, l'aiutarci in cucina, il passare divertenti e allegri momenti di relax insieme, fa sempre un "gran bene" al cuore, crea unità, ci aiuta ad essere più partecipi della vita dell'altro, aumenta e fortifica il nostro affetto fraterno, trasforma e purifica il nostro cammino spirituale personale e comunitario nel Piccolo Gruppo di Cristo. Molto spesso si sente dire da alcune persone: "Mi sto organizzando per andare in una beauty-farm, così con qualche esercizio o trattamento riuscirò a rimettermi in forma, … per rilassarmi dallo stress di questi ultimi mesi Esperienze di vita

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Giornate celibi … per ricaricarmi dopo un periodo un po' faticoso… " Ecco: anche noi abbiamo pensato a come ricaricarci … spiritualmente, a come eliminare o trasformare i nostri limiti, i nostri "accumuli di troppo", per camminare più spediti verso di Lui e verso la vita eterna. La nostra "beauty farm o centro benessere" è stata la nostra casa di Desio; i nostri esercizi e trattamenti sono stati i sacramenti, le meditazioni, le condivisioni; l'allegria, la gioia, la serenità, l'amore fraterno, sono stati i nostri fanghi e le terapie di bellezza. Ciascuno di noi ha posto un nuovo mattone nella costruzione del proprio edificio umano e spirituale e delle comunità, grazie anche al materiale che ci era stato consegnato per le nostre meditazioni sulla spiritualità e la mistica! La bellezza di alcune testimonianze di mistiche hanno dato un grande stimolo alle nostre riflessioni. Il mistico è il cristiano fedele, è la persona che è intimamente unita a Cristo, che vive per Lui, con Lui ed in Lui. Non è un cristiano che vive isolato, tra quattro mura, che non partecipa alle

vicende del mondo, che non vive appieno la realtà della sua quotidianità. Tutt'altro: il mistico vive la sua unione con Dio così fortemente ed intensamente, da non poter fare a meno di sentirsi coinvolto pienamente nelle sue relazioni umane quotidiane, dagli avvenimenti che determinano le sue giornate. In un film da poco uscito nelle sale cinematografiche dal titolo "Un altro mondo", mi ha colpito una frase detta da una protagonista: "Le cose, le situazioni, la vita, non cambiano … ma … "cambiamo" noi"! Mi ha fatto ripensare alla parola "scambio"… trasformazione della vita del fedele cristiano/mistico, dell'uomo spirituale e non carnale: cambiare-trasformarsi in un uomo o donna di Dio, grazie proprio alla quotidianità vissuta fino in fondo, della vita di relazione con Dio e le persone (in famiglia, sul lavoro, nel quartiere-diocesi-città-nazionemondo)! Mettiamocela tutta con l'aiuto del Signore … nostro "meraviglioso scambio"! Nadia Q.

Don Pierpaolo, Rosa, Fiorenzo, Francsco, Donatella, Gabriella, Enza, Paolo, Andrea

Rita, Mara, Gaetano, Ireos, Gino, Nadia 26

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EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO "Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per il decennio 2010-2020" L'educazione, le sue modalità, l'impegno della Chiesa nei suoi vari livelli e strumenti pastorali: è questo il tema sul quale l'episcopato italiano ha scelto di concentrare gli sforzi nel decennio 2010-2020, pubblicando gli "Orientamenti pastorali" dal titolo "Educare alla vita buona del Vangelo". Non è un testo teologico-pastorale in senso stretto, ma - appunto come dice il suo stesso titolo - si tratta di "orientamenti" per l'azione delle Chiese locali, delle parrocchie, del lavoro di riflessione e proposta di istituti e aggregazioni. Una sorta di "vademecum" cui rifarsi sistematicamente, nei prossimi dieci anni, con uno sforzo corale comune. Il testo, 40 pagine fitte di citazioni, rimandi a documenti del magistero del Papa e a pronunciamenti della stessa Conferenza Episcopale Italiana, è stato reso noto giovedì 28 ottobre, anche se la sua promulgazione porta la data del 4 ottobre, Festa di San Francesco d'Assisi, Patrono d'Italia. Il presidente dei Vescovi, card. Angelo Bagnasco, nella presentazione scrive che gli Orientamenti "intendono offrire alcune linee di fondo per una crescita concorde delle Chiese in Italia nell'arte delicata e sublime dell'educazione". Aggiunge che nel campo educativo "riconosciamo una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo". La sfida e l'appello è rivolto ai singoli credenti, alle comunità cristiane presenti sul territorio nazionale, alle numerose associazioni e movimenti, agli istituti religiosi,

al mondo della cultura, della scuola e della formazione: tutti i cristiani, in sostanza, sono chiamati nel decennio 2010-2020 ad interrogarsi profondamente sul proprio "agire" in quanto Chiesa che educa, confidenti "nel tesoro che il Signore ha posto nelle nostre mani". In un mondo che cambia - Il momento attuale è segnato da profonde trasformazioni, dice il primo capitolo degli orientamenti. C'è bisogno di "riferimenti affidabili", mentre la cultura contemporanea sembra favorire "il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il narcisismo". La scelta del tema educativo da parte dell'episcopato italiano si rifà a due fattori: il primo è quello costituito dai "richiami" di Papa Benedetto XVI, che in più di un'occasione ha indicato nell' "emergenza educativa" uno dei problemi centrali per l'annuncio cristiano nelle società contemporanee. In particolare, negli Orientamenti si cita la "Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione", del 21 gennaio 2008, nella quale "Il Santo Padre ci incoraggia in questa direzione, mettendo in evidenza l'urgenza di dedicarsi alla formazione delle nuove generazioni. Egli riconosce che l'educare, se mai è stato facile, oggi assume caratteristiche più ardue; siamo di fronte a "una grande 'emergenza educativa', confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita"". Un secondo fattore è legato al IV Convegno ecclesiale Esperienze di vita

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Orientamenti Pastorali nazionale italiano, celebrato a Verona nell'ottobre 2006, dove venne messo in evidenza come sia sempre più importante diffondere un "messaggio di speranza fondato sul 'sì' di Dio all'uomo attraverso suo Figlio, morto e risorto perché noi avessimo la vita". Disarmonia e scetticismo - Gli Orientamenti evidenziano come "la Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione .. Non c'è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa". L'incontro tra culture ed esperienze religiose diverse, la pretesa di una educazione che vorrebbe essere "neutrale", un diffuso "scetticismo e relativismo", sempre denunciati da Benedetto XVI, fanno sì che la trasmissione dei grandi valori educativi da una generazione all'altra sia sempre più difficile. "A soffrirne di più è la famiglia", dice il testo, mentre come conseguenza si registra la "separazione tra le dimensioni costitutive della persona" (razionalità, affettività, corporeità e spiritualità). Proprio la famiglia è chiamata oggi a un particolare impegno, specie in presenza di attacchi alla sua struttura naturale fondata sul rapporto uomo-donna. Si dice, così, che "è determinante la responsabilità educativa di entrambi i genitori" ed è proprio "la differenza e la reciprocità tra il padre e la madre a creare lo spazio fecondo per la crescita piena del figlio". Tra i fattori di debolezza della famiglia, si citano poi eventi sempre più comuni quali "il numero crescente delle convivenze di fatto, delle separazioni coniugali e dei divorzi, come pure gli ostacoli di un quadro economico, fiscale e sociale che disincentiva la procreazione". Inoltre si denuncia anche "tra i fattori destabilizzanti, il 28

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diffondersi di stili di vita che rifuggono dalla creazione di legami affettivi stabili e i tentativi di equiparare alla famiglia forme di convivenza tra persone dello stesso sesso". Guardare "con speranza" ai giovani Nel capitolo secondo degli Orientamenti si sottolinea in particolare l'urgenza di una verifica delle varie "dimensioni" dell'agire ecclesiale: quelle missionaria, ecumenica e dialogica, caritativa e sociale, quella escatologica. La risposta a tutte le domande dell'uomo contemporaneo viene da "Gesù, maestro di verità e di vita", dice il capitolo terzo. Anzitutto è la famiglia che deve educare a questo incontro col Cristo, oltre che con tutti gli uomini. In questo consiste "la crescita piena del figlio", perché sia "orientato nel mondo" e dotato di "un orizzonte di senso". Gli adulti, quindi, e i genitori in particolare, sono i primi "educatori", ai quali è chiesta "autorevolezza", "credibilità", coerenza di vita. Gruppi parrocchiali, associazioni, movimenti, volontariato, di servizio in ambito sociale e in missione possono svolgere un importante ruolo formativo dei giovani, verso i quali occorre sempre "guardare con speranza". Così hanno fatto, del resto, i grandi santi educatori di cui è piena la storia della Chiesa. Formare la "coscienza credente" - Il capitolo quarto degli Orientamenti è dedicato alla "Chiesa, comunità educante", con i suoi strumenti: catechesi, sacramenti, liturgia, impegno di carità, dotati di "un potenziale educativo straordinario". A questo livello si va formando la "coscienza credente", che verrà corroborata - col crescere dell'età - da cammini specifici quali la scelta vocazionale, il matrimonio, la vita consacrata, il presbiterato, l'adesione ad associazioni e movimenti.


Scuola e università giocano un loro ruolo altrettanto rilevante: oltre alla cultura, offrono gli strumenti per una "coscienza critica" che è alla base di una partecipazione convinta alla vita sociale. Come recepire gli Orientamenti - Ora che il testo degli "Orientamenti" è noto, la domanda che possiamo porci è: cosa fare concretamente per attuare queste indicazioni? Una risposta autorevole è venuta da mons. Mariano Crociata, Segretario generale della CEI, che, intervenendo sabato 23 ottobre al consiglio nazionale dell'Azione Cattolica (Roma, "Domus Mariae"), ha inquadrato la sua riflessione sugli Orientamenti all'interno del cammino associativo dell'ACI stessa ma, in senso lato, ha parlato a tutte le realtà aggregative cattoliche. Mons. Crociata ha definito la natura e il ruolo degli "Orientamenti", parlando di "uno strumento pastorale, un quadro ermeneutico, una cornice di compatibilità dei percorsi che le singole Chiese sono chiamate a compiere per rispondere alla identità e alla missione proprie di ciascuna". Essendo ogni Chiesa locale

(diocesi) un corpo composito e articolato, ecco che l'attuazione degli Orientamenti si riverbera su ciascuna realtà aggregativa che ne fa parte. Al riguardo mons. Crociata ha aggiunto che "su di un piano generale per offrire un contributo davvero significativo al cammino della Chiesa bisogna entrare in sintonia con il suo pensiero, condividerne l'ansia pastorale, in concreto entrare nelle motivazioni di fondo della scelta dell'educazione come motivo unificante dell'orientamento pastorale del decennio". Il vescovo ha esortato le realtà cattoliche, pur nelle diversità di carismi, a un grande impegno educativo per "una presenza convincente e solida di umanità dedita e accompagnante". Da parte del Piccolo Gruppo di Cristo dovrà quindi venire, per tutto il decennio, una continuità di azione "educativa", una fiduciosa vicinanza al Magistero, una presenza pronta, creativa, fedele secondo lo spirito e la lettera delle Costituzioni interne e della spiritualità comunitaria. Luigi C.

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Poesia

La bellezza del mistero

Sono passati più di vent'anni da quando lessi per la prima volta "La pantera", una delle poesie più famose di Rainer Maria Rilke, noto poeta di lingua tedesca del XX secolo. Mi è ricapitata tra le mani in questi giorni e devo dire che l'effetto di allora non è mutato. Permettetemi di riproporla al fine di poter fare delle considerazioni di carattere spirituale.

La pantera Nel Jardin des plantes, Parigi Il suo sguardo, per lo scorrere continuo delle sbarre, è diventato così stanco, che non trattiene più nulla. è come se ci fossero mille sbarre intorno a lui, e dietro le mille sbarre nessun mondo. L'incedere morbido dei passi flessuosi e forti,nel girare in cerchi sempre più piccoli, è come la danza di una forza intorno a un centro in cui si erge, stordito, un gran volere. Soltanto a tratti si alza, muto, il velo delle pupille. Allora un'immagine vi entra, si muove attraverso le membra silenziose e tese e va a spegnersi nel cuore. Quello che mi ha sempre colpito è il contrasto tra la bellezza, l' eleganza, la forza naturale della pantera con la forza bruta e annichilente che esercita la gabbia in cui si trova. È talmente forte il contrasto tra ciò che è l'animale e la prigione in cui è costretta a vivere da risultare doloroso seguirlo nel suo movimento e nel suo desiderio di libertà. Leggo un' analogia tra la condizione di questa pantera e quella dell'uomo quando vive la sua esistenza senza alzare lo sguardo, quando non si apre alla dimensione del mistero: la vita, come una gabbia, lo imprigiona. 30

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Il limite, rappresentato dalle sbarre, è soffocante e tutto quello che l'uomo riesce a fare, nonostante la sua forza e la sua volontà, è quello di girare intorno a se stesso e aprire ogni tanto gli occhi per accorgersi che nulla cambia e che il suo anelito alla libertà non ha risposta. Il Cardinal Ravasi, in un recente incontro a cui ho partecipato, ha usato una bellissima espressione parlando del fascino della bellezza: in una consuetudine di vita, in una realtà mucillaginosa dove bruttura e bruttezza si sposano (il primo termine è riferito a dei valori etici, il secondo a valori estetici.) solo la bellezza, comunicata attraverso la fede e l'arte, riesce ad "aprire feritoie" e ci permette di vedere orizzonti immensi, ci inserisce in un piano trascendente, ci fa intuire l'Oltre. In una parola ci permette di scoprire la dimensione del mistero. Aprire feritoie dentro una realtà che spesso non ci piace significa varcare la soglia del mistero ed essere salvati. Il mistero è la dimensione alta della vita, quella che rompe decisamente le sbarre del quotidiano finito per portarci a riconoscere le scintille di eternità disseminate nel quotidiano e farci respirare fin da ora l'infinito di Dio. Il mistero si contrappone all'ovvietà che è chiacchiera, banalità, meschinità (la natura non è la grazia!) ecco perché ci dà vita, ecco perché ci dà la forza di frantumare le sbarre del limite, perché la grazia è liberante, la vita divina che ci è stata regalata e che sempre ci chiede di essere accolta con libertà compie il miracolo -il più grande- di inserirci a pieno titolo nel respiro di Dio e ci rende partecipi della sua sostanza gloriosa. Questo apre alla meraviglia, l'atteggia-


mento del cuore del piccolo che riconosce di stare dentro a qualcosa che è più grande di lui, che lo trascende e che quindi non può capire. Ma nello stupore al piccolo è dato di intuire che è proprio su questo piano che deve continuare a cercare, dato che in questa dimensione siamo stati pensati fin dalle origini. Cosa possa esserci di più grande non riesco a comprenderlo e rendo grazie perché so che quando non capisco lì c'è Dio. Perché Dio è sempre altro da me, da quello che posso avere intuito di Lui, da quello che mi aspetto da Lui. Egli è in me ma è perennemente un Oltre tutto da vivere nell'abbandono della fede, della fiducia cieca! Avere ricevuto con Gesù incarnato il dono di essere innalzati alla divinità è ciò di cui dovremmo rendere grazie e lode dal mattino alla sera. Sì, è proprio così: la nostra esistenza ha dentro tutto ciò di cui ha bisogno per essere vissuta all'insegna della gioia e della lode perenne perché l'esperienza che mi è data di fare gratuitamente è, se mi apro al mistero, quella di trovare dentro il limite della condizione umana gli ingredienti per trasformarla in benedizione, in occasione di redenzione, in vicenda pasquale e quindi sì di morte, ma alla fine di gloria. È questa l'ultima parola. Allora lo sguardo dell'uomo libero non morirà ferito dentro il proprio cuore perché schiacciato dall'angustia, dalla finitezza della giornata e del proprio io ma avrà il coraggio di credere all'anelito che avverte in se stesso - O Dio, Tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne (salmo 62) - , avrà la forza di andare oltre il limite di sé e della realtà perché quell'incontro vitale con il Signore è promessa e compimento

insieme di pienezza e di significato. Assumere la realtà che ci è data da vivere in questa prospettiva, amarla fino in fondo così come fa il Signore che ha deciso per amore, solo per amore, di prendere la nostra carne e la nostra storia, vuol dire fare esperienza di lui, sentirsi toccati nell'anima dalla sua dolcissima presenza. Amare è vivere l'essenza di Dio che è amore e poter vedere in noi il frutto della vita di grazia, la sola a farci uscire dall'isolamento, dalla chiusura, dal peso del nostro ego, l'unica in grado di farci scoprire orizzonti nuovi, luminosi e di speranza. Cosa posso chiederti di più oltre a fare esperienza di Te e comprendere sempre maggiormente il grado del tuo infinito Amore? Nulla! Nulla ha valore in confronto a questo. E allora grazie per tutto ciò che mi è dato di vivere, per il dono dei miei fratelli e delle mie sorelle, per tutta l'umanità che mi sta attorno, quella che ha un volto preciso e che concretamente incontro nel cammino di tutti i giorni, ma anche quella che non vedo con gli occhi fisici e che gli occhi dell'anima - che sono i tuoi Signore - mi portano alla mente e per la quale sento di volermi offrire. Signore, porta a compimento il tuo progetto e fa che la Chiesa risplenda come tu desideri. La tua gloria mi gloria mi basti Signore, non voglio cercare altro! Donatella Z. Esperienze di vita

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Un periodico speciale Leggendo gli articoli dedicati alle interviste che EdV. ha proposto ad alcuni componenti del Piccolo Gruppo, relative all'impegno nel volontariato, ho pensato a quante esperienze, magari interessanti, restano sconosciute. Mi è così venuto il desiderio di condividere con voi l'attività che svolgo da quasi dieci anni : collaboro con una rivista quindicinale di ispirazione cattolica Nuova e Nostra per la quale illustro tre rubriche. Tutto è nato dalla chiusura del "glorioso" settimanale femminile cattolico Alba, che per più di settant'anni ha accompagnato la vita di molte lettrici dando spunti spirituali oltre che consigli pratici. Per un anno ho illustrato con disegni di moda la pagina che questa rivista dedicava mensilmente alle più giovani, poi per motivi principalmente economici, oltre che per la diversa impostazione data dal nuovo editore al periodico, Alba ha chiuso, con grande dispiacere delle abbonate. Rosetta Albanese, ex direttrice di questa rivista, ha pensato, nel 1996, di rispondere al desiderio di molte ex lettrici dando vita a un quindicinale chiamato Nuova e Nostra, organo comunicativo dell' Associazione, che ha permesso di continuare a far vivere quella trama di ideali e relazioni umane che per molti anni le lettrici di Alba avevano condiviso. Sul sito dell'associazione (http://www.nuovaenostra.it/), Rosetta lo presenta così: Nuova e Nostra è un quindicinale di comunicazione, che tiene conto delle vicende del mondo, ma non legato all'attualità. Dà piuttosto gli strumenti per interpretare i fatti, essendo più di formazione che informazione. Tuttavia i testi sono di facile lettura, infatti i collaboratori sono avvertiti come Amici. Una parte del periodico è riservato anche all'evasione, con rubriche piacevoli e tre racconti. Nuova e Nostra è di 32 pagine, stampato in bianco e nero. " 32

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Aggiungo poi che ora le abbonate sono quasi duemila, ma la rivista è letta da un numero molto maggiore di persone perché c'è la consuetudine di non gettarlo, dopo averlo letto, ma di passarlo ad amici e conoscenti. Tra i collaboratori, inoltre, ci sono persone come Mons. Antonio Riboldi e Mirella Poggialini (critica d'arte e di televisione). Da brava ex lettrice di Alba, mi sono abbonata al quindicinale e per qualche anno il mio contatto con l'Associazione si è fermato lì; poi ho iniziato a notare che non sempre le illustrazioni erano adatte agli articoli pubblicati e questo mi dispiaceva un po', visto il mio interesse per tutto ciò che concerne l'arte figurativa. Così un giorno, incontrando casualmente la direttrice (abita abbastanza vicino a noi) le ho ricordato la mia collaborazione con Alba e le ho proposto di disegnare anche per il nuovo giornale. E così è stato… Sono molto contenta di questa attività, sia perché sono "costretta" a disegnare almeno ogni quindici giorni (anche se mi spiace un po' non poter "pasticciare"con i colori, visto che uso solo tutta la gamma delle sfumature del grigio…), sia perché do il mio contributo ad una rivista che, portando avanti con semplicità i valori evangelici, è per molti lettori fonte di serenità e di fiducia nel bene. Come molti giornali, in questo periodo, Nuova e Nostra vive alcune difficoltà acuite dal fatto che si autofinanzia con le quote dei soci, non chiede sostegni pubblici e soprattutto non ha pubblicità. Se il periodico fosse costretto a chiudere lascerebbe un grande vuoto nelle lettrici, soprattutto in quelle più anziane, per le quali è una vera compagnia. Chi volesse conoscerlo meglio ed eventualmente sostenerlo può visitare il sito già citato, o chiedermene qualche copia. Adriana B.


Una vacanza alternativa Nel mese di febbraio ho avuto la possibilità di condividere 7 giorni con la "Fraternità Monastica di Nazareth", presso il monastero di Vallechiara, vicino a Velletri, sui colli albani. Per chi di noi l'avesse conosciuto, vive in questa comunità don Gianni Colamaria, che circa 18 anni fa era aspirante nel Piccolo Gruppo, poi sentì di consacrarsi al Signore nella vita monastica. L'esperienza vissuta nella sua raternità, composta da 10 fratelli, di cui 2 presbiteri, e da 15 sorelle, è stata per me una ricca esperienza di vita umana e spirituale. Ecco perché è doveroso condividerla attraverso il nostro periodico. La giornata spirituale inizia alle ore 6,00 con il canto delle Lodi, dalle 8 alle 12 è segnata dal lavoro agricolo, domestico, artigianale e artistico. Poi è scandita dal canto dell'ora media alle 12.30, dal pranzo, separato fra le due comunità, dalla ripresa del lavoro dalle 15 alle 17, dallo studio e approfondimento personale, per ritrovarsi tutti insieme al canto dei Vespri e all'Eucarestia alle 19. Alle ore 20 la cena, alle ore 21 compieta personale e dalle 22 il "grande silenzio", come lo chiamano i monaci, per sottolinearne l'importanza. Ho vissuto la mia settimana in una piccola casetta rivestita di legno, riservata ai famigliari, accanto alla dimora delle monache, scelta che mi ha aiutata a condividere da vicino la loro vita semplice di dedizione al Signore.

Praticamente, nelle ore del loro lavoro e in quelle dedicate allo studio e all'approfondimento monastico, io meditavo, leggevo, camminavo e riposavo. Ogni giorno il mio corpo, la mia mente e il mio spirito traevano beneficio dal camminare in silenzio nelle loro campagne, ascoltando e osservando la bellezza e i suoni della natura e del lavoro agricolo dei monaci. Il territorio di Vallechiara si estende su una superficie di 40 ettari, senza alcuna recinzione, poi continua verso case e campi che appartengono agli abitanti del luogo; il loro è davvero un respiro spirituale monastico, dentro la vita di tutti, senza mura di separazione. È giusto tuttavia affermare che la vera separazione resta il silenzio: se quando cammini finisci nella strada asfaltata con frequente passaggio di auto, comprendi che per mantenere il tuo clima di pace, devi tornare indietro. Per i "monaci delle strade", come siamo noi, può essere sicuramente un'esperienza di grande riposo interiore, arricchita tra l'altro dalle belle e curate liturgie del monachesimo benedettino. Il tempo è dono di Dio e in questi giorni ho ricevuto abbondantemente questo dono, che mi ha ridato energia e mi ha fatto apprezzare la gioia della comunione ecclesiale. Ho sentito vicini a me tutte le sorelle e i fratelli del Gruppo e auguro, a chi di voi ne avesse la possibilità, di visitare la fraternità di Vallechiara anche per qualche giorno, per accoglierne i tesori interiori. Lucia N.

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in redazione: Donatella Bergamini, Adriana Bertoni, Giorgio Casiraghi, Paolo Cattaneo, Rosanna Ceccattoni, Vilma Cazzulani, Antonio Ficara, Angela Gironi, Renato Rossi Progetto grafico: Francesca Ficara Impaginazione: Paolo Cattaneo, Antonio Ficara Redazione: via San Pietro 20 - 20033 Desio


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