Presenza 3-4 2022 La fabbrica del futuro

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ANNO 53 - 3-4/2022

PRESENZA

Inserto speciale

Democrazia da proteggere contro populismi e autocrazie

La fabbrica del futuro

Alumni

La storia di Flavio, dalla pena (alternativa) alla tesi riparativa

Anche in una stagione di crisi profonda e di incertezza diffusa l’università si conferma il più promettente investimento sui giovani


Presenza

3-4/2022

PRESENZA

In questo numero

Rivista bimestrale realizzata dall’Area editoriale dell’Università Cattolica, in collaborazione con il Master in Giornalismo, con la partecipazione del Servizio Pubbliche relazioni dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori © 2019 – Università Cattolica del Sacro Cuore

Sommario

DIRETTORE Franco Anelli RESPONSABILE Nicola Cerbino CAPOREDATTORE Paolo Ferrari COMITATO REDAZIONALE Luca Aprea, Katia Biondi, Sabrina Cliti, Graziana Gabbianelli, Emanuela Gazzotti, Federica Mancinelli, Michele Nardi, Antonella Olivari, Agostino Picicco

HANNO SCRITTO Francesco Berlucchi, Lorenzo Buonarosa, Giorgio Colombo, mons. Claudio Giuliodori, Valentina Giusti, Velania La Mendola, Ludovica Rossi, Bianca Terzoni, Christian Valla

REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Università Cattolica del Sacro Cuore Largo Gemelli, 1 – 20123 – MILANO tel. 0272342216 – fax 0272342700 e-mail: presenza@unicatt.it www.unicatt.it

REDAZIONE ROMANA 3-4/2022

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Ma il successo non è la misura del merito Secondo il filosofo Michael Sandel rischia di creare diseguaglianze Intervista a Giovanni Marseguerra

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L.go Francesco Vito – 00168 – ROMA tel. 0630154295 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 94 del 5 marzo 1969

IMPAGINAZIONE Studio Editoriale EDUCatt

FOTO ARCHIVIO Università Cattolica, Archivio generale per la storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Getty Image

STAMPA

Formazione e lavoro così vicini, così lontani Troviamo una via d’uscita dal dibattito tra teoria e pratica, rigore e rilevanza, dice la professoressa Barbara Imperatori

Tiber spa – Brescia

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Erasmus, trentacinque anni che hanno fatto l’Europa Cinque milioni di studenti dal 1987 alla scoperta dei vari Paesi dell’Unione. Parla il professor Pier Sandro Cocconcelli

Questo periodico è associato all’USPI Unione stampa periodica italiana Il numero è stato chiuso in redazione il 25 giugno 2022

10 Università Cattolica del Sacro Cuore


La restorative justice diventa pilastro della giustizia penale La ministra Marta Cartabia lancia il progetto di formazione della Cattolica A settembre partirà un nuovo master

PRESENZA

In questo numero

16 La mafia teme la cultura più della repressione Trent’anni dopo la strage di Capaci Intervista al gen. Giuseppe Governale già a capo dei Ros e della Dia

22 Il futuro della sanità pubblica è nell’Healthcare Management Il Servizio sanitario ha bisogno di buoni medici, operatori sanitari e manager La proposta formativa della sede di Roma

24 La storia di Flavio, dalla pena (alternativa) alla tesi “riparativa”, con un futuro da penalista Ha conosciuto il carcere solo per dieci giorni ma ha saldato il debito grazie a tante persone che gli hanno cambiato la vita

30 Per Alberto il vogatore era un simulatore ma l’argento ai mondiali indoor è realtà L’atleta torinese che, grazie al programma Dual Career studia Economia a Milano, ha vinto la pandemia ma anche tanti record

32 Spiritualità. Sotto lo sguardo del Sacro Cuore Una riflessione sulle parole di Papa Francesco Ricordo, passione, conforto. Gli impegni che il Santo Padre ha consegnato al nostro Ateneo nell’anno del centenario

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PRESENZA

Editoriale

«Sempre, tutto e subito» La democrazia e un’idea discutibile di libertà

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uando si parla di giustizia, pace, felicità, libertà, verità e, più modestamente, di democrazia, bisognerebbe procedere con cautela. Quando poi si fa entrare in scena il desiderio proclamando con entusiasmo e senza alcuna esitazione il «desiderio di giustizia, pace, felicità, libertà, verità, democrazia, ecc.» dell’uomo, allora tale cautela dovrebbe diventare estrema, al limite del silenzio. In verità simili proclami hanno sempre affollato i bar, quando, tra un tempo e l’altro della partita, si «discute» (sic!) sulla violenza della guerra e sulla necessità della pace. E oggi questi stessi proclami affollano i nuovi bar dei talk televisivi e dei social in rete. In particolare, le cosiddette «maratone televisive» sono diventate il terreno più fertile per il diffondersi dei luoghi comuni e di una desolante chiacchiera politica. In effetti, siamo certi che l’uomo desideri la pace e detesti la guerra, che desideri la democrazia e detesti le dittature, che cerchi la verità e aspiri alla libertà? A tale riguardo vale la pena ricordare che Agostino, quando affronta il tema del desiderio, introduce Dio non tanto per indicarne il compimento quanto piuttosto per segnalarne l’origine: c’è qualcosa di «divino», anche se non è un credente, in un uomo che desideri seriamente, autenticamente, soprattutto silenziosamente, senza proclami e al di fuori delle “comparsate” televisive, nel profondo del proprio cuore e senza volerlo annunciare subito ai propri elettori o ai propri clienti, la pace e la giustizia; c’è qualcosa di «divino» in un uomo che desideri, senza ingannare e senza ingannarsi, la libertà e la giustizia, lottando per la democrazia.

di Silvano Petrosino * Freud non frequentava le «maratone televisive» e, per quanto se ne sa, neanche i bar. Quando introduce quella nozione sorprendente e rivoluzionaria che è la «pulsione di morte» cerca di dare voce e forma, non a una intuizione teorica, ma alla sua quotidiana esperienza di medico: ci sono pazienti che non vogliono guarire, che preferiscono godere nella e attraverso la propria malattia invece di superarla con la guarigione. A questo livello viene alla luce una profondissima tendenza antropologica: bisogna godere sempre e comunque, anche a costo della vita; e poiché il godimento, a differenza del piacere, emerge, a dispetto delle «anime belle» presenti in ogni epoca, anche all’interno della malattia, del male e della violenza, ecco che allora proprio la malattia, il male e la violenza si trasformano spesso e non a caso nelle strade privilegiate percorse da un soggetto che finisce per scegliere la morte invece che la vita. Come recita una recente pubblicità: «Tutto subito», a cui si deve solo aggiungere «sempre». Sono le parole d’ordine di un modo di vivere e pensare in cui la pulsione a consumare/godere finisce per realizzarsi nella pulsione di morte. Le Sacre Scritture lo continuano a ripetere. Per esempio: «Dio ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sr, 15, 15-17). Conviene non nascondersi nei bar e riconoscere che all’uomo piace moltissimo il fuoco e sceglie spesso la morte. Anche la grande letteratura ha dato voce a questa verità terribile e scomoda. Per fare un esempio: «Ah! Divertirsi con la propria morte mentre uno sta fabbricandosela, ecco tutto

l’Uomo, Ferdinand! […]» (Céline, Morte a credito, Garzanti 1981, pp. 10-11); e, in un’altra occasione, lo scrittore francese scrive: «Egli [il dottor Semmelweis] era di quelli, troppo rari, che possono amare la vita in ciò che essa ha di più semplice e di più bello: vivere. L’amò oltre il ragionevole. Nella Storia dei tempi la vita non è che un’ebrezza, la Verità è la Morte» (Céline, Il dottor Semmelweis, Adelphi 1975, p. 28). È fin troppo noto come il mainstream trionfante, quello dei bar e delle maratone televisive, liquida simili considerazioni: ma questo è pessimismo. Oggi, invece, abbiamo bisogno di ottimismo, di una visione positiva, smart e anche un po’ carina; il che significa: nessuno osi mettere in discussione il nostro stile di vita e soprattutto l’imperativo morale a godere «sempre, tutto e subito» in assoluta libertà. Alcuni hanno il coraggio di spacciare questa visione come una difesa dell’Occidente e della democrazia liberale. Cadono le braccia e si resta senza parole; e invece è proprio della parola, e non della chiacchiera, che si avrebbe bisogno, di una parola giovane capace di decostruire insistentemente l’ovvio e di ritornare a interrogarsi con serietà e sincerità sul senso della giustizia, della pace, della democrazia, della libertà. A proposito di quest’ultima, a tutti coloro che non hanno dubbi, beati loro, sul «desiderio di libertà» dell’uomo, mi permetto di consigliare di rileggere, o forse leggere, Il grande inquisitore di Siviglia (Dostoevskji, I fratelli Karamazov). Altro che impedire la lettura di scrittori russi, in verità bisognerebbe renderla obbligatoria. Probabilmente Putin, e purtroppo non solo lui, conosce a memoria le parole del cardinale. * docente di Antropologia filosofica alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere

Università Cattolica del Sacro Cuore


Laboratorio di futuro L’università resta il miglior investimento sui giovani

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università è ancora la “fabbrica del futuro”? Il rettore Franco Anelli, nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico del centenario, rispose dicendo che «le università esistono per dare un futuro ai giovani attraverso la conoscenza e assicurare così la continuità di una civiltà». Sia nel loro modello storico medievale, sia nella “rinascita” all’inizio del Diciannovesimo secolo, «per opera della strutturazione humboldtiana che ha conferito agli atenei la forma che oggi conosciamo (e che è probabilmente alla soglia di un’ulteriore metamorfosi)». Il rettore, che in quel discorso definì il primo secolo del nostro Ateneo non una storia passata, ma «una “fabbrica” perennemente operosa», è tornato su questi temi introducendo la lezione che il filosofo americano Michael Sandel ha tenuto nell’aula magna di largo Gemelli lo scorso 5 maggio. «In Italia l’università è stata per molti anni un ascensore sociale», incidendo in una società scarsamente istruita. Ma «da decenni gli atenei si interrogano sulle ragioni per cui quella funzione sembra esUniversità Cattolica del Sacro Cuore

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Primo piano

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sersi inceppata». Occorre considerare che «l’ascensore non sta sospeso nel vuoto sta dentro un edificio e se l’edificio cambia, se le strutture si torcono, se vacillano, l’ascensore si ferma». Una sfida che i contributi del “Primo piano” di questo numero di Presenza cercano di affrontare per indicare una prospettiva, che sta tra la riflessione del professor Giovanni Marseguerra sul tema del merito – soprattutto in un Paese come l’Italia che sembra avere un problema inverso a quello degli Stati Uniti con cui “se la prende” Sandel – e la nuova offerta formativa dell’Ateneo. In mezzo, una serie di approfondimenti sull’università “laboratorio di futuro”, come sottolinea il professor Domenico Simeone. A cominciare dal tema del lavoro. «Smettiamola di contrapporre la cultura ampia, quella che apre la mente, alla formazione per il lavoro» chiede la professoressa Barbara Imperatori. «Tenerle insieme ha molti vantaggi e ci consente di elevare il dibattito sterile tra teoria e pratica, vita e lavoro. Scuola e università devono accompagnare gli studenti, i cit-

tadini, nella costruzione delle competenze attraverso cui progettare e costruire il domani». Un futuro che si “fabbrica” anche e soprattutto con una formazione internazionale. Il compleanno dell’Erasmus, che ha creato migliaia di cittadini europei, è occasione per riflettere con il professor Pier Sandro Cocconcelli sull’internazionalizzazione dei processi formativi. Senza dimenticare, come suggeriscono il cardinale Pietro Parolin e il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato, che l’Università Cattolica «non ha rigettato le complessità del proprio tempo», mettendosi a disposizione della società e della Chiesa. Fino alla sfida recente di accompagnare la giustizia riparativa a diventare un nuovo pilastro della giustizia penale, come spiega la ministra Marta Cartabia, che sostiene il lavoro di formazione che il nostro Ateneo, con altri soggetti, ha avviato tra i magistrati. Anche questo è un modo, concreto e attuale, di alimentare quella fabbrica del futuro che produce formazione, ricerca e terza missione.

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Primo piano

Il successo non è la misura del merito La sfida di Michael Sandel per gli atenei

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di Antonella Olivari

a meritocrazia, il mito della società dei consumi neoliberista, è in realtà alla base delle tante disuguaglianze della nostra società. È la tesi del professore dell’Università di Harvard Michael Sandel (nella foto in alto), tra i più eminenti filosofi politici del nostro tempo, autore di numerosi bestseller tradotti in più di 30 lingue, tra cui anche Contro la perfezione. L’etica nell’età dell’ingegneria genetica (2008, 2022 nuova edizione con prefazione di Carlo Casalone) pubblicato da Vita e Pensiero. Ne ha parlato anche in aula magna a Milano lo scorso 5 maggio, nella lezione: “The tyranny of merit: Can we find the common good”, per il ciclo di conferenze «Un secolo di futuro: l’Università tra le generazioni». Una provocazione soprattutto per un Paese come il nostro che è nelle ultime posizioni tra i Paesi avanzati per il riconoscimento del merito. «L’analisi di Sandel affronta un tema di grande rilevanza per ogni studioso di scienze sociali interessato al bene comune» commenta il prorettore dell’Ateneo Giovanni Marseguerra (nella foto piccola), docente di Economia politica alla facoltà di Scienze politiche e sociali. «Non dimentichiamo che viviamo in una società profondamente divisa e diseguale. Divisa tra chi è ricco e chi è povero, tra chi ha un lavoro e chi non lo ha, tra giovani e anziani, tra donne e uomini, tra autoctoni e immigrati, tra chi ha le competenze per stare al passo con il cambiamento tecnologico e chi non le ha. E tutto questo senza considerare la guerra che, con la morte e la sofferenza che porta, è la forma più acuta e violenta di disintegrazione del tessuto umano e sociale. Provare ad affrontare in modo serio questi temi, come fa Sandel, è oggi cruciale».

Che cosa pensa delle sue domande di fondo, e cioè se il successo sia figlio del merito e se la meritocrazia non conduca al logoramento del tessuto sociale? Credo vadano comprese bene perché fanno riferimento a categorie di pensiero che non sono ancora perfettamente definite. Il merito è un concetto intrinsecamente plurale e multidimensionale. C’è la componente di doti naturali, in cui il ruolo del caso o della fortuna è determinante. Ma ci sono anche la passione e l’impegno, da un lato, e le opportunità dall’altro. La capacità di perseverare nell’impegno, per esempio, è cruciale per valorizzare le dotazioni, naturali e fortunose, di specifici talenti. Ancora più complicato mi sembra definire cosa significhi avere successo. Da tempo economisti e statistici stanno cercando di andare oltre il Pil e definire indici di benessere più realistici della mera misurazione quantitativa di risorse prodotte o possedute. Come si può affrontare la questione della misurazione del merito e del giusto valore da dargli? Per quanto ritenga giusto e, in prospettiva, anche importante provare a misurare il merito, penso sia molto difficile riuscire a ottenerne una misura quantitativa con un qualche grado di affidabilità. Anche alla luce delle difficoltà interpretative insite in questo concetto. Questa pratica difficoltà, o forse addirittura impossibilità, ha delle conseguenze molto gravi sulla nostra organizzazione sociale perché molte decisioni, fondate su selezioni che vorrebbero premiare il merito, impattano sulla vita delle persone e alla fine generano disuguaglianze. Queste selezioni premiano l’impegno delle persone o solo le loro capacità innate? O, addirittura, si è selezionati solo grazie a condizioni favorevoli in partenza?

Sandel affronta poi anche il problema cruciale se il successo sia sempre figlio del merito. Comunque lo si definisca, e abbiamo visto che non è comunque facile, il successo è sempre un indicatore molto impreciso del merito perché vi sono sempre eventi più o meno fortunosi e casuali che contribuiscono a determinare successi e insuccessi. E la componente casuale può essere determinante, in un caso o nell’altro: grandi successi raggiunti con pochi meriti o clamorosi insuccessi nonostante i tanti meriti. Del resto anche Machiavelli diceva che l’uomo con le sue azioni è artefice del suo destino solo per metà; l’altra metà è nelle mani della fortuna. Ma virtù e fortuna sono sempre intrecciate ed esistono soltanto insieme. Secondo il filosofo di Harvard, «la globalizzazione guidata dal mercato e la concezione meritocratica del successo, messe assieme, hanno sciolto i legami morali». Che ne pensa? È la parte più interessante della sua riflessione, assieme al richiamo forte a tornare a promuovere il bene comune come risposta alla disgregazione del tessuto sociale. Difficile dire quanta parte delle molteplici divisioni che attraversano in modo trasversale le nostre comunità sia effettivamente responsabilità del merito. Pur con tutte le difficoltà che abbiamo nel definirlo, è difficile che un sistema economico che non premi il merito sia efficiente. Ma ha ragione Sandel quando propone di fondare il nostro vivere sociale sulla ricerca del bene comune. Un termine non sempre ben compreso. Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate, lo definisce come “il bene legato al vivere sociale delle persone [..] Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene”. Oltre a una bellissima definizione è anche una Università Cattolica del Sacro Cuore


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chiara indicazione di cosa fare per dare concretezza a questo ideale. Anche Sandel mi sembra convenga con questa impostazione quando dice: “Soltanto nella misura in cui dipendiamo dagli altri e riconosciamo questa dipendenza abbiamo ragione di apprezzare il loro contributo al nostro benessere collettivo”. Il bene comune non riguarda la persona presa nella sua singolarità, ma in quanto è in relazione con altre persone. Il bene comune è dunque il bene della relazione stessa fra persone e si può conseguire solo assieme. Secondo Sandel però la retorica dell’ascesa per merito diventa umiliante e discriminatoria per chi non ce la fa. La sua logica è assolutamente stringente: se vale la retorica per cui il successo è sempre figlio del merito, allora chi non riuscirà a emergere deve prendersela solo con se stesso. La responsabilità sarà soltanto sua. In tal senso, il merito diventa “ingeneroso verso i perdenti e opprimente per i vincitori” ovvero “un tiranno”. Al di là del fatto che il principio delle pari opportunità in partenza non è purtroppo quasi mai soddisfatto, forUniversità Cattolica del Sacro Cuore

se da mettere sotto accusa è non tanto la retorica del merito quanto quella del successo, che è quasi sempre esteriore e misurato tramite le quantità di beni o di potere e quasi mai in termini di ben-essere. L’Italia è probabilmente tra i Paesi meno meritocratici d’Europa: non è che forse abbiamo un problema con il merito inverso a quello che hanno gli Stati Uniti con cui “se la prende” Sandel? Il nostro è un Paese in cui resistono pratiche assai poco meritocratiche, fondate su raccomandazioni o nepotismi di vario tipo. Molto spesso gli esiti individuali finiscono per dipendere più dai caratteri che si ereditano, come la famiglia di origine o il luogo di nascita, piuttosto che da caratteri che si acquisiscono e conquistano, come l’impegno personale. Sotto questo profilo certamente abbiamo ancora molta strada da percorrere. L’autore de “La tirannia del merito” ha sviluppato le sue idee anche con l’intento di mettere in discussione il sistema universitario americano. Qual è oggi il ruolo

dell’università, dopo gli anni terribili della pandemia e in una crisi globale che sembra sempre più avvitarsi su stessa? Se lo scopo dell’università fosse solo quello di consegnare alla società professionisti preparati ma dediti esclusivamente alla propria carriera, verrebbe meno qualunque ruolo educativo e l’università si ridurrebbe a mero strumento di istruzione. È invece oggi più che mai essenziale che gli atenei siano capaci di formare persone responsabili e consapevoli di dover restituire quanto ricevuto al bene comune. L’Università Cattolica, per esempio, oltre a essere un luogo di trasmissione di conoscenze e competenze professionali, si è proposta anche e soprattutto come un contesto di educazione alla vita, alla responsabilità personale e sociale e allo sviluppo umano. Una comunità educante capace di promuovere l’impegno di tutti – docenti, personale amministrativo e studenti – per il bene comune. Sotto questo profilo penso che saremmo un’università in cui Michael Sandel verrebbe volentieri a studiare.

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Formazione e mondo del lavoro Così vicini, così lontani

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di Paolo Ferrari

l lavoro è una parte importante nella formazione dell’identità dei cittadini ed estrometterlo dal dibattito educativo è miope, come sterile (e pericoloso) è tenere separati i temi della cittadinanza e della cultura nel dibattito economico». Barbara Imperatori (nella foto qui a lato), docente di Organizzazione alla facoltà di Economia, che rappresenta nel Comitato Università-Mondo del Lavoro, e direttore del master in International HRM, cerca di fare chiarezza negli equivoci suscitati da alcuni incidenti nei tirocini dell’apprendistato e in quella che, fino a poco tempo fa, si chiamava alternanza scuola-lavoro. «Smettiamola di contrapporre la cultura ampia, quella che – si dice – apre la mente, alla formazione per il lavoro» chiede la professoressa. «Tenerle insieme ha molti vantaggi e ci consente di elevare il dibattito sterile e, francamente, noioso tra teoria e pratica, rigore e rilevanza, vita e lavoro». Come dobbiamo riarticolare questa relazione? Riconsiderando in modo corretto il tema del lavoro. Labare è un verbo di origine latina che significa “vacillare sotto un peso”; il francese travailler rimanda al latino tripaliare, “torturare”. L’etimologia della parola richiama accezioni negative come fatica e dolore, anche se il significato cambia completamente sostituendo il verbo “lavorare” con il sostantivo “opera”. Questa è il risultato del lavoro e la sua radice – ergon – è la stessa di energia. In questa accezione il lavoro ci aiuta a liberare le nostre energie. È un modo “liberante” di concepire il lavoro. È una parte importante della vita di ciascuno e ci consente di conoscere noi stessi e di dare dignità e significato alla nostra esistenza anche come cittadini, “costruendo”, appunto, opere e relazioni. Ciascuno di noi è unico, ha interessi,

motivazioni, talenti, propensioni che lo contraddistinguono e la scelta del “chi vorremo essere” passa anche attraverso la scelta consapevole del lavoro che potremo e vorremo svolgere “da grandi”.

ma prive di fondamento. La teoria serve a questo e, proprio per questo, non si contrappone alla “pratica”, anzi è la base su cui continuare a innestare nuovi saperi nel corso della nostra intera esistenza.

Qual è il compito delle istituzioni formative? L’università (e in generale il sistema scolastico) non può che ex-ducere la nostra consapevolezza e le nostre abilità anche attraverso il lavoro, che tanta parte avrà nella formazione della nostra identità personale. Formare al lavoro significa, dunque, anche orientare, ovvero aiutare le persone a trasformare la fatica del lavoro in energia per costruire la propria identità e fare scelte consapevoli, sin dalla scuola, per crescere cittadini.

Nel dibattito sulla formazione e sul lavoro si parla sempre più di soft skill. Innanzitutto, non chiamiamole “soft skill”. Di “soft” hanno ben poco e il termine potrebbe portare a sottovalutare la componente centrale delle competenze che si sostanza nel “saper essere”. Sono piuttosto competenze comportamentali e relazionali che sono centrali per dare valore alle conoscenze e alle capacità tecniche; servono a dare stabilità alla persona, aiutandola ad affrontare consapevolmente se stessa e le relazioni con gli altri. Quello che è in gioco è la capacità di gestire le emozioni, comunicare, persuadere, lavorare con gli altri, affrontare i fallimenti, essere creativi. Queste competenze educano all’«essere» oltre che al fare e al sapere e, dunque, sono centrali per essere cittadini e, al contempo, sono cruciali per vivere le relazioni di lavoro, sviluppare risultati di valore e trasformare le organizzazioni e la società in luoghi inclusivi e sostenibili, soprattutto in contesti che sempre più stanno diventando diversi.

Che cosa dovremmo insegnare oggi? Scuola e università devono accompagnare gli studenti, i cittadini, nella costruzione delle competenze attraverso cui progettare e costruire il domani. Indipendentemente dalle discipline specifiche, teorie rigorose che aiutano a comprendere e interpretare la realtà e metodo scientifico sono gli strumenti per “aprire la mente” e per progredire in un mondo cui il 65% di chi è oggi bambino svolgerà domani lavori che ancora non esistono (World Economic Forum). Dopo la sbornia del pensiero antiscientifico che abbiamo visto all’opera durante la pandemia, torna di moda la scienza? È l’approccio scientifico che ci aiuta a decidere in condizioni di incertezza, a selezionare criticamente le fonti da cui attingere le informazioni, a sviluppare nuove soluzioni a problemi complessi e non prevedibili e a continuare ad appendere nel corso di tutta la vita. L’università dovrebbe aiutare gli studenti a reagire alle semplificazioni (se non addirittura alle falsità) accattivanti e rassicuranti,

Come ci si forma a queste competenze? Richiedono autoconsapevolezza (che è alla base di qualsiasi apprendimento) e molto allenamento, perché in gran parte poggiano su automatismi inconsci e sui tratti di personalità. Per questo sono “hard”, ovvero difficili. Raramente il nostro sistema scolastico ne ha fatto oggetto specifico di corsi e di processi di feedback, sebbene qualcosa sembri muoversi. A gennaio la Camera ha approvato la proposta di legge che prevede l’insegnamento nelle scuole di competenze non cognitive dal 2023. Università Cattolica del Sacro Cuore


Queste abilità comportamentali e relazionali possono essere una risposta alla polarizzazione tra scuola e università che preparano solo alla vita e scuola e università in dialogo con il mondo del lavoro? Queste competenze ci aiutano a capire chi siamo e ci offrono gli strumenti per perseguire consapevolmente ed efficacemente cosa vogliamo e come comportarci con gli altri. Per allenarle bisogna “comportarsi”. Anche il confronto con contesti lavorativi diversi è una palestra per allenare queste “life skill”, così come lo devono essere i percorsi universitari, attraverso l’utilizzo di metodologie didattiche attive, momenti di scambio e occasioni di riflessione dedicati. Sarà un caso che il corso di laurea magistrale in Management/Master of Science in Management, che si sta accreditando a livello internazionale, considera la formazione in e con l’azienda alla pari di quella in aula? Non è un caso, ma il frutto di una consapevole progettazione. Nel tempo, le competenze necessarie per operare in contesti organizzativi a complessità e incertezza crescenti sono passate dall’avere una “forma ad I” – quella di una competenza specialistica approfondita che si sviluppa in verticale – a “forme a M”, cioè il risultato di diverse competenze specialistiche (attenzione, addirittura più di una, non nessuna!) a cui se ne affiancano anche di trasversali in grado di tenerle insieme, tra cui quelle comportamentali. Che cosa è necessario per dare seguito a questa intuizione? Per costruire, sviluppare, sostenere consapevolezza di sé, competenze comportamentali, competenze tecnico-specialistiche, servono approcci multidisciplinari in cui più attori collaborano, in forma diversa, dentro e fuori dai confini organizzativi di università, scuole e imprese, costruendo una trama e sollecitando più saperi e prospettive, in una logica anche di reciprocità. La diversità è un valore nei processi di costruzione di nuove soluzioni, ma è anche fatica e dunque la capacità di confronto va sviluppata. Università Cattolica del Sacro Cuore

Un impegno che non manca nel nostro Ateneo. È quello che si sta facendo, per esempio, nei diversi corsi e percorsi di studio e di ricerca interdisciplinari, grazie anche ai progetti didattici e di collaborazione tra l’università e le imprese che nascono in seno al Comitato Università-Mondo del Lavoro, che rappresenta un avamposto proprio in questo scenario. La collaborazione al di là dei confini organizzativi è la filosofia su cui poggia anche il master in International Human Resource Management, che dirigo. Che valore hanno questi numerosi progetti? Sono occasioni che arricchiscono tutti, studenti, docenti e interlocutori aziendali, che li valorizzano anche come leve di engagement e di apprendimento per i propri lavoratori. Sono esempi virtuosi, consapevoli e pianificati in cui l’università può attivare un cambiamento per la comunità, facendosi portavoce di valori

di sostenibilità, inclusione e solidarietà, riprendendo anche la provocazione del filosofo americano Michael Sandel, che parla di merito e di meritocrazia.

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Primo piano

Come andrebbe applicata? Sino a qualche tempo fa sembrava che la scarsa attuazione di sistemi meritocratici fosse uno dei mali dell’Italia. Oggi si comincia a mettere in discussione il valore assoluto della meritocrazia, perché il concetto sembra essere distonico rispetto a quello di una formazione sostenibile ed equa e a quello di una società solidale. Non credo siano concetti in antitesi, ma dobbiamo essere capaci di coniugarli in maniera non banale. Non si tratta di un aut aut, ma di come mettere insieme il concetto di uguaglianza delle opportunità, di formazione sostenibile e di valorizzazione delle eccellenze. Poi dobbiamo anche avere il coraggio di definire questo “merito”: significa essere più bravi degli altri nel fare “cosa” e nel fare “come”?

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Programma Erasmus, trentacinque anni che hanno fatto la storia dell’Europa

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di Bianca Terzoni

iaggiare significa aggiungere vita alla vita” scriveva Gesualdo Bufalino. L’Erasmus è anche questo: non solo un viaggio di scoperta, ma una nuova vita che si inizia a percorrere. Quest’anno ricorrono 35 anni dalla nascita del programma che forse più di tutti rappresenta l’essenza dell’Unione europea: quelli che lo hanno vissuto non sono più solo studenti di un singolo Paese, ma diventano studenti europei. Per il professor Pier Sandro Cocconcelli (nella foto a lato), prorettore delegato per il coordinamento dei progetti di internazionalizzazione dell’Università Cattolica, l’Erasmus ha «un ruolo fondamentale nell’educazione delle generazioni più giovani proprio sotto il profilo della cittadinanza europea. Un’esperienza educativa che va oltre l’ambito dell’istruzione e si colloca nel solco di una formazione a tutto tondo». Dal 1987, il Programma ha permesso a 12 milioni di cittadini, tra cui 600mila italiani, di studiare e formarsi in Europa, per un totale di 5 milioni di studenti universitari. La crescita degli scambi è

stata forte e costante nel tempo: dai primi 220 studenti che partirono dall’Italia nel 1987, abbiamo superato la soglia dei 35mila giovani convolti nel 2021. L’Erasmus in largo Gemelli L’Università Cattolica aderisce al programma solo un anno dopo, nell’anno accademico 1988-89, ma già dalla fine degli anni ’70 avverte l’importanza di creare un network con l’estero: il primo scambio ufficiale risale al 1977, con l’Université Catholique de Louvain, Louvain-La-Neuve (Belgio). «Per noi l’Erasmus è stato fin dall’inizio uno strumento fondamentale per promuovere il concetto di mobilità, sia in entrata che in uscita» afferma il professor Cocconcelli, ricordando che nel nome stesso dell’Università Cattolica c’è un rimando al desiderio di universalità e dell’apertura alla pluralità. Se all’inizio lo scambio coinvolgeva solo pochi studenti, non ci si poteva di certo immaginare che, nel tempo, avrebbe mobilitato ogni anno circa 4.800 studenti internazionali in entrata, 168 nazionalità e 2.800 ragazzi in uscita. Numeri che crescono anno dopo anno.

L’adesione al programma Erasmus fu solo l’inizio di una serie di iniziative di internazionalizzazione dentro e fuori l’Ateneo. Nell’anno accademico 2002-03 venne istituito il primo doppio titolo in Management Internazionale con la facoltà di Economia e giurisprudenza di Piacenza insieme al College of Business Administration della Northeastern University di Boston e la Management School della Lancaster University in Gran Bretagna, mentre nel 2004 la Cattolica aderì a Isep, una comunità globale di più di 300 università in 50 Paesi. Dalla nascita a oggi, questo network ha permesso a più di 60mila studenti di prendere parte a programmi estivi, semestrali e annuali e il nostro Ateneo è uno dei suoi maggiori partner. Il processo di internazionalizzazione Attraverso l’Erasmus, non si è solo accresciuto il senso di appartenenza all’Europa, ma si è sviluppata anche la “Internationalisation at home”, la sfida di rendere l’esperienza nei campus italiani più internazionale. Da qui la necessità di costruire un ateneo aperto al mondo, a partire dalle aule di ogni campus. L’internazionalizzazione dell’Università non è stata affidata, però, solo a tentativi pratici. Nel 2009 si sviluppò proprio in largo Gemelli un approccio metodico al tema, basato su studi e ricerche nel campo, invitando ricercatori da tutto il mondo ad approfondire la materia e a riunirsi periodicamente per confrontarsi su come introdurre l’internazionalizzazione in un ateneo. Dal 2011 il Centre for Higher Education Internationalisation (Chei), ha fatto dell’internazionalizzazione un tema trasversale e capillare, che valorizza e coinvolge tutti gli attori principali dell’università. Grazie al rettore Franco Anelli, ha ulteriormenUniversità Cattolica del Sacro Cuore


te ampliato le sue funzioni: corsi di inglese as a medium of education dedicati ai docenti, programmi di dottorato e assegni di ricerca sono alcune delle preziose attività che hanno reso il Chei un polo specializzato sul tema. Su questa scia, hanno preso corpo in Ateneo l’Istituto Confucio – nato nel 2009 per offrire corsi di lingua e certificazioni linguistiche di Cinese ma anche per fare attività di ricerca in relazione con la Cina – e la Strategic Alliance of Catholic Research Universities (Sacru), di più recente istituzione. Sacru, di cui è segretario generale il professor Cocconcelli, è un’alleanza strategica di otto prestigiose università cattoliche, in quattro continenti, orientate alla ricerca e alla formazione d’eccellenza. «Anche grazie a questo network, si punta ad aumentare il numero di esperienze all’estero» aggiunge il prorettore. «L’uso delle tecnologie digitali rappresenta un vantaggio, perché consente di aumentare il numero di studenti che partecipano a queste attività, contribuendo a creare un’idea di cittadinanza europea e futuri rapporti di collaborazione nel mondo della ricerca». La cooperazione internazionale L’impegno internazionale dell’Università Cattolica non si è limitato alla formazione di studenti in senso stretto, ma si è aperto in modo convinto alla cooperazione internazionale. I primi programmi cui la Cattolica prese parte facevano riferimento a Tempus e Comett II, che erano, rispettivamente, progetti per lo sviluppo delle risorse umane e azioni transnazionali destinate a rafforzare la cooperazione fra università e imprese in materia di formazione avanzata. Dal 2000 al 2006 la cooperazione internazionale è stata gestita in gran parte dai Fondi sociali europei. La fondazione del Cesi nel 2006 è stato il primo passo di un grande ventaglio di progetti che hanno coinvolto tanti attori diversi su un unico scopo: aiutare i Paesi che ne hanno più bisogno a sviluppare i loro sistemi educativi, sia a livello strutturale sia di offerta formativa. La cooperazione internazionale è il settore che forse più di tutti gli altri permette di “esportare l’università fuori dall’università”, al fine di mettere il sapere al servi-

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zio del mondo. Tra i risultati di tutte queste azioni, figura lo sviluppo dell’offerta formativa in lingua inglese, che ha fatto crescere il numero di nazionalità degli studenti che vi prendevano parte, con il conseguente adeguamento dei servizi tecnologici con cui gestire i partecipanti. «La mobilità verso l’estero non è solo Erasmus, nelle sue modalità di studio o stage (traineeship). Ci sono anche molti altri programmi» spiega il professor Cocconcelli. Come i corsi di lingua, Summer Programs o gli stage in aziende extra europee, che permettono agli studenti di vivere in un Paese straniero, confrontandosi con docenti e professionisti esperti di varie discipline e in diversi periodi dell’anno accademico. Inoltre, la Cattolica ha sviluppato diversi programmi di Double Degree: nel 2018 è stata il primo ateneo italiano a offrire il doppio titolo in Medicina e Chirurgia, in collaborazione con la facoltà di Roma e la Thomas Jefferson University di Philadelphia. Oltre la pandemia Le difficoltà degli ultimi due anni hanno messo molto alla prova anche il concetto stesso di internazionalizzazione, che comprende viaggi, shock culturali, difficoltà linguistiche, malinconia di casa, sensazione di spaesamento, voglia di ripartire ancora. «La prima vittima per Covid nel settore universitario è stata proprio la mobilità» racconta il prorettore Cocconcelli. «Per due anni gli studenti

non hanno potuto muoversi né in entrata né in uscita. Questo, però, ha consentito di adottare nuove tecnologie che hanno fatto crescere un processo di internazionalizzazione a casa: la mobilità in digitale è uno strumento che favorisce l’apertura internazionale». Trasferire online quello che si fa in presenza è limitante, eppure al contempo è sorprendente come l’adattabilità dell’essere umano e le potenzialità della tecnologia abbiano rafforzato le capacità delle persone di collaborare anche da lontano, anche senza essersi mai visti. Ridisegnare lo student journey non è stato semplice, eppure si sono aperte tantissime possibilità per molti più di quelli che di solito decidono di accedere a un percorso universitario all’estero. Anche se ora i campus cominciano a ripopolarsi. Oggi, per ogni sessione di laurea alla Cattolica in media il 25-30% di laureati ha preso parte a un’esperienza all’estero. Un numero destinato a crescere, come fa notare il professor Cocconcelli: «Siamo nella fase di elaborazione di un nuovo piano strategico, che punta su un aumento del livello di internazionalizzazione, sia in presenza fisica che in modalità online. Vogliamo promuovere il più possibile anche lo scambio tra i docenti e tutti i membri della comunità accademica». Con l’ambizione di dare un volto sempre più internazionale all’università, aperta allo scambio tra studenti e alla collaborazione nell’ambito della ricerca.

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Da studentessa a preside di Economia Studiare a Nanterre per diventare grandi

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di Ludovica Rossi

ezioni in francese, corsi di diritto, attività sportive e, alla sera, momenti di condivisione con i compagni di residenza. Una struttura immersa nel verde, tanto grande da accogliere studenti di ogni Paese e disciplina. Domeniche di passeggiate lungo i bordi della Senna ingialliti dall’autunno; di messe a Notre Dame e visite alla scoperta di musei parigini; di spettacoli teatrali e film al cinema, capaci di custodire il sapore autentico della lingua originale. L’Erasmus di Antonella Occhino, oggi preside della facoltà di Economia dell’Università Cattolica, è stato tutto questo. È la prima volta, dopo 30 anni, che la professoressa lo racconta, «ancora convinta di beneficiare di questa esperienza». Era il 1992, il Trattato di Maastricht inaugurava un clima di entusiasmo per una nuova idea di Europa unita e l’opportunità dell’Erasmus faceva la sua prima comparsa sul percorso di molti universitari. Antonella è stata una dei 12 studenti della Cattolica ad aver scel-

to di arricchire il proprio percorso di studi in Giurisprudenza con questa opportunità e, dopo i test di selezione, a partire per un’avventura di quattro mesi all’Université Paris X di Nanterre. Cosa ricorda con più piacere di questa esperienza? L’indipendenza, l’apertura e l’incontro con gli altri. La possibilità di instaurare amicizie con persone provenienti da contesti molto diversi, anche se non così distanti dal nostro. Il campus di Nanterre era un ambiente estremamente multiculturale e plurilinguistico, perché vi confluivano studenti internazionali. Questo permetteva di sviluppare una vera e propria cultura del sostegno reciproco e della solidarietà: era un continuo essere accolti e dispensare aiuto agli altri. Come crede che sia cambiato l’Erasmus rispetto ad allora? Innanzitutto il fatto che i corsi siano in lingua inglese ha ampliato il numero delle mete, e questo è un bene. Anche se usare la lingua locale, come facevamo noi con il

francese, permette un’immersione totale nella disciplina e nel tessuto culturale del Paese di destinazione. E anche le distanze si sono accorciate. Oggi c’è più connessione. Un po’ per i social, che permettono di vivere ogni cosa in continua relazione anche con chi è lontano, un po’ per l’accresciuta abitudine al viaggio, che rende possibili brevi periodi di ritorno a casa. L’esperienza del distacco è meno evidente. Forse, rispetto al passato, si è evoluto anche il sistema di riconoscimento delle equivalenze: oggi l’esperienza rientra completamente nel piano studi del singolo studente, mentre noi seguivamo anche molti corsi in sovrannumero scelti per interesse personale che poi non venivano però convertiti. Consiglierebbe ai giovani di oggi di intraprendere un’esperienza simile? Assolutamente sì. In qualunque modalità, meta e durata. A tutti e senza nessuna esclusione dei corsi di studio. Il valore dell’esperienza trascende e supera queste differenze: è un mix di crescita personale e professionale preziosissima. Al di là dell’apprendimento scolastico, penso che un’esperienza all’estero sia l’unico modo per attivare quello che abbiamo dentro: un’apertura misurata sul quotidiano, nei suoi aspetti positivi, ma anche nelle difficoltà. Perché questa è la vera formazione. Crede che l’Erasmus contribuisca ad accrescere i valori di multiculturalismo e scambio, facendo dello studente che parte non solo un beneficiario ma anche una risorsa per il Paese ospitante? Penso che il progetto sia stata la più geniale modalità inventata dall’Europa per portare avanti il suo processo di integrazione. Perché agisce sui giovani quando la mentalità è ancora fertile e disposta a essere plasmata. Innaffia quel seme di apertura all’altro che tutti abbiamo dentro. Gli studenti ospiti sono un arricchimento per il Paese ospitante, e questo è il vero concetto di internazionalizzazione e scambio reciproco.

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Sei mesi nella gran capital de España «Partito da solo, sono tornato più forte»

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di Luca Gavidia Rodriguez *

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mmaginate di vivere per un semestre in una residenza universitaria in cui interagiscono centinaia di studenti provenienti da tutta la Spagna e altri paesi europei e non solo. Questo è stato il mio Erasmus a Madrid, un’esperienza di crescita a livello umano, universitario e lavorativo. L’università spagnola, seppur diversa per modalità, organizzazione e cultura, mi ha accolto e accompagnato alla grande in questo percorso. Da laureando in Scienze motorie, ho avuto l’opportunità di svolgere il mio tirocinio curricolare all’interno dell’accademia dell’Atletico de Madrid. Misurarmi con professori diversi, materie diverse e nuovi compagni mi ha aiutato a prendere consapevolezza delle mie forze e dei miei limiti. Vivere in un altro Paese mi ha costretto ad assumere più responsabilità nella vita di tutti i giorni, trovando il giusto equilibrio tra opportunità, studio e svago. La cosa più bella è stata condividere questo percorso insieme ad altri studenti europei. Francia, Germania, Portogallo ma

anche Messico, Perù, Canada sono solo alcuni dei Paesi da cui provenivano alcuni dei compagni con cui condividevo la quotidianità tra studio, gite e sport. La cultura, l’apertura nella condivisione e nell’accoglienza sono stati fondamentali per me, per il mio ambientamento e per l’ingresso a pieno titolo nella vita dell’Erasmus. L’idea di partire mi era venuta

Studio e mobilità con il progetto Esc-Tension

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li ultimi due anni hanno rappresentato per EDUCatt – Ente per il diritto allo studio universitario dell’Università Cattolica un periodo di intensi lavori in ambito di progettazione europea: da remoto durante la pandemia e da alcuni mesi finalmente in presenza, ci si avvia verso la conclusione, prevista nell’ottobre del 2022, del progetto coordinato da Fondazione Endisu, che si colloca nell’ambito del programma Erasmus Plus e più specificamente sotto l’azione chiave KA2 per l’innovazione e i partenariati strategici per l’istruzione superiore (Higher Education). Il partenariato, oltre alle già citate realtà italiane, può contare sulle competenze complementari di università europee come l’Università di Malaga (Spagna), la Humboldt University di Berlino (Germania) e l’università cattolica polacca John

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Paul II di Lublino (Polonia), ma anche sulla più ampia visione europea della European Campus Card Association (Irlanda) e sul prezioso contributo basato sulla prospettiva della “domanda”, ovvero degli studenti, grazie alla presenza a bordo della European Student Union che ha sede a Bruxelles (Belgio), città simbolo per il suo ruolo istituzionale all’interno del panorama europeo. L’iniziativa si inserisce all’interno della più ampia European Student Card Initiative e nel quadro dell’ambiziosa European Higher Education Area e si prefigge lo scopo di favorire l’adozione della ESC stessa, implementando gli strumenti a disposizione delle istituzioni per garantire una mobilità studentesca fluida, efficace e capace di andare oltre i confini dell’istruzione nazionale. (Giada Meloni)

durante la quarantena del 2020, quando decisi di guardare oltre la mia città e la mia quotidianità. La scelta di Madrid è stata semplice poiché “La gran capital” da anni ha avuto una crescita esponenziale ed è diventata sempre più internazionale. Ma ho visitato anche Sevilla, Granada e Toledo. Da appassionato di calcio, ho avuto il privilegio di assistere a due partite di Champions League, una dell’AC Milan che ha vinto contro l’Atletico de Madrid; l’altra, nel mitico Santiago Bernabeu, tra il Real Madrid, che poi avrebbe vinto la coppa, e la mia Inter. In un Erasmus ci sono stati momenti felici e momenti duri, come normale che sia quando ti trovi da solo in un Paese nuovo. Ma i momenti difficili mi hanno aiutato a crescere e a mettere qualcosa in più nel mio bagaglio umano e universitario. Con fatica, dedizione e lavoro sono riuscito a superare cinque esami, senza rinunciare a un sano divertimento. Sono partito da solo e son tornato più forte, con più amici sparsi per il mondo e con più formazione. Non potevo chiedere di meglio. * 21 anni, di Milano, laureando in Scienze motorie e dello sport, campus di Milano

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Il progetto di una Onu delle università È la cultura che può cambiare il mondo

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di Paolo Ferrari

università come laboratorio di futuro. È una delle intuizioni alla base del Global compact on education, il patto mondiale promosso da papa Francesco nel 2020. Il professor Domenico Simeone (nella foto con il Sanro Padre), preside della facoltà di Scienze della formazione e direttore dell’Osservatorio sull’educazione e sulla cooperazione internazionale, voluto dal rettore Franco Anelli sulla scorta di quel patto, è stato uno dei protagonisti dell’incontro che si è svolto a fine maggio in Vaticano, con udienza privata dal Pontefice lo scorso 1° giugno, cui hanno partecipato lo stesso rettore, il prorettore Pier Sandro Cocconcelli e, come relatore, il professor Mauro Magatti. Secondo il preside Simeone, l’università può giocare un ruolo fondamentale «come luogo dove elaborare nuove idee e nuove opportunità e fare ricerca dando una direzione al futuro. Ma lo si può fare solo nel dialogo con le altre università. La cooperazione interuniversitaria, anche tra atenei che appartengono a contesti sociali e culturali diversi, è la strada maestra». Romano Prodi, presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004, durante il suo mandato, lanciò l’idea di costruire una rete di una trentina di università del nord e del sud del Mediterraneo, con pari studenti e pari docenti dei rispettivi atenei. Sarebbe costata meno del pattugliamento delle coste e avrebbe creato le premesse per pace e stabilità nella regione. «È un’idea molto interessante, perché quando le persone si conoscono e provano a costruire insieme progetti di ricerca e a condividere esperienze di formazione, molti muri cadono». Tra l’altro, al professor Simeone è pervenuta recentemente la richiesta dell’Ufficio Unesco del Marocco di costruire una rete di università del Magreb, in partnership con alcuni atenei europei. «È con la cultura che si può cambiare il mondo.

Questi progetti rappresentano una sorta di Onu delle università, come le Cattedre Unesco cercano di fare da tempo». Per dare seguito al coordinamento di una delle cinque aree di sviluppo del Global compact on education, quella su “Fraternità e cooperazione”, in collaborazione con la Ethiopian Catholic University, il nostro Ateneo collabora con l’Università Cattolica di Kinshasa per la formazione dei formatori nella Repubblica democratica del Congo, e con la Notre Dame di Haiti, con cui sta partendo un percorso di formazione a distanza per gli studenti. «Abbiamo attivato, inoltre, rapporti con l’Università di Louvain-le-Neuve e con l’Università di Ginevra, dove c’è un centro studi su diritti umani e cooperazione internazionale, e poi con alcune reti di università già strutturate, come Sacru e UniServitate, rete internazionale di atenei che si occupano di service learning». Nel suo saluto papa Francesco ha suggerito che «la crisi può diventare un momento opportuno che provoca a intraprendere nuove strade». Dopo la crisi economica,

pandemica e, adesso, bellica, quanto è stata determinante l’educazione? «C’è un aspetto generativo in ogni crisi. Educare alla crisi o, meglio, educare nella crisi, chiede di abitarla fino in fondo, senza rimuoverla, cercando dentro di essa i semi di novità che possiamo far crescere. Può diventare, come dice Francesco, un tempo generativo se diventa un tempo di trasformazione. Ma serve essere educati al cambiamento e non averne paura». “La tradizione è la garanzia del futuro”, ha detto il papa citando Gustav Mahler. «L’immagine usata da Francesco di Enea che carica sulle spalle il vecchio padre Anchise e prende per mano il figlio Ascanio portandoli entrambi in salvo è bellissima e parla del valore intergenerazionale dell’educazione: si tratta del dono più grande che il mondo adulto può offrire a chi viene dopo. Ma perché non diventi un vincolo o una gabbia che imbriglia è importante che il donatore riconosca di essere stato a sua volta beneficiato e beneficiario. Se offerto in questo modo è un dono che libera, che nutre, che genera futuro». Università Cattolica del Sacro Cuore


Non torri d’avorio ma luoghi di transito Gli atenei, cibo per la fame di pensiero

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di Katia Biondi

n Ateneo che non ha rigettato le complessità del proprio tempo ma ha saputo sempre accogliere le sfide impegnandosi «nell’esplorazione delle premesse scientifiche, antropologiche e teologiche sulle quali poggia la ricerca della verità e la plausibilità della fede». Sono i tratti distintivi che sin dalle origini hanno segnato la missione dell’Università Cattolica, un progetto che «solo la lungimiranza dei fondatori e il sostegno della Chiesa, sia nelle sue componenti gerarchiche sia nelle sue articolazioni territoriali e popolari, ha reso possibile». Le parole del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, descrivono bene il contributo che l’Ateneo ha reso al Paese e alla Chiesa, «impedendo che se ne spegnesse la curiosità intellettuale e tenendone viva l’inquietudine spirituale». Il cardinale è intervenuto col presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato al dibattito “L’Università Cattolica per il bene del Paese: un secolo di impegno educativo e culturale” che lo scorso 18 maggio ha concluso il ciclo di conferenze “Un secolo di futuro: l’università tra le generazioni”, promosso dall’Ateneo nell’ambito delle celebrazioni del Centenario.

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Le università «non sono mai state “torri d’avorio”» bensì sono per definizione «luoghi aperti e di transito», dove «gli studenti entrano ed escono, speriamo migliori, con conoscenze nuove», ricorda il rettore Franco Anelli. «L’Università Cattolica è nata per essere, e lo dovrà essere sempre di più, un laboratorio permanente di dialogo e di confronto inter e trans disciplinare per rispondere alle esigenze di un mondo in rapida trasformazione» osserva monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo, e curatore del terzo volume della Storia dell’Ateneo dedicato alle Fonti del Magistero della Chiesa per l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Vita e Pensiero). «Non si dà pensiero di Dio, e quindi non si dà fede, in assenza di pensiero», precisa il cardinale Parolin. «Così, in una sintesi estrema e – mi auguro – non forzata, può essere riassunto l’apporto che l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha dato e continua a dare alla società e alla Chiesa. C’è fame di pensiero, nel nostro tempo. C’è sempre fame di pensiero nella storia, specie nella storia tormentata che da cento anni a questa parte ha accompagnato lo sviluppo di questa Università». Sulla stessa «lunghezza d’onda» Giuliano Amato la cui riflessione sulla fondazione

dell’Ateneo parte da una considerazione, quella dell’«incontro» tra un uomo – inquieto, tormentato, contradditorio, «intelligente come pochi» – e la storia del nostro Paese, «creando quell’alveo su cui diversi anni dopo riuscirà a collocarsi la democrazia italiana». In particolare, secondo Amato, due sono gli scopi che padre Gemelli assegna alla fondazione della Cattolica: «Svolgere attività scientifica per il progresso della scienza “senza preoccupazioni di sorta” e, nello stesso tempo, formare una scuola che sia non solo di istruzione tecnica ma che si ispiri a una concezione cristiana della vita». Questo perché «padre Gemelli pensa che c’è un ruolo che compete ai cattolici e alla cultura cristiana», che «non è quello di impattare autoritativamente sulla scienza» ma «di concorrere a formare una classe dirigente che sia tale per il Paese, per la società e non soltanto per le vicende spirituali». Da quel primo appuntamento con la storia d’Italia ne deriva un secondo incontro, quello dell’Assemblea costituente. «Dossetti, La Pira, Lazzati, Moro, Fanfani: sono loro a impostare il quadro della nostra Costituzione in base alla loro cultura, alla persona che precede lo Stato, alla persona che vive come singolo ma si sviluppa e si arricchisce nella formazione».

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I nuovi territori della restorative justice, un pilastro della futura giustizia penale di Marta Cartabia ministra della Giustizia

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i fronte al mistero del male e del dolore, che sempre accompagna ogni atto di grave ingiustizia, l’esigenza di soddisfare il proprio bisogno di giustizia si fa tanto più forte quanto più è evidente il senso di insoddisfazione che le vittime immancabilmente provano di fronte all’esito di un processo. I conti non si pareggiano e non tornano di fronte a un’esigenza così vitale. E se è vero che non possiamo non prendere sul serio la domanda sempre più esigente nei confronti della giustizia penale emersa nel discorso pubblico negli ultimi tempi, resta altrettanto innegabile che le forme più severe di risposta punitiva non generano mai soddisfazione. Ne è testimone, tra gli altri, Gemma Calabresi, che nel suo libro La crepa e la luce (Mondadori, 2022) riporta con estrema schiettezza i suoi sentimenti alla notizia dell’estradizione in Italia dei responsabili del terrorismo politico nei cosiddetti Anni di Piombo.

La domanda sempre inesauribile e il bisogno mai placato di giustizia derivano dalla nostra fame di senso e chiedono alla giustizia penale di offrire qualcosa di nuovo. La giustizia riparativa è una risposta più adeguata all’urgenza che avvertiamo di fronte a fatti piccoli o grandi che segnano la vita delle persone e dei popoli. Nello stesso momento, però, la giustizia riparativa ci pone di fronte a un percorso ancora tutto da scoprire, poiché implica un totale cambio di paradigma. Un cammino complementare alla giustizia penale, perché sussistono istanze incomprimibili di contenimento della libertà del condannato quando si pongono esigenze di difesa sociale, di protezione delle vittime, di rimedio alla pericolosità dell’autore, di intervento immediato di fronte al rischio di una possibile reiterazione dell’illecito. Complementarità significa trasversalità rispetto a ogni passaggio dello svolgimento del processo penale, con un approccio al problema del reato e della pena in grado di permeare tutto il tessuto dell’ordinamento, senza restare relegato a un

determinato segmento. Anche perché si parla di tempi non prevedibili: il tempo dell’aggressore – e della necessità di fermare l’aggressione – e il tempo della vittima possono essere diversi, non possono essere compressi e preordinati, perché lo spazio della maturazione personale non coincide con i passaggi di un determinato modulo processuale. La giustizia dell’incontro La definizione più sintetica e più suggestiva della giustizia riparativa è “giustizia dell’incontro” (è l’espressione usata da Claudia Mazzucato in Il libro dell’incontro. Responsabili della lotta armata e vittime a confronto, Saggiatore, 2015): un incontro che avviene tra tutti i soggetti coinvolti, con un terreno comune tra l’aggressore e la vittima ma anche della comunità, insieme con un mediatore. Anche nel pieno della guerra mossa dalla Russia all’Ucraina, del resto, siamo alla ricerca disperata di mediatori perché c’è sempre bisogno di un terzo che ci permetta di raccontarci. L’incontro, che mette al centro l’avvicinarsi e non il prendere le distanze, ribalta il paradigma con cui siamo abituati a pensare all’esercizio della giustizia, solitamente rappresentata, e a ragione, come terza, imparziale, bendata. Evitare la divaricazione tra terzietà come equidistanza dalle parti e terzietà che invita all’avvicinamento è la vera sfida culturale che ci attende. Il nuovo paradigma ci chiede di immaginare una forma di soluzione del conflitto che chiami a raccolta le parti, che convochi nella piena libertà, nel rispetto dei tempi e delle sensibilità e porti a sedersi a un tavolo comune. È la rottura della reattività. L’ingiustizia subita provoca sempre una reazione un po’ vendicativa nel suo primo esprimersi, perché di fronte a un’aggressione è naturale voler reagire e rispondere. Sedersi intorno a un tavolo comune è una modalità di affrontare i conflitti controintuitiva e controreattiva, ma corrisponde profondamente al desi-

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Primo piano derio di parlarsi, di tornare a ricucire quel rapporto che non avremmo mai voluto vedere lacerato, rotto o frantumato.

La sfida di Re-Justice Sulla giustizia riparativa il dibattito è felicemente scevro da pregiudizi. Per questo è il momento giusto per intervenire, soprattutto con percorsi che partano dalla formazione, come quello proposto dal Progetto europeo Re-Justice, che ha tra i suoi capofila l’Università Cattolica del Sacro Cuore insieme con la Scuola della Magistratura. La giustizia riparativa può diventare un nuovo pilastro della giustizia penale. Va Università Cattolica del Sacro Cuore

Il tavolo dei relatori del convegno “La giustizia riparativa e la formazione della magistratura” che si è tenuto a Milano il 14 marzo scorso. Nella foto, il rettore Franco Anelli e la ministra della Giustizia Marta Cartabia

fatta conoscere correttamente e accompagnata con un lavoro educativo, insegnando sin dalla scuola materna come gestire i conflitti, che iniziano da quando entra in casa un neonato e il fratellino si arrabbia perché è geloso, e arrivano fino alla tentazione del potere che porta alle guerre, come quella di aggressione all’Ucraina.

Non vedremo cambiare il volto della giustizia dall’oggi al domani, nemmeno nell’orizzonte temporale di un governo o di una legislatura. Ma è un investimento culturale che sarà il più promettente, innovativo e adeguato a quell’esigenza inestinguibile di giustizia che pervade da sempre l’umanità.

Il primo master su questa nuova frontiera BRESCIA

Insegnare la giustizia riparativa Ma se la giustizia riparativa è prima di tutto un’esperienza, o addirittura un’arte, come è possibile insegnarla? Ci vuole un vissuto per poter far scattare la curiosità e l’apertura su un modo diverso di concepire la giustizia: mettersi nei panni, immedesimarsi nel ruolo dell’altro è uno strumento decisivo perché porta a una conoscenza di tipo esperienziale. Dobbiamo introdurre il lessico della giustizia riparativa (cura, incontro, relazione, dialogo) nel linguaggio tradizionale della giustizia penale. E far conoscere, insieme alle esperienze, dati e numeri che dimostrano come uno dei settori in cui emergono i frutti più convincenti sia proprio quello dei reati di sangue. Un risultato totalmente controintuitivo per chi, sulla base di precomprensioni senza giustificazioni, ritiene applicabile questo modello solo ai reati minori, mentre la storia ci dice che sono i maggiori quelli da cui è partita e si è consolidata la necessità della giustizia riparativa. È la dimostrazione che ciò che nella nostra logica è diviso, polarizzato e contrapposto, è invece unito nell’esperienza. Nell’immaginario collettivo e nella propaganda politica, i bisogni di sicurezza si contrappongono a quelli del reinserimento sociale dei condannati. E, invece, dove c’è un’esecuzione della pena attenta al recupero del condannato anche i dati sulla sicurezza convergono. Il percorso della vittima e quello dell’aggressore non sono divergenti così come l’esigenza della sicurezza e le esigenze del reinserimento vanno nella stessa direzione.

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roprio nei giorni in cui la riforma Cartabia è giunta ad approvazione in Parlamento, è stato presentato il primo master in Giustizia riparativa e mediazione penale dell’Università Cattolica. Partirà a settembre 2022 nel campus di Brescia, per iniziativa dell’Alta scuola in Psicologia “Agostino Gemelli” (Asag), su proposta della facoltà di Psicologia, in collaborazione con il centro di ricerca sullo Sviluppo di comunità e i processi di convivenza (Cerisvico), il Servizio di Psicologia clinica e forense del dipartimento di Psicologia dell’Ateneo e con il Centro Studi Paolo VI “Mai più la guerra”. Tra i docenti Gherardo Colombo. Il master formerà operatori con competenze psicologiche e giuridiche, anche grazie al «rigore scientifico garantito da docenti italiani e stranieri in grado di trasmettere le conoscenze più aggiornate e la traduzione operativa dei modelli d’intervento nell’ambito di progetti sperimentali» spiega Giancarlo Tamanza, direttore del master, docente di Psicologia clinica

alla facoltà di Psicologia. L’obiettivo è creare un contesto favorevole al dialogo tra vittima e autore di reato, grazie al lavoro di mediatori. «Secondo le statistiche il tasso di recidiva migliora rispetto alle modalità detentive tradizionali» afferma Luciano Eusebi, co-direttore del master e docente di Diritto penale alla Facoltà di Giurisprudenza. «Quando l’autore di reato è in carcere il suo punto di riferimento, una volta uscito, rimane la gang o la criminalità organizzata. Il dialogo è più impegnativo rispetto al carcere “passivo”, aiuta a trovare nuovi riferimenti e destabilizza la malavita». Il corso si svilupperà in 37 giornate formative in aula (è richiesta la frequenza ad almeno al 75% delle ore complessive), cui vanno aggiunte due sessioni di Project work e di valutazione intermedia, uno stage professionalizzante e la redazione di un elaborato finale che consiste in un lavoro scritto sulla propria esperienza pratica da discutere davanti a una commissione qualificata.

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Le tre “i” dell’offerta formativa Unicatt

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di Emanuela Gazzotti

l tempo della scelta universitaria è contemporaneamente prezioso e difficile. Una volta concluso il percorso della scuola superiore, in pochi mesi si gioca l’orientamento alla professione futura di un ragazzo o di una ragazza. La vastità del panorama dei corsi di laurea nei diversi atenei apre a dubbi, domande, incertezze ma è anche un valore e una ricchezza nella misura in cui offre in prospettiva l’opportunità di svolgere lavori emergenti che corrispondono alle esigenze del mercato e alle aspirazioni dei giovani. «Nella vita di uno studente la scelta della facoltà universitaria è un momento fondamentale, non solo in termini di futuro lavorativo ma anche di crescita personale: l’esperienza universitaria consente di acquisire nuove conoscenze e competenze ma soprattutto permette di incontrare persone nuove, di conoscere nuove realtà e a volte anche di vivere in città

totalmente diverse dai contesti in cui si è cresciuti» spiega Giovanni Marseguerra, prorettore al Coordinamento dell’Offerta formativa dell’Ateneo. La domanda sul timore di commettere un errore è sempre in agguato. Secondo il professore «non c’è un sistema certo per non sbagliare, ma si possono seguire alcune semplici regole: comprendere ciò che veramente si vuole, seguire la propria passione, valorizzare i propri talenti. Partire dalle proprie attitudini e passioni per poi cominciare a guardarsi intorno, partecipare alle iniziative di orientamento, scoprire i corsi offerti dalle facoltà. La proposta formativa, però, non è l’unico elemento da prendere in considerazione: progettare il proprio percorso universitario significa scegliere che direzione dare al proprio futuro e in che ambiente vivere gli anni più importanti della propria formazione culturale». L’Università Cattolica, per l’anno accademico 2022-2023 propone 41 corsi di laurea triennali, 55 corsi di laurea magistrali e 7

corsi di laurea a ciclo unico. In particolare, sono quattro le novità proposte quest’anno nei cinque campus dell’ateneo Milano, Brescia, Cremona, Piacenza e Roma. È in rampa di lancio il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria della facoltà di Scienze della formazione, di cui parte il primo anno anche nella sede di Piacenza, dopo essersi consolidato a Milano e a Brescia. Questo corso, rivolto specificamente agli aspiranti insegnanti della scuola dell’infanzia e di quella primaria, è abilitante all’insegnamento. Conseguita la laurea, ci si può, infatti, inserire nelle graduatorie d’Istituto e partecipare ai concorsi ordinari. Si tratta di un percorso di cinque anni, strutturato su una solida base di conoscenze, che si articolano essenzialmente in due ambiti: quello dei saperi professionali (delle discipline di tipo socio-psico-pedagogico e delle competenze relazionali, comunicative, progettuali), e quello dei contenuti disciplinari (lingua italiana, lingua straniera,

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matematica e geometria, fisica e scienze della terra, storia, geografia), indispensabili nella formazione dell’insegnante. Un’altra new entry è la laurea magistrale blended in Linguistic computing. Promosso dalla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, questo corso in lingua inglese fornisce una conoscenza avanzata delle problematiche, dei metodi, delle tecniche e degli strumenti a vario titolo connessi al trattamento automatico dei dati linguistici. Questa conoscenza si affianca all’acquisizione di competenze di teoria e metodologia linguistica e ai nuovi linguaggi della comunicazione e dell’informazione. Le figure professionali formate saranno, per fare un esempio, esperti in trattamento automatico di dati linguistici, pianificazione, produzione e analisi di contenuti per il web, digital transformation e customer interaction. Anche il campus di Brescia ospita un nuovo corso di laurea magistrale blended in “Lavoro sociale e coordinamento di servizi per immigrazione, povertà e non autosufficienza”, che fa parte della facoltà di Scienze politiche e sociali. Le attuali tendenze sociodemografiche,

le aree emergenti di interesse scientifico sul piano nazionale e internazionale, i mutamenti a livello di politica sociale e gli sbocchi occupazionali confermano la necessità di formare social worker dotati di competenze specialistiche per progettare e accompagnare percorsi di aiuto con persone, famiglie, gruppi e comunità che si trovano in condizioni di gravi difficoltà sia materiale sia esistenziale. Le professioni a cui apre il corso sono, dunque, quelle di operatori e operatrici sociali, dirigenti e coordinatori specializzati nell’ambito del social work con persone adulte in condizioni di disagio, dovuto in particolare a problematiche legate all’immigrazione, alla povertà e alla non auto-sufficienza. Infine, all’interno del corso di laurea magistrale in “Comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse”, interfacoltà tra Lettere e filosofia ed Economia, sarà attivato un curriculum in Communication for Corporate, Media and Culture in lingua inglese. «Nel complesso l’Università Cattolica, grazie alla sua offerta multidisciplinare, offre la possibilità di vivere un’esperienza universitaria a 360 gradi e fa acquisire agli

studenti solide basi e una visione ampia del mondo, strumenti essenziali per mantenere la rotta in una società complessa come la nostra» aggiunge il professor Marseguerra. «La nostra offerta formativa ha tre grandi caratteristiche: l’interdisciplinarità, che consente di operare in un contesto complesso ed evita una formazione rigidamente specialistica; l’interattività, che si realizza in un ambiente straordinario di momenti vissuti in comunità e consente di crescere assieme; e, infine, l’internazionalizzazione, con i nostri studenti che vanno a studiare fuori dai confini nazionali e gli studenti stranieri che vengono a formarsi in Cattolica». Infine, per quanto riguarda le modalità di erogazione delle attività didattiche, nel prossimo anno accademico, in continuità con quanto avvenuto anche quest’anno, le lezioni e gli esami si svolgeranno in presenza, nella speranza che l’andamento della pandemia consenta a tutti gli studenti di frequentare numerosi le aule e i chiostri. Ovviamente l’Ateneo si riserva ulteriori decisioni relative alla didattica in funzione dell’evoluzione della situazione sanitaria.

Per merito o per il diritto allo studio. Tutte le borse dell’Ateneo

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ento+cento. È la cifra con cui l’Università Cattolica ha scelto di premiare il merito. Duecento ragazzi selezionati unicamente secondo i risultati scolastici o universitari sono saliti sul palco dell’Aula Magna della sede di Milano lo scorso 24 maggio per ricevere le borse di studio Start, Run e Smart. Cento di loro erano diplomandi o laureandi di primo livello, che nel mese di luglio 2021 hanno vinto un concorso nazionale con oltre 2mila partecipanti ottenendo una borsa per iscriversi in Università Cattolica (Borse Start e Run). Gli altri cento sono, invece, studenti già iscritti all’Ateneo e sono stati premiati poiché hanno ottenuto la media accademica più alta nel rispettivo corso di laurea (Premi Smart). Ma accanto a, e prima di questa iniziativa per valorizzare il merito a prescindere dal reddito, l’Università Cattolica è da sempre attenta al tema del diritto allo studio, cioè alla valorizzazione di chi, pur non avendo mezzi economici sufficienti per permettersi un percorso universitario, è sostenuto da fondi pubblici e privati che valorizzano i talenti che dimostra di possedere.

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Questo comporta, insieme alla borsa di studio per studenti bisognosi e meritevoli, anche l’esonero dal pagamento delle tasse universitarie e dà diritto a un pasto gratuito al giorno. Davanti alla costante riduzione di finanziamenti pubblici, per garantire a tutti gli aventi diritto (i cosiddetti “idonei”) le borse di studio, anche se i fondi pubblici erogati ne garantivano solo una parte, l’Università Cattolica ha scelto di investire in dieci anni, oltre 15 milioni di risorse economico-finanziarie proprie, per agevolare gli studenti in difficoltà.

«Non vogliamo rinunciare ad avere con noi tutti gli studenti che desiderano far parte del nostro Ateneo – afferma il rettore Franco Anelli – e non possiamo consentire che l’insufficienza dei fondi pubblici limiti i giovani meritevoli nella scelta del percorso universitario». In un anno, l’impegno economico complessivo sostenuto dall’Università Cattolica e da EDUCatt è pari circa a 28,9 milioni di euro – tra esoneri totali, agevolazioni e interventi vari, comprensivi di 8,7 milioni di euro di contributi regionali – e favorisce quasi 8mila studenti.

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Le aziende più sostenibili sono anche quelle che attraggono i talenti

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ostenibilità è diventata una di quelle parole d’ordine tanto utilizzate da rischiare di scolorire. Se non se ne definiscono bene ambito e significato, corre il rischio di ridursi a uno slogan. Non bisogna dimenticare, innanzitutto, che si tratta di un concetto multidimensionale, perché esistono sostenibilità economica, finanziaria, ambientale e sociale. C’è, però, anche un filone relativo al capitale umano, che sta assumendo rilevanza nel mondo del lavoro. La professoressa Elena Beccalli, docente di Economia degli intermediari finanziari e preside della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative – che ha appena curato Principles of banking and finance, un nuovo manuale in lingua inglese che ha inaugurato la collana di Vita e Pensiero di cui parliamo qui a lato – sta approfondendo questo ambito di studio e di riflessione, che l’ha vista protagonista lo scorso 25 maggio 2022 dell’incontro “Capitale umano”, organizzato da Corriere della Sera e L’Economia. La sostenibilità per il mondo del lavoro è cruciale in una pluralità di aspetti: dalla capacità di attrazione dei talenti alla

di Katia Biondi fidelizzazione dei dipendenti, dal coinvolgimento nelle agende di sostenibilità alla rilevanza sulle stesse performance d’impresa.

L’impatto della sostenibilità Una prima evidenza empirica che risulta dalla letteratura scientifica internazionale è che le società più sostenibili sono quelle che attraggono il miglior capitale umano. «Le aziende con un’agenda sostenibilità (e, in senso lato, di responsabilità sociale di impresa, la cosiddetta Csr) attraggono i migliori candidati» spiega la professoressa Beccalli. Ma c’è di più: le analisi suggeriscono addirittura che «candidati e dipendenti sono disposti a rinunciare a compensi più elevati pur di lavorare per organizzazioni orientate alla sostenibilità». Investire su politiche sostenibili permette, dunque, di attrarre il migliore capitale umano, ma anche di fidelizzarlo. «La letteratura suggerisce, infatti, che le agende di sostenibilità svolgono un ruolo fondamentale anche nel trattenere i dipendenti e ridurre il turnover» afferma la preside Beccalli.

Per non parlare dell’impatto sui risultati. «Studi recenti mostrano che un human resources management sostenibile (ossia pratiche responsabili nei confronti dei dipendenti e pratiche HR che sostengono un’agenda di sostenibilità) ha un impatto positivo sulla performance dell’impresa, in termini di risultati economici, di reputazione, di produttività dei dipendenti e di innovatività. È, invece, l’agenda di sostenibilità a incidere sulle prestazioni dei dipendenti». Non bisogna poi dimenticare che la dimensione sociale della sostenibilità include anche gender equality, che è parte integrante dalla stessa strategia della Commissione europea 2020-2025. «Alcune ricerche documentano che la presenza femminile nei board delle imprese statunitensi favorisce la sostenibilità ambientale, specialmente nei settori a maggiore impatto ambientale. Ma ci sono anche prove che gender diversity determina maggiore attenzione a welfare ed ecosistema e sociale, nella logica di un maggior orientamento alla pluralità degli stakeholder». Parlando di performance, è interessante il legame tra sostenibilità e rischio. «Le

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Formare alla sostenibilità L’impatto sempre maggiore della sostenibilità sul mondo aziendale, economico e finanziario solleva un problema di formazione di competenze. Come si attrezza l’università? «Una prima prospettiva è la rimodulazione di insegnamenti classici attraverso l’integrazione dei fondamenti della sostenibilità ambientale e sociale, ibridando gli insegnamenti in chiave di sostenibilità». Nell’insegnamento di EU Financial systems and bank management, tenuto dalla professoressa Beccalli nell’ambito della laurea magistrale European studies investor relations e financial communication, joint degree con l’Università della Svizzera Italiana di Lugano, dal prossimo anno sarà introdotto il modulo monografico in climate change. «Tratteremo dello stress test climatico a cura della Bce attualmente in corso, dei nuovi regolamenti e standard che normano la modalità di conduzione delle attività in ottica sostenibile. Affronteremo, inoltre, rischi e opportunità legati a sostenibilità al fine di comunicarli in modo chiaro ed esaustivo all’esterno. Infine, analizzeremo l’articolazione dell’informativa finanziaria e non-finanziaria nella rappresentazione della sostenibilità». Non bisogna dimenticare che nel campus di Piacenza lo scorso anno è stato attivato – il primo in Italia – il corso di laurea triennale in “Management per la sostenibilità”. L’intento è di proporre una formula distintiva e multidisciplinare di sviluppo delle competenze necessarie a comprendere la sostenibilità, lavorando tra varie facoltà (Economia e giurisprudenza, Scienze agrarie, alimentari e ambientali e Scienze della formazione). Università Cattolica del Sacro Cuore

Il professionista della sostenibilità L’obiettivo? «Formare il professionista della sostenibilità» spiega la preside. «Una figura professionale tecnica; forte di un sapere multidisciplinare; che presta la propria professionalità a imprese, pubblica amministrazione, organizzazioni non profit; declinando le competenze su molteplici funzioni aziendali (produzione, acquisti, distribuzione e marketing, gestione e formazione del personale, gestione ambientale, bilancio, relazioni finanziarie, relazioni istituzionali). Tra gli sbocchi professionali figurano la rendicontazione e gestione delle relazioni con gli investitori e gli stakeholder; la verifica della conformità dei processi a norme e standard in area ambientale e sociale; la progettazione e gestione di interventi per l’efficientamento energetico e il contenimento degli impatti ambientali (eco-manager); la gestione e sviluppo del personale, del capitale umano e supporto a progetti di cambiamento organizzativo (change management); l’accompagnamento alla transizione di aziende che operano in settori industriali ad alto impatto ambientale e sociale e investono nella realizzazione di strategie di sostenibilità. Tra i profili si possono annoverare l’imprenditore sociale in una prospettiva di shared value (impresa sociale, società benefit, aziende del terzo settore) e l’educatore alla sostenibilità. Nella strada della ricerca e della formazione su questi temi si colloca, infine, il lavoro dell’Alta Scuola in impresa e società (Altis) e dell’Alta Scuola per l’Ambiente (Asa). Con una cifra comune: «Una visione sistemica della ricerca e della formazione sui temi ambientali, che interseca fortemente i temi economici e sociali, fino a vedere la sostenibilità come strategia di protezione delle persone. È cioè una visione “integrata” della sostenibilità». Non mancano, infine i master offerti dalle alte scuole in materia: il master di primo livello in “Gestione e comunicazione della sostenibilità. Formazione, green jobs, circular economy”, il master di secondo livello in “Governance dell’ambiente per l’ecologia integrale. Rischio climatico, adattamento, formazione”; il master di secondo livello in “Finanza sostenibile”. Una proposta formativa plurale e “sostenibile”.

Finanza da manuale VITA E PENSIERO

aziende con miglior adeguatezza ESG (i criteri Environmental, Social and Governance, ndr) sono significativamente meno rischiose della media di sistema, secondo una recente indagine di Crif Transformation Services. Dalla distribuzione dell’adeguatezza ESG (da alta a bassa) si osserva che la maggior parte delle imprese italiane ha avviato un percorso verso la sostenibilità, anche se in modo piuttosto eterogeneo. Il 40% presenta un valore alto o buono di adeguatezza ESG, il 25% medio, ma il 35% basso o molto basso».

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i intitola Principles of banking and finance (Vita e Pensiero, 2022) il manuale di Elena Beccalli scritto e pensato per i corsi di Financial Intermediation della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. Il titolo inaugura il rinnovato stile della collana “Trattati e

manuali” della casa editrice dell’Università Cattolica, che viene incontro alle esigenze di apprendimento blended. I rimandi dalla carta alla rete sono ormai una realtà e il libro in “formato misto”, come è denominato dal ministero dell’Istruzione, si adatta anche a stili cognitivi diversi per aiutare l’apprendimento con mappe concettuali, schemi per punti, box, parole chiave, punti elenco per la priorità cognitiva dei concetti, una selezione di fonti online controllate e sicure. Sulla singola scheda libro sul sito della casa editrice gli studenti possono trovare gli approfondimenti digitali legati al volume; in questo caso i glossari finanziari online (Us e Eu) e le fonti per l’andamento del mercato, insieme alle slide corso riservate ai docenti che adottano il volume. Della nuova serie sono usciti anche i manuali Psicologia della religione e della spiritualità di Fraser Watts, a cura di Daniela Villani, e Psicologia del personal branding di Sofia Scatena con QR-Code dedicato sulla copertina.

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Trent’anni dopo Capaci Le mafie temono la cultura più che la repressione

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schiena diritta”. Così Giuseppe Governale, generale di corpo d’armata dei carabinieri, ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E da queste due parole si deve partire, spiega, per raccontare l’eredità dei due magistrati a chi nel 1992 – l’anno delle stragi – non era ancora nato. Siciliano, oltre quarant’anni di servizio, è stato a capo dei Ros e dal 2017 al 2020 al comando della Direzione investigativa antimafia. Negli anni in prima linea ha capito che combattere le organizzazioni criminali oggi vuol dire giocare una partita anche culturale, facendo leva sulle nuove generazioni. Perché crescano, appunto, con la schiena diritta.

di Giorgio Colombo Generale, come valuta l’attenzione delle nuove generazioni verso la lotta alla mafia? Penso che la sensibilità dei più giovani su questo tema sia in lenta crescita. Questo trend è da corroborare con l’istruzione e gli insegnanti devono aiutare nella crescita della società civile. Occorre quindi che a sostegno dell’attività investigativa e giudiziaria scendano in campo altre forze, che sono determinate dalla società civile e dalla cultura.

sono quelli che più rimangono impressi nella memoria dei bambini. Elementari e medie in questo senso sono ancora più importanti delle superiori e dell’università. Non si tratta di insegnare un’etica né abbiamo certo bisogno di uno Stato etico. Serve uno Stato che abbia i valori etici come elementi fondanti della sua crescita. Dobbiamo chiederci se preferiamo che la scuola si concentri di più sugli aspetti culturali o sull’educazione civica.

Come si fa a rendere la società civile più sensibile su questo tema? Per migliorare l’aspetto sociale e culturale bisogna fare affidamento sulle scuole, soprattutto nei primi anni di istruzione, che

Eppure, spesso, questo insegnamento ha poco spazio nel programma scolastico. Che cosa farsene di una persona culturalmente e professionalmente preparata quando non è allo stesso tempo preparata a livello di impegno civico? Come gli insegnanti non sono indulgenti sull’aritmetica e la grammatica, non devono essere indulgenti neanche sugli aspetti che ci fanno diventare cittadini di domani. Con la C maiuscola.

Fare memoria per combatterla

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ra il 24 maggio 1992. Insieme ad altri giovani uditori giudiziari in tirocinio al Tribunale di Palermo fui chiamato a fare il picchetto davanti ai corpi straziati di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, uccisi nella strage di Capaci. In quella notte, erano tanti i sentimenti che si agitavano nell’animo di quel gruppo: dolore, rabbia, ma anche voglia di riscatto per la propria terra, e orgoglio di far parte di una magistratura che aveva tra le proprie fila degli autentici eroi civili». Così scrive Antonio Balsamo, oggi presidente del tribunale di Palermo, giudice che ha condannato all’ergastolo gli esecutori di quella strage, nel libro Mafia: fare memoria per combatterla (Vita e Pensiero). Un volume che racconta la storia dell’organizzazione criminale e soprattutto la battaglia della magistratura e l’impegno civile per sconfiggerla attraverso la cultura, nelle scuole, con i giovani. «Questo libro dice che per combattere la mafia occorre un cambiamento culturale» ha affermato Caterina Chinnici, magistrato

ed europarlamentare, presentandolo a Palermo. «Perché – come diceva mio padre Rocco – sono i giovani che prenderanno in pugno le sorti della nostra società». Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso, ha ripreso il filo della memoria, sottile in Italia ma forte se lo si vuole, partendo da un ricordo: «Una delle ultime cose che mi ha detto Giovanni è stata: “si vive una volta sola”. Parole in cui c’è l’essenza di mio fratello. La vita è una e va spesa al meglio delle proprie possibilità, anche nel proprio lavoro. Quando è morto ho avuto paura che sarebbe stato dimenticato. Così non è stato e dobbiamo continuare a ricordarlo portando avanti la battaglia contro la mafia».

Sono passati trent’anni dalle stragi di mafia del 1992. Chi oggi è alle elementari e alle medie al tempo non era ancora nato. Come spiegargli chi erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? A noi che in quegli anni c’eravamo resta il fatto che dobbiamo considerarli persone normali, con un grande senso civico e di appartenenza. Amavano la loro terra e avevano la schiena diritta. Resta e dobbiamo trasmettere quello che Giovanni Falcone ci ha insegnato: in questa società, ognuno di noi deve fare qualche cosa, seppur poco, ma deve farla per la crescita sostanziale della cittadinanza. Come descrive la Sicilia di oggi? La Sicilia e la Calabria non sono solo terre di mafia, hanno anche partorito servitori Università Cattolica del Sacro Cuore


della società con la schiena diritta che hanno fatto il loro dovere, consapevoli del rischio cui si esponevano. Magistrati, giornalisti e uomini di chiesa. Quarant’anni di servizio mi hanno insegnato che tantissime persone, soprattutto al sud, non commenteranno mai reati di mafia. Però rimangono sfumature di mafia nei modi di ragionare: rivolgersi all’amico per ottenere qualcosa e considerare un favore un diritto, per esempio. E il nord Italia? Com’è messo con la lotta alla criminalità organizzata? Più si sale a nord, più c’è generalmente meno attenzione. Quei cittadini non hanno vissuto in aree territoriali degradate, non si possono rendere conto della capacità di penetrazione delle mafie, che sono in grado anche di cambiare atteggiamento. Quando parliamo di criminalità organizzata, pensiamo ai mafiosi che incutono timore con le minacce. Riescono però a cambiare atteggiamento in base all’interlocutore che hanno di fronte: a volte melliflui, altre accondiscendenti. Perché cambiano atteggiamento a seconda di dove si trovano? Hanno imparato che fuori dal territorio di loro provenienza non c’è necessità di esprimere violenza, perché se lo fanno attirano attenzione. Napoli con la camorra è un caso a parte, con modalità delittuose ancora violente. Le mafie oggi sono trasparenti: per passare inosservate devono presentarsi con l’abito della domenica. Gli interlocutori spesso capiscono, ma hanno Università Cattolica del Sacro Cuore

paura e abbassano la testa e accettano di farci affari. Quanto è diffusa la mafia al nord? Nel 2019 è stata scoperta la presenza della criminalità organizzata in Valle d’Aosta, nell’aprile 2016 il comune di Brescello in Emilia Romagna è stato sciolto per mafia perché c’erano infiltrazioni economiche e politiche. Non poteva essere altrimenti, perché uno dei business più remunerativi per queste organizzazioni, come lo spaccio di sostanze stupefacenti, è in continuo aumento in quelle zone. Oggi il traffico delle droghe è in mano quasi al 100% delle mafie, che devono trasformare questi soldi illeciti in soldi dimostrabili a un eventuale controllo dello Stato. Per questo mettono in piedi aziende anche al nord, per fare riciclaggio. Perché la criminalità organizzata decide di spostarsi al nord? Si spiega con uno schema: la mafia va nelle aree territoriali dove il Pil cresce. Per tanti anni ci è stato detto che mafia è un fenomeno di povertà, ma è solo parzialmente vero. Non è solo questo. Fatto 100 il Pil italiano, la Calabria è 60, la Lombardia 134, il Veneto 116. È chiaro che diventino aree territoriali da guardare con attenzione. La criminalità organizzata si sposta anche fuori dall’Italia, dove c’è una legislazione meno all’avanguardia e minore sensibilità alla cultura dell’antimafia. La mafia prolifera dove c’è possibilità di corrompere. E questa possibilità in Italia c’è da tutte le parti.

Che relazione c’è tra corruzione e presenza della mafia? La corruzione nasce quando c’è disamore per quello che si fa. Bisogna guardare alla motivazione di chi lavora, chi ha amore per quello che fa non si riesce a corrompere. Libero Grassi in una lettera scrisse di essere stato lasciato solo da tutti nella sua lotta contro la mafia. Se le aziende vengono abbandonate, sono più raggiungibili dalla criminalità organizzata. Oggi le imprese hanno bisogno di aiuto: se arriva qualcuno che offre molti soldi o propone di partecipare alla gestione dell’azienda, è possibile che uno pensi di accettare. Ci sono però molti dati, prodotti anche dall’Università di Milano, che spiegano come molte aziende abbracciate dalla mafia poi vengano stritolate. Salvatore Borsellino dice che anche suo fratello Paolo e Giovanni Falcone sono stati lasciati soli nella lotta a Cosa nostra. Che ne pensa? Falcone e Borsellino sono stati lasciati soli, è la pura verità. Sono stati lasciati soli anche altri servitori dello Stato. Ecco perché Falcone, ma anche Carlo Alberto dalla Chiesa, pensò che un giudice istruttore da solo non potesse fare nulla. Questo quindici anni prima che si formasse il pool sotto la guida di Rocco Chinnici. Quando le informazioni vengono condivise, è difficile essere contrastati. Anche se uno viene ammazzato, ci sono gli altri che portano avanti il lavoro e sanno tutte le informazioni. Per questo dalla metà degli anni Ottanta si è presa la decisione di imboccare questa strada. E questa strada che risultati ha portato? La lotta dello Stato alle mafie è sempre stata una rincorsa. Oggi però siamo passati in vantaggio, se non riusciamo a ottenere la vittoria auspicata da Falcone è perché le organizzazioni criminali non sono organizzazioni e basta. Altrimenti le avremmo già sconfitte. Si servono di altre armi come il soft power, cioè il senso di appartenenza che creano nelle loro aree di riferimento: Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. La cultura può arginare l’appeal che le mafie hanno sui giovani meridionali. Le mafie temono di più la cultura degli organi investigativi.

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L’organizzazione è la migliore medicina La sfida dell’Healthcare Management di Federica Mancinelli

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 Il Servizio sanitario nazionale deve funzionare in maniera appropriata, efficace ed efficiente e non può essere centrato solo sulle strutture ospedaliere ma anche su ei malati bisogna avere cura prima di tutto e al di sopra di presidi territoriali. L’unicum formativo della facoltà di Economia nel campus di Roma

tutto”: è l’incipit del capitolo 36 della Regola di San Benedetto da Norcia. Ed è forse anche l’inizio della moderna organizzazione sanitaria, se pensiamo che i monaci insegnarono ante litteram il management a tutta Europa, organizzarono i primi ospedali, non solo centri di ricovero, ma anche luoghi di apprendimento per i più giovani, in un’epoca in cui la medicina e la gestione dei luoghi e dei processi di cura non era ancora nei primi pensieri delle autorità politiche e delle popolazioni. Oggi, e non serviva una pandemia per dimostrarlo, è davvero chiaro: l’organizzazione è la migliore medicina e, se è vero che il biennio di emergenza sanita-

ria è stato superato grazie a competenza e dedizione di medici e operatori sanitari, è altrettanto vero che lo è stato anche grazie al lavoro di bravi manager. Nel campus di Roma dell’Università Cattolica questi concetti sono diventati realtà nel 2000: da più di vent’anni la facoltà di Economia, in sinergia con il Policlinico Gemelli, oggi Irccs, rappresenta un unicum formativo con i suoi corsi di laurea dedicati all’Healthcare Management, cioè all’organizzazione e gestione del sistema della salute.

«Da gennaio abbiamo avviato nell’ambito del corso di laurea interfacoltà Medicina-Economia della nostra Università un “GovValue Lab” dedicato all’assistenza sanitaria basata sul valore (“value based healthcare”)» racconta il professor Antonio Giulio de Belvis (nella foto qui accanto), docente di Igiene generale e applicata nella facoltà di Economia e direttore dell’Unità Operativa Complessa Percorsi e Valutazione Outcome Clinici della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. «Nel Laboratorio, ospitato

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dall’Unità operativa in Policlinico, medici di sanità pubblica della sezione di Igiene del dipartimento di Scienze della vita e di sanità pubblica della facoltà di Medicina e chirurgia e studenti e dottorandi della facoltà di Economia definiscono percorsi di cura che, oltre a essere efficaci, sicuri ed economicamente sostenibili, siano in grado di rispondere al meglio alle aspettative esplicite e implicite del paziente. L’obiettivo, per ogni malato accolto dal Gemelli, è di arrivare a comparare i migliori risultati clinici (“Gov”) con “quello che vale” per lui in termini di esperienza di cura e qualità di vita, rispetto a un uso appropriato delle risorse per la sua assistenza (”Value”)». E che cosa vale per un paziente? Non serviva una pandemia per dimostrarlo, ma l’emergenza ha insegnato. Anzitutto, che un Servizio sanitario nazionale (Ssn) deve funzionare in maniera appropriata, efficace ed efficiente e che non può essere centrato solo sulle strutture ospedaliere, ma anche su centri e presidi territoriali. E che sono fondamentali l’innovazione tecnologica, la qualità del management e la formazione dei professionisti. Il Pnrr è intervenuto prevedendo misure di sostegno per il sistema sanitario attraverso il riequilibrio delle attività territoriali e la trasformazione digitale. Ma non è tutto. «Esistono ancora molti temi che il Piano nazionale di ripresa e resilienza non affronta» spiega il professor Americo Cicchetti (nella foto sotto), docente di Organizzazione aziendale e direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari (Altems). «Eppure sono essenziali al futuro del Ssn: un migliore utilizzo delle risorse del privato profit e non profit, in positiva competizione con quelle del settore pubblico; un più attento processo di reclutamento, selezione e valutazione del personale: dobbiamo scegliere competenze, non numeri; una migliore selezione delle tecnologie, attraverso procedure di Health Technology Assessment; un coinvolgimento sistematico delle associazioni dei pazienti». Ma tutto questo non basta se non è accompagnato dall’aumento del

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finanziamento statale del fondo per il settore sanità «che potrà essere, però, ben impiegato solo se le suddette condizioni verranno soddisfatte». Questi sono anche i temi delle lezioni, delle esercitazioni, degli stage e delle esperienze sul campo degli studenti della Cattolica e dei partecipanti ai corsi post lauream «perché tutti abbiano gli strumenti giusti al momento giusto, che è quello delle scelte per il bene di tutto il sistema». Che è lo scopo ultimo e primo di una formazione – e di una politica – orientata al bene comune. Ma manca ancora una cosa, perché il percorso sia efficace: una società consapevole e informata. «In tutti gli ambiti delle nostre attività, le decisioni politiche vengono sostenute da dati empirici» spiega il professor Giuseppe Arbia (nella foto in alto), docente di Statistica economica. «Come diceva Peter Drucker, padre dell’economia manageriale, “non puoi gestire quello che non puoi misurare”. Per questo l’Istat rilascia periodicamente i risultati di indagini sulla base delle quali vengono prese le più importanti decisioni economiche dell’Italia. Perché non facciamo lo stesso per le situazioni sanitarie emergenziali che pure sono altrettanto cruciali per la vita del nostro Paese?». Secondo il professor Arbia, ora che siamo fuori dall’emergenza, «dovremmo intervenire per migliorare i criteri di raccolta e di analisi dei dati e prepararci a eventuali, possibili, future situazioni di stress sanitario». Che cosa sarebbe necessario fare? «Realizzare un’indagine statistica multiscopo, continuativa e flessibile alle mutevoli esigenze sanitarie. Potrebbe rilevare il numero dei sintomatici/asintomatici, l’incidenza delle diverse varianti e seguire nel tempo coorti di individui infettati per comprendere l’impatto di lungo termine della pandemia sulla società. Non occorrono campioni molto grandi e costi elevati per giungere a conclusioni affidabili: occorrono solo campioni ben fatti. L’Istat, d’intesa con l’Istituto Superiore

di Sanità, ha le competenze metodologiche, l’autorità e la possibilità pratica di realizzare tali indagini e portarle avanti con la periodicità richiesta». A scrivere le tappe future dell’organizzazione del sistema sanitario, coniugandole con la formazione universitaria, pensa il programma in Healthcare Management della facoltà di Economia, in interfacoltà con Medicina, uno dei profili della laurea magistrale in Management dei servizi. «Il nostro programma offre agli studenti un ambiente formativo davvero internazionale, sia per i compagni con cui si trovano a interagire sia per i professori che si affiancano alla faculty di Economia presente nel campus di Roma» dice il professor Gilberto Turati (nella foto qui sopra), docente di Scienza delle Finanze e coordinatore del corso di laurea magistrale. Negli ultimi anni, nonostante il Covid, circa un terzo degli studenti che si iscrivono arrivano da paesi europei, africani e asiatici. Le domande di iscrizione per settembre 2022 lo confermano. «Sul fronte dei docenti, accogliamo ogni anno colleghi dal Regno Unito, dagli Stati Uniti, dalla Spagna, dal Portogallo e dal Belgio: portano con sé la loro esperienza didattica e di ricerca, contribuendo a rafforzare l’idea che i problemi organizzativi e gestionali della sanità hanno una matrice comune e quindi si possa imparare dalle esperienze altrui. La nostra offerta si sostanzia anche per un approccio realmente interdisciplinare, grazie al dialogo con la facoltà di Medicina e chirurgia e con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs». Nessuno può conoscere il futuro, ma tutti possono impegnarsi a organizzarlo. Attraverso la formazione, l’elaborazione di nuove conoscenze e l’applicazione pratica il “management della salute” è e sarà un campo di sperimentazione essenziale alla costruzione dei nuovi ecosistemi sociali.

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Donne del sud del mondo alle prese con la pandemia Il coraggio delle scienziate

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onne, pandemia e Sud del Curzio. «Queste donne si sono trovate combina non solo la salute delle donne mondo. Quaranta studiosi e esposte più di chiunque altro anche per- ma spesso (anzi, quasi sempre, poiché il studiose di livello internazio- ché gravava su di loro la tutela dei figli tasso di natalità in quei Paesi è particonale, un anno di lavoro, tre grandi aree nell’affrontare la pandemia. Lo hanno larmente alto) anche quella dei figli. Il del Global South analizzate per capire gli fatto in un modo ammirevole per i figli problema dell’assistenza effetti del Covid-19 sulle donne che vivo- e per la propria famiglia e hanno spesso sanitaria è stato ovviano in condizioni economico-sociali svan- trovato un supporto nelle donne scien- mente drammatico taggiate come l’India e la Cina, il Medio ziate del cosiddetto Global South, che anche per la mansi sono molto adoperate soprattutto canza di vaccini. Oriente, l’America latina. È il tema del numero speciale, primo dal punto di vista sanitario per ridurre Se si spendesse l’impatto della pandemia. È d’ob- in spesa sanitaria del 2022, della rivista internazionabligo far presente che il punto tanto quanto si inle «Economia politica. Journal of di partenza svantaggiato per veste in armamenti, analytical and institutional ecoquesta categoria di donne credo che avremnomics», diretta da Alberto Bina Agarwal era già ben presente prima mo una situazioQuadrio Curzio, profesCo-editor of Economia Politica, dell’emergenza Covid, una ne non solo più The University of Manchester, UK sore emerito di Economia situazione di sofferenza che umana ma anche politica dell’Università Catl’emergenza pandemica ha più pacifica nel mondo. tolica, che per la costruzione ulteriormente aggravato». di questa iniziativa ha potuto Gli articoli del numero speciale della fruire della cruciale collarivista affrontano il tema della parità di Quali sono stati gli effetti Amartya Sen borazione di cinque Guest Harvard University, USA socioeconomici più rilevanti genere, declinandolo in diversi contesti. Editors, tra cui Floriana Emerge un quadro univoco o si evidenche la pandemia ha provoCerniglia, direttrice del Centro di ricerziano differenze sostanziali tra i Paesi cato su queste donne? ca Cranec dell’Ateneo, che è anche una Prima di tutto è diventato assai più com- analizzati? dei co-editors della rivista. plesso il processo di approvvigionamen- Il quadro è diversificato anche dal punto Lo sguardo degli esperti è sceso in proto di cibo perché spesso questo avveni- di vista della dimensione continentale e fondità per scandagliare le realtà difficili va con la coltivazione diretta dei campi urbana dei vari Stati. Un Paese come l’Indi questi luoghi e ne è emersa una situae con la raccolta diretta degli alimenti. dia, con un miliardo e mezzo di persozione grave ma in vari casi anche resiLa pandemia ha reso tutto più difficile. ne e con aggregati urbani molto grandi, liente grazie anche alle donne scienziate ha certamente subìto un’incidenza Ugualmente per approvvigionarspecializzate in medicina e biologia, alle della pandemia molto signisi dell’acqua spesso bisognava economiste e alle sociologhe, che hanno ficativa. In America Latina, percorrere lunghi percorsi messo al servizio del bene comune la invece, l’impatto è stato più che diventavano assai più propria professionalità. vario e più forte a seconda gravosi quando non impos«Le donne, soprattutto nel sud del mondella dimensione degli agsibili. Questi due aspetti codo hanno certamente avuto un carico gregati urbani e della prosstituiscono un filo rosso per maggiore di sofferenza e di responsabisimità agricola. Il caso della tutti i Paesi del Global South. lità, a sua volta accentuato dalla manCina è più difficile da valutare canza o inadeguatezza di sostegni dal Ma c’è di più. perché lo stesso contesto Alberto Quadrio Curzio punto di vista sanitario, alimentare e Un altro aspetto da sottolipolitico-istituzionale preEditor in chief of Economia istituzionale» spiega il professor Quadrio neare è quello sanitario che Politica, Accademia Lincei, Italy senta una variabile di noUniversità Cattolica del Sacro Cuore


tare i ceti più deboli, le donne e pre avere degli obiettivi di bene pubblico tevole peso e perché le decisioni non solo, hanno dimostrato non da perseguire con strumentazioni centralizzate non danno comcome «l’umanità esista» e coercitive ma con quelle modalità di svipleta comprensione dell’accome le donne scienziate luppo umano che gli obiettivi di Agenda cadimento dei fenomeni vi contribuiscano. Owsd ha 2030 delle Nazioni Unite hanno posto stessi. Quindi India, Cina dato, anche per la sua ispi- all’evidenza di tutti. e Sud America, anche per razione, un accento umaragioni istituzionali, nonché Non sarebbe determinante nitario forte e apprezzabile. urbane, presentano differeninvestire di più in Probabilmente molte di quelle ze. Il numero speciale dà valutaformazione? Floriana Cerniglia donne scienziate avrebbezioni cruciali per la nostra Co-editor of Economia Politica, L’istruzione è un ro potuto riposizionarsi in comprensione degli effetti Catholic University, Italy costo ma chi deve Paesi più sviluppati, evidel Covid che non sono sopportarlo se stati coperti da lavori precedenti al fine tando non solo di soffrire esse stesse ma non la collettività, di tracciare gli impatti immediati e a bre- di veder soffrire. la comunità? Chi ve termine delle chiusure e delle riprese Le scelte di politica economica sono lega- è abbiente può fareconomiche post-lockdown così come te alle scelte politiche. Che cosa sarebbe vi fronte ma in alcune implicazioni a lungo termine. Jennifer Thomson necessario per cambiare la rotta della generale il costo University of Capetown, discriminazione, dell’impoverimento, In questo contesto qual è il valore agdell’istr uzione South Africa and OWSD dell’esclusione delle donne? giunto delle donne scienziate, biologhe, è necessario per economiste e sociologhe? Credo che la scienza economica abbia creare quel bene comune in cui possiaFrequentando l’Organization for Women negli ultimi dieci o vent’anni eccessiva- mo convivere senza combatterci. Papa Francesco lo ha ricordato spesso, in Science for the Developing World (Owsd), mente enfatizzato i meccanismi ma ci deve essere la consapeho ammirato queste donne che, per le di mercato come meccanismi volezza che l’economia poloro qualità personali, intellettuali e risolutivi di ogni problema litica debba badare al bene professionali, avrebbero potuto vivere economico e soprattutcomune, a quello che io in questo drammatico contesto una vita to che non si sia tenuto in chiamo il “solidarismo libesostanzialmente protetta, non evitando debito conto che il divario rale”. Liberale nel senso che la pandemia ma potendola sopportare Nord-Sud del pianeta non si la capacità di intrapresa non in condizioni relativamente accettabili. stesse colmando con un’adeva assolutamente mortificata Invece hanno scelto una spinta altruisti- guata rapidità per evitare evenRagupathy Venkatachalam ma deve essere accompaca assai significativa. Anche per la capa- tuali catastrofi sanitarie, Associate Editor of Economia gnata dalla componente cità di «inventare» delle strumentazioni, alimentari, ecc. L’econoPolitica, Goldsmiths, solidaristica. accorgimenti sanitari per poter suppor- mia politica dovrebbe semUniversity of London, UK

Un numero speciale

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omen, Pandemics and the Global South è il titolo del primo numero speciale del 2022 della rivista “Economia Politica. Journal of Analytical and Institutional Economics”, diretta da Alberto Quadrio Curzio (che egli denomina Epol) pubblicata da Springer-Nature e il Mulino. Guest Editor della Special Issue sono: Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, Bina Agarwal, vincitrice del Premio Balzan, Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Floriana Cerniglia, direttore del Cranec all’Università Cattolica, Ragupathy Venkatachalam, direttore dell’Institute of Management del Goldsmiths, University of London Jennifer Thomson, Presidente di Owsd e professoressa emerita alla Università di Cape Town (Sud Africa). Allo studio hanno partecipato 40 studiosi e studiose di vari Paesi dando un contri-

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buto per capire gli effetti socioeconomici del Covid-19. Oltre alla prefazione del direttore, si succedono 20 articoli di ricercatori di fama internazionale a cominciare proprio dai Guest Editors. «Essendo un ambasciatore della Organization for Women in Science for the Developing World sono coinvolto in questi problemi perché Owsd è una iniziativa straordinaria con circa 10.000 donne scienziate che vivono nel Global South, organizzata al suo interno in compartimenti continentali e nazionali, è finanziata massicciamente da Svezia e Canada» spiega il professor Quadrio Curzio. «Fa parte dell’Unesco e la segreteria generale (diretta da Tonya Blowers, con cui collaboro molto) a Trieste presso un’altra organizzazione internazionale che raggruppa le Accademie delle Scienze del Global South (Twas) di cui sono parte e

che il Governo Italiano finanzia. Quando è iniziata la pandemia ho capito subito che un numero speciale sarebbe stato cruciale per esaminare la situazione, drammaticamente accentuata per le donne del Global South. Ne ho discusso con tre co-editors della Rivista: Bina Agarwal, Floriana Cerniglia, Ragupathy Venkatachalam trovando pieno supporto così come l’ho trovato subito sia in Amartya Sen, che oltre a essere un premio Nobel, è membro del comitato scientifico della rivista, sia in Thomson, presidente di Owsd».

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Intelligenza artificiale col volto di Pepper Gli studi sull’interazione uomo-robot di Lorenzo Buonarosa

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iao sono Pepper, in cosa posso esserti utile?». Entrando nella sede dell’Università Cattolica in via Sant’Agnese il piccolo robottino accoglierà gli ospiti pronunciando questa semplice frase. Basterà guardarlo negli occhi, dire di cosa si avrà bisogno e Pepper potrà risolvere ogni necessità: posizione delle aule, lezioni del giorno e previsioni meteo. Alto 120 cm per 28 kg di peso, Pepper si muove in diverse direzioni grazie a tre ruote multidirezionali e può arrivare fino alla velocità massima di 20km/h. In Università Cattolica, però, lo troverete sempre lì, all’ingresso pronto a salutare gli ospiti: «È diverso rispetto agli altri perché è possibile acquistarlo con facilità, costa sui 12.000 euro. Inoltre, è programmabile usando un linguaggio informatico» racconta Giuseppe Riva (nella foto qui sotto), direttore dello Humane Technology Lab dell’Ateneo. «Per noi rappresenta un importante punto di partenza per capire come si interagisce con questi robot». L’intento del laboratorio è studiare il rapporto che si crea tra uomo e macchina. In quest’ottica, la diffusione di robot umanoidi con una struttura fisica che ricorda il corpo umano, dotati di capacità decisionali e in grado di esternare e generare emozioni, sta aprendo una nuova linea di ricerca con l’obiettivo principale di comprendere le dinamiche delle interazioni generate dall’incontro tra le due parti. Tuttavia, questo processo non è facile. Per essere accettati dalla società, i robot devono “capire” le persone e adattarsi ad ambienti sociali complessi: «Pepper è un umanoide ed essendo tale instaura nelle persone un meccanismo di tipo empatico. Il robot per chi ci interagisce non

è solo un pezzo di latta ma attiva dei meccanismi emotivi e comunicativi vicini a un essere umano» commenta Riva. Il centro del lavoro dello Humane Tecnology Lab è documentato nel libro Humane Robotics. A multidisciplinary approach towards the development of humane-centered technologies (2022) edito da Vita e Pensiero. Nel volume, scritto da Antonella Marchetti e dallo stesso Riva, si indaga il rapporto tra materie diverse: meccatronica e informatica, psicologia e neuroscienze, scienze sociali, filosofia ed etica, antropologia, medicina, economia, diritto e istruzione. Tutte discipline integrate che convergono per comprendere punti di forza e di debolezza del rapporto uomo-macchina: «A volte chi non sa usare questa tecnologia crea una barriera con i nuovi mezzi. Al contrario, Pepper facilita l’interazione. Per esempio, è utilizzato anche nei negozi come una specie di venditore. Il robot è il punto di contatto» sottolinea Riva. Il punto di debolezza è quando il robot viene utilizzato per attività più comples-

se come accudire un anziano o gestire dei bambini: «Ci siamo accorti che le aspettative su quello che un robot può e deve fare da parte del fruitore sono elevate. Viene quasi paragonato a un soggetto di compagnia». In realtà le tecnologie attuali alla portata di tutti non permettono questo scambio alla pari ma una semplice assistenza nei compiti domestici. La missione è quella di consegnare alle persone un robot di cui non si ha solo curiosità ma con cui si possa instaurare un vero e proprio rapporto: «In questo momento non si può dire che si stia creando una nuova antropologia perché gli scenari attuali non permettono degli scambi equi tra uomo e macchina» conclude Riva. Ma l’obiettivo sembra essere molto vicino. Si pensi al Language Model for Dialogue Applications (LaMDA) di Google, un sistema informatico intelligente con cui si può conversare. La via è tracciata, la ricerca sta seguendo questo sentiero, solo lo sviluppo tecnologico consegnerà in mano alle persone il futuro. Università Cattolica del Sacro Cuore


Non solo rider, il lavoro delle piattaforme La governance dei servizi di welfare

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di Christian Valla

emergere di nuovi bisogni sociali e l’aumento delle diseguaglianze hanno fatto crescere la necessità di politiche innovative per la protezione sociale e il benessere collettivo. Non è un caso che negli ultimi anni si sia assistito a un fiorire di piattaforme digitali che hanno introdotto innovazioni a livello di organizzazione e governance dei servizi di welfare territoriale e aziendale. Per ricostruire gli elementi distintivi di queste piattaforme ha preso forma “Weplat”, una ricerca che coinvolge gruppi di studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dell’Università degli studi di Padova, dell’associazione Collaboriamo e del consorzio Cgm coordinati dalla professoressa Ivana Pais (nella foto in alto). «L’idea del progetto nasce da due ragioni principali» spiega la docente di Sociologia economica in largo Gemelli. «La prima è legata al fatto che quando si parla di lavoro di piattaforme si evocano quasi sempre i rider, mentre ci sono tanti altri lavori che vengono erogati in questo modo e che sono poco studiati. Molti riguardano la fornitura di servizi alla persona, come medici, psicologi, baby-sitter

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o badanti». Occuparsi di lavori di piattaforma più articolati introduce tutta una serie di elementi che nello studio delle consegne a domicilio non vengono presi in considerazione e che riguardano anche la relazione tra il professionista che eroga il servizio e i beneficiari di quest’ultimo. Molti di questi servizi, in primis quelli psicologici, hanno avuto un vero e proprio boom durante l’emergenza pandemica. Adesso è necessario capire quali di questi possano continuare, parzialmente o totalmente, in forma digitale, e se e come sarà necessario riorganizzare di conseguenza i processi lavorativi. La seconda ragione riguarda l’innovazione organizzativa e di governance dei servizi di welfare, di tipo territoriale o aziendale. Le piattaforme digitali, da questo punto di vista, possono considerarsi un fattore di accelerazione di tali processi, e in alcuni casi di rottura con schemi e modelli consolidati. «Non dobbiamo dimenticare che c’è una forte critica rispetto a queste piattaforme digitali, accusate di adottare un modello estrattivo, di sfruttamento dei lavoratori» aggiunge la professoressa Pais. «In risposta a questa critica c’è un forte attivismo che va sotto l’etichetta del cosiddetto platform cooperativism, l’idea,

cioè, di clonare l’aspetto tecnologico e di innestare una logica cooperativa. Le piattaforme che stiamo analizzando in Italia muovono in direzione opposta: partono dalle cooperative per introdurre una dimensione tecnologica coerente con le loro logiche di funzionamento». A oggi Weplat ha mappato e classificato tutte le piattaforme di erogazione di servizi di welfare, che in Italia sono circa un centinaio. Tre i modelli prevalenti: le startup digitali che nascono per erogare servizi alla persona; le piattaforme create dal terzo settore e da amministrazioni pubbliche; le piattaforme di welfare aziendale che erogano servizi a lavoratori di dipendenti di aziende. La ricerca proseguirà con l’analisi di alcuni studi di caso, con l’obiettivo di individuare le variabili organizzative e di servizio distintive di ciascun modello. L’obiettivo ultimo del progetto sarà quello di impiegare le conoscenze acquisite in attività di co-progettazione di piattaforme di welfare, che rispondano in modo adeguato alle esigenze di utenti, provider e policy makers.

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La storia di Flavio, dalla pena (alternativa) alla tesi “riparativa”

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erano proprio tutti il 21 aprile in Cattolica per assistere alla seduta di laurea di Flavio Patriarca. C’era la sua famiglia, suo punto di riferimento, anche nei momenti difficili. C’erano i magistrati Anna Zappia, Marilena Chessa, Rosanna Calzolari, che l’hanno seguito durante il procedimento che l’ha portato di fronte alla giustizia. C’era l’assistente sociale Silvia Sacerdote, che ha sempre avuto le parole giuste al momento giusto. C’era il responsabile della comunità Arimo Alberto Dal Pozzo, che gli ha dato sempre fiducia. C’era il preside del liceo scientifico Enrico Fermi Giuseppe D’Arrigo, che gli trasmesso la passione per la conoscenza. C’erano la professoressa Claudia Mazzucato, relatrice della sua tesi, e i

di Katia Biondi professori Matteo Caputo e Francesco D’Alessandro, che, insieme agli altri docenti della Cattolica, l’hanno sostenuto insegnandogli l’amore per il diritto e la giustizia. «È stato molto emozionante. Avevo immaginato quel momento per tanto tempo e dieci anni fa non avrei mai creduto sarebbe stato possibile. Insieme, abbiamo dato attuazione al principio di rieducazione inserito nell’articolo 27 comma 3 della nostra Costituzione». La discussione della tesi di laurea in Giurisprudenza, conseguita con 110/110 e perfettamente in corso, è stata per Flavio uno dei giorni più “incredibili” della sua vita. Una storia di cadute e di risalite. Una storia di sofferenza e di speranza. «Era Il 17 aprile del 2013 quando sono stato ferma-

I corsi della Cattolica GIUSTIZIA RIPARATIVA

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dispetto del nome, la giustizia riparativa non è la giustizia della riparazione delle conseguenze del reato: è la giustizia dell’incontro con gli “altri difficili”. Anzi: con gli altri più difficili». Claudia Mazzucato, docente alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Ateneo, è in prima linea tra coloro che investono sul potenziale trasformativo della restorative justice. «Per insegnarla occorre essere coerenti con il metodo e con il messaggio: apertura, dialogo, scoperta dell’inatteso» afferma. Così, i due corsi di giustizia riparativa impartiti nell’Università Cattolica – e censiti dallo European Forum for Restorative Justice fra i pochi (ancora) corsi curricolari in materia – assecondano modalità didattiche dialogiche e propongono incontri: esperienze pratiche, visite di luoghi, ascolto di testimonianze, dialoghi riparativi. «Fin dai primi percorsi di giusti-

zia riparativa raccontati ne Il libro dell’incontro (Saggiatore, 2015) gli allora studenti sono stati interlocutori fondamentali: i “primi terzi”, accanto a vittime e responsabili della lotta armata impegnati nei vertiginosi incontri riparativi. Negli ultimi anni, e dopo un memorabile circle della comunità universitaria con i testimoni del Libro dell’incontro, gli studenti hanno preso parte annualmente a dialoghi riparativi con alcuni detenuti della Casa di Reclusione di Milano-Opera in collaborazione con l’associazione “InOpera”». Da questi incontri e dialoghi sono nate “vocazioni” alla giustizia riparativa di futuri giuristi, cooperanti internazionali, diplomatici, operatori sociali: per limitarci all’anno accademico appena concluso, la vocazione di Flavio, con la sua storia particolare e in sé riparativa, ma anche quelle di Beatrice, Marta, Giulia, laureatesi con tesi molto originali che hanno approfondito, per esempio, le dimensioni costituzionali

to e portato nel carcere minorile Cesare Beccaria dopo l’esecuzione di una misura cautelare emessa nei miei confronti dal magistrato Anna Zappia». In carcere Flavio resta solo dieci giorni perché ottiene quasi subito la modifica del provvedimento dopo la richiesta di poter continuare gli studi al liceo e trasferirsi nella comunità Kayros. «Ero comunque ristretto nella mia libertà personale: potevo incontrare i miei genitori solo una volta a settimana durante un colloquio di un’ora, non avevo la possibilità di utilizzare il cellulare e avere contatti con l’esterno se non scrivendo lettere, potevo allontanarmi esclusivamente per andare a scuola, con orari prestabiliti». La scuola, dunque, una delle ancore di salvezza per Flavio. Dove un ruolo crudella restorative justice, il rapporto tra giustizia riparativa e nonviolenza, il ricorso alla giustizia riparativa nel caso di errore giudiziario. «Una tesi è dedicata a V., “altro difficile” incontrato a Opera. Beatrice ha preso parte ad alcune attività del progetto europeo Re-Justice sulla formazione della magistratura alla giustizia riparativa; Marta è pronta a partire con i Corpi civili di pace; Giulia – che sarà a Sassari al convegno internazionale del Forum europeo per la Giustizia ripartiva – è determinata a studiare i modi per realizzare l’incontro della vittima della giustizia con chi l’ha erroneamente condannata. L’anno scorso, Sara ha vinto il premio del Comune di Sansepolcro e dell’Associazione Cultura della Pace per la sua bella tesi sull’ubuntu». Tutte tesi scelte autonomamente dagli studenti, «il primo passo di un cammino che intende proseguire nell’approfondimento di modi inattesi di rendere giustizia e fare la pace».

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ciale l’ha giocato il preside dell’Enrico Fermi Giuseppe D’Arrigo. «Quando gli è giunta la notizia di ciò che mi era capitato, ha immediatamente scritto una meravigliosa lettera indirizzata all’autorità giudiziaria in cui si mostrava desideroso di accogliermi nuovamente nella sua scuola, e in cui metteva in risalto le mie qualità, dichiarando che era di fondamentale importanza che non perdessi l’anno scolastico». Con grande impegno, costanza, determinazione Flavio è riuscito a recuperare l’anno e a sostenere il diploma di maturità presentando una tesina dedicata all’istituto della “messa alla prova”, di cui lui stesso beneficiava. «Dopo sette mesi di misura cautelare, in una condizione grandemente restrittiva e di sofferenza, ho chiesto di poter godere di quel provvedimento. La durata decisa è stata di un anno e otto mesi: il primo anno l’ho trascorso nella comunità Arimo, gli ultimi otto mesi a casa. La messa alla prova è un istituto che si sviluppa in un progetto: lo stesso, se concluso positivamente, come è stato nel mio caso, permette di estinguere il reato». Un percorso che Flavio ha voluto raccontare all’esame di maturità. «Mi è stata di grande aiuto il magistrato Rosanna Calzolari, ai tempi giudice del tribunale minorile e attualmente al tribunale di sorveglianza, che ho intervistato per la mia tesina e con cui sono entrato in contatto con l’aiuto del magistrato Marilena Chessa, il giudice che mi ha seguito durante tutto il percorso di messa alla prova dichiarando poi estinto il mio reato». Dopo il diploma nel 2016 arriva l’iscrizione all’università, in Cattolica. «Ho scelto di intraprendere gli studi in Giurisprudenza per il desiderio di fare qualcosa, anche dal punto di vista tecnico, che potesse essere utile a costruire un sistema migliore. Mi sono informato sui vari atenei milanesi e alla fine ho scelto l’Università Cattolica perché mi sembrava fosse più adatto a me. Ed è stato così. Qui ho trovato un ambiente accogliente e stimolante. Ho coltivato amicizie importanti che continuano tuttora. Ho conosciuto professori estremamente competenti». L’incontro più significativo è stato con la professoressa Claudia Mazzucato, do-

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Da sinistra nella foto scattata nell’atrio dell’Aula Pio XI della sede di Milano dell’Università Cattolica: Marilena Chessa, Rosanna Calzolari, Flavio Patriarca, Claudia Mazzucato, Anna Zappia e Silvia Sacerdote, il giorno della laurea

cente di Diritto penale e tra le massime esperte in Italia di giustizia riparativa. «Il suo sostegno, la sua umanità, il suo modo di trasmettere scienza e passione hanno incarnato quello che credo sia lo spirito più alto dell’insegnamento. Mi ha dato moltissimo. Inoltre, la giustizia riparativa è apparsa fin da subito in linea con tutto quello che mi era successo. Come insegna il professore di Diritto penale Luciano Eusebi: nessuna pena può cancellare il reato ma sulla frattura dei rapporti intersoggettivi rappresentata dal reato si può ricostruire». Lo scorso marzo al termine di un convegno sulla giustizia riparativa, Flavio e altri suoi colleghi, tutti tesisti della professoressa Mazzucato, hanno avuto l’opportunità di conoscere la ministra della Giustizia Marta Cartabia a margine del convegno nazionale conclusivo del progetto Re-Justice, finanziato dall’Unione Europea. «È una persona che stimo moltissimo, anche per quello che sta facendo per l’adozione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, tema a cui ho dedicato alcuni passaggi della mia tesi dal titolo “L’utilizzo della restorative justice in contesti di corporate violence. La tutela penale della sicurezza sul lavoro”. Insieme all’argo-

mento della tesi, ho fatto qualche accenno a una parte della mia storia». Flavio, che ha già cominciato un tirocinio in uno studio legale di diritto penale, ha un sogno nel cassetto: diventare avvocato penalista per «restituire speranza» a chi sta vivendo situazioni simili a quelle che ha vissuto lui in passato. «L’intraprendere scelte di vita differenti ha fatto sorgere in me due sentimenti: il primo, di serenità nel vedere la mia vita indirizzata verso lidi migliori; il secondo, di tristezza nel vedere rovinate le vite delle persone incontrate in quei posti e che non hanno avuto gli spunti necessari per cambiare, complice forse un sistema che non sempre funziona bene». Per Flavio, invece, il cambiamento è avvenuto davvero. Per merito suo, ma anche per merito delle persone giuste incontrate lungo il suo cammino che gli hanno dato fiducia senza mai voltargli le spalle. «Questi incontri hanno gettato una luce di speranza sulla mia vita e mi hanno aperto a un mondo nuovo. Ho deciso di raccontare la mia storia per far sapere a tutti che cambiare è possibile. Un giorno la professoressa Mazzucato mi ha detto: il passato ha il suo posto e nutre, ma non ipoteca, il futuro».

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Se il Covid cambia la vita (almeno quella sportiva) del canottiere dual career

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di Francesco Berlucchi

on tutto il male vien per nuocere. Lo sa bene Simone Alberto Rolle (nella foto qui sotto), a cui la pandemia ha cambiato la vita. Quantomeno quella sportiva. A soli 20 anni, ha già vinto tanto. A cominciare dall’ultima medaglia, d’argento, ai mondiali di canottaggio indoor 2022. Eppure, sul muro della sua cameretta, nel cuore di Torino, le maglie dei campionati italiani, le medaglie e i record nazionali al remoergometro trovano faticosamente spazio tra decine di ritagli di Bicisport. C’è Wout Van Aert con le braccia al cielo, c’è Filippo Ganna in maglia rosa. Al centro, l’iconica prima pagina de L’Equipe sulla quale Julian Alaphilippe indossa la maglia iridata dopo aver conquistato il mondiale 2020 a Imola. «Sono un grande appassionato di ciclismo», racconta il canottiere torinese. «Nelle loro gesta trovo ispirazione, anche se il vero mito è il mio allenatore, Giorgio Tuccinardi. L’unico capace di capire davvero le mie esigenze». Tuccinardi, campione del mondo nell’otto pesi leggeri nel 2006, non è però l’unico ad aver trasformato la vita di Rolle. Già, perché il resto lo ha fatto la pandemia. In pieno lockdown, quando allenarsi normalmente su imbarcazione era impossibile, Simone Alberto ha scoperto il canottaggio indoor. E si è specializzato fino a diventare vicecampione del mondo. «Durante il lockdown volevo assolutamente continuare ad allenarmi. Mi sono procurato un vogatore e ho iniziato a farlo seguendo un programma specifico, con due allenamenti al giorno. Non avevo altro da fare, se non studiare. Tempi alla mano, ho notato che i risultati arrivavano. Il primo passo è stato battere diversi record italiani indoor. Poi ho partecipato al mondiale, convertito in forma

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virtuale a causa della situazione sanitaria. Sono arrivato quinto, ma avevo circa 7 chili in meno dei miei avversari. In quel momento ho capito che c’era margine». Così Simone Alberto inizia a seguire un altro programma e abbandona le gare in barca. Gareggia sui 500 metri. Meno tecnica, più potenza. E pure più controllo, perché nell’indoor uno schermo davanti al remoergometro riproduce tutti i valori che vengono prodotti da sé stessi e dagli avversari. «La pandemia è stata un momento difficile per tutti. Nel mio caso, però, i risultati che mi hanno dato più soddisfazione li ho ottenuti appena sono riprese le gare post lockdown. In barca abbiamo vinto l’oro nell’otto pesi leggeri ai campionati italiani 2020, e nel 2021 il bronzo nel quattro senza. E poi ho scoperto il canottaggio indoor, la specialità nella quale ho conquistato la medaglia d’argento ai mondiali 2022. Non è stato facile perché durante la preparazione ho preso due volte il Covid-19, ma sono felice di essere stato competitivo». Rolle, classe 2001, frequenta il secondo anno di Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo nel campus di Milano. E partecipa al programma Dual Career promosso da Cattolicaper lo Sport per sostenere gli studenti-atleti di alto livello. «Mi trovo molto bene, sono molto contento di aver scelto la Cattolica. Mi piaceva anche l’idea di iniziare a gestire la mia vita in autonomia, e da quest’anno mi sono trasferito a Milano in una residenza universitaria. Avere una tutor dedicata, che ti aiuta, rende tutto più bello e più semplice. Ho studiato in un liceo scientifico molto esigente, a Torino, e non riuscivo ad allenarmi tutti i giorni senza trascurare lo studio. Per questo motivo, prima di conoscere Giorgio (Tuccinardi, ndr) venivo messo da parte da molti allenatori. Non ero in grado di soddisfare le loro richieste, motivo per cui ho cambiato cinque società prima di arrivare alla Canottieri Caprera. Tra la prima e la seconda liceo sono arrivato a smettere di fare sport». Ma Simone Alberto non ha mai smesso di crederci. Proprio come Alaphilippe in cima alla Gallisterna in quel mondiale del 2020. O passando con successo da una specialità all’altra. Come Van Aert e Filippo Ganna, che continuano a rimanere sul muro della sua cameretta, non a caso. Tra una medaglia e l’altra.

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Federico Buffa ,lo sport come pretesto per parlare del mondo, dell’uomo e della sua storia

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inque scalini. E poi, finalmente, un po’ di fresco. Fuori fa caldo, quel caldo che stordisce. L’estate è arrivata, non c’è dubbio, e l’aria condizionata della sede milanese di piazza Michelangelo Buonarroti lo porta a tirare un sospiro di sollievo, accasciandosi sulla prima sedia libera. Lui, di ritorno da un set televisivo e pronto a ripartire per lo spettacolo teatrale Italia Mundial, è Federico Buffa (nella foto in alto). Giornalista, telecronista, storyteller, cantastorie 4.0. Per dirla con il professor Aldo Grasso, «un narratore straordinario, capace di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni». A Sky Sport e nei teatri, Buffa ha dimostrato ampiamente di conoscere e maneggiare con sapienza gli ingredienti migliori per trasformare una bella storia in un racconto indimenticabile. All’Università Cattolica, il giornalista lo fa tra le colonne gialle dell’aula più grande della sede di Buonarroti. Solo per gli studenti della Cattolica. Un evento davvero speciale, ideato dalla professoressa Paola Vago e promosso da Cattolicaper lo Sport, ha unito gli studenti del master Teoria e metodologia della preparazione atletica nel calcio ai colleghi del master Comunicare lo sport. Insieme a loro, gli studenti di Giornalismo radiofonico e televisivo e Storia della radio e della televisione del corso di laurea in Linguaggi dei media. «Sono qui per potervi essere utile», sorride Buffa, in dialogo con Paola Abbiezzi. «Come

posso aiutarvi a superare l’esame della professoressa Abbiezzi?». La cura delle immagini, il recupero dell’oralità, l’evoluzione della professione giornalistica, l’importanza della produzione televisiva. Ma non solo. «Ci sono stati dei momenti di passaggio che ti hanno fatto uscire dalla tua comfort zone?», gli chiede la professoressa Abbiezzi. «Quattro lettere, inizia per “c” e finisce per “o”», risponde Buffa con un sorriso. «Non c’è mai stato niente che non fosse casuale. Ero seduto su una sdraio in una casa di campagna. Mi chiamò Andrea Bassani da Tele+ per commentare le partite di college basket americano. Tutto è partito da questo momento. Se non ci fosse stato, oggi probabilmente non saremmo qui». Con Buffa il basket, il calcio e il resto dello sport sono come sempre il pretesto per parlare del mondo, dell’uomo e della sua storia. Ma per questa lezione, a differenza di ogni altra organizzata in passato con il giornalista di Sky Sport, è soprattutto un dialogo diretto con gli studenti, tornati di nuovo tutti in aula. Per loro, a sorpresa, in palio un biglietto per il nuovo spettacolo teatrale di Buffa, che lo storyteller milanese ha assegnato a Martina Caimi, studentessa del master Comunicare lo sport. Dopo una visita al Laboratorio di Biochimica cellulare e Biologia molecolare del Centro di ricerca in Biochimica e Nutrizione dello sport, è tempo di ripartire. Fuori fa caldo, ma ci sono tante altre storie pronte per essere raccontate. [f.b.]

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Lo straordinario valore dell’ordinaria pubblica amministrazione di Velania La Mendola

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he cos’hanno in comune La concessione del telefono di Camilleri, Misteri dei ministeri di Augusto Frassineti e il Cappotto di Gogol? Tutti e tre parlano di pubblica amministrazione e burocrazia, un tema al centro di molte opere letterarie, come ricorda Aldo Travi, docente di diritto amministrativo e direttore della rivista “Jus”, nell’introduzione al volume Pubblica amministrazione: burocrazia o servizio al cittadino? (Vita e Pensiero).

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Perché la “pubblica amministrazione” riguarda tutti? Spesso ci si accosta con pregiudizi e un diffuso disinteresse a questa materia, che ha adesso un rilievo straordinario per tutti (si pensi soltanto agli oltre 3.300.000 dipendenti). Il mio libro si rivolge a chiunque abbia interesse a comprendere il funzionamento dell’amministrazione pubblica e voglia farsi un’idea di alcuni problemi che l’affliggono. Le considerazioni che propongo si collegano a quella che a scuola si chiama “educazione civica”, nella convinzione che essa costituisca il lessico condiviso, il minimo etico essenziale per la vitalità di un sistema democratico. Una condizione necessaria per un confronto reale sul piano civile e politico. Un comune denominatore che però è per molti un nemico da combattere o abbattere. Una convinzione ingiusta? Quantomeno superficiale. L’amministrazione pubblica è fondamentale per lo sviluppo e il benessere comuni. Inoltre la cosiddetta società civile non è meglio dell’amministrazione: piuttosto, quest’ultima ne è uno specchio. Obiettivo dell’amministrazione è realizzare e tradurre sul piano concreto i traguardi e le volontà collettive: è il servizio ai “cittadini”. L’inefficienza la rende invece un nemico. Nel volume, pur esplorando tutte le ragioni del diritto, lei pone un limite a quanto questo

sia risolutivo nella relazione tra cittadini e pubblica amministrazione. Perché? La relazione tra cittadino e istituzioni deve tradursi sempre in un dialogo che agevoli l’amministrazione a riconoscere e ad apprezzare le ragioni del cittadino nel rispetto dei canoni di buon andamento e di imparzialità e che consenta al cittadino che sia in buona fede, anche quando le sue pretese non possano essere accolte, di comprendere le ragioni dell’amministrazione. Oggi invece si riscontra una distanza che, in molti casi, è anche il risultato di un appiattimento sulla dimensione giuridica, che invece non può (e non deve neppure) assorbire pienamente la dimensione personale. Il volume approfondisce diversi aspetti come la transizione ecologica, il rapporto tra stato/regioni/comuni, le attività contrattuali, problemi come la corruzione, ma colpisce che la differenza si fa nel piccolo. Certo, perché l’attività di tutti i giorni richiede all’amministrazione la capacità di prevedere, la flessibilità per affrontare le esigenze comuni dei cittadini e l’impegno per svolgere il suo compito di servizio. Poi c’è l’evento straordinario, l’imprevisto, come la pandemia, tragedia umana ma anche stress-test da cui sono emerse le differenze tra le varie amministrazioni e alcuni problemi a lungo termine. Il libro si chiude con una foto curiosa, nella quale l’Imperatore del Giappone, in visita agli sfollati dopo l’incidente di Fukushima, è in ginocchio di fronte a una famigliola, mentre chiede il permesso di entrare e parlare. Perché ha scelto questo scatto? È un’immagine delle istituzioni che ci ricorda che chi rappresenta le istituzioni ha il diritto di guardare dall’alto in basso solo quando aiuta un altro a rialzarsi.

Il nuovo “Vita e Pensiero”

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er lasciarsi alle spalle la violenza del colonialismo e dell’ordine postcoloniale che ancora perseguita il continente, va contrastato un altro tipo di violenza, quella metafisica di un pensiero costruito sul dominio dell’altro. Altrimenti il mondo non troverà pace». Così scrive Tsitsi Dangarembga nell’articolo intitolato Dall’io al noi: l’Occidente impari dall’Africa in cui ripercorre la storia del colonialismo nello Zimbabwe, Paese dal quale proviene, e, più in generale, la storia del colonialismo perpetrato dall’Occidente, in primo piano nel fascicolo 3/2022 della rivista “Vita e Pensiero”. Nell’editoriale, Le risorse spirituali e i traumi della Storia, José Tolentino Mendonça si interroga su come far fronte positivamente alle tragedie che colpiscono l’umanità, sul ruolo delle religioni, sostenendo che «come dopo la Seconda guerra mondiale, occorre un nuovo radicamento, un ripensamento globale, un profondo cambiamento di civiltà». Su questo numero, anche un focus sulle intelligenze artificiali, con un dialogo tra Luca Antonini e Antonella Sciarrone Alibrandi, dal titolo Per un habeas corpus sull’intelligenza artificiale. Puoi leggere il fascicolo online su rivista. vitaepensiero.it (gratis per chi naviga sulla rete Unicatt).

Le parole del futuro

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scaricabile gratuitamente sul sito Vita e Pensiero la versione ebook di tutti i volumi della collana “Le parole del futuro”. Ciascun libro, uno per facoltà, presenta una riflessione che ruota attorno a tre parole chiave che ne raccontano l’identità e le prospettive.

Segui i social Vita e Pensiero per consigli di lettura, news eventi, interviste agli autori www.vitaepensiero.it

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Catherine Ternynck La possibilità dell’anima Vita e Pensiero, Milano 2022 – pp. 232, € 18,00 (Grani di Senape)

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ome parlare dell’anima oggi? Come interrogarsi su ciò che sta dietro una parola semplice e popolare che sembra aver perduto il suo significato? Ed esiste poi davvero un modo per entrare in contatto con qualcosa di così impalpabile, di così leggero fino all’evanescenza? Catherine Ternynck sa bene che è difficile parlare dell’anima, destinata a essere figura di assenza in un mondo troppo pieno. Lo sa per i tanti anni passati ad ascoltare storie personali nel suo studio di psicanalista, e lo sa per aver dovuto affrontare l’esperienza della perdita improvvisa del marito. Proprio quel dolore l’ha messa in cammino, alla ricerca dei segni discreti di un passaggio, di un richiamo che induce a guardare cose e persone in maniera nuova, a vivere diversamente il mondo. Da quel percorso così intimo è nato questo libro: non un saggio di psicologia né un testo di educazione spirituale, piuttosto una sorta di “poema in prosa”, una meditazione finissima che rende il mondo permeabile al mistero.

Anne Dufourmantelle La potenza della dolcezza Vita e Pensiero, Milano 2022 – pp. 136, € 15,00 (Transizioni)

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olcezza: virtù considerata d’altri tempi, relegata nel mondo degli affetti o assegnata all’eccentricità dell’innocenza. Virtù avvicinata alla leziosità o, al limite, al candore delle anime semplici e per questo disprezzata in un’epoca in cui domina invece l’ossessione della performance. Eppure la dolcezza è un enigma difficile da identificare. È il nome di un’emozione che non sappiamo più descrivere, venuta da un tempo in cui l’umano non era separato dal resto della vita, dagli animali, dagli elementi, dalla luce, dagli spiriti. Soprattutto, è una potenza, una forza simbolica di resistenza capace di trasformare la vita. In questo saggio particolarissimo, scritto all’incrocio tra filosofia e psicanalisi, Anne Dufourmantelle insegue e ripercorre le tracce della dolcezza nell’esperienza delle donne e degli uomini, dialogando con Tolstoj e Dostoevskij, passando per Flaubert e Hugo, senza dimenticare Lévinas.

Marco Berlanda L’unica svolta di Bontadini. Dal fideismo attualistico alla metafisica dell’essere Vita e Pensiero, Milano 2022 – pp. 624, € 40,00 (Ricerche. Filosofia)

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unica svolta di Bontadini fu più precoce ed ebbe differente natura, come testimoniò lui stesso. Dopo aver difeso nella tesi di laurea (inedita, 1925) un fideismo condizionato dall’attualismo, egli mutò orientamento: accertò come infondata la compressione gentiliana del pensiero nel perimetro dell’esperienza, criticò in quanto retorica la dimensione immanentistica dell’attualismo, teorizzò una più sciolta dialettica tra pensiero ed esperienza, rivalutò la metafisica dimostrativa e abbozzò una protologia in nuce con una variante parmenidea e una tomista. Il volume s’interroga anche sull’attendibilità dell’interpretazione bontadiniana dell’attualismo, da molti critici messa in dubbio, pervenendo anche in questo caso a una conclusione largamente positiva. In definitiva questo lavoro, ribaltando l’opinione prevalente, riaccredita Bontadini, oltre che come grande metafisico – grandezza riconosciutagli da tutti – anche quale storico attendibile della propria e dell’altrui filosofia.

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Libri EDUCatt

Guerra ai libri. Casi editoriali di censura

PRESENZA

Nei NeiLibri libri

EDUCatt, Milano 2022 | ISBN 9788893359498 | 132 pp. | 9 euro

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na guerra che imbavaglia la libertà d’espressione; autori che hanno sfidato regole morali ed etiche del loro tempo; libri che in diverse parti del mondo e in diverse epoche hanno contrastato con la loro esistenza il cappio della censura: sono i temi del 32esimo Quaderno del Laboratorio di editoria, tradizionale esito del corso che porta gli studenti a sperimentare il lavoro di redazione e cura del testo, in un percorso antologico che, tra romanzi, saggi, manga e graphic novel, offre al lettore estratti di casi editoriali che nel corso della loro storia hanno incontrato ostilità e resistenze di ogni tipo. Perché «sta a ognuno di noi cogliere in queste pagine il giusto spunto perché questa guerra non mieta nuove vittime letterarie e appicchi nuovi roghi di libri, come quelli dei protagonisti di Fahrenheit 451, che volevano “ridurli in cenere e poi bruciare la cenere”». [Valentina Giusti]

Donatella Bramanti (a cura di)

Vivere la transizione alla fragilità: tra resilienza e rassegnazione. Per una nuova comunità amica degli anziani EDUCatt, Milano 2022 | ISBN 9788893359603 | 146 pp. | ebook gratuito

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a popolazione anziana aumenta in misura esponenziale, in relazione alle prolungate aspettative di vita, in tutti i paesi sviluppati. Il processo di invecchiamento è attraversato però da eventi critici che espongono il soggetto al rischio di fragilità. Il volume definisce cosa si intende per transizione alla fragilità: 62 diadi analitiche emergono dalle ricche interviste condotte sui soggetti coinvolti. A partire da queste sono stati ricostruiti alcuni profili funzionali e disfunzionali nel vivere la transizione, grazie ai quali vengono indicate delle possibili linee di policy a livello dei territori che potrebbero contribuire a rendere le nostre città più amiche degli anziani. https://store.streetlib. com/vivere-la-transizione-alla-fragilita-tra-resilienza-e-rassegnazione-per-una-nuova-comunita-amica-degli-anziani-620203/

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PRESENZA

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Quello che i numeri non dicono La nuova Relazione di missione 2021

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di Sara Barboglio

 Anche quest’anno la Fondazione EduCatt ha deciso di produrre un documento di rendicontazione relativa al 2021. Uno scenario caratterizzato dalla pandemia, accontare i valori che ispirano che ha condizionato assistenza sanitaria e psicologica e il settore ricettivo

le proprie decisioni strategiche e operative, verificare la coerenza delle attività realizzate rispetto allo scopo dell’organizzazione, descrivere l’impegno profuso e i risultati ottenuti nei diversi ambiti di lavoro: queste le principali ragioni per cui EDUCatt rendiconta periodicamente il proprio impegno verso gli studenti, le loro famiglie, le componenti dell’Università Cattolica e le istituzioni attraverso la redazione di Report e Bilanci di Missione. Anche quest’anno la Fondazione ha deciso di produrre un documento di rendicontazione relativa al 2021 con la tecnica del report che meglio risponde all’esigenza di narrazione che EDUCatt ha sempre manifestato e che si sono intensificate negli scorsi anni. Infatti, fermo restando il rigore necessario nel-

la documentazione, il report offre la possibilità di andare oltre i dati, accompagnandoli con parole e immagini che rivelano le pratiche quotidiane messe in campo dalla Fondazione, fatte di scelte e di valori che i soli numeri non possono raccontare. La Relazione di missione 2021 si confronta ancora con uno scenario influenzato dal dilagare della pandemia che ha caratterizzato, in particolare, il lavoro del servizio di Assistenza sanitaria e consulenza psicologica, ma anche quello del settore ricettivo, con le residenze, i collegi e le mense che hanno continuato a garantire la qualità dell’offerta e la sicurezza degli ospiti e dei lavoratori, non senza sforzi profusi e grande senso di responsabilità da entrambe le parti.

I diversi servizi della Fondazione sono raccontati con dati significativi, fotografie e parole capaci di restituire ai portatori d’interesse le ragioni – che affondano le radici nel valore cristiano che mette al centro la persona – e gli strumenti con i quali EDUCatt ha interpretato la sua missione in base alla realtà che via via si presentava: si costituisce così uno strumento di comunicazione, che consente da una parte di creare dialogo e di instaurare un rapporto di fiducia con i propri stakeholders e dall’altra di riflettere internamente sull’impostazione strategica dell’attività svolta. La volontà, ancora una volta, è riflettere non tanto sul quanto, ma sul come EDUCatt abbia effettivamente svolto la sua funzione di ente strumentale chiamato a contribuire al progetto educativo dell’Ateneo, non solo attraverso i servizi offerti, ma anche attraverso la capacità di generare effetti quanto più possibile positivi e funzionali alla realtà in divenire della comunità universitaria: una sezione del Report è proprio dedicata agli impatti che EDUCatt ha cercato di generare nell’ambito della sostenibilità, della progettazione e del rapporto con i suoi interlocutori, senza la volontà di misurarne gli esiti, ma solo di tenerne traccia in un documento che sia strumento di riflessione strategica, evidenziando i punti di interesse e gli ambiti di miglioramento possibile. In tal modo, la Relazione di missione si unisce agli altri dispositivi di monitoraggio, quali gruppi di controllo, indagini sul campo, valutazioni di fattibilità di cui la Fondazione è andata dotandosi sempre di più negli anni, per valutare le scelte operative dell’Ente e per aiutare, a tutti i livelli decisionali, a comprendere come orientare le proprie attività e come svolgerle nel concreto. Università Cattolica del Sacro Cuore


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omunicare Il Sacro Cuore e il centenario dell’Università In festa con la musica del maestro Giuseppe Vessicchio

Altems Advisory, il primo spin-off selettivo della Cattolica Si occuperà di valutazioni economiche e tecnologiche nella sanità

Erasmus+ unisce Roma e la Thomas Jefferson University Il progetto prevede scambi su precision medicine e vascular medicine

Alleanza con le istituzioni a tutela dei 6 milioni di pazienti Il primo congresso nazionale della Siso sulle malattie degli occhi

I passaggi di fascia dei professori della sede L’elenco dei nuovi ordinari, associati e ricercatori

Spiritualità, sotto lo sguardo del Sacro Cuore Le parole di Papa Francesco al nostro Ateneo

Comunicare – Anno 33. Nuova serie Numero 109 – maggio-giugno 2022 Bimestrale di informazione interna della sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

HANNO COLLABORATO IN REDAZIONE

DIRETTORE Franco Anelli DIRETTORE RESPONSABILE Francesco Gemelli REDAZIONE Patrizia Del Principe (referente), Francesca Fusco

Sergio Bonincontro, Sandra Bonura, Giuseppe Capece, Alessandro Monti, Paolo Sposato

SEGRETERIA E UFFICIO DI REDAZIONE Largo Francesco Vito, 1- 00168 Roma Tel. 0630155825-063015715 e-mail: redazione.comunicare@unicatt.it https://www.unicatt.it/giornalisti-e-media-comunicare

Nicola Cerbino, Federica Mancinelli

HANNO COLLABORATO AI TESTI

FOTO Servizio Fotografico Università Cattolica - Roma Chiuso in redazione il 23 giugno 2022 Autorizzazione del Tribunale di Roma n.390 del 15/6/1990

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Campus di Roma

Il Sacro Cuore e il Centenario dell’Ateneo

In festa con la musica del maestro Vessicchio di Patrizia Del Principe e Matteo Bellati

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a sede di Roma dell’Università Cattolica, lo scorso 23 giugno, ha festeggiato la Solennità del Sacro Cuore di Gesù, Patrono dell’Ateneo, con la chiusura delle celebrazioni del Centenario dell’Ateneo. In Chiesa Centrale si è tenuta la concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, insieme con il vescovo monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo. Al termine della messa, il rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli, a nome della comunità universitaria, ha consegnato due omaggi a suor Valentina Sala e al maestro Giuseppe Vessicchio, in quanto testimoni significativi, nei loro rispettivi campi di attività, dei valori a cui si ispira l’Ateneo. Suor Valentina, responsabile delle ostetriche dell’Ospedale Saint Joseph di Gerusalemme Est, nel quartiere di Sheikh Jarrah, lavora da anni in un contesto in cui le tensioni sociali, etniche e religiose si avvertono intensamente. Il Saint Joseph è infatti l’unico nosocomio cattolico della capitale, con personale arabo. La qualità dell’accoglienza e delle cure, spesso innovative (nel suo reparto è stato introdotto anche il parto in acqua), ha attirato nell’ospedale anche diverse coppie ebree. Che fossero arrivate per scelta, o costrette dalle circostanze, suor Valentina ha accolto e assistito tutte le sue pazienti, vincendo con la dolcezza del proprio esempio e con un instancabile dialogo le resistenze del personale dell’ospedale, talora alimentate dal sospetto e dal rancore generati da una condizione di conflittualità quotidiana. Suor Valentina ha messo la propria vocazione al servizio del valore intangibile e inalienabile della vita, gettando un seme di pace là dove la violenza, la

diffidenza e le divisioni inaridiscono la speranza di un’armonica convivenza. Al maestro Giuseppe Vessicchio – compositore, direttore d’orchestra, arrangiatore, napoletano di nascita ma romano d’adozione – è stata invece riconosciuta l’instancabile attività di creazione ed elaborazione musicale, in proprio e in collaborazione con artisti italiani e internazionali di primo piano. Ha sempre affiancato al suo lavoro una riflessione

profonda sulla musica come portatrice di valori non solo estetici bensì anche sociali, orientati allo sviluppo dell’individuo e della collettività nel suo insieme. Vanno in questo senso le sue ricerche intorno al principio «armonico-naturale»; la sua riflessione intorno al talento come piena espressione della creatività; il suo impegno per la valorizzazione dell’insegnamento musicale, prima di tutto a livello scolastico e cominciando dalla

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scuola primaria, nel segno della grande tradizione musicale italiana, intesa come percorso complessivo di educazione della persona umana. La giornata di festa è proseguita in Auditorium, dove si è tenuto il concerto dedicato al Centenario dell’Università Cattolica, intitolato “Armonie nel rispecchiarsi dei saperi”, ideato e diretto dal maestro Vessicchio. Sul palco, con lui, è salita l’orchestra Sesto Armonico, un libero movimento musicale sviluppato all’insegna dei principi fondanti la scuola del contrappunto. Fra i musicisti, presenti anche alcuni rinomati solisti e due giovanissimi talenti, la pianista Monica Zhang, di 15 anni, e l’arpista Emanuele Raviol, di 17 anni. Il maestro, per l’occasione, ha selezionato emozionanti brani tratti da importanti colonne sonore: Bernard Herrmann per Hitchcock, Gato Barbieri per Bertolucci, John Williams per Steven Spielberg. Alessandro Carbonare, primo clarinetto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, con un fuori programma ha omaggiato Federico Fellini con uno dei film più noti del regista, Amarcord. Splendido l’omaggio a Ennio Morricone con Nuovo Cinema Paradiso, Tema d’amore per Nata, C’era una volta in America, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, C’era una volta il west. La musica è stata accompagnata da video artistici prodotti da Jonny Costantino e Rita Deiola e da eleganti proiezioni su schermo della performance della sand artist Simona Gandola. Finale all’insegna del sorriso – un simpatico omaggio ai medici presenti in sala – offerto dall’esecuzione della marcia di Esculapio di Piero Piccioni, dal celeberrimo film con Alberto Sordi Il medico della mutua. Alla conclusione del concerto, gli spettatori – docenti, studenti, personale amministrativo – si sono infine ritrovati in un piacevole momento conviviale sui prati del Campus.

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Campus di Roma

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Altems

Altems Advisory, il primo spin-off selettivo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Eugenio Di Brino *

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all’esperienza maturata dall’Alta Scuola in Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems), è nata nel luglio 2021 Altems Advisory, la nuova società che opererà nell’ambito delle valutazioni economiche dei programmi sanitari e della valutazione delle tecnologie sanitarie. Soci fondatori Americo Cicchetti, Michele Basile, Eugenio Di Brino, Filippo Rumi, insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Lo scorso 11 maggio, alla presenza del direttore generale Paolo Nusiner, del direttore della sede di Roma Lorenzo Maria Cecchi, dell’assistente pastorale don Giacomo Pompei, si è svolta la cerimonia di benedizione dei locali destinati alle attività di Altems Advisory. La sua missione è rispondere a una domanda crescente che proviene dall’indot-

to industriale del “settore salute” (l’industria nota come “life sciences industry”) di proporre ai sistemi sanitari innovazioni di “valore” e, al tempo stesso, sostenibili. Tre i pilastri della “visione” di Altems Advisory: vita, scienza ed economia. L’obiettivo è utilizzare le migliori evidenze scientifiche per indirizzare le innovazioni in grado di prolungare e migliorare la vita delle persone (oltre la salute fisica e mentale) in modo economicamente e socialmente sostenibile. In particolare, l’esigenza espressa dalle aziende dell’ambito farmaceutico e di produzione di dispositivi medici, attrezzature elettromedicali oltre che delle aziende operanti nel settore dell’information technology e della digitalizzazione dei sistemi di assistenza è individuare le migliori modalità per orientare gli investimenti verso prodotti e servizi che possano dimostrare il proprio “valore” al terzo pagatore (sia pubblico che privato). Come conseguenza le

aziende sono chiamate a fornire evidenze circa il profilo di costo-efficacia dei propri prodotti al fine della determinazione del profilo di rimborsabilità degli stessi da parte del Servizio sanitario nazionale e delle regioni attraverso i rispettivi percorsi istituzionali. Altems Advisory nasce per valorizzare ulteriormente la ricaduta applicativa e imprenditoriale dei risultati della ricerca sui metodi di valutazione economica e nell’HTA, raggiungendo una platea di utenti finali più ampia di quella generalmente interessata ai progetti sviluppati oggi nell’ambito della Scuola e dando la possibilità di sviluppare modelli e soluzioni digitali dedicate a soddisfare i bisogni delle imprese attive nel settore delle “life sciences”. La nuova società, inoltre, si predispone a rappresentare una opportunità di lavoro per gli studenti che conseguano il loro titolo accademico nell’Ateneo, con particolare riferimento a coloro che terminano gli studi nell’ambito dei corsi di laurea interfacoltà Economia-Medicina attivi sin dall’anno accademico 2000-2001 nella Sede di Roma dell’Ateneo. Inoltre, Altems Avisory si configura come un naturale sbocco lavorativo per coloro che conseguano il titolo di master nei programmi di Altems. Le competenze economico manageriali applicate al contesto dei sistemi sanitari e delle life sciences, infatti, rappresentano la base per lo sviluppo dei servizi e dei prodotti innovativi offerti da Altems Advisory. * ricercatore Altems

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Graduation Day Altems, la cerimonia in presenza dopo la pandemia di Alessandra Gioia

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opo gli ultimi due difficili anni di pandemia, è tornato in presenza il Graduation Day dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems). La cerimonia di consegna dei diplomi a oltre 230 studenti degli 11 master promossi per l’anno accademico 2020-2021 si è tenuta lo scorso 5 maggio nell’Auditorium della sede di Roma dell’Università Cattolica. Il rettore Franco Anelli ha tenuto il discorso inaugurale soffermandosi sull’importanza dell’Altems quale punto di riferimento nella formazione nel management sanitario. Sono seguiti i saluti della preside della Facoltà di Economia Antonella Occhino e del preside della fa-

coltà di Medicina e chirurgia Rocco Bellantone. Il professor Americo Cicchetti, docente di Organizzazione aziendale e direttore Altems, dopo essersi congratulato con i discenti per il completamento del loro percorso formativo, ha poi presentato le attività e i programmi formativi dell’ultimo anno dell’Alta Scuola e le prossime iniziative che l’Altems ha in previsione per il nuovo anno accademico, tra cui il nuovo master internazionale in Healthcare Management. Durante la cerimonia sono stati consegnati i premi ai vincitori dei best project work che l’Altems istituisce ogni anno per i migliori progetti realizzati dagli studenti dei master nell’ambito del management sanitario, presentati da Federica Morandi, direttrice dei programmi accademici e della ricerca Altems. In

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Altems

particolare è stato assegnato il Premio Guzzanti, dedicato al maestro Elio Guzzanti, giunto alla settima edizione, con il progetto dal titolo: “Dal modello di Mintzberg alla gestione della pandemia di Covid-19: evidenze dal contesto italiano” e la prima edizione del premio Sham con il progetto intitolato: “Implementazione di un sistema elettronico di Early Warning System per ridurre il rischio di eventi avversi inattesi associati al deterioramento delle condizioni cliniche del paziente”. Gianfranco Damiani, docente di Igiene generale e applicata ha quindi consegnato gli attestati di partecipazione del corso di formazione manageriale in ambito sanitario ai 50 dirigenti delle strutture sanitarie, corso che l’Altems istituisce in collaborazione con la Regione Lazio.

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Il Progetto Erasmus+ che unisce l’Università Cattolica e la Thomas Jefferson University

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Stefania Boccia, Leonardo Villani *

l Progetto Erasmus+ KA 107 – ICM (International Credit Mobility), finanziato dalla Commissione Europea per il periodo 2020-22 nasce grazie alla collaborazione tra Università Cattolica e Thomas Jefferson University (TJU) di Philadelphia, Usa. In particolare, il grande impegno dei professori responsabili delle aree didattiche e scientifiche coinvolte nel progetto (precision medicine e vascular medicine) dell’Università Cattolica (Walter Ricciardi e Stefania Boccia della Sezione di Igiene del dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica, Raffaele Landolfi dell’Istituto di Medicina Interna e Geriatria) e della TJU (Vittorio Maio della School of Population Health e Paul Di

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Muzio della Division of Vascular and Endovascular Surgery) ha reso possibile la nascita e l’attuazione di questo prestigioso progetto. La collaborazione tra le due università mira a favorire l’ampliamento delle conoscenze scientifiche, la creazione di reti conoscitive a livello globale e la possibilità di collaborare a progetti attraverso una visione e dei metodi di lavoro differenti. Il progetto Erasmus+ prevede la mobilità, per un periodo variabile da poche settimane ad alcuni mesi, di studenti, specializzandi, dottorandi e docenti interessati e coinvolti in attività inerenti alla precision medicine e alla vascular medicine. Attualmente sono presenti alla TJU sette giovani specializzandi che stanno partecipando attivamente sia ad attività di ricerca, progetti e riunioni, che di corsia e sala operato-

ria. Nello stesso tempo, sono presenti nella Sezione di Igiene dell’Università Cattolica guidata dalla professoressa Boccia due studenti statunitensi, coinvolti in numerose attività di ricerca e integrati con i colleghi italiani. Allo stesso modo, procede in modo fitto e proficuo la mobilità dei docenti, le cui lezioni, sia in Italia che negli Usa, riscuotono grande successo. Il progetto Erasmus+ KA 107 – ICM è motivo di grande orgoglio per la nostra Università, in quanto permette ai nostri studenti e docenti di ampliare le proprie conoscenze vivendo un’esperienza estremamente formativa. La speranza è quella di continuare la collaborazione anche dopo la fine di questo progetto (luglio 2022). * Docente di Igiene generale e applicata e medico specializzando di Igiene

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Dal Centro pastorale

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Lavorate senza posa, ma soprattutto amate a cura delle studentesse Collegio San Luca – Armida Barelli

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rmida è stata una donna audace, al servizio della cultura, della Chiesa e della società. È per il suo contributo fattivo e tenace, per il suo prendersi cura dei giovani da “sorella maggiore” che si è deciso di approfondire la conoscenza della sua figura e della sua opera e dedicarle il salone principale all’interno del collegio San Luca – Armida Barelli, grazie al contributo dell’assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo monsignor Claudio Giuliodori e del vicepresidente del settore giovani dell’Azione Cattolica Emanuela Gitto. L’incontro dal titolo “Andare oltre, guardare al cuore. Audacia, passione e dedizione di una Sorella Maggiore” si è svolto lo scorso 9 maggio con l’inaugurazione del salone e la mostra permanente “Armida Barelli”. Presente il direttore di sede Lorenzo Cecchi. «Siamo grati per la comunione generata dal cammino che condividiamo, essa dona gusto, saldezza e orientamento ai nostri passi» ha affermato la direttrice del collegio suor Sandra Bonura. «Lasciamoci condurre dalla figura di Armida Barelli, dalle sue parole e dalla sua opera. La sua capacità di essere amorevolmente immersa in Dio e nel mondo infonda nei cuori di ciascuno, ora come allora, coraggio e fecondità, umiltà e passione per la costruzione di un mondo più fraterno e rinnovato. La sua ispirazione riaccenda in tutti noi il desiderio di fare di ogni nostro luogo una casa ospitale, uno spazio di incontro, di scambio, di reciproco arricchimento per

servire l’uomo e la donna con la passione nel cuore. Anche con il nostro contributo il mondo intero diventi casa». Monsignor Giuliodori ha iniziato con la preghiera accogliendo la Parola di Dio e invocando la sua benedizione. L’idea di dedicare alla Barelli il salone principale dove svolgiamo le nostre attività, allestito dalla Commissione logistico-abitativa, viene dal desiderio di trovare uno spazio concreto dove gli ideali di Armida trovino vita anche nella nostra realtà, per noi e per quanti qui accoglieremo. Il salone è stato arricchito dalla preziosissima mostra offertaci dall’Istituto Toniolo e affissa alle pareti in modo permanente. Le illustrazioni sono state tratte dalla graphic novel “Armida Barelli. Nulla sarebbe stato possibile senza di lei” di Giancarlo Ascari e Pia Valentinis, ideata e curata da Tiziana Ferrario, con la consulenza storica di Aldo Carera ed Ernesto Preziosi, edita da Franco Cosimo Panini. Nel salone sono state poste anche due librerie contenenti libri e materiale divulgativo su Armida Barelli

e sugli altri padri fondatori dell’Università Cattolica. Della vita di questa grande donna ha parlato Emanuela Gitto. Armida Barelli, all’interno del suo percorso di studi, compie un graduale cammino di fede che la porterà a dedicare la sua vita al Sacro Cuore e alle opere da esso ispirate. Questa relazione sempre più viva e la sua generosa obbedienza alla Chiesa saranno il terreno fecondo per la nascita della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, dell’Istituto Secolare della Regalità e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Emanuela Gitto ha concluso il suo intervento con l’espressione “Lavorate senza posa, ma soprattutto amate, amate, amate”, parole con cui Armida ha esortato tutti a vivere la fede come uomini e donne impegnati nel mondo e per il mondo, capaci di andare oltre con audacia e di guardare al cuore. Le ragazze della Commissione Caritativa hanno concluso la serata comunicando l’impegno preso dal Collegio: donare dei libri sulla storia e l’operato di Armida ad alcune realtà come il Carcere femminile, la Casa Famiglia Betania, il reparto di Radioterapia e la Comunità di Nomadelfia per aiutare altri ad affrontare con fede le sfide quotidiane, fortificare lo sguardo di apertura al futuro con quei valori spirituali capaci di “generare cambiamenti”. Al termine degli interventi monsignor Giuliodori ha donato alcuni libri su Armida Barelli e due medaglie riportanti la sua immagine alla direttrice del Collegio e alla Superiora della Casa che ci ospita.

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Malattie degli occhi. Siso e istituzioni insieme per tutelare sei milioni di pazienti di Francesco Gemelli

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afforzare la sinergia e la collaborazione tra gli oculisti italiani, istituzioni e associazioni, al fine di costruire per i pazienti con disturbi visivi, percorsi assistenziali strutturati secondo principi di innovazione tecnologica, ricerca, digitalizzazione e sostenibilità anche alla luce del Pnrr. È stato questo il messaggio emerso dal tavolo tecnico che ha visto insieme per la prima volta gli esperti della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (Siso) e i maggiori rappresentanti delle istituzioni, per il primo congresso nazionale che si è concluso il 21 maggio presso l’Auditorium della sede romana dell’ateneo. “I subspecialty day, le sessioni, i corsi monotematici e la chirurgia indiretta hanno offerto un aggiornamento professionale e scientifico sui principali capitoli dell’Oftalmologia” – hanno spiegato Teresio Avitabile e Scipione Rossi, rispettivamente presidente e segretario SISO, a margine del congresso. “I migliori talenti italiani e internazionali si sono confrontati sulle

tematiche di maggior interesse per la salvaguardia della vista. Presso il Polo Giovanni XXIII oltre 2100 partecipanti, di cui 400 relatori hanno dato vita ad un intenso programma congressuale dove si sono alternati i subspecialty day organizzati con la collaborazione delle società scientifiche monotematiche e regionali della nostra specialità, producendo 47 corsi, 6 tavole rotonde, 32 interventi di chirurgia indiretta eseguiti presso il Policlinico A. Gemelli, il S. Gerardo dei Tintori Nuovo di Monza e il Sant’Eugenio di Roma. Attraverso le giornate di chirurgia in diretta è stato possibile vedere in diretta l’esecuzione delle tecniche chirurgiche più avanzate sia per la chirurgia della cataratta che della retina. In particolare, dalla sala operatoria del Policlinico Gemelli sono stati trasmessi interventi chirurgici sulla retina, con l’utilizzo della tecnologia 3D e dello strumento di ultima generazione di uso pressochè quotidiano da parte dei chirurghi oculisti diretti dal professor Stanislao Rizzo”, hanno concluso Avitable e Rossi. Al convegno sono intervenuti Mariastella Gelmini, Ministro dei rapporti con il

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Scienza e cultura

Parlamento, Giovanni Leonardi, Segretario Generale del Ministero della Salute, Andrea Urbani, Direttore Generale della programmazione sanitaria, Nicola Magrini, Direttore Generale Aifa e Mario Barbuto, presidente Unione Italiana ciechi e ipovedenti (Uici).

Intelligenza artificiale per curare la demenza

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n progetto di ricerca europeo chiamato ‘AI-Mind’ offre nuove speranze per riuscire a diagnosticare l’Alzheimer prima ancora del suo esordio, sfruttando le potenzialità dell’intelligenza artificiale. La demenza colpisce oggi decine di milioni di persone nel mondo e oltre 1,2 milioni in Italia, con costi enormi sul piano personale, affettivo e sociale. “Strumenti di intelligenza digitale per lo screening della connettività cerebrale e la stima del rischio di demenza nelle persone affette da Disturbo cognitivo lieve” è il titolo dello studio cuore dell’incontro svoltosi il 4 maggio all’Università CattoUniversità Cattolica del Sacro Cuore

lica – Fondazione Policlinico A. Gemelli Ircss e il 5 maggio all’Irccs San Raffaele di Roma. AI-Mind è un progetto europeo che ha una durata di 5 anni ed è promosso dal programma di ricerca e innovazione dell’Ue per il 2021-2027 Horizon 2020; coinvolge quindici partner provenienti da otto paesi europei. Per l’Italia i centri coinvolti nello studio sono l’Università Cattolica (responsabile Camillo Marra), Altems (direttore Americo Cicchetti); Irccs San Raffaele (responsabile Paolo Maria Rossini) e l’azienda spin-off accademico di ricerca Neuroconnect (responsabile Fabrizio Vecchio).

Obiettivo della General Assembly dello studio AI-Mind è fare il punto sui progressi del progetto i cui primi risultati dovrebbero essere disponibili e applicabili entro i prossimi due anni. Il progetto coinvolge oltre 100 ricercatori europei in un consorzio che include neurologi, geriatri, psichiatri, bioingegneri, statistici, bioinformatici ed esperi dell’Health Technology Assessment. Lo studio coinvolgerà mille partecipanti con lievi deficit cognitivi (MCI) di età compresa tra i 60 e gli 80 anni, che saranno reclutati in quattro paesi europei: Italia, Norvegia, Spagna e Finlandia.

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Notiziario

ISO 9001, certificazione confermata per la Formazione Permanente

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Le Collegiadi tornano in campo

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ioia, sana competitività e senso di appartenenza ai Collegi. Sono alcune delle sensazioni che hanno colorato il campus della sede romana dell’Università Cattolica in una calda settimana di maggio, ancora in preda a lezioni e tirocini. Sport in Campus, infatti, ha accolto dal 16 al 22 maggio le Collegiadi, il torneo sportivo promosso dalle studentesse e dagli studenti dei collegi universitari e delle residenze del campus di Roma dell’Università Cattolica, in collaborazione con EDUCatt. Dopo tre anni di stallo a causa della pandemia l’entusiasmo ha infervorato il primo giorno, con la benedizione delle Coppe da parte di don Antonio Bomenuto, assistente pastorale della sede e rappresentante del Centro pastorale nel Coi, che ha siglato il solenne inizio delle Collegiadi. Hanno partecipato i collegi femminili Ker Maria e San Luca-Armida Barelli e maschili San Damiano e Nuovo Joanneum, le residenze maschili Ravizza e Guest House e femminili Renzi e Capitanio. I partecipanti sono stati divisi in squadre, associando un collegio o residenza femminile a un corrispettivo maschile. I ragazzi si sono sfidati in calcio a 5, basket, pallavolo, tennis, tiro alla fune, palla avvelenata, staffetta 4x100 metri, nuoto staffetta 4x40 metri, biliardino, ping-pong, alcuni con sfide solo tra squadre femminili o solo squadre maschili, altri con squadre miste. Presenti anche gli sport individuali: 100 metri, corsa campestre, tennis e ping-pong maschili e femminili e una gara di scacchi. I vincitori di tutte le gare sono stati il collegio femminile Ker Maria e il collegio maschile San Damiano, che insieme hanno ottenuto il punteggio totale più alto. Le gare e partite si sono svolte principalmente nella tensostruttura le gare di basket e pallavolo, le partite di calcio a 5 nel campo dedicato, la corsa campestre e la sfida dei 100 metri nel perimetro degli Istituti biologici. Le partite di ping-pong, biliardino e scacchi sono state invece disputate nei collegi San Luca-Armida Barelli e Nuovo Joanneum. Le collegiadi si sono concluse il 23 maggio con una festa finale a tema “film e serie tv” per festeggiare tutti insieme, collegiali e studenti tutti del Campus.

SO 9001, conferma certificazione per la Formazione Permanente Lo scorso 13 maggio, il Servizio “Formazione Permanente, ECM, Convegni e Manifestazioni”, ha ottenuto la conferma della certificazione del sistema di gestione per la qualità, ISO 9001 che, acquisita già dall’aprile 2011, costituisce un prerequisito per la qualifica di provider standard (n.2463). L’audit di certificazione, effettuato dall’organismo internazionale Bureau Veritas, si è focalizzato sulla gestione delle ricadute dell’evento pandemico sui corsi erogati. È stato riscontrato come sia stato efficacemente organizzato il servizio in modalità online e “blended”, a seguito della realizzazione della piattaforma EMinerva per gestire i corsi da remoto. I dati relativi alla soddisfazione dei discenti evidenziano un netto miglioramento della qualità percepita anche per gli eventi on line, segno che anche i flussi organizzativi si sono allineati a quelli dell’infrastruttura, con requisiti adatti a soddisfare le esigenze organizzative del Servizio e i requisiti prescritti dall’Agenas in ambito ECM. Quindi, a seguito della presentazione della piattaforma e della relativa approvazione dell’Agenas dell’11 marzo 2021, è stato possibile organizzare i corsi in piena pandemia in modalità da remoto. A marzo 2022 con l’inserimento a sistema della check list di controllo degli eventi on line e con la recente introduzione del questionario per la qualità percepita sull’organizzazione dell’evento da remoto, è stato completato anche l’aggiornamento del sistema di gestione.

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SensibilizzEndo, testimonianze per mostrare il volto di Endometriosi, Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo

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Notiziario

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Firmata lettera di intenti con l’Università Cattolica di Lublino

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Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università Cattolica polacca di Lublino “Giovanni Paolo II” lo scorso 6 giugno, nella Sala della presidenza del consiglio di facoltà di Medicina e chirurgia, hanno firmato la lettera di intenti (nella foto sopra) per una cooperazione accademica, scientifica e medica, inclusi progetti congiunti didattici, scientifici e di ricerca in aree di interesse comune; scambio di pubblicazioni, relazioni scientifiche, esperienze nel campo delle metodologie didattiche innovative e della progettazione dei corsi; organizzazione di simposi congiunti; opportunità di sviluppo e scambio di personale docente e ricercatore ma anche scambio per gli studenti; ammissione di ricercatori e scienziati come visiting professor; la preparazione e l’attuazione di progetti di ricerca congiunti. La delegazione dell’Università di Lublino era composta dai professori Przemyslaw Czarnek, ministro dell’Educazione e della Scienza; Radoslaw Sierpinski, presidente Agenzia per la ricerca medica; Mirosław Kalinowski, rettore Università Cattolica di Lublino “Giovanni Paolo II”. La delegazione dell’Università Cattolica era composta oltre che dai professor Pier Sandro Cocconcelli e Rocco Bellantone e dal dottor Lorenzo Cecchi, anche dai professori Antonio Lanzone, Giovanni Gambassi, Stefania Boccia e Wanda Lattanzi.

Università Cattolica del Sacro Cuore

na “malattia silenziosa”: così viene continuamente definita l’endometriosi. Il 2 maggio in aula Bausola della sede di Roma dell’Università Cattolica si è svolto l’incontro “SensibilizzEndo”, su Endometriosi, Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo, che ha coinvolto esperti che hanno mostrato il vero volto di queste malattie “invisibili”. L’evento è stato organizzato dall’associazione studentesca “Unilab, Studenti in Primo Piano”. Ad aprire l’incontro, il professor Antonio Lanzone, presidente del corso di laurea magistrale in Medicina e chirurgia, e il professor Antonio Pesce, membro del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo: due medici, rispettivamente ginecologo e neuro-urologo che hanno sottolineato l’urgenza di una migliore formazione medica. La sensibilità e l’interesse della classe medica verso queste patologie, seppur crescenti, sono ancora non sufficienti. Giorgia Soleri, influencer e attivista del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del pudendo, accompagnata per l’occasione dal suo fidanzato frontman dei Maneskin, Damiano David, è anche una paziente affetta da queste malattie che, attraverso un emozionante racconto della sua tormentata esperienza, ha rivelato gli aspetti più intimi della sua sofferenza: dalla rabbia, alla vergogna e ai disagi nel raccontare il proprio dolore cui nessuno pareva dar peso. A confermare le affermazioni di Giorgia, l’esperienza di Giulia Manna, membro dell’associazione “Unilab, Studenti in primo piano” e del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo, affetta dalla stessa patologia, e di Silvia Carabelli, paziente e membro dello stesso comitato. “SensibilizzEndo”, dopo una commosso saluto da parte del presidente e della vicepresidente di “Unilab”, Capece e Limite, si è concluso tra gli applausi dei presenti dove è risuonata prepotentemente una frase: “Mai più invisibili”. (Michela Myriam De Maio, studentessa terzo anno di Medicina e chirurgia)

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Dal Corpo docente

Passaggi di fascia dei professori

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orna l’appuntamento con i passaggi di fascia del personale docente della sede di Roma dell’Università Cattolica.

Professori di prima fascia

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Dal 1° maggio 2022, il professor Franco Locatelli (nella foto) è stato chiamato a ricoprire l’incarico di professore ordinario di Pediatria afferente al Dipartimento di Scienze della vita e sanità pubblica. Il professore ricopre anche l’incarico di direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico dell’Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Ha conseguito la specializzazione in Pediatria e in Ematologia all’Università degli Studi di Pavia, dove ha ricoperto il ruolo di professore di prima fascia fino al trasferimento avvenuto nel 2018 alla Sapienza – Università di Roma. Il professor Locatelli è riconosciuto a livello nazionale e internazionale come uno dei principali esperti nel campo dell’ematologia, dell’oncologia e dell’immunoterapia: ha offerto un contribuito sostanziale nella promozione e nello sviluppo delle nuove strategie di trapianto di cellule staminali ematopoietiche in patologie maligne e non maligne. Coordina il progetto nazionale di sviluppo clinico delle cellule Car T in Italia ed è a capo del più vasto programma di trapianto allogenico in età pediatrica nazionale. Inoltre, coordina il protocollo nazionale di trattamento della leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi e della leucemia linfoblastica acuta recidivante, oltre a essere il coordinatore del protocollo internazionale sulle leucemie acute promielocitiche. Ha anche vasta

esperienza ed eccellente competenza nella conduzione di studi clinici di fase precoce, per la promozione e lo sviluppo di nuove terapie farmacologiche anti-neoplastiche e innovativi approcci di gene therapy e genome editing nel trattamento delle emoglobinopatie e delle malattie neuro-degenerative. Vincitore di numerosi premi e grant di ricerca, è autore o coautore di oltre 1.200 peer-reviewed articoli pubblicati su riviste internazionali e ha un H index di 112. Il professore inoltre è presidente del Consiglio Superiore di Sanità dal 2019, con riconferma nel 2022. Durante la pandemia è anche stato dapprima membro e successivamente coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico a supporto del Governo italiano.

Professori di seconda fascia Dal 30 marzo Marco De Santis ha assunto la qualifica di professore di seconda fascia di Ginecologia e ostetricia, (Dipartimento di Scienze della vita e sanità pubblica); dal 1° aprile, Pietro Familiari, Chirurgia generale (Dipartimento di Medicina e chirurgia traslazionale), Giulio Gasparini, Chirurgia Maxillo Facciale (Dipartimento Testa-collo e organi di senso), Giulio Chiricozzi, Malattie cutanee e veneree (Dipartimento di Medicina e chirurgia traslazionale), Salvatore Fusco, Fisiologia Umana (Dipartimento di Neuroscienze). Dal 1° maggio Riccardo Rossi, Medicina legale (Dipartimento di Sicurezza e Bioetica), Silvia Persichetti, Biochimica clinica e Michela Sali, Microbiologia (Dipartimento di Scienze biotecnologiche di base, cliniche intensivologiche e perioperatorie), Gustavo Savino, Malattie apparato visivo ( Dipartimento Testa-collo

Get-Up , training pratico

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i è tenuta anche quest’anno a Roma, dal 6 al 9 aprile, la quinta edizione del “Get up”, evento sponsorizzato dall’azienda Olympus, che ha visto coinvolti giovani ginecologi iscritti al quinto anno di specializzazione o specialisti da meno di un anno, provenienti da tutta Europa. L’evento ha previsto non solo lezioni teoriche ma anche una attività intensiva di training pratico, e ha visto coinvolta una Faculty internazionale di altissimo livello. Dopo due anni di stop dovuti alla pandemia, “Get Up” è tornato a Roma portando con sé una grande novità: la possibilità per gli iscritti dì partecipare a una sessione di certificazione per il conseguimento del primo livello di Certificazione Gesea (Gynaecological Endoscopic Surgical Education and Assessment programme), con l’approvazione della Società Europea dì Endoscopia Ginecologica (Esge).

e organi di senso), Elena Rossi, Malattie del sangue (Dipartimento di Scienze radiologiche ed ematologiche), Francesco Burzotta e Carlo Trani, Malattie apparato vascolare (Dipartimento di Scienze cardiovascolari e pneumologiche). Dal 1° giugno Giuseppe Marangi, Genetica medica (Dipartimento di Scienze della vita e sanità pubblica).

Ricercatori universitari Dal 1° luglio sono diventati ricercatori universitari Paola Aceto, Anestesiologia (Dipartimento di Scienze biotecnologiche di base, cliniche intensivologiche e perioperatorie), Davide Quaranta, Psicobiologia e psicologia fisiologica (Dipartimento di Neuroscienze), e Carla Piano, Neurologia (Dipartimento di Neuroscienze).

Cessazioni Hanno concluso la loro attività nella sede di Roma dell’Università Cattolica, Roberto Scatena, Vincenzo Michetti, Alessandro Barelli, Marco Galli, Alberto Artuso. Università Cattolica del Sacro Cuore


Sotto lo sguardo del Sacro Cuore

Le parole di Papa Francesco all’Università Cattolica

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Spiritualità

di monsignor Claudio Giuliodori *

a Festa del Sacro Cuore è una ricorrenza importante per la vita della Chiesa ma particolarmente per noi che siamo chiamati a servire un’istituzione che per volontà dei fondatori gli è stata consacrata. Un riferimento che nel tempo abbiamo imparato ad apprezzare sia per il suo valore spirituale e teologico sia per i suoi risvolti sociali e culturali. Merita di essere ripresa e attentamente meditata l’omelia di Papa Francesco nella Messa celebrata nella sede di Roma. In quell’occasione riassumeva attorno a tre parole il senso del riferimento al Sacro Cuore: Ricordo, Passione, Conforto. «Ri-cordare – ci diceva – significa ritornare al cuore, ritornare con il cuore. A che cosa ci fa ritornare il Cuore di Gesù? A quanto ha fatto per noi: il Cuore di Cristo ci mostra Gesù che si offre: è il compendio della sua misericordia». Ed è stato davvero importante per noi l’anno di celebrazioni del Centenario, in cui abbiamo potuto fare memoria di quanto il Sacro Cuore ha fatto, dai fondatori ai protagonisti di oggi, professori, studenti e personale tecnico amministrativo, perché questa nostra Istituzione potesse crescere e diventare un riferimento importante per il sistema universitario del Paese e per l’impegno educativo della Chiesa. Con la seconda parola “Passione” ci invitava a guardare alla passione di Cristo che ha aperto il suo cuore sulla croce per appassionarci davvero all’uomo soprattutto quello sofferente. Ci invitava quindi a invocare «la grazia di appassionarci all’uomo che soffre, di appassionarci al servizio, perché la Chiesa, prima di avere parole da dire, custodisca un cuore che pulsa d’amore. Prima di parlare, che impari a custodire il cuore nell’amore». Anche il nostro Ateneo, a bene vedere, è nato come atto d’amore della Chiesa verso le nuove generazioni e verso il mondo della cultura. E pur avendo Università Cattolica del Sacro Cuore

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come oggetto la cura della crescita intellettuale e della formazione professionale non può mai dimenticare la vera matrice e la ragione ultima del suo operare: essere segno dell’amore appassionato di Cristo per le sue creature. Infine, con la terza parola, si rivolgeva in modo più diretto al contesto romano dove si formano soprattutto operatori sanitari, chiamati a essere maestri del “Conforto”. Guardando a come Gesù si è fatto prossimo e solidale con ogni persona, ci invitava a chiedere «al Sacro Cuore la grazia di essere capaci a nostra volta di consolare. È una grazia che va chiesta, mentre ci impegniamo con coraggio ad aprirci, aiutarci, portare gli uni i pesi degli altri». E di consolazione non hanno bisogno solo i malati, ma in qualche modo tutti, soprattutto oggi, di fronte alla pandemia e agli sconvolgimenti causati dalla guerra. Per questo il Papa ci incoraggiava a dirci l’un l’altro: «Coraggio sorella, coraggio fratello, non abbatterti, il Signore tuo Dio è più grande dei tuoi mali, ti prende per mano e ti accarezza, ti è vicino, è compassionevole, è tenero. Egli è il tuo conforto».

Ho voluto ricordare questi passaggi dell’omelia del Santo Padre del 5 novembre scorso, a cui potremmo aggiungere il bellissimo Messaggio che ci ha inviato per l’apertura dell’Anno Accademico il 19 dicembre, modulato attorno alle parole Fuoco, Speranza, Servizio, per richiamare solo uno degli ultimi e inequivocabili doni che il Sacro Cuore ha fatto a questa comunità accademica. Le toccanti e profonde parole che il Papa, a più riprese, ha rivolto a questo Ateneo, non fanno che confermare e rafforzare gli attestati di benevolenza divina e di fiducia da parte della comunità ecclesiale. Queste riflessioni ci invitano anche a elevare un inno di lode al Signore con cui manifestare la nostra più sentita gratitudine e un’immensa riconoscenza, consapevoli dei preziosi doni ricevuti ma anche delle grandi responsabilità che ci vengono affidate per il presente e per il futuro. La recente Beatificazione di Armida Barelli, con la sua testimonianza di amore e di affidamento incondizionato al Sacro Cuore, ci sia di esempio e di incoraggiamento. * Vescovo, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

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