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Street Sud

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Nello scorso dicembre 2020, fece il giro del mondo l’immagine di un bellissimo termopolio della Regio V (già parzialmente scavato nel 2019), una delle tavole calde affiorate dagli scavi archeologici di Pompei, il cui recupero testimoniò l’eccellente conservazione di una pi ura murale che lo decorava: una Nereide a cavallo. All’interno di questa antica bo ega conservata dalle ceneri del Vesuvio, furono ritrovati anche resti alimentari e ossa di animali che fanno pensare (scusandomi anticipatamente con Stefano Callegari) a un locale del Trapizzino “ante li eram”. Sì, perché lo street food non è una questione contemporanea. Da sempre i commessi viaggiatori, i messaggeri, i mercanti e i forestieri di ogni tipo, giunti in una qualsiasi ci à del mondo, potevano scegliere tra una taverna e del “cibo veloce” (chiedo venia ma “fast food” proprio non riesco a scriverlo). Il fascino del cibo da consumare in strada, camminando, “a giro” come dicono nelle regioni del Nord o “frijenno magnanno” come invece è uso nel Napoletano, ha dunque travalicato i secoli e, come è naturale che sia in questi casi, si è evoluto, raggiungendo picchi di eccellenza. Oggi, su moderni e super a rezzati food truck, è possibile trovare quasi di tu o: dal vegan al gluten free, dalle polpe e in mille versioni a rice e ricercatissime di finger food. Nel contempo, alcuni tipici street food hanno conquistato le tavole dei ristoranti, talvolta “lucidandosi” per l’occasione. Come è possibile dunque parlare di “street food” dall’età pompeiana ai giorni nostri? Se è vero che l’hot dog rende una l’America nelle sue stelle e strisce e il fish and chips spopola nel Regno Unito (spesso grazie a manodopera italiana), lo Stivale è fa o di mille campanili, tu i da gustare. Lo sguardo di questo articolo vuole però posarsi su Napoli, scelta spesso dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (l’ateneo fondato da Slow Food) per conoscere e celebrare lo “street food” italiano. Impossibile non partire dalla pizza a portafoglio, originariamente venduta nella sola area di piazza Dante, via Port’Alba e via dei Tribunali e oggi disponibile anche nelle vie “nobilissime” della ci à, come Via Toledo, regno incontrastato di Gennaro Salvo. Lo stesso vale per la pizza fri a, nata nei quartieri popolari dalla necessità, dalle mani e dalla “visione” di Conce ina ai Tre Santi (il locale oggi gestito da Ciro Oliva), delle “figliole” e di zia Esterina (prozia di Gino Sorbillo). La pizza fri a a Napoli oggi è sia Montanara, come quella di Donna Sofì o di Luise, sia ripiena, come quella proposta in varie versioni da Gino Sorbillo con i suoi punti vendita “zia Esterina” (uno tra questi è nel ricco quartiere del Vomero, un altro a due passi da piazza del Plebiscito) e da “La Masardona”, presente sia nel popolare quartiere del Mercato, sia nel salo o della ci à, in piazza Vi oria.

accanto Pizza Fritta, "street food" di Napoli

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Napoli però non è solo pizza (e spero di potere ancora rientrare a casa dopo questa aff ermazione) perché a Napoli tu o diventa “fri o”: i panzaro i (crocché di patate semplici o ripieni di fi or di la e), le pastecresciute (ossia le zeppole, il cui impasto è simile a quello della pizza ma preparato con acqua frizzante), gli scagliuzzielli (triangoli di polenta arricchiti da cicoli di maiale), ‘e palle ‘e riso (arancini), le fri atine (pasta al ragù con piselli, fri e in pastella), la mozzarella in carrozza (una fe a di mozzarella tra due fe e di pane indorate e fri e), le melanzane pastellate. Pezzi misti, dunque, serviti in un irresistibile cuoppo (cono di cartone) che ha reso celebre, tra gli altri, la Friggitoria Vomero. Il cuoppo però di strada ne ha fa a, superando le colonne d’Ercole, anzi del Vesuvio e accogliendo molte altre “fri ure tricolori” come accade nelle Marche con le olive all’ascolana, in Liguria con le sarde fri e e la panissa, in Sicilia con pane e panelle (panissa e panelle sono delle farine di ceci fri e). E così via. Va anche de o però che oltre la padella Napoli riserva un mondo per molti ancora da scoprire. Recuperando l’antica tradizione dei maccaronari, Giuseppe Di Martino, “boss” del celebre pastifi cio, ha lanciato qualche anno fa la sua “devozione”, ossia una porzione di spaghe i al pomodoro con basilico serviti in un cartone da gustare rigorosamente in piedi in strada, come nell’O ocento, riservando alla fi ne dell’assaggio una gustosa sorpresa: una fe a di pane che consente anche di fare la “scarpe a”. Esperimento oggi riproposto anche da altri “street food heroes”. D’inverno è poi impossibile resistere alla tentazione del “brodo ‘e purpo” ossia un bicchiere tra o da un pentolone nel quale viene messo a cuocere un polpo: a ciascun avventore spe erà un po’ dell’acqua e una “ranfetella”, ossia un tentacolo, del polpo. D’estate invece la carne da gustare è quella de ‘o pere e ‘o musso, una specialità che si prepara con il piede di maiale ('o pere) e il muso del vitello, ovviamente depilati, bolliti, raff reddati, tagliati in piccoli pezzi e serviti freddi, conditi con sale e succo di limone. Talvolta tra gli ingredienti di questa preparazione è anche possibile trovare il piede di vitello o di capre o, la trippa de a anche cientopelle (è lo stomaco della vitella) e la zizza ‘e vacca (la mammella della mucca da la e). Pizza e fri i sono dunque i “piacioni” dello street food della ci à di Partenope ma solo i veri cercatori della tradizione sapranno andare oltre e valicare i confi ni di un porto sicuro per addentrarsi in quelle culture gastronomiche che rendono “slow” anche un cibo di strada.

Tenuta Tosi, Cilento: la salvaguardia della tradizione

U n sentiero meraviglioso che a raversa l’intero territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Si a raversa la Via Silente per gustare il tempo, per avvertire la realtà con tu i i sensi, per scoprire quel silenzio che non è assenza di suoni ma qualità di ascolto. Tu o senza mai dimenticare le asperità di un territorio in cui la natura da sempre è padrona. Terra di mare, di navigatori, di arte e di cultura, il Cilento è una terra ben nota anche per la sua tradizione culinaria cara eristica, che diff erisce in alcuni pia i da quella del resto della provincia salernitana. Oggi, in Cilento non si va solo per godersi le belle spiagge, il mare pulito da bandiera blu o per immergersi nella natura visitando il famoso Parco Nazionale, ma anche e, sopra u o, per godere delle prelibatezze che off re la cucina cilentana. Tra il Cilento e il buon cibo, infa i, c’è un legame unico, a partire dal rapporto che gli abitanti hanno con i prodo i della terra: raro trovare una famiglia che non abbia una piccola coltivazione. Un’area che ha conquistato gli stranieri e si è guadagnata grande fama tanto che il Parco Nazionale del Cilento dal 1988 è Patrimonio Unesco Mondiale per la Dieta Mediterranea, con tanto di museo a Pioppi, dove visse per anni lo studioso americano Ancel Keys, il quale coniò il conce o di «dieta mediterranea» come stile di vita. Luoghi, dunque, che nascondono tesori di biodiversità unici, oggi sono noti ai più, anche e sopra u o, per i loro tesori enogastronomici che conservano ancora quelle antiche tradizioni culinarie tramandate di generazione in generazione. In questo territorio, in cui il cibo è bontà ed arte e sopra u o biologico, si celano diverse, o ime, stru ure rice ive cui le guide gastronomiche non rendono giustizia, come per esempio la Tenuta Tosi. Immerso nel verde delle colline cilentane, un luogo dove riscoprire la cucina di una volta. della Dottoressa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

Spe acoli di inaudita bellezza si aprono durante il cammino: ambienti selvaggi ed incontaminati dalla vegetazione rara, naturale scenografia ricca di colori e profumi con il rumore tonante delle acque da so ofondo. Ci troviamo nel "regno" della lontra, che qui vive indisturbata, libera e prote a. Il so obosco ricco di vegetazione arbustiva rammenta quasi una foresta tropicale. Lungo il cammino si incontrano foglie di edera, di lauroceraso e grossi tronchi di frassino e carpino bianco. La Tenuta Tosi, quindi, è circondata da borghi, vallate ed itinerari storico paesaggistici di alto valore culturale: le gole di Remolino, situate vicino al fiume Calore, Castel San Lorenzo, famoso per i vini, Castelcivita e le sue gro e. Il punto forte della Tenuta Tosi è l'utilizzo di prodo i di primissima qualità i quali rendono il sapore di ogni pia o unico ed inimitabile. Dall'antipasto al dolce, passando dall' olio d'oliva al vino paesano, agli ospiti della Tenuta Tosi viene proposto un excursus di emozioni rievocate, di pietanze riproposte, di accostamenti di cibi dimenticati. Tu o iniziò negli anni 60, quando un gruppo di contadini amanti della propria terra si unirono e con la forza che contraddistingue il popolo cilentano provarono a valorizzare ciò che più amavano. E' semplicemente così che in un piccolo paese immerso nella valle del calore nasce la cantina sociale di Castel San Lorenzo. Il sig. Giovanni Tosi con la sua tenuta partecipò in prima fila alla creazione della cantina, valorizzando il territorio, i prodo i e l’ azienda di proprietà nella quale a tu ’oggi si produce vino, olio extra vergine di oliva, prodo i agricoli e formaggi di capra. E sono proprio le materie prime autoctone a rendere questi prodo i un fiore all’occhiello della Tenuta Tosi. Questa semplicità ed il rispe o per l’ambiente di Giovanni sono state tramandate al figlio e alle nipoti Angela e Giovanna che con grande passione portano avanti, oggi, gli antichi valori su cui è stata fondata questa meravigliosa realtà. La Tenuta Tosi, oggi come allora, offre la possibilità di assaporare gusti genuini e ricchi di storia nel pieno rispe o delle tradizioni e dell'ambiente. La loro è una cucina semplice che trae origini dalle sapienti massaie della zona. Le loro specialità sono tutte da gustare ed apprezzare come l’antipasto della Tenuta composto dai salumi artigianali, caratterizzati da uno specifico processo di lavorazione, curato in ogni dettaglio a partire dalla selezione della carne, la rifilatura dei vari tagli, la salatura e non in ultimo l’aromatizzazione; da sottolineare, inoltre, l’assenza assoluta di additivi chimici e conservanti. Questo tipo di lavorazione che porta ad un risultato di altissimo pregio è assolutamente da difendere e tramandare.

Nell’ antipasto troviamo capicollo, prosciu o, salsiccia e soppressata e formaggio primo sale prodo o dal la e delle loro capre e sempre con tradizioni e lavorazioni tramandate dai nonni.

Bis di primi composto da fusilli di Feli o al ragù, particolare pasta fresca all’uovo, fru o di una laboriosa lavorazione manuale tramandata di generazione in generazione. Vengono realizzati con l’ausilio di un so ile ferre o e con semplici ingredienti, quali: semola di grano duro Senatore Cappelli, uova fresche dell’aia di famiglia, acqua e sale. Si presenta come un maccherone forato di lunghezza variabile (superiore ai 20 cm) e di spessore rido o (massimo 24 mm) di colore giallo più o meno intenso. Questa particolare pasta è prodo a unicamente nel Comune di Feli o ed è riconosciuta dalla Regione Campania nel Registro dei Prodo i Agroalimentari Tradizionali come stabilito dal decreto ministeriale delle politiche agricole e Forestali del 14 giugno 2002 (D.M. 350/99). Cavatelli de i scazzatielli, una pasta sempre fa a a mano, all' uovo con farina di grano duro, acqua e sale condita con il ragù di marzafecatu, un insaccato prodo o con carne suina tritata di colore rosso scuro, la carne utilizzata per la produzione viene ricavata dalla spalla, cuore, stinco, e miscelato con formaggio caprino stagionato, sale, pepe. La conservazione di questo insaccato avviene ponendo i pezze i nella sugna derivata dal maiale stesso.

Come secondo propongono pollo ruspante da allevamento a terra dell’azienda, arrostito su brace di legno degli alberi della zona, accompagnato da patate al forno o insalata di pomodori e cetrioli, anche questi esclusivamente bio e del territorio. C’è inoltre, da agg iungere che tutte le pietanze sono accompagnati dal pane fatto in casa così come il vino. Insomma, fermarsi a mangiare alla tenuta Tosi signifi ca vivere una grande emozione, è come aver fermato il tempo e riscoprire sapori ormai dimenticati o ancor pegg io sostituiti da cibo proveniente da allevamenti intensivi o da colture industriali. L’ obiettivo primario, infatti, dice Angela, è fare in modo che le loro ricette ed i loro sapori tradizionali restino nel cuore di chi li assagg ia.

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