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CUBAJ LA ROCCIA
from PINK BASKET N.29
by Pink Basket
COVER STORY - DI GIULIA ARTURI
UN METRO E 93 DI SOLIDITÀ ED ENERGIA PER LA NAZIONALE CHE SI TUFFA NELL’EUROPEO:“SONO UN PO’ TESA MA PRONTA, AL COLLEGE HO IMPARATO AD ESSERE MENO IMPULSIVA.DOBBIAMO ACCIUFFARE IL PASS PER I MONDIALI, IN SQUADRA C’È MOLTA COMUNICAZIONE”
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Una roccia in azzurro. Lorela Cubaj, centro, 22 anni, è una che nella lotta nelle zone calde vicino ai canestri si ritrova. Un metro e 93 che si fanno molto rispettare lá sotto, merce rara per i nostri standard. Quello che inizierà il 17 giugno è il suo secondo europeo senior e la Nazionale la conosce da tempo: 9 partecipazioni a competizioni Fiba tra cui un bronzo agli Europei under16 nel 2015 e un argento ai Mondiali under17 nel 2016. Ma due anni fa la ragazza era una matricola cui non si poteva chiedere molto, oggi, dopo altre stagioni e lezioni americane, la musica sarà diversa. Lorela negli ultimi quattro anni è stata, insieme a Francesca Pan, un pilastro di Georgia Tech.
Il suo quarto anno di esperienza al college l’ha chiuso con una doppia doppia di media: 12.5 punti e 11.5 rimbalzi a partita. Gli inverni scorrono un rimbalzo dopo l’altro lontano dall’Italia, ma, ogni volta che torna per vestire l’azzurro, possiamo lustrarci gli occhi: troviamo forza, solidità, intensità, nuovi movimenti spalle a canestro, un tiro sempre più affidabile anche dalla distanza. E ci carichiamo con la sua energia. Nell’amichevole contro la Turchia ha preso uno sfondamento durissimo senza nemmeno alzare un sopracciglio. In piedi e subito pronta a rimettersi al servizio della squadra.
Come si vive la vigilia di un Europeo? Quali le emozioni?
“Sono una delle più giovani del gruppo, l’impegno è importante e confesso di sentirmi vagamente nervosa! Ma è bello avere la possibilità di affrontare un’esperienza come questa. Quindi sono molto contenta e carica, ma allo stesso tempo un po’ tesa, comunque penso sia normale provare questo tipo di sensazioni”.
Cosa ti ha colpito di più dell’ambiente della Nazionale?
“È un ambiente molto tranquillo, c’è una grande comunicazione tra le giocatrici e lo staff. Tutte noi abbiamo un unico obiettivo e devo dire che ci trattiamo un po’ come sorelle: posso chiedere consigli a qualcuna più esperta di me, ma anche viceversa. Questo tipo di sintonia aiuta molto ad affrontare gli impegni che ci aspettano”.
Sei una delle più giovani del gruppo.
“Sì. Cerco di ascoltare il più possibile, di raccogliere e mettere in pratica i suggerimenti che arrivano dalle mie compagne e dallo staff tecnico. Per me l’impegno è di portare tutta la mia energia sul campo, eseguendo quello che mi viene chiesto e riuscendo così ad inserirmi nel gruppo”.
Cosa serve ad un gruppo per diventare una squadra?
“Intanto unirsi per raggiungere un obiettivo comune. E la comunicazione tra di noi: dalle cose più banali di campo, se si riesce a parlare si cresce e si migliora come squadra. Conoscersi e sapere come mettere ognuna nelle condizioni migliori”.
Ma quanto vale oggi questa Nazionale? Che risultato avete nel cuore?
“Ovviamente il nostro obiettivo è di vincere e di riuscire a qualificarci per i prossimi Mondiali. Ci stiamo lavorando dal 22 maggio e secondo me c’è una grande possibilità di fare bene”.
In questa Nazionale c’è un bel pacchetto di lunghe. Oltre a te, André, Keys, Bestagno. Come vi trovate in campo insieme?
“Ci troviamo bene sia fuori che dentro al campo. Ci divertiamo a giocare tra di noi e in allenamento la competizione è alta”.
Nel breve video della Federazione messo su Facebook hai parlato dell’energia che metti in campo, soprattutto a rimbalzo…
“Sì diciamo che è una cosa che mi piace fare e che mi viene bene, quasi sempre!”.


Hai appena concluso il tuo quarto anno a Georgia Tech. Com’è andata?
“L’anno scorso è stato un momento molto particolare, abbiamo incontrato parecchie difficoltà non sapendo se si potesse scendere in campo o meno, il Covid aveva reso tutto un po’ imprevedibile. Questa stagione è andata invece molto bene, superata la delusione di aver dovuto interrompere lo scorso campionato sul più bello, c’era tanta voglia di fare bene. Nella Conference abbiamo guadagnato il terzo posto e siamo arrivate fino alle Sweet Sixteen, superando i primi due turni della March Madness. Era dal 2012 che non si otteneva questo piazzamento: è stato motivo di orgoglio per noi e per la scuola, un risultato importante”.
E hai deciso di tornare l’anno prossimo sfruttando l’occasione di poter fare il quinto anno.
“Sì, ho deciso di completare gli studi e di prendere il master, quindi di giocare ancora un anno con il college, l’ultimo”.
In cosa prenderai il master?
“Mi sono laureata in Business e prenderò il master in International Affairs”.
Cosa ti è piaciuto di più dell’esperienza americana?
“La cosa che più mi ha stupito è l’incastro perfetto che c’è tra studio e basket, una situazione molto difficile da gestire quando arrivi ad alti livelli qua in Italia. In America mettono allo stesso livello sia lo sport sia la scuola: non vai al college solo per giocare, devi anche studiare. E poi l’ambiente è molto stimolante: la gente ama andare a vedere le partite di basket, di football e quindi c’è sempre una bellissima atmosfera che ti fa sentire come a casa. È un’esperienza, per chi ha l’opportunità di poterla fare, che io consiglio sicuramente: vedi tante cose nuove, una cultura e un modo di vivere diversi. A me è piaciuta un sacco”.
Com’è maturata la decisione di partire, una volta che si è presentata l’occasione? Sei stata convinta sin dall’inizio?
“Ho iniziato a pensarci quando avevo 14-15 anni, con l’ingresso nelle Nazionali giovanili e l’arrivo delle prime offerte. Già allora avevo deciso di voler andare in America”.
Torniamo un po’ indietro: quando è entrato il basket nella tua vita?
“Ho iniziato perché mio zio giocava, non ad alti livelli, e andavo a vedere le sue partite. Un giorno mi hanno detto che avevano creato una società per il basket femminile a Terni, e da quel momento, avrò avuto 9-10 anni, ho cominciato sino ad arrivare ad oggi”.
Cosa ti lega alla tua terra, a Terni?
“Ovviamente è dove sono nata e cresciuta e la mia famiglia vive ancora lì, poi è dove ho scoperto il basket con la mia prima società, la Pink Basket Terni. Sono queste le cose che mi legano alla città”.
Sei nata in Italia, ma hai origini albanesi. Qual è la storia della tua famiglia?
“Loro sono arrivati in Italia alla fine degli anni novanta e si sono stabiliti da subito in Umbria. Sino a qualche anno fa andavo spesso d’estate in Albania, perché una parte della famiglia risiede là. Ora meno di frequente per gli impegni sportivi e il college, però quando posso cerco di tornare, oppure di andare a trovare i miei parenti che sono sparsi un po’ per tutto il mondo”.
Il passaggio alla Reyer è avvenuto quando eri ancora molto giovane. Com’è stato andare per la prima volta lontano da casa?
“Sono andata a Venezia poco prima di compiere 16 anni. È stato difficile i primi mesi, ero molto giovane e mi mancava non avere la mamma e gli affetti vicini. Poi è stata un’esperienza molto bella. Nei tre anni che ho passato alla Reyer ho avuto anche la possibilità di allenarmi con la prima squadra, quindi di ricevere tanti preziosi consigli. E ho anche vinto qualche scudetto giovanile!”.
A proposito di vittorie, qual è la partita che ricordi con più emozione?
“Direi quando abbiamo vinto il bronzo con l’under16 nel 2015, e anche la semifinale al mondiale under17 nel 2016, quando siamo andate in finale: una delle partite emotivamente più intense che ho giocato”.
In questi anni passati al college, tecnicamente in cosa ti senti migliorata?
“Caratterialmente sono cambiata tantissimo, prima in campo ero troppo impulsiva, ora gioco con più tranquillità, in questo l’esperienza del college mi ha aiutato parecchio: c’è molta disciplina, vengo seguita con grande attenzione. E poi in questi quattro anni sono stata impiegata più da 4 che da 5, inserendo nel mio gioco più tiro anche da lontano”.
E per il futuro?
“Sicuramente ancora il tiro, anche da tre, ci sto lavorando tuttora. Poi saper penetrare, portare palla, insomma vorrei ampliare il mio bagaglio tecnico il più possibile per avere più opzioni da spendere in campo”.
Sogno nel cassetto?
“La Wnba. Sarebbe un sogno avere la possibilità di giocarci, vediamo se riuscirò a realizzarlo”.
Ci sono delle giocatrici da cui hai imparato di più?
“Ce ne sono tante, tra compagne ed avversarie. Ma tra tutte dico Murriel Page, un’allenatrice a Georgia Tech, che è stata la terza scelta del primo draft, nel 1998. Mi dà sempre molti consigli sul come stare in campo, è una figura di ‘mentor’, un faro per me”.
Quali sono i tuoi punti di riferimento?
“La mia famiglia: mia mamma, mio papà, mio fratello. E mio zio, che è stato il primo a darmi la spinta per iniziare a giocare”.

Quando hai cominciato ti saresti immaginata alla vigilia del tuo secondo Europeo senior?
“Era un sogno, ma dire che me lo aspettavo assolutamente no (risata).”
Al di fuori della pallacanestro hai degli hobby o delle altre passioni?
“Vado spesso al cinema. In America appena hanno riaperto le sale e ci sono subito andata, così come nei musei e in giro per la città. Amo tantissimo passeggiare, e fare una vita da persona normale per staccare un po’ la testa dal basket”.
Parliamo di difesa, qual è stata la giocatrice più difficile da marcare?
“Parecchie! Nella nostra Conference per esempio c’è Arike Ogunbowale e lei è davvero tosta da marcare, come pure Asia Durr. Davvero difficile riuscire a fermarle!”.
Come hai vissuto tutte le vicende legate al “black lives matter”?
“In America è un argomento molto forte. L’anno scorso non ho potuto partecipare alle manifestazioni che ci sono state, ma sono molto sensibile al tema. Molte delle mie compagne di squadra sono di colore e insieme abbiamo parlato e cercato di capire come dimostrare la nostra vicinanza. Abbiamo usato le partite come piattaforma per sensibilizzare sul tema”.
In che modo?
“Ad ogni partita, prima dell’inno nazionale, una giocatrice a turno raccontava la storia di una donna che era stata ingiustamente uccisa dalla polizia. Poi, assieme ad alcune mie compagne di squadra, anzichè inginocchiarci siamo proprio uscite dal campo per non offendere nessuno con quel gesto”.
Quindi in squadra c’è molta condivisione su questi temi, un modo per crescere insieme.
“Sicuramente. Le nostre allenatrici hanno organizzato anche dei meeting con degli esperti per sensibilizzarci sui temi dell’ingiustizia sociale, del razzismo. E questo ha aiutato anche noi ragazze, che proveniamo da mondi completamente diversi (una mia compagna arriva dalla Finlandia, un’altra dalla Spagna), a capire l’essenza del problema. In pratica l’obiettivo è educare le persone ad affrontare questa realtà”.
Qualche scaramanzia prima di affrontare le partite?
“Cerco di tranquillizzarmi per stemperare il nervosismo: per esempio mi concentro sui dettagli del pre-partita, la coda deve essere perfetta e altri piccoli particolari, mi aiuta ad allentare la tensione”.
Per te cosa significa uscire dal campo soddisfatta?
“Quando so di aver dato il massimo in difesa. Ci tengo moltissimo e quando non difendo bene non sono contenta della partita che ho giocato. Se esco dal campo consapevole di aver dato il 100 per cento delle mie possibilità, allora sono contenta della mia prestazione”.