EDV 158 - "Il potere del servizio". Il più grande è quello che più serve.

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EDV Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 158 - anno XXXIV | Settembre 2013

ESPERIENZE DI VITA

Servi per amore: mettersi al servizio è il vero potere

Riflessioni sull’ XI° Congresso del Piccolo Gruppo di Cristo

Un esame di coscienza a partire dall’esempio di Papa Francesco


EDV redazione

Giovanni Cattaneo Luigi Crimella Rosalba Beatrice Paolo Cattaneo

Sommario Settembre 2013 INSERTO Una settimana eccezionale EDITORIALE Chiamati a farsi Santi

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Paolo Cattaneo

MAIL piccologruppodicristo@gmail.com

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ATTUALITà La stola e il grembiule

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ZOOM Un Papa dopo l’altro

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RUBRICA Madre Teresa, una vita al servizio del prossimo

N°158 In questo numero riflettiamo sul tema richiamato più volte in queste settimane da Papa Francesco: “il vero potere è il servizio”. In questo periodo post Congresso meditiamo il senso di essere comunità nel servizio, essere testimoni nelle realtà che viviamo. Riflettiamo di fronte a tutto quello che sta succedendo nella nostra società, dalla politica alla Chiesa.

info PGC www.piccologruppo.it Il Piccolo Gruppo di Cristo Via San Pietro, 20 20832 Desio, MB Segreteria Telefono: (+39) 0362 621651 Fax: (+39) 0362 287322 Mail: piccolo.gruppo@tin.it

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IN COMUNITà Conoscere la realtà della chiesa

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Lettera del Cardinal Tettamanzi

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Duc in Altum: l’esperienza del Congresso

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Vita e fede: lo stile della testimonianza

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Che bello, che gioia

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Un padre della chiesa

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Vivere in profondità il nostro carisma

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Eccomi sono del Signore. Avvenga di me secondo

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la tua parola Un week-end ricco di fede

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Come riparare la Casa-Chiesa

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BACHECA News dalla Comunità

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Villabassa

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La settimana di vita comunitaria è sempre un grande dono del Signore, il quale non ci fa’ mai mancare la sua vicinanza divina. Ritrovarci con Lui e fra di noi diventa un grande aiuto per riprendere con più vigore il nostro cammino.

Una settimana eccezionale Anche quest’anno la settimana di vita comunitaria che abbiamo trascorso dal 27 luglio al 3 agosto a Villabassa presso la Casa dei Padri Scalabrini è stata una settimana speciale, anzi diciamo “eccezionale”. Abbiamo fatto concretamente l’esperienza di come Dio si rende presente in mezzo a noi attraverso la bellezza del creato, la vivacità dei

bambini, la curiosità degli aspiranti, la testimonianza delle famiglie, lo sguardo materno dei celibi e la disponibilità e l’accoglienza della casa. Immersi in paesaggi incantevoli abbiamo vissuto momenti di preghiera, di formazione e di meditazione. Le gite in montagna ci hanno permesso di condividere momenti di svago in fraternità senza tralasciare

anche un tempo per il riposo. La settimana comunitaria è stata tempo prezioso per coltivare i rapporti con i fratelli e le sorelle della Comunità a partire dal rapporto personale con il Signore. Lasciamo raccontare la bellezza di questa esperienza alle seguenti immagini. Alla prossima estate, sempre a Villabassa!


Carissimi “aspiranti”, in questi giorni vi ho “seguito” con il cuore di mamma. Ogni sera elevavo al Signore una lode di ringraziamento: “Signore, nostro Dio, grande è il tuo nome su tutta la terra. La tua forza si rivela nella semplicità dei piccoli. Tu hai seminato nei cuori di questi ragazzi. Insegna loro ad essere dei piccoli semi, umili e semplici, nascosti nel quotidiano per imparare nel silenzio la tua lezione di vita. Mescola la loro vita con il lievito del Tuo Amore perché ovunque si trovino possano lasciare un chicco di pace, gioia e di amicizia nel campo del mondo”. Cari giovani donate sempre il vostro sorriso e la vostra bella amicizia. Con Gesù Eucarestia sarò con voi. Con affetto e gratitudine vi saluto e arrivederci al prossimo anno. Sig.ra Giovanna e tutto il personale di Piandimaia.

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RICONOSCERE IL SIGNORE. UN CUORE APERTO ALLA MISSIONE

«Chiamati a farsi Santi» di Giancarlo Bassanini (Responsabile Generale) La XV Domenica del Tempo Ordinario è caratterizzata dal Vangelo secondo Luca (Lc 10, 25-37) ovvero dalla parabola del buon samaritano. Noi sappiamo che tutto il Vangelo di Luca delinea il grande viaggio di Gesù da Gerico verso Gerusalemme, verso il compimento della volontà del Padre che si attuerà sul trono della croce. È interessante notare che Gerusalemme è posta a circa 750 metri sul livello del mare, quindi in alto; mentre Gerico è posta a 400 metri sotto il livello del mare, quindi in basso. Il viaggio di Gesù che in realtà è il buon samaritano va dunque dal basso verso l’alto; mentre il viaggio del sacerdote e del levita va dall’alto verso il basso. Il sacerdote e il levita sono convinti di aver incontrato Dio nel culto e non pensano che Dio lo si possa incontrare nella sofferenza, nella difficoltà e nel malcapitato; tanto è vero che lo videro, ma passarono oltre. Tra gli Ebrei e i Samaritani noi sappiamo che non scorreva buon sangue. I samaritani erano considerati gli impuri per eccellenza, perché avevano imbastardito la religione con il culto per gli idoli. Un ebreo preferiva imbattersi con un maiale, animale massimamente impuro, piuttosto che incontrare un samaritano. Gli ebrei non toccavano e non parlavano con un samaritano per non diventare impuri a loro volta.

E qui Gesù si impersonifica in un samaritano, e passando accanto al malcapitato ne prova compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di Lui. L’amore puro del sacerdote e del levita diviene impuro secondo Dio perché non prova compassione; l’amore impuro del samaritano diviene puro come l’amore di Dio, perché prova compassione e sa ancora chinarsi verso il malcapitato e pagare di persona perché colui che sta male ritorni a stare bene.

nostre piaghe e su quelle dei nostri fratelli. Sciogli Signore ogni nostra durezza e donaci la gioia di amare. Non permettere Signore che ti passiamo accanto senza riconoscerti. Ispiraci sentimenti di compassione e gesti concreti di solidarietà. Siano questi i sentimenti che animano il nostro cuore in questo nuovo mandato in cui siamo chiamati a farci santi aprendoci verso la missione.

Da un po’ di tempo a questa parte la parola di Dio mi inquieta nel profondo, mi fa pensare che non sono tanto le Ave Marie che recito con le labbra che mi possono salvare (e che pure devo recitare, ma con il cuore) quanto gli atti di amore e di carità che Dio mi chiede. Anch’io sovente chiedo a Dio che cosa devo fare, voglio restringere il campo delle regolette per stare tranquillo e non mi apro al dono della vita che offerta per Dio me la fa’ ritrovare nella sua pienezza. Sorelle e fratelli, la parola del Signore è molto vicina a noi, è nella nostra bocca, è nel nostro cuore, a patto che ciascuno di noi la metta in pratica. Donaci Signore la tua misericordia ed il tuo amore, affinché anche noi siamo resi capaci di piegarci sulle IL POTERE DEL SERVIZIO

Dipinto “Il buon samaritano”, Van Gogh

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un esempio di vita di chi ha seguito il signore

«La stola e il grembiule» Proponiamo uno scritto famoso di don Tonino Bello che descrive in modo fulminante la natura più vera della Chiesa e del servizio dei pastori. Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un

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gesto squisitamente sacerdotale. Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di camice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento!

Un grembiule ritagliato dalla stola La cosa più importante, comunque, non è introdurre il “grembiule” nell’armadio dei “paramenti sacri”, ma comprendere che la stola e il grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio; il servizio reso a Dio e quello offerto al prosIL POTERE DEL SERVIZIO

simo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile. C’è, nel vangelo di Giovanni, una triade di verbi scarni, essenziali, pregnantissimi, che basterebbero da soli a sostenere il peso di tutta la teologia del servizio, e che illustrano la complementarietà della stola e del grembiule. I tre verbi sono: “si alzò da tavola”, “depose le vesti”, “si cinse un asciugatoio”.


Si alzò da tavola Significa due cose. Prima di tutto che l’eucarestia non sopporta la sedentarietà. Non tollera la siesta. Non permette l’assopimento della digestione. Ci obbliga a un certo punto ad abbandonare la mensa. Ci sollecita all’azione. Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche e missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto. Questo è il guaio: le nostre eucaristie si snervano spesso in dilettazioni morose, languiscono nei tepori del cenacolo, si sciupano nel narcisismo contemplativo e si concludono con tanta sonnolenza lusingatrice, che le membra si intorpidiscono, gli occhi tendono a chiudersi, e l’impegno si isterilisce. Se non ci si alza da tavola, l’eucarestia rimane un sacramento incompiuto. La spinta all’azione è così radicata nella sua natura, che obbliga a lasciare la mensa anche quando viene accolta con l’anima sacrilega, come quella di Giuda: “Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte”. Ma “si alzò da tavola” significa un’altra cosa molto importante. Significa che gli altri due verbi “depose le vesti” e “si cinse i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucarestia. Se prima non si è stati “a tavola”, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che

ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo. Per i presbiteri ogni impegno vitale, ogni battaglia per la giustizia, ogni lotta a favore dei poveri, ogni sforzo di liberazione, ogni sollecitudine per il trionfo della verità devono partire dalla “tavola”, dalla consuetudine con Cristo, dalla familiarità con lui, dall’aver bevuto al calice suo con tutte le valenze del suo martirio. Da una intensa vita di preghiera, insomma. Solo così il nostro svuotamento si riempirà di frutti, le nostre spoliazioni si rivestiranno di vittorie, e l’acqua tiepida che verseremo sui piedi dei nostri fratelli li abiliterà a percorrere fino in fondo le strade della libertà.

con chi manipola il danaro pubblico ci devono terrorizzare. Dovremmo rimanere amareggiati ogni qualvolta ci sentiamo dire che le nostre raccomandazioni contano. Che la nostra parola fa vincere un concorso. Che le nostre spinte sono privilegiate. Il bagliore dei soldi anche se promesso per le nostre chiese e non per le nostre tasche, non deve mai renderci complici dei disonesti, diversamente innescheremmo nella nostra vita una catena di anti-pasque che arresteranno il flusso di salvezza che parte dalla pasqua di Cristo. In una parola, “depose le vesti” per noi sacerdoti deve significare divenire “clero indigeno” degli ultimi, dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli analfabeti, di tutti coloro che rimangono indietro o sono scavalcati dagli altri.

Depose le vesti Non so se sto forzando il testo. Ma a me pare che con questa espressione del vangelo venga offerto il paradigma dei nostri comportamenti sacerdotali, se vogliono collocarsi sul filo della logica eucaristica. Chi sta alla tavola dell’eucarestia deve “deporre le vesti”. Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione. Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza. Le vesti del dominio, dell’arroganza, dell’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà, ben sapendo che “pauper” non si oppone tanto a “dives” quanto a “potens”. Dobbiamo abbandonare i segni del potere, per conservare il potere dei segni. Non possiamo amoreggiare col potere. Non possiamo coltivare intese sottobanco, offendendo la giustizia, anche se col pretesto di aiutare la gente. Gli allacciamenti adulterini IL POTERE DEL SERVIZIO

Si cinse un asciugatoio Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la Chiesa del grembiule”. Sembra un’immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa. Di quelle che non si espongono nelle vetrine per non far mormorare la gente e per evitare commenti pettegoli, ma che tutt’al più si confinano in un album di famiglia, a disposizione di pochi intimi, magari delle signore che prendono il tè, con le quali soltanto è permesso sorridere su certe leggerezze di abbigliamento o su certe poso scattate in momenti di abbandono. La Chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso. Nell’”hit parade” delle preferenze, il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il legionario tra le mani, o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi, con quel catino nella destra e con quella brocca nella sinistra, con quel piglio vagamente ancillare, viene fuori proprio un’immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca.

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la strada verso la santità: preghiera, umiltà, carità

«Un Papa dopo l’altro» di Luigi Crimella

“Nella vita cristiana sono essenziali la preghiera, l’umiltà, la carità verso tutti: è la strada per la santità”: in queste poche parole, che sono il tweet di Papa Francesco di venerdì 19 luglio, si trova un po’ tutto il suo pensiero e il suo modo di essere cristiano, vescovo, Papa. Davvero con la sua elezione la Chiesa ha ricevuto un grande dono: ci è stato donato un fratello nella fede che ha subito conquistato il cuore di ampi strati di persone, persino di molti “lontani”, di non credenti, di quanti che con i Papi precedenti tenevano le distanze dalla Chiesa. Perché, potremmo chiederci, avviene che ad ogni elezione di un Papa si solleva un interesse nuovo, ina-

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spettato, a volte spasmodico verso il mondo da cui questo pontefice proviene? Perché la nuova figura conquista simpatie ed ambienti che magari il predecessore non era riuscito ad avvicinare? Perché lo stile umano, i tratti del volto, il gesticolare, le scelte, gli abbracci, i modi di fare appaiono così interessanti, addirittura “esemplari”? La risposta risiede forse nel fatto che nel carisma che emana dalla figura di ogni nuovo Papa si trova un grande messaggio proveniente da un disegno divino che ci sovrasta: è come se con il nuovo Vicario di Cristo che è stato scelto nel Conclave venga un’aggiunta, un arricchimento, un nuovo “mattone” alla costruIL POTERE DEL SERVIZIO

zione dell’umanità rinnovata. Papa Francesco ha avuto, sin dalle prime parole e dalle prime scelte compiute, uno stile inconfondibile. Tratti umili ma decisi, scelte di povertà e comunque di sobrietà pur ricoprendo un ruolo primario sulla scena mondiale, parole semplici pronunciate nei più diversi contesti, dal ricevimento di ambasciatori e capi di stato all’abbraccio con i semplici fedeli presenti alle sue udienze. Uno “stile” inconfondibile, quasi anomalo rispetto a quanto di solito ci si attende da un Papa. Eppure, nessun cedimento al semplicismo, al plateale, ma anzi uno stile profondo e rapido, poche parole dette al momento opportuno e penetranti.


Inoltre decisioni magari “dure”, ma necessarie (scandalo pedofilia tra il clero, questioni finanziarie) prese sicuramente dopo attenta documentazione e valutazione, ma senza acrimonia. “Amore verso tutti, misericordia, tenerezza” sono parole che pronuncia spesso e di cui è imbevuta la sua natura di Gesuita, ancorato profondamente all’esempio di Gesù. Quindi accogliamo Papa Francesco con questo suo stile innovativo, certamente diverso da quello di Papa Benedetto come da quello di Papa Giovanni Paolo II. Tre figure certamente a modo loro esemplari nei rispettivi ambiti e nelle storie ecclesiali che rappresentano. Giovanni Paolo II col suo provenire dai paesi dell’ex-cortina di ferro, comunismo di stato che poi è caduto nell’89 grazie anche alla sua azione di risveglio delle coscienze e della cultura, primo pontefice “giramondo”. Poi Benedetto XVI, il grande teologo, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che divenuto Papa ha continuato nella sua linea di profondo rigore intellettuale e teologico, offrendo un magistero forte e strutturato, con insegnamenti e catechesi magistrali. E infine, lui, Papa Francesco, col suo stile che qualcuno ha definito da “parroco del mondo”. Questa è una immagine non riduttiva ma proprio paterna, affettuosa, di colui cui è affidato il gregge più grande, l’intera umanità. Abbiamo notato tutti come egli “annusa” le sue pecore, le conosce, le abbraccia, le tocca, specie quelle malate e deboli, le accoglie, parla loro in maniera che possano capire. Questo è Papa Francesco, un altro stile, un’altra personalità, un altro modo di intendere la funzione di “Vicario di Cristo”.

con ospiti diversi, senza però rinunciare al suo mandato di essere “Pietro” sul quale “si edifica la Chiesa”. Accetta il dono dell’enciclica abbozzata dal Papa Emerito Benedetto, sul tema dell’Anno della Fede. La fa propria, aggiunge qualche capitolo, lima il testo e la pubblica col titolo “Lumen Fidei”, offrendo un esempio – il primo nella storia – di magistero papale “a quattro mani”. Questo di Papa Bergoglio è il dono che il Signore ci ha fatto in questo anno 2013 e che proietta verso un nuovo modo di essere Chiesa: aper-

to, dialogico, delicato, riflessivo, mite ma sicuro. Dovremo seguire questo Papa – come già abbiamo fatto tutti con i suoi predecessori – perché nel dono di grazia che egli ha ricevuto si nascondono dei tesori che verranno estratti e diffusi poco a poco. Abbiamo tutti da apprendere come essere cristiani nel XXI secolo, con “tenerezza”, calore umano, accoglienza. Dobbiamo disporci a ricevere le domande e gli esempi che egli, il nuovo Papa, ci porrà giorno dopo giorno. Pronti alle sorprese.

Non vuole il Palazzo Apostolico, si accontenta di un appartamentino tra gli altri preti e monsignori a “Casa Santa Marta”, li vuole accanto a pranzo e a cena, non chiede trattamenti di favore, si mischia volentieri IL POTERE DEL SERVIZIO

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“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).

«Madre Teresa, una vita al servizio del prossimo» di Rosalba Beatrice

Come possiamo amare Gesù nel mondo oggi ? AmandoLo in nostro marito, nostra moglie, nei nostri bambini, nei nostri fratelli e sorelle, genitori, vicini, poveri. “Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore” (Mc 10, 43). “Questo passo del Vangelo ci indica quale sia il cammino che conduce alla “ grandezza” evangelica. È la strada che Cristo stesso ha percorso fino alla Croce . Essere il servo di tutti .” Con queste parole iniziava la sua Omelia Sua Santità Giovanni Paolo II il 19 Ottobre 2003 per la Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta. “La chiamata” è stata un dono delicato di Dio a me, indegna. Non so perché Lui mi ha raccolta, suppongo come le persone che raccogliamo noi, perché sono le persone più indesiderate. È stato Lui a chiedermi: “Farai questo per me?” È stata tutta opera Sua. Io ho dovuto soltanto ar-

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rendermi al Suo progetto, alla sua volontà. Agli amici, Madre Teresa, confidò la preghiera che sussurrava nel suo cuore : “Oh Dio, con quanta felicità li rendo felici! Dammi la forza di essere sempre la luce della loro vita, e così condurli a te!” Niente è piccolo agli occhi del Buon Dio, Madre Teresa insisteva : “ Non cercate grandi cose, fate soltanto piccole cose con grande amore. Più piccole le cose, più grande dev’essere il nostro amore.” Ogni piccola azione è un’occasione per amare. Gesù scelse di identificarsi con i poveri e con tutti coloro che soffrono e Madre Teresa colse fino in fondo l’identificazione di Gesù con ogni persona sofferente. La sua risposta alla chiamata di Gesù a saziare la Sua sete era il suo umile servizio, attraverso il quale si sforzava di portare le anime a Dio, e Dio alle anime. Ella sentiva davvero la “Voce” di Gesù all’inizio della chiamata e conversava intimamente con Lui. Con somma tenerezza Lui la definiva “La mia sposa”, “ La mia Piccola” “ Vieni, vieni, portaMi nei buchi dei poveri. Vieni, sii la Mia luce. In questo sacro dialogo, Gesù le stava aprendo il Suo Cuore. “ Voglio suore indiane, vittime del Mio amore, che siano totalmente unite a Me da irradiare il Mio Amore sulle anime. Rifiuterai di fare questo per Me?” “Voglio Missionarie indiane Suore della Carità, che siano il Mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Rifiuterai? Per essere completamente unite a Lui dobbiamo essere povere, libere da tutto. Andando in mezzo alla gente, curando i malati nelle loro case , aiutando i moribondi a rappacificarsi con Dio, organizzando piccole scuole gratuite per i bambini nei bassifondi, visitando i poveri negli ospedali e aiutando i mendicanti

a condurre una vita degna di rispetto. In poche parole portare la carità di Cristo fra i più poveri. In convento, le sorelle vivono una vita di stretta unione con Dio. L’interiore deve diventare la potenza principale dell’esteriore. Se noi sorelle non saremo “innamorate” di Dio non riusciremo a condurre questa vita di perenne immolazione per le anime. “Non temere io sarò con te”. Quanti sono i morti senza Dio, solo perché non c’era nessuno che dica una parola sulla Sua misericordia? Nostro Signore dice: “Quanto fa male vedere questi bambini insudiciati dal peccato... Essi non mi conoscono. Quindi non Mi vogliono... Quanto desidero entrare nei loro “buchi” , nelle loro case buie e infelici. Vieni, sii vittima per loro! Nella tua immolazione, nel tuo amore per Me, loro vedranno Me, Mi conosceranno, Mi vorranno...”. Gesù si fa l’affamato, l’ignudo, il senzatetto, l’ammalato, il carcerato, la persona sola, la persona non voluta, e dice: “ Lo avete fatto a Me.” Lui ha fame del nostro amore, e questa è la fame dei nostri poveri. Questa è la fame che tu e io dobbiamo trovare, potrebbe essere nella nostra casa. Ho visitato una casa di riposo, scrive Madre Teresa, in cui c’erano molti genitori anziani. Ho visto che in quella casa avevano tutto, ma ciascuno di loro guardava verso la porta. Sperano che un figlio o una figlia venga a trovarli. Soffrono perché sono stati dimenticati. Forse nella nostra famiglia c’è qualcuno che si sente solo, che sta male, che è preoccupato. E noi siamo lì per accoglierlo? Sono rimasta sorpresa di vedere in Occidente così tanti ragazzi e ragazze che si danno alla droga e ho cercato di scoprire perché. Perché in famiglia non c’è nessuno che li accoglie. Il padre e la madre sono così impegnati, non hanno tempo... I figli allora vanno per strada e si lasciano coinvolgere in brutte storie. Io penso che oggi il più grande distruttore della pace sia l’aborto, perché è un assassinio diretto, un IL POTERE DEL SERVIZIO

omicidio diretto della madre stessa. E noi leggiamo nelle scritture: “Anche se una madre si dimenticasse di suo figlio, io non mi dimenticherò di te. Ti ho scolpito nel palmo della mia mano”. Quel bimbo non ancora nato è stato scolpito nella mano di Dio. Se una madre può uccidere il suo bambino, cosa impedirà a me di uccidere te e a te di uccidere me? Madre Teresa provava grande compassione per coloro che si identificano fra i respinti e rifiutati. Sappiamo chi sono i nostri poveri? Conosciamo i nostri vicini, i poveri della nostra zona? Molto spesso abbiamo chi soffre, chi è solo, le persone anziane, non volute, infelici, ed esse sono vicine a noi, e noi neppure le conosciamo. Non abbiamo neanche il tempo di sorridere loro. Penso che la malattia più grande sia l’essere non voluto, l’essere non amato. Il dolore che provano queste persone è molto difficile da capire, da penetrare. Penso che sia ciò che la nostra gente in tutto il mondo sperimenta, in ogni famiglia, in ogni casa. Penso, dice Madre Teresa, che Cristo stia soffrendo nuovamente la Sua passione. E sta a voi e a me aiutarli. Madre Teresa di Calcutta fu un docile strumento nelle mani di Dio, lasciò che lui usasse la sua nullità per mostrare la Sua grandezza. Incarnava la preghiera che per lei esprimeva l’obiettivo di ogni Missionaria della Carità: diffondere la Sua fragranza ovunque lei andasse, essere il Suo splendore, la Sua Luce, ed essere “solo Gesù” per ogni persona che incontrava. In tutto questo Madre Teresa saziava la Sua sete di Amore. Se mai diventerò santa, diceva, sarò continuamente assente dal Paradiso per accendere la luce a coloro che , sulla Terra, vivono nell’oscurità. Bibbliografia: Madre Teresa. Sii la mia luce.

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L’INTERVENTO DEL FONDATORE AL CONGRESSO DELLA COMUNITà

«Conoscere la realtà della Chiesa » di Ireos Della Savia Spero che questo Congresso, certo della presenza dello Spirito Santo, riesca a comprendere e ad adeguarsi alla volontà di Dio che, attraverso la guida dei Papi che si sono susseguiti, ci aiuta a conoscere la realtà della Chiesa immersa in questo attuale mondo che ha, come abbiamo sentito dai vari relatori, le sue proprie caratteristiche. La Chiesa è santa e anche attualmente in essa vi sono seguaci virtuosi e fedeli al Signore: ci sono i martiri e se ci sono i martiri vuol dire che ci sono gli infedeli e gli increduli che contrastano in vari modi i cristiani. Anche noi, a volte, ci troviamo a lottare per rifiutare ciò che è male, ciò che non serve alla salvezza eterna. Sento rivolto anche a noi ciò che il Signore ha detto a San Francesco: “Va a riparare la mia casa che, come vedi, va in rovina!”. Seguo con amore filiale il Papa Francesco e mi sembra che voglia seguire nella storia odierna le orme di San Francesco. E questo mi affascina! In primo luogo dobbiamo cercare di realizzare in ognuno di noi la ricostruzione della santità per rendere il Piccolo Gruppo di Cristo splendente della vocazione ricevuta. Ognuno ha i suoi propri talenti, perciò dobbiamo rispettare e amare ogni fratello e sorella per quello che è. Però non possiamo dimenticare

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che se siamo qui è perché il Signore ha donato a tutti la stessa vocazione che siamo chiamati a realizzare ogni giorno. Il Gruppo ci aiuta a ricordarci il percorso da fare, ma ognuno di noi è responsabile della sua fedeltà o della sua negligenza. È bene tenere nel cuore il Gruppo con tanto amore, sapendo che è chiamato alla santità, pregando intensamente perché raggiunga in pienezza la vita di gloria. Il Signore Gesù si è incarnato e consacrato per noi, ma non dimentichiamo che lui, proprio lui il Signore, ci ha chiamati a stare con lui per essere totalmente suoi. Le nostre virtù piccole o grandi stanno dentro questo progetto che non ci è consentito di intiepidire. Invito me stesso e tutti voi a migliorare il vivere completamente dentro l’amore della Santissima Trinità, ove ogni realtà umana risplenderà delle parole del Risorto: “La pace sia con voi!”. Signore, venga il tuo regno in noi. 26 aprile 2013


lettera del card. tettamanzi al piccolo gruppo di cristo


uno sguardo d’insieme sul congresso appena concluso

«Duc in altum: l’esperienza del Congresso» di Manuela Mascherucci

Ripensando al Congresso, innanzitutto ringrazio il Signore e i fratelli per avermi dato l’opportunità sia di essere presente, sia di parteciparvi nel lavoro di preparazione (tramite la commissione congressuale). Devo dire che è stato veramente molto bello per me aver avuto la possibilità di avere uno sguardo d’insieme su tutti gli interventi usciti durante i nuclei di preparazione da ottobre ad aprile sia della Comunità di Roma sia delle altre comunità. Mi sembra che ci sia stato veramente un coinvolgimento di tutto il Gruppo e che tutti ci siamo in qualche modo impegnati a rispondere alla chiamata del Signore a discernere ancora una volta la sua volontà per noi. Ripensando ad alcuni incontri sulle tante e belle domande propo-

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ste sui “Lineamenta” ricordo benissimo la tentazione che a volte ci veniva di dire: “…ma che ne so io?...” E invece poi lo sforzo, il desiderio, di andare a fondo, di rispondere, di condividere. Pensavo anche che sarebbe stato molto difficile coordinarci con Enzo, Roberto, Paolo e Giovanni così da lontano e invece quando ci collegavamo via Skype sembrava di essere lì tutti insieme realmente. In questo caso la tecnologia è stata veramente un dono prezioso. Molto bella anche la sollecitudine con cui i capinucleo mandavano le sintesi di tutti gli interventi. Insomma penso proprio che il risultato di tutto questo lavoro sia stato soprattutto quello di metterci in comunione, di aiuIL POTERE DEL SERVIZIO

tarci a condividere di fare in modo che i pensieri dei singoli diventassero un pensiero comune. I giorni del Congresso sono stati proprio un momento di gioia profonda. Almeno io li ho vissuti così. Iniziando dalla prima messa celebrata con Don Luciano che ci ha fatto mettere il grembiule “servi per amore”. Vi confesso, forse questo non dovrei neanche dirlo apertamente, che talmente era forte la gioia per me in quel momento, forse anche perché rivedevo molti di voi dopo tanto tempo, rivedevo alcuni con figli che ancora non avevo conosciuto, alcuni che ricordavo ancora piccoli,…Ireos,…..talmente forte il senso di unione, che mi è venuto un dubbio di fede ad un certo mo-


mento: ci staremo inventando tutto per cercare di vivere più felici e più sereni in un mondo che al contrario ci porta alla divisione, alla delusione,…? Poi alzando lo sguardo, ho visto tutti voi dai più anziani, ai più giovani, dai più semplici ai più colti, così diversi gli uni dagli altri, tutti rivolti verso Gesù. Solo la fede in una persona viva e vera che ci trasforma continuamente in persone migliori è in grado di tenere unite persone così diverse e distanti tra loro. Spesso la vostra testimonianza, anche solo tramite la presenza, mi ha confermato nella fede. Comunque, oltre a questi bei momenti di preghiera, di comunione e anche di amicizia e affetto sincero vissuti nei momenti più informali, quello che mi sono portata dietro da tutti gli interventi, sono soprattutto tre aspetti: la sollecitazione a una maggiore apertura del cuore agli altri, ad avere uno sguardo più ampio, a cogliere le nuove opportunità che il Signore tramite le persone che incontro quotidianamente mi dona, ad essere meno rigida e a vivere con più passione la vita che mi è stata donata; la necessità di una maggiore adesione al Vangelo; la necessità di una maggiore preparazione personale per essere una presenza più efficace nella società attuale molto complessa e per preservare la spiritualità del Gruppo così come mi è stata donata e testimoniata in tutti questi anni. Ho attaccato il grembiule in cucina e spesso lo uso,… mia figlia mi ha chiesto il significato della scritta “servi per amore”. Ho cercato di spiegarglielo. Ora quando preparo la cena o sparecchio la tavola nervosamente, lei mi ricorda sempre “lì c’è scritto che devi farlo per amore!...Ti ricordi?”. Ringrazio Don Luciano che tramite questo segno mi dona quotidianamente il richiamo a vivere bene la mia vocazione di sposa, mamma, sorella nel Piccolo Gruppo di Cristo.

In queste foto alcuni momenti dell’XI° Congresso appena concluso. IL POTERE DEL SERVIZIO

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dio fa bene tutte le cose. l’esperienza della fraternità

«Vita e fede: lo stile della testimonianza» di don Tonio Galea

Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta… Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra… Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita [cfr. Salmo 139]

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IL POTERE DEL SERVIZIO


Sono ormai 40 gli anni del dono della vita, 10 gli anni del dono del ministero sacerdotale e 2 gli anni del dono del Piccolo Gruppo di Cristo. Questi sono i numeri che mi sono venuti in mente questi giorni di vacanza che sto trascorrendo a casa dei miei genitori. Sono numeri legati a grandi doni che il Signore, senza nessun merito mi ha voluto donare gratuitamente. Sono doni, ricevuti da Lui, senza che io mi accorgessi che li stavo ricevendo. Oggi rendo grazie al Signore che mi ha reso consapevole (almeno un po’) di questa Sua gratuità. Il salmo 139 è un salmo che mi ha accompagnato in diversi momenti della mia vita, e ogni volta che il Signore mi parla con questo salmo la prima cosa che mi viene nel mio cuore è di ringraziarlo per il dono della vita, per la Sua continua presenza e amore. L’ultima volta che il Signore mi ha parlato con questo salmo è stata l’occasione degli esercizi spirituali che ho fatto con la comunità romana a Galloro. Nella prima meditazione, Padre Giuseppe Piva, ci ha invitati a lodare e ringraziare il Signore della vita con questo salmo. Mentre lo rileggevo e lo meditavo, mi sono venuti in mente questi numeri, 40, 10 e 2. Vita e fede non possono essere divisi nella mia esistenza. Ringrazio il Signore del dono della fede ricevuta con il sacramento del Battesimo e con la parola e la testimonianza dei miei genitori da quando ero piccolo. Posso dire che prima che avessi cominciato a ragionare ho ricevuto il dono della fede. Accanto alla nostra casa c’era una cappella che non ricordo quando ho cominciato a frequentare, ecco come ho ricevuto gratuitamente i doni della fede prima di essere consapevole di essi e questo è bello, questo mi mostra ancora una volta la gratuità del Signore. Il tema di questo articolo non è di raccontare i miei 40 anni, quindi vado avanti. Ma pensando a “vita e fede” e al Piccolo Gruppo di Cristo, non posso che ringraziare il Signore per i

10 anni di sacerdozio che Lui mi ha donato. Guardando indietro, oggi con gli “occhi del PgC”, vedo come il Signore voleva che io prima di intraprendere il mio sacerdozio facessi anche un’esperienza nel mondo del lavoro per sei anni, mi stava preparando da lontano per incontrare un gruppo di cristiani comuni, ancorché consacrati [Icona Teologica]. Sì, era improntante, era nel Suo progetto divino d’amore che io facessi una esperienza di lavoro e mentre la facevo ero in un gruppo di laici celebi impegnati nella catechesi. Come ha detto la giovanissima aspirante Elisabetta Fumagalli al suo saluto al Congresso di Aprile scorso “Dio fa bene tutte le cose”. Ringrazio di cuore il Signore che mi da sempre “occhi nuovi”, “occhi di fede” per vedere la mia vita. Lo ringrazio immensamente per il dono del sacerdozio e che in questi 10 anni mi ha fatto incontrare tante persone a cui ho cercato, con la Grazia del ministero, di trasmettere Lui. Ma oggi vorrei ringraziare il Signore in modo particolare, per il dono della “vita e fede” nella Fraternità del Piccolo Gruppo di Cristo. Oggi posso vedere come il Signore, dopo aver preparato tutto, nella sua immensa misericordia mi ha “pescato con l’amo” per far parte del Gruppo nella Fraternità. Il modo in cui sono stato “pescato” è veramente nello spirito del gruppo. Essendo vice-parroco per soli 9 mesi nella parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata a Roma, dove Nadia svolge un servizio pastorale con i giovani, tramite lo stile semplice del PgC che lei usava con i ragazzi, mi sono sentito interpellato, perché mi riconoscevo in quello stile. È impensabile come agisce Dio. Ringrazio il Signore perchè mi sento veramente parte del PgC, e dico la verità non sento la differenza tra comunità e fraternità, mi sento pienamente nella comunità. Come ci dice la regola di vita comunitaria all’articolo 23 § 3. “Gli appartenenti alla Fraternità partecipano in tutto alla vita della Comunità, tranne che alla determinazione delle decisioni collegiali e all’esercizio delle reIL POTERE DEL SERVIZIO

sponsabilità”. Devo dire che in questi due anni pur partecipando tanto alla vita della Comunità, non ho tolto nulla dei miei impegni del ministero sacerdotale, anzi lo ho arricchito. Mi tornano in mente le parole che ci aveva scritto Emiliano nella lettera alla fraternità lo scorso settembre: “Un cammino in cui ci sosterremo a vicenda, come fratelli, ed in cui le sofferenze e le gioie di ognuno saranno quelle di tutti”. Questa credo sia una caratteristica importante di tutta la comunità e in particolare della fraternità. Posso dire che in questi due anni questo spirito l’ho vissuto. Nella fraternità in modo particolare con il mio confratello don Pierpaolo, con il quale spesso ci chiamiamo al telefono e quando è possibile ci incontriamo. Nella comunità Romana partecipo di più ai nuclei, perché il mio servizio in Parrocchia non mi permette di essere presente alle domeniche di comunità, però mi sento sempre in comunione con loro. A livello di stato di vita sento che è molto importante il contatto e la condivisione con i celibi, i quali sono per me un grande sostegno e un concreto aiuto a farci aiutare a salvarci e a salvare [Art.2 III]. Forse sarebbe bello anche incontrarci come Fraternità ogni tanto, ovviamente come dice la regola all’articolo 23 § 4. “Non a scapito della loro partecipazione alla vita della Comunità”. Credo che sarà una bella iniziativa quella di settembre prossimo, l’incontro generale a Desio di tutti i membri della Fraternità; il sostegno e lo scambio reciproco è importante, proprio per capire che le sofferenze e le gioie di ognuno sono di tutti. Ringrazio il Signore che con questi piccoli pensieri mi ha dato l’occasione di meditare in semplicità sulla mia “vita e fede” nel Piccolo Gruppo di Cristo come membro della Fraternità. Rivedere i fatti della propria vita con la luce della Fede è sempre una cosa nuova e ci da sempre una spinta in più nel cammino della nostra vita spirituale. Come ci dice il nostro Papa Francesco: “Avanti!!!…”

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il cammino nella fraternità: sostenuti dal signore

«Che bello, che gioia» di don Pierpaolo Felicolo potevo non rispondere: che bello! Sì è proprio bello per me vincere la mia pigrizia e la mia stanchezza, rispondere alle sollecitazioni belle di Dio attraverso i fratelli e gli amici che mi mette accanto, insomma uscire da me stesso e dalle mie abitudini per appartenergli sempre di più. Davvero che bello e che gioia (come aggiungerebbe don Tonio). Sì per me non può non essere bello e vi prego di credermi non è retorica ma sono proprio sincero, pensare a voi, a tutta la famiglia del Piccolo Gruppo che sento essere sempre di più la mia famiglia. Ed allora se mi sento in famiglia mi sento a casa.

Ammetto che sono giorni che ho davanti a me la richiesta di scrivere alcune righe sulla fraternità. Sono sincero all’inizio ho fatto finta di non averla letta e da buon romano, del cui essere vado fiero, mi sono detto tra me e me “ora mi ci manca anche l’articolo!”. Poi nella preghiera e nella riflessione mi sono detto che se il Signore mi chiedeva questa cosa non

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Ed ora scrivendo sento che sto entrando in tutte le vostre case, non vorrei disturbare troppo, ma sono proprio contento di entrarci!!! Ecco cosa è la fraternità per me. Sentire di appartenere ad una famiglia che ha uno stile ed un carisma preciso, una famiglia che non smette di avere speranza su di me, che non smette di sognare per me un futuro sempre più con il Signore, sempre più abbandonato alla Sua volontà, una famiglia che mi vuole bene non come il mondo ma come lo fa il Signore, una famiglia su cui contare non per soddisfare i miei tanti capricci ma che mi indica con forza e con tenacia una via di salvezza da vivere in umiltà e semplicità ogni giorno nei tanti luoghi della valle Operosa. Non nascondo che sono contento di far parte IL POTERE DEL SERVIZIO

del ramo della fraternità del Piccolo Gruppo, ma percepisco sempre più che il vivere nella fraternità è vivere nel gruppo e perciò ad avere a cuore il gruppo in tutte le sue realtà! È davvero una sfida bella sentirsi fratello di tutti, davvero di tutti. La fraternità per me non è vivere con meno impegno ma invece crescere ogni giorno di più nel carisma che è poi essere un cristiano semplice con tutti e verso tutti. La fraternità è aspirare ai carismi più grandi e come per un effettivo è un impegno pieno verso la radicalità evangelica. Ecco con semplicità come penso e vedo il mio essere nella fraternità del Piccolo Gruppo. Mentre scrivo mi vengono in mente le parole dell’Apostolo Paolo: “Tutto posso in Colui che mi dà forza”. Entrare in fraternità per me è stato sostanzialmente ricomprendere col cuore queste parole dell’Apostolo e vivere un oggi fiducioso non perché privo di problemi o superficiale, ma perché orientato al Signore e sostenuto dal Signore. Spero di essere stato chiaro nel descrivere quello che vivo e sento e mentre sto per concludere mi ricordo la Settimana di Comunità a Villabassa appena conclusa. Ed allora perdonatemi se mi viene da ridere uno spontaneo e sincero che bello, un tempo da vivere con il Signore e i fratelli assieme! Che dono davvero grande per la mia vita! Che gioia allora l’essere in fraternità e vivere in fraternità.


il ricordo di carlo maria martini, cardinale del dialogo

«Un padre della chiesa» di Gianfranco Bottoni

Proponiamo la seconda parte dell’articolo (uscito sulla rivista “Il Gallo”) di Don Bottoni, amico del Piccolo Gruppo di Cristo e un tempo anche predicatore presso di noi dei nostri ritiri, eremi ed esercizi spirituali.

Comunicare e parlare alla città Il grande successo della Cattedra dei non credenti e la sua accoglienza nel mondo laico come l’evento culturalmente più significativo nella Milano di quegli anni stanno a indicare quanto Martini sapesse parlare alla città. Già le sue lettere pastorali, veri testi di fede, venivano lette e gustate anche da chi non era familiare ai temi religiosi. Scritteinlinguaggiocuratoeatuttiaccessibile,privedimoralis miodiastrazionidottrinali, non hanno nulla del gergo clericale. Inognio-

ccasioneMartinièstatouncomunicato reserioeincisivo,moltoattentoaidesti natari del suo messaggio. E non privo di un sottile senso dell’umorismo. Ha saputo tenere un ottimo rapporto nei confronti dei mass-media, da cui era ricercato con stima e rispetto. Apprezzava la professione gior nalistica. Vi si è riconosciuto, negli ultimi anni, per la sua collaborazione con il Corriere della sera, che gli ha permesso, malgrado la malattia, di dialogare con molta gente attraverso le sue risposte alle molte lettere IL POTERE DEL SERVIZIO

che i lettori gli inviavano. Proprio al comunicare aveva dedicato Effatà, apriti! (1990) e Il lembo del mantello (1991), due importanti lettere pastorali che seguirono il ciclo dedicato al tema dell’educare. Ma la sua forza di comunicare e di porsi come autorità morale per la vita civile, nei difficili anni di piombo e di tangentopoli, è maggiormente emersa in interviste e nei suoi famosi discorsi alla città. Quelli delle vigilie di Sant’Ambrogio. Lì ha saputo parlare ai cittadini e alle istituzioni pubbliche con coraggio e

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fermezza, con altissimo senso etico e grande passione civile, con la chiaroveggenza di vedere in anticipo questioni sociali e culturali ineludibili. Interventi che, ad anni di distanza, restano bussole di riferimento. Ne cito solo alcuni titoli: Educare alla politica (1987); Per una città e un’Europa accogliente (1989); Noi e l’islam (1990); Alzati, va’ a Ninive, la grande città (1991); Esiste ancora la solidarietà in Europa? (1992); Alla fine del millennio, lasciateci sognare (1996); Il seme, il lievito e il piccolo gregge (1998); Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace (2001); Paure e speranze di una città (2002). Che cosa stava piú a cuore a Carlo Maria Martini sul futuro ecclesiale? Certamente egli amava la chiesa del concilio: una chiesa radicata sulla parola di Dio e centrata sulla comunione dello Spirito, una chiesa in dialogo all’interno del cammino dell’umanità di oggi e capace di autentica testimonianza. Nel perseguire qualsiasi obiettivo riguardante vita e prassi ecclesiali, ciò che maggiormente lo interessava era il metodo con cui interrogarsi alla ricerca di soluzioni positive e coerenti con il vangelo. È indubbio che in più contesti Martini abbia portato l’attenzione su questioni delicate e controverse sia di attualità ecclesiale, sia di ordine etico e pastorale. Non ha però mai sentenziato su come si dovessero risolvere i problemi. La pretesa di avere e imporre risposte non è mai delle persone intelligenti. L’uomo di chiesa con l’intelligenza di Martini non esibisce proprie convinzioni personali. Anzi spesso ritiene di non averne, se non quelle che saranno frutto di consenso ecclesiale. Il suo stare nel mezzo delle tensioni ecclesiali, il suo «grido d’intercessione», non consisteva nell’indicare soluzioni, moderate o riformiste che fossero. Ma nel richiamare la necessità che le questioni venissero affrontate in modo sinodale e responsabile. Sempre alla ricerca di risposte capaci di sciogliere contrasti e oltrepassare tensioni. Tensioni tra esigenze e ve-

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rità contrapposte e apparentemente non componibili. Sinodalità e dialogo ecumenico Martini in particolare desiderava una chiesa cattolica piú sinodale e più ecumenica. Innanzitutto la ricerca sinodale. Era infatti la chiesa del Signore delineata dal concilio che gli stava a cuore. In essa ci si mette anche in ascolto dello Spirito che parla alle chiese e del sensus fidei presente nel popolo di Dio. È in questa ottica che sentiva l’esigenza di nuove convocazioni conciliari che però si limitassero a poche ma essenziali questioni. Riteneva infatti che l’attuale configurazione del sinodo dei vescovi fosse insufficiente per esprimere la collegialità episcopale e offrire al Papa, sulle questioni più controverse, una reale collaborazione nel difficile e complesso governo della chiesa. La dimensione sinodale della vita ecclesiale, oltre a implicare l’ascolto, promuove il dialogo. Dialogo non solo interno alla chiesa, ma anche tra le chiese e con le persone di buona volontà, a qualsiasi fede o visione del mondo si ispirino. Nel parlare di dialogo Martini insisteva sempre sulla concretezza delle relazioni. I dialoghi, che chiamiamo ecumenici e interreligiosi, avvengono di fatto tra persone umane e non tra sistemi astrattamente considerati. Di questa forma di dialogo con le persone è stato un prota gonista nella città e nella chiesa locale. Ma non meno con esponenti della cultura a livello mondiale. Per moltissime di queste personalità, di qualunque credo fossero, venire a Milano o in Italia significava anche chiedere un incontro personale con l’arcivescovo Martini. L’elenco di questi incontri sarebbe interminabile. La proiezione europea della sua apertura al dialogo ecumenico si era manifestata già negli anni dal 1986 al 1993, in cui è stato presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE), organismo che egli ha guidato a collaborare in modo molto intenso e proficuo con IL POTERE DEL SERVIZIO

la Conferenza delle Chiese Europee, la KEK, che comprende tutte le chiese ortodosse ed evangeliche. Dei vari eventi interconfessionali celebrati in quegli anni basta ricordare quello storico della prima Assemblea Ecumenica Europea “Pace nella giustizia”, che si tenne nel maggio 1989 a Basilea sotto la copresidenza di Martini e di Aleksej II, allora metropolita di San Pietroburgo e divenuto poi patriarca di Mosca. Ricordo che Martini, al ritorno da Basilea, me ne parlò come di una nuova pentecoste. Aveva percepito il dono dello Spirito che improvviso si era sprigionato a portare a conclusione unitaria posizioni divergenti che, fino a poche ore prima, apparivano per nulla componibili. In casa cattolica Martini era stato lasciato solo nella preparazione di Basilea. L’evento ebbe molta rilevanza in Europa e un quasi totale silenzio stampa in Italia. Perché? Probabilmente sinodalità e dialogo, che l’iniziativa europea di Martini coltivava, preoccupavano Roma. Non era forse gradita la prospettiva di quel camminare insieme dei cristiani in un dialogo tra loro e con le realtà storiche impegnate ad affrontare questioni cruciali per l’umanità di oggi: la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato. Quella prospettiva avrebbe potuto mettere in ombra il ruolo centrale di protagonista del dialogo e di rappresentante dell’intera cristianità che il pontificato di Giovanni Paolo II ha inteso esercitare. In ambito ecumenico, poi, Roma preferisce sempre i dialoghi bilaterali. Resta assai meno coinvolgibile in iniziative multilaterali promosse da terzi. Chi non gradiva l’indubbio successo di Basilea doveva trovare il modo di sostituire Martini nel suo ruolo di presidente dei vescovi d’Europa. L’obiettivo fu raggiunto mutando lo statuto in modo che del CCEE divenissero membri solo i presidenti delle conferenze episcopali nazionali. Martini, che non era presidente della CEI ma eletto a rappresentarla nel CCEE, non ne avrebbe fatto più


parte. Cosí nel 1993 finisce il suo servizio di presidenza europea. In quello stesso anno inizia il 47° sinodo della chiesa ambrosiana. Viene così, nella sua diocesi, a estendersi la positiva esperienza di sinodalità intorno al vescovo, che Martini ha sempre promosso con grande attenzione nei vari consigli diocesani. Frutto del sinodo diocesano e del dialogo ecumenico a livello locale nasce nel gennaio 1998 il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano. Martini lo inaugura alla luce della parola di Romani 8, 26: Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza. Mi suggerisce di evitare enfatizzazioni di questa piccola, ma importante, esperienza di sinodalità ecumenica per non esporla a rischi e malintesi. Se si resta consapevoli del nostro essere piccoli e deboli, lo Spirito soffia come vento in poppa. Finora cosí è stato. Quando, all’inizio del luglio 2002, in vista del suo congedo da Milano, gli chiedemmo come Consiglio delle Chiese Cristiane di salutarlo e ringraziarlo per la sua grande opera in campo ecumenico, ci rispose che riteneva di non aver fatto nulla di particolare o di specifico per l’ecumenismo. Il suo ecumenismo era consistito solo nell’essere fedele allo spezzare il pane della Parola, luce sul cammino di tutti, e nel favorire rapporti di carità fraterna. Volesse il cielo che sempre e ovunque fosse così! Nell’ora dell’ultimo congedo Il 31 agosto 2012 si conclude il percorso terreno della vita di Carlo Maria Martini. Il suo ultimo congedo avviene nell’arco dell’ora nona di un venerdì. Come per Gesù sulla croce. Avviene mentre su Milano appare un significativo arcobaleno a congiungere cielo e terra: il segno che la Bibbia indica come simbolo universale dell’alleanza di Dio con l’umanità. Coincidenze soltanto casuali? Certamente non casuale il fatto che davanti alla casa di Gallarate, ove un cardinale stava morendo, si fossero recati in incognito e stessero ritti a pregare per lui i Salmi un rabbino, nel cuore

della notte precedente, e, proprio alla sua ultima ora, un ebreo osservante: avevano saputo dell’aggravarsi della malattia. Gesti che quanto più sono stati voluti silenziosi e anonimi tanto più diventano eloquenti. Ha così inizio la nuova fase della vita di un giusto. E immediatamente si svela la fecondità di ciò che è stato il vescovo Carlo Maria. La processione di persone alle sue spoglie esposte in Duomo e l’eco internazionale del ricordo commosso della sua testimonianza ne sono i primi segni. Unanime e popolare l’enorme risposta di uomini e donne, giovani e anziani, praticanti e diversamente credenti, religiosi e laici. Una risposta senza precedenti. Esprimeva sia la convinzione di aver perduto una irripetibile figura di fratello in umanità e di maestro nella fede, sia la percezione di poter dire che quella morte era un promettente evento di vita. Di una inarrestabile vita dello Spirito. Inconsistenti e risibili le voci discordanti. Da leggere comunque a conferma dell’autenticità evangelica della vita di Martini. La sua sepoltura presso il crocifisso di S. Carlo nel Duomo di Milano è attorniata da una folta e permanente quantità di candele accese dai fedeli, quasi a dire che la Parola spezzata dal vescovo Carlo Maria continua a fare luce sul cammino degli uomini e delle donne di oggi. Sulla sua sepoltura, che un tempo Martini aveva sperato potesse avvenire nella terra santa a conclusione del suo soggiorno a Gerusalemme, sono state gettate alcune manciate della terra di Israele. Un bellissimo gesto simbolico pensato e donato da parte ebraica. Grazie all’amore di Martini per il popolo dell’alleanza mai revocata e all’affetto verso di lui da parte di molti ebrei, nella cattedrale di Milano è dunque deposta terra proveniente da Gerusalemme. Ci si dovrebbe interrogare sul senso di questo piccolo, ma prezioso segno. Barth aveva detto: non ci sarà unità dei cristiani, finché non muteranno le nostre relazioni con il popolo ebraico. Martini IL POTERE DEL SERVIZIO

ripeteva: non ci sarà pace nel mondo, finché non ci sarà pace a Gerusalemme. Ora il segno di quella sepoltura in Duomo suggerisce: non ci sarà nella chiesa conversione alla parola di Dio, finché non ci sarà un ritorno all’ebraicità della fede di Gesú e del suo vangelo. In questo potrebbe consistere il cuore di ciò che Martini ci lascia: la riscoperta della fede di Gesú. Una fede ricchissima di umanità e vissuta nel cammino del suo popolo. Una fede tutta permeata dallo Spirito di Dio Padre e dalla perenne novità del suo amore. Una fede libera e adulta. Fatta non di dottrine astratte, ma di un radicalmente nuovo stile di vita. Forse è proprio questa luce della fede di Gesú, figlio del suo popolo e Parola di Dio fatta carne, la lucerna che Carlo Maria ci ha acceso. Perché illumini il futuro cammino dei cristiani.

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essere cristiani: LA QUOTIDIANITà COME TERRA DI MISSIONE

«Vivere in profondità il nostro carisma» Giuseppe Transidico, effettivo della Comunità del Piccolo Gruppo di Cristo, racconta la sua esperienza di fede. Come si può rinforzare il nostro edificio spirituale? Ogni impresa legata ad un fine o anche più modestamente ad un obiettivo richiede l’uso di apposite attrezzature e di materiali idonei. A questa regola non sfugge certamente la costruzione del nostro edificio spirituale precisando per altro, anche se la cosa appare superflua, che un edificio spirituale in una logica cristiana implica una grande concretezza, non è qualcosa di aereo, sfuggente e disincarnato ma deve necessariamente fare i conti con le realtà concrete di tutti i giorni. Allora come si fa a non essere travolti? Occorre necessariamente trovare lungo la giornata momenti di un intenso rapporto con il Signore, approfittare di ogni occasione per vivere in comunione con Lui, mentre lavoro, curo i nipoti, vado al supermarket, viaggio in auto (o in bici). Oltre a ciò occorrono momenti specifici da trovare nella giornata per un più intenso rapporto con il Signore, in questa linea la Preghiera non è più una pratica, senza nulla togliere a questo termine ma diventa qualcosa di connaturato con la nostra vita. Come dice giustamente Ireos bisogna divenire “persona preghiera”. Tutto ciò non è facile, ma è la via,

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questa prospettiva i rapporti con gli altri non possono non esserne influenzati. Va però detto che il rapporto con il nostro prossimo è un po’ la cartina tornasole del nostro vivere in comunione con il Signore: è relativamente facile vivere un rapporto spiritualistico un po’ più difficile è riuscire ad intrattenere con le persone a noi vicine, ma anche con quelle che incontriamo casualmente rapporti di amore e rispetto: penso per altro ai propri familiari che a volte ci “obbligano” ad avere tanta pazienza, ma penso anche agli incontri casuali mentre guido l’automobile o vado in bicicletta, come è difficile accettare che qualcuno ci tagli la strada o sopportare qualche sgarbo. Mi viene sempre in mente a questo proposito la preghiera del Cammino laddove recita “Prendimi come sono fammi come Tu mi vuoi” se ciò vale per me altrettanto deve valere nei confronti degli altri. l’unica probabilmente per coltivare un reale rapporto con il Signore, pena l’insignificanza che produce tiepidezza. Quale spazio ha la preghiera nel costruire e rafforzare le relazioni interpersonali? A questa domanda ho già risposto in parte nella precedente: se la logica è quella della “persona preghiera” cioè di una persona che vive ed opera in continua comunione con il suo Signore risulta per sé evidente che in IL POTERE DEL SERVIZIO

Papa Francesco si è presentato al mondo invocando la benedizione del Vescovo da parte del popolo di Dio, quale rapporto possiamo costruire con i sacerdoti e i vescovi che incontriamo? Mi capita molto spesso di frequentare sacerdoti sia della parrocchia sia del vicino santuario di Rho. Il rapporto che tendo a costruire con i sacerdoti della mia Parrocchia riguarda soprattutto i servizio da rendere nel-


la parrocchia: nel mio caso sovente faccio il lettore nella celebrazione della S.Messa, inoltre sono coordinatore di un gruppo dì ascolto, partecipo alle riunioni parrocchiali e presto servizio come insegnante nel doposcuola della Parrocchia con i ragazzi che presentano difficoltà scolastiche. Il Parroco della mia Parrocchia è a conoscenza, seppure indiretta, della mia appartenenza la PGC, mi è difficile accostare i giovani ed anche le persone adulte in attività lavorativa, mi è più facile avvicinare i pensionati come me, specie ai gruppi di ascolto: in questa occasione, spero con molta delicatezza, faccio presente la spiritualità del PGC, senza tuttavia nominarlo, ma facendo riferimento alla spiritualità, soprattutto alla necessità della preghiera e all’impegno a vivere, ciascuno nel suo stato di vita, lo spirito dei voti. Con i sacerdoti del Santuario, con i quali qualche volta faccio escursioni in montagna, mi interesso della loro vita di Consacrazione e loro mi chiedono della spiritualità del PGC. Come il PGC ti ha sostenuto nel costruire il tuo rapporto con Dio? Hai trovato la tua pietra d’angolo? Senza paura di essere smentito e con la massima franchezza debbo affermare che il mio essere nel PGC non solo ha improntato tutta la mia vita, ma la mia vita non avrebbe alcun senso senza il PGC. Veramente, e ci tengo a ribadirlo, non avrebbe alcun senso la mia vita se non fosse incardinata, sostenuta, sorretta, vissuta nell’ambito del PCG. Tutto ciò però non significa che io vivo in pienezza la vocazione, a quasi 75 anni di età e ormai in mezzo secolo di appartenenza al PGC mi riconosco non solo molto indegno di tale dono, ma avverto drammaticamente il lato esistente fra la proposta di vita del PCG e la mia concreta esistenza: debbo fare ancora molta strada anche se ormai vedo prossimo il traguardo. Ciò da un lato mi fa scoprire la mia indegnità, ma dall’altro recepisco

l’immenso dono di Dio che nel mio caso mi ha fatto incontrare questa bella e affascinante esperienza religiosa, semmai ciò deve costituire stimolo a “crescere sempre più nella virtù” come ci dice il Nostro Fondatore. Mi piace ribadire, a costo di essere ripetitivo, che tutto il senso della mia vita, la mia salvezza non solo spirituale ma anche esistenziale, vedi al riguardo le mie vicende personali, sta nel PGC, non esagero: non so cosa avrei potuto essere o divenire senza l’incontro con il Signore mediante l’esperienza del PGC, veramente è la “pietra angolare della mia vita”. I tempi forti liturgici ci aprono alla misericordia e alla salvezza che vengono da Dio: c’è un brano della Parola a cui sei particolarmente legato in questo periodo? Il tempo pasquale, come l’Avvento e la Quaresima sono tempi “forti”, ci richiamano cioè a rinvigorire il nostro cammino di Fede. Particolarmente il tempo pasquale è momento di immensa gioia: la scoperta o meglio la riscoperta e il richiamo che la Chiesa perennemente ci fa relativamente alla resurrezione di Cristo riempie il nostro cuore di gioia e ci apre ad un atteggiamento di grande amore nei confronti del Signore che ci ha liberato dalla tirannia della morte e nel contempo ci apre il cuore alla misericordia nei confronti dei fratelli che incontriamo nel nostro cammino. Da questo punto di vista il cammino dei due discepoli di Emmaus è certamente un brano evangelico che sempre mi emoziona quando lo leggo. Trovo un po’ riassunto il nostro cammino: l’incredulità, la delusione, lo smarrimento in cui noi a volte ci possiamo trovare, ci viene spalancato un cammino tutto nuovo e veramente significativo di amore e di entusiasmo “e si dissero l’un l’altro: Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre ci parlava per la strada e ci apriva il senso delle scritture?” IL POTERE DEL SERVIZIO

Ecco a volte mi domando soprattutto nell’Eucaristia giornaliera quale atteggiamento assumo: abitudine e superficialità o entusiasmo spirituale? I due discepoli di Emmaus costituiscono un chiaro esempio di come io e tutti noi dobbiamo accostarci al Signore “Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”. Possa anche in noi rivivere l’entusiasmo della Fede e scoprire nella quotidianità il Signore! Siamo pietre vive: in quale cantiere spirituale stai lavorando in questo momento? Lo svolgimento del Congresso della Comunità è stato certamente un momento fondamentale e non tanto e non solo per il rinnovo delle cariche ma anche perché sono state dettate dal Congresso le linee programmatiche per i prossimi cinque anni, si capisce quindi l’enorme importanza dell’avvenimento che abbiamo celebrato alla fine di aprile. Innanzitutto il lavoro che intendo svolgere è quello di un’attenta preghiera allo Spirito Santo perché mi faccia cogliere nell’Istrumentum laboris tutte le profonde verità che in esso sono contenute. In secondo luogo è necessario pregare affinchè il carisma del PGC, il cosiddetto “carisma senza carismi”, venga sempre più approfondito specie in questi tempi travolti da un attivismo forsennato ma spesso inconcludente, anche la crisi che stiamo attraversando non è forse il frutto, al di là delle questioni politiche ed economiche di un generale sbandamento? Occorre pertanto sempre più approfondire e vivere quanto il Fondatore ebbe a dirci fin dall’inizio: essere monaci delle strade, essere cioè dei mistici con gli occhi aperti. Ritengo che noi tutti dobbiamo impegnarci per vivere in profondità il nostro carisma: non è facile poiché la cultura mondana privilegia il risultato appariscente, noi invece dobbiamo lavorare nel silenzio e nella preghiera: solo così il mondo, tanto travagliato potrà cambiare.

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ricordiamo LA PROFESSIONE SOLENNE DI SR.MARIA AGNESE

«Eccomi, sono del Signore. Avvenga di me secondo la tua parola» di Suor Maria Agnese del Cuore di Gesù (Chiara De Simone)

Una nutrita rappresentanza del Piccolo Gruppo di Cristo, il 1 maggio 2013 ha partecipato alla Professione Solenne di Sr. Maria Angese del cuore di Gesù. 24

IL POTERE DEL SERVIZIO


1 maggio 2013

monastero san giuseppe • cividino di castelli calepio (BG)

In questa foto: un momento della Professione solenne di Sr.Maria Agnese.

In questa foto: Sr.Maria Agnese con mamma Aurora e papĂ Saverio. IL POTERE DEL SERVIZIO

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IL PICCOLO GRUPPO DI CRISTO: UNA FAMIGLIA AUTENTICA

«Un week-end ricco di fede» di Elisabetta Fumagalli Sono stata felicissima di trascorrere il week-end dell’ 11-12 maggio a Treviso. La proposta è nata da Lucia, la quale, dopo che io e Andrea (aspirante di Roma) siamo intervenuti al Congresso, ci ha proposto di conoscere due suoi giovani amici e di provare ad avvicinarli alla realtà del Piccolo Gruppo, attraverso la nostra fresca e semplice testimonianza. Subito ho accolto l’invito con grande entusiasmo: non sapevo cosa e in quale misura avrei potuto donare ai due giovani, ma ero certa che sarei tornata a casa arricchita, come poi è stato. Appena sono arrivata a Treviso, Lucia mi ha accolta a braccia aperte e mi ha fatta sentire a casa. Ho fatto in tempo a scambiare giusto due parole con Andrea (che era arrivato la sera prima) e poi sono arrivati Lorenzo e Silvia, che ci hanno travolti con la loro presenza, il loro entusiasmo, la loro grande gioia di vivere. Subito ci siamo fidati gli uni degli altri e ci siamo scambiati le nostre storie. Hanno iniziato loro: ci hanno raccontato di come si sono conosciuti, del loro periodo di amicizia e del loro fidanzamento, dei loro molteplici impegni in parrocchia coi loro coetanei e coi ragazzi più piccoli, delle loro scelte universitarie. E poi è toccato a me e ad Andrea raccontare di noi e spiegare come ci fossimo conosciuti e come potessimo conoscere Lucia abitando io a Milano e lui a Roma.

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E allora abbiamo avuto modo di raccontare loro del Piccolo Gruppo di Cristo… É stato bello perché ad averci legati sin dal primo istante è stata la presenza condivisa del Signore nelle nostre esistenze. Ognuno di noi quattro ha raccontato la sua storia, e sebbene fossero diversissime avevano tutte lo stesso nucleo: Gesù. Dopo il pranzo (Lucia è un’ottima cuoca!) Lorenzo è dovuto andare al lavoro, mentre Silvia si è offerta per accompagnarci in centro e visitare la città. Anche questi momenti sono stati davvero preziosi per conoscerci meglio! Il pomeriggio è volato, e nonostante io e Andrea fossimo tornati a casa stravolti, la gioia era tanto grande che non potevamo non fermarci un po’ per ringraziare il Signore… e così abbiamo concluso la giornata con un’ora di adorazione in compagnia di Lucia, nella sua parrocchia. Papa Francesco dice che “Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e IL POTERE DEL SERVIZIO

fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri.” In quei momenti, inginocchiata davanti a Lui, Gesù mi ha ricordato proprio quanto sia bello “uscire da noi stessi”, sacrificare e rinunciare ai nostri interessi per donarci agli altri. Molto significativi per me sono stati anche gli attimi di condivisione con Andrea e Lucia. è stato proprio durante i momenti più “pratici” e ordinari come il lavare i piatti o l’apparecchiare la tavola che ho capito meglio come le persone del Piccolo Gruppo costituiscano una famiglia bellissima e autentica. Infatti Lucia, col suo sorriso e la sua dolcezza si è stata un po’ come una seconda mamma e Andrea come un fratello maggiore, che tra una battuta e l’altra ha saputo ascoltarmi e comprendermi. Inoltre per me è stata una grandissima gioia, la domenica mattina, rivedere i fratelli della comunità trevigiana e recitare con loro le lodi. È sempre bello rivedere persone alle quali vuoi un gran bene! Dopo le lodi abbiamo partecipato alla S. Messa nella parrocchia di Lorenzo e Silvia, e dopo aver pranzato con loro e Flavia (una loro amica), ci siamo salutati con la promessa di rivederci a settembre, consapevoli che l’incontro avvenuto era stato un grandissimo dono per tutti e quattro. Per ringraziarci ci hanno lasciato un biglietto con una preghiera che, a mio avviso, si è rivelata una perfetta conclusione di quei due giorni: “Prendi il largo”.


“Prendi il largo” Prendi il Largo è il grande atto di amare che Dio ti chiede, cerca uno spazio più ampio e più adatto al cuore. Prendi il Largo e apriti come il fiore rosso del melograno, grida invece di seppellire vivi i tuoi gemiti.

Prendi il Largo le parole sono tutte le direzioni e tutto il tempo, le azioni sono una sola direzione e un istante. Prendi il Largo mentre il mare solleva le onde, non aver paura di ciò che cambia e di ascoltare ciò di cui il vento parla. (di Luigi Verdi)

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UN ESAME DI COSCIENZA a partire dall’esempio del papa

«Come riparare la Casa-Chiesa» di Ireos Della Savia Dagli esempi di vita di Papa Francesco cerchiamo di capire come meglio rispondere alla nostra vocazione e capire ciò che è necessario fare per ricostruire il Piccolo Gruppo. Il nostro vuol essere un esame di coscienza che rifletta su ciò che Papa Francesco sull’esempio di San Francesco fa per riparare la Casa-Chiesa che, come si vede, va in rovina. Sembra un Papa docile, dolce, poco attivo e invece, se si osserva ciò che fa, si capisce che è un forte e determinato gesuita. Segnalo alcuni suoi esempi che mi hanno molto colpito e che mi sono serviti per tentare di realizzare qualche virtù. Appena eletto Papa non ha voluto indossare la mantellina rossa e neppure le “tradizionali” scarpe dello stesso colore. Ha pregato con le preghiere classiche e tradizionali del Padre nostro, dell’Ave Maria e del Gloria. La sera stessa dell’elezione è voluto rientrare nello stesso pullmino con gli altri cardinali. Il giorno dopo la sua elezione, salendo su una normale automobile, si è prima recato a pregare la Madonna nella Basilica di Santa Maria Maggiore e poi alla casa del clero per pagare con i propri soldi la retta della stanza ove aveva dormito nei giorni precedenti il Conclave. Non ha voluto andare ad abitare nel Palazzo Apostolico del Vaticano, ma continua a stare al secondo piano della casa Santa Marta. Quando desidera un caffè scende a prenderlo alla macchinetta automatica pagan-

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dolo lui stesso con una moneta. Ogni mattina, dopo aver celebrato la Santa Messa, si mette in fondo alla cappella, in mezzo ai fedeli, e continua a pregare. Si reca nel palazzo papale soltanto per la recita festiva dell’Angelus o per ricevere alte autorità. Ha ricevuto i nunzi apostolici, dando consigli precisi sul modo con cui essi devono agire. Ha ricevuto le persone consacrate, sia di sesso maschile che femminile, dicendo loro tra l’altro che a lui non piace vedere persone consacrate che usano automobili grosse e costose o hanno atteggiamenti da “zitelle” o “zitelli”, anziché sorrisi paterni. Ha ricevuto anche gli alunni delle scuole dei Padri gesuiti, rispondendo con molta semplicità IL POTERE DEL SERVIZIO

alle domande spontanee che gli rivolgevano. Non è andato ad ascoltare il concerto nel salone Paolo VI, perché preferiva assolvere altri impegni e ha lasciato vuota la poltrona a lui riservata. Ha scelto di non andare in ferie a Castel Gandolfo o altrove, ma di rimanere a lavorare. È comunque andato a Castel Gandolfo a incontrare i dipendenti delle Ville pontificie e ha poi recitato l’Angelus stando davanti al portone del palazzo apostolico. Come da consuetudine si è fermato ad abbracciare e a parlare con persone disabili e con i bambini. Prima di lasciare Castel Gandolfo è andato a vedere l’Osservatorio astronomico tenuto dai Padri gesuiti e con


loro si è fermato a pranzo. Se osservate come si comporta con i piccoli sembra che siano suoi figli o nipotini. Ciò mi sollecita a dire ai genitori e ai nonni di voler bene ai loro discendenti, ma di non scordarsi mai di amare ogni persona creata da Dio. Prima di ordinare le nuove corone del rosario con il suo stemma, ha voluto che si consumassero quelle rimaste con lo stemma di Benedetto XVI; agli ospiti consegna lui personalmente la corona del rosario in regalo. Durante la processione del Corpus Domini, partendo dalla basilica di San Giovanni, ha raggiunto a piedi la basilica di Santa Maria Maggiore e si vedeva che faceva fatica a camminare. Nella piazza della Basilica, innanzi all’altare con il Santissimo Sacramento avevano preparato l’inginocchiatoio, ma lui non è riuscito ad usarlo a causa dei dolori alle ginocchia. Questa sera Papa Francesco è in Brasile per la giornata mondiale della gioventù, ma io sento che è anche qui con noi ad adorare il Santissimo Sacramento: prega con noi, sta con noi per dirci di stare sempre con Gesù. Ciò che in modo semplice vi ho detto vuol essere un invito a pregare per vivere secondo il Signore. Noi amiamo il Papa, ma lui ci dice e ci indica di amare il Signore. Ringraziamo il Vescovo di Roma che ci aiuta e ci sprona a essere discepoli di Gesù, come lui ci dimostra con la sua vita. Quanto a noi, auguriamoci di testimoniarci vicendevolmente di essere persone donate totalmente a Dio. Il Papa continua a chiedere di pregare per lui e di pregare per tutti e si capisce che ogni sua virtù nasce dalla grazia che Dio dona a chi lo prega. La nostra preghiera per il Papa può essere un aiuto al lavoro che egli sta facendo. Adesso e in futuro preghiamo per il Papa con cuore filiale, ma soprattutto con il desiderio di lasciare a Dio lo spazio affinché lui ci faccia santi.

In queste foto alcuni momenti della GMG 2013. IL POTERE DEL SERVIZIO

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ICONA TEOLOGICA Gioiamo
 perché siamo creati dall’amore del Padre,
 rigenerati dal sacrificio del Figlio,
 santificati dalla presenza dello Spirito Santo:
 cristiani comu­ni, ancorché consacrati
 nel seno materno della Chiesa. 1

Per abbracciare i valori
 delle beatitudini evangeliche
 viviamo con animo sereno la purezza del cuore e del corpo,
 la povertà spirituale e materiale,
 l’obbedienza indicataci dall’amore di Gesù
 crocifisso, morto e risorto. 2

Viviamo una vita intessuta di preghiera,
 per meglio inserirci
 nell’intimità filiale dei piccoli di Dio. 3

Cerchiamo di amare tutte le persone,
 preferendo le più bisognose,
 e cerchiamo di rispettare nel loro essere tutte le realtà create. 4

Siamo impegnati nelle realtà temporali 
per ordinarle secondo la scienza,
 la giustizia e la carità di Dio. 5

La nostra vita ricerca la virtù dell’umiltà
 nei suoi valori più profondi
 per essere gradita a Dio
 e favorire la comunione tra gli uomini. 6

Per quanto possibile,
 cerchiamo di essere strumento di salvezza 
mediante una testimonianza che esprima
la presenza costante, amorosa e salvifica
 del Redentore. 7

Con il vivere quotidiano, tutto abbandonato a Dio, 
facciamo in modo che si evidenzi il fine della nostra vita,
 che è la partecipazione umana alla gloria divina. 8

Questa icona raffigura “Elia in preghiera”, sul monte Oreb, mentre ascolta Dio che parla nel “mormorio di vento leggero” [ icona di Mara Zanette ]

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Prossimi appuntamenti da ricordare:

• 5-6 ottobre: Festa dell’Eremo della comunità di Treviso • 12-13 ottobre: Festa dell’Eremo della comunità di Roma • 19-20 ottobre: Festa dell’Eremo della comunità di S.Amborgio • 26-27 ottobre: Festa dell’Eremo delle comunità di S.Pio V e S.Carlo

ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE Gli appartenenti al Piccolo Gruppo di Cristo hanno la possibilità di accedere al sito internet www.piccologruppo.it e poter leggere la rivista “Esperienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le mani la stessa rivista in formato cartaceo. Anche un qualunque visitatore del sito internet può farlo. Naturalmente occorre che qualcuno lo guidi a conoscere il sito e lo invogli a leggere le pagine della rivista. Considerato che ogni copia cartacea della rivista ha un certo costo, sarebbe opportuno da un lato invogliare gli appartenenti al P.G.C. a leggere la rivista su internet. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può diventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende avvicinare al “Gruppo”. NEWSLETTER E FLASH SPIRITUALI Per tutti c’è la possibilità di iscriversi al sito internet www.piccologruppo.it e ricevere aggiornamenti sulle proposte e il cammino della comunità e brevi pensieri per meditare. Per qualsiasi necessità o suggerimento scrivete a piccologruppodicristo@gmail.com La redazione di EDV

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I colori e la vivacità della Giornata Mondiale della GioventÚ, Rio 2013. Nella foto una suora in preghiera in attesa dell’inizio della veglia.

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