Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi

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EV

Periodico della Comunità

Piccolo Gruppo di Cristo n. 149 - anno XXXI Ottobreo 2010

“ Non voi a v e t e scelto me ma io ho scelto voi ...” (Gv.15,16)


In questo numero... Franco Duca riflette oggi sugli inizi del Piccolo Gruppo di Cristo, sul ruolo di Ireos, e sulla forza di una vocazione alla quale era ed è impossibile sottrarsi. Alcuni fratelli hanno provato a rispondere alla domanda forte di Giancarlo: "Chi è il laico consacrato nel Piccolo Gruppo e soprattutto qual è il suo stile?". L'interrogativo interpella tutti noi in vista dell'Eremo. Rossella Meneguzzo s'interroga su un tema emergente sia nella Chiesa che in Comunità : l'educazione dei figli e più in generale dei giovani in una società in cui la tradizione e la trasmissione dei valori sembrano diventati insignificanti. Tra gli articoli, vi segnaliamo l'esperienza di Edoardo Censi impegnato nel volontariato con altri genitori di giovani disabili. Paolo Cattaneo infine ci racconta del recente convegno sul digitale e sui nuovi mezzi per conoscere e comunicare anche la propria identità cristiana.

Sommario 4

La storia del Piccolo Gruppo di Cristo

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Chi è il laico consacrato del Piccolo Gruppo?

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I celibi:dono prezioso nel Piccolo Gruppo

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“Non voi avete scelto me...” “Non sono più io che vivo...”

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Prepariamoci alla confessione

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Riflessioni a margine

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Nel mondo del Volontariato

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Un’anima cristiana per il mondo digitale

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Sindone: un pellegrinaggio nel cuore della fede

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Le mie vacanze

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Il Signore ama chi si dona con gioia

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È accaduto


Cofondatore

IL DISCRETO E FORTE MISTERO DI UNA ORIGINE E DEL SUO SVILUPPO Mi sembra che sia piuttosto complesso cercare di parlare della storia del "Gruppo" per presentarla soprattutto ai più giovani perché mi rendo conto che è qualcosa che sfugge alla nostra umana e pur comprensibile "presunzione" di volerla capire e in qualche modo "possedere". Lo storico indaga e sintetizza per potere trovare sequenze di casualità e congruenze ed infine individuare una linea di sviluppo rispettosa di una certa razionalità. La nostra storia, dall'inizio o prima ancora, appare animata da semplici ma spesso vivaci eventi che sfuggono alla ambizione di poterli attribuire alla genialità di qualche avveduto "conduttore". Mi pare corretto invece che, da parte nostra, sia sempre prevalsa la consuetudine di leggere le "esperienze di vita pratica", di verificarle ed infine di consolidarle in abitudine vissuta. La nostra Storia non è stata prevalentemente frutto della nostra genialità, del nostro studio o della nostra organizzazione ma è stata cercata nella intuizione di quella "Presenza" che è tanto grande da non permetterci di possederla ma è tanto affascinante da sedurre coloro che La cercano con più attenzione. Questa sensazione, che comunque credo possibile in ogni "ambito" di vita umana, è particolarmente vera nella nostra storia di Chiesa, nel Piccolo Gruppo, dove questa "presenza" o "Memoria" ci è parsa riscattare e trascinare, in una impensabile dimensione nuova di Grazia, ogni nostro limite 4

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umano, intuito in spazi e tempi che spesso avvertiamo sviliti in una spenta "quotidianità". La Storia del Piccolo Gruppo è stata ricca di stimoli che ci hanno condotto a continue "estrapolazioni" (cercare un polo esterno al nostro io anche collettivo) che ritrovano nella fedeltà all'Amore del Signore e alla Vocazione, il "senso" vero della nostra Storia. Mi è stato chiesto di stendere queste poche righe (anche utilizzando una "storia" scritta nel 1993) per ripensare a questi 53 anni ormai passati (ma forse sono 57 o 58) e per riverificare ricordi e sensazioni anche lontani in cui avverto la "liberante" intuizione che tutto ciò non può essere stato il frutto dei soli nostri pensieri e programmi. Non può essere stata una cosa nostra, per la imprevedibilità delle evoluzioni che questa vicenda ha avuto e per la originalità di proposte e atteggiamenti di vita che, in modo che poteva sembrare anche banale, venivano proposti dal Fondatore. Ritengo sia significativo che abbia ancora nella mia memoria la prima volta che vidi Ireos mentre si trovava in Oratorio a S. Pio V ( era un assolato pomeriggio dell'anno 1951 ai bordi del polveroso campo di calcio "grande") e provocava in noi che lo vedevamo qualche sospettoso parere su questa, per noi allora, nuova "presenza". Cito questo ricordo per sottolineare quanto concrete e incisive sono per me le realtà che hanno avuto quell'ini-


zio e che si sono snodate in tutti questi anni ma che ho sempre avvertito avere avuto la loro radice in quel tempo tanto diverso da quello che oggi viviamo . Posso dire che ancora prima dell'anno 1957 Ireos proponeva in quel gruppo di giovani dell'A.C. di SanPio V "discorsi" che "sapevano" di una impegnativa spiritualità che poteva dare senso ad ogni nostra realtà secolare. Il Concilio Vaticano II non era ancora neppure previsto eppure noi tutti avvertivamo il disagio con cui la Chiesa viveva quegli anni come in attesa di una qualche "epifania" a cui non era certamente estranea, almeno per noi, la novità di quel "gruppetto" che animava emozioni e qualche scambio di giovanili impressioni. Nelle prime esperienze di "confidenze" che avevamo cordialmente con Ireos avvertivamo il fascino di confrontare con la Volontà del Signore i nostri personali progetti di vita. Erano le

prime esperienze del "colloquio" che sottolineavano l'importanza delle nostre personali esperienze di vita secolare e della necessità di una "santità" dei laici. La icona del "monaco delle strade" prefigurava le prospettive che sarebbero apparse poco dopo nei documenti del Concilio Vaticano II e che ora troviamo nella nostra Costituzione. Questa nostra Storia è iniziata allora, certamente prima dello'anno dell'anno 1957, attraversando un tormentato periodo di tempo, con modalità originali e imprevedibili marcate dalla costante caratteristica di mantenersi fedele a ciò che oggi definiamo il Carisma e la Spiritualità del Piccolo Gruppo di Cristo. Lo sguardo che può percorrere lo spazio di questi lunghi non vede aggettivi umani che possano descrivere questa storia: Il Gruppo non può essere definito conservatore, riformatore o rivoluzionario perché

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Cofondatore

sembra al di fuori di queste dimensioni concettuali e,nella nostra fragile Speranza è "sentito "appartenere ad una Memoria che è il Pensiero e l'Amore del Signore. Il sentirci Suoi nella dimestichezza del dialogo filiale ci introduce alla consolante affermazione di Ireos che ci assicura:<<Il Gruppo è del Signore>>. Non possiamo dimenticare la fondamentale caratteristica della solida linearità di questa Storia che, fra scostamenti e rettifica anche significativi, ha sempre disegnato un solido filo che unisce le prime intuizioni di quegli anni lontani ad ogni evento della intera vicenda che sentiamo come una Memoria sempre presente e fedele a se stessa. Neppure possiamo dimenticare la spesso nascosta sofferenza vissuta dal Fondatore e dai Responsabili per guidare il cammino della Comunità anche nel pericolo della infedeltà. Agli Aspiranti ed a tutti coloro che si avvicinano al Piccolo Gruppo consegniamo questa sequenza di ricordi veri e "sentiti" per avvertirli di quanto spesso nella nostra storia personale e collettiva possano essere nascosti i semi di un "Pensiero" che la anima e la salva, anche come richiamo ad una possibile "Vocazione" in un modo quasi sempre impensabile e misterioso. Franco Duca Desio aprile 2010

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P.S. Abbiamo scelto come redazione di mettere in rilievo, con il carattere grassetto, alcuni periodi, non perché gli altri siano meno significativi, ma per agevolare la lettura di questo testo che nella sua complessità e profondità non è di immediata comprensione, ma che ci è parso molto importante per capire anche l'originalità del carisma che condividiamo.


CHI É’ IL LAICO CONSACRATO DEL PICCOLO GRUPPO? È il folle di Dio. È colui che ama alla follia Dio. È l'appassionato di Dio. È colui che senza Dio è perduto. È colui che senza Dio non può esistere · in un contesto storico definito come il tempo della post-modernità dove il corpo è idolatrato ed esibito come merce di scambio, fà la scelta della castità.

È Colui che si distingue nettamente: infatti · in un mondo dove conta soprattutto possedere, fà la scelta di amare la povertà; · in una società dove sembra che si realizzi solo Colui che fa quello che vuole, fà la scelta di obbedire a Dio per esser veramente libero;

Ci vuole tanto coraggio ad essere così, · ma il Consacrato laico del Piccolo Gruppo sa che accanto a Lui, a limitargli il rischio, c'è il suo Signore. · Il Consacrato del Piccolo Gruppo è colui che fa la scelta totale di Dio, cioè una scelta di vita interamente a servizio degli altri. · Il Consacrato non fà risaltare il suo grande io, la sua fervida intelligenza, la sua capacità di organizzazione, · Non è Colui che fà tutto e sa far tutto, ma piuttosto Colui che dice in continuazione al suo Dio: "ti prego, io non so cambiare il mondo, cambialo tu". Si potrebbe dire che il Consacrato del Piccolo Gruppo è il "consacrato trasparente", cioè Colui che non si mostra, ma lascia trasparire soltanto il Signore Gesù. Giancarlo Bassanini

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Riflessione

I celibi: un dono prezioso nel Piccolo Gruppo "Voglio bene ai nostri celibi. Sono figure importanti per tutti noi sposi. E desidero che siano felici. So che essi sono riconoscenti a Dio per il dono della loro vocazione, ma per viverla bene è necessario l'equilibrio. È un problema questo che riguarda ogni stato di vita, non solo quella dei celibi consacrati. È nella comunità che i nostri celibi devono trovare il luogo ove coltivare questo equilibrio. È qui infatti che loro, come noi, dobbiamo sentirci aiutati a vivere nella nostra vita spirituale che deve essere sempre coltivata mediante la preghiera, l'adorazione eucaristica, i sacramenti, i ritiri spirituali, i santi esercizi spirituali, gli incontri della formazione permanente e gli incontri di nucleo. Certo la vita del celibe non è sicuramente un cammino di rose, credo che le spine siano numerose anche per loro. Ma chi abbraccia questa vocazione, credo non debba cercare per prima cosa il calore della vita d'insieme. Lo scopo a cui deve tendere il celibe consacrato è anzitutto la sua relazione con il Signore e la sua missione di difficile testimonianza all'interno di questo mondo, che non comprende la sua scelta di vita, e non il proprio conforto affettivo. Penso che il Signore doni ai celibi consacrati grandi momenti di gioia attraverso la paternità e la maternità spirituale che essi esercitano come accompagnatori spirituali in Comunità o come testimoni e accompagnatori di giovani 8

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nelle proprie parrocchie o come persone che offrono in dono la loro vita per amare ed aiutare i poveri, i soli, i malati e gli anziani all'interno della grande città. Questi prolungati momenti di gioia che essi sperimentano credo che valgano ampiamente i periodi di aridità dell'esistenza che pure ci sono. Diventando anziani i nostri celibi incontrano il tema scottante della solitudine, le fatiche connesse con il loro stato di salute e qualche volta anche con le loro difficoltà di natura psicologica. È vero, come afferma Ireos, che "il celibe è solo, ma senza solitudine", perché sempre in compagnia di Gesù, però la solitudine rappresenta un vero problema. Niente potrebbe colmare il vuoto della sera, niente potrebbe rimpiazzare la tenerezza o l'ascolto di una sposa o di uno sposo che i celibi hanno scelto di non avere al loro fianco, ma in realtà essi lo Sposo ce l'hanno e desiderano vivere in unione intima e profonda con Dio, amore trinitario. Ci sono delle ore pesanti che il celibe vorrebbe condividere, delle confidenze o situazioni difficili su cui vorrebbe tornare a parlare; anche delle gioie, delle riuscite che vorrebbe partecipare. Immagino che a volte vorrebbe essere compreso, incoraggiato e cordialmente accolto. Sì, il celibe consacrato a volte è solo con il Solo. E questo non sempre è facile. Tutto questo però non è mai un fardello che lo rende triste.


È la sua condizione liberamente scelta ad immagine di Colui che lo ha chiamato ad essere come Lui. Anche la sua solitudine è un servizio alla chiesa, alla nostra Comunità, a ciascuno di noi. La solitudine del celibe è il luogo della sua relazione personale con Gesù, dell'intimità particolare che Egli, il Signore, intrattiene con coloro che ogni giorno gli prestano le loro mani, i loro occhi, le loro spalle, il loro cuore, per servire l'uomo che vive in questo mondo. Questa solitudine non è un vuoto relazionale. Il celibe è uomo o donna messo da parte per meglio servire il prossimo. La testimonianza del celibe è feconda quando vive la sua solitudine serenamente e gioiosamente. Molto importanti sono le vere amicizie fra celibi, e tra i celibi e noi sposi, per condividere le gioie, le difficoltà, le medesime speranze e poter contare sulla loro franchezza. Amici con i quali ci si può anche rilassare, ma con cui ci si capisce; fratelli e sorelle con cui si condivide il desiderio "di salvarsi per aiutare gli altri a salvarsi".

Abbiamo bisogno di questi amici, del loro umorismo genuino, della loro gioia semplice e vera, della loro amorevolezza, della loro apertura di cuore e della loro testimonianza. Ciò richiede di prendersi del tempo per coltivare questa amicizia e dei tempi gratuiti per ritrovarsi. Qualche volta chi ha bambini piccoli li inviti a casa propria, li inviti a pregare con i proprio figli, condivida con loro un buon pasto ben animato. Sono queste gioie umane che si possono condividere, che sono preziose e che si apprezzano grandemente. Conservo nel cuore tanta gratitudine per quei momenti che ho condiviso con loro e che mi hanno arricchito sia umanamente che spiritualmente. Il celibe consacrato porta nei vasi di creta della sua umanità, come è quella di tutte le persone, i più grandi tesori della grazia e della sapienza divina. Vale la pena essere celibi nel Piccolo Gruppo, è una vita appassionante, è una vocazione bella da continuare a proporre, è una vocazione per cui pregare affinché si diffonda sempre più. Giancarlo Bassanini

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Riflessione

"Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi..." (Gv.15,16) Provo a rispondere alla domanda di Giancarlo " Chi è il consacrato nel Piccolo Gruppo di Cristo". Per me il consacrato è innanzi tutto chi riconosce il dono della chiamata a seguire Gesù "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché portiate frutto".(Gv:15,16)Si tratta di fissare lo sguardo su di Lui come i primi discepoli. Lui ci chiama per essere e divenire i beati del suo vangelo. È nel seguire Gesù, giorno per giorno in un cammino di virtù, che noi rispondiamo alla sua chiamata. L'Eccomi di consacrazione, che nella Festa pronunciamo, significa che accogliamo l'abito bianco, la veste nuziale che il Signore mette sulle spalle di chi a Lui offre tutto se stesso. La nostra vocazione, cioè l'essere chiamati per nome a proclamare che siamo suoi, è radicata nell'affidamento a Lui in modo incondizionato, sebbene consci del nostro limite e delle nostre debolezze ma certi della forza della sua grazia. "Tutto posso in colui che mi dà forza" (Fil 4,13). "Ed egli mi ha detto:" Ti basta la mia grazia…." (2Cor.12,9), ci ripete la Parola attraverso la voce di S.Paolo. È il Signore il senso primo e ultimo della nostra vita. Lui (il Festeggiato), lo sposo che le vergini attendono. Lui il Creatore, il Salvatore, lo Spirito di Amore che tutto dona sempre, senza pretendere nessuna ricompensa. Lui la luce, la verità che ci guida sul sentiero dell'amore, come oblazione di sé. Lui che ci invita continuamente a rinnovare in noi (e per noi) il suo gesto di 10

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amore crocifisso per gli uomini. È nella "Tua Festa la nostra festa", cosi come risuona nella preghiera "La tua messa la nostra messa", che noi dichiariamo il legame di offerta e di comunione per essere incondizionatamente suoi. Pronunciando il nostro "Eccomi" diventiamo l'eco di coloro che ci hanno preceduto nella consacrazione, cosi come fecero i profeti, i sacerdoti, i re, come Maria nel Magnificat e Gesù sul Calvario. Il vero cibo e la vera bevanda diventano corpo e sangue di Cristo sull'altare. Altare davanti al quale proclamiamo il nostro Sì, dove chiediamo, invochiamo con umiltà di santificare il nostro consenso, la nostra volontà, il nostro cuore perché continui Lui in noi a compiere le meraviglie del suo amore. Noi siamo stati visitati dalla presenza del Signore: ecco perché abbiamo risposto il nostro sì. Lui ci ha visitato, ci ha condotto in una casa, luogo di accoglienza umana e spirituale, in una famiglia che è la comunità del Piccolo Gruppo di Cristo. Ci ha preso dalla nostra condizione più diversa e disparata, ci ha educato, ci ha fatto crescere per sperimentare quella comunione spirituale e umana, essenziale per essere suoi testimoni nell'oggi del tempo. Nel pronunciare "Eccomi" diciamo grazie a Lui anche per il dono della comunità, per Ireos, Augusto, Franco, Mauro e Giancarlo, per i Responsabili locali, i responsabili aspiranti e personali, per coloro che si sono concreta-


mente fatti servi per servire l'Amore. Grazie a tutti i fratelli e le sorelle che attraverso la loro testimonianza, la loro preghiera, il loro ascolto, la loro pazienza, la silenziosa umiltà, lavorando, pregando, facendo opere di bene ci hanno aiutato a dire il nostro sì al Signore. Il consacrarci nel Piccolo Gruppo di Cristo credo significhi anche compiere questa opera di testimonianza discreta, non protagonista, spesso silenziosa, proprio da cristiani comuni ancorché consacrati, tuttavia consapevoli che i doni di Dio sono per tutti, che devono essere da noi accolti e vissuti per essere poi annunciati e donati. "Dio ci ama, si ci ama per davvero " (icona biblica ) Rimanga sempre dentro di noi questa

consapevolezza di fede nei momenti di gioia e di pace come in quelli della prova. Il dono della consacrazione accolto e vissuto prende linfa vitale dalla fedeltà a ciò che è scritto nei testi della Costituzione rinnovata. Sia qui il nostro attingere quell'acqua fresca e spirituale del nostro cammino personale e comunitario. Parola questa di Dio per noi che ci fonda, che ci sprona, ci richiama alla santità. Sia quindi per ciascuno il luogo spirituale dove è possibile riconoscere le meraviglie operate dal Signore. Possa divenire un riferimento quotidiano di contemplazione a cui essere fedeli, in cui si può dimorare, in cui ci si possa

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Riflessione confrontare per una conversione sempre più vera e coraggiosa. Bisogna osare nel ricominciare a convertirci. "La nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti". Le parole di Paolo risuonano per me con forza proprio in questo senso di ripresa, quasi a dirci che il tempo di attesa è finito e non possiamo restare fermi. La salvezza, il Signore è vicino adesso e ci domanda se il nostro cuore è pronto a rispondere con entusiasmo al suo invito. Dobbiamo rivestirci della veste bianca per operare come i figli della luce. "Signore, illuminami e guidami nella fede, nella speranza e nella carità…La strada che tu hai percorso sia da me seguita….." in un cammino di santità. Non cediamo alla tentazione di pretendere che siano solo i nostri sforzi umani a farci santi. Lasciamo crescere la santità di Dio in noi attraverso la dimora della sua Parola, lasciamoci guardare da Lui nel tempo della preghiera, chiediamo forza a Lui di essere fedeli alla consacrazione, nel crescere delle virtù operando con il cuore di Gesù, "il mio cuore sia il tuo cuore" per amare i nostri cari e la comunità. Certamente rispetto a questo cammino di conversione riconosciamo la nostra distanza e, spesso, l'affanno che ci accompagnano. Dobbiamo tuttavia esaminare ciò che ostacola il nostro procedere, per andare in profondità per una verifica che ci liberi dalle paure del perdere noi stessi e poter invece promuovere la nostra gioiosa adesione al Signore. " Dio ama chi dona con gioia" (2Cor.9,7)

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E la Parola ancora ci sprona: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto."(Gv.15, 1-2). Toni Ficara.


Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me (Gal. 2,20) Queste parole di San Paolo hanno fatto capolino nella mia mente mentre seguivo con intensa partec i pa z i o n e l a v e g l i a e u c a r i s t i c a , s v o l ta s i i n P i a z z a s a n P i e t r o i n occasione dell'incontro internazionale dei sacerdoti alla vigilia della conclusione solenne dell'anno sacerdotale il 10 giugno scorso. Mi sono sentita presente, chiamata in modo forte dal Signore a vivere insieme al Santo Padre, a ta n t i s s i m i s a c e r d o t i , e a t u t t o i l popolo di Dio presente o sparso nel mondo, un momento di adorazione, di lode, di ringraziamento per il dono della chiamata del Signore a essere cristiani e cristiani consacrati. Il momento più emozionante è stato quando un giovane sacerdot e , n o n ta n t o a l t o , v e s t i t o c o n i paramenti della festa, ha portato alla presenza di tutti il Santissimo, quell'Ostia bianca, contenuta in un grande ostensorio d'oro, e lo ha posato sull'altare. Il viso del sacerdote era nascosto dall'ostensorio, ma ogni tanto a seguito di brevi movimenti si intravedevano le orecchie, i capelli scuri, si intuivano le mani che reggevano il nostro Dio. Nello spazio di silenzio lasciato per l'adorazione personale pensavo al nostro "essere dei consacrati". Che cosa significano davvero queste parole? E il versetto di San Paolo mi ha fatto riflettere e rispondere così: un consacrato

deve essere "il portatore di Dio", colui, cioè, che riesce a sparire per dare spazio a Gesù, per portarlo nel mondo a partire dalla famiglia, dall'ambiente di lavoro, dalla parrocchia, dal Gruppo. Mi domando: ma chi ci incontra riesce davvero a vedere Gesù? Quel sacerdote che portava Gesù c'era davvero in piazza san Pietro, ma di lui si vedeva solo qualche piccolo particolare, perché era il Signore che appariva e attirava i nostri sguardi. Come sarebbe bello se anche noi, in ogni momento della nostra giornata, potessimo dire "non sono più io che cammino, che agisco, che amo, che prego, che aiuto, che lavoro, ma è Cristo che vive in me, è lui che appare, che incoraggia, che sorride ai fratelli che incontro, che sostiene chi è in difficoltà, che perdona. È evidente che questo non siamo sempre capaci di pensarlo e, soprattutto, di viverlo: anche del giovane sacerdote "portatore di Dio" sulla grande piazza ogni tanto si intravedevano particolari della sua umanità. Però essere consacrati è anche questo. Se siamo davvero convinti che è questo che ci chiede il Signore, dobbiamo sempre ricominciare a vivere lasciandogli spazio, domandandoci spesso che cosa avrebbe fatto Gesù al posto nostro in quel momento, senza timore che possa chiederci troppo. Lui è sempre con noi, ha bisogno Esperienze di vita

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Riflessione di noi, si umilia a chiedere il nostro aiuto per toccare il cuore degli uomini che incontriamo. E allora ripetiamo con gioia e gratitudine la nostra preghiera del cammino: i nostri occhi siano i tuoi occhi, le nostre mani siano le tue mani, le nostre spalle siano le tue, il nostro cuore sia il tuo cuore, certi che se riusciremo a vivere così Gesù ci guarderà, ci sorriderà e sarà felice. Donatella B.

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PREPARIAMOCI ALLA CONFESSIONE PARAFRASI AP 1,2,3 E COSTITUZIONI Tavernerio in occasione degli esercizi spirituali di fine aprile il padre saveriano Luigi Zucchinelli ha offerto alla meditazione dei presenti questo testo dell'Apocalisse accostato ad alcuni passi delle nostre Costituzioni. Lo proponiamo come un possibile spunto di preparazione alla Confessione. V Meditazione 24-4-10

Alla Chiesa, costituita dal Piccolo Gruppo di Cristo, in Milano. Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette Spiriti che stanno davanti al suo trono, e da Gesù Cristo, il Testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che vi ama e vi libera dai vostri peccati con il Suo sangue, che fa di voi un popolo regale una gente santa per il Suo Dio e Padre, a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.

Così vi parla Colui che tiene le sette stelle nella sua mano: Carisma : Conosco il vostro desiderio di "costruire, sparsi nel mondo, la "città sul monte" sui valori delle beatitudini evangeliche, accogliendo l'invito del Signore a lavorare, a pregare e a fare opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa (C.1,II) . Sentendovi chiamati da Dio ad amarlo e servirlo nella Chiesa mediante il Gruppo, vi abbandonate a Lui per realizzare nella fede la vostra vocazione: (C 2,I) Ho però da rimproverarvi che avete abbandonato il vostro primo amore; quell'amore che vi ha donato la gioia della

radicalità;... voi l'avete barattato con altri amori più comodi, meno impegnativi! Abbiate il coraggio e l'umiltà di ravvedervi, di voltare faccia verso di me e di ricominciare da quel vostro stesso primo amore.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice a questa vostra Chiesa! Consacrazione: So che "per non anteporre nulla all'amore di Dio, vi impegnate a non conformarvi alla mentalità del mondo ma a trasformarvi e discernere in ogni cosa ciò che più è perfetto, utile e a Dio gradito." (C 4,III). So che cercate di comportarvi come Lui si è comportato. (C 5,I) Però avete paura della radicalità evangelica, avete paura d'essere l'espressione vivente dell'amore di Cristo che vi spinge a spendere voi stesse nell'obbedienza, nella povertà e nella castità.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice a questa vostra chiesa! Povertà: Volete seguire più da vicino Cristo che da ricco si fece povero per amor nostro, allo scopo di farci ricchi con la sua povertà. Scegliendo di vivere una vita povera e semplice, "Alimentate in voi un retto uso e possesso dei beni materiali e vi impegnate ad amministrare quelli personali con una fede che tenga conto dei doveri primari di giustizia e carità. Perciò vi accontentate di avere quanto basta a vivere in operosa e popolare semplicità, per poter dare a chi non ne ha. (7,III) Tuttavia siete ricchi, perché poveri di me, contate troppo sulle vostre forze e sui

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vostri risultati effimeri. Arricchitevi della mia povertà (2Cor.8,9).

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice a questa vostra chiesa! Obbedienza : Voi vi credete significativi nella Chiesa perché con il voto di obbedienza, volete "valorizzare l'offerta di voi stessi a Dio. (8,I) e obbedite filialmente al Papa e al Vescovo facendo vostro il loro insegnamento in nome di Cristo e possibilmente divulgandolo" (8,III,1°) Mentre avete dimenticato nella vostra vita lo scandalo della croce che è obbedienza radicata nella fede. Svegliatevi e rinnovate la vostra fede se volete riconoscere la volontà di Dio.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice a questa vostra chiesa! C a s t i t à : Con il voto di castità, volete rafforzare il vostro impegno a viverne la virtù nel cuore e nel corpo, e secondo lo stato e la condizione di vita offrite a Dio la vostra corporeità e affettività, facendone mezzo per meglio dedicarvi a Lui e così favorire anche l'umana comunione. (6,III) Ma il vostro cuore è diviso. Vi consiglio di comprare vesti candide per coprire la vostra vergognosa nudità e vivere il vostro amore in una castità feconda per essere profezia nel mondo del nuovo modo di amare, e per testimoniare la nuova vita trasfigurata e ricreata del Cristo risorto.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice a questa vostra chiesa! Parola ed Eucaristia: Voi "partecipate per quanto vi è possibile alla celebrazione e alla comunione eucaristica; ascoltate la parola di Dio viva, scritta o tramandata, mediante la meditazione;" (9,2,1° 2°) Ma alla partecipazione all'Eucaristia e 16

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all'ascolto della Parola non corrisponde altrettanta vita di comunione, rinnovamento della volontà e cammino spirituale. Siete come colui che ascolta e non osserva, illudendo voi stessi, pensando di essere a posto e in pace con Dio e con i fratelli. Accogliete con serietà e nella verità la Parola; sappiate perdere e giocare la vostra vita su di essa, senza cercare adattamenti ed interpretazioni facili. Se non sarete vigilanti verrò come un ladro senza che voi sappiate in quale ora io verrò da voi.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice a questa Chiesa! Conclusione

Vi consiglio di comprare oro purificato, cioè tutto ciò che può dar senso alla vostra vita. * L'oro della fede, che non è ancora visione; L'oro della speranza, che fa camminare nell'attesa della beata speranza senza, quindi, scavalcare i sentieri ardui e difficili del vivere quotidiano. L'oro della carità, che mette il mio Regno al di sopra di ogni altro vostro regno. * Vi consiglio di comprare collirio per ungere i vostri occhi, onde poter vedere tutti con bontà , evitando forma di individualismo e di egoismo, gareggiando nella delicatezza, nella comprensione e nell'aiuto fraterno. * Mostratevi zelanti cercando e vivendo la volontà del Padre, nella realtà del vostro essere, e...ravvedetevi, perché Io sto alla porta e busso: chi mi aprirà avrà la gioia di cenare con me.


Riflessioni a margine

Direttamente coinvolta come genitore nel difficile compito educativo, mi sono lasciata avvincere dalla lettura del testo di don Armando Matteo,” La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede”, edizioni Rubettino. La premessa è piena di interrogativi che nascono da una fotografia lucida della realtà attuale del rapporto dei giovani con la Chiesa. "Perché di giovani in Chiesa se ne vedono sempre meno e spariscono anno dopo anno i gruppi parrocchiale giovanili? Perché da una parte sempre più utenti di Facebook, nel loro profilo, si assegnano un orientamento ateo o agnostico, mentre, dall'altra, sono in continua crescita i siti web dove "lasciare" una preghiera, "accendere"

una candela, "trascorrere" un momento di pace? Come rendere poi ragione dell'abbandono da parte di numerose giovani coppie dal sacramento del matrimonio e del battesimo dei figli? In quale maniera ancora poter raccordare alle istanze elementari del vangelo gli stili di vita dei giovani, segnati dalla ricerca del successo immediato, da condotte sessuali disinvolte e da un individualismo esasperato?... E, da ultimo, cosa pensare della recente tendenza, presente anche nel mondo giovanile, di una forma di appartenenza senza credenza (belonging without believing) , ovvero al riconoscimento di un legame nei confronti della tradizione cristiana assunta essenzialmente quale fattore di identità culturale?" Seppur il libro prende in considerazione la fascia d'età dei 20-30enni attuali, mi sento interpellata da queste domande come madre di ragazzi poco più "giovani" (16 e 18 anni). Mettendo da parte la logica seducente dell'accusa e della denuncia ("È colpa della scuola!"; "È colpa della società!") mi esamino nel mio compito educativo, cosciente che è un lavoro in corso. Il documento del Comitato per il progetto culturale della CEI per il secondo decennio del 2000 afferma che: " In una società come quella odierna l'attrattiva dei valori è inevitabilmente fragile perché, anche quando essi sono ancora idealmente conosciuti, sono sprovvisti di significato storico concreto e se vengono recepiti in modo astratto e immobile, sono incapaci di muovere l'esistenza e di promuovere nuova esperienza." Mi rendo conto come Esperienze di vita

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Risonanza nella vita ordinaria sia necessario calarci nelle loro realtà, vivendole, stando in ascolto, provocando, invitando, indirizzando… La testimonianza di una frequentazione della propria parrocchia di appartenenza, anche se a volte faticosa; la fedeltà ad alcuni segni espliciti che invitano ad "alzare gli occhi al Cielo", anche se a volte "fastidiosi"; la coerenza tra i valori annunciati e le scelte di vita, tanto più difficili, quanto più coinvolgenti (penso all'apparente banalità di aver deciso di non comprare la lavastoviglie o il più dirompente pellegrinaggio a Santiago…) sono solo semplici pennellate di un vissuto familiare. Non è possibile ridurre l'educazione a istruzione dottrinale (trasmissione di dati) o a puro addestramento (assunzione di comportamenti): è necessario mettersi in gioco! Del resto, don Armando Matteo è esplicito: "Ovviamente questi ragazzi e queste ragazze, questi giovani della "prima generazione incredula", non spuntano dal nulla. Si tratta, infatti, di una generazione cui nessuno ha narrato e testimoniato la forza, la bellezza, la rilevanza umana della fede; di una generazione che nessuno ha aiutato a sviluppare il senso della trascendenza, dell'invocazione, del desiderio, della creaturalità, della preghiera, della comunità." C'è e rimane sempre un gap tra ciò che noi abbiamo acquisito attraverso un serio percorso formativo e ciò che oggi i nostri ragazzi stanno recependo nei diversi ambienti da loro frequentati: la famiglia, cosciente oggi più che nel passato, che non può demandare al di fuori di essa il proprio compito educativo, diventa un laboratorio aperto al dialogo e al confronto dove la verità 18

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non è solo sapere COME si fa una cosa, ma anche il significato, il PERCHÈ si fa una cosa; il bene non è solo ciò che mi è utile, mi SERVE, ma è far si che la mia vita SERVA a qualcosa o a qualcuno, sia dedicata a qualcosa o a qualcuno; la bellezza non è solo ciò che mi emoziona, mi eccita, ma PERCEPIRE nella realtà delle cose, delle vicende e delle persone, la forma del PROGETTO DI DIO. Certo, il terreno su cui cade il seme da noi gettato può essere geneticamente più spinoso o sassoso o accogliente, in diversa misura… Per esempio, nella mia situazione, colgo come Paolo è più docile di Francesco e Francesco è più attento di Paolo, seppur cresciuti nello stesso campo familiare. Vero però è che ogni genitore deve fare la sua parte, fino in fondo ("li amò fino alla fine"), senza scappatoie: penso alle analisi sulla "società senza padri" e alle vivaci discussioni sul ruolo della donna "madre e/o lavoratrice". Mi consola e mi rafforza, oggi più di ieri, pensare alla mia consacrazione a Dio, non solo di me stessa, ma anche delle primizie di umanità che mi sono state affidate. Lo faccio attraverso la preghiera -come educare alla fede cristiana un figlio se preghiamo poco per lui?- , lo faccio attraverso l'azione, attraverso la quale la sua libertà si forma e matura proprio come prende forma e si impasta il pane per la consacrazione. Anche se don Matteo volge lo sguardo più alla comunità ecclesiale dando indicazioni pastorali concrete per "riaccendere" la fede nei giovani, per dargli orizzonti nuovi di vita vera, non tralascia di abbozzare piste per un'autentica conversione del mondo degli adulti, dell'intera società. Urgono "testimoni di


una vita dura, ma bella, faticosa, ricca di opportunità, fragile ma segnata da un brivido di eternità. Testimoni di un futuro possibile che possa illuminare e orientare il cammino presente. Testimoni di una speranza che possa accompagnare il sacrificio e la rinuncia che ogni progetto autentico impone". Ma come possibile tutto ciò? Ireos non si stancherà mai di ripetercelo: "Per poter realizzare la testimonianza cristiana ci è indispensabile una vita di preghiera che ci metta nelle braccia

del Signore, lasciandolo agire perché lui viva in noi." Così, per un genitore, come ho letto in bellissimo libro nella mia giovinezza, "è un vero onore e una gioia inesauribile l'essere mescolati con le cose di Dio, con un'opera che riguarda la realizzazione della creazione e la redenzione delle anime. Questa gioia ci basta: quella del servo, dell'amico dello sposo". Rossella Meneguzzo

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Intervista

Nel mondo del volontariato…

Continua la nostra inchiesta tra i fratelli e le sorelle impegnati, in quanto laici, nel sociale e in particolare in attività di volontariato, che vi chiediamo tra l'altro di segnalarci perché siano conosciute anche attraverso il giornale. L'intento non è di darne una visibilità fine a se stessa, ma se possibile di favorire un confronto e un'utile traccia per qualcun' altro che abbia voglia e possibilità d'impegnarsi per dar vita nelle nostre realtà locali a qualcosa di simile o anche di radicalmente nuovo e diverso. Questa volta abbiamo dato voce a Edoardo Censi e alla sua esperienza ventennale all'interno dell'Associazione Vivi Down, un impegno che è cominciato per lui qualche anno dopo la nascita di Davide, il primogenito, quando Edoardo e Lia, sua moglie, hanno saputo che il bimbo aveva la Sindrome di Down (SdD) o come si diceva allora era mongoloide. "Sul momento noi genitori, spaventati, non sapevamo nulla sulla SdD", racconta Edoardo, "ma per nostra fortuna un giovane papà dell'Oratorio che aveva una bimba con la stessa sindrome, saputa la mia condizione, mi ha e rassicurato raccontandomi la sua espe20

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rienza. Ho capito allora l'importanza di poter parlare con qualcuno che vive la tua stessa situazione e che ti ascolta". Oggi Davide, il loro figlio, è un uomo di 37 anni che si fa apprezzare per il suo carattere solare e affettuoso, si esprime molto attraverso la pittura e un uso del colore con il quale comunica una gioiosità interiore poco comune. Lavora partime in una cooperativa sociale, legatissimo alla sorella minore Angelica, e amato da chi ha l'occasione di conoscerlo. "Mettiamo i puntini sulle i", precisa Edoardo, "il merito è sopratutto di Lia, che da quando è nato ha rinunciato al lavoro per seguirlo nella riabilitazione e accompagnato dovunque perché potesse avere il meglio". Edoardo, la Vivi Down si è costituita nell'88 quando Davide era già adolescente… Sì io avevo fatto parte fino allora con altri genitori dell'ANFFAS, l'Associazione famiglie di fanciulli e adulti con disabilità intellettiva e relazionale, ma poi, grazie all'impegno di una madre e di un genetista, ce ne siamo staccati quando ci siamo resi conto che dovevamo capire e approfondire che cosa fosse la SdD, che dovevamo collegarci alla ricerca che in Francia con Lejeune era più avanzata che in Italia, e anche per garantire un'assistenza medica più adeguata e un futuro ai nostri figli. In effetti un tempo le persone con SdD non avevano una lunga aspettativa di vita…


Si è visto invece che, se curati adeguatamente, possono superare i sessant'anni e condurre una vita con una buona autonomia, anche se poi dipende da caso a caso. Oggi i genitori dei bambini si rivolgono alle UOMPIAASL, oltre che agli ospedali, per la riabilitazione e gli interventi medici, ma la caratteristica di Vivi Down è quella di tenere sotto controllo la salute dei nostri figli dalla nascita e per tutta la durata della vita. Che cosa significa in concreto? Che oggi possiamo contare su un'equipe medica specializzata che integra il lavoro dei medici di base e che visita almeno una volta l'anno i nostri ragazzi ed è al corrente della loro storia di salute. Considerate che noi siamo circa seicento soci ma che in Italia le associazioni come la nostra impegnate sulla SdD sono un'ottantina. Il problema dei nostri ragazzi è soprattutto quello che essendo dei disabili intellettivi non riescono facilmente a far capire a un dottore la loro sofferenza fisica, quindi le diagnosi mediche non sono facili, tanto è vero che a volte le persone con SdD sono visitate nei reparti pediatrici degli ospedali. In più di vent'anni chissà quante battaglie avrete fatto, oltre a quelle per la salute! In realtà sono poche le persone dell'associazione che possono mettere a disposizione del tempo ma cerchiamo di portare il nostro piccolo contributo tenendoci in collegamento con altre associazioni, facciamo circolare le informazioni e cerchiamo soprattutto di diffondere cultura. Che cosa intendi dire? Voglio dire che un individuo prima di

essere visto come un Down (o un disabile) va considerato come una persona, che si chiami Maria o Davide l'importante è che si capisca che ha i miei stessi sentimenti e diritti. I campi dove cerchiamo di essere presenti, o almeno informati, sono la scuola, il lavoro, il "dopo di noi" (cioè il loro futuro quando i genitori muoiono) e la conoscenza delle leggi. Perché è importante sapere di quest'Associazione e di altre che si occupano di disabili ? Sulla mia esperienza ribadisco che è importante sapere che ci sono gruppi di genitori attivi che si aiutano tra loro e sono disponibili ad aiutare, perché questo fa sentire meno soli e ci aiuta ad acquisire uno sguardo positivo con il quale affrontare la vita e il futuro. Personalmente poi ho fatto un'importante esperienza: arrivano giovani coppie che fin dalla gravidanza sanno che il figlio che nascerà avrà la SdD. Vogliono essere ascoltate, informate, rassicurate perché per loro si tratta di decidere se portare a termine la gravidanza o abortire. La nostra esperienza di genitori con figli ormai grandi e sereni li può aiutare in questa difficile scelta. Quando mi sono capitati questi casi, conoscendo il mio limite, ho affidato queste famiglie al Signore. A volte quando la vita ti costringe a esperienze particolari credo sia importante chiedere la forza per poterle vivere. Per finire con un sorriso vi lascio da leggere due storielle: Benvenuti in Olanda e Come Dio sceglie la mamma di un bambino Down. Spero che vi piacciano. (Si potrebbero lasciare con i caratteri in corsivo, con corpo più piccolo del testo, come fossero due immaginette, Esperienze di vita

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Riflessione due fotografie, due illustrazioni invece del logo dell'associazione, una in alto, l'altra in basso un po' di sbieco)

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Esperienze di vita


Un'anima cristiana per il mondo digitale

Per conoscere un territorio bisogna abitarlo, costruire relazioni ed essere disposti a fare spazio a nuove opportunità. Tutto questo implica di dedicare del tempo per capire le logiche che stanno dietro a certi meccanismi, per non cadere nel giudizio facile di chi, di fronte alla novità, non vuole approfondire perché "non conosce" e quindi la novità diventa automaticamente qualcosa di sbagliato. Il continente digitale costituisce un enorme potenziale di connessione, comunicazione e comprensione. La novità non è tanto lo strumento "internet" ma è il saper abitare questo territorio, dove il confine non è tecnologico ma umano: ha i volti delle persone, delle famiglie e delle comunità. Questo tempo è stato definito in vari modi, ma sicuramente un tratto assolutamente centrale, determinante nella sua definizione è l'importanza che vi hanno assunto le nuove tecnologie della comunicazione tanto che possiamo dire che ambiente sociale e ambiente mediale costituiscono le due

facce, le due dimensioni di una stessa realtà. E le nostre relazioni hanno sempre questi due caratteri, per cui le relazioni della vita quotidiana si intrecciano e si compenetrano con le relazioni che creiamo e manteniamo attraverso i media. L'uso della rete è diventato ormai parte integrale della nostra quotidianità. Dai ragazzi ai giovani, dagli adulti agli anziani, chi più chi meno fa uso del computer. È un dato di fatto confermato anche dalle ultime ricerche (Audiweb): in media navighiamo circa 1h 30' al giorno (i giovani dai 18-24 anni e gli adulti fino ai 35 anni quasi due ore). Non possiamo ignorare che questo trend, l'utilizzo della rete, in costante crescita ci pone di fronte a delle domande che chiedono risposte immediate. Come essere presenze credibili anche nel mondo digitale? Un territorio come quello digitale implica lo stare in un posto e dargli forma attraverso una testimonianza che molto spesso passa attraverso i contenuti creati dall'utente (User Generated Content). Tutto ciò ci responsabilizza sulla qualità delle relazioni e delle parole dette e scritte: essere presenti nel web senza disperdere l'identità cristiana (nuova alfabetizzazione). Non si tratta semplicemente di aggiornarsi o adeguarsi: occorre domandarsi come un cristiano deve abitare e può lasciare tracce autentiche nel mondo digitale. Per esempio progettando momenti di incontro, dialogo e ascolto. In tutto questo deve risaltare l'autenticità di quello che siamo. Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, ricoEsperienze di vita

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Testimonianza

noscerlo sulla base delle molteplici risposte che io ricevo. La testimonianza digitale diventa sempre di più un "rendere ragione della speranza" in un contesto in cui le ragioni si confrontano rapidamente. I media possono diventare fattori di umanizzazione "non solo quando, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono maggiori possibilità di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un'immagine della persona e del bene comune che ne rispetti le valenze universali" (Papa Benedetto XVI). Consapevoli delle opportunità offerte dalla rete e con l'intento di avere uno sguardo originale, anche il Piccolo Gruppo di Cristo intende dotarsi di un sito web che ci consenta di essere presenti nel mondo digitale in maniera intelligente, senza pretese ma con l'obiettivo far conoscere e far incontrare la nostra realtà attraverso uno strumento e un linguaggio coerenti con la nostra identità. Paolo Cattaneo

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Esperienze di vita


Sindone: un pellegrinaggio nel cuore della fede Nel maggio scorso la comunità del PGC ha visitato la sacra Sindone esposta a Torino. È stato un momento forte di preghiera e di esperienza del mistero "grande" dell'incarnazione, passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo. La scienza con i suoi strumenti o, forse, proprio per questo non riesce a sciogliere gli enigmi che accompagnano il Santo Telo. È la reliquia del lino dentro il quale fu avvolto il corpo martoriato di Gesù, oppure l'icona della crocifissione di un uomo morto in circostanze assolutamente simili a quelle di Gesù? È il falso eseguito da un artista geniale, che oltre ad un altissimo acume avrebbe dovuto possedere conoscenze e utilizzare strumenti che nel passato non esistevano? Non avremo mai la risposta almeno in questa dimensione della vita. Forse è proprio questo uno dei compiti educativi della Sindone: metterci di fronte al nostro limite, al limite della nostra intelligenza, della nostra capacità di descrizione e comprensione delle cose. Il dio scienza e i suoi sacerdoti, possessori della tecnologia, non trovano le risposte e anziché fermarsi davanti al suo mistero, balbettano spiegazioni semplificatorie e paradossali. È stato un pellegrinaggio, accompagnato dalla preghiera, per incontrare il Dio incarnato che si è caricato e continua a caricarsi sulla spalle il peccato di ognuno, in ogni generazione, per liberarci in ogni epoca dalla schiavitù della morte. I fratelli e le sorelle delle cinque comunità hanno ritrovato nel Gesù evangelico, rappresentato dalla Sindone, il

contenuto profondo della propria vocazione e le modalità concrete di manifestazione del carisma senza carismi: incarnare l'amore di Dio per ogni essere umano nelle pieghe della quotidianità, l'unico luogo in cui si esprime la continuità della vita e si può collaborare con Dio alla costruzione del Regno dell'amore. È stato anche, sulle orme di San Carlo Borromeo, un riscoprire il desiderio della conversione del cuore per una fede vissuta e non solo proclamata. San Carlo nei primi anni del suo servizio episcopale volle andare a visitare il Sacro Lino che era ancora a Chambery, nella cappella dei Savoia, guidando un pellegrinaggio a piedi di tutto il suo presbiterio, degli ordini religiosi e delle congregazioni laicali. Fu un percorso faticoso e accidentato e per questo i Savoia avvicinarono la Sindone a Torino, riducendo il cammino del popolo ambrosiano e da lì essa non fu più spostata. San Carlo era il Vescovo di Milano, che dopo molti anni finalmente si era trasferito nella città di cui era pastore, anziché guidarla da Roma come avevano fatto molti suoi predecessori; era il nobile nipote del Papa, che era entrato a Milano con decine di carri che contenevano il suo bagaglio personale e oltre cento servitori; era il Borromeo che a diciotto anni, già Cardinale, scriveva allo zio da Roma che le risorse di cui disponeva (40 servitori in livrea, ecc) non bastavano per garantire la dignità del suo lignaggio e chiedendo un adeguamento. Era colui che si era trasformato nel pastore, e che attraverso l'incontro con la SindoEsperienze di vita

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Segni di speranza

ne e il mistero che l'accompagnava voleva convertire se stesso e tutto il suo popolo. Dopo essersi spogliato delle vestigia e degli orpelli del mondo e del ruolo, dopo avere liquidato le proprie ricchezze mettendo il ricavato a disposizione dei poveri e avere attraversato con la sua chiesa la terribile esperienza della peste, San Carlo indica la via della Santità, che passa sempre e solo attraverso la conversione di un cuore che si trasforma da cuore di pietra in cuore di carne. Quest'anno la Diocesi Ambrosiana, indicherà per l'anno pastorale 20102011, la figura di San Carlo come modello di santità diffusa, percorribile da ogni battezzato. Una santità non

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costellata di atti eroici ma dalla continua esperienza della propria umanità abbracciata nella sua fragilità e consistenza. Esperienza che è possibile solo attraverso il rapporto intimo e confidenziale con il Signore, poiché solo se ci guardiamo con i suoi occhi, possiamo sopportare gli abissi del nostro animo. Sandro Venturoli


Le mie vacanze Questo è davvero un tempo in cui la parola "vacanze" circola con abbondanza ed è bello pensare che in tanti possano godere di questo momento per riposarsi, per gustare rapporti familiari spesso vissuti nella fretta e nel poco tempo lasciato durante l'anno dal lavoro e da impegni vari, per leggere qualche libro interessante, per lasciare libera la mente dagli affanni quotidiani e per riempirla anche di pensieri spirituali, per intensificare la relazione con il Signore. Quando penso alle mie "vacanze" passate riconosco di essere stata molto fortunata, soprattutto perché mi è stato dato di coniugare insieme affetti, amicizia, cultura, riposo, impegno verso i familiari e intensi momenti di silenzio esteriore e interiore, ricco di dialogo con Gesù. E adesso? Quali e come sono le mie vacanze? Sinceramente mi accorgo che sono molto cambiata e penso che anche la quotidianità "estiva", vissuta in modo diverso dal passato e come sono capace, ma mettendo sempre in primo piano chi ancora può avere bisogno di me, sia comunque e sempre un tempo di profonda ricchezza umana e spirituale. E mi resta il tempo per pensare alle mie "vacanze" future ed eterne, quelle che il Signore mi sta preparando. Certo non posso lasciare fare tutto a lui, ma mi devo sempre impegnare a preparare le "valigie" per il prossimo viaggio, devo pensare agli "abiti" che indosserò quando si apriranno per me le porte del "Grand hotel Paradiso". Mi verrà forse richiesto il biglietto d'entrata e sarà la mia vita a testimoniare che

ho cercato di acquistarlo: magari mi sarà fatto un piccolo sconto se mancherà qualche spicciolo! Però le cose vanno fatte seriamente, infatti il Signore ci dice "Ecco, io verrò presto porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere….[..]Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte dell'albero della vita e potranno entrare nelle porte della città". (Ap 22,12.14) Queste parole sono sempre un grande e impegnativo richiamo a vivere davvero secondo il Vangelo, per tentare di fare sempre la volontà di Dio e lasciare da parte la zavorra che rallenta il passo verso la santità. E poi, magari dopo un periodo d'attesa, poiché ci sarà certamente una grande fila di gente davanti a me e i controlli saranno severi, e certamente dovrò far rinfrescare i miei abiti passando per il Purgatorio, mi troverò nel posto più bello del mondo, accolta dagli angeli, dai parenti, dagli amici e da tanti sorridenti sconosciuti, ma soprattutto dal Padrone di casa e da una splendida Signora di nome Maria, cui mi sono affidata da tanto tempo. E come saranno queste vacanze eterne in un luogo atteso, ma ancora sconosciuto? Una volta ho sognato mio fratello Maurizio, già arrivato alla casa del Padre, e gli ho chiesto "Adesso che cosa fai?" e lui mi ha risposto: "Se tu sapessi…!". Ho capito che, anche se avesse tentato di spiegarmi che cosa succedeva dopo il passaggio, non avrei potuto capire veramente quello che scoprirò un giorno. Ma io mi fido delle parole dell'Apocalisse: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli

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Segni di speranza dimorerà tra loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (Ap 21, 3-4). Quando questo avverrà? Non mi è dato saperlo, ma certa dell'aiuto di Gesù, mio fratello, sposo e Dio atten-

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do, prego e mi preparo all'incontro, certa anche della fraterna e scambievole preghiera di tutto il PGC. Donatella


Il Signore ama chi dona con gioia Un articolo di Avvenire dello scorso aprile, a firma Elena Molinari, racconta che in America, nonostante la crisi, sono nati gruppi di grandi donatori felici. C'è ad esempio un sito Internet che si chiama "Boldergiving.com" che raccoglie una sessantina di grandi benefattori riuniti attorno alla "lega del 50 per cento", così si chiamano In altri termini queste persone ricche danno in beneficenza fino a metà del proprio patrimonio, o metà del proprio reddito per almeno tre anni. Non si tratta di "capitalisti" che hanno accumulato guadagni illeciti e a cui rimorde la coscienza, come verrebbe facile pensare. E neppure di qualche neoconvertito come Zaccheo nel Vangelo, o di chi voglia praticare la consuetudine evangelica della decima del proprio stipendio, anche se uno di questi gruppi si chiama proprio "100over100" e non è un caso che sia d'ispirazione religiosa. Chi ha studiato il fenomeno delle grandi donazioni, in aumento nonostante la recessione economica, sostiene che non è tanto la fede a determinare questa scelta di vivere in condizioni più modeste per dare il resto ai più poveri, ma il bisogno umano, solidaristico, di aiutare chi negli Stati Uniti non ha mezzi sufficienti per vivere, per studiare e per curarsi. Vivendo di fatto quella fratellanza universale che tante volte Ireos ci ha richiamato, ricordandoci che ogni uomo e figlio di Dio e che Dio ci chiederà conto dell'uso che abbiamo fatto dei beni che lui ci ha donato. Così facendo tra l'altro il donatore dà un senso oltre che alla vita di queste persone alla propria. Un uomo d'affari,

Robert Graham, ha sostenuto infatti a questo proposito: " ho smesso di accumulare per uno scopo che non vedevo e ho cominciato a investire nelle vite di persone che avevo davanti agli occhi. Alla fine ho scoperto che stavo investendo nella mia vita e in quella della mia famiglia". Queste notizie positive dall'America sono controbilanciate da una denuncia negativa che leggiamo nel messaggio finale del Convegno "Chiese strumen-

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In ascolto

to di pace?" che si è svolto a Milano il 2 giugno scorso. "…In Italia si annunciano grossi sacrifici e manovre miliardarie che riguardano riduzioni nello stato sociale. ...il governo italiano, coperto da grande silenzio, si è impegnato, con gli USA, nell'acquisto di 131 caccia bombardieri da guerra per una spesa di oltre 13 miliardi di euro…Sono troppo poche le comunità profetiche che praticano la pace, denunciano gli squilibri economici, riducono il consumo del pianeta promuovendo nuovi stili di vita". Il messaggio conclude con questo monito: "Con decisione, insieme, vogliamo convertire le nostre esistenze e le nostre Chiese al Dio di pace e di giustizia che ci è annunciato nell'evangelo". Se questo è l'invito è il caso di dire che per noi del Piccolo Gruppo di Cristo si tratta di un invito a nozze. Perché noi abbiamo attraverso il dono della consacrazione la scelta dei voti: .."sigillo di Dio in noi, umili frutti del nostro amore a Cristo, e mezzi per un liberante servizio a lui"(Articolo 5 Fedeltà). Tra i voti, noi emettiamo pro-

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prio il voto di povertà che secondo la nostra Costituzione " ci richiama a custodire e alimentare un retto uso e possesso dei beni materiali e ci impegna ad amministrare quelli personali con una fede che tenga conto dei doveri primari di giustizia e carità. Perciò ci contentiamo di avere quanto basta a vivere in operosa e popolare semplicità, per poter dare a chi non ne ha". (art.7 Povertà). Imbocchiamo quindi con più consapevolezza ( e lo dico per me), decisione e gioia questa strada che molto concretamente prevede tra l'altro quote che annualmente siamo chiamati a "dare in carità per le necessità dei poveri e della Chiesa e da dare in Comunità per le sue necessità e la sua carità". (art.7 PovertàRegolamento). Con la certezza che il Signore ama chi dona con gioia. Vilma Cazzulani


in redazione: Donatella Bergamini, Adriana Bertoni, Giorgio Casiraghi, Paolo Cattaneo, Rosanna Ceccattoni, Adriana Bertoni, Vilma Cazzulani, Antonio Ficara, Angela Gironi, Renato Rossi Progetto grafico: Francesca Ficara Impaginazione: Paolo Cattaneo, Antonio Ficara Redazione: via San Pietro 20 - 20033 Desio


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