capitale europea della cultura 2019 6 cittĂ candidate
Ravenna
Siena Perugia
Matera Cagliari
MAXXI, 29.09.14
Lecce
capitale europea 2019 la cooperazione culturale come motore di rigenerazione urbana
L’evento è promosso dal MAXXI Architettura, sulla base di un concept elaborato con PPAN – Comunicazione e networking in collaborazione con il MIBACT Segretariato Generale e Direzione Generale PABAAC. Hanno aderito ANCE, ANCI/Fondazione patrimonio comune e le sei le città candidate: Ravenna, Perugia, Siena, Cagliari, Matera e Lecce. Obiettivo del progetto è creare un’occasione di comunicazione per tutte le sei città candidate prima che una sola sia selezionata per il titolo di Capitale Europea della Cultura 2019 insieme a Plovdiv (Bulgaria). L’iniziativa nasce dall’idea di dare visibilità e promuovere i progetti e le strategie di rigenerazione urbana elaborate per la candidatura rivolgendosi a un ampio pubblico (amministratori, rappresentanti della politica, operatori culturali, progettisti, costruttori, developer, mondo finanziario, comunicatori e imprenditori) specificamente interessato a conoscere le concrete prospettive di sviluppo e i relativi benefici a medio-lungo termine che ne possono derivare.
I promotori hanno individuato un format dinamico e operativo per presentare e confrontare le proposte delle città, basate in primo luogo sulla cooperazione culturale, con l’intenzione di valorizzare un patrimonio di progettualità utile alle politiche di rigenerazione urbana che potranno comunque avviarsi. Si tratta di attività complesse ed elaborate a scala urbana e territoriale, che riguardano aree di particolare rilievo quali waterfront, periferie, infrastrutture, riuso di edifici esistenti, valorizzazione di patrimoni dismessi, con regia pubblica e/o investimenti privati. Il confronto tra le città è utile non solo sul piano della conoscenza, ma anche per stimolare nuove opportunità, a partire dai contenuti e dal prezioso bagaglio di progettualità messo a punto e sviluppato da ogni città in questa occasione. In questa pubblicazione sono presenti le interviste ai Sindaci e ai coordinatori dei progetti, la versione integrale è nel sito www.fondazionemaxxi.it e www.ppan.it
Ravenna Avete modelli internazionali di riferimento per il recupero di questo fronte d’acqua?
Rispetto alla darsene recuperate in altre città europee, come Barcellona solo per fare un esempio, dobbiamo fare i conti con un minor investimento statale; con dimensioni importanti, trattandosi di 140 ettari di terreno che si estendono dalla testata della darsena al limite di questa rispetto alla città; e ancora con una proprietà al 100% privata e frammentata tra 43 soggetti. Ovviamente per procede alla trasformazione va anche sciolto il tema della bonifica del canale e per questo sono allo studio diverse ipotesi.
Se un investitore guardasse con attenzione qualche area della Darsena, il sindaco che tempi potrebbe garantire?
Fabrizio Matteucci Sindaco di Ravenna
Cosa muove l’amministrazione di Ravenna a correre per il titolo di capitale europea della cultura 2019?
La corsa al titolo di capitale europea della cultura per Ravenna è uno strumento per reagire alla crisi. La città ha deciso di candidarsi nel 2007 in un periodo pre-crisi, una scelta che è stata fortemente confermata negli anni successivi. Ravenna ha tutto, dalla chimica al turismo, ma con questo progetto vogliamo difendere la nostra identità, mantenere quello che abbiamo, e investire su altri temi. Attraverso il percorso di candidatura puntiamo anche a riqualificare alcune importanti aree urbane dismesse e attrarre investitori nazionali e internazionali.
Sui temi della trasformazione urbana, quali sono le priorità per il sindaco Matteucci?
Il porto e il binomio cultura e turismo. Il porto è l’area urbana maggiormente interessata dalle trasformazioni. Con l’ultimo PSC si è deciso di ridurre l’espansione, e la Darsena è l’unica importante area che potrà diventare un nuovo quartiere, sostenibile e moderno. Vogliamo realizzare un nuovo pezzo di città, con un mix di funzioni, con mobilità pedonale e ciclabile. A breve contiamo di approvare e aggiornare lo strumento urbanistico, di fatto per la darsena abbiamo un masterplan: contiamo su investimenti privati per centinaia di milioni di euro.
Abbiamo già diverse manifestazioni di interesse. Una volta approvato il POC per gli investitori è tutto pronto e potranno fare i conti con il masterplan redatto dagli uffici del Comune che prevede di integrare attività terziarie, culturali, per il tempo libero e residenze. Per quanto riguarda la burocrazia, siamo in grado di garantire una task force per snellire le croci degli investitori spesso scoraggiati dalla lentezza. Abbiamo tutti gli strumenti urbanistici operanti e numerose aree con significative possibilità di investimento.
La partecipazione può essere intesa anche come strumento per migliorare la propria reputazione nella competizione tra città?
Aver raggiunto una forte coesione territoriale in questo percorso di candidatura è un elemento di forza. Abbiamo messo in rete tutte le città limitrofe a partire da Rimini, Forlì e Cesena, e coinvolto i comuni della provincia. Quest’alleanza ci aiuta a superare i limiti che la nostra città potrebbe avere e ad esempio a rispondere più efficacemente in termini di ricettività alberghiera. Se si riuscisse a spalmare la domanda su tutta la costa romagnola avremo realizzato uno dei più interessanti ed estesi distretti turistici europei.
Con quale budget Ravenna punta a realizzare il piano messo a punto per la candidatura del 2019?
Abbiamo stimato un investimento complessivo, pubblico e privato, di circa 45 milioni. Naturalmente non è il totale di quello che si metterebbe in movimento nell’economia reale, si sa d’altra parte che le città che sono state capitali europee hanno visto interessanti effetti anche nella crescita del Pil locale.
Oltre alla darsena, avete altri temi interessanti per quanto riguarda la trasformazione fisica della città?
Nel dossier c’è un insieme di azioni che riguardano i collegamenti con il resto del Paese, ci sono progetti di riuso di luoghi inutilizzati, archeologia industriale da recuperare, palazzi importanti della citta che hanno bisogno di nuove funzioni. Servirebbero tra l’altro degli incentivi per realizzare strutture alberghiere di cui la città è un po’ carente.
Arte, cultura e paesaggio: materie prime in Italia. Su quali progetti sta investendo la città di Ravenna?
Ravenna ha tutte le carte in regola se si guardano i monumenti, gli appuntamenti musicali, i musei. A Ravenna si trova una delle più grandi biblioteche d’Europa. La commissione però non valuterà molto la storia della città, piuttosto come la città riesce a valorizzare il proprio patrimonio. Il nostro dossier è incardinato sulla visione di futuro e sulle attività rivolte ai giovani. Abbiamo fatto emergere mondi e realtà da parte di associazioni che diversamente sarebbero rimaste ai margini della vita culturale della città, e valorizzato le imprese culturali che hanno mediamente gestori e gruppi dirigenziali molto giovani. Il nostro dossier non è fatto dalle istituzioni ma dai cittadini e questo è stato un grande arricchimento per la città.
Alberto Cassani
Coordinatore Ravenna 2019
Quali sono gli ingredienti che fanno di Ravenna una città europea?
Non si è città europea ma si diventa. È un processo continuo che per essere sviluppato ha bisogno di slancio, azioni e scelte politiche. Essere europei o divenire europei è un tema complesso perché l’Europa non è una cosa sola, unica e ben definita ma è essa stessa in divenire e con l’ampliamento verso Est questo fenomeno ha assunto dimensioni nuove. Ravenna è quindi in divenire, in ricerca, si interroga sull’Europa.
Quali sono i punti salienti del concept del vostro progetto di candidatura?
Il dossier di candidatura è intitolato “Mosaico di Culture”. Abbiamo cercato di valorizzare la ricchezza della metafora e il riferimento diretto va allo sforzo che fanno le tessere (di materiali e colori diversi) di stare vicine in un quadro, per comporre una figura che ha un preciso significato. Nel progetto per Ravenna 2019 abbiamo sviluppato il mosaico attraverso cinque scene che hanno rispettivamente a che fare con l’accoglienza di chi viene da fuori; con la danza dei contrari e quindi con le combinazioni e le mediazioni tra arte e cultura, tra antico e contemporaneità; con il rapporto con l’acqua, verso il mare aperto; con l’immaginazione dell’immaginario; con l’idea di cambiamento. Tra queste azioni si distingue l’idea di voler superare una mentalità conservatrice che non può continuare a vivere del solo passato, per privilegiare innovazione e dialogo con il nuovo.
Nel mosaico delle proposte, quali sono i temi, i nodi urbani, le infrastrutture del vostro progetto di candidatura che riguardano la trasformazione fisica del territorio? Il tema che attraversa tutto il dossier è la rigenerazione della darsena di città, 140 ettari tra il centro storico e il mare, si tratta di un’area ex portuale dentro la città, una straordinaria opportunità per la Ravenna del futuro. Anche sulla base degli strumenti urbanistici già adottati e in via di approvazione la darsena diventerà il nuovo baricentro delle attività culturali e sarà l’hub
della sperimentazione per attività creative, start up ed esperienze di coworking. Con gli interventi si partirà dal recupero degli edifici di archeologia industriale.
L’ordine di grandezza degli investimenti? E il ruolo dei privati?
Dei 45 milioni complessivi previsti per il piano di interventi Ravenna 2019 pensiamo che 11 possano provenire dagli imprenditori privati. Consideriamo poi un piano infrastrutturale da circa 400 milioni che riguarda le vie di collegamento, il porto, la darsena di città e in questo caso si ipotizza una co-partecipazione dei privati di circa 150 milioni.
Come vale per altre città Ravenna partecipa come capofila di un sistema territoriale più articolato, che senso ha questa scelta?
La candidatura deve essere di una città capofila ma nel nostro caso è stata fortemente voluta dalla Regione Emilia Romagna e da alcune città limitrofe come Rimini, Forlì e Cesena, Faenza, Lugo e Cervia, tutti collaborativi a partire dal tema dell’ospitalità. In un raggio di 50 km il territorio si caratterizza per un’interessante complessità, includendo il rapporto con la terra e il valore aggiunto della fascia costiera, favorita da un buon sistema di collegamento. Una reale città metropolitana.
Quali sono le tappe salienti del vostro processo di avvicinamento alla candidatura?
Quella di Ravenna è una candidatura fatta in casa. Non abbiamo chiamato consulenti esterni per la definizione dei contenuti dei dossier, siamo una squadra molto giovane: coordino un team di trentenni. L’iter è iniziato nel 2007 quando abbiamo fatto il primo viaggio a Bruxelles per cercare di inquadrare l’argomento, abbiamo iniziato allora a costruire un sistema di relazioni preziose. Va evidenziata anche la continuità politica che è fondamentale per il successo dell’iniziativa: l’attuale sindaco era in carica quando è stata lanciata la candidatura e il suo mandato scadrà nel 2016.
Fabrizio Matteucci Sindaco di Ravenna
Dal suo punto di vista quali sono le carte vincenti per Ravenna capitale della cultura?
La valorizzazione delle giovani competenze locali dà sicuramente garanzia di durata al percorso, e sarà preziosa anche per la costruzione della classe dirigenziale. Ravenna è una città con un alto profilo di proposta culturale capace di raggiungere le più avanzate esperienze culturali ed europee. Ancora, la città è connessa con il mondo, sia in termini di idee che pensando alle vie di collegamento.
Alberto Cassani Coordinatore Ravenna 2019
C’è qualche elemento di debolezza, qualche priorità per cui si necessita particolare attenzione e urgenza?
Rispetto alle più avanzate città europee c’è un legame esasperato con il passato, si rileva un forte conservatorismo nel vedere le cose. Su questo fronte Ravenna è specchio dell’Italia con alcuni effetti rafforzati da una tradizione solidaristica abbastanza radicata e dalla stessa crisi. Conseguenze? C’è un rapporto contraddittorio con l’Europa e il resto del mondo, si riscontrano carenze infrastrutturali legate alla politica e all’economia, ne esce un’idea di società frantumata che ha un rapporto critico con le classi dirigenti e politiche. Siamo su un crinale e la candidatura ci po’ aiutare a voltare pagina.
COMUNE DI RAVENNA
Siena gli elementi meno conosciuti della città. Vogliamo favorire uno scambio continuo tra cittadini e visitatori perché entrambe le categorie si possano arricchire. Oggi solo un turista su 20 dorme in città, Siena è generalmente la tappa di un itinerario più complesso, viene visitata e goduta in poche ore.
Sindaco, concretamente, a cosa pensa?
Tutti conoscono il Palio di Siena, vorrei lavorare per mostrare cosa ci sta dietro la corsa di un giorno. Questa secondo me è la chiave: raccontare il livello di coesione sociale, dimostrare cosa esprimono le tradizioni secolari, l’alto livello di partecipazione e di volontariato (a Siena c’è il più alto numero di donatori di sangue). Le contrade sono sinonimo di controllo sociale e si vede quando si leggono le statistiche sulle città sicure, motivo che si aggiunge alla qualità didattica per i tanti studenti stranieri che scelgono Siena come città universitaria.
Qual è il target di riferimento del vostro piano di rigenerazione? I turisti, gli studenti, chi altro?
Bruno Valentini Sindaco di Siena
Quando è nata l’idea di candidare Siena al titolo di capitale europea della Cultura?
Il fallimento di Monte dei Paschi ha avuto ricadute pesanti nell’economia cittadina e serviva un’azione rapida. L’idea è stata quella di passare dalla rendita all’innovazione, di convertire la città da teatro delle conseguenze della cattiva finanza a modello dove ci sia spazio per la creatività e le politiche culturali, con risvolti internazionali. Un obiettivo che non è un optional ma una necessità. Siena ha un ricco patrimonio di cultura, storia e turismo, e in questa nuova fase stiamo andando verso un modello socioeconomico che ha l’ambizione di produrre cultura e di distribuirla. In sintesi: non vogliamo ospitare eventi ma produrli.
Si corre per vincere, ma se Siena non si aggiudicasse il titolo andrà comunque avanti in questa direzione?
Abbiamo già firmato un accordo con la Regione Toscana dichiarando che comunque vadano le cose parte dei fondi strutturali relativi al turismo e alla cultura andranno destinati ad un grande progetto per Siena.
Quali strategie Siena può mettere in atto per lavorare sulla sua identità, tenendo in considerazione la fragilità della situazione e la scarsità di risorse economiche a disposizione?
Siena gode già di una grande visibilità in campo turistico, diventare capitale della cultura potrebbe tradursi anche in un eccesso di attenzione, per questo va valutato a priori come evitare di farsi consumare dal turismo di massa, comunicando meglio
È un piano per tutti e l’unicità è data dalla condivisione dello stesso tessuto sociale. Dobbiamo valorizzare ciò che siamo e cogliere le differenze: Siena è una città di 54mila abitanti che può promuoversi come esempio di italianità. Inoltre il territorio è l’unico al mondo con quattro siti Unesco.
In termini di rigenerazione urbana come immagina Siena nei prossimi cinque anni?
Siena ha un equilibrio architettonico e urbanistico troppo delicato. Nel 1965 è stata la prima città al mondo a chiudere il centro alle automobili e anche oggi vogliamo portare avanti una strategia di pedonalizzazione e di mobilità dolce. Siena deve riutilizzare i suoi spazi per attirare le giovani generazioni dall’Italia e dal mondo, creare i servizi necessari perché le loro idee si trasformino in imprese. Se in Italia la storia dell’arte vale l’8-9% del Pil bisogna trasformare le idee in musei e iniziative legate al turismo sostenibile.
Che ruolo possono avere i privati?
I privati devono saper gestire le start up culturali. Abbiamo realizzato una mappa con i luoghi che possono essere rigenerati e valorizzati, la Fonazione Monte dei Paschi è partner del progetto, a questo punto ci aspettiamo anche la collaborazione delle Università che ci dovranno mettere in contatto con gli studenti. I privati devono facilitare i processi, spianare la strada per trovare idee nuove da vendere sul mercato aperto.
Come si traducono queste iniziative in termini di progetti fisici per la città?
Nel riuso di immobili che hanno bisogno di trovare una nuova vita per fare in modo che il ripopolamento avvenga tenendo insieme il contesto ambientale e la nuova funzione. Questo percorso è stato iniziato ad esempio al Santa Maria della Scala, dove un ricco complesso museale ha trovato posto all’interno di uno dei più antichi ospedali europei che da alcuni anni ha esaurito le proprie funzioni sanitarie.
Sindaco dal suo punto di vista quali sono le carte vincenti per Siena capitale della cultura?
Nel mondo tutti sanno cos’è Siena. Vogliamo partire da qui per impostare una nuova offerta culturale. Vorremo fare un concorso per realizzare proprio all’interno del Santa Maria della Scala un centro culturale permanente, un sorta di “pronto soccorso culturale” accogliente, capace di agire su alienazioni e solitudini moderne di giovani e anziani. Un progetto concreto per dimostrare che oggi la cultura è la leva dell’innovazione. In sintesi Siena si giova tre carte: vuole cambiare il suo modello economico da rendita, a cultura da produrre; favorire uno scambio con i turisti che per ora consumano senza ricadute importanti per la città; utilizzare e innovare il tessuto architettonico e sociale.
Pierluigi Sacco
Direttore di Siena 2019
Quali sono i principali obiettivi del vostro progetto di candidatura?
Siena2019 si fonda sul rapporto tra patrimonio e innovazione sociale: la città corre il rischio di diventare un parco tematico del turismo culturale, ecco allora l’idea di voler fare del patrimonio una leva, una frontiera dell’innovazione. Intendiamo affrontare il rapporto tra salute e cultura dimostrando la capacità di alcune terapie note a scala europea di riuscire proprio attraverso la cultura a migliorare il benessere cittadino. Il secondo tema è strettamente legato all’emarginazione dei giovani dal mondo del lavoro promuovendo forme di multiculturalismo attivo. Ancora, in una città con 8 milioni di visitatori l’anno, per 53mila abitanti, è fondamentale sviluppare modelli che promuovano la permanenza in città rendendo i turisti dei cittadini temporanei.
Il progetto di candidatura molto spesso va oltre i confini della città capoluogo, vale anche per Siena?
Il piano Siena2019 include i 36 comuni della provincia ma sono già stati firmati accordi formali anche con Firenze e Vinci: nel 2019 ci sarà anche un programma per i 500 anni di Leonardo e le iniziative potrebbero essere condivise a scala territoriale. I nostri progetti mirano a coinvolgere l’intera piattaforma regionale toscana. La Regione tra l’altro è il principale sostenitore finanziario del progetto mettendo a disposizione una somma di 40 milioni su un budget complessivo di 72,5.
Emergenze, priorità per Siena?
Abbiamo scelto di non costruire nessun nuovo teatro, museo o auditorium ma abbiamo fatto una mappatura accurata con parecchie decine di spazi inutilizzati, molti di notevole pregio, che potrebbero diventare contenitori culturali per attività interessanti. Riprendiamo l’esperienza dell’Ilaud di Giancarlo De Carlo che è rimasta incompiuta, architecture without building, vogliamo lavorare sui temi dell’architettura radicale confrontandoci con la città storica e immaginando nuove modalità di fruizione culturale.
Sicuramente le infrastrutture: Siena ha bisogno di migliorare l’accessibilità su ferro e su gomma. Siena è collegata a Firenze con un asse critico e i tempi di percorrenza sono lunghi; bisogna intervenire anche nel collegamento Siena-Roma. Il riconoscimento delle urgenze della città è stato per Siena la base del progetto: la città non vuole fare autopromozione ma usare la candidatura per approfondire temi seri e concreti. L’urgenza resta quindi legata alla ricostruzione economica della città dopo il fallimento del Monte dei Paschi e di tante aziende, compreso il commissariamento, con ricadute dirette sulla perdita di fiducia e sullo scoraggiamento nei confronti del futuro. La candidatura è stata l’occasione per rilanciare la città facendosi ispirare dai temi legati alla cultura.
Che opportunità ci sono per gli imprenditori?
Ricostruire Siena partendo dalla cultura, come?
Guardando al tema della rigenerazione urbana, quali sono le vostre priorità?
Grandi possibilità di lavoro ma non legate solo all’edilizia tradizionale, cerchiamo proposte di alto valore aggiunto. Tra i nostri partner c’è anche un ex soprintendenze che in Svezia si sta adoperando per recuperare in modo innovativo il patrimonio storico, puntiamo al restauro e alla trasformazione e siamo convinti che anche da qui possa ripartire il settore delle costruzioni.
Siena può ospitare un polo della produzione digitale legata al patrimonio, può essere una grande realtà internazionale e stiamo stringendo accordi con guru di tutto il mondo per mettere in piedi questa realtà d’eccellenza assoluta. Siena che è stata la prima città italiana interamente cablata nella prima stagione di internet, può sperimentare un nuovo modello offrendo servizi a cittadini e turisti.
Siena e i progetti europei, che tradizione ha la città su questo fronte? Siena ha una buona tradizione. Insieme ad altre realtà di primo livello è all’interno di un programma finanziato dalla comunità europea per dimostrare come i cluster creativi possano cambiare l’economia locale. Stiamo programmando inoltre nuove partecipazioni a bandi europei (Connect, Horizon).
Quale bagaglio ha acquisito come coordinatore dopo il percorso di candidatura della sua città?
In vent’anni di lavoro non avevo mai trovato un tema tanto complesso e tanto affascinante: non ripeterò mai più l’esperienza perché è veramente impegnativa e si richiedono troppe energie. Ma la sfida è avvincente: Siena ha bisogno di rinascere culturalmente ed economicamente, ci stiamo attivando per avere risorse anche in caso di mancata vittoria. D’altra parte non vincere il titolo comporterebbe enormi problemi e controversie su scala locale, faremo di tutto per far sopravvivere il lavoro fatto, ma la realtà dice che le città che perdono possono subire un grave contraccolpo.
Bruno Valentini Sindaco di Siena
Pierluigi Sacco Direttore di Siena 2019
Perugia
Andrea Romizi Sindaco di Perugia
Com’è nata in Umbria l’idea di correre per il titolo di capitale europea del 2019?
Tutto è iniziato cinque anni fa. Il primo passo lo fece il Comune di Assisi, poi si è deciso di lavorare a una candidatura strutturata, del capoluogo di regione, insieme ad Assisi e all’intera Umbria. L’obiettivo era e resta imprimere una svolta culturale al percorso di sviluppo della città e della regione. Il concept di Perugia 2019 fa infatti riferimento alla crisi della città media e al suo rilancio nel segno di un forte cambiamento fondato sulla cultura e l’innovazione. Perugia vuole diventare una moderna città europea universitaria e della conoscenza, al servizio di un nuovo sviluppo dell’intera regione.
Avete pensato un progetto per i turisti? I cittadini? Gli studenti?
È un progetto per la città e per la regione, per tutti i cittadini e in primo luogo per gli studenti e per i giovani ad alta qualificazione, che in Umbria sono molti ma nelle nostre città trovano poche opportunità di impiego adeguato alle competenze acquisite. Il progetto di candidatura si propone, oltre che di valorizzare in modo innovativo il grande patrimonio culturale di Perugia e diffuso in tutta la regione, di sostenere lo sviluppo di nuova imprenditorialità giovanile ad alta qualificazione nelle tante attività economiche legate alla cultura e alla creatività.
Perugia rappresenta la città-media italiana. Come si immagina la città nei prossimi cinque anni?
Perché la commissione dovrebbe scegliere Perugia?
Perugia negli ultimi decenni è cresciuta molto in abitanti e in estensione territoriale, consumando molto territorio. Ora ha bisogno di una forte rigenerazione urbana, nelle periferie ma soprattutto nel centro storico, che di quella crescita estensiva è stato vittima, avendo perso molti residenti e molte attività economiche. La Perugia dei prossimi anni deve segnare una discontinuità rispetto alla crescita estensiva, diventando città della crescita qualitativa. E quindi indubbiamente riqualificazione e riuso di molte strutture da tempo abbandonate o utilizzate malamente, non certo nuove costruzioni.
Il principale punto di forza della nostra candidatura è che il progetto esprime una radicale necessità di cambiare, di reinventare il futuro della città a partire dalla cultura e dalla conoscenza, quindi dalle nostre università e istituzioni culturali, per rispondere ad una crisi di identità e di prospettive e per invertire il lento scivolamento sociale ed economico. Per questo, accanto e strettamente integrato ad un programma culturale innovativo, è stato formulato anche un piano strategico, fatto di un insieme di strategie e azioni concrete volte a imprimere una svolta culturale allo sviluppo della città e anche della regione.
Quali sono i progetti di riqualificazione e riuso di strutture abbandonate che l’Amministrazione considera prioritari?
Si corre per vincere, ma se Perugia e Assisi non vincessero, come contate di portare avanti i progetti sviluppati in questi mesi?
L’ex mercato coperto e le aree circostanti dove si trova una grande struttura dismessa da anni, l’ex carcere, un’area di grande valore urbanistico da riconnettere al resto della città. Il progetto di candidatura prevede che venga realizzata un’infrastruttura di collegamento tra l’università, e più in generale le istituzioni di alta formazione, e la nuova economia della città legata alla cultura, startup culturali e creative. Vedremo se ci saranno le condizioni per realizzarlo nell’ex carcere o, in alternativa, nell’ex mercato coperto, o diffusamente nel centro storico.
Se un imprenditore volesse investire nella vostra città, quali progetti buoni (e concreti) segnalerebbe il sindaco? Nei prossimi anni Perugia, con altre città umbre di maggiori dimensioni, potrà contare sulle risorse del nuovo ciclo di programmazione europea e in particolare quelle relative all’Agenda urbana; ma saranno risorse limitate e quindi il ruolo dei privati sarà comunque decisivo, se si vorranno realizzare trasformazioni urbane importanti. I progetti più rilevanti su cui i privati potranno intervenire sono proprio quelli dell’ex mercato coperto e dell’ex carcere.
Il budget previsto per la manifestazione è relativamente sobrio, perché siamo convinti che con la perdurante grave crisi che attraversa l’Italia sia necessario fare di tutto per realizzare un programma di qualità senza eccedere nelle spese. Il nostro è peraltro un budget relativamente sobrio anche nella parte degli investimenti infrastrutturali, perché gli interventi vogliamo realizzarli effettivamente nei prossimi quattro o cinque anni, che è un tempo piuttosto limitato. E vogliamo realizzarli indipendentemente dal conseguimento del titolo perché Perugia ha bisogno di una svolta culturale per il suo sviluppo futuro. Una svolta che il titolo di capitale europea della cultura accelererebbe di molto, ma di cui abbiamo bisogno in ogni caso.
Bruno Bracalente
Presidente della Fondazione Perugiassisi 2019
La candidatura a capitale europea è un’occasione per rigenerare la città. Qual è la strategia di Perugia?
La priorità per Perugia è il centro storico. Un caso un po’ singolare rispetto ad altre candidature di città italiane ed europee, che in genere hanno privilegiato la rigenerazione delle periferie e delle aree industriali dismesse. È stato così a Glasgow ed Essen e in qualche modo anche a Genova che è stata l’ultima città italiana capitale europea della cultura. Puntiamo a contrastare la deriva dei centri storici, che oggi stanno paradossalmente assumendo un ruolo “periferico” dal punto di vista economico e sociale: abbandonati da attività commerciali ed artigianali e anche da molte funzioni direzionali e quindi dalla popolazione.
Interventi nel centro storico, come?
La rigenerazione urbana per noi passa attraverso la promozione di nuove funzioni culturali ma soprattutto attraverso l’insediamento nel centro storico di attività economiche legate a quell’idea europea di cultura che non significa tanto valorizzazione del patrimonio e degli aspetti monumentali, quanto creazione di nuove idee, industrie culturali e creative. Tutte attività che nei centri storici possono trovare persino dei vantaggi localizzativi. Il centro storico di Perugia è disseminato di vuoti urbani che vanno riempiti con destinazioni e usi adatti a ricomporre un tessuto economico e sociale oggi lacerato. Perugia soffre per questioni legate alla microcriminalità: servono progetti capaci di ridare vitalità economica e qualità sociale a un centro storico come il nostro, molto bello ma con tante problematiche.
Recupero e riuso di strutture dismesse quindi, qualche progetto concreto? I più rilevanti sono l’ex carcere, a ridosso del centro storico, e l’ex mercato coperto, in pieno centro. Due luoghi da recuperare per insediare attività economiche; start up innovative nell’ex carcere e iniziative legate ad esempio ai prodotti tipici del territorio, come l’agroalimentare nell’ex mercato coperto; con servizi, formazione e attività culturali connesse, in entrambi.
Una stima degli investimenti?
Per l’ex carcere, sezione maschile, è previsto un intervento da circa 20milioni nei tempi della candidatura. In questo caso l’operazione potrà essere anche molto più complessa: se si include anche la sezione femminile si stima un investimento possibile dell’ordine di oltre 100 milioni di euro con un mix funzionale che prevede anche residenze. Per l’ex mercato si parte con un piano da 6 milioni, ma anche questo potrà essere ampliato e ulteriormente sviluppato.
Alcune operazioni di trasformazione urbana sono già in corso. Interventi puntuali e diffusi, qualche esempio?
Oltre a quelli già indicati, la ex Chiesa di San Francesco del Prato è in corso di restauro e diventerà un auditorium, l’ex cinema Turreno sarà riconvertito con un investimento di circa 5 milioni di euro e diventerà uno spazio per grandi spettacoli, il Museo Civico di Palazzo Penna in corso di trasformazione come centro per l’arte contemporanea. E ancora, l’ex stadio di Santa Giuliana, già oggi usato per grandi eventi come l’Umbria Jazz, sarà attrezzato per spettacoli all’aperto. In un’area adiacente l’ex mercato coperto è pronto il progetto di una nuova biblioteca e mediateca, pronta per essere costruita.
Un importante di investimenti. Che ruolo avranno i privati?
Per realizzare tutto quanto previsto cercheremo di intercettare risorse nell’ambito della programmazione europea 2014-20, ma contiamo ovviamente su un miglioramento del ciclo economico e sulla conseguente partecipazione di imprenditori privati, che è in ogni caso necessaria.
Presidente, quali ritiene siano i punti di debolezza su cui si dovrebbe intervenire da subito?
Il principale è un certo deterioramento dell’immagine di Perugia, dovuto a nuove emergenze sociali e problemi di microcriminalità. La città è stata troppo spesso associata a noti fatti di cronaca che, attraverso la stampa nazionale, le hanno fatto perdere punti in termini di attrattività. Effetto immediato? È calato di molto il numero di studenti nelle nostre università.
In termini di infrastrutture, quali sono le urgenze per Perugia e per l’Umbria?
L’accessibilità e i collegamenti, in particolare ferroviari, sono problemi annosi. Non è tanto questione di nuove infrastrutture quanto di servizi di collegamento con l’alta velocità e con i principali poli urbani del Paese. L’aeroporto ha fatto molti progressi ma non è ancora al centro di grandi flussi di traffico. E problemi ci sono anche nella mobilità urbana. Il Minimetrò è spettacolare e dimostra la capacità della città di essere moderna, e di saper proseguire l’esperienza pioneristica delle scale mobili, realizzate esattamente trenta anni fa all’interno di un monumento simbolo della città. Ma rimane irrisolto il problema dei collegamenti tra le diverse parti di una città che si articola in una cinquantina di frazioni, alcune delle dimensioni di piccole città, non ben collegate tra loro né con il centro storico.
Perché quindi la commissione dovrebbe scegliere Perugia come capitale della cultura?
Direi, non troppo paradossalmente, perché ne ha una grande necessità. Perugia ha bisogno di questo progetto e di questo titolo per rovesciare una tendenza altrimenti di possibile declino, che si legge, come ho già detto, anche nella perdita di studenti iscritti alle nostre università.
Andrea Romizi Sindaco di Perugia
Bruno Bracalente Presidente della Fondazione Perugiassisi 2019
Matera
Sindaco di Matera
La decisione è maturata all’interno di un lungo percorso che Matera ha fatto a partire dal secondo dopoguerra. La città ha subito una serie di importanti accelerazioni: è stata pienamente recuperata la vecchia città avendo cura di integrare i nuovi quartieri che sono stati costruiti sulla base del Prg di Luigi Piccinato approvato nel 1959. Sempre negli anni Cinquanta grazie all’attenzione di Adriano Olivetti è stato realizzato il primo esperimento di borgo contadino a La Martella. A partire da questo grande patrimonio materiale e culturale, nel ’93, la città dei Sassi è stata inserita nel Patrimonio dell’Unesco, e oggi, vent’anni dopo, abbiamo deciso di attingere a questa eredità straordinaria per fare un passo avanti e centrare l’idea di sviluppo legata ad un territorio più ampio. La candidatura è stata fatta in nome e per conto di una regione, della grande area mediterranea, per dire al resto del mondo che dal sud dell’Europa
Dobbiamo dare da lavorare a muratori, scarpellini, artigiani ma non più come è avvenuto negli anni scorsi per costruire case nuove, quartieri nuovi. Dobbiamo rigenerare quello che c’è, immaginare un percorso per i prossimi 10-20 anni capace di risistemare quello che è stato fatto finora.
Matera ha ottenuto un finanziamento di 5 milioni e stiamo predisponendo il bando di gara. Nell’ambito dello stesso progetto avevamo presentato altri quattro ambiti. Altri 5 milioni andranno proprio a La Mantella dove recupereremo il teatro e il centro sociale, 800mila euro andranno per il verde, interventi necessari in un borgo abbandonato a 60 anni dalla sua fondazione, su un’impostazione visionaria per il tempo concepita da Olivetti e Quaroni.
E da quali quartieri bisognerebbe partire?
Che significato ha per il sindaco Adduce la partecipazione?
Tra i quartieri che meritano un intervento profondo c’è la parte di città costruita tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900: qui serve un’attenzione straordinaria anche in considerazione di qualche guaio grande che è stato fatto. A gennaio è crollata una palazzina e sono morte due persone. Il problema prioritario che si pongono la città e la regione è quello della messa in sicurezza del patrimonio edilizio. Servono proposte.
Salvatore Adduce Sindaco, come le è venuta l’idea di candidare la sua città a capitale europea della cultura?
Per il sindaco Adduce come si concilia la politica del ‘no consumo di suolo’ con quella della ‘rigenerazione urbana’?
arriva l’esempio creativo e innovativo di città e cittadinanza.
Competizione tra le città. Nonostante le risorse scarse, quali strategie le Pa possono mettere in atto per lavorare sull’identità visiva e sulla loro reputazione?
Condividiamo l’idea di dover mettere alle spalle la pratica dell’occupazione forsennata del suolo. Da sindaco, oltre che da presidente del comitato Matera 2019, mi occupo di gravi problemi economici e sociale che stiamo vivendo per colpa della crisi: il settore delle costruzioni è in caduta libera. Basta guardare i numeri delle aziende chiuse, dei fallimenti, della disoccupazione. Quindi, dobbiamo da un lato frenare l’occupazione del suolo, dall’altro incoraggiare e dare fiducia perché l’altro tema chiave è quello della rigenerazione urbana.
E se un imprenditore arriva in città pronto per investire, che garanzie le può offrire?
Lo sfiderei sul suo campo. Chiedo ai costruttori di non accontentarsi di fare proposte per costruire nuovi palazzi ma di fare progetti intelligenti che coinvolgano i cittadini. Bisogna pensare ad una modalità alternativa per partecipare alla rigenerazione dei quartieri. Ancora, per i privati mettiamo a disposizione un ufficio burocratico unico e attrezzato, insieme alla Camera di Commercio di Matera, con l’obiettivo di velocizzare e facilitare le procedure.
Il mercato riparte anche a fronte di investimenti pubblici, ci ricorda le vostre azioni in questo senso?
Guardiamo al nuovo ciclo di finanziamenti comunitari 2014-20 per investire sulla messa in sicurezza del territorio. C’erano edifici nati con un solo piano che oggi sono alzati e sono di tre o più livelli: è questo il tema su cui concentrare l’attenzione. Abbiamo presentato un progetto per il Piano-Città che prevedeva la demolizione di una scuola e la ricostruzione con criteri di bioarchitettura,
Abbiamo più volte riflettuto sul tema anche con la Fondazione Olivetti sul fatto che, quando si programmano le cose da fare, bisogna considerare che i cittadini sono i nuovi committenti.
Matera si trova in una posizione decentrata rispetto ai grandi flussi, in quale direzione vanno le vostre strategie in termini di infrastrutture e mobilità?
Premesso che il Sud è deficitario per oltre il 40% rispetto al Nord in termini di infrastrutture, interrompiamo il circolo vizioso e lamentoso e facciamo i conti con quello che abbiamo e che funziona. Non chiediamo l’aeroporto in Basilicata, a Bari c’è un buon hub che dista 40 minuti dalla nostra città, mettiamo quindi a valore quella grande infrastruttura anche rispetto alle nostre esigenze. La piccola ferrovia che collega Matera e Bari va rimodernata ed efficientata. Concentriamoci quindi sulla rigenerazione anche in questo senso, piuttosto che lasciare le nuove iniziative sulla carta.
Paolo Verri
Direttore del comitato Matera 2019
La principale sfida per Matera 2019?
Superare il ‘900 ed entrare nel XXI secolo. La grande sfida è essere una città contemporanea. Bisogna ragionare in chiave europea.
Direttore Verri, qual è l’essenza del vostro progetto di candidatura?
Il progetto si fonda sulla consapevolezza che la Cultura non è un prodotto che qualcuno fa e che qualcun altro consuma, ma sul fatto che la Cultura è ingrediente della vita dei cittadini. Ecco perché in questi due anni li abbiamo coinvolti con un’intensa attività di laboratori di partecipazione. La Cultura è condizione per lo sviluppo urbano: bisogna saper mettere al centro i saperi umanistici e scientifici. Consideriamo quindi i cittadini come abitanti culturali che si fanno responsabili della propria città e dei propri beni e non demandano agli altri la manutenzione dei medesimi. Ecco perché per il successo dell’operazione non possiamo prescindere della partecipazione del pubblico e del privato.
Come si può tenere ad obiettivi alti con risorse economiche limitate?
In assoluto le risorse non sono limitate, ma è confusa la governance: c’è poca voglia di coagularsi intorno ai progetti ambiziosi, è più facile frammentarsi, affermare il punto di vista personale piuttosto che difendere quello collettivo.
Come si traduce questa riflessione in termini di politiche di trasformazioni urbane?
Sistemare e costruire scuole nuove è una sfida interessante che convoglia significativi investimenti dello Stato e può far maturare nuovi modi di intervento, forme di coinvolgimento tra le famiglie, progettualità alternativa da parte delle imprese. Il tema delle scuole è un buon riferimento per descrivere come un progetto possa essere un catalizzatore di risorse e opportunità, e non può essere semplificato e ridotto ad una questione di bandi che qualche impresa di qualità si aggiudicherà. La sfida è nei tempi lunghi, il nostro motto è Festina Lente, affrettiamoci lentamente: velocità
operativa senza aspettarsi un risultato domani mattina.
Il piano per Matera 2019 va oltre il perimetro della città, la rigenerazione urbana su quali temi si concentra?
Il progetto di candidatura coinvolge l’intera regione, che include la campagna e arriva al Cilento. Non siamo interessati a costruire nuove porzioni di territorio ma ad esempio a riprendere la sperimentazione messa in atto da Adriano Olivetti che in questa città aveva fatto un borgo concepito come utopia della costruzione agricola. Sperimentazione anche sul fronte della mobilità e delle connessioni, penso alla linea AV Napoli-Bari e al potenziamento della dorsale adriatica, per quanto riguarda il turismo in linea di principio puntiamo sulla mobilità slow.
Quali sono i principali progetti culturali attorno al quale ruota la programmazione culturale di Matera2019?
L’Istituto demoetnoantropologico (I-Dea), luogo in cui arte e scienza si incontreranno a partire dagli archivi condivisi reperiti in regione, in Italia e in Europa; e l’Open Design school che a partire dal 2015 permetterà di creare una nuova generazione di designer con capacità e competenze necessarie a sviluppare localmente gran parte delle strutture e delle tecnologie indispensabili per realizzare il cartellone di Matera 2019.
Dal suo punto perché Matera ce la può fare in questa sfida?
La carta vincente sono i cittadini che ci stanno credendo e che danno a tutti una spinta. Il messaggio è stato condiviso in modo capillare, abbiamo bisogno di questo spirito collettivo e alla fiducia nel potenziale di attrattività. Matera ha sofferto per lo svuotamento dei Sassi, ora si proietta verso il titolo di capitale europea, questo gap secondo noi deve essere riempito con neuroni!
Dalla direzione del Salone del Libro di Torino al più recente incarico come direttore dei contenuti espositivi del Padiglione Italia per Expo 2015, in questo suo viaggio accanto alla città di Matera, quale bagaglio ha acquisito? Se ce n’era bisogno ho completato un percorso nazionale. A Torino come direttore del Salone del Libro abbiamo fatto squadra per diffondere il tema della lettura, qui a Matera la mia parola d’ordine non è (solo) vincere ma fare progetti duraturi capaci di dimostrare la vitalità del Sud. Nel Mezzogiorno, dati Svimez, si concentrano le forze più fresche del paese e iniziative con potenzialità pazzesca. Le città che si candidano a capitali europee spaziano dalla cultura di massa a iniziative raffinatissime, Matera è una città d’elezione dove mi confronto con l’immensamente grande e l’immensamente piccolo.
Salvatore Adduce Sindaco di Matera
Paolo Verri Direttore del comitato Matera 2019
Un suo consiglio per gli operatori interessati alla vostra regione?
More brain and less brix. Le imprese devono essere innovative nei tempi e nei materiali, non si guadagna più in senso classico e tradizionale. Oltre all’Open Design school stiamo sviluppando progetti formativi legati al restauro, essendo questo il secondo polo in Italia: vogliamo promuovere una diversa cultura del materiale, da quello antico a quello contemporaneo, partire anche da qui per sviluppare un nuovo modo di fare rigenerazione. Ancora, ci sono strutture turistiche di alto livello, tanti altri devono migliorare i loro standard per accogliere cittadini di tutt’Europa e farli sentire abitanti dei Sassi.
COMUNE DI MATERA
Lecce dovremo garantire un buon servizio, alta qualità della vita, garanzie di sicurezza che hanno trovato altrove. Il nostro ritardo è di carattere culturale: Lecce è una città del Mezzogiorno che in linea generale ha avuto poca attenzione per quello che è pubblico.
Come le è venuta l’idea di intraprendere questo percorso verso il 2019?
Era l’agosto del 2011. Volevo trovare uno slogan per la campagna elettorale del mio secondo mandato, ho visto c’erano già una ventina di città candidate, mi sono documentato, abbiamo cercato un direttore artistico che ci potesse guidare, e siamo partiti.
Avete scelto un direttore artistico internazionale, perché?
Ho voluto evitare di correre il rischio di presentare un dossier basato sull’autocelebrazione di ciò che siamo. Siamo partiti dai nostri punti di debolezza: Lecce è una città bellissima ma povera.
Paolo Perrone Sindaco di Lecce
Cos’è la Cultura per il sindaco Perrone? È un modello, uno strumento di crescita non solo economico e sociale, per il 2019 abbiamo scelto di inseguire l’idea di una città utopica, perfetta e irraggiungibile, verso cui tendere. Questo obiettivo ci servirà per accelerare il cambiamento e garantire qualità di vita a chi abita e a chi arriva o passa nella nostra città. Per il 2019 ci siamo candidati perché riteniamo che l’aspetto culturale e identitario siano determinanti per una città dell’accoglienza com’è Lecce. I turisti girano il mondo non solo per vedere cose ma per vivere esperienze. Si è fatto molto su questo fronte, tanto che si parla anche di Salento style, ma molto si può ancora fare.
Quali strategie le PA possono mettere in atto per lavorare sull’identità visiva e sulla reputazione delle città (considerando la scarsità di risorse economiche a disposizione)?
La scarsità delle risorse è un freno, ma Lecce è una città fortunata perché ricadendo in
un’area Obiettivo 1 può contare sulle risorse europee. In questi anni siamo ricorsi spesso ai finanziamenti comunitari, senza attingere direttamente dai nostri bilanci, e si vedono i risultati. Solo considerando i beni culturali oggi abbiamo cantieri aperti per 70 milioni di euro e molti sono progetti di rigenerazione urbana.
Quali sono secondo lei i criteri che distinguono un buon progetto?
Oggi per noi la questione estetica non è predominante, o meglio, non è l’unico valore. Ci stiamo concentrando sull’uso degli spazi. Se realizzo una piazza, mi devo chiedere “per farne cosa? Per chi?”. Ancora, se penso ai tanti studenti universitari che frequentano questa città immagino per loro una città accogliente e funzionante.
Cosa bisogna fare perché Lecce sia a tutti gli effetti una città internazionale?
Se il nostro territorio appartiene potenzialmente ai cittadini del mondo
Se un imprenditore si presentasse in Municipio e le chiedesse “sindaco, su cosa vale la pena investire”, cosa risponderebbe?
Il primo tema mi viene in mente è l’accoglienza in relazione ai beni culturali. Ma ci sono tanti altri campi interessanti. Lecce è sempre stata la Cenerentola rispetto a Brindisi e Taranto che hanno investito sull’industria pesante: in quelle città il tasso di disoccupazione era pari a zero, ma oggi che chimica e siderurgia sono in crisi, con ricadute evidenti sull’ambiente e con conseguenze anche sullo sviluppo urbano, ci rendiamo conto che i beni monumentali e paesaggistici, in primis il mare, sono i tesori che noi dobbiamo valorizzare. Auspichiamo quindi investimenti nel settore del turismo e in tutte le attività a corollario capaci di incrementare le presenze in città.
Che conti si devono fare con la burocrazia?
Se faccio un benchmark con quello che vedo in giro, siamo veloci sui tempi.
Urbanistica e masterplanning, che ruolo hanno per il sindaco e per la sua amministrazione?
Contemporaneamente al dossier di candidatura stiamo lavorando al Piano urbanistico territoriale. Lecce fino ad oggi è stata progettata ‘a uovo fritto’ con un centro molto costruito e una periferia rarefatta utilizzata come dormitorio la notte, e deserta nell’arco della giornata. Con dei Contratti di Quartiere abbiamo da tempo iniziato a lavorare sulla periferia. Più in generale ora stiamo immaginando una città multifocale. Oltre ai beni culturali nel centro storico stiamo definendo un piano per i 20 km di costa.
Interventi sul waterfront quindi?
A Lecce generalmente non si viene per il Barocco ma per il mare. Ecco che con un progetto di 25 milioni (mix pubblico e privato) stiamo promuovendo un importante progetto nella fascia delle marine. Altri interventi importanti dovranno essere fatti sui borghi, in campagna, che saranno satelliti della città di Lecce. La campagna è un asset importante per l’offerta culturale del Salento (masserie, filiera produzione agroalimentare, vino e olio).
Che tempi prevede per il Piano urbanistico territoriale?
Entro il 2015 dovremo andare in adozione. La Regione avrà poi 180 giorni per approvarlo. Ragioniamo con un orizzonte decennale, una visione per i prossimi 15-20 anni.
Sindaco Perrone, come riesce ad ottenere consenso rispetto a scelte importanti che riguardano la trasformazione fisica del territorio?
Con la trasparenza e la condivisione. La partecipazione in fase preventiva è molto produttiva e razionale e si riescono a conciliare posizioni conflittuali, se fatta a cantiere aperta diventa insostenibile e inutile.
Raffaele Parlangeli
Direttore di Candidatura Lecce 2019
Da oltre 15 anni Lecce si aggancia ai programmi europei per trasformare la città, la candidatura per il 2019 rientra in questa linea strategica? Fin dal 1999-2000 con il programma Urban Lecce ha trasformato l’immagine della città intervenendo prima sulle strade e le botteghe del centro e poi nelle periferie. In seguito, con i programmi Interreg insieme alla Grecia e all’Albania e nel contesto adriatico, Lecce ha stretto forti relazioni dimostrando una capacità di saper fare programmazione e di saper gestire progetti complessi. Questa candidatura è una nuova sfida.
Qual è il concept del vostro progetto per il 2019?
La candidatura di Lecce si fonda sul tema della partecipazione: siamo partiti con l’organizzazione dei laboratori urbani creativi, il Comune sta lavorando con il contributo delle idee di 300 associazioni. Nel nostro programma, con lo slogan Reinventare Eutopia, Lecce lancia la sfida della costruzione di un futuro diverso e lo fa attraverso otto modelli sviluppati intorno a temi come la governance, l’istruzione, l’accessibilità, i giovani, lo sviluppo di posti di lavoro, l’ambiente, il turismo e la valorizzazione dell’arte. Otto modelli che hanno definito un programma di lavoro articolato per azioni e progetti mirati.
La candidatura e la rigenerazione urbana. Quali sono i temi, i nodi urbani, le infrastrutture essenziali per riuscire a Reinventare Eutopia? Lecce ha fatto una scelta importante: il progetto di candidatura è supportato da progetti infrastrutturali già in essere o in via di completamento. Abbiamo condiviso il progetto su più tavoli di lavoro ed ecco allora che il progetto delle ex Cave di Marco Vito, un’area di 330mila mq destinata a diventare la Città dell’Arte e della Musica (con un progetto di Alvaro Siza vincitore di un concorso di idee nel 2010, ndr), è entrato nel piano per il 2019. Lecce prevede di ribaltare funzionalmente l’area della stazione ferroviaria, migliorando la viabilità e l’accessibilità. Sommando tutti i progetti
in corso si stimano operazioni per un importo dell’ordine dei 20milioni, metà dei quali già in fase avanzata di cantiere. Lecce lavora anche ad altre operazioni come la creazione di un villaggio culturale nell’ex ospedale “A.Galateo” da anni dismesso senza un utilizzo, un polo multifunzionale per la logistica e per gli eventi, di stampo europeo.
Per la fase di progettazione, i professionisti possono aspettare qualche concorso?
Con l’Ordine degli architetti di Lecce abbiamo sviluppato un concorso di idee, Di.Ri.Go, con l’obiettivo di riqualificare la città e l’intera regione in un’ottica di smart city: ai professionisti si chiedono idee progettuali su singole porzioni del territorio, con particolare attenzione alle periferie, anche oltre la città di Lecce.
Qual è il ruolo dei privati?
Gli imprenditori sono in campo fin dal primo giorno e nel percorso di candidatura, all’interno del mondo del partenariato economico-sociale è nata Fucina Futuro (www.fucinafuturo.it) che ha il mandato di cercare soluzioni creative per attrarre risorse da un’ampia varietà di fonti. Fucina Futuro cercherà di motivare il settore imprenditoriale, dei professionisti, della società civile, alla scoperta dei numerosi modi in cui l’arte può contribuire allo sviluppo dell’impresa; non solo, promuoverà lo start-up di imprese e progetti socioculturali innovativi ed esemplari, attraverso forme di sostegno finanziario diretto e indiretto.
Lecce e non solo, il progetto di candidatura riguarda l’area ionico-salentino. Le potenzialità?
La candidatura ha una visione euro-adriatica. Logistica e mobilità sono legate all’aeroporto del Salento e al porto, elementi strutturali per la promozione e la realizzazione di eventi culturali e di manifestazioni sportive come quelle promosse già da anni a Brindisi e Corfù. Il progetto Lecce 2019 include un piano di riammaglio territoriale. E al comitato promotore hanno aderito 150 comuni dell’area ionica-salentina e tra i
sostenitori ci sono oltre 350 associazioni.
Direttore, per raggiungere gli obiettivi che vi siete prefissati, quali sono gli interventi urgenti? Bisogna sistemare una volta per tutte i collegamenti. Il Salento è molto esteso, dall’aeroporto di Brindisi a Leuca ci sono quasi 100 km, serve un trasporto agile e sostenibile, una soluzione che salvaguardi l’ambiente ma che garantisca una facile accessibilità al territorio.
Se dovesse immaginare un futuro vicino e descrivere Lecce nei prossimi anni, che città sarebbe?
Una smart city, una città delle opportunità, una città partecipata. Bellezza, luce, accoglienza sono questi i temi che vogliamo condividere con i cittadini europei. Tra i cittadini deve maturare un forte senso civico: nel centro storico il cambiamento si dovrà vedere nei servizi. Con il programma Urban abbiamo fatto molto ma l’impatto si dovrà vedere nella città diffusa, nella riqualificazione delle marine, della darsena, delle aree archeologiche da riqualificare e rendere fruibili e ancora nella sistemazione delle ex cave. Vogliamo immaginare contenitori culturali che possano funzionare in maniera organica.
Paolo Perrone Sindaco di Lecce
Raffaele Parlangeli Direttore di Candidatura Lecce 2019
Cagliari esistenti e sul sistema di reti materiali e immateriali. Se si offrono servizi strumentali si attirano investimenti e, come sta già avvenendo, i privati possono creare occasioni di lavoro. È una catena: realizzare le infrastrutture significa incentivare l’impresa e quindi rimettere in moto il mercato. Un esempio: qualche mese fa è entrata in funzione una tratta di metropolitana leggera che collega l’aeroporto con il centro storico in 7 minuti. È questo il tempo impiegato quindi da una persona che dalla stazione di fronte al Municipio deve raggiungere gli imbarchi in aeroporto. È uno dei migliori collegamenti in Europa.
Cagliari è nota per aver annunciato negli ultimi anni grandi progetti firmati da archistar. È cambiato il vento? © G. Alvito - Tera.vista
Massimo Zedda Sindaco di Cagliari
Sindaco, come si inserisce il progetto di candidatura nelle politiche e nella visione di trasformazione dell’area metropolitana di Cagliari?
Nel 2011, in campagna elettorale, abbiamo proposto un programma fatto di idee e progetti per la città. La candidatura a Capitale Europea della Cultura è poi servita come filo conduttore per legare una serie di interventi che avevamo già avviato nel 2013 con la visione strategica più ampia di città metropolitana, in un’ottica di condivisione con le altre città dell’Area Vasta e con il territorio che candidiamo. Nel percorso per il 2019 è stata valorizzata, perfezionata e ampliata la pianificazione strategica già avviata con lo sguardo rivolto al primo gennaio del 2020.
I vostri punti di forza?
La città stessa e il territorio che candidiamo. Ci stiamo distinguendo per le buone pratiche di governo della città. Abbiamo puntato sui temi del riuso e del recupero, dell’abbattimento dei consumi energetici,
del miglioramento del trasporto pubblico – e oggi abbiamo la flotta di bus più nuova in Europa – della riqualificazione di spazi pubblici e di immobili in stato di degrado e abbandono inserendo nuove attività produttive legate all’innovazione tecnologica. Cagliari gode di una straordinaria situazione di bilancio: abbiamo in cassa 260 milioni di euro, cantieri reali per un importo complessivo di 393 milioni di euro. Abbiamo utilizzato tutte le risorse europee del 20072013 e stiamo progettando in linea con la candidatura sui fondi POR e PON metro per il 2014-2020. Paghiamo le imprese a 30 giorni.
Cagliari sta lavorando per essere competitiva a scala europea, come?
Abbiamo le risorse per gli investimenti, l’accordo tra la Regione Sardegna e lo Stato consentirà lo sblocco di una parte importante delle risorse soggette ora al Patto di Stabilità. I risultati raggiunti ci consentono di confrontarci con le eccellenze europee e di ambire a superare alcuni di quei primati. Stiamo investendo sulle infrastrutture
Quelli sul Museo Betile di Zaha Hadid, sul campus universitario di Paulo Mendes da Rocha e sulla riqualificazione complessiva del quartiere di Sant’Elia di Rem Koolhaas non erano solo annunci. Erano progetti reali e finanziati: purtroppo al presidente dell’epoca, Renato Soru, subentrò una giunta regionale che li bloccò. La situazione è cambiata ancora: con la nuova guida della Regione siamo impegnati, in questi giorni, su questi e altri importanti temi.
La giunta Zedda come affida gli incarichi di progettazione?
Premiamo la qualità e non il massimo ribasso. Nei nostri bandi, con gli appalti integrati complessi o la finanza di progetto chiediamo di immaginare nuovi spazi che siano integrati con l’esistente.
Rigenerazione urbana a Cagliari. Investimenti? Temi?
Servono numeri ed alcuni esempi. A luglio sono partiti i cantieri per riqualificare, con 6 milioni di euro, tutti gli impianti sportivi comunali; abbiamo stanziato 20 milioni per migliorare la fruizione e la qualità di tutte le scuole di nostra competenza. È pronto l’innovativo servizio da 15 milioni di euro per la manutenzione di strade e marciapiedi; stiamo lavorando sui sottoservizi per eliminare lo spreco d’acqua, recuperarla e riutilizzarla per il verde pubblico. Ci
sono progetti già appaltati per il porto dei pescatori e per la riqualificazione di tutte le maggiori piazze della città. Abbiamo 20 milioni di euro per la valorizzazione del Parco del Molentargius, tutelato dalla Convenzione di Ramsar. Sono decine e decine i milioni che stiamo investendo sulla mobilità sostenibile, sulla metropolitana leggera, sui sistemi di scambio e sull’intermodalità. Ancora, grazie al ‘Piano Città’ stiamo lavorando sul quartiere di Sant’Elia e sui 111 milioni destinati a Cagliari ne sono già stati accreditati, e spesi, 11. Nove sono i milioni per il microcredito, per favorire la nascita di nuove imprese. Stiamo lavorando sulla portualità, l’aeroportualità e le reti ferroviarie.
L’Italia non si sta sbloccando per la lentezza burocratica e per la rigidità delle procedure, qual è il modello Cagliari?
Il sistema delle regole è fondamentale. Abbiamo approvato il piano di utilizzo dei litorali, tra poco approveremo il piano particolareggiato del centro storico e a cascata arriverà il piano urbanistico adeguato al Piano Paesaggistico Regionale. Abbiamo abbattuto i tempi ed eliminato procedure discrezionali. Chiunque contatti l’amministrazione ha risposte in tempi rapidi. I progetti più complessi partono e si concludono in 3 anni e mezzo, quattro: in linea con i tempi europei e dimezzando la media dei tempi italiani.
Maria Luisa Mulliri
Coordinatore dei progetti di rigenerazione urbana legati alla candidatura
Per la candidatura Cagliari 2019 il sindaco Zedda ha organizzato una squadra mettendo a sistema gli uffici dei diversi assessorati. Qual è il metodo e l’obiettivo?
Per Cagliari 2019 l’Amministrazione ha costituito un ufficio aggregando le risorse e le progettualità dei diversi Assessorati e Uffici e convogliando gli sforzi comuni all’interno della candidatura in una visione strategica costruita sui piani della trasformazione urbana. La logica della legacy integra la ricerca dell’innalzamento delle competenze interne. I piani affrontati mettono in connessione attività nuove e attività già programmate. Oggi Cagliari è già alla fase realizzativa e la città è un grande cantiere.
Lei non è ufficialmente il direttore tecnico, qual è il suo ruolo?
Sono referente interno dell’attività di progetto ECOC 2019 e faccio parte di un nutrito gruppo di progettisti interni che lavora a piani coordinati, caratterizzati dagli apporti di differenti professionalità in sinergia, lavorando su “prodotti” continuamente verificati, validati, ridiscussi, condivisi oltre che partecipati il più possibile.
Guardando alla rigenerazione urbana, su cosa punta il piano Cagliari2019?
Sotto il profilo tecnico punta su una serie di “azioni” orientate ad un generale innalzamento della qualità della vita, ricercato attraverso i temi della riqualificazione urbana, della valorizzazione dei beni culturali e della loro messa a regime (grazie anche alle azioni condivise con il MIBACT e l’Università). Tra queste azioni ce ne sono alcune strategiche, come le operazioni di ricucitura urbana, gli interventi sulle piazze, e in generale la valorizzazione delle potenzialità degli spazi pubblici.
Cinquantasette cantieri aperti in città. Quali sono i temi e le aree di maggior attività? Il piano dei lavori punta a trasformare radicalmente la città e il modo di viverla, mettendo a sistema le risorse naturali, disegnandone l’unitarietà come nel
caso del waterfront interessato dalla riqualifigcazione complessiva dei lungomare Poetto e Sant’Elia (innestati nel grande parco urbano che comprende le aree umide di Molentargius e Santa Gilla), zone dove convergono temi di forte interesse, legati al paesaggio, all’archeologia, al turismo ed alle attività produttive. Cagliari sta investendo molto sui temi dell’accessibilità, della mobilità sostenibile, della pedonalizzazione, sulle tecnologie e sulla cultura.
I progetti a suo parere più interessanti per la nuova Cagliari quali sono?
Fra quelli che mi stanno più a cuore si annoverano quelli ambientali, quelli dei beni culturali, del verde e dell’archeologia. Primo fra tutti quello del Lungomare Poetto, ma anche quelli incentrati sui parchi archeologici, gli scavi del tempio di Ashtarte Ericina, il progetto di valorizzazione dell’Anfiteatro Romano, l’ampliamento della Galleria Comunale d’Arte, e molti altri che compongono un mix di progetti che integra restauro, ricucitura urbana, creazione di spazi verdi, realizzazione di servizi e molto altro.
Un imprenditore privato che si affaccia sul mercato di Cagliari cosa trova?
Trova una fucina di iniziative articolate in tanti settori, un luogo dove annidare iniziative produttive e scambiare opportunità di lavoro, una città che opera sul fronte dei servizi, delle opere pubbliche, della smart city e ha voglia di valorizzare le proprie risorse e contaminare le proprie esperienze con apporti dall’esterno.
Nel centro storico? Oppure?
Nel centro storico si stanno recuperando gli edifici del patrimonio comunale e riqualificando la viabilità storica, ma la caratteristica del piano complessivo è data dalla visione di una città all’interno della quale è scomparso il concetto di periferia e si è innestato quello di un nuovo margine ricucito e valorizzato nelle sue risorse.
Nei progetti di candidatura molti buoni propositi sono legati all’immateriale, che relazione c’è con la trasformazione fisica del territorio? L’immateriale è necessariamente innestato sulla trasformazione materiale, sulla creazione delle condizioni e sulla messa a disposizione di spazi idonei, uno dei progetti simbolo in questo senso è finalizzato alla la creazione di residenze d’artista nell’ex Convento di Santa Teresa (una struttura seicentesca) all’interno della quale si potrà scambiare e fare interagire esperienze artistiche diverse.
Massimo Zedda Sindaco di Cagliari
Cagliari è un laboratorio per la progettazione, ma chi ci lavora?
I programmi dell’Amministrazione sono supportati da una forte struttura tecnica interna, ma il Comune non si nega l’opportunità di attingere al vasto panorama professionale nazionale mettendo a confronto le migliori idee progettuali attraverso strumenti come quelli del concorso di idee e dell’appalto integrato semplice o complesso.
Se dovesse sintetizzare il concept, perché Cagliari dovrebbe vincere?
Per la “visione”, perché il nostro progetto è già oltre il progetto e perché la nostra è la città delle prospettive, dell’integrazione, dell’accoglienza e dell’innovazione sociale e messa a sistema dei luoghi e delle esperienze.
Maria Luisa Mulliri Coordinatore dei progetti di rigenerazione urbana legati alla candidatura
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