POSI+TIVE MAGAZINE No. 3

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POSI+TIVE

DIFFERENT VIEWS AROUND THE WORLD

FREE MAGAZINE ISSUE 03 WWW.POSITIVE-MAGAZINE.COM WWW.MYSPACE.COM/POSITIVEMAG



Photo: Giacomo Cosua MART Museum Rovereto, Italy

POSI+TIVE MAGAZINE N°3 /2008

EDITOR: Giacomo Cosua FASHION EDITOR: Nestor Alvarez FASHION STYLIST EDITOR: Selena Campagnolo ARCHTECTURE EDITOR: Roberto Lucchese TRANSLATIONS EDITOR: Bart Van Malssen TRANSLATOR: Michele Temporin

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DISCLAIMER: WEB: POSI+TIVE MAGAZINE non è www.positive-magazine.com responsabile per i testi, le foto- MYSPACE: grafie e le illustrazioni pubblicate www.myspace.com/positivemag MAIL: all’interno, poiché di proprigiacomocosua@gmail.com età degli autori. Tutti i diritti FLICKR: sono riservati, la riproduzione è espressamente vietata ai sensi flickr.com/groups/positivemagazine delle norme che regolano i diritti MEDIA PARTNER: d’autore. Freshcut Media Live9 Radio Realizzato a Venezia, Italia POSI+TIVE MAGAZINE


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POSI+TIVE MAGAZINE Numero/Number 3 MODA / FASHION 75 Fashion travel

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REPORTAGE

32 Kualalumpur: by John Brunton

PEOPLE

28 Jay Brannan

ARCHITETTURA 80 Eterotopia

DESIGN

91 New Places

FOTO/PHOTOS 106 Gate and Doors

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SUBMISSION GUIDELINE:

Se volete partecipare al Prossimo numero di POSI+TIVE , potete mandare una mail con i vostri dati e un file in PDF che illustri i vostri lavori: Vi preghiamo di mandare non un portfolio, bensì già un progetto sviluppato, oppure fotografie in serie che abbiano già l’idea di una storia. Le richieste che non risponderanno ai seguenti requisiti non verranno prese in considerazione, poiché creano solo difficoltà a chi poi selezionerà il materiale. If you want to contribute with the next number, you can send us a mail with your data and a PDF file that shows your works: We ask to send us not a portfolio, but a developed project or photos linked each others, like a storyboard. We are not going to answer if you send just a link of your website or photos that are not answering our request. MAIL: GIACOMOCOSUA@GMAIL.COM YOU CAN SEND ALSO YOUR PHOTOS INTO OUR FLICKR GROUP, WHERE WE USE TO SELECT SOME PHOTOS FOR OUR WEBSITE OR FOR OUR PDF MAGAZINE. POSI+TIVE MAGAZINE +7


FLICKR GROUP: PHOTO SELECTED

Andrea Pedretti www.ямВickr.com/andreaupl

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Riccardo Villa http://www.ямВickr.com/photos/rikileroi/

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Greg Stonebraker www.ickr.com/photos/stonebraker1

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KIDS.

Photos by: Ivano Salonia Text By: Michele Nisticò Web: http://www.flickr.com/people/cicciobombo/

Sfuggono la rabbia e la perfezione dei coloratissimi schermi, lusinghieri, ma buoni solo per l’inverno. Il gioco, i tuffi, lo stupore, le risate, tutto vero; tutto animale. Così naturali, un giorno li vedi di sfuggita e noti i segni sui polpacci, quelli dei colpi di cerbottana dati per far male, coi pallini di stucco che anche tu ricordi bene. Tornato a casa pensi che ci sarà sicuramente il riccetto di Pasolini, fra quei volti non ancora segnati, ed Ernò Nemecsek, soldato semplice e nobile vedetta di Molnàr. Chissà se c’è un Garrone. Questi bambini con la buccia, che hanno già i loro capi, con il loro incedere pesante ed i modi da mezzi adulti, con il loro dialetto stretto. Mezzi adulti così incerti, così spavaldi, a cui hai proposto di tuffarsi e scattare sotto il mare, con la Vivitar

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subacquea. Litigano per stabilire i turni, tutti vogliono abboccare all’esca per primi: no io, no tu, e perché proprio tu, tu no che sei piccoletto, tu no che sei arrivato ieri, tunochesenzaocchialinoncivediunaminchia. Non li metto in posa, gli chiedo solo di mettersi dove dico io. Qualcuno mi fissa, qualcuno no. Certo, con la luce puntata fanno come certi cervi di montagna quando hanno i fari negli occhi, la cosa più stupida di tutta la loro vita: si fermano e aspettano l’urto. Poi. Coi primi scatti prendono confidenza, ritrovano la sfacciataggine antica dei bimbi di strada, tornano spontanei per tutto il tempo che c’è, per tutti gli attimi di luce che passano veloci dal mare, attraverso lo scoglio, sin dentro l’obiettivo. Pensi a tutta questa rapidità di cui

a loro non importa niente ed a come si riassume e sbalordisce nel loro sguardo di cuccioli rubati al gioco. Pensi al coraggio loro che, in certe occasioni sbiadite della vita, ti piacerebbe saper ritrovare. Vorresti, dopo aver posato l’attrezzatura, salutarli come si fa coi viaggiatori dal viso sporco, levando il bicchiere per un attimo ed alzando lo sguardo stanco. Ma i capi, che oggi sono i più furbi ed i più alti ed i più mascherati che mai, hanno già sospeso la loro fiducia, ritirato la tregua concessa a denti stretti. Adesso si muovono scattosi come le donne tradite e dicono, coi movimenti veloci delle gambe magre, checazzoahidaguardare? Ti spiegano, incrociando le braccia sotto al broncio, che saprai anche fermare il momento, ma non puoi fermarli neanche per un momento. POSI+TIVE MAGAZINE


They run from anger and perfection they find in colourful screens; they are flattering, yet they’re just good for winter. Games, dives, wonders, laughs, it’s all true; it’s animal. They are so natural. Once you see them passing and notice the bruise on their calves, due to the those blowpipe marbles that hurt so much, you remember it well. Once you’re at home you find yourself thinking that surely there will be Pasolini’s riccetto among those young faces, maybe Ernò Nemecsek as well, a soldier and Monlnàr’s noble spotter. Will there be a Garrone too? These kids with scabs, and leaders, with their stomps, and their almost-adult attitude, and their dialect. Almost-adults yet so uncertain, so fearless. You asked them to dive and then take a picture with your underwater Vivitar. The fight over turns,

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everyone wants to be the first to be hooked: me first, not you, why you, no you’re too small, you can’t ‘cause you got here yesterday, notyou’co useyou’reblindwithoutglasses. I don’t make them pose, I just ask them to be where I want them to be. Some stare at me, some don’t. Of course the light on them has the same effect as on deers when they’re hit by a car’s headlights, the most unintelligent thing of their life: they stop and wait for the crash. Later. After the first pictures they feel at ease, they are fearless again like street kids, they’re naïve whenever possible, receiving all the moments of light hitting the surface of the sea, through the rocks and straight inside the shutter. You think of all that speed that they don’t care about and how they absorb it and amaze you with the reflection on those puppy eyes when they are removed

from their games. You think of the courage that you envy so much, but it’s faded in time. You’d like to say goodbye to them as you would do with dirty faced travellers, after your equipment is packed, lifting the glass at them for a second and looking at them tired. But their leaders, nowadays are smarter, taller and phonier than ever and they already suspended their trust, they stopped the cease fire you acquired so hard. Now they move like betrayed women and they say whatchalookin’at? with the movements of their skinny legs. They explain, with their arms crossed under that angry face, that the moment can be stopped, but you can’t stop them, not even for a second.

Translation/ Traduzione by: Michele POSI+TIVE MAGAZINE


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PEOPLE: JAY BRANNAN Photos by: Meg Clark www.ямВickr.com/photos/waxxwing

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KUALA LUMPUR:

THE CITY FOR THE FUTURE Text and photos by: www.johnbrunton.com

Quando arrivai per la prima a Kuala Lumpur vent’anni fa, la capitale malese era il posto ideale nel Sud Est asiatico dove abitare. Non c’era traffico o inquinamento, piena di squisita architettura coloniale, mentre quegli edifici che sembrano toccare il cielo erano confinati ad una piccola zona del centro, conosciuto come il Triangolo D’Oro. Era un posto tranquillo, divertente e i malesi – un miscuglio colorato di nativi malesi, cinesi e indiani – erano le persone più gentili immaginabili. Ovunque guardavi c’era verde, giardini tropicali lussureggianti, con la vera giungla che si intrometteva fino ai margini della città. Ma questo significava che K.L., come tutti la chiamano qui, era essenzialmente una città di secondo grado, e che per fare affari seri si doveva andare in metropoli importanti come Hong Kong, Singapore e persino la briosa Bangkok. E fin qui i ricordi nostalgici. Quest’anno ci sono tornato, ho affittato una macchina all’aeroporto, e prontamente mi sono perso del tutto nel labirinto a zig-zag di autostrade, tangenziali e sobborghi nuovi di zecca. Non si può dire che K.L. sia cambiata, meg-

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John

Brunton

lio definirla una trasformazione completa. Non è solo una città del 21esimo secolo, ma sembra quasi un posto dove il futuro sia già arrivato. Il centro della città è ora un paradiso per architetti, dominata da vetro riflettente e uno skyline metallico formato da grattacieli da design, dove sorvola allo strato più alto della torta nuziale come se ne fosse la ciligiena, la Kuala Lumpur City Centre con i suoi 88 piani, le cui torri gemelle sono tra gli edifici più alti del mondo. Pendolari locali scivolano lungo la loro città su una monorotaia sollevata che sembra appena esser uscito da un libro di fantascienza. Sotto l’occhio vigile di Bill Gates, il governo ha creato un enorme Super Corridoio Multimedia, la Silicon Valley malese. Questa include una “Intelligent City” autosostenuta e senza alcun impatto inquinante sull’ambiente, dove ogni casa è collegata elettronicamente, con telemedicine (???) e scuole raffinate. Conosciuta come Cyberjaya, questa cosa sembra un gioco virtuale per il computer, ma è già in funzione e fa sembrare l’Europa come il Terzo Mondo, mentre la Malesia sembrerebbe

il Primo Mondo del futuro. Molti turisti vengono a Kuala Lumpur solo in giornata, prima di andare nei villaggi di vacanza sulle spiaggia seducenti o di fare scampagnate avventurose nella giungla. Questo è un peccato però, perché K.L. è in realtà un posto magnifico dove restare per un po’ di giorni. In molti modi, è una città con una doppia personalità, con i suoi avamposti coloniali schiacciati tra i grattacieli, enormi shopping mall riempiti di firme di design a prezzi stracciati (lo shopping è una semplicemente inimmaginabile qui) e gallerie d’arte un po’ funky, oppure negozi di arredamento nascosti in bungalows degli anni ‘30. Ci sono mercati fumanti con cibo esotico asiatico, o ristoranti con arredamenti design minimalisti che servono soltanto costoso nouvelle cuisine. E così tanti bar e disco, che dovresti uscire ogni notte per un mese per vederli tutti. Il posto migliore dove inziare per avere una vera sensazione di K.L. è il vecchio cuore coloniale della città, situato intorno a dove le prime case “attap” vennero costruite alle affluenze dei due fiumi, il Kelang e il Gombak. In maPOSI+TIVE MAGAZINE


lese, “Kuala Lumpur” significa “estuario fangoso”. Meno di un secolo fa, questo era una base nella giungla per i minatori della latta, i casinò e l’incontrollata malaria, una città da cowboy simile a quelli nel Klondike durante la Corsa all’Oro. Il primo vero edificio solido che venne eretto erano gli uffici governativi, conosciuto allora come il Segretariato Federale. Disegnato dagli Inglesi in quello che chiamavano lo “Stile Maomettiano”, insieme alle cupole e volte, sembra qualcosa dalle “1001 Notti”. Fortunatamente ancora oggi si trova intatto, anche se ora sullo sfondo ci sono

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edifici altissimi, uno spettacolare esempio di ingegneria con i suoi quattro milioni di mattoni. Direttamente in fronte si trova il prato verde di Padang, dove si giocava il cricket la domenica, e l’architettura bianco e nera, stile Tudor, del Selangor Club (The Spotty Dog – Il Cane Maculato), che è un’altra reminescenza del passato coloniale inglese. Lì vicino anche il vecchio mercato della frutta e verdura è riuscito ad evitare i bulldozer ed è stato trasformato nel grande Mercato Centrale, una versione malesiana del Covent Garden di Londra. Il centro di K.L. ha innumer-

evoli grandi shopping mall, tutti splendidamente accessoriata di aria condizionata. Se stai cercandi degli affaroni per merci firmate Armani, Prada, Dior, Gaultier, DKNY e Ralph Lauren, allora dirigiti verso il Lot 10 o lo Star Hill. Invece più divertente come meta probabilmente è il Sungwei Wang, che tradotto vuol dire Plaza del Fiume di Denaro. Ha un labirinto di piccole boutique dove troverai sarti funky malesi che mettono insieme vestiti per una sera, parrucchieri cinesi punk che offrono tagli appuntiti e qualunque tipo di hi-fi, computer, macPOSI+TIVE MAGAZINE


chine fotografiche o video che mai pensavi esistessero. A metà pomeriggio (non più tardi, perché le code dell’orario di punta sono tremende), prendi un taxi per Bangsar, un quarto d’ora fuori dal centro. Quando io ci abitavo, Bangsar era solo un insieme di negozi cinesi e indiani anonimi. Ora è il Notting Hill Gate e Soho messi insieme di K.L. Le strade sono allineate con bar eleganti, pubs e bar dove stare fino a tardi a bere cocktail e grappa. Scoprirai gallerie d’arte contemporanea eleganti, favolose boutique di interior design, e showroom di designer di moda locali. Terrazze di cafè brulicano

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sui marciapiedi in prima serata, come la folla dei ricchi, giovani e belli che si ritrovano con i loro BMW e Mercedes. Scegli tra piatti tipicamente cinesi di chili di granchio, gamberi e carne di cervo bollente in uno bancarella all’aperto, oppure siediti in uno bistrot alla moda dove degustare un piatto gourmet di fusion cuisine. Tornato in K.L. c’è una vita notturna ugualmente frenetica che ti aspetta, ma, sei avvertito, Bangsar è una specie di Triangolo delle Bermuda e quindi raramente te ne andrai prima delle ore piccole. Se farai questo sforzo di passare un po’ di giorni a Kuala Lumpur e troverai una me-

tropolis differente e eclettica, sicuramente una città per il futuro ma anche una che non ha dimenticato il proprio passato. E per una volta la conservazione di patrimonio viene fatto più che altro per migliorare la qualità della vita degli abitanti della città, piuttosto che per motivi di pubbliche relazioni in moda da attirare turisti. ENGLISH TEXT: When I first arrived in Kuala Lumpur twenty years ago, the Malaysian capital was the ideal place in South East Asia to live. There was no traffic or pollution, plenty of delightful colonial architecture, while high-rise buildings POSI+TIVE MAGAZINE


were more or less confined to a tiny part of the centre, quaintly known as The Golden Triangle. It was a relaxed, fun place, and the Malaysians - a colourful mix of native Malays, Chinese and Indians - were the friendliest people imaginable. Everywhere you looked was greenery, lush tropical gardens, and real jungle intruding right into the edges of the city. But what this meant, was that K.L., as everyone here calls it, was essentially a second division city, and that to do serious business meant going to a really important metropolis, like Hong Kong, Singapore or even bustling Bangkok. So much for nostalgic memories. I returned earlier this year, picked

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up a hire car from the airport, and promptly got utterly lost in a maze of criss-cross motorways, by-passes and brand new suburbs. K.L. has not so much changed, but totally transformed itself. It is not just a city for the 21st century, but rather a place where the future has already arrived. The centre of the city is now an architect’s nirvana, dominated by a gleaming glass and metal skyline of state-of-theart skyscrapers, topped off, like a wedding cake, by the 88 storey Kuala Lumpur City Centre, whose twin towers stand as one of the world’s tallest buildings. Local commuters zoom around their city on an elevated monorail system that

could have come straight from a science fiction book. Under the watchful eye of Bill Gates, the government has created a huge Multimedia Super Corridor, a Malaysian Silicon Valley. This includes a self-contained, eco-friendly “Intelligent City”, with each house electronically linked, telemedicine and smart schools. Known as Cyberjaya, the whole thing sounds like a virtual-reality computer game, but it is already working, making Europe look like the Third World and Malaysia as the First World of the future. Most tourists treat Kuala Lumpur as a rapid one day stop-off, before heading to Malaysia’s seductive beach resorts or adventure jungle trips. That’s POSI+TIVE MAGAZINE


a shame, though, because K.L. is actually a great place to hang out in for a few days. In many ways, it is a split-personality city, with charming colonial outposts squeezed between skyscrapers, vast shopping malls packed with basement priced designer labels (shopping is simply unbelievable) and funky art galleries or decor stores hidden away in renovated 30’s bungalows. There are steamy street markets with exotic Asian stall food, or minimalist designer restaurants serving expensive nouvelle cuisine. And so many bars and clubs, that you’d need to be out every night for a month to get to see them all.

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The best place to start to get a feel for Kuala Lumpur is the old colonial heart of the city, centred around the spot where the first “attap” houses were put up at the confluence of two rivers, the Kelang and Gombak. In Malay, “Kuala Lumpur” translates as “muddy estuary”. Less than a century ago, this was a jungle outpost of tin miners, gambling joints and rampant malaria, a cowboy town similar to any in the Klondike during the Gold Rush. The first really solid building to go up was the government offices, known then as the Federal Secretariat. Designed by the British in what was termed ‘Maho-

metan Style’, complete with cupolas and domes, it looks like something out of The Arabian Nights. Fortunately, it stands today unchanged, albeit against a backdrop of highrise buildings, a wonderful feat of engineering, using up over four million bricks. Right opposite, is the green lawn of the Padang, where cricket used to be played on Sundays, and the black and white, mock-Tudor architecture of the Selangor Club - The Spotty Dog - another throwback to British colonial days. Nearby, the old fruit and vegetable market has also avoided the demolition bulldozer, and was instead transformed into the POSI+TIVE MAGAZINE


immensly successful Central Market, a Malaysian version of London’s Covent Garden. The centre of K.L. has numerous, vast shopping malls, all wonderfully air conditioned. If you’re looking for bargains by the likes of Armani and Prada, Dior and Gaulthier, DKNY and Ralph Lauren, then head for Lot 10 or Star Hill. More fun, perhaps, is Sungei Wang Plaza, which translates as River of Money Plaza. It is a labyrinth of tiny boutiques, where you’ll find funky Malay taylors conjuring up one-off outfits, punky Chinese hairdressers offering spiky cuts, and any kind of hi fi, computer, camera or video you ever imagined existed. In mid afternoon (not later, be-

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cause peak-hour traffic jams are horrendous), grab a cab for Bangsar, a quarter of an hour out of the centre. When I lived here, Bangsar was just a few nondescript Chinese and Indian shops. Now it is K.L.’s Notting Hill Gate and Soho rolled into one. Streets are lined with chic cafes, pubs and late night cocktail and grappa bars. You’ll discover smart contemporary art galleries, fabulous interior design boutiques, and local fashion designer showrooms. Cafe terraces teem over the pavement in the early evening, as the town’s rich, young and beautiful crowd roll up in their BMW’s and Mercedes. Choose between a classic Chinese meal of chilli crabs, drunken

prawns and sizzling venison at an open air stall, or settle down for a gourmet meal of fusion cuisine at one of the hip bistrots. Back in K.L., there’s an equally frenetic nightlife scene awaiting you, but, be warned, Bangsar is a Bermuda Triangle, and you’ll seldom leave before the early hours. Make this effort to spend a few days in Kuala lumpur, and you’ll discover a different, eclectic metropolis, certainly a city for the future but also one that has not forgotten its past. And for once, the conservation of heritage is being done more to improve the quality of life for the city’s own inhabitants, rather than a public relations exercise to attract tourists. POSI+TIVE MAGAZINE


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Photos by: Martina Huijsmans Web: http://www.ямВickr.com/photos/78613556@N00/

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FEELINGS. PHOTOS BY Nouk Baudrot Web: http://www.ямВickr.com/people/baudrot/

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TRAVEL Allontanarsi dalla città, sempre più lontano, iniziare un VIAGGIO, per riscoprire sé stessi.. Editing: Selena Campagnolo Fotografo/Photographer: Igor Termenòn Modella e Styling: Marta Doldàn T-shirt: A.Y. Not Dead Gonna: H&M Sandali: Bimba&Lola

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ETEROTOPIA

MONTAGGIO DISCONTINUO DI FORME E MEMORIE progetto di: Marco Scarpa

Il progetto è fortemente caratterizzato dalla presenza di un elemento dalla forma fluida ed organica che, come un’onda, si propaga per tutta la lunghezza dell’hangar. Esso è contenuto e definito dalla presenza di di tre muri, che si pongono come quinte teatrali fuoriscala, dietro e dentro le quali si trovano gli spazi funzionali. I setti, ai quali l’onda si ancora raggiungendo i 4 m d’altezza, delimitano lo spazio scenico da quello funzionale. I palchi non sono identificati in modo univoco e statico ma sono presenti in maniera diffusa per tutta la lunghezza dell’onda, che si presta a diversi tipi di configurazioni a seconda dello spettacolo da rappresentare, offrendo spazi di ascolto più o meno tradizionali. BAR La prima quinta che si incontra entrando nello spazio da noi progettato, si pone come prolungamento di uno dei setti che Compongono la torre presente nell’hangar. Abbiamo deciso di conservare questa preesistenza, modificandone l’inclinazione in modo tale da creare uno spazio prospettico, con l’intento di sottolineare ed accentuarte la profondità dell’ambiente. Al muro ed alla torre si aggancia il soppalco della caf-

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fetteria che ospita sistemi di sedute modulari e componibili, mentre il bancone e degli spazi più informali si trovano al piano sottostante. Qui abbiamo collocato un sistema di sedute, anch’esso modulare, secondo le misure del tatami giapponese,aggregabile in infinite soluzioni e fruibile su due livelli. Dal soppalco si accede anche alla torre tramite ascensori ricavati nella doppia parete. In questo spazio, lasciato appositamente vuoto, sono visibili installazioni e mostre temporanee di arte contemporanea. MURO L‘ultima quinta sulla siniistra è caratterizzata da una doppia parete entro la quale si sviluppano il laboratori musicali che risultano essere completamente chiusi e insonorizzati. A questi si accede tramite aperture sul retro del muro mentre sul lato dello stesso due scale mobili conducono al soppalco. Questo può essere utilizzato diversamente a seconda degli eventi che si svolgono nell’ hangar come spazio per la danza , per l’ascolto o per la visione delle immagini proiettate. Al di sotto del soppalco si trovano postazioni d’ascolto individuale appese o libere nello spazio a seconda dell’allestimento temporaneo

presente .Il bookshop è concepito come un unico taglio che si sviluppa per tutta la lunghezza dell’hangar. Esso può essere percorso velocemente sui marciapiedi mobili, che si interrompono per dare la possibilità di scendere e visionare meglio i libri e le riviste esposte. I marciapiedi mobili, conducono entro un volume vetrato che attraversa glispazi di servizio e la torre espositiva, conducendo sino alla cassa ed all’uscita. ONDA Il progetto è fortemente caratterizzato dalla presenza di un elemento dalla forma fluida ed organica che, come un’onda, si propaga per tutta la lunghezza dell’hangar. Esso è contenuto e definito dalla presenza di di tre muri, che si pongono come quinte teatrali fuoriscala, dietro e dentro le quali si trovano gli spazi funzionali. I setti, ai quali l’onda si ancora raggiungendo i 4 m d’altezza, delimitano lo spazio scenico da quello funzionale. I palchi non sono identificati in modo univoco e statico ma sono presenti in maniera diffusa per tutta la lunghezza dell’onda, che si presta a diversi tipi di configurazioni a seconda dello spettacolo da rappresentare, offrendo spazi di ascolto più o meno tradizionali. POSI+TIVE MAGAZINE


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NEW SPACES Project by: Oliver Bishop-Young Web: http://www.oliverbishopyoung.co.uk

I have always had an interest in what people throw away andwhere things end up. My foundation work culminated in sculptural treelike formsbuilt from magazines collected from our libraries bin. As we generated 4,000 ideas on post-it notes at thebeginning of my final year at Goldsmiths the theme of exchange emerged as astrong fascination of mine. This was given a context when I saw a 1995 Ikeaadvert depicting a whole street throwing their ‘chintz’ furniture out and intoa skip. The image revealed the potential for a skip to become a point of bothmaterial and experiential exchange within the community. I then submergedmyself in the affairs of skips. I designed a series of skip ‘add-ons’ to test and emphasisemy hypothesis. These included a blackboard that fits onto a skip. Using chalkpeople can note down what is added and removed from the skip, in turn providinga catalogue of materials available and aiding the re-use and exchange ofobjects. A plinth that sits on the edge of a skip provides a platform on whichthe most recent

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addition to the skip can be displayed with greateradvertisement. It can be shameful for some to be seen peering into askip, a convex mirror attachment makes it easy for people to see inside at aglance. While observing these ideas being tested, each day checking theblackboard’s changes: Added: Wheeley bin, vacuum cleaner, wood, love, curtainsbroken glass. Taken: MDF boards, the piss. I developed an online digital version of a skip thatshares the materials and locations of physical skips across the country. Takingthe form of a website where you can upload your skip details for others to comeand collect or search yourself for materials and objects in skips in a specificarea. A demo version of the site can be veiwed at www. andrewhilton.net/oli/nav.php. The latest part of my work has been exposingthe potential left in what people throw into skips and the architectural toolskips provide for claiming space in an urban environment. One way this was donewas by taking materials from skips (such as rubble and garden waste)

andsetting them up as a garden in my own skip in front of my flat in Brockley, London.It created a new space for me to inhabit that balanced on the edge between myprivate home and public street. Over a couple of months I repeated this formula, finding materials in skips such as wood, furniture and a bbq and anddesigning an event formed around that material or object. The resultsemphasised the value left in the waste. A skate ramp built in the skip from materials sourced fromskips brought in an element of play. It showed how the process could be used toprovide public spaces that are not present in the area. As demonstrated by mypark in a skip on Brick Lane for our degree exhibition. The idea was to bringsome much needed grass to the area and provide a space for the public to reston a reclaimed park bench as they visit the numerous Freerange exhibitions. Other events included a swimming pool and BBQ area and thereare plans for future events in the capitol.

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DOORS & GATES Text and photos: Jacob Schere web:www.lucidcommunication.com/ We use gates to control the ow of humans. to lock people out. to feel safe. same with door. they are the entry way into other worlds. to go from the community to the private. when they are open we are free to move. when closed, locked and chained, we protect our secrets. we wonder what lies beyond the door. Example, there was a festival near my home the other day. Most doors, and gates were wide open. The community had chosen to let everyone ow in and out of their own personal space. It was beautiful.

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