EDV ESPERIENZE DI VITA
Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 154 - anno XXXIII | Aprile 2012
IL DOLORE
COME STRADA PER LA SPERANZA Abbracciare il dolore: via di salvezza e di speranza.
Le famiglie in cammino verso la Santa Pasqua.
A maggio la comunità in pellegrinaggio ad Assisi.
EDV
redazione
Sommario aprile 2012 EDITORIALE
COLLABORATORI Giovanni Cattaneo Luigi Crimella Michela Botta Rosalba Beatrice Paolo Cattaneo
Crisi economica. Dio ce ne chiederà conto
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Paolo Cattaneo MAIL piccologruppodicristo@gmail.com
pag.4
ATTUALITà Al sicuro tra le braccia del Padre
pag.6
L’ Amore senza maschere
pag.8
La fragilità vista con gli occhi di un prete
pag.10
Accanto ai malati terminali coltivando la speranza
pag.12
Se non avessimo avuto la fede
pag.14
Sostieni Signore la nostra famiglia
pag.17
ZOOM Nuove forme di vita consacrata tra tradizione e innovazione
N°154
RUBRICA
In questo numero affrontiamo il tema: la malattia come esperienza del dolore fisico, ma anche il dolore spirituale come cammino per arrivare alla speranza della fede, messa alla prova nella vocazione di ciascuno. Raccontiamo l’esperienza della sofferenza vissuta nel quotidiano, alla luce della speranza della nostra vocazione, del discernimento personale e comunitario.
Se lo vuoi Tu, lo voglio anch’io
info PGC
BACHECA
www.piccologruppo.it Piccolo Gruppo di Cristo Via San Pietro, 20 20832 Desio, MB Segreteria Telefono: (+39) 0362 621651 Fax: (+39) 0362 287322 Mail: piccolo.gruppo@tin.it
pag.18
pag.20
IN COMUNITà Li amò fino alla fine
pag.22
Portare la legna che serve per una fede robusta
pag.26
Pellegrino, lasciati condurre
pag.28
Le famiglie del mondo incontrano il Papa
pag.29
Il Piccolo Gruppo di Cristo al tempo di Internet
pag.30
Un mojito con il Signore
pag.33
Settima di comunità 2012 a Villabassa
pag.34
News dalla Comunità
pag.35
CrisiDioeconomica ce ne chiederà conto In questi ultimi anni la crisi economica e finanziaria che ha colpito il mondo occidentale sembra avere surclassato ogni altro argomento di discussione. Chiusure di aziende, perdita di posti di lavoro, trasferimenti di macchinari all’estero per produrre a più basso costo: sono fenomeni che colpiscono perché hanno ripercussioni gravi sulla vita di tante famiglie. Viene meno il reddito, ci sono gli “ammortizzatori sociali” ma non durano in eterno. Lo spettro della disoccupazione di lungo periodo per i più anziani, e della impossibilità di trovare un lavoro regolare per i più giovani è diventato nostro compagno di viaggio. Se poi aggiungiamo il rischio di “fallimento” di una nazione come la Grecia (o il Portogallo, o l’Irlanda, o anche l’Italia come si è temuto a fine anno 2011) allora abbiamo tanti buoni motivi per riflettere su cosa significhi oggi l’economia nella nostra vita. Ebbene, noi vogliamo farlo qui brevemente, partendo non da un dato “economico” in senso stretto, ma più semplicemente umano e spirituale. L’economia è il modo in cui gli uomini che lavorano insieme regolano i propri rapporti. Oggi è diventato un campo estremamente complesso, sempre più internazionalizzato, con problematiche che vanno molto al di sopra della conoscenza comune. Anche imprenditori e politici competenti e smaliziati
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non sono riusciti a far fronte alle crisi economiche del 2001, del 2008 e oggi a quella dei “debiti sovrani”! Sono cose molto grandi, talmente grandi che si muovono le istituzioni internazionali come si è visto per il salvataggio della Grecia, per il quale non è stato affatto semplice organizzare ricette credibili e accettabili da parte dei vari soggetti in campo. Noi proviamo invece a riflettere sulla crisi partendo da un altro punto di vista: il nostro apporto persona-
le alla creazione, grazie al lavoro di ciascuno di noi come risposta al dono della vita avuto da Dio e come nostro personale e originale contributo al perfezionamento del Creato. Da questa prospettiva tutto diventa più semplice: dovremmo essere invogliati a guardare al lavoro, al guadagno, alla carriera con umiltà, senza ambizioni sfrenate se non quelle lecite in un ambiente fraterno dove poter fare emergere i nostri requisiti e le nostre potenzialità.
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durre in una disposizione d’animo alla “povertà evangelica”, criterio non certamente contenuto nei libri di economia, bensì – appunto – nel Vangelo. In cosa si tradurrebbe oggi questa scelta? Nell’accettare i sacrifici che la grande crisi finanziaria mondiale sta producendo per tutti. Inoltre anche nel renderci consapevoli che forse dobbiamo entrare nell’ordine di idee che bisogna favorire la crescita delle economie dei Paesi più poveri, diminuendo un po’ lo stato di “affluenza” dei Paesi più ricchi: in breve, rinunciare noi a qualcosa perché i popoli poveri possano avere qualche soldo in più in tasca. Si tratta di un processo di grande redistribuzione della ricchezza che non può essere imposto ma che deve trovare, anzitutto nei cuori delle persone, lo spazio per potersi tradurre in scelte politiche ed economiche.
Se vista così, la “crisi” stessa appare meno nera. Infatti, non avendo una visione troppo autoreferenziale, nemmeno pretendiamo di essere sempre “al top” nelle prestazioni, nei guadagni, nel riconoscimento professionale! Ci basta un giusto compenso, una moderazione nei rapporti economici, una giusta propensione alla spesa che permetta al mercato di “girare”. Quando si parla oggi di “sobrietà” si intende probabilmente questa virtù di saper
accettare limitazioni che un tempo non erano gradite. Invece eccoci a far fronte a costi crescenti da ogni parte (benzina, tasse, Imu, ticket, prelievi fiscali vari ecc.) e quindi forzosamente dobbiamo rinunciare a qualche spesa voluttuaria, a qualche “lusso” cui ci eravamo magari inconsciamente abituati.
Soltanto se sapremo diventare “più poveri” noi per primi in vista di far diventare un po’ “più ricchi” i poveri che lo sono davvero, andremo incontro a una società fraterna dove la redistribuzione dei beni risponda davvero – come chiede il Papa – alla logica “del dono”. Altrimenti resteremo prigionieri della logica dell’egoismo e le urla dei poveri si alzeranno e troveranno ascolto alle orecchie di Dio, come ci dice la Scrittura. E allora non avremo scuse, perché il Signore ci chiederà conto del nostro operato, anche se magari avremo vissuto e agito illudendoci di giudicare con linearità di coscienza. In tal caso ci sarà mancato l’amore e la lungimiranza necessarie per portare un progressivo equilibrio nella distribuzione dei beni tra gli uomini e Dio ci porrà domande di fuoco a cui difficilmente sapremo trovare risposte in linea con la sua Parola. EDV
Da un punto di vista cristiano, questa propensione alla vita semplice, frugale si può ulteriormente tra-
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AL SICURO
TRA LE BRACCIA DEL PADRE
Giancarlo Bassanini (nella foto qui a lato), imprenditore, vive con la sua famiglia a Valera Fratta (Lodi). Attuale Responsabile Generale del Piccolo Gruppo di Cristo, eletto nell’aprile 2008.Il mese successivo gli viene diagnosticato un cancro all’intestino tenue. Partendo da quell’epifania, Giancarlo racconta il suo rapporto con la malattia, la vicinanza della sua famiglia, l’esperienza di intimità con il Signore della vita. Cosa hai pensato dopo che i medici ti hanno informato della malattia? Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe avvenuto se avessi saputo in anticipo di essere portatore di quella patologia, prima del congresso in cui sono stato indicato alla guida del Piccolo Gruppo di Cristo. Conosciuta la diagnosi ho subito pensato: se il Signore ha permesso questo è certamente per il mio bene. Come hai vissuto i primi mesi? Prima di partire per la settimana aspiranti 2008 (esperienza di condivisione e vacanza rivolta alle persone che si avvicinano alla spiritualità di questa comunità, ndr) mi sono sottoposto per la prima volta ad un cocktail di farmaci. Di giorno tutto procedeva normalmente, ma
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di notte ero avvolto da forti e continue vampate di calore. Ne ha fatto le spese Mauro (il precedente Responsabile Generale, ndr) col quale condividevo la stanza. Lasciavo le finestre aperte in cerca di refrigerio, ma lui costretto a dormire in mezzo alla corrente d’aria prese subito raffreddore e tosse. Personalmente pensavo si trattasse di clima caldo, in realtà era la reazione del mio fisico alle nuove pesanti cure. Quelle notti non furono proprio quello che ci si aspetta dopo aver trascorso giornate impegnative con frequenti colloqui. Terminata la settimana raggiunsi mia moglie per un periodo di riposo in montagna. Come hanno inciso le tue difficoltà fisiche nei rapporti familiari? Cominciai a stare molto male, il giorno precedente la festa della Madonna Assunta in cui dovetti fare un passaggio ospedaliero a Milano. Mi volevano trattenere, mi opposi per non rovinare le vacanze ai miei familiari. Rischiai un’occlusione intestinale che per fortuna si risolse spontaneamente con delle flebo. Dopo pochi giorni che non mangiavo e non riuscivo neppure a bere mi sentii molto debilitato e i medici mi trovarono disidratato. Le vacanze le trascorsi uscendo solo per andare a Messa e per ricevere la santa Comunione.
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E poi venne il momento dell’intervento chirurgico… Il 14 novembre 2008 venni operato, mi fu asportato un tratto di 120 cm. di intestino e dopo sette ore di intervento e 42 punti nella pancia fui ricondotto in camera. Al risveglio trovai tutti i miei cari attorno al mio capezzale. I loro volti mi apparivano pieni di trepidazione. Pensai che la mia fine fosse imminente, ma mi sentivo sereno perché il Signore era con me e non mi aveva mai abbandonato, neppure per un istante.
Prima di entrare in ospedale andai dal mio confessore e feci una confessione straordinaria, poi gli chiesi di darmi l’unzione dei malati. Fu un’esperienza stupenda. Mi abbandonai fra le sue braccia senza timore. Ricordo che il mio confessore mi chiese se provavo paura, ma io gli risposi di no ! Mi sentivo proprio sicuro fra le sue braccia. … e il periodo della riabilitazione. Seguirono giorni di sofferenza, ma
più che la sofferenza fisica soffrivo per il Gruppo che mi era stato affidato. Il Signore mi faceva vedere quante cose in me e nella comunità non andavano bene. Gli offrivo le mie sofferenze in compartecipazione a ciò che mancava alle sue. Ringrazio il Signore che mi ha unito a sé. In precedenza avevo potuto accompagnare Manuela - affetta da una patologia simile alla mia, ma più grave - al punto da condurla a 37 anni alla casa del Padre (il ricordo di Manuela nelle parole di suo marito Eugenio, nell’intervista a pagina 8). La sua testimonianza mi ha sempre accompagnato. Come si convive con l’incertezza sul domani? Il Signore guida da lontano i nostri passi. Ora conduco una esistenza buona, avverto il senso della mia precarietà, a volte sento che questo corpo lentamente va disfacendosi eppure sono sicuro di andare verso la pienezza della vita. Ogni giorno, quando non sono ingrato, ringrazio il Signore per lo stupendo dono della vita e lo ringrazio per il dono immeritato di poterla contemplare nel suo dispiegarsi di albe e tramonti. Ci avviciniamo al tempo pasquale, come vivi questo periodo? Al Signore della vita rendo grazie per l’esperienza di vicinanza che mi ha concesso di vivere. Sovente sento la nostalgia di quella presenza così esaustiva dentro di me. La vita eterna sarà questo vivere Lui dentro di me ed io totalmente dentro di Lui. La sofferenza e la croce sono il preludio per giungere alla Pasqua di risurrezione. G.C.
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L’AMORE
SENZA MASCHERE
Eugenio Bardini (nella foto qui a lato), papà di Alessandro e Nikolai, sposo di Manuela. Impiegato dell’Enel, 46 anni, vive a Treviso. Con sua moglie ha condiviso gioie e sofferenze di un cammino vocazionale ricco di prove e testimonianze di fede. Dopo la morte di Alessandro – affetto da gravi patologie congenite - un’altra prova attendeva la famiglia Bardini: nel 2007 Manuela è salita alla casa del Padre al termine di un percorso di malattia e discernimento che ha illuminato l’esistenza di chi è stato loro accanto in quel periodo. Eugenio è tornato a riflettere su quell’esperienza, accettando di raccontarne il senso e la profezia. Cosa ha rappresentato per te l’esperienza della malattia in famiglia? L’esperienza della malattia, della disabilità e del limite fisico è entrata di prepotenza nella nostra vita di coppia con l’arrivo di Alessandro. Alessandro è stato un angelo santo che il Signore ci ha mandato per aprirci a tutto ciò che va oltre la nostra dimensione materiale, umana. La sua presenza, luminosa, invitava a guardare più in là, a scrutare il mondo spirituale alzando lo sguardo a Dio. Abbiamo sofferto, fatto fatica a capire perché proprio a noi un bambino speciale, ma l’amore è
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prevalso con prepotenza. Come avete vissuto quel periodo? Manuela stando accanto ad Alessandro ha dato il meglio di sé. La malattia di nostro figlio, i suoi silenzi, la fatica di sentire i suoi lamenti quando stava male. In mezzo a tutto questo c’era la pretesa di Manuela che innanzitutto io, ma anche tutti i nostri familiari, imparassimo a gestire Alessandro. Provengo da una famiglia molto tradizionale, mio padre era poco presente, non era previsto che fosse l’uomo di casa a cambiare i pannolini. Ma tutto questo ha costruito solide fondamenta per le nostre relazioni. Gestire Alessandro non era semplice: era un bambino tracheostomizzato, alimentato con un sondino, ci siamo riusciti ed il merito è tutto di Manuela e del Signore. Da qualche parte dentro di noi si ha sempre paura che accada qualcosa di negativo a chi ci è più caro. Come hai vissuto i primi momenti della malattia di Manuela? E’ vero, abbiamo paura che accada qualcosa a chi amiamo di più. Ma questa paura non ci ha mai bloccato, al contrario, malgrado lo stato fisico di Alessandro prima e Manuela poi, abbiamo fatto veramente di tutto. La malattia di Manuela è stata la svolta della nostra fede. Stando accanto ad Alessandro abbiamo ini-
ziato a capire che dovevamo fidarci di Dio; con la malattia di Manuela il Signore ci ha detto che vuole tutto di noi, ci ha fatto entrare in una realtà di amore senza maschere. Cosa comporta per i ritmi familiari la presenza di una persona che soffre? I primi momenti sono sempre e comunque di speranza, di fiducia in Dio e nelle capacità della scienza. Quando la malattia è tornata, dopo due anni, in quel momento abbiamo capito che ci dovevamo preparare ad un passaggio del cuore molto più alto. I ritmi calano quando accompagni persone ammalate. Tuttavia c’è una bellissima frase di Manuela che è proprio adatta per questi momenti in cui ti sembra di essere impotente: “nel camminare piano o con il bastone, c’è di bello che spesso ti puoi sedere con Gesù”. La parola “speranza” ha assunto un senso nuovo? Assume un significato più ampio, diventa “occhi rivolti verso il cielo”, speranza di dimorare per sempre in Dio. C’è un ricordo particolare del periodo in cui ti sei sentito maggiormente vulnerabile? Non ho ricordi di momenti particolarmente faticosi è questo ho sempre pensato fosse il frutto di tutte le persone che pregavano per noi.
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Mi ricordo che un giorno Francesco Corda disse scherzosamente a Manuela: “Non è possibile, la comunità prega più per te che per il Responsabile Generale”. E penso fosse proprio la verità! Come è cambiato, se è cambiato, il tuo rapporto con il Signore? La malattia di Manuela mi ha fatto dire: “Signore, adesso o ti credo veramente o ti rinnego”. E poi siamo entrati nel Piccolo Gruppo di Cristo. Non l’avrei mai fatto senza Manuela, non riuscivo a vedermi in cammino senza la mia sposa. L’esperienza in questa comunità ti ha aiutato in passaggi così impegnativi sul piano emotivo e spirituale? È stato il grande dono di Gesù per il nostro cammino spirituale. Il sì più vero è stato quello al Signore
attraverso il Piccolo Gruppo. Non sappiamo cosa significhi fino in fondo ma siamo stati chiamati ad affidarci, a percorrere la prova con la preghiera di tutti e la vicinanza di alcune persone speciali della cui presenza ringrazio sempre il Signore. Lucia, Giancarlo e tanti fratelli del Piccolo Gruppo e della comunità parrocchiale. C’è un brano della Scrittura a cui ti sei particolarmente affezionato alla luce dell’esperienza di dolore che stavi attraversando? Mi ricordo spesso le parole di Gesù durante la lavanda dei piedi “Se dunque io, il Signore ed il Maestro, ho lavato i vostri piedi anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Sento che il mio essere cristiano, sposo, consacrato si consolida in questa frase. L’amore di chi si mette a lavare i piedi dei fratelli è l’amore
di Gesù, dobbiamo seguire l’esempio del nostro maestro soprattutto all’interno della nostra comunità per testimoniare il bene che ci vogliamo. C’è un’invocazione a Dio che ti accompagna ogni giorno? E’ una frase di San Giovanni Crisostomo che penso mi resterà stampata nel cuore, è il frutto spirituale che mi hanno lasciato Alessandro e Manuela: “Quanto più grande è il sacrificio tanto più abbondante è la grazia che santifica”. G.C.
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LA FRAGILITà
VISTA CON GLI OCCHI
DI UN PRETE “Hai mutato il mio dolore in danza e il mio vestito di sacco in abito di gioia” (salmo29).
delle fragilità ai giorni nostri. C’è una gara al lamento di un’insoddisfazione che sembra toccare tutti. Perché questo lamento direi continuo, queste insoddisfazioni, queste fragilità?
Desidero innanzitutto ricordare in questo luogo che non sono nè uno psicologo, né un teologo, né un opinionista: sono un prete che dagli inizi degli anni ’90 accompagna uomini e donne giovani o più avanti degli anni, nelle loro fragilità, nei loro fallimenti, cercando di gestire i propri.
Mi torna in mente che già nel primo patto la storia della salvezza inizia con il fallimento di Dio, (Gen.3) e poi ha capitoli che puntualmente ripropongono questo tema scandaloso... quando il fallimento tocca il giusto come il profeta o un re come Giosia. Per non parlare della tragedia dell’esilio….. di molti salmi, di molte preghiere della Chiesa. La stessa figura dell’Addolorata nelle Deposizioni è figura di una grande fragilità e sconfitta.
Di fragilità ne ho incontrate tante: di chi ha subito un lutto e sente il doloroso e drammatico strappo della scomparsa di una persona cara, di chi ha subito il dramma di una separazione, di chi sta portando il peso di una grave malattia o di un male incurabile, di chi non riesce a maturare, di chi non sa gestire il proprio presente, di chi non sa e non riesce ad assumersi delle responsabilità, di chi ha perso il posto di lavoro e non riesce a trovarne un altro, di chi vive sempre tra mille conflitti, di chi vive il dramma della solitudine (quanti anziani!), di chi vive alla soglia dell’indigenza o già in povertà, ecc. Potrei continuare purtroppo con un elenco ancora più lungo. Quante fragilità nella vita di tutti e di ciascuno, mi verrebbe da chiedere chi non ne ha? C’è una liturgia
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Io non sento di avere una definizione pratica capace di disegnare bene il volto triste di questa realtà, senza confonderla con le crisi normali o il disagio normale. A me piace un’immagine della incrodatura, immagine alpinistica quando si è nella situazione di non poter più procedere né tornare indietro. E facendo un bilancio ci si sente come vinti. Le fragilità hanno il volto della depressione, dell’indifferenza, del cinismo, dell’angoscia, della paralisi sconfortata, dell’amarezza che accusa e si autoaffonda e dell’evasione per sopravvivere. Forse si potrebbe ricondurre queste esperienze negative a un personaggio concreto come Giobbe: è dunque più facile alludere
IL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA
a situazioni o personaggi che dare definizioni. E Dio in queste situazioni che spazio ha? Mi torna in mente la lezione di Bonhoeffer. Dio non va evocato come un tappabuchi, tamponando le nostre fragilità. “Se vi è uno spazio per Dio, questo va dunque ricercato al centro della vita e non al margine di essa”. Un aspetto che ritengo importante è che tante volte c’è il rischio grande di negare le fragilità e i fallimenti. Si deve iniziare riconoscendo con lealtà, limpidezza ed onestà le proprie ferite: senza fingere, minimizzare o... respingere su altri le proprie situazioni negative. A volte vedere in se stessi alcune emozioni impensabili... sconcerta. (Paura, disgusto, odio, rabbia, voglia di scomparire…). E’ importante a mio avviso imparare a fare i conti con le proprie emozioni. E’ tendenza diffusa quella di esportarli, come fossero conseguenza di un contagio subito da altri. E’ importante capire
le proprie emozioni e da quali esperienze derivano. E’ importante saper riconoscere le proprie fragilità e non ripetere gli errori che si possono fare. E’ importante apprezzare i frutti che nascono dai fallimenti. In queste situazioni far crescere in se stessi la resilienza che è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. E’ la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità. Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. La fede e la fiducia in Dio quanto possono in queste situazioni! Per me né successo, né fallimento sono nomi di Dio. Sarà l’esperienza quotidiana della Parola a provocare sulla strada di Emmaus il cambiamento del cuore, divenuto ardente, ed il ritorno alla vita. Partire dalla Parola di Dio, perché solo in essa possiamo rilanciare quei processi vitali che le fragilità e le sconfitte tendono a bloccare. Solo
Lui può trasfigurare e rigenerarci: perciò crediamo nella forza trasfigurante della Sua vicinanza (pensiamo alla Trasfigurazione!). La Parola riabilita quando ci si sente finiti, consola quando si è nella desolazione, illumina le tenebre della sconfitta e ci chiama ad una condivisione della Sua vicenda Pasquale, come sicura ed estrema risorsa perché la sconfitta sia luogo di fecondità e di bellezza. “Qualunque cosa faccia di me, io ti ringrazio”, pregava in sostanza fr. Charles de Foucauld. Come Lui molti giusti hanno trovato nell’abbandono la chance che ha fatto vivere la crisi come opportunità. Volere la volontà di Dio, vivendola in una comunione amorosa, affettiva ed effettiva. Perciò la mia esperienza mi porta ad affermare che la risposta a queste situazioni non è l’evasione o l’iperattivismo, non la disperazione ma la perseveranza della fede, l’invocazione, il lavoro, il saper rimanere nelle situazioni, anche patendo. E vigilare nelle situazioni attenti ai cenni di Dio e ai suoi passaggi, che guariscono. Mi piace terminare con un pensiero di S. Giovanni della Croce che parla dell’anima che vuole vivere la Grazia dell’incontro con Lui. Egli la guida nelle purificazioni, anche le più notturne, per far uscire l’uomo da se stesso e liberare in Lui la gioia. Dio non si rassegna a ciò che abbrutisce l’uomo e, nella sua fedeltà, ne ha cura. Don Pierpaolo Felicolo Membro della Fraternità del P.G.C. a Roma Direttore Ufficio per la Pastorale delle Migrazioni della Diocesi di Roma e della Regione Lazio (nella foto a pag.10)
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ACCANTO AI MALATI TERMINALI COLTIVANDO LA SPERANZA
L’attività professionale in un hospice, i drammi, le cure, le emozioni: parla un’infermiera Davanti e accanto, come professione, alla fragilità estrema: è la vita di Lucia Nicolao (nella foto qui a lato), di Treviso, 53 anni di età e infermiera da 31 anni. Il suo primo lavoro è stato all’Istituto Tumori di Milano, dove è rimasta 3 anni e dove – ricorda – “mi trovai ad accompagnare alla morte anche giovani di 16-30 anni. Questo mi segnò molto e compresi che, se il malato non poteva sperare di guarire, io volevo spendere la mia professione per aiutarlo a morire con dignità”. Dopo questi primi impegnativi anni di attività professionale, Lucia è tornata a Treviso, sua città di origine. “Prima di riuscire a concretizzare questo ‘sogno’, - ricorda - dovetti lavorare in ospedale per altri 7 anni. Nel 1991, quindi più di 20 anni fa, iniziai a interessarmi di assistenza domiciliare e ho assistito molte persone, che sono poi serenamente spirate nelle loro case, con i propri affetti. Sette anni fa – Lucia prosegue nella sua breve auto-presentazione - ho iniziato l’avventura di lavorare solo con malati terminali, ricoverati in hospice, che è una struttura sanitaria che cerca di ripettare pienamente la dignità delle persone”. Quella che segue è l’intervista a Lucia per cercare di capire da lei cosa significhi “lavorare” accanto a chi sta per morire.
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Una prima domanda “brutale”: come riesci a lavorare accanto e per i malati terminali? Lavorando accanto e per il malato terminale, ricevo dalla loro debolezza fisica tanta forza interiore: i loro volti mi mostrano il volto sofferente di Gesù sulla croce, che chiede di essere accolto e amato. Come ti guardano, come li guardi? Ti guardano in profondità, ti leggono dentro, se tu li guardi con verità e non hai paura di loro. In base a come si sentono guardati (con amore, con distacco o con espressione giudicante...), a loro volta ti prendono come interlocuotre privilegiato o tendono a rifiutarti. La parola “speranza” ha senso nel tuo specifico lavoro? Oppure è una parola assente? Certo che ha senso... intanto,la speranza umana non va mai tolta, se la persona non è pronta a morire. E poi, va ascoltato l’anelito di chi, da cristiano, nutre la speranza di una vita più grande e bella di quella terrena. Ritieni che la scienza abbia fatto reali passi avanti nella cura di “quelle” malattie che non perdonano? Certamente! Ora alcune tipologie di tumori sono molto più curabili e anche guaribili, rispetto a 20-30 anni fa. Purtroppo per alcuni tumo-
ri, fin dalla diagnosi, si può dire che la prognosi sarà breve, esattamente come 30 anni fa. E questi non sono pochi, forse sono in aumento..tanto più le persone che si ammalano sono giovani, più è alto il rischio di prognosi breve, per i tumori molto aggressivi. Ci descrivi brevemente una tua giornata di lavoro? Io da sette anni non faccio più l’infermiera a turni, ma sono responsabile del personale di un reparto di 12 posti letto (un hospice), e quindi seguo e coordino gli infermieri nello svolgimento del loro lavoro. Sono responsabile di come lavorano, cerco di favorire un clima di collaborazione serena fra di loro, programmo i loro turni di presenza, ordino i farmaci di cui necessitano... Certo, conosco personalmente i malati e le loro famiglie, dedico del tempo anche alla relazione con loro. Ti fai “contagiare” dal dolore o dall’angoscia della persona che hai davanti? Cerco di non farlo, perchè so che è deleterio e non la aiuterei più. A volte però l’emozione che mi arriva da lei è troppo grande e mantenere un mio equilibrio sereno e distaccato non è facile. Parlate mai di Dio, del futuro, dell’aldilà, della morte e risurrezione? Certo, mi è capitato tante volte; se
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la persona è credente, coglie in me un’apertura al dialogo su questi temi e quindi facilmente mi comunica questi aspetti del suo credo. Se però non prende l’iniziativa lei...non è facile che mi senta spontaneamente di farlo io, per rispetto alla sua sensibilità. Diciamo che, nella relazione di prossimità con il malato che soffre, io da persona che appartiene al Signore, desidero cercare di avvicinarla a Lui, di offrirle il dono del suo amore, attraverso i gesti della mia cura. Il fatto di far parte del PGC ti ha aiutata in questo lavoro così difficile sul piano emotivo e spirituale? Sicuramente, perchè l’essere del Signore e cercare di vivere la giornata in Lui, aiuta tanto a sentirsi strumenti e non protagonisti del nostro operato. Il Salvatore è il Signore, noi solo piccoli segni del Suo amore. Cosa ne pensi dell’eutanasia e del cosiddetto “accanimento terapeutico”? Entrambi sono estremi da riconoscere (e spesso non è facile) e quindi da evitare. Nel nostro settore, raramente i malati chiedono l’eutanasia, se sono ben curati, ma a volte la chiedono perchè sono soli e disperati. L’accanimento terapeutico purtroppo è tanto diffuso dalle politiche sanitarie ospedaliere e da cristiani dobbiamo avere più coraggio per contrastarlo. L’insegnamento della Chiesa circa la malattia e la “morte naturale” appare ragionevole agli occhi dei tuoi colleghi? Oppure ci sono prevenzioni e pregiudizi duri a morire? Nel nostro ambiente è molto chiaro il concetto di ‘morte naturale’ e tutta l’equipe di lavoro si adopera in questo. Desidero specificare che nella mia Associazione, che si chiama ADVAR, nata 24 anni fa come realtà di cura e assistenza del malato terminale, basata sui criteri della
laicità e aconfessionalità, il valore della morte naturale fa parte del suo statuto. Ti è mai capitato di riuscire a “convertire” un malato terminale che magari aveva vissuto lontano da Dio per tutta la vita? Sinceramente questo no; specifico che per malato terminale intendo la persona che ha davanti a sé circa 20 giorni di vita. Questo percorso di dialogo, di incontro è auspicabile che si apra prima del periodo della terminalità. Potrei aggiungere che, secondo la mia esperienza, si arriva alla fine con il proprio bagaglio di vita, nel bene e nel male. E quando il bagaglio è appesantito da tante rotture umane, divisioni, solitudini che hanno segnato la sua storia, lì chi lo assiste, se cristiano, in punto di morte è bene che lo affidi alla misericordia di Dio. Ti sembra che nel futuro ci sarà maggiore bisogno di figure come la tua nel campo sanitario?
Senz’altro! Dipenderà dalle politiche sanitarie, da quanto si vorrà investire in soldi pubblici per assistere con dignità il malato grave vicino alla morte. Ultima domanda: come ti rivolgi a Dio, avendo nel cuore tante persone morenti: riesci a dirgli comunque grazie per il dono della vita o, qualche volta, ti sei ribellata al suo volere e al mistero della malattia? Certo che esprimo al Signore il grazie per il dono della vita, perchè penso alla mia vita, fortunata nell’essere in salute e gli chiedo di aiutare con la Sua grazia i malati che soffrono tanto e per i quali noi possiamo fare in fondo così poco. Mi è successo tante volte, in casi di persone giovani (madri o padri vicini alla morte che lasciano figli piccoli), di essere arrabbiata con Dio e gliel’ho detto in preghiera, anche con le lacrime. L.C.
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Se non avessimo avuto
la fede …
La testimonianza di una famiglia alle prese con gravi malattie degli anziani genitori psicologico e anche fisico di quella portata. Come dice il Salmo 123: ”Se il Signore non fosse stato con noi – lo dica Israele - quando ci assalirono, ci avrebbero inghiottiti vivi…”. Programmi che “saltano”
Era l’estate del 1998 quando la mamma di Umberto cominciò a mostrare i primi sintomi della lentissima forma di Alzheimer che tuttora la affligge: per la nostra giovane famiglia, che fino allora aveva contato sul supporto dei genitori, era solo l’inizio di un periodo molto lungo di accompagnamento nella malattia e nella sofferenza. In questi quattordici anni abbiamo infatti dovuto affrontare, sommando le patologie di tutti e quattro i genitori, due tumori alla prostata, un infarto, un’altra forma di demenza senile, un tumore all’intestino inoperabile con metastasi e la degenerazione di un’insufficienza renale cronica fino alla dialisi, per non contare piccoli interventi come cataratte, ernie, ecc. Sempre coinvolti in prima persona perché purtroppo Umberto è figlio unico, altri parenti non c’erano, e il fratello di Cinzia, pur vivendo con i genitori e quindi assicurando sul fronte pratico la massima collabora-
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zione, non si trova a suo agio nell’interagire con i medici. Contemporaneamente i nostri figli, Andrea e Chiara, hanno compiuto il delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza e perciò abbiamo sperimentato il cosiddetto ‘effetto sandwich’, cioè quella situazione in cui la coppia adulta si trova ‘schiacciata’ tra i problemi dei genitori anziani e quelli dei figli in crescita. La nostra presenza era spesso richiesta su più fronti, con problematiche assolutamente diverse tra genitori e bambini, che però in qualche modo a volte dovevamo intrecciare; inoltre le reazioni alla malattia variavano molto a seconda del carattere delle persone, quindi anche noi dovevamo modulare di conseguenza i nostri interventi. Di una cosa siamo certi: se non avessimo avuto la fede, se non avessimo vissuto nella fiducia che il Signore ci accompagnava, non avremmo retto ad uno stress
La prima cosa che è ‘saltata’ sono stati i nostri programmi di vita: una simile situazione ci ha imposto scelte anche molto difficili sul piano familiare e lavorativo. Abbiamo rinunciato al progetto di un terzo figlio: non sappiamo se siamo stati troppo prudenti; ma di certo abbiamo dovuto fare il conto con le nostre forze, che non sono eccezionali, e con i nostri limiti umani. Cinzia ha fatto una scelta lavorativa penalizzante sotto il profilo professionale, retributivo e contributivo, pur di mantenere quell’elasticità che permettesse di curare adeguatamente i figli e di essere vicina ai genitori nelle loro necessità; anche Umberto per lunghi periodi ha accantonato progetti di buona riuscita professionale ad esempio per assistere il papà durante la chemioterapia. Per non parlare di spazi di svago e divertimento di fatto quasi inesistenti e di vacanze col fiato sospeso, mai troppo lontani da casa e sempre pronti a correre indietro per emergenze o semplicemente per offrire un po’ di sollievo, o ancora, organizzare i turni con il fratello di Cinzia per consentire anche ai genitori di
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andare in villeggiatura accompagnati. Naturalmente ci siamo fatti aiutare da badanti e colf, perché non siamo degli autolesionisti, ma non in tutti i casi era possibile e, comunque, la responsabilità principale rimaneva sulle nostre spalle. In pratica abbiamo sperimentato che “ i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is. 55,8) e sentito sulla nostra pelle quella ‘distanza’ tra i nostri progetti e quelli che il Signore ci consegnava nella nostra vita concreta, “quanto il cielo sovrasta la terra così le mie vie sovrastano le vostre vie”.
ficazione dalla vanagloria di certi ideali (anche se apparentemente buoni come quello della ‘famiglia impegnata’) e della buona riuscita dei nostri sforzi; parallelamente questa esperienza ci ha insegnato a farci servi per amore, a riconoscere i nostri limiti e ad accettarci con maggior compassione anche nel rapporto di coppia. Una figura che ci ha spesso ispirati era quella del Cireneo: la croce (sofferenza fisica, malattia) non era la nostra, ma eravamo chiamati ad aiutare a portarla per chi da solo non ce l’avrebbe fatta, accantonando il nostro daffare e la nostra stanchezza per condividere il dolore dell’altro. Anche se sapevamo che non c’era via d’uscita, né possibile miglioramento ma, nella migliore delle ipotesi, un mantenimento per un certo periodo della situazione.
La nostra obbedienza è quindi stata innanzitutto alla nostra storia sacra, così come si dipanava, prima ancora che alla Costituzione del Piccolo Gruppo. Così anche noi abbiamo cercato di imparare l’obbedienza dalle cose che abbiamo patito, anche se certamente la nostra risposta non è stata docile come quella di
Dio ci ha fatto sperimentare largamente il “lavora e prega, senza Gesù: quante resistenze, quanta arrabbiature con Dio… Però speriamo di essere riusciti con la Sua Grazia ad andare a lavorare nel suo campo, nostro malgrado, quasi tutte le volte che ce lo ha chiesto. E ora siamo più disponibili ad accettare gli inconvenienti che si presentano sul cammino, non solo per buona educazione. Cammino di purificazione Non siamo stati degli eroi perché in mezzo a questa situazione abbiamo commesso molti errori e sono emersi gli aspetti peggiori del nostro carattere, ma in tutto questo ci siamo affidati e ci affidiamo alla misericordia del Signore che tutto copre e perdona e sa scrivere diritto sulle nostre righe storte. Ed ora che alcuni dei nostri cari sono in Cielo possiamo confidare anche sul loro sguardo misericordioso e sono loro che ora di nuovo sostengono noi. Di certo è stato un cammino di puri-
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pretendere nessuna ricompensa”: cercando di rimanere fedeli alla regola di preghiera del Piccolo Gruppo e anche a incontri, ritiri ed esercizi (anche se nell’anno più critico il responsabile aveva eccezionalmente esonerato Umberto dai nuclei per non minarne la salute), ci è stato possibile continuare l’impegno con ben poche gratificazioni. Purtroppo la mamma di Umberto ha infatti sempre negato la propria malattia imputando a noi tutti i disagi che gliene derivavano, spesso con grande astio. In quei casi anche se con grande difficoltà cercavamo di ricordare la Scrittura “Se tuo padre/ tua madre perdesse il senno, non disprezzarla”. Con lei, a causa di alcuni preconcetti, ma anche per via della malattia, non è stato possibile fare un preciso percorso di accompagnamento spirituale, però ha sempre accettato alcuni gesti come il segnarsi con l’acqua di Lourdes oppure berne qualche goccia. Inoltre, grazie al nostro parroco, che ci ha dato uno speciale permesso per amministrare l’Eucarestia ai nostri genitori infermi, le abbiamo sempre assicurato la Comunione festiva, quando non era possibile altrimenti, come già facevamo con il papà di Umberto e poi con la mamma di
Cinzia. Il papà di Umberto era di carattere più dolce e docile, aveva una fede semplice ma serena e sapeva mostrare affetto e gratitudine, ma da un certo punto in poi gli divenne estremamente difficile parlare e comprendere i discorsi, quindi non ci restò che affidarlo. La mamma di Cinzia è passata dal rifiuto della vecchiaia e dal concepire la malattia come ‘castigo’ di Dio ad un graduale percorso di affidamento, attraverso un’intensificazione della preghiera, sua, della nostra famiglia e di alcuni amici e fratelli del Piccolo Gruppo. Per lei, come già per il papà di Umberto, abbiamo fatto ricorso all’intercessione di Sabatino: “Pregate gli uni gli altri per essere guariti” e il frutto è stato sicuramente, come abbiamo appreso dalle parole dette da lei la notte prima della morte, una guarigione interiore, espressa da ringraziamenti per i doni ricevuti in vita, da affidamento a Dio, da sereno e affettuoso congedo dalla famiglia. Una presenza fondamentale Il cammino con il Piccolo Gruppo è stato fondamentale anche in questo lungo periodo di sofferenza: ci hanno sostenuto e indirizzato la presen-
za e il consiglio dei nostri responsabili (Augusta, Enzo, Renato e Toni), la vicinanza affettuosa di alcuni fratelli – Ireos e Augusto primi ma non certo unici – e la preghiera di molti di cui magari neppure verremo a conoscenza, ma che abbiamo chiaramente avvertito nei passaggi più difficili. E anche i nostri genitori hanno vissuto questo accompagnamento concreto, quando ad esempio ricevevano le visite di Giancarlo Galli, di Sandro e Vilma, di Donatella, di Katia Lamberti, o, ancora, gli interventi tecnici e le battute amichevoli di Edoardo e i saluti di Anna Mondin. E anche spirituale, tant’è che la mamma di Cinzia nell’ultimo mese di malattia chiese più volte che ‘quelli del Gruppo’ pregassero per lei e ricevette con gioia la cartolina di Giancarlo da Lourdes. Un pensiero va anche a Andrea e Chiara che, giocoforza, sono rimasti coinvolti in questa ‘avventura’: prima curati affettuosamente dai nonni, successivamente hanno sperimentato come la famiglia se ne prendesse cura, subendo anche i risvolti negativi della situazione, ma pure ricevendo doni in termini di crescita umana e spirituale. Un grazie a loro per aver sostenuto e assistito i nonni secondo le loro possibilità, a casa e in ospedale, sempre con grande affetto e fantasia: gratuitamente hanno ricevuto (dai nonni) e gratuitamente hanno saputo dare. Umberto e Cinzia Poletto (nella foto a pag.14)
Particolare della cappella di Desio
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SOSTIENI
SIGNORE,
LA NOSTRA FAMIGLIA Arianna Del Signore, mamma e biologa, è sposata con Giuseppe. Vivono con le loro due figlie in un piccolo paese alle porte di Padova. Le cronache economiche degli ultimi mesi ci hanno abituati a notizie di crisi aziendali che coinvolgono famiglie e imprenditori. Arianna racconta lo stato d’animo di una giovane coppia di fronte alle piccole e grandi difficoltà del quotidiano. Un dialogo a tu per tu con il Padre, la preghiera di una mamma alle prese con pannolini, spesa e lavoro. Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò”...Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore (Gen 12, 1. 4) Queste parole, Signore, le hai rivolte a me quattro anni fa. Ed io mi sono fidata, siamo partiti. Abbiamo lasciato la nostra prima casa, la mia famiglia di origine, gli amici di una vita, la Comunità che mi aveva accompagnato fino ad allora nel cammino verso di Te. Sono partita portando con me solo Giuseppe e Cristina, verso un luogo dove avevi già preparato per noi un altro lavoro, un’altra casa, un’altra figlia.... Ma poi Signore, sono cominciate le fatiche: la solitudine, le
frequenti malattie delle bambine, la difficoltà a partecipare agli incontri di Comunità, la lontananza degli amici, e, ultimamente, anche l’insicurezza economica. A volte mi sembra che tutte queste fatiche mi sovrastino. Fatico a capire il motivo per cui Tu mi hai voluto qui, anche se nel cuore ho la certezza che questo è il luogo dove mi chiedi, ora, di mettere radici. Aiutaci Signore, ad essere forti nelle avversità e nelle sofferenze. Aiutaci a continuare ad affidarci alla tua Provvidenza. Aiutaci a restare sempre legati a Te, che sei l’essenziale. Aiutaci a credere davvero che tutto passa, e solo il Tuo Amore resta, e che sotto la Tua protezione veramente nulla può colpirci. Questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: “Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande” (Gen 15, 1) ARIANNA DEL SIGNORE (nella foto in alto)
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“Le nuove forme di
vita consacrata fra tradizione e innovazione” A margine dei lavori di due convegni svolti a Roma nel 2011
“Le nuove forme di vita consacrata fra tradizione e innovazione” è stato il tema del convegno promosso a Roma il 24-26 novembre 2011 da parte della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Antonianum, della Fraternità Francescana di Betania e del Coordinamento Storici Religiosi (Csr). Anche il Piccolo Gruppo di Cristo è stato invitato a questo incontro e vi ha partecipato, seppure limitatamente, con la presenza in fasi diverse, di due aderenti alla comunità romana. I nostri Marco Appolloni ed Enrico De Angelis hanno infatti potuto prendere parte ad alcuni momenti della tre-giorni, cogliendo le complesse problematiche che la Chiesa sta affrontando circa la presenza e il riconoscimento progressivo delle cosiddette “nuove comunità” che si rifanno ai nuovi cammini di vita consacrata o altrimenti detta “evangelica”. Il convegno “mancato” Anzitutto un antefatto: un analogo convegno si era svolto il 4 giugno scorso, sempre a Roma, con il coordinamento da parte della apposita equipe istituita a partire dall’elenco delle realtà presenti nell’Annuario Pontificio nella sezione denominata “Altre forme di Vita Consacrata”. Purtroppo, a quel primo appuntamento ufficiale nessun rappresen-
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tante del Piccolo Gruppo di Cristo ha potuto partecipare per un banale motivo: l’invito postale con il programma e le modalità di iscrizione è giunto alla segreteria di Desio troppo tardi, quando ormai il convegno stesso si era già svolto. Per fortuna, ben diversa è stata l’esperienza dello scorso novembre, dove – seppure come già detto in forma limitata nel tempo – è stato possibile essere rappresentati e poter così cogliere il grande lavorio che sta dietro al progressivo processo di riconoscimento di queste “nuove forme di vita consacrata”. L’attenzione da parte della Chiesa Bisogna anzitutto dire che la Chiesa sta guardando con grande ed affettuosa attenzione a queste nuove realtà. Ai due incontri di giugno e novembre, rispettivamente, sono stati presenti il Segretario mons. Joseph William Tobin e il Prefetto mons. Joao Braz de Aviz, vale a dire le due più alte autorità della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA). Questa presenza attesta il grande interesse che la Santa Sede rivolge a queste esperienze comunitarie nelle quali si coltivano i valori evangelici fino al punto di abbracciare, anche da parte di fedeli laici comuni che tali rimangono, i santi voti tipici della vita religiosa. In secondo luogo occorre notare che
il tenore delle relazioni offerte ai partecipanti, l’alto livello dei relatori, l’articolazione dei temi, indica chiaramente la fiducia con la quale la Santa Sede guarda a queste realtà quasi volendo incoraggiarne il cammino, a partire dall’approfondimento teologico-spirituale. Ad esempio sono intervenuti l’arcivescovo mons. Vincenzo Bertolone (Catanzaro), p. Agostino Montan (Roma) oltre a diversi docenti, studiosi ed esperti del campo della spiritualità e della vita consacrata (Vincenzo Battaglia, Roberto Fusco, Giuseppe Buffon, Lluis Oviedo, Rick Van Lier, Giancarlo Rocca e altri). Realtà eterogenee Una ulteriore notazione riguarda il modo di impostare il convegno. Essendo le nuove realtà piuttosto eterogenee, nate alcune come “costole” di istituti già esistenti, altre come realtà completamente originali, le relazioni stesse hanno rispettato questa singolare genealogia. Si è così parlato di nuove comunità nelle realtà diocesane, di influssi carismatici preesistenti in ordini e congregazioni magari vecchie di secoli, di percorsi formativi e identità in costruzione del tutto nuovi. Si è anche affrontato il tema della vita di queste “nuove comunità”, la loro natura a volte basata sulla vita comune, altre sulla presenza e adesione individuale “restando nel mondo”; si è affrontato il tema difficile della presenza di sposati, coppie e fami-
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nità”, alcune delle quali puntano più sulla “nuova evangelizzazione”; altre sul servizio alla carità, accoglienza e assistenza; altre ancora sull’aspetto “monastico” inteso in senso molto particolare specialmente laddove sono presenti degli sposati con una fervente vita di preghiera.
glie al loro interno, con diverse configurazioni giuridiche. Alcune problematiche aperte Dagli atti dei due convegni emergono una serie di problematiche che sono all’attenzione su diversi versanti. Anzitutto l’aspetto che riguarda l’internazionalità delle esperienze, sorte in maniera spontanea e straordinariamente “contemporanee” seppure a distanza di migliaia di chilometri l’una dall’altra. Basti pensare che al primo incontro di Roma (quello di giugno) erano presenti 22 istituzioni provenienti da 11 paesi diversi e da tutti i continenti esclusa l’Africa! L’aspetto centrale sul quale la Chiesa si interroga e sta “mettendo alla prova” queste nuove comunità riguarda – naturalmente – la presenza degli sposati in forme di vita “consacrata” o “evangelica”. Ciò ha evidentemente un grande rilievo perché va a toccare dimensioni quali la castità personale e coniugale, la povertà del singolo o della coppia stessa in rapporto ai figli e al contesto di riferimento, l’obbedienza a una entità esterna al matrimonio. Sono questioni complesse, inerenti la natura sacramentale del matrimonio cristiano in rapporto a impegni ulteriori che uno o entrambi i coniugi assumono in ordine alla loro vita spirituale e comunitaria. Un’altra questione riguarda la natura diversificata di tali “nuove comu-
Ulteriore aspetto che è stato dibattuto riguarda il “governo” di queste nuove comunità, le quali possono essere a volte emanazione di un altro istituto ben strutturato, da cui dipendono in linea gerarchica, oppure risultare realtà completamente nuove con propri organismi di presidenza. Il senso e il valore della “consacrazione” L’aspetto forse più delicato riguarda il punto centrale che motiva la vita di tali comunità: quello della “consacrazione” come risposta alla universale chiamata alla santità proclamata dal Concilio Vaticano II, in forma esplicita, formale, decisa. E’ il concetto stesso di consacrazione che viene chiamato in causa, perché esteso a quanti – fino ad ora – ne erano esclusi non in quanto immeritevoli, ma perché ritenuti adeguatamente ricompresi in forme di vita con un proprio crisma sacramentale (gli sposati, in particolare). Il vincolo sacro specifico che in tali comunità viene assunto dai propri aderenti pone domande nuove e chiama in causa quella “fantasia dello Spirito” che non può essere negata, ma che la Chiesa – giustamente – mette sotto stretto vaglio teologico-spirituale e giuridico-canonico. Gli aspetti indubbiamente positivi Di là da dubbi e domande cui l’autorità ecclesiastica sarà chiamata a dare risposte autorevoli e universalmente riconosciute, i due convegni hanno fatto emergere alcuni indubitabili “valori” che queste nuove comunità manifestano: la vita di preghiera, intensa e condivisa; un
forte impegno di annuncio e testimonianza evangelica variamente manifestato secondo i singoli carismi comunitari; la devozione mariana e comunque alle pratiche di pietà come tratto distintivo della spiritualità della persona; un certo carattere “monastico” impresso alla vita laicale che contraddistingue pressoché tutte le esperienze e le rende in qualche modo un singolare richiamo di fede; il fascino e il ricorso a una intensa direzione spirituale oltre che a percorsi formativi continui, anche in presenza di persone avanti negli anni. Sono tutti aspetti indubbiamente positivi, che non solo non costituiscono “problema” ma anzi aiutano la vita cristiana, e che inoltre indicano spazi di approfondimento utili a tutti, a partire dai cristiani “comuni” che tali vogliono rimanere. Conclusioni A mo’ di conclusione si potrebbe dire che appartenere a realtà di questo genere, se lo si fa con retta coscienza e senza vanterie o malcelato orgoglio, costituisce uno sprone a interrogare le profondità spirituali di cui la Chiesa intera è portatrice. Il patrimonio storico da cui queste “nuove comunità” discendono pesca infatti in secoli di vita di fede di santi e sante, di martiri, di testimoni esemplari che sono un po’ i “fari” cui guardare per seguire una vita buona e santa. Senza inoltre voler esaltare il ruolo dei “fondatori”, occorre aggiungere che le nuove comunità che hanno i propri ancora viventi (come nel caso del Piccolo Gruppo di Cristo con il nostro caro Ireos) possono interrogarsi sul mistero di essere parte di singolari manifestazioni dello Spirito per il bene di tutti. E questo è un “regalo” da non sciupare, accogliendo in umiltà una chiamata che è certamente più grande di ciascuno di noi. LUIGI CRIMELLA (nella foto a pag.18)
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SE LO VUOI TU lo voglio anch’io. “
Seguimi !”
La testimonianza di Chiara “Luce” Badano.
“C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento e uno scopo; a superare insicurezze e solitudine; i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte; a tutte le loro inquietudini. È sorprendente questa testimonianza di fede, di fortezza da parte di una giovane di oggi: colpisce, determina molte persone a cambiare vita, ne abbiamo testimonianza quasi quotidiana” con queste parole il Vescovo di Acqui Terme Mons. Maritano inizio la causa di canonizzazione nel 1999 di Chiara Badano. L’eco della straordinarietà della sua vita nella normalità del quotidiano porta molte persone di tutto il mondo,
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specie giovani, a cambiare vita. Il 25 settembre 2010 la beatificazione. Una breve ma intensissima vita , sognava di partire per l’Africa per fare la dottoressa dei bambini ed invece è diventata la Santa dei giovani, la loro Luce. Piena di vitalità, sportiva, a soli 17 anni le viene comunicato un doloroso verdetto dai Medici: sarcoma osteogenico. Chiara Luce ha impiegato venticinque minuti per dire il suo sì a Dio e non si è più voltata indietro. I ricoveri in ospedali sono frequenti e poche sono le speranze di guarigione, le cure sono dolorose. Chiara vuole essere informata in
ogni dettaglio sul decorso della sua malattia ed ad ogni “sorpresa” dolorosa la sua offerta è decisa: “Per te Gesù, se lo vuoi tu, lo voglio anch’io!” Il male progredisce velocemente e si fa strada il presentimento di morte, Chiara domanda alla mamma “è giusto morire a 17 anni?” e lei : “Non lo so. So solo che importante fare la volontà di Dio, se questo è il suo disegno su di te”. Ormai ridotta all’immobilità è attivissima, tanti sono gli amici che vengono a trovarla per consolarla e invece con il suo sorriso e le sue parole ricevono amore e conforto.
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Segue tramite telefono la nascita di gruppi di Giovani per un Mondo Unito (GMU), partecipa a congressi con messaggi, cartoline. Con l’aggravarsi della malattia, caratterizzata da fortissimi dolori, occorrerebbe intensificare la somministrazione di morfina, ma Chiara Luce la rifiuta: “io ho solo il dolore da offrire a Gesù - ecco - la morfina mi toglie lucidità e non posso”. E non l’ha più voluta fare proprio per questo: offrire a Gesù questo suo dolore. In un momento di particolare sofferenza fisica confida alla mamma che nel suo cuore sta cantando: “Eccomi Gesù, anche oggi davanti a Te”. Con queste parole rivolte alla mamma: “Ciao, sii felice, perché io lo sono”. Chiara Luce parte per il cielo il 7 ottobre 1990. La sofferenza è sempre una dura prova per l’uomo. Cristo non abolisce la sofferenza dalla vita umana ma su ogni sofferenza getta una luce nuova, la luce della salvezza. Cristo va incontro alla sua passione e morte con tutta la consapevolezza e la forza della sua missione di salvezza che deve compiere perché: “l’uomo non muoia, ma abbia la vita eterna”. “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.” dice S. Paolo.
alla negazione stessa di Dio a causa della sofferenza. L’uomo rivolge a Dio l’interrogativo del “perché la sofferenza?” con tutta la commozione del suo cuore e Dio aspetta questa domanda e l’ascolta come nel libro di Giobbe “ Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”. Dobbiamo fare il salto
dal “sentito dire” all’esperienza di Dio e “vedere” Dio. E’ l’inizio di qualche cosa di nuovo, la luce della salvezza. ROSALBA BEATRICE
Bibbliografia: SALVIFICI DOLORIS Santo Giovanni Paolo II
Ogni uomo ha la sua partecipazione alla redenzione: “Vi esorto dunque, fratelli , per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente , santo e gradito a Dio.” S. Paolo ai Romani. L’uomo scoprendo nella fede la sofferenza redentrice di Cristo, insieme scopre le proprie sofferenze arricchite di significato e di senso. Nella sofferenza è come contenuta una particolare chiamata alla virtù della perseveranza che sprigiona speranza. L’uomo muore quando perde la vita eterna e perdere la vita eterna vuol dire sofferenza definitiva. Capita che si possa giungere nella vita
Statua della Madonna nella cappella di Desio
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“LI AMò
fino alla fine”
(Gv 13,1)
Dalla famiglia di Cinzia e Rossano Da Re (Treviso) in missione in Perù La famiglia di Cinzia e Rossano Da Re, del P.G.C. di Treviso, coi tre figli Federica, Leonardo ed Elisabetta, da circa un anno si trova a Cusco, in Perù. Rossano e Cinzia hanno scelto di partecipare a una iniziativa di servizio dei missionari Servi dei Poveri del Terzo Mondo, nel lontano paese dell’America Latina. Sono così diventati una delle coppie di sposi missionarie aderenti a quella famiglia religiosa che intende offrire una testimonianza di apertura, accoglienza e servizio ai più poveri. Qui di seguito tre scritti: il primo è di Cinzia e Rossano, che narrano l’impatto con la nuova realtà peruviana; gli altri due sono dei figli Leonardo e Federica, con le considerazioni di quanto sta loro avvenendo. Queste sono le prime parole che ci sono venute in mente quando il Responsabile Generale del P.G.C. Giancarlo ci ha chiesto di scrivere cosa significa prepararsi alla Pasqua tra i poveri. Amare fino alla fine. Non dice amare tanto o fare tutto il possibile. Il vangelo di Giovanni dice chiaramente: “…li amò fino alla fine” e quindi “…si alzò da tavola, depose il mantello…versò dell’acqua nel catino e incominciò a lavare i piedi dei discepoli…” (Gv 13, 4-5).
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Da sinistra: Cinzia, Federica, Elisabetta, Leonardo, Rossano
Per noi, vivere la Pasqua qui, in Perù, accanto a gente molto povera, significa imparare ad amare come Gesù. Dal momento in cui siamo arrivati e per tutto il corso di quest’anno, ci sono due parole che ci stanno perseguitando e che ritroviamo ad ogni angolo: Umiltà ed Obbedienza. Ne avete mai sentito parlare? E’ esattamente quello che fa Gesù: si umilia, obbedendo fino alla fine. Ricordo che una volta Giancarlo disse che non siamo noi a scegliere
i poveri, né il povero è colui che io decido di aiutare, dal quale possibilmente mi aspetto una gratificazione e che mi permette di esercitare la mia carità. Il povero, generalmente, è colui che io vorrei evitare, è colui al quale faccio fatica ad avvicinarmi, perché puzza, è sporco, forse ha delle malattie contagiose. Il povero non mi chiede qualcosa, ma mi chiede tutto; spesso è egoista, bugiardo, pronto ad approfittarsi di te, a suo vantaggio. Spesso abbiamo una visione romantica della pover-
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tà, in cui noi, come eroi, portiamo la salvezza a queste persone, gli insegniamo a vivere e gli trasmettiamo la Verità. Dopo un anno di vita missionaria, abbiamo appreso proprio questo, che prima di qualsiasi altra cosa, dobbiamo inginocchiarci di fronte alle tante persone povere che incontriamo, per lavare loro i piedi, per amarli fino alla fine. Questo significa non scandalizzarsi del loro modo di vivere, non aver paura di entrare nelle loro catapecchie o di infangarsi per arrivare alle loro case, significa non temere un abbraccio perché sono sporchi e chissà cosa mi attaccheranno. Lasciare la nostra casa, il nostro lavoro, le nostre famiglie è stato un passo difficile, ma non il più importante; ancora più difficile è lasciare le nostre idee, i nostri pregiudizi, i nostri progetti, per poter amare questa gente, così come Gesù amò i suoi discepoli, sapendo che poche ore dopo tutti lo avrebbero abbandonato, se non rinnegato o tradito. L’altro giorno, entrando in un negozio del centro di Cusco, una bimba – non avrà avuto più di 4 anni – ha cercato di rubarmi (a me Cinzia) il portafoglio e solo la sua ingenua inesperienza ha impedito che questo accadesse. Guardandola in viso ho provato una forte compassione per lei, pensando a quello che le stanno insegnando e come la sua anima viene addestrata al peccato. Ho cercato di spiegarle che non deve assolutamente farlo, che è Male, mentre lei mi fissava con questi occhioni puri e innocenti e sono rientrata a casa con un grande dolore nel cuore. Questo è il vero volto della Povertà: il non conoscere Dio e la sua lettera d’Amore, che sono i Comandamenti, l’insegnare ai piccoli a compiere il Male. “Chi poi avrà scandalizzato uno di questi piccoli, sarebbe meglio per lui che gli appendessero al collo una pietra e fosse gettato in mare”. (Mc 9, 42) Amare i poveri del Perù, significa essere prima di tutto degli Adorato-
Cinzia in visita a una famiglia
ri, come ben ci spiegava in una sua lettera l’ex vescovo di Treviso Bruno Mazzoccato (Adoratori e Missionari), perché non hai risposte da dare di fronte a tanta ingiustizia e a tanta miseria e solo sostando con Gesù, possiamo sperare di avere in noi i suoi sentimenti e confidare che la nostra vita e i nostri gesti possano parlare al posto delle nostre spesso vuote parole. Amare i poveri del Perù, significa anche accettare il loro rifiuto, la loro diffidenza, a volte il loro odio. Abbiamo sempre letto storie meravigliose di missionari, ma nella realtà che viviamo non è sempre così. Lungo questo cammino non mancano gli insulti, gli sputi, la derisione, il “vediamo ora cosa fa, se il suo Dio interviene”, anche da parte dei sacerdoti locali. In realtà siamo contenti di questa cosa, perché così il nostro cammino assomiglia di più a quello di Gesù. Questo amare fino alla fine, poi, è ancora più difficile, ma più urgente all’interno della Fraternità in cui viviamo. Attualmente siamo 12 famiglie e l’anno scorso, per la prima volta, il Giovedì Santo abbiamo vissuto questo momento, lavandoci i piedi gli uni gli altri: le spose tra di
loro e gli sposi tra di loro. E’ stato un gesto simbolico, ma forte, perché ci ha richiamati all’amore e al servizio reciproco prima di tutto tra di noi, persone che non si sono scelte, con profonde differenze culturali e di abitudini, per non parlare della differenza di lingua, con tutti i rischi di incomprensioni. Anche per questo è molto meglio e più raccomandato il silenzio, non solo interiore, perché le molte parole sempre possono essere mal interpretate o mal pronunciate! Il Signore amò fino alla fine anche Giuda e Simone. Il Signore ci dice di amare i nostri nemici. “Che gloria c’è ad amare i propri amici?”. Chi sono i nostri nemici? Sono le persone che vivono con noi o che incontriamo quotidianamente e che ci creano problemi o ci feriscono. Vivendo sempre insieme alle stesse persone e avendo a che fare con loro molte volte durante la giornata è inevitabile diventare uno il nemico dell’altro. Anche noi siamo il nemico degli altri. Diventiamo nemici di qualcuno molte volte quasi senza accorgerci di questo, perché siamo differenti dagli altri, perché abbiamo una storia personale diversa e perché siamo peccatori. Anche tra marito e moglie si può diventare nemici, nel senso che ci
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si ferisce a vicenda. Come possiamo non perdonarci? Come possiamo non perdonare tutti gli altri? Non c’è altra via. E non possiamo perdonarci tra di noi e non perdonare gli altri. Che senso avrebbe? Non posso perdonare il mio coniuge e invece gli altri no, quelli che posso permettermi di non perdonare, perché sopravviverò lo stesso, quelli posso fare a meno di perdonarli… No, il Signore ci dice di amare i nemici e di perdonarli 70 volte 7, cioè sempre. E di perdonarli col cuore e non con le labbra. Perdonarli veramente, cioè amarli. Però il perdono possiamo donarlo solo con la grazia di Dio, cioè nutrendoci del Corpo di Gesù Cristo. Se lui non ci nutre non possiamo amare perché solo Lui è l’Amore. Noi vediamo ogni giorno i nostri collaboratori nei collegi, e nonostante siano delle persone “credenti” e compromesse con il nostro Movimento missionario, nonostante partecipi-
no a catechesi, ritiri e messe, mancano spesso della “capacità” (grazia) di amarsi e perdonarsi tra di loro. Perché? Ce lo chiediamo spesso. E’ perché non fanno la Comunione. Non la fanno per molte ragioni: per abitudine, perché non sono sposati in chiesa, perché non si sentono degni (il diavolo è sempre all’opera). E’ molto difficile fargli comprendere l’importanza dell’ Eucaristia. In molte chiese del Perù le messe sono molto “sbrigative” e le liturgie molto povere. Le chiese sono tenute male, la gente arriva in ritardo durante tutto lo svolgimento della messa, cani randagi entrano ed escono, spesso fanno la pipì sui banchi, le persone sono sporche e puzzolenti, i bambini non stanno fermi (non ricevono alcuna educazione e rispetto degli altri). Tutto ciò non aiuta la gente a comprendere l’importanza della celebrazione eucaristica. E in questo modo tutti sono abituati fin dalla loro infanzia. Molti paesi non hanno parroci e purtroppo lì proli-
ficano le sette cosiddette “cristiane”. Si chiamano con mille nomi simili e creano molta confusione tra la gente. Quasi nessuna di queste “religioni” vive la comunione eucaristica, spesso ne parlano male e dicono che noi cattolici siamo cannibali perché mangiamo del corpo di Cristo. Molti dicono che Cristo non è realmente presente nel Santissimo Sacramento. Vi immaginate la confusione che creano tra questi popoli così semplici e incapaci di distinguere tra cristiani cattolici e cristiani di altre fedi ? Spesso anche i ragazzi che stanno nei nostri collegi per molti anni non fanno la comunione nonostante tutte le catechesi, le messe e le omelie che sentono. E’ perché i loro genitori non fanno la comunione. E’ tutto inutile se le loro famiglie non si convertono veramente e si perdono, purtroppo. Certo ci sono le eccezioni e comunque noi dobbiamo fare la nostra parte e dare tutto quello che abbiamo, tutto quello che noi abbiamo ricevuto: dobbiamo amarli fino alla fine. La Pasqua è morire a se stessi e donarsi tutti agli altri, essere come Gesù che è venuto ed è morto per i peccatori. Chiediamo le vostre preghiere, le preghiere di tutto il Piccolo Gruppo di Gesù per aiutarci a divenire piccoli, cioè umili ed obbedienti, cioè alter Christus per non scandalizzare i piccoli che ci vengono posti sul nostro cammino e affidati. Amen. Cinzia e Rossano Da Re 22 febbraio 2012 Mercoledì delle Ceneri
Elisabetta nella mensa del collegio femminile
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ECCO COSA NE PENSIAMO
NOI
Federica Da Re
Leonardo con Renè, un compagno di classe
Leonardo Da Re Per me venire qui in Perù non è stato facile: lasciare l’Italia, i miei amici, i nonni… e tutte le cose che non avrei potuto portarmi via! All’inizio mi sembrava impossibile adattarmi: non capivo la lingua, mi sentivo solo e per me era molto difficile vivere in solitudine. Tre mesi dopo essere arrivati avevo già imparato a parlare e scrivere in spagnolo e questo migliorava di molto la mia situazione, però essere figlio di una famiglia missionaria non mi era di aiuto. I miei compagni, molto poveri, erano gelosi di me e secondo l’idea che mi sono fatto, quando si è poveri si desidera essere migliori degli altri e per ottenere questo mi umiliavano in tutti i modi: prendendomi in giro per il colore della pelle, per il mio modo di parlare, per le mie difficoltà. Fortunatamente il Signore mi sta aiutando molto, mi dà pazienza
per sopportare le prese in giro e mi conforta nelle umiliazioni. Grazie a Lui vedo i miei compagni con occhi diversi e quando penso tutto quello che soffrono – la fame, il freddo, la violenza da parte del papà, spesso sono orfani e quando tornano a casa non trovano una casa accogliente e neppure i loro genitori che gli chiedono come è andata la giornata – mi accorgo che le mie fatiche sono molto piccole e che il loro comportamento è dovuto spesso alla mancanza di amore. Certo, questa esperienza ha anche i suoi vantaggi: all’interno della Fraternità posso stare con i miei amici quando voglio e grazie ad Internet posso rimanere in contatto con i miei amici in Italia. In conclusione, dal non voler venire qui, ora, poco a poco sto vedendo il lato positivo di questa esperienza. Finalmente sto dando la schiena a tutte le cose brutte e mi sto fissando solo in ciò che è bello e positivo.
Non è stato facile per me accettare la decisione di mamma e papà di venire qui in Perù. La mia era una paura di cambiare vita così radicalmente. Mi dispiaceva lasciare i nonni, gli zii e le mie amiche. Temevo anche di dover rinunciare a qualche libertà in più, però adesso che ci penso, in realtà mi rendo conto che non mi importa molto. Adesso che sono qui, tutto è cambiato ed in fondo non è così male. Mi piace perché questa esperienza mi dà la possibilità di imparare una nuova lingua e di relazionarmi con persone di ogni parte del mondo, con mentalità, modi di fare ed esperienze di vita totalmente diverse. Un altro aspetto positivo, anche se può sembrare strano, è conoscere la povertà da vicino, viverla e capirla. Ogni volta che esco da Villa Nazareth – il gruppo di case in cui viviamo – e mi guardo intorno, penso che la vita di queste persone è un’ingiustizia e mi rendo conto che io posso fare ben poco. Al collegio mi confronto ogni giorno con le mie compagne, che sono tra le persone più povere della città e mi accorgo che la loro cultura è così differente e difficile da comprendere. Per questo ogni giorno chiedo aiuto al Signore, perché mi sostenga e mi aiuti a perdonare ogni ingiustizia. Sento la Sua presenza nella mia vita e il Suo sostegno, sebbene abbia tutte le ragioni per essere arrabbiato con me, che di certo non sono una santa…cosa che mi ripeto spesso e che spesso mi aiuta a portare più pazienza con gli altri, pensando a quanta ne deve portare il Signore con me!
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Portare la legna che serve PER UNA
FEDE ROBUSTA
Una testimonianza sul cammino di preparazione alla S. Pasqua in famiglia “Delle 365 notti che compongono l’anno c’è una che ne vale quattro. Esiste in altre parole, una notte che ne contiene tre, in maniera che, quando sopraggiunge questa notte, porta con sé le altre e le rende presenti… Questa notte è la Pasqua della nostra salvezza: da essa scaturisce il giorno del Signore, la domenica! Con essa è inaugurata per noi l’eternità!”. (Tarcisio Zanni, Che cosa c’è di diverso questa notte?)
Ci piace partire da questo umile scritto per raccontare cosa per noi, famiglia, racchiude la Pasqua che celebriamo ogni anno. Nella notte di Pasqua del 1993 è stato battezzato il nostro primo figlio, Paolo. In quella notte, il cui rito prevede il passaggio dalle tenebre alla luce (passaggio rappresentato dall’ingresso in chiesa, con le luci soffuse che gradualmente aumentano d’intensità fino alla loro pienezza), e in cui preghiamo “che ci sia dato di camminare sulla strada
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della vita come figli della luce verso il Regno eterno”, abbiamo celebrato l’ingresso nella comunità di questa vita nuova col desiderio che resti per sempre nella luce di Cristo. Ogni notte di Pasqua, che ricorda la notte della prima creazione, per noi si arricchisce di questo significato. Fin dai primi anni di vita la scelta di non alimentare il mercato consumistico con segni esteriori (uovo di cioccolato, colomba) ma di arricchire il vissuto dei bimbi con la trasmissione di riti familiari semplici
(torta con le uova vere come antipasto piuttosto che l’agnello arrosto per il pranzo), condivisi con i nonni, ha caratterizzato la dimensione della festa. La presenza di tutta la famiglia, piccola chiesa domestica e, a volte, del parroco ha voluto esser segno della comunità che accoglie e sostiene la crescita dei piccoli nella luce del Signore. Ma la notte di Pasqua racchiude in sé anche la notte in cui apparve la fede sulla terra. Il sacrificio che Abramo fece sul monte Mòria, che ricordiamo ogni anno nella seconda lettura della Veglia, ci rimanda al cammino di fede che ogni uomo è chiamato a compiere lungo il corso di tutta la sua vita per giungere al completo affidamento a Dio; quello di Abramo che lungo la storia diverrà il Dio di Isacco di Giacobbe, … il mio Dio! Vivere come famiglia questo passaggio ha significato salire “il monte della crescita” dei figli stando accanto nel loro cammino dell’Iniziazione cristiana vissuta in comunità, portando la legna che serve perché la loro fede si irrobustisca. Vivere in prima persona la parrocchia, partecipare agli incontri delle giovani famiglie, rendersi disponibili per i piccoli servizi come per le responsabilità più grandi, riteniamo che sia stato un esempio non trascurabile nel loro processo di maturazione della fede. Vivere in particolare la Quaresima,
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con i riti del digiuno, della rinuncia ai dolci, della preghiera più assidua, stimolati dai sussidi appositi dati lungo il loro cammino in preparazione ai sacramenti, per prepararci a celebrare con fede la Pasqua ha caratterizzato gli anni della fanciullezza dei nostri figli. Ma ecco la terza notte, quella che ricorda la libertà donata da Dio al suo popolo prediletto, quella per cui il nostro Dio ha udito il grido del suo popolo ed è sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto. Sono ancora le letture della Veglia pasquale ad aiutarci a ricordare e, ancora di più, ad attualizzare la fede dei nostri Padri che sperimentano la liberazione della schiavitù attraverso il “passaggio” del Mar Rosso.Che gioia quando Israele passò “a piedi asciutti” perché il mare si ritirava riverente, di qua e di là, perché passavano i figli di Dio! Ma quante fatiche per giungere fin lì e quante fatiche ci sa-
rebbero state ancora. Rileggere l’esperienza della libertà nel cammino di avvicinamento alla Pasqua come famiglia con figli adolescenti ha significato combattere contro le tentazioni di vanità, di possesso, di chiusura che sia noi adulti, sia i ragazzi, ogni giorno respiriamo negli ambienti in cui ci muoviamo. Pur constatando la nostra fragilità e incostanza, cerchiamo di essere per loro testimoni credibili perché possano accogliere generosamente quelle iniziative di altruismo, di dedizione e di preghiera (come i ritiri diocesani) che possono accompagnarli in un cammino di vera libertà. Con gioia ricordiamo ad esempio, i buoni frutti scaturiti dall’assistere in TV ai funerali delle vittime del terremoto a L’Aquila in prossimità della Pasqua 2009. Quanto impegno, sudore e riflessioni sono scatu-
riti sia in Paolo sia in Francesco da quella prima apertura della mente e del cuore! Infine, la notte in cui la luna piena ha visto rotolare via la pietra del sepolcro di Gesù e ha visto uscire il Signore dalla tomba. Ecco il triplice annuncio della Pasqua: “Cristo Signore è risorto. Rendiamo grazie a Dio!” Noi che celebriamo la Pasqua della quarta notte, quella del SI definitivo di Dio, ci rendiamo conto che questa Pasqua non è ancora finita, anela ad un compimento, “quando il mondo, giunto alla sua fine, rinascerà per il nuovo giorno eterno”. Anche come genitori ci rendiamo conto della nostra opera incompiuta, del necessario affidamento nostro e dei nostri figli al Signore Risorto, affinché anche nelle nostre vite “si realizzi in pienezza il motivo per cui Tu ci hai chiamati”. Rossella & Roberto GentilI (nella foto a pag.26)
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Pellegrino,
lasciati condurre da
Dal 25 al 27 maggio 2012 il Piccolo Gruppo di Cristo si radunerà ad Assisi per vivere un pellegrinaggio nella fede sui luoghi di Francesco e Chiara. Padre Antonello, frate minore conventuale, è originario di Assisi. Entra in convento a 28 anni, trascorre il suo percorso di formazione tra Padova, Assisi e Parigi. Da dieci anni cura la pastorale giovanile e vocazionale presso la Basilica di S.Francesco. Ci introduce al cammino verso Assisi facendo proprie le parole del Santo: “Pellegrino, lasciati condurre da Dio”. La Chiesa si sta preparando all’Incontro Mondiale delle Famiglie, a fine maggio, a Milano. Come la storia di Chiara e Francesco parla alle famiglie di oggi? Il cammino vocazionale di Francesco inizia con una rottura, in particolare con la figura paterna. I sogni di Pietro di Bernardone – la cavalleria e il titolo nobiliare – vengono infranti dalla scelta del figlio. Il desiderio di seguire il Signore porta Francesco a iniziare il suo percorso vocazionale, facendo i conti con una conflittualità che si risolverà solo molti anni dopo. Non abbiamo notizie chiare ma da alcuni atteggiamenti di Francesco possiamo ricostruire come suo padre abbia tentato, a distanza di tempo, qualche passo di riconciliazione. Come si comporta Francesco
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Dio
al suo percorso vocazionale ma – per fortuna – esistono tante belle realtà di famiglia in cui genitori e figli dialogano durante e dopo l’adolescenza. Un momento di verifica è ad esempio il cammino dei fidanzati.
in quella situazione? Prosegue per la sua strada, cercando un modo per essere felice e per collocarsi nella società. E’ la perfetta letizia che espliciterà negli anni seguenti. Nel momento della spoliazione – di fronte al padre – Francesco sottolinea come “da questo momento ho come padre il Padre nostro che è nei cieli”. Nelle famiglie di oggi, soprattutto in Italia, assistiamo spesso a legami che rischiano di soffocare l’azione dello Spirito, è importante invece sviluppare un’attenzione allo spazio di ciascuno, nel rispetto dei ruoli educativi ma senza imposizioni che sviliscano le intuizioni che i figli portano dentro. Il cruccio di tanti genitori è trovare le risposte giuste alle domande dei figli. Francesco ci indica una grande libertà di cuore, capace di creare legami nuovi alla luce dell’insegnamento del Vangelo. Nel suo caso la rottura è necessaria per dare corpo
Ad Assisi incontrate tanti giovani alle prese con un discernimento vocazionale… Nella coppia che si sta formando è importante riconoscere la centralità del proprio amore, consapevoli che si sta camminando per formare una famiglia in cui marito e moglie “sono una cosa sola”. La famiglia di origine – pur con tutti gli aiuti e le bellezze che può dare al rapporto – non deve diventare troppo ingombrante. Che tipo di relazione sto costruendo con chi ho accanto, come rileggo il rapporto con le nostre famiglie di origine? Assisi è attraversata ogni anno da migliaia e migliaia di visitatori: qual é il senso profondo di mettersi in cammino verso questi luoghi? L’invito di Francesco è quello di “lasciarsi condurre al Signore”. Francesco non si sostituisce a Cristo ma ci aiuta a entrare in relazione con il Padre. Il pellegrino è chiamato a lasciarsi portare alla scoperta dei luoghi francescani per fare esperienza di Dio attraverso l’esperienza di Francesco. G.C.
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Le famiglie del mondo
incontrano il Papa
Da Assisi a Milano, il Piccolo Gruppo si prepara ad un mese di maggio ricco di doni spirituali Cresce l’attesa per l’arrivo a Milano del Santo Padre Benedetto XVI. Per chi è abituato ad ascoltarlo in piazza san Pietro potrebbe non essere una notizia. Così pure per chi ha avuto il dono di incontrarlo a Venezia lo scorso anno. Eppure c’è qualcosa di attraente, un’ostinazione del cuore, nel volermi stringere intorno al successore di Pietro insieme alla mia famiglia. La veglia e la messa con il Papa verranno celebrate nella spianata dell’aeroporto di Bresso, a pochi chilometri da Desio. Arrivando in elicottero mi piace pensare che il Santo Padre potrà gettare uno sguardo dall’alto anche sulla casa della nostra Comunità.
zione la casa di Desio per ospitare i fratelli e le sorelle di Roma e Treviso, alle comunità lombarde è stato chiesto di assecondare la richiesta della Diocesi di aprire le proprie case alle famiglie del mondo. Quando tuttavia abbiamo iniziato a parlarne, ci siamo resi conto delle difficoltà logistiche per tante famiglie. La settimana precedente ci sarà il pellegrinaggio ad Assisi – momento preparato da tempo e occasione di conversione per tutti noi – e sappiamo bene che le forze non sono infinite. Non lo erano nemmeno per i discepoli nel Getsemani e infatti si sono addormentati mentre Gesù pregava.
coinvolgere da questa proposta, superiamo l’inerzia del pensare che sia rivolta ad altri, ai più giovani, ai più vicini. Ritroviamoci dunque all’ombra della Madonnina per riconsegnare alla Chiesa i frutti spirituali del pellegrinaggio ad Assisi. Per esigenze organizzative è importante iscriversi per tempo: chi fosse interessato lo comunichi al più presto al proprio capo-nucleo o al responsabile locale. Aiutiamoci a vivere nella gioia l’incontro con il Santo Padre: i nostri figli e i nostri nipoti porteranno certamente nel cuore questo momento. GIOVANNI CATTANEO
“Se il piede manca, è il cuore che si ostina” diceva Claudel: lasciamoci
(nella foto in alto)
In un anno già ricco di attese e di impegni, ci è chiesto di rimodulare priorità e agende, prendendoci del tempo per fare esperienza di Chiesa: nelle ultime settimane Michela ed io ci siamo lasciati coinvolgere più attivamente nella macchina organizzativa, rendendoci disponibili per accogliere una coppia di sposi in casa nostra e dare una mano nella nostra comunità pastorale per coordinare arrivi e partenze dei pellegrini. La Comunità ha messo a disposiIL DOLORE COME STRADA PER LA SPERANZA
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Il PIccolo gruppo DI CRISTO AL TEMPO DI
INTERNET
Come visitare e cosa trovare nel sito www.piccologruppo.it • “newsletter” ovvero la possibili• • • • • • • Il sito ufficiale del “Gruppo” ha due obiettivi di comunicazione: da una parte far conoscere il cammino, la spiritualità e il fondatore del Piccolo Gruppo di Cristo, dall’altra mettere a disposizione articoli, materiale per pregare e le relazioni dei diversi incontri di comunità. Essendo uno strumento dinamico per definizione, il sito nei prossimi mesi sarà sempre di più integrato con nuove pagine e contenuti anche multimediali per permettere a chiunque di vivere una interazione intelligente, efficace e utile. Ecco
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quindi alcune possibili interazioni con il sito www.piccologruppo.it La prima pagina Dalla home page, la prima pagina, abbiamo tre livelli di consultazione: 1. in alto la barra per accedere alle “pagine interne” (il cammino/il fondatore/esperienze di vita) 2. nell’area centrale “in primo piano” è presente una sorta di lavagna dove quotidianamente viene inserito un articolo di riferimento pescato dalle notizie di Chiesa 3. nell’area laterale a destra sono presenti partendo dall’alto:
tà di iscriversi alla email per essere aggiornati “contatti”, con i riferimenti della segreteria del Gruppo e la mappa con l’indirizzo della casa di Desio il motore di ricerca (“cerca”) per recuperare più facilmente materiale all’interno del sito il “calendario” con gli appuntamenti del mese (Comunità/Fraternità/Cenacolo evangelico) “in bacheca” con segnalati il santo/i del giorno accompagnati dai riferimenti biblici “area riservata” con la possibilità di effettuare l’accesso o di registrarsi “siti amici” con riferimento a siti web per ulteriori approfondimenti una sezione con immagini della casa di desio e altre gallerie fotografiche.
Capiamo bene come già dalla home page il sito offra diverse soluzioni di approfondimento con la possibilità di condividere online qualsiasi pagina attraverso i bottoni dei maggiori social network (Facebook, Twitter, Google Plus) posizionati sopra ogni articolo o pagina. Il passaparola passa anche da queste semplici interazioni. Il cammino In questa sezione, divisi per capitoli, si può approfondire la storia, la spiritualità, il carisma e la forma-
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zione del Piccolo Gruppo di Cristo. È qui che si può trovare anche una presentazione sintetica del Gruppo (scaricabile in formato pdf) e visualizzabile con un documento multimediale. Il fondatore C’è anche un’area dedicata al nostro fondatore Ireos con una breve spiegazione, diversi documenti su meditazioni, preghiere (diverse scaricabili in formato pdf) e riferimenti a testi fondamentali “prodotti” da Ireos che possono essere ulteriormente approfonditi al sito www.lavoraeprega.it, vero e proprio corollario al sito ufficiale del Gruppo. Esperienze di Vita Prendendo in prestito il nome dall’omonimo periodico del “Gruppo” questa sezione offre contenuti multimediali e pubblicazioni anche da scaricare. Infatti in questa sezione troverai foto, video e articoli delle esperienze che la comunità vive durante l’anno: incontri, pelle-
grinaggi, ritiri spirituali, esperienze estive e momenti di festa e molto altro ancora. In particolare nell’area immagini vogliamo condividere i volti e le esperienze che caratterizzano la comunità, invece in quella dei video diffondiamo testimonianze di Chiesa. Nell’area Pubblicazioni troverai le uscite di “Esperienze di Vita”, periodico della comunità con riflessioni e testimonianze di vita vissuta come anche nell’area degli Articoli. Infine la pagina Family 2012 vuole essere un utile riferimento e aggiornamento per il VII Incontro Mondiale delle Famiglie. Area riservata È questa la sezione dedicata ad archivio dei documenti prodotti durante l’anno dalle diverse comunità del “Gruppo” e scaricabili. Infatti qui troviamo una cartella per ogni comunità con i testi e le meditazioni degli incontri, una cartella dedicata all’aspirantato con tutte le istruzio-
ni dei quattro periodi. La cartella segreteria contiene i calendari generali dell’anno e quelli specifici di ogni comunità come anche un documento con riportati tutti i riferimenti degli appartenenti al “Gruppo”. Infine la cartella Materiale di riferimento offre documentazione su figure care alla comunità. Tutte queste cartelle sono visibili a chi si è registrato e fa parte del “Gruppo”. Per chi si registra e non fa parte del “Gruppo” è comunque possibile visionare la cartella Piccolo Gruppo di Cristo contenente una presentazione del PGC e qualche materiale pubblico. È importante abituarsi all’utilizzo di questo strumento sia all’interno della “Gruppo” che per farlo conoscere all’esterno. Per qualsiasi problema di visualizzazione o accesso al sito non esitate a contattare Paolo Cattaneo scrivendo alla email piccologruppodicristo@gmail.com . PAOLO CATTANEO
Come visitare e cosa trovare nel sito www.lavoraeprega.it Dopo la spiegazione di come si possa usare il sito del Piccolo Gruppo di Cristo che si trova su Internet al seguente indirizzo www.piccologruppo.it, eccoci alla spiegazione di cosa si possa trarre dal sito collegato www.lavoraeprega.it Anzitutto occorre dire che questo secondo sito è un importante corollario del primo (quello ufficiale del “Gruppo”). In esso è possibile trovare buona parte del materiale via via “prodotto” da Ireos nei suoi decenni di vita di fede e di preghiera. Con un paziente lavoro di raccolta e organizzazione, Andrea Di Maio ha schedato i vari scritti, discorsi, esercizi e ritiri spirituali tenuti da Ireos nel corso del tempo, organizzando-
li in vista di una pubblicazione che possa essere di utilità generale sia per gli attuali aderenti al Piccolo Gruppo di Cristo, sia per quelli futuri, sia inoltre per tutti coloro che vorranno studiare il carisma di questa comunità così come è stato presentato da Ireos. Ecco quindi alcune piste per entrare nel sito www.lavoraeprega.it in maniera produttiva. La prima pagina Anzitutto la home page, vale a dire la prima pagina: dai menu in essa presenti (http://www.lavoraeprega.it/) si trovano le informazioni “minimali” per utenti sia interni sia esterni. Le varie “tendine” che
si aprono nella striscia orizzontale nera sotto l’immagine di Gesù in croce portano alle “novità”, al “benvenuto”, a quanto hanno detto o scritto i “Pastori”, alla persona di Ireos (breve biografia e descrizione della spiritualità), agli “Scritti”, quindi alle “Meditazioni”, “Preghiere”, alle “Fondazioni” (la “Comunità”, la “Fraternità” e il “Cenacolo”), fino ai “Sussidi” con alcune fonti spirituali di cui si è nutrito Ireos, e infine uno spazio per la figura di Sabatino, di cui è in corso la causa di beatificazione. Già soltanto fermandosi a tali “tendine” c’è sufficiente materia per cogliere, nel suo insieme, la ricca storia del P.G.C. dalla sua fondazione
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ad oggi; le voci del Magistero della Chiesa che lo hanno riconosciuto e incontrato; le figure spirituali che lo hanno ispirato e sostenuto. Le edizioni dei testi Scendendo più al centro della home page si trova il piano completo di edizione (da cui si possono consultare già i testi “pubblicati”) e una antologia ragionata. Accanto c’è quindi un interessante repertorio di brevi pensieri di Ireos divisi nei seguenti temi: Amore Carisma Carità Castità Celibato Comunione Consacrazione Conversione Croce Dio_solo Dio_soprattutto Eucaristia Evangelizzazione Fede Fidanzamento Fiducia Gesù Giovani Gruppo Imitazione_di_Cristo Lavoro Libertà Maria Matrimonio Obbedienza Pace_della_gloria Pasqua Pazienza Penitenza Perdono Poveri Povertà Preghiera Riso Salvezza Santificazione Secolarità Segni Servizio Testimonianza Totalmente_di_Dio Umiltà Vangelo_nudo Vocazione. Cliccando su uno qualsiasi di questi rimandi si trovano belle e rapide citazioni da scritti o discorsi di Ireos che permettono di comprendere meglio lo sviluppo della sua spiritualità. E’ un modo semplice e popolare di presentarne la ricchezza del carisma. I documenti “in lavorazione” C’è quindi un’area più “per addetti” ai lavori, quella dei documenti. Vi si trovano quelli tuttora in lavorazione e tale area è riservata, per evitare usi impropri dei testi non ancora del tutto elaborati. Ci vuole quindi una password per entrare. Comunque accedendo si incontrano le strutture dei trenta volumi previsti, ovviamente ancora in formato provvisorio e di lavoro – come si usa dire – “in progress”. Le altre sezioni del sito Ci sono poi altre sezioni del sito molto interessanti: una sui “Docu-
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menti della Chiesa” (dalla Bibbia al Concilio, a testi dei Papi ecc.); una seconda sezione sulle “Preghiere della Chiesa” (liturgia mensile, quotidiana e delle Ore). Infine una sezione con la figura di Giuseppe Lazzati, grande maestro di spiritualità laicale. Le visite Da aprile 2011, quando il sito è stato costruito, i contatti (cioè le “visite” esterne) sono stati quasi 6 mila, per la maggior parte dall’Italia ma anche da Malta (12), Russia (11), Bielorussia (5), Germania (4), Francia (4), Svizzera (3), Regno Unito (3), Repubblica Ceca, Spagna, San Marino, Romania (2) e diversi altri paesi una visita. Bisogna dire che a partire dagli aderenti al Piccolo Gruppo di Cristo sarebbe auspicabile che si accedesse maggiormente anche a questo sito, oltre a quello www.piccologruppo.
it. Il motivo è molto semplice: se si vuole approfondire la spiritualità del “Gruppo”, entrando qui non c’è bisogno di avere di fronte decine di libri, opuscoli, fascicoli ecc.: tutto è facilmente a portata di mano. Bisogna quindi abituarsi all’uso di internet. Anche se si farà fatica, almeno all’inizio, è possibile meditare e anche pregare stando davanti a un computer. Ciò non toglie la necessità della preghiera liturgica e intima, fatte in chiesa o nel chiuso della propria stanza (come dice il Vangelo). Però anche uno schermo di computer puoi aiutarci. E il P.G.C. offre quindi questo strumento, molto ricco e ben organizzato. Sicuramente porterà anche lui frutto. L.C.
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Un mojito con
IL SIGNORE
Gianluca ed Elisabetta hanno partecipato alla settimana comunitaria 2011. Sono partiti da Roma con tre bambini e la testa ancora piena di pensieri lavorativi. E il desiderio di riuscire a riposare, dopo un anno di impegni familiari e professionali. Nel ricordo di quelle giornate emerge la bellezza di essersi fidati, scegliendo l’esperienza della vacanza insieme ad aspiranti e celibi, su misura di famiglia. Non sempre, alla fine di un anno di lavoro e di vita familiare da sostenere, capisci quale sia veramente il riposo. Per noi romani, poi, le vacanze estive “devono” essere al mare perché si fa meno fatica e ci si immerge nell’acqua per mitigare le alte temperature della città. L’idea di salire in montagna e affrontare la settimana comunitaria del Piccolo Gruppo - con tutti i preparativi del caso - mi metteva veramente in difficoltà. Ha prevalso la decisione “facciamolo per i bambini, loro si divertono...” ignaro di ciò che il Signore ha sempre in serbo per noi. Gli incontri per le famiglie, così come le passeggiate nelle bellissime montagne dell’Appennino toscoemiliano mi hanno a poco a poco insegnato l’importanza di conquistare la vetta, di gustare la bellezza del paesaggio dopo tanta salita ma
soprattutto di riscoprire a cosa siamo veramente chiamati, al perché Dio chiama i suoi figli sul monte per rivelarsi, per stargli vicino. Tutta la settimana è stata una crescita familiare, di amicizia e soprattutto spirituale: Dio è l’unico in grado di darci il vero riposo. Si rimane sempre colpiti da come possa funzionare, al di là di una perfetta organizzazione, una “vacanza” con più di cento persone dagli 0 agli 80 e più anni. Eppure, col passare dei giorni, ci si accorge di essere veramente in famiglia e soprattutto si avverte la gioia di esserne parte. Ognuno spezza una parte della propria vita per l’altro, consapevole di riceverne altrettanto. Abbiamo visto i nostri figli giocare in amicizia
con tutti, abbiamo incontrato persone nuove con cui poter condividere tutto, abbiamo goduto della disponibilità al servizio dei celibi - parte inscindibile di questa nostra famiglia - abbiamo fatto giocare i ragazzi più grandi con i bambini. C’è stato spazio anche per il teatro – grazie alla rappresentazione per raccontare la vita di Sabatino – in cui i nostri piccoli insieme ai “vecchi” ci hanno fatto emozionare. E l’ultimo giorno ci siamo ritrovati a giocare con l’acqua della vicina piscina comunale, sorseggiando un mojito a bordo vasca. Questo è il progetto di Dio, noi siamo cosa molto bella. GIANLUCA CALVANICO (nella foto in alto)
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Settimana di Comunità 2012 28 luglio - 4 agosto Casa Alpina Piandimaia Scalabrini Villabassa - BZ
Informazioni utili
• La casa può ospitare fino a 120 persone e verrà dunque data precedenza a chi si iscrive per primo e a chi sarà presente per l’intero periodo. • Il modulo di iscrizione è da consegnare entro il 30 aprile 2012 al segretario locale della propria comunità unitamente alla quota di iscrizione di € 50 per partecipanti singoli e € 100 per singola famiglia. Per informazioni rivolgersi a Paolo Cattaneo ( 340 6310505 – piccologruppodicristo@gmail.com ). • E’ necessario segnalare la presenza di accompagnatori che dovessero fermarsi a dormire solo la notte del sabato 28 luglio.
La settimana di vita comunitaria, all’interno della quale si svolge sia la settimana aspiranti che alcuni giorni dei nostri celibi, è sempre un grande dono del Signore, il quale non ci fa’ mai mancare la sua vicinanza divina. Vogliamo proseguire l’esperienza di condivisione tra le famiglie e per questo invito tutti a valutare con attenzione questa proposta, per un tempo di riposo e fraternità.
Prossimi appuntamenti da ricordare:
• 25 maggio - 27 maggio: Pellegrinaggio ad Assisi • 30 maggio- 3 giugno: VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano • 28 luglio - 4 agosto : Settimana di Comunità a Villabassa (BZ)
ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE Gli appartenenti al Piccolo Gruppo di Cristo hanno la possibilità di accedere al sito internet www.piccologruppo.it e poter leggere la rivista “Esperienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le mani la stessa rivista in formato cartaceo. Anche un qualunque visitatore del sito internet può farlo. Naturalmente occorre che qualcuno lo guidi a conoscere il sito e lo invogli a leggere le pagine della rivista. Considerato che ogni copia cartacea della rivista ha un certo costo, sarebbe opportuno da un lato invogliare gli appartenenti al P.G.C. a leggere la rivista su internet. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può diventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende avvicinare al “Gruppo”. Così facendo la spesa che la Comunità sostiene per la rivista avrebbe anche un significato di annuncio e quindi “missionario” perché farebbe girare nel mondo quanto viene elaborato. Un secondo vantaggio consisterebbe nel ridurre il consumo di carta, almeno in prospettiva, perché ognuno di noi si abituerebbe maggiormente all’uso dei testi “in rete”, dove non sbiadiscono, non fanno polvere, non si perdono ma sono sempre a disposizione di tutti. La redazione di EDV Tutti i contenuti sono di proprietà del Piccolo Gruppo di Cristo - copyright 2012 © - È espressamente vietata la riproduzione
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Gerusalemme, via dolorosa (foto per gentile concessione di Leonora Giovanazzi)
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