EDV Periodico della Comunità il Piccolo Gruppo di Cristo | n°. 156 - anno XXXIV | Dicembre 2012
ESPERIENZE DI VITA
IL
DIO
DELL’IMPOSSIBILE
Come riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita
Speciale Festa dell’Eremo: parole e immagini delle tre comunità
In cammino verso l’XI° Congresso di aprile 2013
EDV
redazione Giovanni Cattaneo Luigi Crimella Rosalba Beatrice Paolo Cattaneo
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Paolo Cattaneo
Sommario Dicembre 2012 EDITORIALE Nel silenzio il Dio dell’impossibile si fece parola
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ATTUALITà Avevi messo in conto la gratuità?
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I bimbi visti con gli occhi dei nonni
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Lasciarsi lavorare dal Signore
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ZOOM MAIL piccologruppodicristo@gmail.com
L’anno delle Fede e il nostro personale cammino di ricerca
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di Dio RUBRICA “Mio Dio, se esistete, fate che io vi conosca”
N°156 In questo numero affrontiamo il tema: il Dio dell’impossibile. Nel periodo del Santo Natale, nell’anno della Fede e in preparazione al prossimo Congresso della comunità ci domandiamo se serve ancora fidarsi e affidarsi a un Dio che si ripresenta a noi sotto forma di bambino, indifeso e desideroso di essere accolto.
info PGC www.piccologruppo.it Piccolo Gruppo di Cristo Via San Pietro, 20 20832 Desio, MB Segreteria Telefono: (+39) 0362 621651 Fax: (+39) 0362 287322 Mail: piccolo.gruppo@tin.it
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IN COMUNITà Speciale Festa dell’eremo
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Settima di comunità a Villabassa. Un’esperienza autentica
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“Un uomo di Dio, che sapeva vedere oltre”
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XI° Congresso. Invito alla missione
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Se non diventerete come bambini
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BACHECA Il ricordo di Mariolina
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News dalla Comunità
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X I ° C O N G R E S S O • 2 5 - 2 8 a p r i l e 2 0 13 • D e s i o - M i l a n o
invito alla MISSIONE Già da qualche mese si è aperto ufficialmente il cammino pubblico preparatorio dell’appuntamento che nei giorni dal 25 al 28 aprile 2013 vedrà convenire presso la sede centrale di Desio i delegati congressuali indicati dalle cinque Comunità locali presenti in Italia (tre in diocesi di Milano, una a Treviso e una a Roma).
Per singolare e significativa coincidenza, il cammino di preparazione precongressuale coincide con due eventi ecclesiali di portata universale: l’Anno della Fede e il Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, indetti dal Papa ed entrambi al via nelLO SCORSO ottobre. Inoltre, ricorrono quest’anno due anniversari: il 50° di apertura del Concilio Vaticano II e il 20° di pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, eventi centrali della storia recente della Chiesa e del suo impegno apostolico. Piccolo Gruppo di Cristo
Per la Comunità del Piccolo Gruppo di Cristo “è tempo di mettersi in cammino” in comunione con la Chiesa per testimoniare il dono di grazia ricevuto e annunciare, o rievangelizzare quegli ambienti che si sono dimenticati di Cristo e del suo messaggio di amore.
Nel silenzio, il Dio
dell’impossibile si fece parola
Betlemme, Basilica della Natività
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IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
“Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Suona un po’ strano che il Natale celebri il mistero della parola di Dio definitivamente proclamata al mondo e alla storia, quando nel presepe siamo di fronte a un infante, cioè uno che è privo di parola.
Come può riassumere tutto il parlare di Dio un bimbo, che in sè non dice nulla? Certo, parlerà da grande; ma egli è da subito Parola, non solo quando inizierà la sua predicazione. Sembra inoltre che ciò vada contro la modalità forte e decisa, con la quale la voce di Dio si fa sentire nelle teofanie, manifestazioni potenti e sconvolgenti sino a incutere timore. Qualcuno sperimenta il comunicare di Dio in forme paradossalmente deboli; si tratta di Elia, chiamato sull’Oreb a porsi in ascolto di una voce di silenzio: “Ci fu una voce di sottile silenzio. Come l’udì, Elia si coprì il volto” (1Re 19,12). È un passaggio di purificazione anche per lui che aveva appena dato battaglia ai profeti di Baal sterminandoli tutti nel segno del fuoco divino! Forse il paradosso del Natale somiglia a una voce di silenzio, per di più sottile; chiede pertanto che ce ne facciamo avvolgere, imparando che solo dal grembo del silenzio nasce ogni vera comunicazione. L’inquinamento acustico delle nostre città evidenzia l’inquinamento interiore, l’incapacità del cuore a farsi accogliente; impariamo da Maria, la madre, che non parla ma medita e rielabora. Un testo sapienziale narra appunto in forma di silenzio l’incontro tra la parola di Dio e questa terra bisognosa di salvezza. “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose e la notte era a metà del suo corso, la tua parola dal cielo si lanciò in mezzo alla terra di sterminio” (Sap 18,14-15). L’attitudine da coltivare per fare Natale è pertanto quella contemplativa, in certo senso cercata anche da coloro che ne vivono unicamente il IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
fascino di tradizione familiare; siamo infatti tutti malati di inquietudine e abbiamo se non altro nostalgia di ciò che fa serena la vita. Guardare il Bambino che ci guarda e fa silenzio, accoglie e non giudica, fa tacere i tormenti e rimargina le ferite. L’annuncio natalizio è tutto racchiuso in un versetto denso, udito il quale dovremmo come il profeta coprirci il volto; a significare l’intensità di una relazione in cui entriamo, ma in punta di piedi. “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). La Parola non si fa voce, si fa carne; la comunicazione non dice cose, diviene comunione e condivisione. Irrompe da quella culla un rovesciamento che sa di rivoluzione e la Madre lo ha cantato: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,52). Se Dio parla nel silenzio del Bambino, che tono avrà il vangelo che la comunità cristiana proclama al mondo? Può farsi forte della potenza umana, dirsi con linguaggi vincenti, offrirsi sul mercato come prodotto di successo? “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annunzia la pace, del messaggero di buone notizie che annunzia la salvezza” (Is 52,7). Il messaggio del Natale richiede non sponsor che lo finanzino, bensì testimoni credibili che lo raccontino con scelte evangeliche; non che lo gridino, ma ne facciano gustare il silenzioso profumo d’amore e di vita. Buon Santo Natale a tutti Voi, sorelle e fratelli del Piccolo Gruppo, ai vostri bimbi, ai vostri nipoti e ai vostri cari. EDV
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Avevi messo in conto
LA GRATUITà ? Ha cambiato il nostro modo di intendere la vita. Da quel momento abbiamo iniziato a domandarci cosa il Signore ci chiedeva, come coppia e come famiglia.
Maria Rosa e Pietro (nella foto sopra con tutta la famiglia) vivono in provincia di Como, nella casa restaurata da Pietro insieme ai suoi fratelli. Una famiglia apparentemente straordinaria e invece incredibilmente normale. Il racconto dell’esperienza di affido, il travaglio per la morte di una figlia conosciuta da pochi mesi, la devozione a Maria. Un viaggio lungo oltre 25 anni con tre luoghi-simbolo: Medjugorje, l’Eremo s.Salvatore, Assisi. Quando è iniziata la vostra esperienza come famiglia affidataria? Tutto ha avuto inizio con un viaggio a Medjugorje. Un’esperienza assolutamente non cercata eppure fondamentale per la nostra storia.
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Quando è arrivato il primo figlio? Oltre 20 anni fa: si trattava di una bambina. Avevamo già fatto domanda per l’adozione, sia in Italia che all’estero, quando leggemmo un appello lanciato su Avvenire. Veniva richiesto un aiuto per accogliere una bambina sieropositiva. Era il febbraio del 1991. Si trattava di un aiuto solo diurno: a partire dal mese di febbraio la piccola stava con noi fino all’ora di cena e poi tornava a dormire con la zia, l’unica parente rimasta ad accompagnarla. In quel momento non lo sapevamo, ma quell’incontro avrebbe cambiato la nostra storia. Dopo pochi mesi ci comunicarono che il suo stato di salute stava peggiorando. In pochi giorni passammo dal vederla a casa nostra all’alternarci in ospedale per accompagnarla in quell’ultimo tratto di strada. Avete subito sperimentato la croce… Certamente è stata un’esperienza che ci ha segnati profondamente. A maggio la bimba è morta: mi ricordo la sofferenza di quei giorni e nonostante questo il suo volto sorridente. Grazie alla sua presenza ci siamo resi conto che la vita è preziosa proIL DIO DELL’IMPOSSIBILE
prio perché riceviamo tanto, più di quanto siamo in grado di donare. E poi è arrivato Matteo… Già, era la fine del 1991. Ed era solo l’inizio… Poco tempo dopo iniziammo il percorso di sostegno anche con Alex. Di quel periodo ricordo il desiderio di entrambi di ritagliarsi i propri spazi. Dopo qualche mese ci siamo resi conto di dover dare la priorità a chi aveva maggior bisogno e abbiamo optato per un sostegno leggero con Alex, cercando di seguire al meglio Matteo. Dieci anni dopo è stata la volta di Lidia e Margherita. Abbiamo iniziato in modo graduale e dal 2005 si è aggiunto anche il fratellino Andrea. Di fronte al bisogno costante di cura e affetto di questi nuovi figli, quali regole vi siete dati? Dopo le prime esperienze ci siamo resi conto che l’unica regola è dare tutti se stessi. Sperando che ciò che seminiamo possa far germogliare qualcosa nella vita di questi bambini e ragazzi. Per un certo periodo abbiamo accompagnato anche una ragazza di 12 anni, in attesa di una soluzione definitiva da parte della comunità dove era stata accolta. Abbiamo sperimentato il fallimento e ci siamo resi conto di non poter disfare ciò che avevamo costruito negli anni precedenti. Occorre anche accettare di non poter sempre farcela.
Quali sono i momenti della giornata più importanti? Certamente la messa al mattino è un passaggio fondamentale ma ancor di più – per la nostra esperienza di coppia – ci ha aiutato la fedeltà al rosario serale. Abbiamo iniziato a recitarlo tornati proprio dal viaggio a Medjugorje. All’inizio provavamo un po’ di vergogna nel pregare insieme. Adesso ogni tanto saltiamo qualche decina. Ma non torneremo mai indietro. Da cosa nasce questo attaccamento alla preghiera? Ad entrambi è sempre piaciuto andare in moto. Facevamo tragitti molto belli e a messa andavamo quando “ce la sentivamo”. L’incontro con Maria, la preghiera costante, l’arrivo dei figli, ci hanno fatto comprendere il vuoto della vita senza il Signore. Tutto è servito per arrivare
fin qua oggi, ma non faremmo cambio con il passato. Abbiamo fatto degli errori e, se tornassimo indietro, probabilmente eviteremmo alcuni comportamenti, nella coppia e nel rapporto con i figli. Ma la preghiera ti illumina anche nel riconoscere che ognuno ha i propri limiti, e vanno accettati. C’è qualche luogo a cui siete particolarmente affezionati? Oltre a Medjugorje, siamo rimasti molto legati ad alcune esperienze vissute presso l’eremo S.Salvatore. In particolare un corso di esercizi sulle lettere di S.Paolo in cui avevamo riflettuto sull’ “intraprendere un viaggio senza sapere dove conduce”. È una situazione che abbiamo vissuto e viviamo ogni giorno con i figli. Un altro momento particolare è stata la visita ad Assisi: san Francesco ci ha mostrato la possibilità di
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un’esistenza sobria nelle braccia del Padre. Oggi qual è il rapporto con i figli? Devi sempre mettere in conto la gratuità. Sia con i figli propri sia con quelli che ti vengono affidati. Ciò che conta è affidarli ogni giorno al Signore: dove noi non possiamo arrivare ci penserà Lui. Ed infatti in molti casi sono stati i figli ad aiutarmi a crescere: nella pazienza, nel rivedere dentro di noi le ragioni di certe decisioni, nel saper chiedere scusa, nel saper essere fermi e responsabili. Ogni figlio ha la sua storia ma la novità di ogni giorno sta nella nostra capacità di voler loro bene per quello che sono. GIOVANNI CATTANEO
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i bimbi
VISTI CON GLI OCCHI dei nonni
“Ti danno ogni giorno cose nuove”. È questa la prima espressione con cui Agusto Galliani (nella foto a lato), nonno per tre volte, consacrato e già responsabile generale del Piccolo Gruppo di Cristo, racconta il rapporto con le sue tre nipoti. A lui abbiamo chiesto come è cambiata la sua vita dopo la nascita di Marta.
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Cosa ha significato per te l’espressione “fare nuove tutte le cose”? L’essere nonno è stata certamente una tappa importante della mia crescita come cristiano e come consacrato. I bambini ti spingono sempre a guardare il mondo con occhi nuovi che poi sono anche gli occhi di Gesù. Quando li accompagno in Chiesa, li porto a salutare Gesù o ad accendere i lumini, sono convinto che sia il modo più bello e spontaneo per farli innamorare di questa bellezza, IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
sfruttando ciò che loro desiderano per portarli a Gesù. A volte sono spinti dalla caramella che sanno di poter chiedere alla signora in fondo alla chiesa, ma intanto… si affezionano a quel luogo! Ci sono stati momento di fatica nel tuo tempo da “nonno”? Certamente c’è un sovraccarico fisico che per ora – grazie a Dio – non mi pesa troppo ma comunque i ritmi per me e mia moglie sono impegnativi. Ci siamo organizzati per darci i
turni e cercare comunque di seguire anche altri impegni che portiamo avanti. Io esco presto la mattina per la messa, faccio qualche commissione in moto e per le 10 cerco di tornare a casa così da dare il cambio a Eliana. I bambini vorrebbero sempre correre e spesso alla sera io e mia moglie siamo “cotti”. Come affronti queste giornate? Con una grande gioia nel cuore, perché comunque proceda il rapporto con i figli e con i nipoti, che crescono velocemente, è sempre fonte di grande serenità e motivo di ringraziamento al Signore per i doni ricevuti. La sfida diventa proprio questa: comunicare loro, giorno dopo giorno, la gioia per la grazia ricevuta. C’è un brano della Scrittura a cui sei particolarmente legato, nel servizio ai tuoi nipoti? In realtà ne ho sempre in mente due. Il primo è “Lasciate che i bambini vengano a me”. Il secondo è invece un versetto del salmo 91. L’ho scelto quando sono andato in pensione e da allora mi accompagna: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore: mia roccia, in Lui non c’è ingiustizia.”
per farli crescere nella vita di questi bambini. Qual è stato il momento più bello di questo Avvento? Quando abbiamo preparato il presepe. In casa mia – è ormai una tradizione – mettiamo sempre al centro Gesù Bambino. Anche per i bambini è possibile capire che tutto il bello del Natale è guardare a Lui. Anche se poi, mettendoci tutti le mani, finiamo con impiegare sempre tre ore per finire la preparazione del presepe. Ma è proprio questo “stare insieme” con Gesù che aiuta a capire il senso del dono. Come la tua consacrazione ha influenzato questo tempo della tua vita? Mi capita spesso di ripetere le parole dell’icona biblica: “Fai opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa”. È un’esperienza che facciamo spesso nelle nostre famiglie,
non solo con i bambini. La preghiera insegna anche ad essere prudenti: è importante lasciare che i figli siano genitori e non sostituirsi a loro. Non è facile, a volte si ha la tentazione di intervenire, ma è importante non andare oltre. C’è ancora spazio per la “novità” di Dio? Ogni mercoledì cerco di organizzarmi per far incontrare tra di loro le tre nipoti. È un modo per condividere e far condividere, per ascoltare tutti e star vicini a ciascuna, con attenzione all’età e alla situazione familiare. E’ una giornata impegnativa, devo fare 50/60 km avanti e indietro con l’auto per recuperare tutti. Ma ne vale la pena. A volte mi capita di incontrare altri fratelli della comunità impegnati come nonni: riconosciamo la fatica di queste giornate ma insieme ci ritroviamo a ringraziare il Signore per questo tempo “nuovo”. G.C.
Natale è un periodo magico per i bambini. Con quale stile state vivendo questa attesa? In effetti è sempre un momento particolare da vivere insieme ai bambini. La cosa più bella è poter ripetere loro: “C’è Gesù, da qui nasce ogni dono”. Così diventa possibile dare sempre una risposta anche quando passiamo davanti ad una vetrina e mia nipote mi chiede l’ultima bambola che ha visto. Anche in quel caso c’è spazio per una parola buona: “Festeggiamo Gesù anche con i regali, perché è da lui che riceviamo il regalo più bello”. Tante volte mi accorgo di poter solo seminare questi germi, confidando nell’opera del Signore IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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lasciarsi lavorare
dal Signore
Letizia Pasqualotto (nella foto a lato), giovane sposa, appartenente al Piccolo Gruppo di Cristo, racconta l’affidamento quotidiano al Signore nella ricerca del lavoro e del proprio progetto di vita. Quale esperienza di “affidamento” hai vissuto al termine dell’università, mentre iniziavi a guardare al mondo del lavoro? Sin dall’inizio del mio percorso universitario (che è coinciso con il mio esordio nell’aspirantato) sono stata chiamata a vivere quello che allora era il mio lavoro, cioè lo studio, in un’ottica di affidamento. Dal cercare di comprendere meglio il metodo di studio, al vivere le relazioni amicali all’interno dell’ambiente scolastico, fino agli ultimi mesi di tesi. Quest’ultimo periodo, in particolare, dove per la maggior parte della giornata, mi era chiesto di concentrarmi sul progetto che stavo elaborando è stata una bella prova di pazienza e perseveranza, in cui ogni giorno affidavo al Signore quello che avrei “scritto” o vissuto. Anche davanti ad alcuni intoppi avuti durante la stesura della tesi è stato fondamentale alzare gli occhi e cercare di vedere con gli occhi del Signore la strada che mi stava tracciando. Ogni giorno del mio ultimo periodo uni-
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versitario ho inoltre rivolto la mia preghiera verso la prospettiva lavorativa, affinchè mi si aprissero delle strade in cui mettere a disposizione le capacità acquisite in questi anni di studio, ma soprattutto farmi strumento del Signore anche nell’ambito lavorativo. Cosa ti ha colpito di più della tua prima prova lavorativa? Queste prime esperienze lavorative mi stanno insegnando molto come mettermi in ascolto. Entrando in un nuovo ambiente si apprendono non solo nuove competenze, ma si entra più nel vivo delle dinamiche relazionali con i colleghi, si comprendono meglio gli atteggiamenti da tenere in realtà molto variegate, e non sempre serene. Proprio in questi ambienti che sembrano così poco attenti alla presenza del Signore, secondo me è invece importantissimo (e talvolta necessario) portare la testimonianza che le situazioni lavorative possono essere affrontate diversamente. Penso alle “pause caffè” dove si corre spesso il rischio di farsi trascinare dai pettegolezzi o dal parlar male dei colleghi...in certi momenti mettere in luce gli aspetti positivi delle persone o assumere un atteggiamento di silenzio, è un modo per parlare di Dio. Stai vivendo un periodo carico di novità: dove hai visto all’opera il “Dio dell’impossibile”? Se penso a cosa è successo a me e a IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
Paolo in questi ultimi mesi non posso che meravigliarmi per quanto il Signore ha lavorato su di noi! All’inizio di quest’anno non avrei mai immaginato che ci avrebbe portato dove siamo ora: se penso alla ricerca della casa, ai progetti solo immaginati che si sono concretizzati. Tutte rivelazioni di quanto grandi siano i piani del Signore, al di sopra di quello che potremmo pensare. “Non temere” “perchè non abbandonarci a Lui”...queste parole dell’Icona Biblica, dobbiamo incarnarle nel nostro vissuto di cristiani che diffondono il profumo di Cristo, specie in questo momento storico di forte sfiducia. Il monito è rivolto innnanzitutto a me stessa...a volte non sono sempre in grado di avere occhi sorpresi per l’amore che si manifesta nella mia vita. Non devo dimenticarmi che sto davanti ad un Dio che si prende cura di me e che vedrà come farmi affrontare bene anche le instabilità e le difficoltà di tutti i giorni. Quali sono le priorità per un giovane che oggi stia ancora studiando e debba prepararsi a entrare in una realtà lavorativa? di fronte alla crisi economica e occupazionale e al rischio che “nulla possa cambiare”, come guardi al futuro? In questi giorni mi è capitato di leggere un articolo di Martini che richiamava il valore della perseveranza. Ecco, credo sia fondamentale avere uno sguardo pù ampio su ciò
che ci accade attorno. A partire dalle esperienze che stiamo vivendo: magari ci possono sembrare inutili o che richiedono uno sforzo in più di umiltà perchè ci affidano lavori umili. Non importa. Perseverare nell’amare anche queste situazioni è fondamentale per riuscire a viverle al meglio e ribaltarle cercando uno sguardo nuovo, una prospettiva diversa. Penso a chi sacrifica le ambizioni lavorative per dare più spazio alla famiglia, o chi nel silenzio svolge lavori molto umili o addirittura chi non può fare molto se non offrire le proprie preghiere: chiediamo al Signore di renderci utili proprio come Lui ci vuole!. Che spazio può avere la preghiera nel far luce sulle scelte lavorative? Spesso durante gli incontri di comunità ce lo ripetiamo: “farci persona preghiera” credo sia da interpretare come “far del nostro lavoro una preghiera”. Questo è molto importante, innanzitutto per ricavarci in modo originale ed innovativo degli spazi di preghiera anche durante la nostra giornata lavorativa (magari approfittando del viaggio verso il luogo di lavoro per un rosario o dei momenti dove non c’è molto da fare
per la meditazione) e nel contempo per affidare le situazioni lavorative attraverso la nostra preghiera. Lo penso rispetto alla mia breve esperienza lavorativa, ma anche pensando al futuro: fin’ora ho avuto contratti di sei mesi in sei mesi... sono dei periodi brevi. Ecco allora è per me fondamentale rimettere al Signore anche questa mia instabilità lavorativa affinche sia Lui a darmi la stabilità vera di cui abbiamo e sento realmente il bisogno! Senza un lavoro stabile non è che non si possono fare dei progetti a lungo termine: è la mancanza del riferimento al Signore che invece mi spaventa di più! In base a questi primi mesi di lavoro, come rileggi la nostra icona biblica “lavora e prega, fai opere di bene...”? La rileggo pensando alle varie forme di lavoro e di preghiera da cui sono circondata: mamme che lavorano per il bene dei loro bimbi, persone senza lavoro che si prendono cura IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
di chi è fisicamente/moralmente debole donando il proprio tempo, giovani che si spendono per qualcosa in cui credono e che ha cambiato loro la vita. Tutte queste sono forme di lavoro, anche se non ufficiale, ma che mi sorprendono per come queste persone aderiscano pienamente e con serenità alla chiamata di farsi pane spezzato in quelle specifiche situazioni...magari avevano pensato di fare tutt’altro nella loro vita...ma il Signore li ha voluti li, e loro ogni giorno rispondo con la loro vita: “Eccomi”! questo penso sia incrediile: lasciarsi “lavorare” dal Signore è il primo passo da compiere per fare della nostra vita un buon lavoro per il suo Regno. G.C.
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L’anno della fede e il nostro personale
cammino di ricerca di Dio
La ‘porta della fede’ (At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita”: sono le parole con le quali Benedetto XVI ha aperto la sua Lettera apostolica “Porta fidei”, dell’11 ottobre 2011, con la quale ha indetto l’ “Anno della Fede”. Dalla pubblicazione del suo Motu Proprio è passato più di un anno, nel frattempo siamo entrati nel vivo di questo “Anno della Fede” ed è giusto interrogarci su cosa esso significhi per ciascuno di noi. A 50 anni dal Concilio - Il Papa ha voluto fare coincidere l’Anno della Fede con il 50° anniversario dell’inizio del Vaticano II e con il 20°della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Una scelta non soltanto celebrativa, ma legata alla convinzione di Benedetto XVI che oggi Dio e la questione religiosa appaiono come “esiliati” o “rimossi” dalla nostra cultura. Parlando ai Vescovi italiani, riuniti nella loro assemblea annuale in Vaticano il 24 maggio scorso, il Papa ha
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tra l’altro affermato che “il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto”. Il “patrimonio” dimenticato - Un grido d’allarme molto forte, quindi, quello di Benedetto XVI, che siamo invitati a raccogliere ed approfondire nel nostro cuore, anzitutto, chiedendoci se anche dentro di noi c’è quel “deserto inospitale” dove Dio non trova spazio e ascolto. Un allarme, però, che ha anche un risvolto intellettuale, “razionale”: siamo sicuri di non avere in qualche modo anche noi dimenticato quel “patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue radici”, vale a dire la grande e ricca tradizione cristiana da cui si è generata la civiltà occidentale? Dal modo in cui risponderemo a queste domande dipende la possibilità di vivere nel concreto della storia odierna offrendo un contributo costruttivo di laboriosità, serenità e pace sociale. Il dinamismo della ricerca L’“Anno della Fede” ci offre l’occasione di interrogarci su cosa sia veramente “la fede”. Ci aiuta un vescovo italiano, mons. Marcello IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
Semeraro, che guida la diocesi di Albano. Nella sua lettera pastorale “Io credo in te”, dedicata appunto all’ “Anno della Fede”, va anzitutto alla ricerca delle “ragioni per le quali un uomo giunge alla fede”. In quel verbo “giunge” il vescovo colloca il momento primario col quale ogni uomo “incontra” la fede: si tratta di un dinamismo, del cambiamento interiore, di una serie di fatti ed eventi che modificano i percorsi umani facendo scaturire una nuova e inaspettata possibilità, una forte novità all’interno della nostra anima. Descrive questi dinamismi così: “Spesso, da noi accade ancora, c’è l’educazione religiosa e la pratica di vita cristiana in famiglia e nella comunità parrocchiale. C’è per altri l’accostamento e la partecipazione a un gruppo, a un movimento, a un’associazione. A volte, quando si tratta di persone giovani o adulte, l’avvio è dato dal bisogno di un senso pieno per la vita. In alcune circostanze l’uomo è deluso dall’umano, che trova dall’altra parte, e cerca qualcosa di più stabile, dietro ciò che empiricamente è conoscibile”. Nelle possibilità elencate da mons. Semeraro, la costante è rappresentata da una “ricerca” più o meno consapevole da parte di un uomo o di una donna, che prima o poi approda al traguardo. E tale traguardo consiste nel credere “riponendo in Dio la propria fiducia fondamentale. In questo totale consegnarsi a Dio, l’uomo riceve la sua esistenza come esistenza fondata”.
Alcuni esempi nella storia della salvezza personale - La lettera pastorale di mons. Semeraro abbonda di riferimenti a testimoni che hanno “scoperto” la fede e di cui narra il momento o l’evento della conversione. Così di Charles de Foucault, beatificato nel 2005, richiama le parole: “Come credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui solo”. Con Soren Kierkegaard richiama la “fede inquieta” riportando le sue severe parole: “«essere cristiano è l’essere come spirito, è l’inquietudine più alta dello spirito, l’impazienza dell’eternità, un continuo timore e tremore: che viene acuito dal trovarsi in questo mondo perverso che crocifigge l’amore, scosso dal brivido per il giudizio finale, quando il Signore e Maestro ritornerà per giudicare se i cristiani sono stati fedeli». La citazione di Paul Claudel riguarda il “momento preciso” in cui ebbe il dono della fede attraverso una conversione rapidissima e potente: “In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla”. Verso un’epoca completamente non religiosa? - Altri esempi molto “potenti” e suggestivi di con-
versioni e di ingresso nel mondo della fede sono quelli di Dietrich Bonhoeffer, che mons. Semeraro cita con un passaggio inquietante: “E’ passato il tempo in cui si poteva dire tutto agli uomini tramite le parole (fossero parole teologiche o pie), così come è passato il tempo dell’interiorità e della coscienza, cioè il tempo della religione in generale. Andiamo incontro a un’epoca completamente non religiosa”. Lo stesso Bonhoeffer rimanda a un Dio “debole” quando afferma: “La Bibbia indirizza gli uomini all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio che soffre può venire in aiuto”. Il vescovo cita un altro caso emblematico di scoperta della fede, questa volta in una non cristiana: l’ebrea Etty Hillesum, morta ad Aushwitz nel 1943 che lascia scritto nel suo diario: “Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati e da tanto tempo”. Mons. Semeraro commenta: “Senza essere cristiana, Etty diventò una donna ‘eucaristica’ ”. E poi c’è la “fede di Agostino”, che ci ricorda: “Raggiungere Dio appena un poco con il pensiero è una grande beatitudine; quanto a comprenderlo, invece, è assolutamente impossibile”. O la fede di S. Paolo che “trasmette quello che ha ricevuto”. O anche di Romano Guardini che “scopre” la fede, comprendendo che c’è “un’altra realtà – dinanzi a lui, in lui stesso o al di sopra di lui – appartenente a un mondo differente; in alto, lassù. Questa realtà s’afferma, cresce di forza nella sua verità, nella sua bontà, nella sua santità ed esige l’adesione di colui che è stato chiamato”. Il nostro dovere è scoprire “ciò che è già avvenuto” - Una volta che il “cammino” verso la fede è approdato al suo traguardo, che consiste nell’ “incontro con Cristo”, la “persona alla quale si affida la propria vita”, secondo il vescovo Semeraro avviene il successivo passaggio. Questa volta entra in gioco la liturIL DIO DELL’IMPOSSIBILE
gia, come atto conseguente a tale incontro. Spiega: “la liturgia è l’atto nel quale crediamo che Dio entra nella nostra realtà e noi lo possiamo incontrare, lo possiamo toccare. E’ l’atto nel quale entriamo in contatto con Dio: Egli viene a noi, e noi siamo illuminati da Lui”. Ancora una volta si tratta di un “dinamismo” di tutta la persona: occorre lasciarsi “condurre” all’azione liturgica, muoversi in essa, assumere quella che il vescovo definisce “l’indole peregrinante della fede”. La fede diviene così elemento costitutivo essenziale della persona, la celebrazione e l’adorazione di Dio divengono il momento fortificante quotidiano, ne illuminano ogni “passo”, spingono “a parlare ad altri della nostra fede”, orientano a una vita buona e caritatevole. La fede così è lo “scoprire ciò che è già avvenuto” dentro di noi, attorno a noi, perché non cercheremmo Dio “se Lui non ci fosse già venuto incontro”. L’ “Anno della Fede” è sempre Potrebbe a questo punto apparire banale, ma per un cristiano che si è totalmente affidato a Dio, che è innamorato di Cristo e ne segue il Vangelo, che confida nello Spirito Santo e si lascia da Lui illuminare in tutte le sue opere e pensieri, l’ “Anno della Fede” è “sempre”. Un tale cristiano sa che Dio è Dio, che riempie di sé ogni cosa e persona, che agisce in maniera imperscrutabile sempre e comunque, e quindi l’orizzonte del tempo è totalmente nelle mani del Signore della storia. Giustamente il Papa ha indetto l’ “Anno della Fede”, per richiamare ogni uomo a questa dimensione profonda del proprio essere. Ma il credente “vive” immerso nella fede, “consiste” nella fede e senza di essa “non esiste”. Così il richiamo del Papa è accolto come un dono perché risuoni nei cuori di tutti gli uomini, anche di coloro che sono lontani e non avvertono in loro la presenza amorevole di Dio. LUIGI CRIMELLA (nella foto a pag.12)
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“Mio Dio, se esistete,
fate che io Vi conosca”
La testimonianza di Charles De Foucauld
Ricercando fra le vite dei Santi esperienze di fede che abbiano testimoniato la bellezza del “Dio dell’impossibile, che fa nuove tutte le cose” mi ha affascinato la persona di Charles De Foucauld, uomo d’azione, con temperamento per il quale, più che la teoria, contano i fatti e le persone. C’è voluto molto perché il seme macerasse nella terra, infatti fu un missionario che non riuscì a convertire nessuno nella sua vita. Padre De Foucauld era di statura piccola, brizzolato, con la barba incolta, sdentato, gli occhi vivi, la fronte intelligente. Chi lo incontra sente in lui un calore, una fiamma mistica intensa, un ardore di fede divorante. Ma raccontiamo con ordine, Charles nasce in Francia, a Strasburgo, il 15 settembre 1858, da una santa madre, ma entrambi i genitori muoiono precocemente quando lui ha 6 anni e viene affidato al nonno
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insieme alla sorella Maria. Charles si allontana dalla Fede e vivrà tutta la sua adolescenza e gioventù come tanti giovani d’oggi in un mondo senza Dio. A 17 anni scriveva: “ero tutto egoismo, empietà, desiderio di male, ero come impazzito”. A 20 anni: “Dormo a lungo. Mangio molto. Penso poco”. Charles si trovava nel buio della notte, non vedeva più né Dio, né gli uomini, vedeva solo se stesso. Fu militare senza convinzione e con una reputazione di viveur, la vita disordinata, con scappatelle e legami ostentati e per queste motivazioni viene sollevato dall’incarico. Così incomincia i suoi viaggi in Oriente e a studiare l’arabo. Viene riconosciuto come esploratore affermato e pubblica un atlante del Marocco. Rientrato in Francia ritrova la famiglia e manifesta i segni di una ricerca interiore; la sua conversione é latente da qualche tempo ed é subito totale e definitiva.” Una grazia interiore fortissima mi spinIL DIO DELL’IMPOSSIBILE
geva: mi misi ad andare in Chiesa e mi trovavo bene solo là e vi passavo lunghe ore a ripetere quella strana preghiera: “Mio Dio, se esistete, fate che io Vi conosca”. Mi parlarono di un prete molto colto, lo trovai nel suo confessionale e gli dissi che non ero venuto a confessarmi, perché non avevo la fede , ma desideravo delle informazioni sulla fede cattolica. Il reverendo Huvelin, a me sconosciuto, dal quale Egli mi aveva mandato, divenne i mio confessore, migliore amico e direttore spirituale. Mi fece inginocchiare, mi confessò e mi dette la comunione. Appena io ebbi creduto che un Dio esiste, capii che non potevo fare altro che vivere per Lui solo”. Charles rinuncia quindi ai suoi progetti di esplorazione, entra in una tappa in Siria ma non tarda a sentirsi a disagio trovando il regime di vita poco conforme al suo ideale di imitazione di Gesù di Nazareth.
Il gusto di Foucauld per la vita nascosta di Nazareth, dove Gesù non manifestava la sua divinità, lo aveva condotto a nascondersi come domestico nei pressi di un convento di clarisse a Nazareth. Brevi parole definiscono molto concretamente la spiritualità della vita che ha scelto: la sua è la vocazione di fratello universale, e si è fratelli universali solo per imitazione di Gesù Cristo, seguendo le sue orme. “Bisogna dare testimonianza, bisogna portare una presenza cristiana, bisogna conoscere gli uomini per amarli e poterne essere amati . è un apostolato di lunga pazienza e ha bisogno di tanta preghiera”. Mettersi al servizio di Dio: ServirLo, vale a dire lavorare alla salvezza delle anime, essere salvatori nella misura del possibile, questo è lo schema di vita praticato da Foucauld. Egli è un uomo estremamente conviviale con una grande capacità e un profondo desiderio di solitudine. Scriveva in una lettera: “Non vi preoccupate perché mi vedete solo, senza un amico, non soffro affatto per la solitudine, la trovo dolcissima: ho il Santo Sacramento, il migliore degli amici con cui parlare giorno e notte”. “Niente clausure - come Gesù a Nazareth; non abitare lontano da ogni luogo abitato, ma nei pressi di un villaggio - come Gesù a Nazareth; non meno di otto ore di lavoro al giorno (manuale o altro, per quanto possibile manuale) – come Gesù a Nazareth; né grande terreno, né grande abitazione, né grandi spese, né grandi elemosine, bensì estrema povertà in tutto – come Gesù di Nazareth... in una parola: Gesù a Nazareth. Come Lui (il Cristo di Nazareth) dà anche tu un grande posto al lavoro manuale, il quale non è tempo tolto alla preghiera, bensì dato alla preghiera; il tempo del tuo lavoro manuale è un tempo di preghiera”. Per Foucauld i medicinali, le piccole
elemosine sono un beneficio soprattutto spirituale, sono un mezzo per entrare in relazioni buone e amichevoli con i Tuaregh per far si che abbiano fiducia nei suoi confronti. “Sapendomi sempre qui, vengono a farmi visita, perché sono sicuri di trovarmi; facciamo conoscenza a poco a poco, senza indiscrezione”. Padre Foucauld è un lavoratore accanito, non gli piace sprecare il tempo perché lui dice che il tempo è l’azione. Ogni persona che incontri è un diverso, è un mistero che non puoi penetrare completamente. L’importante per Foucauld è il suo senso della “povertà”. Desiderare ardentemente avvicinarsi al mistero dell’altro, ma con infinito rispetto, avvicinarsi a lui per conoscerlo ed amarlo, ma senza colonizzarlo né appropriarselo.
te adorazioni giunge a cogliere come decisivo il fatto di essere “come” Gesù: immolato, mangiato, donato. Si commenterà la sua morte con queste parole: “Ha trovato il passaggio, è arrivato”, rientra nel sistema mistico del riscatto per gli altri. ROSALBA BEATRICE Bibliografia: “Foucauld nel deserto”Editrice Queriniana
“La compassione, vale a dire la comprensione dell’altro che porta gli esseri ad amare fraternamente fuori dal loro ambiente e della loro parentela, nel tempo e nello spazio di questo mondo, in una fraternizzazione all’universale”. “Compatire, lasciarsi raggiungere dall’altro in quanto altro, non più l’altro che si vuole convincere o convertire, bensì l’altro che si riconosce come un altro se stesso, un fratello.” Il leitmotiv della vita di Foucauld riluce in queste righe: si tratta di imitare la vita di Gesù Cristo a Nazareth nella sua povertà, in mezzo agli altri, vita nascosta che però dà testimonianza. Viene ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato a bruciapelo da un ragazzo impaurito che lo custodiva legato saldamente come ostaggio. Quella morte concludeva una vita instancabilmente tesa verso l’amore di Dio, vissuta nella ricerca dell‘ “ultimo posto”, nulla riesce nella sua vita a distogliere Carlo dalla preghiera incessante, passa con estrema facilità dall’adorazione al servizio al prossimo e viceversa. Proprio attraverso quelle prolungaIL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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Festa dell’Eremo Esortazioni e ringraziamenti nella parole dei fratelli e delle sorelle della comunità.
Particolare del “Cristo” dell’Eremo San Salvatore di Erba (affresco di Michelino da Besozzo)
Esortazioni Per Cristo, con Cristo e in Cristo, fortificati, santificati, consacrati dallo Spirito Santo diamo lode al Padre, all’unico Padre di tutti, che ha scelto proprio noi come suo resto, come sua parte di eredità e oggi ci chiama a far festa con Lui.
Detto questo però devo confessare tutto il mio disagio nell’essere qui, ora. Mi sento il più piccolo di voi tutti, il più povero non solo di parole ma anche di preghiere; mi sento così inadatto a parlarvi che non posso far altro che lasciare che sia lo Spirito Santo ad illuminarmi e ad illuminare anche voi. Consapevole di tanta piccolezza e inadeguatezza, resto però “tranquillo e sereno”, come dice il salmo (Sl.130), “come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”, così è in me l’anima mia.
Ho iniziato così, prendendo spunto dalla sollecitazione che Giancarlo ci ha dato per preparare questa salita, parole, le sue, forti e incisive che io ho riletto in senso liturgico.
Saliamo oggi sul monte e ci traiamo in disparte in un tempo segnato dalla crisi, in un tempo difficile da vivere, in cui le prove sembrano non finire e in cui le tenebre sembrano poter dire
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l’ultima parola. E proprio noi, laici consacrati, non possiamo esimerci dal vivere completamente questo passaggio, dall’assumerci queste croci, dallo stare nel mondo come tanti altri nostri fratelli, nascosti fra di loro. “Ti vedrò sudato e spossato; sarai il più piccolo, il più debole, il più umile, il più generoso”. E ancora, più avanti nella nostra bella icona: “Ti vedrò incompreso, deriso, insultato, vecchio, trascurato, solo”. Oggi queste parole assumono significati forti, concreti: non sono solo una bella preghiera, uno stimolo per il nostro cammino, ma sono la realtà di tante persone, la realtà di tanti di noi. Eppure, ritrovare dei riferimenti così chiari nell’icona mi fa dire che questo è soprattutto tempo di grazia. È que-
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sto il tempo in cui il superfluo non conta più, e l’essenziale per noi è Cristo; è il tempo in cui certe immagini astratte non contano più, e la concretezza per noi è Cristo; è il tempo in cui l’isolamento produce povertà, e l’unica ricchezza che noi possiamo portare agli altri è ancora Cristo. Cercando le motivazioni del nostro andare siamo chiamati a ravvivare la nostra speranza, a fondare sempre di più i nostri passi sulla verità che è Cristo, a fidarci di Lui oltre ogni nostro umano calcolo: “non temere, Piccolo Gruppo; non temere, piccolo uomo: a te concedo le mie infinite forze e io ti sosterrò e sarò con te fino alla fine dei secoli”. “Ti solleverò, ti laverò dai tuoi peccati, ti vestirò con abiti nuovi, ti porterò nella mia casa, mangerai a mensa con me, sarai il mio amico, mio fratello fedele e amato”. Questa è la Provvidenza, questo è il fine provvidenziale cui siamo chiamati oltre ogni umana fatica. Con questa fiducia nel cuore, mista ad entusiasmo e gioia, nove anni fa dicevo il mio eccomi, rispondendo prontamente al suo invito. Ora, dopo avermi accompagnato in questi anni, magari fra alti e bassi, ma sempre con lo sguardo fisso su di Lui, tenendo il mio cuore il più vicino possibile al suo, ora sento che mi chiede qualcosa di più: mi chiede di preparami ad una risposta definitiva, che mi interpella singolarmente, così come la vocazione matrimoniale mi ha già chiamato ad una risposta “per sempre” con Robi. Allora chiedo a voi, amati fratelli, di sostenermi con la vostra preghiera, col vostro esempio, col vostro incoraggiamento, perchè nulla mi separi mai dall’amore di Cristo. Insieme con me quel giorno di nove anni fa anche Roberta diceva il suo eccomi: portando nel grembo Caterina si presentava al Signore nella Fraternità con lo stesso ardore, con lo stesso desiderio di corrispondere ad un amore che le da vita e che proprio in quei mesi faceva crescere in lei una vita nuova, una meraviglia per la nostra piccola famiglia.
La vita stessa, ma ancor di più l’amore per la Verità, chiedono oggi ad ognuno di noi un forte impegno di testimonianza: se è vero che il nascondimento è la dimensione che più ci avvicina al Signore, è altrettanto vero che oggi stare nel Piccolo Gruppo di Cristo vuol dire anche “cambiare per rimanere se stessi”, come lo stesso Giancarlo ci ha invitato a fare. Non cambiare per cambiare, ma seguire il Signore là dove ci vuol guidare, seminare là dove Lui ci indica, lasciando magari ad altri la mietitura. Non temere il domani, che è già nelle mani di Dio, ma vivere in modo appassionato il presente, esprimendo così quella “presenza costante, amorosa e salvifica del Redentore”. In questo modo allora potremmo ancora essere strumenti di salvezza nelle mani dello Spirito Santo, non perchè capaci di chissà quali imprese, ma perchè abbandonati in Lui, “tranquilli e sereni, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sl.130).
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Sì, è quella gioia che abbiamo provato e proviamo tutti nella nostra storia personale, prima e dopo il dono della consacrazione: la gioia di appartenere all’Amore Trinitario. Provate a pensarci fratelli e sorelle, che cosa straordinaria ci sta di fronte: Dio ci ama, la sua grazia è entrata nella nostra vita, ci ha fatto Comunità, ci esorta ad Amare la Chiesa., gli altri, tutti. Questa è l’identità del nostro Dio: la Carità perfetta.
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Lasciamola abitare nel nostro cuore, perché il nostro fare incarni la Parola di Vita, il Vangelo, dal basso, nel concreto, in un “ Buongiorno!”, in un “Come stai?”, in un semplice sorriso, in una parola di “ Dio fattosi uomo” fra parole di uomini. Certo, forse, il mondo va in un’altra direzione; certo, siamo fonte di contraddizione, ma è possibile l’unità, è possibile fare luce, è possibile la santità, perché Cristo si è incarnato per amore, ci ha redenti a caro prezzo e ci invita a rinnegare la nostra vita per abbandonarla a Lui e contribuire a costruire la Città sul Monte. È un sentiero difficile, impegnativo, ma luminoso se ci aiuta a crescere nella Carità.
Carissimi fratelli e sorelle, dopo le prime esitazioni sulla proposta relativa alla preparazione dell’esortazione, non posso nascondervi la gioia che in questi ultimi giorni di preparazione alla Festa ho riscoperto in me. È il silenzio del Signore, tra le letture appena ascoltate, che l’ha svelata ancora a me stessa, troppo preoccupata e affaticata dalla contingenza delle contraddizioni quotidiane per poterla vivere pienamente.
Allora, riaffidiamoci a chi ci ama, ma con un cuore “restaurato”, come ci suggerisce il nostro Fondatore; non dimentichiamoci che la fedeltà chiestaci dalla Chiesa e dalla nostra forma di vita vuol dire cambiare per rimanere se stessi, come ci esorta il nostro Responsabile Generale; ascoltiamo un’altra volta la chiamata del Signore riscoprendo il dono dei voti; diciamo il nostro “Eccomi” con un totale abbandono alla grazia e purifichiamoci per ripartire più forti e convinti, proprio da lì, dall’ultimo posto, perché il nostro sostare con Lui ci permetta di diminuire per farlo crescere in noi.
Resti così visibile al mondo, al di là delle nostre parole, dei nostri progetti o delle nostre stesse persone, ma soprattutto resti visibile al nostro Signore, qual’è il fine ultimo della nostra vita: la salvezza nostra e quella dei nostri fratelli, la nostra partecipazione alla gloria divina. ANTONIO CIANFRONE
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Infine, ma non per questo meno importante, chiediamo l’aiuto del nostro responsabile personale, perché la nostra sequela sia orientata a prendere il largo, pur con le nostre fragilità e debolezze ed educhiamoci vicendevolmente al perdono, alla comprensione, alla collaborazione. Oggi, tra il silenzio di queste pietre, luogo di preghiera, fusi in un’unità perfetta, nell’intimo, il nostro Dio ci parla: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre è piaciuto di darvi il suo Regno… Le tue radici sono ben affondate nella terra; la tua preghiera contemplativa sale dalla valle operosa; la tua casa appoggia saldamente sulla roccia… In nulla ti distinguerai se non nell’essere un Vangelo vivente. Lavorerai e pregherai, farai opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa…Ti vedrò: avrò compassione di te, ti solleverò, ti laverò dai tuoi peccati, dalle tue omissioni; ti vestirò con abiti nuovi, ti porterò nella mia casa, mangerai a mensa con me, appoggerai la testa sul mio petto, sarai mio amico, mio fratello fedele e amato. Mi compiacerò di te! Ti presenterò al Padre, che ti consegnerà l’anello della carità, dell’amore, della gloria. Con gli occhi dell’ Agnello assiso sul trono potrai vedere cosa ho fatto io per te e con te... ”. Domani queste parole vivranno nel silenzio del nostro cuore, una piccola pietra di luce, luogo di silenzio, luogo di preghiera, luogo dell’incontro tra noi e il nostro Dio. È sempre così: Dio ci propone la pace della gloria, già nel presente. Perché non tentare, perché non lasciarsi fare da chi ci ama? Chiediamo allo Spirito Santo di custodire la nostra preghiera e la nostra relazione con il Padre, così come Gesù ci ha insegnato, di aiutarci a vegliare sul nostro cuore con cura e passione per tutta la vita, di farci per sua gloria un mosaico di pietre di luce. Amen. Giorgia EVANGELISTI
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“La vorrei santa (la mia figlia Maria) e vorrei santa anche te Paolina. Anche io vorrei farmi santa ma non so da che parte cominciare, c’è tanto da fare che mi limito al desiderio. Dico spesso durante la giornata: “Mio Dio, come vorrei essere santa”. Poi non compio le opere! Però è tempo che mi ci metta, perché mi potrebbe accadere come a quelle persone che sono decedute questa settimana e la cui morte mi ha sensibilmente impressionata”. (Zelia Martin LZ184). Questo che ho appena letto, è uno stralcio di una lettera che Zelia Martin, madre di Santa Teresa del Bambin Gesù, scrisse a sua figlia Paolina. Zelia e Luigi Martin, erano una coppia di sposi che è stata recentemente beatificata: la prima coppia santa, genitori di una santa. Ma cosa avevano di speciale? E’ la domanda più immediata che potremmo fare ascoltando la storia della loro vita. La mia risposta è: niente di speciale o di irrealizzabile. La loro storia è la storia di una famiglia santa, che desiderava diventare santa, che desiderava avere figli santi. Una famiglia che mentre lavorava, pregava e faceva opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa, costruiva con la Sua Grazia la città sul monte. Una coppia di imprenditori, lui orologiaio lei merlettatrice, famiglia agiata che lavorava bene e tanto perché il lavoro è riflesso della bellezza di Dio ed è un servizio a Lui reso “per ordinare le realtà temporali secondo la scienza, la giustizia e la carità di Dio”. Padre Stefano Piat già cinquant’anni fa scriveva: “Luigi e Zelia gareggiavano in spirito soprannaturale per trasfigurare in opera divina il monotono dovere quotidiano. La messa ascoltata ogni mattina, insegnava loro a concentrare in Dio tutti i doveri del loro stato e trasformarli in autentica preghiera”. (Piat, p.82) IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
E ancora una famiglia che ha accolto in tutte le sue sfaccettature la sfida dell’educazione dei figli. Una famiglia che ha santificato la festa perché preludio della vita in Dio. Una famiglia, infine, accompagnata da una fede retta e carità perfetta. La famiglia non è un ambito secondario: è l’ambito in cui si esprime e vive la nostra società. “Cerchiamo di essere strumento di salvezza mediante una testimonianza che esprima la presenza costante, amorosa e salvifica del Redentore”. Nella famiglia viviamo la missione, nella famiglia accogliamo i nostri amici, accogliamo chi ha bisogno, alleviamo i nostri figli perché siamo un granello di senape e sui nostri rami si appoggeranno i bisognosi. I nostri figli…le prime persone “estranee” che entrano nella famiglia e che hanno bisogno di vedere e sentire il Signore. Bambini e bambine che hanno dentro il germe di Dio, ma occorre riconoscere che hanno la stessa fede in Dio ed esperienza d’incontro in Cristo che possono avere le tribù indigene dell’amazzonia, quindi nessuna. Bambini che quindi hanno bisogno di incontrare testimoni di Cristo. I bambini sono i primi esseri umani che entrano in una famiglia e attendono di essere evangelizzati. I genitori sono i loro primi testimoni. Quando sono piccoli, noi li vestiamo, li puliamo…. gli diamo da bere quando hanno sete e gli diamo da mangiare quando hanno fame. Quando crescono è la stessa cosa, camminano sulla loro strada, ma se non capiscono o sbagliano attendono da noi quel perdono “speciale” che la grazia ci ha insegnato a riconoscere e che loro attendono in dono. Quindi, anche se forse in senso spirituale, attendono ancora una volta di essere puliti, dissetati e sfamati. I nostri figli, i figli di tutti hanno molti diritti, ma uno sopra tutti: avere una famiglia, dove ci sia un padre e una madre, maschio e femmina. Hanno bisogno e diritto ad una fami-
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glia unita che viva insieme. “La famiglia è la prima scuola dove i bambini imparano il dono totale di sé” (A.Scola). Li accudiamo ma sappiamo che i figli non sono nostri, ci sono stati affidati perché anche grazie alla nostra testimonianza ritornino a Colui che ce li ha dati. L’eredità più grande che possiamo lasciargli è la nostra educazione cristiana, non sapremo poi come andrà a finire la loro storia, ma sempre in un angolo del loro cuore avranno un’àncora che potrà tenerli saldi nei momenti di tempesta della vita e dargli ragione della vera felicità nei momenti sereni. Lavorerai e pregherai, farai opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa. Ti vedrò sudato e spossato; sarai il più piccolo, il più debole, il più umile, il più generoso. In tutto questo non sei solo. Perché io entro in te con la mia grazia.
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Non temere, Piccolo Gruppo; non temere piccolo uomo: a te concedo le mie infinite forze e io ti sosterrò e sarò con te fino alla fine dei secoli. Quante volte mi sono sentito spossato, di quella spossatezza che non colpisce le membra, ma il cuore. Quante volte addolorato, apro le braccia e mi rassegno e mi dico: “non ho tutto l’Amore di cui hanno bisogno coloro che mi stanno intorno. Signore fammi ricco di tutto quell’Amore che è necessario a costoro: io non basto neppure a me stesso”. Esortare, ex hortari, far fare qualcosa a qualcuno ma anche consolarlo. Che compito. Io sono certo che il Signore accompagnerà ciascuno di noi anche quest’anno. La chiesa sta vivendo periodi difficili, ma anche molto ricchi. Nei mesi appena passati a Milano si è celebrata la festa della famiglia, in questi giorni viviamo l’apertura dell’anno della fede nella ricorrenza dei 50 anni del Concilio Vaticano II;
quindi periodi forti per la chiesa ma anche per la nostra comunità. E’ per questo che vorrei chiudere questa esortazione con un passo di Santa Teresa del Bambin Gesù: “Ah come è bella la vocazione del Piccolo Bambino! Non è una missione che deve evangelizzare, ma tutte le missioni. E questo come?....amando, dormendo, gettando fiori a Gesù quando sonnecchia. Allora Gesù prenderà questi fiori e comunicando loro un valore inestimabile, li lancerà a sua volta, li farà volare su tutte le rive e salverà le anime, con i fiori, con l’amore del piccolo bambino che non vedrà nulla, ma che sorriderà sempre anche attraverso le lacrime! Un bambino missionario e guerriero: che meraviglia!” (Carmelo di Lisieux 8-17 Settembre 1896- LT194) ANTONIO LONGO
◊◊◊◊◊◊◊◊◊ Care sorelle e cari fratelli, vi invito a fare festa perché siamo amati dal Signore con un amore di misericordia, che partecipa delle nostre gioie e delle nostre sofferenze, siamo amati con un amore che sa perdonare, che ci prende come siamo, poveri e peccatori, per farci come Lui ci vuole, santi e immacolati al suo cospetto.
“Elia in preghiera” [icona di Mara Zanette], mentre ascolta sul monte Oreb Dio che parla nel “mormorio di vento leggero
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Nell’anno della Fede e in occasione del cinquantacinquesimo anno di fondazione del Piccolo Gruppo di Cristo, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, dopo il nostro pellegrinaggio ad Assisi, siamo qui davanti al Signore a chiedergli di riprenderci tra le sue braccia come ha fatto il padre
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circostanza della vita.
con il figliol prodigo. Per ricostruirci come singoli e come Comunità, secondo il progetto che ci ha indicato quando ci ha chiamati ad essere suoi e noi gli abbiamo detto di sì, per servire il nostro prossimo e la Chiesa. In quel momento il nostro è stato un sì senza riserve, il sì di chi si sente profondamente amato e protetto nonostante i propri peccati, i propri limiti, il proprio nulla e per questo getta le reti al largo secondo la sua Parola. Un sì che io personalmente ho pronunciato con tremore, ma dicendoglielo ho provato un profondo senso di pace, la pace di un momento, ma una promessa di pace nella gloria che va oltre la mia persona e dice la grandezza della nostra vocazione comune. Infatti come promette la nostra Icona biblica: “… mentre lavoravi, pregavi e facevi opere di bene senza pretendere nessuna ricompensa, con la mia grazia hai costruito la Città sul Monte: città che illumina le genti, luogo per i cristiani comuni consacrati, città spirituale ma vera, presente nella Chiesa; città piccola e umile, povera casta ubbidiente, città serena e piena di pace del Paradiso”. Oggi siamo qui per chiedergli perdono per i nostri peccati e soprattutto per le nostre omissioni. Siamo qui a ridirgli che vogliamo essere suoi, suo popolo che solo lui conduce a salvezza. Non siamo soli, con noi ci sono i fratelli e le sorelle del Gruppo che ci
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sostengono con la vicinanza e la preghiera e ci aiutano ad essere fedeli e a servire la Chiesa. Con noi, come per i due discepoli di Emmaus, c’è Gesù, il Crocifisso e Risorto, un compagno di viaggio e di vita speciale che ci riscalda il cuore nei momenti di difficoltà e di scoraggiamento e ce lo fa ardente. Come preannuncia Isaia 30, 20: “Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, tuttavia non si terrà più nascosto il tuo maestro, i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: -Questa è la strada, percorretela, caso mai andiate a destra o a sinistra-”. Perché lui ci possa salvare e per essere per quanto possibile strumento di salvezza per chi ci mette a fianco dobbiamo lasciarci plasmare da Lui, abbandonarci a Lui con fiducia e confidenza in ogni nostra necessità quotidiana, ringraziandolo per il bene ricevuto, e vincendo con il suo aiuto le paure e le tentazioni . Dice Carlo Maria Martini nel libro “Credo la vita eterna”: “Quando tutto ci va bene, possiamo sempre illuderci; solo nel momento in cui ogni uscita di sicurezza è sbarrata, nell’ora della morte, siamo messi a confronto con il mistero dell’abbandono a Dio, del saperci affidare al Padre come figli”. Come è successo anche a Gesù nel Getsèmani. Suggerisce Martini: “Andiamo a rileggerci come Lui in quel momento ha superato la paura della morte”, perché ci sarà di aiuto in ogni IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
Siamo uomini e donne di dura cervice, che cercano di crescere nell’abbandono fiducioso, pur sapendo che la nostra fede si accompagna all’incredulità, che la fede è ricerca non è mai certezza di essere nel giusto, che i progetti di Dio non sono i nostri, che della fede non se ne vedono i frutti in termini di successo e vittoria umana; non li ha visti Mosè e non li hanno visti i santi, posti di fronte anche al fallimento delle opere. Ma nell’evento pasquale è Gesù stesso, il Crocifisso Risorto, che prende l’iniziativa e si mostra vivente ai discepoli e loro gioiscono nel vederlo. Chi ha incontrato il Risorto è inviato da lui a essere suo testimone. Come ci ricorda la nostra Icona biblica: “Il Risorto appare agli apostoli e dona loro la pace della gloria. Gesù sale nella casa del Padre, mentre rimane con noi nell’Eucaristia, quale Agnello trafitto per la nostra salvezza. Discende lo Spirito santo e i deboli diventano forti, i timorosi diventano guerrieri di Cristo, gli ignoranti diventano oratori e maestri”. Sì per prendere coraggio e fare davvero la volontà di Dio Padre dobbiamo chiedere la luce del suo Spirito perché ci renda unica persona in Gesù, simili a lui. Se, come dice Giancarlo: ”Nella nostra vita, come nella vita della Chiesa, il peccato va di pari passo con la grazia, le tenebre si mescolano con la chiarezza” solo prendendo Gesù come compagno di viaggio, Gesù che riceviamo ogni giorno come pane spezzato per noi nell’Eucaristia e nella sua Parola, lampada sui nostri passi, possiamo progredire nel distinguere il bene dal male, e imitandolo capire che cosa è a Lui gradito e perfetto. Allora, come chiede Ireos nella preghiera composta ad Assisi, potremo dirgli con sempre maggiore convinzione e verità : “Signore fa’ di tutti noi quel che tu vuoi perché il nostro amore corrisponda al tuo universale amore”… che sarà visibile nel suo splendore in Paradiso. Amen VILMA CAZZULANI
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RINGRAZIAMENTI “Signore, ti prego, prendi nelle Tue mani la mia vita; fa di ogni mia parola e di ogni mia azione soltanto quello che tu avresti detto e fatto. Ti prego, Signore, non lasciare mai che il tuo servo devia dalla Tua via. Sono Tuo… totalmente Tuo” Cardinale Edward M. Egan 12 luglio 2003, ordinazione presbiterale di don Tonio
Questa preghiera, pronunciata da Sua Eminenza il Cardinale Egan il giorno del 12 luglio del 2003, data della mia ordinazione presbiterale, la ripeto oggi, 14 ottobre 2012, giorno del mio ingresso nella fraternità del Piccolo gruppo di Cristo. Signore, tu ci hai scelti da sempre per essere santi e immacolati davanti a te. Tu ci hai scelti e amati una sola volta e per sempre. Io, invece nella mia grande povertà e con tutti i miei limiti ti devo scegliere ogni giorno. Ogni giorno mi devi ricordare che Tu sei la mia unica salvezza. Oggi Giancarlo mi ha detto di ricevere la Croce di Cristo “unica speranza in questo mondo”. Ventidue anni fa, quando avevo solo 17 anni e ho cominciato a fare il catechista mi avevano consegnato una croce dove nella parte bassa c’è scritto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” Lc 9,23. Quel giorno ero ancora molto piccolo, non sapevo ancora quello che il Signore stava per chiedermi di fare. Misteriosamente un mese e mezzo fa, quando stavo venendo a Roma per cominciare questa nuova esperienza, tra le cose che volevo portare pensavo anche una croce tra le tante che avevo ricevuto nel giorno della mia ordinazione. Ini-
zialmente stavo scegliendo tra una delle belle croci che ho ricevuto, alla fine mi sono ricordato di una croce, molto semplice, quella che mi avevano consegnato quando avevo 17 anni, e ho deciso di prendere quella. Sento che nuovamente il Signore mi sta dicendo di accogliere la croce, ogni giorno, perché solo cosi posso fare ogni giorno la scelta giusta malgrado la mia povertà e incapacità. Più guardo indietro nella mia vita e più vedo con i fatti che tu Signore mi conosci fino in fondo anche se io ti conosco ancora poco, che tu mi stai guidando sulla via della vita anche se tante volte io cerco di uscirne fuori, che tu mi Ami anche se tante volte non rispondo con amore (anche se povero) al tuo Amore immenso. Ieri don Luciano ha detto che Dio ci ha chiamati per essere sacerdoti o per essere consacrati non per qualche pregio, ma per la nostra miseria. Allora io a questo punto mi sento doppiamente misero e doppiamente povero, mi sento come uno che lontano da Lui poteva doppiamente combinare guai, perché Lui non solo mi ha scelto per essere presbitero, ma adesso mi ha scelto anche per stare nel Piccolo Gruppo di Cristo! Chi sa che potevo combinare lontano da Lui?! Oggi, o Signore, ti voglio ringraziare, in modo particolare per quest’anno nel Piccolo Gruppo di Cristo e oggi nel giorno della mia entrata nella fraternità. Tu questo lo hai fatto misteriosamente tramite tante persone e circostanze. Grazie perché in pochi mesi che ho fatto nella parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata tramite la preghiera semplice di Nadia mi hai fatto conoscere il Piccolo Gruppo di Cristo. Grazie Signore, perché un anno fa tramite Giancarlo mi hai accolto a braccia aperte per fare quest’esperienza, proprio qui a Casperia. Grazie per don Pierpaolo che è diventato subito un fratello e un sostegno. Grazie per tutti i memIL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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bri della comunità romana che mi hanno accolto subito come uno di loro. Grazie per il gruppo dei Celibi che ho incontrato la prima volta a gennaio scorso e che per me come sacerdote sono di grande sostegno. Grazie anche per gli sposati e le persone in stato libero che mi fanno incontrare la realtà della società di oggi. Grazie per il dono del responsabile personale, o meglio del custode Andrea con il quale ho cominciato questo cammino spirituale; grazie anche per Emiliano che è venuto qua per la festa del Eremo e per questo servizio di responsabile della Fraternità. Grazie Signore per ogni fratello e sorella della comunità, quelli che ho già conosciuto e quelli che ancora devo imparare a conoscere. Ecco Signore il Tuo modo di chiamarci è molto concreto, lo hai fatto tramite incontri semplici con persone concrete. Tutto questo bene che Tu mi vuoi e che Tu mi hai donato mi riempie di un debito che non posso mai pagare se non offrendo ancora una volta la mia vita a te o Signore. Ancora una volta mi rivolgo a te o Signore, tu che mi scruti e mi conosci: prendimi come sono, e fammi come tu mi vuoi. DON TONIO GALEA
◊◊◊◊◊◊◊◊◊ Signore ti ringrazio, ora so che mi hai amato da sempre e da sempre mi hai voluto per te. Da piccolo, quando entravo in chiesa, mi colpiva la statua del Tuo Sacratissimo Cuore ma non sapevo che quel cuo-
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Foto di gruppo delle comunità di San Carlo e San Pio V
Foto di gruppo della comunità di San Ambrogio
Foto di gruppo della comunità di Treviso
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re era vivo e stava battendo per me che gli ero davanti. Poi sono andato a scuola dalle suore, per fortuna ero una peste, così hanno dovuto pregare tanto per me. Mi parlavano di te ma non capivo. Un giorno ho detto non credo e non ho più pensato a te, ma tu sei fedele ed hai vegliato su di me con tanti occhi e mani, ma io non ti vedevo. Con grande pazienza ed amore hai continuato a farti trovare sulla mia strada e, quando finalmente ti ho invocato, ti sei fatto prossimo, mi hai lavato e curato. Allora ti ho visto ed ho creduto. Quanti angeli sulla mia strada perché io fossi qui oggi, mi devi amare proprio tanto! Mi hai detto cammina accanto a me che non ti abbia a perdere di nuovo, resta nel mio piccolo gregge. Mi sei stato padre, fratello, amico. Ora mi hai chiamato ad una unione più intima con te nel Piccolo Gruppo, mi vuoi tutto per te ed io ho detto sì. Voglio consacrarmi a te come Tu ti sei consacrato per tutti gli uomini. Voglio essere povero per ricevere la ricchezza della Tua Grazia ed amare senza essere riamato, ed anzi biasimato, come te che sei bontà infinita. Voglio essere casto, così che quando mi prenderò cura del mio prossimo, preferendo i più piccoli ed i più poveri, essi vedano te unico vero bene. Voglio essere obbediente perché il mio cuore trova pace solo nel fare la tua volontà e per poterti lodare quando dai e quando togli. Ti ringrazio perché ti fidi di me nonostante la mia debolezza, mi hai chiamato a vivere in te SS. Trinità, per te che sei Misericordia, con te che sei Amore. Che bella vocazione! Sacro Cuore di Gesù, che tanto ci ami, confido e spero in te; Sacro Cuore di Maria, gioia e salvezza dell’anima mia, vegliate su di me e su tutti noi. IVO DI GAETANO
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Fratelli e sorelle nel Signore, nell’aprire la bocca sento che non ho parole ma colgo solamente la mia fragilità e la mia debolezza. Mi è stato chiesto e ci è stato chiesto di offrire il mio ed il nostro ringraziamento ma questo è per il mio e nostro cuore solo il modo per riconoscere la grazia di Dio che è presente in ognuno di noi. Mi lascio accompagnare dalla parola di San Paolo che ci ha parlato in questi giorni: “per grazia di Dio però sono quello che sono e la sua grazia per me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me”. Questa grazia non è una grazia lontana da noi ma una grazia dentro di noi poiché Dio è dentro noi. Se io solo avessi la minima consapevolezza di questa verità, allora tutto, veramente tutto, sarebbe meno faticoso e solo riconoscendo la presenza di Dio nel fratello e nella sorella che mi sono accanto, allora il mio amore traboccherebbe libero da attese e giudizi. Questa è la fatica per me di questo tempo, la fatica di liberare i miei pensieri per far spazio solamente alla presenza di Dio Amore. Una presenza che con la sua grazia trasforma tutto ciò che sono e tutto ciò che sono stata senza cambiare, senza sradicare, senza rinnegare, ma a partire dalla mia e dalla nostra realtà. Ci troviamo di fronte ad un nuovo sì nel Piccolo Gruppo di Cristo e così a riconoscerci bisognosi di ribaltare nuovamente la nostra visione: non io mi devo adeguare ad un Dio fuori di me fatto di obiettivi alti, regole, ma è Dio stesso che vive in me, è Dio stesso che mi ama così come sono IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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che non ci vuole diversi ma desidera solamente e semplicemente che noi siamo felici. Con questa consapevolezza che allenta le nostre tensioni ed i nostri affanni, desideriamo ringraziare il Signore per il suo amore ed abbandonarci in questo nuovo anno tra le sue braccia. “Rallegratevi voi tutti che siete oppressi, il Signore è per l’uomo, dolce il suo giogo leggero il suo calice, il Signore è per l’uomo, il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato Gesù è il Signore del sabato, Gesù è il Signore dell’uomo Misericordia e non il sacrificio, il Signore è per l’uomo.” MARA ZACCHELLO GIOVANNI TONELLO
◊◊◊◊◊◊◊◊◊ Di fronte ai Doni ricevuti dal Signore emergono dentro di me tanti desideri e sentimenti. Il desiderio di fare silenzio per coglierne la grandezza. Il ringraziamento e la lode. La serena constatazione dei miei limiti. La Gioia e l’entusiasmo. Sono tanti i doni ricevuti ed ognuno con un valore inestimabile e molto, molto più grande rispetto a tutte le ricchezze e possibili crisi di questo mondo che passa. Oggi mi soffermo sul dono della fraternità. Fraternità composta da singoli capolavori pensati e voluti dal Signore ancora prima di essere nel grembo materno. Prodigi unici ma pensati insieme dal Signore all’interno di
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questa porzione di chiesa per condividere e sostenersi durante il cammino della vita. Sono entusiasta di percorrere questo cammino insieme e nel salutarvi con un fraterno abbraccio vi trasmetto una notizia che ho letto da un articolo di giornale e che mi ha colpito molto. L’articolo parlava di una persona che si è sentita male in treno e dei suoi soccorritori che hanno provato a rianimarla per 40 minuti. Chissà quanti pensieri in questi 40 minuti. Chissà che tensione, che sforzo, sacrificio in questi 40 minuti. Chissà quanto amore e quanto desiderio in questi 40 minuti. Chissà la gioia nel vedere, dopo 40 minuti, il corpo che riprende vita. Chissà l’esultanza di fronte al miracolo della vita che,ancora una volta, vince la morte.
Mi ha riportato alla memoria il brano del Vangelo dove Gesù dice a quel papà che aveva cercato aiuto per la figli ammalata, non preoccuparti se gli altri dicono che è morta, tu continua solo ad avere fede. Di fronte ai doni del Signore chiedo quindi con la preghiera l’umiltà per accoglierli e la fede per viverli. Spirito Santo Vieni nel mio cuore, Con la Tua potenza attrailo a Te, Donami carità con timore, Riscaldami ed infiammami con il Tuo dolcissimo amore Si chè ogni pena mi paia leggera, Dolce mio Padre, Dolce mio Signore, ora aiutami con questa mia azione, Cristo Amore, Cristo Amore, Cristo Amore EMILIANO GIGLIOTTI
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Oggi e non ieri. Oggi e non domani. Dopo 14 anni di cammino, 330 incontri di nucleo, 14 eremi e 13 corsi di esercizi, una sessantina di adorazioni e 40 domeniche di ritiro verrebbe la tentazioni di guardarsi indietro, per ringraziare Dio dei tanti doni ricevuti, delle parole giuste al momento giusto, dei beati che mi ha fatto incontrare e che mi hanno sorretto fin qui, con la preghiera e con l’esempio. Allo stesso tempo nasce la curiosità di guardare avanti, di provare a intuire come sarà quando dovrò e dovremo farcela con le nostre gambe. Don Luigi ci ha illustrato il senso profondo della festa della dedicazione della chiesa cattedrale, invitandoci a respirare con il cuore della Chiesa al di là delle parole che
“UNA COSA SOLA IN TE” PER VIVERE APPIENO LA VOCAZIONE
Signore, mio Dio mentre recepisco la bellezza della tua costante presenza, sperimento la mia debole corrispondenza alla tua Parola. Ho bisogno che tu mi possieda totalmente, perché io riesca a essere una cosa sola in te e diventi una profonda espressione della tua volontà.
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Il tuo amore è così grande da perdonare i miei peccati e innalzarmi nella tua santità. Aiutami a realizzare il tuo progetto su di me, affinché la nostra unione sia completa e io sia in grado di rendere visibile il tuo misericordioso amore. Amen.
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ci aspettavamo di pronunciare, alcune delle quali a noi molto care e ricche di emozioni. Mentre ci diceva questo ripensavo a chi era al mio fianco dieci anni fa, con i primi voti, ed oggi non è qui – perché il Signore indica strade nuove e tempi nuovi. Lì per lì questo pensiero rivolto con affetto a Ireos e a Mauro, mi ha intristito, ma alla luce delle parole di don Luigi è diventato fonte di acqua nuova: la grazia del presente sta dunque nel lasciar fare al Signore, nella luminosa oscurità sicura, perché questo Piccolo Gruppo sia come Lui vuole e ciascuno di noi possa mettersi al servizio della Chiesa e della Comunità. La bellezza dell’oggi sta dunque nell’essere testimoni oculari del Dio dell’impossibile, capace di fare nuove tutte le cose. Un Dio fedele che mi ha messo accanto un responsabile paziente e sapiente in ogni fase
del cammino: Gabriella, Antonio, Mauro. Il Piccolo Gruppo ha consolidato la mia vocazione matrimoniale ispirando il tempo del fidanzamento e incoraggiandomi nel cammino di coppia e di famiglia. Il presente si fa presenza nella gioia di condividere questo passaggio vocazionale con voi, fratelli e sorelle, con il dono sovrabbondante di aver accanto mia moglie e la mia famiglia, lampade per i miei passi, e gli amici che – con la presenza fisica e spirituale – mi confermano come lo Spirito continua a soffiare e scaldare i cuori. Lasciamo spazio all’oggi nella nostra vita, alla certezza che l’amore di Dio si manifesta qui ed ora, alla gioia di assaporare la sua mano sulla mia spalla. Al di là delle mie tante debolezze, della mia incostanza, della mia supponenza spirituale, c’è spazio solo per una parola sussurra-
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ta ma non fragile, che desidero essere definitiva e che solo il Signore può rendere perpetua: Sì. Sì all’oggi di Dio, sì ad un cuore spalancato all’eternità, sì alla presenza intima di gesti provvidenziali, sì alla cocciuta tensione verso il presente, salvezza e gioia dell’anima. Sì ad una chiamata serena, la risposta è perpetua. Sì ad una comunità viva, l’esperienza è vissuta. Sì ad una chiesa edificata da cammini di santità, sì all’impossibile fatto dall’amore, sì al cuore istruito di notte dal consiglio benedetto di Dio. Signore prendimi oggi come sono oggi e fammi oggi come tu mi vuoi, oggi. GIOVANNI CATTANEO
Alba e panorama dall’Eremo San Salavotre di Erba
Preghiera “Una cosa sola in te” per meglio corrispondere alla propria vocazione Questa preghiera, composta da Ireos in vista degli Esercizi spirituali tenuti a Galloro nel dicembre 2003, è finalizzata ad una nuova conversione, di carattere non solo personale, ma collettivo. Con un passaggio in avanti rispetto alla “preghiera per scoprire e accogliere la propria vocazione”, questa esprime invece la ricerca della coerenza tra vocazione abbracciata e vissuta. Il cuore della preghiera è l’intenzione di essere “una cosa sola in Dio”, che richiama la preghiera sacerdotale di Gesù e indica la “vita unitiva”: ossia, non solo “fare per Dio” o “con Dio”, ma “essere in Dio”; e non solo fare la sua volontà, ma esserne espressione. Se siamo “in Dio”, sarà lui ad usarci al meglio e con più spontaneità ed efficacia. La preghiera “Una cosa sola in te” è tratta dal volume Con animo sereno (libro del Piccolo Gruppo di Cristo). Le Preghiere e le Icone spirituali raccolte in questo libro non prescrivono formule per pregare, ma esprimono e descrivono la forma di una ordinaria vita intessuta di preghiera nelle realtà quotidiane. IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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Settimana di comunità
a Villabassa Un’esperienza autentica Riflessioni di un giovane aspirante
La settimana di comunità è sicuramente uno degli appuntamenti annuali più attesi ed intensi per il Piccolo Gruppo di Cristo. Infatti mi aveva molto colpito, quando sono entrato a far parte dell’aspirantato due anni fa, come tutti parlassero entusiasti delle esperienze che avevano vissuto durante la “settimana”. Già solamente dai racconti che ascoltavo al riguardo, me ne ero fatta una bellissima idea, ma (come ogni volta in cui si “sale sul monte” per riflettere e sentire con più intensità la voce di Dio) devo ammettere che ciò che l’anno successivo ho trovato alla mia prima “settimana” è andato molto al di là delle mie aspettative. Ero arrivato a settimana già avviata, conoscevo già solo le persone di Roma e per me era il primo approccio con l’intera Comunità. Per questi motivi, mi ero reso conto di aver partecipato a qualcosa che mi aveva dato tantissimo, ma di cui non ero riuscito a comprendere totalmente il senso. Quest’anno, invece, alla mia seconda esperienza di settimana di comunità, ho iniziato a capirne veramente lo spirito.
riva da una semplice capacità umana che spinge i membri del Gruppo ad essere tutti buoni e simpatici, ma dall’aver compreso che ciò che veramente ci unisce è la voglia di voler seguire Gesù e di avere del bel tempo da spendere con Lui. La spiritualità è la parte più intima per me, e sapere di trovarmi con persone con cui posso condividerla mi fa sentire a casa, anche se queste persone le conosco poco o da poco tempo. In questo clima, mi ha fatto piacere cogliere anche le condivisioni di Monica e Francesco, i due nuovi amici di Gozo venuti per la prima volta in Gruppo proprio alla Settimana, che pur essendoci conosciuti solo in quell’occasione riconoscevano un grande senso di comunione.
Sin da subito ho percepito un grande senso di accoglienza e di amicizia tra di noi, sia con le persone che conoscevo, sia con quelle nuove che mi presentavano. Questo però non de-
Oltre a questa familiarità, sono stati per me di grande conforto gli incontri che abbiamo fatto noi aspiranti. Spesso alcuni amici più grandi mi raccontano delle settimane di
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qualche anno fa, in cui gli aspiranti erano più numerosi. Io devo dire che effettivamente non siamo molti, ma in quei giorni, secondo me, c’era molto di Gesù con noi (“pochi ma boni”, diremmo a Roma). Ognuno di noi ha cercato di tirare fuori il meglio di sé, nonostante avessimo interessi, attività ed età diverse. In tutte le condivisioni mi è sembrato di vedere persone realmente in ricerca e ciò mi ha aiutato molto nel mio cammino personale. Oltre a questo, per me è stato veramente un grande tesoro avere avuto l’opportunità di confrontarmi con le persone della comunità che sono più avanti nel cammino, come gli sposi o i celibi. Per un ragazzo come me è importante avere davanti testimoni concreti che sappiano mostrare cosa significa essere consacrati, vivere totalmente uniti a Dio. Questa opportunità mi si palesava nei momenti di “relax” in cui ci si poteva conoscere e confrontare, ma soprattutto si verificava la mattina, quando andavo in cappella, magari anche un po’ prima dell’orario previsto e trovavo alcuni che stavano lì a pregare già da un po’. Nella mia esperienza ai campi con la parrocchia non mi è mai capitato di vedere qualcuno che andasse a pregare oltre i momenti di preghiera comunitaria. Al contrario, nel Gruppo questa mi sembra una regola. Ed è molto bello vedere come ognuno voglia stare col Signore sempre.
Impossibile infine trascurare gli spassosissimi momenti di gioco e divertimento insieme! Non solo la sera, ma anche dopo pranzo o a volte durante le passeggiate. Se si ride o si scherza tanto insieme è evidente che c’è sintonia, che c’è complicità e che c’è voglia di stare insieme. Ogni persona del Gruppo anche in questo, a mio parere, ha dato un contributo speciale, dai più piccoli ai più grandi; nei momenti in cui ci si ritrovava tutti insieme non si sentiva tanto la differenza d’età, di esperienza o di abitudini, ma si stava in unità con gioia. La settimana comunitaria è stata veramente un grande regalo che il Signore mi ha fatto e mi ha aiutato anche a fare un buon discernimento, a stare vicino a Lui, e penso che lo sia stato per tutta la comunità, anche per chi non c’era. È stata per me una gioia sentire Giancarlo dire: “Abbiamo realizzato un sogno, guardate quante famiglie, quanti bambini ci sono!”. Sicuramente la realizzazione di questo primo sogno è la gioia di tutta la Comunità, ma io credo che la settimana di quest’anno sia stata sì un punto d’arrivo, ma anche un punto di partenza. Alla fine abbiamo ricevuto i complimenti delle persone che gestivano la casa e questo mi ha colpito molto, perché costituisce per noi un impegno. Quest’estate alla settimana ho percepito che tesoro è il Gruppo, ma anche come ci si debba impegnare affinché questo tesoro resti bello com’è, o meglio, come Dio lo vuole. Il senso grande di unione con Dio e comunione tra di noi che ho sperimentato e che mi è rimasto da questa settimana, credo che sia la vera essenza del Piccolo Gruppo di Cristo. Sono due cose semplici, naturali potremmo dire, ma che rendono la vita unica e bellissima. Andrea FaziO
In queste foto alcuni momenti di vita comune durante la settimana di comunità a Villabassa.
(Nella foto a pag.26) IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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, a s s to a i b d a a l r l g i Da V iero molto s n e p n u
Carissimi, Vi ricordo con affetto e immensa gioia. Custodisco nel cuore la bella presenza di cui mi avete fatto dono e mi accompagna nel quotidiano che, come tutti, è ricco di tanti impegni. Oggi, pensando a Voi come comunità, emerge dal mio cuore una frase che, come ogni giorno, cerco di meditare e di vivere:” Essere attenti alle necessità di ognuno”. Ascoltare con interesse, partecipare come vorremmo che gli altri assumessero le nostre gioie ed i nostri affanni. Vivere questi attimi con solennità ricordando: “ L’hai fatto a me !”. Ricordiamoci a vicenda di essere sempre e ovunque la “ perla preziosa” per tutti. Ho sempre pensato che la famiglia è come la “vigna”, terreno per coltivare i doni dello Spirito Santo, in particolare: l’amore, la fede e la carità. I nostri figli sono come il “tesoro nascosto” dove germoglieranno i frutti del nostro seminare. I nostri ragazzi sono per il mondo ed altri raccoglieranno quanto noi, come genitori, abbiamo donato gratuitamente con amore e pazienza. Preghiamo uniti per la vocazione che il Signore ha messo nei nostri cuori: la famiglia. Vi auguro un cammino di Avvento ricco di gioie sante e pure. Uniti con Gesù Eucarestia doniamo Amore e Carità per accendere nel mondo una immensa luce di Pace. Buona giornata. Giovanna (coordinatrice per l’accoglienza della Casa Alpina Scalabrini a Villabassa)
LA PREGHIERA DEL CAMMINO in lingua maltese IT-TALBA TAL-MIXJA Mulej, dawwalni u mexxini fil-fidi, fit-tama u fl-imħabba. It-triq li int imxejt, jiena għażilt. Dak li ħabbejt inti, inħobb jien ukoll. Inti Dawl: dawwal id-dlamijiet tiegħi. Inti Qawwa: saħħaħ id-dgħufija tiegħi. Għajnejja huma għajnejk, idejja huma jdejk, spallejja huma spallejk. Qalbi hija l-qalb tiegħek, biex hekk ħuti, permezz tal-preżenza umli u fidila tiegħi, jaslu jiltaqgħu miegħek u, fil-fidi, jarawk u jħobbuk. Mulej, ħudni kif jien u agħmel minni dak li trid.
Signore, illuminami e guidami nella fede, nella speranza e nella carità. La strada che tu hai percorso sia da me seguita. Tutto ciò che tu ami sia da me amato. Tu, Luce, illumina le mie tenebre. Tu, Forza, sorreggi la mia debolezza. I miei occhi siano i tuoi occhi, le mie mani siano le tue mani, le mie spalle siano le tue. Il mio cuore sia il tuo cuore, affinché i fratelli, tramite la mia umile e fedele presenza, possano incontrare te e, nella fede, vederti e amarti. Signore, prendimi come sono e fammi come tu mi vuoi. (La preghiera fu composta da Ireos nel 1977)
In questa foto: (partendo da sinistra) un lato di Manresa (Ist.to dei Gesuiti dove alcuni del Piccolo Gruppo di Cristo hanno soggiornato in occasione dell’incontro con il Vescovo di Gozo Mario Grech) e la seconda parte dell’edificio è l’Ist.to delle Clarisse.sa.
“Un uomo di Dio
che sapeva vedere oltre”
Il ricordo di Carlo Maria Martini nelle parole di Padre Silvano Fausti mente prendono in considerazione l’ipotesi che Dio sia presente e operi nella storia. L’uomo di fede, e Martini lo era, ha l’occhio di chi sa vedere l’azione di Dio nel mondo. Occorrono occhi speciali... Occorre capacità di discernimento. Occorre abbandonare ogni tentazione di presupposto interpretativo.
Proponiamo un’intervista apparsa su Avvenire nei giorni successivi alla morte del caro Cardinale Carlo Maria Martini. i incontrarono per la prima volta S 51 anni fa. E ne rimase folgorato: «Io ero uno studente di filosofia, lui era fresco sacerdote. Non avevo mai sentito nessuno “maneggiare” la Bibbia come lui». Era il 1961, allora la Bibbia era in gran parte una sorta di “oggetto sconosciuto”. «Ne fui entusiasta. Ed era appena l’inizio...». Da allora, padre Silvano Fausti e padre Carlo Maria Martini si incontrarono tantissime volte. Padre Silvano – filosofo e teologo, anche se tutti vi
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diranno che è un biblista – avrebbe un giorno fondato, con altri confratelli gesuiti e alcune famiglie, la Comunità di Villapizzone, alle porte di Milano. Padre Carlo Maria sarebbe diventato arcivescovo di Milano. L’ultimo incontro venerdì: l’amico di una vita padre Silvano era lì, al capezzale di padre Carlo Maria. Uno dei pochi a vederlo volare in cielo. Lei è stato prima discepolo e poi anche amico di Martini. L’entusiasmo della prima ora è rimasto sempre tale? Sì. Teologo e biblista raffinato... Ma io ricordo la persona di fede, capace di provare meraviglia del mondo. Le persone soltanto pie e devote difficilIL DIO DELL’IMPOSSIBILE
Ovvero, in termini banali, ogni pregiudizio? Discernere. Con fede, con acume. Se sei legato a presupposti interpretativi, non ci riuscirai mai. Martini invece si dimostrava sempre “all’altezza del gioco”. Da quando cominciammo noi a studiare, la cultura è cambiata radicalmente. Ma lui si dimostrava sempre capace di discernimento. Provi a chiudere gli occhi e a pensare al suo amico di una vita. Come lo vede? Lo vedo a testa alta con lo sguardo aperto all’orizzonte. Sereno. E in montagna. Era uno scalatore... Sì, eccome. Da giovane affrontava scalate anche molto impegnative. Ancora da arcivescovo, si avventurava su montagne dure, con guide esperte. Nel gruppo del Rosa, nella Bergamasca, nel Lecchese. Negli ultimi anni era capace di arrivare fino in cima al Generoso, in Svizzera. Lei dunque lo vede con lo sguardo fisso all’orizzonte: un
orizzonte reale ma anche metaforico? Lo sguardo della sua fede, e del suo intelletto, era sempre un poco “oltre”. Era uno sguardo aperto. Un esempio? Può accadere di gettare lo sguardo su chi appare come un mendicante, per scoprire che in realtà è un principe... Chi era guardato da Martini si sentiva “figlio di Dio”, fosse stato anche un delinquente: perché come guardi le persone, così le fai diventare. Martini non era uomo da schemi né da giudizi né da etichette. Era aperto all’ascolto, per intuire la presenza di Dio ovunque e in chiunque. E questo era pure il segreto degli incontri con chi era lontano dalla fede. Anche con chi apparteneva a una fede diversa? C’è un piccolo “segreto” che non so se sia garbato rivelare... Se è un bel “segreto”, che fa del bene e non del male, perché no? La notte di giovedì scorso c’era una persona, all’esterno dell’istituto dove padre Carlo Maria si stava spegnendo. La notte intera. Ferma sotto un lampione, rivolta verso la finestra. Recitava i salmi. Era stata mandata dal rabbino Laras. Non aveva suonato o bussato. Con discrezione, era rimasta fuori, in preghiera per l’amico morente. Di Martini è stato detto tutto, forse. C’è qualcosa che non è stato ricordato abbastanza? La sua umiltà. Davanti a chiunque. Ascoltava tutti e si interessava di tutti. Era il maestro che si rende costantemente discepolo. Qual è, per lei, l’eredità spirituale di Martini? La speranza, al di là e al di sopra di ogni possibile apparenza.
LE PAROLE DEL CARDINALE AL PICCOLO GRUPPO DI CRISTO
Il vostro contributo specifico alla vita cristiana nella Chiesa locale consiste proprio nell’impegno, che nasce dal Vangelo, di essere cristiani nelle scelte anche piccole. Certo, dobbiamo essere cristiani di fronte anche a scelte maggiori, sociali ed etiche, però non ci arriveremo mai se non lo siamo anche nelle scelte minori e quotidiane. E ciò esige perseveranza, impegno, umiltà, concretezza, spirito di sacrificio, sensibilità: atteggiamenti che vorrebbero essere tipici del vostro Gruppo. Occorre calare il Vangelo nella vita di ogni giorno a partire da un radicamento contemplativo di preghiera con Gesù, che diventa eucaristica, meditata, rivolta agli altri, ed è espressa nelle virtù evangeliche quotidiane. Mi pare sia davvero una grande novità: bisogna che la gente ritrovi il tessuto evangelico della vita cristiana e bisogna che voi ne siate come i seminatori, anche nascosti, che siate come coloro che si spandono come lievito nella pasta, come il sale, senza pretese e senza volersi distinguere in maniera particolare, senza avere privilegi. Così dovete essere e il Signore che vede nel nascondimento vi ricompenserà: quando sei nel mondo o sei nella preghiera, nasconditi nella massa perché il Padre che è nei cieli veda la sincerità del tuo cuore. Nella Chiesa ci sono tante difficoltà perché ci sono tanti protagonismi, ci sono le invidie. È necessario abbracciare il non-protagonismo del Vangelo, il desiderio di nascondersi nel tessuto quotidiano della Chiesa locale, della parrocchia, collaborando con semplicità e dedizione, soprattutto nutrendosi di profonda preghiera, di spirito di oblazione, di retta intenzione. Aiutate la gente a capire che il Regno di Dio è qui, non in una società che ci sarà domani, è qui adesso, e ognuno deve cercarlo nella salute, nella malattia, nelle difficoltà del proprio impegno, nella famiglia, nelle piccole responsabilità quotidiane, anche nell’anonimato della grande città, nei mezzi pubblici insieme con tutta la gente. L’importante è portare ovunque la fiaccola del Vangelo di Gesù. Io mi attendo molto da voi, affinché diveniate nella grande città diffusori delle virtù evangeliche semplici. Allora la società non andrà totalmente in declino, l’impegno sociale riprenderà. CARLO MARIA MARTINI (1927-2012), della Compagnia di Gesù (Gesuiti), è stato Arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002, e Cardinale dal 1983. È stato lui a riconoscere canonicamente il Gruppo nel 1984 e a dotarlo della casa centrale a Desio. Ha rivolto al Gruppo tre discorsi: nel 1983 e nel 1986, in visita alla sua sede; e nel 1994, ricevendo la Comunità in Arcivescovado: una sezione di tale discorso costituisce un importante riferimento ecclesiale per la vocazione e la missione del Gruppo. Inoltre, ha tenuto, nella casa dei Gesuiti a Galloro (vicino Ariccia) una meditazione agli aspiranti del Gruppo il 3 novembre 2002 e un ritiro alla comunità romana il 23 febbraio 2003.
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XI° CONGRESSO,
invito alla MISSIONE Dal 25 al 28 aprile 2013
Lasciamoci illuminare dallo Spirito Santo Sorelle e fratelli carissimi, celebrate le feste degli Eremi di Treviso, di Roma e delle tre Comunità lombarde e per la prima volta di Gozo (Malta), ci siamo incamminati con passo deciso e forte verso il nostro Undicesimo Congresso Ordinario convocato dal 25 al 28 aprile del 2013. A livello personale e comunitario ci siamo preparati riflettendo sui “Lineamenta”, ora l’ulteriore passaggio che insieme dobbiamo compiere è quello di predisporre “l’Instrumentum Laboris” che dovremo appro-
vare nella Sessione Congressuale Preliminare già fissata nel mese di gennaio del prossimo anno 2013. Dovremo continuare la nostra riflessione in stretto contatto con il Gruppo di Lavoro presieduto da Enzo Mapelli affinché i cinque strumenti di lavoro diventino uno solo da sottoporre al vaglio ed alla approvazione del Consiglio Generale. Nel mese di marzo, durante la seconda ed ultima Sessione Congressuale Preliminare, dovremo eleggere i delegati che parteciperanno al Congresso e prendere visione dell’ Instrumentum Laboris che porteremo alla discussione e alla approvazione del Congresso stesso. Lasciamoci illuminare dallo Spirito Santo perché abbiamo ad eleggere un nuovo Responsabile Generale e dei nuovi Consiglieri Generali secondo il cuore di Dio. Lasciamoci illuminare dallo Spirito Santo per individuare su quali percorsi incamminarci per compiere la volontà santificante di Dio nei prossimi cinque anni. Il cammino che ci resta da compiere abbia come bastone la preghiera e come bisaccia la perdita di sè. Sia il cammino dei discepoli di Gesù. Ricordiamoci che anche noi siamo chiamati ad abbandonare tutto per andare dietro a Colui da cui speriamo tutto. Apprestiamoci a fare nel dopo Congresso “quel poco che
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dipende da noi” come diceva Santa Teresa d’Avila quando ha preso coscienza della gravità della situazione in cui la Chiesa e il mondo si trovavano e della missione che il Signore le stava affidando. Anche a noi il Signore ha affidato una missione: salvarci per aiutare gli altri a salvarsi. So che può sembrare davvero molto poco, ma è proprio il poco e il piccolo, per non dire il nulla, ciò da cui Dio crea il tutto. Questo è il Dio dell’impossibile che abbiamo meditato in questo tempo di preparazione alla nostra assise Congressuale. E di questo noi abbiamo il dovere di essere testimoni, diventando persona preghiera, ovvero donne e uomini con la mente, il cuore e l’anima completamente unità al nostro Dio che è stupenda relazione trinitaria. La passione per Cristo e per il piccolo gruppo di Cristo sia la passione per questa umanità inquieta per la quale il Figlio di Dio ancora muore. Non possiamo rifugiarci nostalgicamente nel passato, ne possiamo assumere acriticamente tutto ciò che proviene dalla cultura attuale, perché non tutto è compatibile con la nostra Consacrazione. Certo è che dobbiamo aprirci al futuro di Dio con speranza attraverso una rivisitazione della nostra identità, così che, senza rinunciare a ciò che non è negoziabile, possiamo riprendere con creatività alla realtà mutevole in cui viviamo. Giancarlo (Nella foto in alto)
Se non diventerete come bambini
La relazione tra l’uomo e Dio nelle parole di una sorella della comunità Quante volte ho letto questo passo. Solo ora, avanti negli anni, mi sembra di averlo capito un po’ di più. è proprio vero che il Signore si mette al passo con noi e si rivela gradualmente. In questo brano del Vangelo, i bimbi sono presentati a Gesù perché “Li toccasse” v’immaginate... ? Chi sgomita, chi strilla, chi vuol prevalere, chi piange perché è rimasto indietro... Come avremmo fatto anche noi, i discepoli, li rimproverano: troppo chiasso, troppo disordine, troppa confusione, troppo baccano, di fronte a Gesù. Quasi con sorpresa davanti a questo modi di fare verso i bambini, Gesù è “indignato”.
Cosa frena il mio correre spontàneo verso di Lui? Il mio peccato, l’averlo deluso nelle sue aspettative, insomma siccome non sono brava chissà se mi accoglie. Leggendo però la Parola scopro che Lui è venuto sulla terra proprio per questo, ho dovuto vivere tanti anni per capire che non è la mia fragilità e debolezza che potrebbe frenare la mia corsa verso di Lui, anzi è proprio per questo che gli devo stare più vicino, come fanno i bambini che
quando sbagliano vanno piangendo in fretta dalla mamma o dal papà affinché rimedino i loro errori. Quei bimbi portati a Gesù, forse fino a poco prima avevano litigato, picchiato qualche amico, disubbidito, detto bugie... ma nulla ha impedito loro di andare a Gesù senza paura. Sentivano innato il bisogno di stare con Lui. Anch’io Signore, ho bisogno di stare con Te, nella preghiera adorante, in quella diffusa durante la giornata; anch’io ho bisogno di stare sotto la Tua azione benefica che cura e guarisce le ferite delle conseguenze del peccato originale. Anche nell’esame di coscienza serale, noto sempre che potevo fare di più e meglio, il dubbio può assalire: “possibile che mi perdona sempre?”. “Si! lo sono Dio e non uomo” mi risponde e, come ha fatto a quei bambini, mi prende fra le sue paterne e materne braccia, mi benedice m’impone le mani, mi avvicina alla sua guancia, mi stringe al suo cuore, quasi mi culla e mi calma dicendomi: “Non aver paura, Io ti conosco fino in fondo, stai con Me e sarai forte, lo ho dato la vita per te, abbandonati e non temere”.
Come sempre noi adulti non capiamo molto del mondo infantile. è vero è difficile educare ma, basterebbe adottare la pedagogia del Signore verso di noi. Lui è paziente, sa ascoltare ed attendere, ci lascia liberi nelle nostre scelte. I bambini sono semplici, spontanei, chiassosi, imprevedibili, di solito sinceri e per la loro innocenza sono attratti da Gesù, dal buono, dal bello e cosa più istintivo correre da Lui.
Ecco perché si sta bene con il Signore: in quale creatura umana trovo questa potenza di parole? Ti lodo e ti ringrazio Gesù, cercherò di vivere da figlia di Dio.
Mi sono chiesta e io? Quante cose bloccano la mia corsa verso di Lui che pure e misteriosamente mi attrae ed affascina.
Gianna Urbani (nella foto in alto) IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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IL RICORDO DI MARIOLINA Il 31 agosto ci ha lasciato Mariolina; non tutti della Comunità l’hanno conosciuta ma quelli che sono nel Piccolo Gruppo di Cristo da tanti anni la ricordano come una persona speciale. è stata una delle prime donne ad entrare nel Piccolo Gruppo di Cristo (un tempo solo maschile) e, anche se da diversi anni aveva scelto di proseguire il suo cammino verso la santità in un modo differente da quello proposto dalla Comunità, il suo affetto ed interessamento verso il Gruppo non è mai venuto meno. è stata per tutti esempio di gioia di vivere, amore per la famiglia e comprensione verso tutti. La ricordiamo con le parole che Roberto e i suoi figli hanno pronunciato durante la cerimonia funebre. Ti ringrazio tanto, o Signore per la mia Mariolina, per questa persona unica, d’oro, cordiale ed esigente, calda, con due occhioni sorridenti, per questa tua figlia che mi hai donato perché condividessimo 7+37 anni sempre insieme, e ne avremmo desiderati tanti altri! Anni che con lei sono stati tutti splendidi, nonostante i nostri limiti, le difficoltà della vita, le apprensioni e infine la malattia che Mariolina ha avuto il coraggio di offrirti ogni giorno per Simone, per Maria Laura, per Francesco, per Nao per le loro famiglie e per i nostri futuri nipotini di cui si sentiva già nonna premurosa, e per me. Tesoro mio, ringraziamo ancora il Signore perché insieme, poco alla volta, ci ha fatto scoprire che prima c’eravamo noi due e la nostra relazione da costruire ogni giorno, poi i nostri figli, poi le nostre famiglie di origine e gli amici, quindi i nostri lavori e gli impegni per gli altri. Dal Cielo che ti sei meritata il Signore ti ascolti quando pregherai per noi tutti, e ci sentiremo ancora uniti mentre noi ti ricorderemo a Lui.
Cara Mamma, ci hai sommerso di cose belle. Da quelle materiali di cui hai riempito premurosamente e gioiosamente il nido della tua famiglia, alla più bella, il tuo sorriso che hai donato a tutti noi attorno a te senza sosta, con generosità, fino agli ultimi giorni quando con uno sguardo riuscivi a dirci di non aver paura. Ci hai dato amore e comprensione, e sei stata capace di farci sentire il tuo appoggio in tutte le nostre scelte, senza mai farci mancare una parola di consiglio. Sei stata capace di ascoltare e capirci così profondamente da farci dimenticare delle differenze linguistiche. Grazie per aver accolto Lalla e Nao dal primo momento come figlie, e per averci dato con papà un meraviglioso esempio di famiglia al quale ispirarci. O Signore, ti preghiamo perchè superando il senso di perdita che proviamo oggi possiamo rinnovare la speranza di ritrovarci tutti un giorno riuniti nel Tuo amore. FRANCI E NAO
SIMO E LALLA
ROBERTO
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Mamma dolcissima, è impossibile esprimere in questo momento e in poche parole tutto ciò che vorremmo ancora dirti. Ci siamo detti tanto in questi anni, settimane e giorni, sia a parole che con gesti sempre nuovi di affetto, anche quando le parole erano impossibili. Ci siamo avvolti in una nuvola di amore nella quale abbiamo attraversato l’inaccettabile tenendoci per mano. Tu e papà ci avete insegnato come si cresce, come si vive, come si è famiglia nella comunità. Poi, quando è venuto il momento, ci avete anche insegnato come ci si ammala, come si soffre tenendosi per mano, e infine come ci si separa restando uniti. Vedendo il vostro esempio, anche questo fa meno paura. Francesco, Nao, Lalla ed io abbiamo ancora bisogno di imparare, mamma. Sappiamo che continuerai ad accompagnarci giorno per giorno col tuo sorriso. Sappiamo che lo farai perché sei la nostra mamma, e non c’è nemmeno bisogno di chiedertelo. Adesso ti diciamo grazie, e rendiamo grazie al Signore per te, per quello che sei stata e per quello che sempre sei.
IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
Prossimi appuntamenti da ricordare:
• 1 gennaio 2013: 46° Giornata Mondiale della Pace dal tema “Beati gli operatori di pace” • 25 - 28 aprile 2013: XI° Congresso della comunità
ESPERIENZE DI VITA, LA RIVISTA è ON LINE Gli appartenenti al Piccolo Gruppo di Cristo hanno la possibilità di accedere al sito internet www.piccologruppo.it e poter leggere la rivista “Esperienze di Vita” direttamente in rete, cioé senza avere materialmente tra le mani la stessa rivista in formato cartaceo. Anche un qualunque visitatore del sito internet può farlo. Naturalmente occorre che qualcuno lo guidi a conoscere il sito e lo invogli a leggere le pagine della rivista. Considerato che ogni copia cartacea della rivista ha un certo costo, sarebbe opportuno da un lato invogliare gli appartenenti al P.G.C. a leggere la rivista su internet. La rivista in formato cartaceo che ognuno di noi riceve può diventare un dono a qualche familiare, amico o conoscente che possa avere un interesse per il discorso religioso e di vita evangelica, e che magari si intende avvicinare al “Gruppo”. NEWSLETTER E FLASH SPIRITUALI Per tutti c’è la possibilità di iscriversi al sito internet www.piccologruppo.it e ricevere aggiornamenti sulle proposte e il cammino della comunità e brevi pensieri per meditare. Per qualsiasi necessità o suggerimento scrivete a piccologruppodicristo@gmail.com La redazione di EDV
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IL DIO DELL’IMPOSSIBILE
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SANTO NATALE 2012 ANNO NUOVO 2013
Lasciamoci ancora sorprendere dal mistero del Santo Natale, perchè attraverso l’incarnazione di Gesù, ci viene raccontata la sorprendente storia dell’Amore tra Dio e noi sue creature.
Auguri di un Santo Natale da parte del responsabile generale del Piccolo Gruppo di Cristo, Giancarlo Bassanini
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