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LUCCHESI LAB

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MARVIN IL MARZIANO

MARVIN IL MARZIANO

ALTRI MONDI di Marco Taminelli

SELEZIONE E CRESCITA DEI GIOVANI PROSPETTI, IL MOMENTO DEL BASKET FEMMINILE, I PROBLEMI DEL RECLUTAMENTO. OLTRE AI PROGETTI COME BASKETLAB, PINK BASKET OSPITA GIOVANNI LUCCHESI PER UNA CONVERSAZIONE A 360 GRADI SUL FUTURO DEL BASKET IN ROSA.

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HighSchool BasketLab, alla sua seconda stagione, è il raduno collegiale permanente che riunisce a Roma, presso il centro Coni all’Acqua Acetosa, giovani talenti dell’annata 2003 (più qualche ’02 e ’04): la squadra partecipa al campionato Under 18 e ai tornei internazionali del circuito EGBL.

Chiediamo a Giovanni Lucchesi, responsabile tecnico, qual è lo spirito del progetto, e qual è il bilancio finora. Come valuta i risultati finora ottenuti e, al di là dei risultati, il percorso di crescita delle giocatrici? “Affrontare un progetto come quello del HSBL è una grande responsabilità: verso le ragazze, le loro famiglie, verso la Federazione che investe, verso chi collabora con te. Ed ovviamente verso le società che affidano queste atlete giovanissime, per poi “ritrovarle” pronte per il livello successivo. Ed allora il percorso diventa una sorta di vero e proprio viaggio, culturale, tecnico, personale. Entrare a livello 10, con l’obbiettivo di cercare di uscire a livello 20. La valutazione di questo viaggio attraverso le sue tappe è fino ad ora abbastanza positivo. Il feedback, soprattutto, è colorato in modo acceso: la crescita è tangibile. Il lavoro è tanto e tantissimo è lo sforzo di queste giovani. La location è ottimale, lo staff che le accompagna (Angela Adamoli, Davide Malakiano per la parte tecnica; Federica Tonni, Valentina Gatta per la parte fisica) è dedito all’obbiettivo, l’affiancamento della tutor Carolina Gatta (termine in questo caso forse davvero riduttivo) è semplicemente puntuale. Crescono e diventano donne e persone/giocatrici migliori. E questo è sicuramente un aspetto appagante”.

Facendo un passo indietro nel tempo, com’è nata l’idea di BasketLab? Qualche anno fa, ricordiamo, c’è stata l’esperienza di College Italia: in che cosa l’attuale BasketLab è simile e in che cosa è diverso? “L’idea del Lab è frutto della sinergia Fip-Coni. Personalmente ho cercato di mettere a frutto l’esperienza del passato, con i suoi lati positivi ed i punti di criticità, per poi tentare di sviluppare un percorso il più possibile virtuoso, ma anche estremamente flessibile ed aperto all’esterno. Mettendo a disposizione delle società costantemente le ragazze: una “casa” con pareti di vetro trasparente ed una porta scorrevole in ingresso, ed in uscita, di informazioni. Le similitudini con il vecchio college sono tante, l’impostazione è però diversa. Sono state individuate atlete con caratteristiche fisiche precise ed evidenti, provenienti in massima parte da società piccole in un’ottica di servizio. Opportunità di sviluppo, opportunità di confronto. Anche il programma è stato impostato con qualche piccola variante: primo anno lavoro tecnico e attività internazionale, secondo anno attività agonistica giovanile u18 in Italia e attività internazionale. Il terzo anno dovrebbe essere quello legato ad una attività senior e ad una attività internazionale ancora più selezionata. Non cerchiamo risultato di squadra come causa, ma il miglioramento individuale come motore”.

A una ragazza (ed ai loro genitori) potenzialmente interessata a venire in BasketLab in futuro, che cosa direbbe per convincerla a compiere un passo così importante? Quali le opportunità ed i vantaggi? “Non è un problema di voler convincere della bontà di un progetto. E’ una possibilità che si offre e che si illustra sia a parole, sia presentando location e organizzazione di vita e scolastica. Nessuna forzatura nei confronti delle ragazze o delle famiglie, nessuna pretesa, nessuna negazione delle possibili difficoltà e criticità. Solo l’attesa di una risposta e la considerazione intatta, qualunque sia l’esito. Sono il primo a credere, ed a ritenere, il “distacco” qualcosa di serio. Evento da monitorare e da accudire. A tutti è sempre ricordata la possibilità di accedere, di accompagnare e valutare da vicino il percorso. C’è anche chi, legittimamente, ne è uscito per motivi che si rispettano. Purché il rispetto sia sempre reciproco. Nessuna vendita o proposta di qualcosa che, sul campo, non è reale. Solo il desiderio e l’impegno di essere sempre intellettualmente onesti, inattaccabili, pur nei nostri limiti umani. Vogliamo che queste ragazze sappiano camminare di fianco alle difficoltà: non dietro, e quindi sconfitte, non davanti, e quindi inconsapevoli.”

Siete inseriti nel contesto di un basket giovanile romano che, almeno a giudicare dal numero di squadre, sembra vivace. Ce ne può fare una panoramica, lei che conosce bene Roma? “Il contesto giovanile romano poggia su una lunga tradizione, almeno trentennale. Sono cambiati i tempi, alcune palestre storiche non sono più omologabili. Ma in un panorama generale non facile per vari motivi (economici, di reclutamento e di risorse tecniche) il Lazio sa essere sempre presente e propositivo. Ci sono società che emergono sfruttando la popolosità di alcuni quartieri, altre che stringono i denti magari ampliando le sinergie, altre ancora che coniugano esperienza del maschile e fermento del femminile: il mix fa pensare ad un futuro positivo, e il recente secondo posto del Lazio al Trofeo delle Regioni testimonia questa sensazione”.

Mentre realizziamo questa intervista, si è appunto concluso da pochi giorni il Trofeo delle Regioni, con la classe 2004 principale protagonista (ne parliamo anche nelle “Flash News” in questo numero). Allargando il discorso a livello nazionale, come vede questa annata? Nella scorsa estate ha già ottenuto un promettente risultato internazionale con la vittoria nel trofeo BAM in Slovenia. “Il Trofeo delle Regioni ha mostrato, mediamente, una discreta qualità di gioco. Tante ragazze, qualche nome nuovo, qualche conferma che ha messo a frutto l’esperienza che arriva dal lavoro in società. È importante avere una visione positiva del tutto e al contempo un sano, indispensabile realismo. Per l’annata 2004, e così per quelle successive. Non possiamo, non dobbiamo mollare un centimetro. La vittoria nel trofeo Bam è in linea con questo ottimismo necessario, il sapere che un Europeo è già molto diverso agonisticamente e tecnicamente fa parte della “sezione” realismo”.

È ancora presto per parlare delle prossime competizioni estive, ma ci piacerebbe avere qualche anticipazione sul tema. Cosa ci può dire delle nostre Nazionali giovanili? Logicamente le attese sono alte, dopo i tanti successi ottenuti dell’ultimo decennio. “Le nostre nazionali venderanno cara la pelle, questo è poco ma sicuro. U18 e U20 sono squadre competitive, e lo hanno dimostrato concretamente negli anni precedenti. Rappresentano il frutto del lavoro avviato in precedenza, frutto dei sacrifici individuali. Un risultato ottenuto grazie al grande lavoro delle società ogni stagione. La U16 avrà la consueta incognita rappresentata da una composizione che non ha test e percorso precedenti. Saranno presenti alcune delle ragazze dell’ HSBL certo, ma dovranno conquistarsi la maglia senza sconti e vie preferenziali”.

La crisi di vocazioni cestistiche fra le giovani italiane in favore della pallavolo è una realtà, purtroppo, ormai consolidata da decenni. Adesso però sembrano in crescita anche altri sport di squadra al femminile, come il calcio e il rugby. Vede in questo un rischio di ulteriori difficoltà di reclutamento per noi? E, in ogni caso, quali idee potrebbero servire a invertire il trend negativo, soprattutto in certe regioni dove il numero di squadre giovanili è ridotto ai minimi termini, con la conseguenza che le poche società esistenti faticano a svolgere un’attività regolare? “La crisi vocazionale è una crisi che nasce da lontano, e che rischia di acuirsi a causa di questi sport emergenti che stanno prendendo piede. Il calcio ad esempio ha reso l’attività femminile una costola di quella professionistica della serie A. Ecco: potrebbe essere una “speranza”, una sensibilizzazione delle dirigenze in un ottica di condivisione e di unicum. Obbiettivo non facile e la Federazione si adopera in tutti i modi comunque per questo risultato. Serve un cambio di passo, soprattutto dal punto di vista culturale come quello che in Spagna porta 10.000 persone a vedere una partita di cartello del settore femminile. Possibile? Si. Fattibile? Si. Realizzabile? Non spetta a me dirlo. Problemi e criticità sono riconosciute dalle persone competenti. Altro aspetto a mio parere su cui riflettere: il sostegno all’attività nelle scuole. Perché si insista e si perseveri anche con iniziative nuove, coinvolgenti. E coinvolgimento può e deve arrivare dall’uso mirato dei social, prendendo atto della loro importanza. Provando a girare con efficacia l’interruttore della curiosità sull’utile e sul produttivo. Sono al momento soprattutto concetti, forse non sono idee ancora del tutto definite e dettagliate. Lo sforzo deve essere di tutte le componenti coinvolte, ma senza autoreferenzialità. Piuttosto servirà n uno spirito di condivisione assoluto. Perché la nostra nave deve mantenersi stabilmente in linea di galleggiamento con sicurezza, per non rischiare di essere travolta da qualche onda (forse) inaspettata”.

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