Sovraindebitamento
Al via il nuovo Osservatorio di Ateneo sul debito privato
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Per un salto di qualità
L’inserto speciale in occasione della visita Anvur 2021
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ANNO 52 - 1-2/2021
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Un vibrante desiderio di rinascere Da una crisi come questa non se ne esce uguali Saremo migliori solo se siamo disposti a cambiare
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In questo numero
Rivista bimestrale realizzata dal Servizio Stampa dell’Università Cattolica, in collaborazione con il Master in Giornalismo, con la partecipazione del Servizio Pubbliche relazioni dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori © 2019 – Università Cattolica del Sacro Cuore
Sommario
DIRETTORE Franco Anelli RESPONSABILE Daniele Bellasio COMITATO REDAZIONALE Luca Aprea, Katia Biondi, Nicola Cerbino, Sabrina Cliti, Graziana Gabbianelli, Emanuela Gazzotti, Fausto Maconi, Federica Mancinelli, Michele Nardi, Antonella Olivari, Agostino Picicco
HANNO SCRITTO Sara Barboglio, Francesco Berlucchi, Beatrice Broglio, Bruno Cadelli, Francesca Canto, Aldo Carera, Giovanni Domaschio, Tommaso Ganugi, + Claudio Giuliodori, Valentina Giusti, Velania La Mendola, Giada Meloni, Silvano Petrosino, Ernesto Preziosi, Martina Vodola
REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE
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Silvano Petrosino: Siamo sicuri di voler rinascere? Come dice Papa Francesco, dalla pandemia non se ne esce uguali
Università Cattolica del Sacro Cuore L.argo Gemelli, 1 – 20123 – MILANO tel. 0272342216 – fax 0272342700 e-mail: presenza@unicatt.it www.unicatt.it
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REDAZIONE ROMANA L.argo Francesco Vito – 00168 – ROMA tel. 0630154295 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 94 del 5 marzo 1969
Il governo Draghi e la democrazia senza partiti
IMPAGINAZIONE Studio Editoriale EDUCatt
Secondo il professor Damiano Palano siamo di fronte all’ennesimo fallimento della classe politica italiana
FOTO ARCHIVIO Università Cattolica, Getty Image
STAMPA Tiber spa – Brescia
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www.unicatt.it
In copertina Questo periodico è associato all’USPI Unione stampa periodica italiana Il numero è stato chiuso in redazione il 31 marzo 2021
Beatrice Sutter, studentessa della facoltà di Psicologia a Milano, nell’aula “Agostino Gemelli”, appena ristrutturata
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Le cinque sfide per costruire la nuova sanità post Covid Ricerca, edilizia, tecnologia, digitale, know how: la ricetta di Americo Cicchetti per il nuovo Servizio sanitario nazionale
PRESENZA
In questo numero
12 Sovraindebitamento La nostra “riforma” è legge Grazie al lavoro del Competence center e al nuovo Osservatorio sul debito privato. Parla Antonella Sciarrone Alibrandi
14 Armida Barelli, sarà beata la signora del fundraising C’è anche una donna nel pantheon dei fondatori dell’Università Cattolica Una delle figure femminili chiave del ‘900
22 La pandemia sotto la lente degli psicologi Più di settanta studi al servizio della società Antonella Marchetti: gli interventi per far fronte, nel breve, medio e lungo periodo, alle conseguenze del Coronavirus
26 Sport, al via il nuovo anno di Dual Career La stoccata vincente di Margherita Granbassi Sono 65 gli atleti iscritti quest’anno in rappresentanza di 22 sport Dieci si sono già laureati, cinque lo faranno entro fine aprile
33 Comunicare, le news della sede di Roma In tempo di Covid la sanità va in tribunale Il tema della responsabilità medica nella pandemia troverà spazio in ambito processuale per tutto il prossimo decennio
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Editoriale
Armida Barelli Tra Marta e Maria di monsignor Claudio Giuliodori, vescovo *
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o so, a molti è parso strano che una donna facesse parte del Comitato promotore dell’Università, che accanto a tanta scienza e tanta santità maschile ci fosse una così evidente incompetenza femminile». Con queste parole, non prive di ironia e di arguzia, Armida Barelli apriva il suo intervento il 7 dicembre 1921, davanti alle autorità ecclesiastiche, civili, accademiche e a oltre duemila persone convenute per l’inaugurazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Proseguirà il suo appassionato discorso ricordando che al fianco delle Marie dedite alla scienza sono necessarie le Marte che provvedono alle necessità materiali. Ma soprattutto spiega perché serve la fiducia incondizionata nel Sacro Cuore a cui l’Ateneo è dedicato. Certamente perché «Colui che racchiude in sé ogni tesoro di sapienza e di scienza» è a casa sua nei luoghi della cultura, oltre che nelle chiese e nei santuari. Ma non meno importante è la convinzione che l’Università nasce per volontà del Sacro Cuore e che Lui non le farà mancare il necessario. Occorre pertanto affidarsi a «Colui che anche dei milioni è il solo Padrone». La Barelli lo ricorderà con incrollabile certezza, sempre e a tutti, e lo farà lei per prima, ogni volta che si presenteranno necessità economiche, ossia tutti i giorni. È così che, contro ogni umana aspettativa, arriva il primo
milione per la sede, grazie al Conte Lombardo. È così che si avvia la Giornata per l’Università, istituita da Pio XI su tenace insistenza della Barelli, ed è così che cresce l’Università e viene immediatamente ricostruita dopo le distruzioni causate dai bombardamenti nell’agosto del 1943. Con l’intento di favorire il più ampio coinvolgimento dei cattolici italiani nel progetto dell’Ateneo, la Barelli pone tra le finalità della stessa Gioventù Femminile, di cui è fondatrice e “sorella maggiore”, il sostegno spirituale e materiale dell’Università Cattolica. Nello stesso discorso augurale può pertanto affermare: «Poi troviamo la G.F.C.I. la più giovane tra le Associazioni Cattoliche che sorta solo tre anni orsono qui nella nostra Milano, sotto l’ala paterna del Cardinal Ferrari, si è estesa a tutt’Italia in ben 255 diocesi con 3.667 circoli e altre 200.000 socie». È anche un primo report dell’altra grande opera educativa affidata dai Pontefici alla Barelli, che per trent’anni girerà l’Italia mobilitando milioni di donne che diventeranno l’ossatura portante e l’anima generativa del Paese, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale con l’accesso al voto e l’impegno per la ricostruzione del Paese. Per questa sua formidabile opera educativa attraverso l’Ateneo dei cattolici italiani e tramite la promozione della donna con la Gioventù Femminile a servizio della Chie-
sa e del Paese, merita di essere davvero riconosciuta e chiamata “Sorella Maggiore” d’Italia. A un secolo di distanza, mentre celebriamo il centenario dell’Ateneo, possiamo toccare con mano come la realtà abbia superato i sogni dei fondatori e quanto sia stata feconda l’attività accademica svolta. La beatificazione di Armida Barelli non fa che confermare quanto Agostino Gemelli aveva fin dall’inizio riconosciuto in Lei invitandola a santificarsi, seguendo una via nuova di consacrazione nel mondo e affidandole, con profetica intuizione spirituale, la missione di essere “cucitrice di opere”. Comprendiamo così che davvero l’Università, «la quale più che di pietra è fatta di cuori» – come affermava ancora la Cassiera –, vive, cresce e si sviluppa ancora oggi sapendo di poter confidare sulla benevolenza del Sacro Cuore, sul sostegno e l’affetto della comunità ecclesiale e sulla stima della società civile. A un secolo di distanza possiamo fare nostre le parole grate della Barelli per la collaborazione e l’impegno di tutti: «È questa la gioia più intima, il valore morale più grande, la promessa più sicura per l’avvenire di questa nostra Università». Con le stesse espressioni augurali guardiamo con fiducia al futuro. * assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
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Andrà tutto bene solo se siamo seri
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Primo piano
di Silvano Petrosino * Siamo così sicuri di volere rinascere o non aspettiamo altro che «’a nuttata» passi? Forse dovremmo interrogarci sulle nostre scelte e sulla reale volontà di cambiamento
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iamo ancora in piena pandemia; eppure, è già da tempo che si riflette su «come sarà dopo», su «come si dovrà ricominciare». Quando si affrontano questioni di questo tipo spesso si cade nella trappola di cercare una ricetta in grado di assicurarci sul nostro futuro; vorremo sapere con certezza, fin da ora, come sarà il domani in modo da poterci preparare nel migliore dei modi ai nuovi scenari superando così senza particolari traumi le difficoltà ch’essi inevitabilmente comporteranno. È tutto comprensibile, è tutto ragionevole, anche se forse un po’ infantile. In verità non dobbiamo ingannarci: non c’è alcuna certezza su come sarà il domani, anche perché esso dipenderà, soprattutto, anche se non esclusivamente, dalle nostre scelte e dalla nostra reale volontà di cambiamento. In effetti, l’accadere di qualcosa è solo una parte di un dramma che per completarsi attende la risposta che ognuno di noi saprà darvi. Non c’è alcuna garanzia che un fatto accadutoci si trasformi, di per sé, in un evento significativo e fecondo per la nostra esperienza: non basta infatti una sensazione, fosse anche una forte sensazione, come per esempio quella che proviene da un’epidemia con tutta la sua sofferenza e i suoi lutti, per generare un’esperienza. Essa, per formarsi, esige anche il desiderio, l’attenzione, la riflessione, la volontà ed il giudizio. Qualcosa può accadere nella nostra vita senza, tuttavia, lasciare alcuna traccia nella nostra esperienza: è accaduto ma non ha cambiato nulla, non ci ha cambiato in nulla, e così come è accaduta è anche passata. Ecco, almeno in questo la sciagura che ci ha travolto potrebbe rivelarsi utile: potrebbe sollecitarci a riconsiderare il nostro modo di vivere e di pensare, anche se non potrà mai costringerci a farlo. Niente e nessuno, per fortuna, può obbligare qual-
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cuno a desiderare, a riflettere, a cambiare; niente e nessuno, per fortuna, può obbligare qualcuno a operare per il bene. Di conseguenza, invece di perdere tempo a cercare di prevedere come sarà il futuro, invece di lasciarci andare ai buoni propositi e ai sogni di un mondo migliore, converrebbe interrogarsi ora, oggi, sul nostro reale desiderio di un simile mondo, sul nostro reale desiderio di un cambiamento del nostro stile di vita. Forse non è affatto vero che vogliamo rinascere, che vogliamo riconsiderare la nostra scala di valori, che aspiriamo a una società più equa e giusta; forse non aspettiamo altro che «’a nuttata» passi, per poter così ritornare al più presto al modo di vivere «di prima». Un minimo di serietà e di sincerità agevolerebbe quella riflessione sul cambiamento da più parti sollecitata come una vera e propria necessità. Per quanto può valere, personalmente, non sono affatto sicuro che, finita l’emergenza, come se si volesse recuperare il tempo perduto, non si ritorni subito a parlare, con immutato entusiasmo e accresciuto cinismo, di eccellenza, di successo, di primati, di griglie di valutazione finalizzate a selezionare i famigerati «migliori», e di conseguenza di master e corsi, a pagamento, in grado di insegnarci come diventarlo. Papa Francesco ha smascherato questo delirio quando ha invitato a «essere seri con le cose serie». Sincerità e serietà; forse è semplicemente questa l’unica strada che ogni «vibrante desiderio di rinascere» (per usare le parole di Draghi nel suo discorso di insediamento al Senato) se è davvero tale, non può evitare di percorrere. * docente di Antropologia filosofica alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere
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Primo piano
Le voci degli studenti
Vogliamo scendere dall’ottovolante Per favore, non rubateci la speranza di Giovanni Domaschio
La convinzione che si percepisce, anche tra le matricole, è che si possa uscire dalla pandemia più forti di prima. La Generazione Z sembra crederci davvero
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a pandemia tiene ancora tutti in ansia. Ma non tiene lontani gli studenti dalla loro università. Pur gradualmente, i chiostri dell’Università Cattolica, da mesi rimasti senza i loro abituali compagni di viaggio, hanno cominciato a ripopolarsi. I controlli all’ingresso restano necessari, così come l’impressione che la presenza umana sia calcolata e contingentata. Ma c’è la sensazione di una ripresa, di quel “vibrante desiderio di rinascere” di cui ha parlato Mario Draghi nella conclusione del suo discorso di investitura come nuovo Presidente del Consiglio. Piccoli gruppi di tre o quattro amici agli angoli dei porticati e davanti alle aule mostrano che le matricole sono arrivate. L’atmosfera è serena, gli studenti non sono ancora numerosi come lo erano più di un anno fa ma è lontana anche la sensazione spettrale che si poteva avere frequentando i chiostri sul finire del 2020. Che si possa o meno tornare stabilmente in aula, si nota un comune sentimento di sollievo ed entusiasmo, talvolta misto quasi a un pizzico di incredulità: «Sono molto contenta di essere tornata, da casa è più difficile seguire» spiega Sofia, studentessa del primo anno di Scienze Politiche. «Durante i mesi di didattica online ho faticato a mantenere interesse e concentrazione in molte materie: sono felice di tornare in aula» dichiara la sua collega Raffaela. «Quest’anno le lezioni online erano meglio organizzate, ma l’ideale resta essere in presenza» specifica Elisa, studentessa del primo anno della laurea magistrale in Management per l’impresa. Eppure, gli stessi ragazzi non esitano a esprimere la loro preoccupazione, lasciando intendere che la consapevolezza di essere ancora nel pieno della crisi è forte: «Tanti pensavano di lasciarsi tutto
alle spalle col finire del 2020 ma in realtà ci siamo ancora dentro. Eventi come questo non svaniscono con un cambio di data» dichiara Paola, studentessa del primo anno di Scienze Politiche. I più preoccupati sono gli studenti appena approdati all’università, il cui primo incontro con l’università è inevitabilmente falsato dal periodo di pandemia: «Ci manca molto il confronto con i ragazzi più grandi, del secondo e terzo anno» spiega Maria Vittoria, anch’essa matricola di Scienze Politiche. Nei primi tempi all’università ci avrebbero potuto dare consigli, scambiare qualche appunto, guidarci». La situazione pandemica ha cambiato la vita ai fuori sede, costretti spesso a tornare a casa e a vivere l’inizio dell’università in famiglia: «Sono stata due mesi a Roma e sono tornata a Milano a gennaio per fare un esame» racconta Emilia, amica e compagna di corso di Maria Vittoria. «Studiare in un’altra città senza potersi confrontare con nessuno non è la stessa cosa di poter incontrare i
compagni, scambiare appunti e studiare insieme». Parole che potrebbero tradire un abbassamento nel fare credito alla speranza, giustificate dalla prudenza di chi non può e non vuole abbassare la guardia dopo un intero anno di chiusure a singhiozzo: «Io vivo alla giornata, non voglio più pensare a come evolverà la situazione» riflette Dalila, matricola di Giurisprudenza. «Spero solo che le cose migliorino e che non si continui a vivere sull’ottovolante, perché per ora è stato così» aggiunge alla sua riflessione Maria Vittoria, a testimonianza di come l’incertezza per quanto riguarda il prossimo futuro sia grande. Ciò che balza all’occhio è una diffusa paura d’essere una generazione sacrificata, lasciata da parte, poco aiutata. Lo conferma anche Matilda, studentessa del secondo anno di Economia, che in presenza ci deve ancora tornare: «Ho un po’ paura di trovarmi nella fascia d’età sbagliata. C’è tanta attenzione, giustamente, per i ragazzi più piccoli, mentre noi, forse
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perché siamo visti come giovani-adulti, siamo un po’ più lasciati a noi stessi». Quello su cui però tutti gli studenti concordano è che da questa crisi occorre apprendere una lezione e cercare di carpire qualcosa di buono, per non arrivare in fondo al tunnel allo stesso modo in cui si era quando si è entrati. Jacob, studente del secondo anno di Scienze Politiche, parla in modo piuttosto lapidario della necessità di «fare un bagno d’umiltà e riconoscere gli errori compiuti». Altri studenti cercano di trarre qualche elemento positivo già dal presente: «Anche il solo fatto di videoregistrare le lezioni è un buono spunto per avere qualcosa di migliore di prima» spiega Isadora, studentessa al primo anno di Scienze Politiche. «Spero solo non resti un aut aut, ma che invece si prenda il meglio di entrambe le situazioni ante e post Covid, per permettere sempre sia di frequentare di persona che, nel caso ci sia la necessità, di connettersi da remoto». Sulle prospettive future, il pensiero di molti va al mondo del lavoro: sarà peggiore di quello precedente alla pande-
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Primo piano
mia o questo tempo sarà l’occasione per correggere problemi che esistevano già prima? Gli spunti di riflessione sul futuro insomma non mancano e la gioia per il ritorno in aula si mescola naturalmente all’angoscia per l’incessante andamento
della situazione pandemica, ben rappresentato dai cambiamenti di colore delle regioni italiane. La convinzione, però, dev’essere quella di poterne uscire più forti di prima e la generazione dei giovanissimi sembra crederci davvero.
Tra campagne di screening e regole di comportamento, la vita nei collegi non s’è mai fermata ndrà tutto bene!» ma anche #iorestoacasa: messaggi di speranza sventolati dai balconi di tutta Italia e divulgazione social di responsabilità civile. Il 2020 è stato un annus horribilis che difficilmente dimenticheremo: 365 giorni di sgomento, timore, preoccupazione, ma anche di speranza, solidarietà, abbracci virtuali e tanta voglia di ripartire. L’incertezza e la confusione che hanno caratterizzato i primi mesi del 2020, le difficoltà nel gestire con serenità e sicurezza l’emergenza sanitaria non hanno però posto un freno alle missioni educative e alle proposte di crescita e di condivisione che rendono i Collegi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore «luoghi sicuri e accoglienti come sempre, in grado di offrire le condizioni ottimali anche per un’esperienza formativa umanamente ricca e arricchente» come ha ricordato il direttore della Fondazione Angelo Giornelli. Ed è con questo scopo che Educatt ha promosso nel mese di febbraio la prima campagna di screening collettivo rivolto alla community collegiale: gli ospiti dei Collegi e delle Residenze hanno avuto accesso a tampone gra-
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tuito su base volontaria. La procedura verrà riproposta nel corso dell’anno e permetterà di verificare l’adeguatezza delle misure di contenimento intraprese e fornirà dati importanti per il tracciamento. L’obiettivo di attività di questo tipo è quello di identificare in modo precoce e rapido i contagiati per concentrare e differenziare gli sforzi di contenimento sui casi e non agire in modo indiscriminato. Mappare progressivamente la popolazione ospite delle strutture residenziali dell’Università potrebbe aiutare a favorire una più rapida ripresa delle attività in totale sicurezza. Grazie ai vademecum e alle regole di comportamento, alla messa in sicurezza delle aree comuni e allo spirito di adattamento degli studenti, è stato comunque possibile vivere l’ospitalità nei Collegi e nelle Residenze in totale sicurezza e con rinnovato spirito di partecipazione: dal College Camp – il concorso per l’ammissione e la riammissione ai Collegi e alle Residenze universitarie – per la prima volta in un’edizione totalmente digitale, agli incontri nell’ambito dei differenti progetti formativi su Teams.
Gli studenti hanno saputo fare tesoro delle ore più buie vissute durante il lockdown per riscoprire il valore della collegialità e dello stare insieme: la resilienza dello spirito che abbatte le barriere. Come scrisse Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere «L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante». (Giada Meloni)
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Un progetto promosso da Vita e Pensiero
Leggere un libro mette le ali Farlo insieme fa tornare a vivere di Velania La Mendola
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ristian abita a Lodi e studia Scienze della formazione primaria. Legge più libri alla volta e cambia spesso genere, dal saggio filosofico al romanzo rosa, no limits. Alessandra studia Politiche europee e internazionali, ha studiato inglese, francese e arabo, ama i libri cartacei ma in viaggio preferisce gli ebook. Marta abita a Milano e studia numismatica, dall’inizio della pandemia ha deciso di rileggere tutta la Divina Commedia. Cos’hanno in comune questi tre studenti universitari? Fanno parte del gruppo “I giusti continuano a leggere”. Il nome si ispira alla poesia I giustii di Borges, il numero è variabile, l’organizzazione è targata Vita e Pensiero, l’editrice dell’Università, che nel 2018 ha creato il gruppo in occasione del suo centenario e ha rilanciato sulla scorta dell’entusiasmo dei ragazzi. Perché leggere è bello, si può fare ovunque e da soli. Ma farlo insieme è anche meglio. Sono nati così i reading in libreria, in teatro, in giro per la città. Ma come si fa con la pandemia? La voglia di leggere non è scomparsa, anzi. È un segno del “vibrante desiderio di rinascere”. Così da marzo 2020 si sono susseguite piccole
Grazie a maratone di lettura online, anche nel pieno della pandemia, “I giusti continuano a leggere”. E non hanno mai smesso di farlo. Il titolo dell’iniziativa ispirato a una poesia di Borges maratone di lettura online: La resistenza della poesia, I giusti per la comunicazione gentile, il Dantedì... «Sono molto contenta che i giusti continuano con i video online, c’è proprio bisogno in questo tempo sospeso» ha scritto Maria. «Restare vicini nonostante tutto, grazie per l’opportunità» ha scritto Maurizio. E sono iniziati anche i gruppi di lettura: la casa editrice propone un libro, i volontari aderiscono (massimo 6 per volta) e ricevono il libro se non l’hanno già a disposizione. Dopo circa un mese ci si incontra online e se ne discute liberamente. Le regole sono poche e semplici: non è una conferenza, ma uno scambio di opinioni fra lettori, ognuno è chiamato a dare un punto di vista personale; mai sovrapporre la propria voce a quella degli altri; tempi brevi per ogni intervento. Per rompere il ghiaccio, perché ogni lettore incontra l’altro per la prima volta in quella occasione, come è successo a Cristian, Alessandra e Marta per esempio, nei primi minuti ci si presenta (facoltà, ultimo libro letto, ecc.) e poi si inizia a chiacchierare: che cosa è piaciuto del libro (o meno), se c’è una frase in particolare che è stata “sottolineata”
(ma c’è chi ama fare le orecchie e chi “guai a chi scrive sul libro”), e si chiacchiera, con un moderatore discreto, senza spartito. Il primo gruppo si è riunito attorno a un saggio di filosofia contemporanea, La tirannia dell’algoritmo di Miguel Benasayag; il secondo sul libro di storia di Paolo Colombo, History telling; reading successivo in occasione del Dantedì 2021. Potremmo chiudere con le parole di Mirjam: «È stato molto bello poter condividere, anche se distanti, questo momento di lettura con voi. Torneremo presto anche a leggere ad alta voce e tutti insieme». Intanto gli studenti continuano a farlo online: per iscriversi ai “Giusti” basta inviare una mail a info@vivaillettore.it o andare su www.vivaillettore.it/diventaunlettore/
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Primo piano
L’esperienza del Dams di Brescia
Datti a fare cinema per riprendere il viaggio l cammino come ricerca stimolata dal cinema spirituale di Andreij Tarkovskij. Non si sono arresi gli studenti del secondo anno del Dams, il corso di laurea triennale della facoltà di Lettere e filosofia attivo nella sede di Brescia. Gli iscritti al corso di regia audiovisiva di base, di fronte alla pandemia che impediva loro di frequentare le lezioni in presenza, hanno preso la propria attrezzatura e sono usciti nei loro territori, dal nord al sud d’Italia, per raccontare con un video la loro riflessione su come andare oltre l’emeregenza, accompagnati via web dall’occhio vigile dei coordinatori del corso Graziano Chiscuzzu e Marco Meazzini. Molti ragazzi, usando il cinema come via di confronto e di contatto, hanno espresso la voglia di uscire e così il cammino si è trasformato in qualcosa di terapeutico, di autodescrittivo e riflessivo. I temi sviluppati e raccontati dagli studenti nei loro video sono tanti, ma sono legati tutti fra loro da un filo conduttore: «Siamo partiti da una grammatica apparentemente semplice, legata al cinema degli anni 70 e 80 del regista russo Tarkovskij, come stimolo e come punto di partenza non ordinario in un corso Dams. I ragazzi hanno elaborato il tema del viaggio fuori e dentro sé stessi» continuano i tutor. «Crediamo che la pandemia, il coprifuoco e la non quotidianità ordinaria, possano essere raccontati non solo come prigionia, malattia e limite ma come occasione per riflettere su sé stessi e sul proprio futuro. C’è chi ha rappresentato il processo di cambiamento come un viaggio di rinascita dopo il cammino di Santiago de Compostela». (Antonella Olivari)
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EDUCatt ha fatto della trasparenza il suo segreto
Perché sia un servizio la relazione con lo studente non si deve fermare mai. Anche in pieno lockdown omunicare, voce del verbo ripartire. Anche per i servizi agli studenti che, pur nel corso della grave emergenza pandemica, sono sempre rimasti trasparenti per i propri utenti. E questo grazie alla volontà di Educatt di non smettere di raccontare ciò che si fa, con modi e strumenti pensati di volta in volta per progetti diversi, ma soprattutto per destinatari diversi. La Fondazione per il diritto allo studio universitario non solo collabora con i canali istituzionali dell’Ateneo per informare stakeholder presenti e futuri, ma crea anche canali di comunicazione interna come l’house organ EDUCatt EPeople, che nasce con la volontà di fare rete tra le diverse funzioni ma anche di dare conto mensilmente dei nuovi progetti e delle novità sui servizi rivolti ai collegiali, agli studenti, ai docenti e all’intera comunità universitaria. La scelta narrativa di EDUCatt traspare anche dalla nuova Relazione di Missione 20192020, che analizza ciò che è stato il 2019 ma soprattutto ciò che ha rappresentato il 2020: un anno unico che non può non essere tenuto in considerazione in fase di rendicontazione. Senza tralasciare la continuità temporale con le versioni precedenti, questa edizione guarda al futuro consapevole delle sfide che la crisi sanitaria ha lanciato e che come Ente per il diritto allo studio è necessario raccogliere, affinché gli sforzi siano diretti verso nuovi modi per intendere il Terzo settore. Il desiderio di rimanere in contatto, al dì là del distanziamento sociale, ha portato a intensificare la comunicazione social su canali già esistenti e anche nuovi: così a Instagram, Facebook, LinkedIn, Twitter, si è aggiunto anche Telegram, esempio di un concreto interesse nella ricerca di una comunicazione sempre più immediata con gli studenti. La stessa volontà anima il Podcast Eco – EDUCatt on air, con rubriche diversificate che riescano sia a raccontare novità, attività e modi d’uso dei servizi, sia a fare compagnia il tempo di una pausa caffè, sempre attente al mondo universitario ad ampio raggio e aperte alla collaborazione di colleghi e professionisti esterni. E se la sfida del nostro tempo è quella di far sentire la vicinanza e il sostegno agli studenti nonostante i lunghi mesi di isolamento e le regole di distanziamento, EDUCatt la accoglie aumentando e diversificando i propri canali di comunicazione, nella convinzione che l’unica ripartenza possibile sia quella che pone sempre al centro le persone. (Sara Barboglio)
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Attualità
L’inizio dell’era Draghi e i dilemmi della politica di Bruno Cadelli
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Secondo il politologo Damiano Palano, la nomina dell’ex presidente della Bce difficile capire se l’avvento a Pa- certifica il fallimento di una classe politica più che l’avvento di nuovo tipo di leader
lazzo Chigi di Mario Draghi segni una nuova stagione politica per l’Italia. Sicuramente chiude una stagione che non sappiamo ancora definire se sia stata la terza repubblica o la fase terminale della seconda. Ma è difficile pensare che i problemi che questa fase politica non è riuscita a risolvere possano trovare una soluzione nella “discesa in campo” di Draghi». Damiano Palano, docente di Scienza politica e direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Ateneo, attento osservatore delle dinamiche della democrazia nei Paesi occidentali, guarda con sospetto a chi immagina
una miracolosa catarsi del sistema politico italiano. Ma è certo che quella cui abbiamo assistito è la crisi dell’intera classe politica italiana. «Parliamo di un gruppo dirigente che, al di là della competenza, non è stato in grado di trovare dei punti di compromesso per mediare le forti polarizzazioni che si sono create nella società. Questo perché ha basato le proprie fortune sull’estremizzazione dei messaggi e sulla creazione di confl itti, senza però essere in grado di canalizzarli all’interno delle istituzioni. I partiti del passato,
che certo non evitavano di ricorrere alla polarizzazione, erano però capaci di gestirla a livello parlamentare, anche creando compromessi stabili. Questa classe politica non riesce a farlo e ciclicamente deve ricorrere a figure super partes di cui Mario Draghi è solo l’ultimo esempio. Dopo Ciampi e Monti, il governo Draghi rappresenta la variante di uno stesso modello: la ricerca di “tecnici” come soluzione a situazioni di stallo. Per questo siamo di fronte più a un fallimento della classe politica che a un nuovo tipo di leader politico». Il politologo Mauro Calise da anni parla dell’avvento, anche in Italia, di quella che ha definito la “democrazia del leader”. Un processo che ha il culmine nei governi di Matteo Renzi e di Giuseppe Conte. È così? Condivido la lettura di Calise, anche se non vedo in Draghi un esempio in tal senso. I leader di oggi e quelli che abbiamo visto all’opera nell’ultimo trentennio hanno come risorsa principale la loro immagine e la usano esponendosi in prima persona per incidere sullo scenario comunicativo. Questo però non ci ha consegnato una classe politica compatta e unitaria, né partiti più solidi, ma un panorama lacerato da rivalità anche all’interno degli stessi partiti. Un sistema che si regge su basi piuttosto fragili. In un libro di qualche anno fa pubblicato da Vita e Pensiero, lei parlava di Democrazia senza partiti... I partiti non si squagliano e non si alleggeriscono, ma sono in costante mutamento. Siamo sempre più di fronte a “partiti liquidi”, che modificano costantemente le loro identità “leggere”. La leadership del premier è una risorsa imUniversità Cattolica del Sacro Cuore
portante ma non può dare una stabilità al sistema. Draghi è un caso di questo genere? Per ora, avendo deciso di rifi utare la comunicazione come strumento di legittimazione, penso vada in un’altra direzione.
za politica, con l’attività di governo nelle amministrazioni locali e nella macchina delle istituzioni. Una “professione”, la politica, che ha le sue criticità e le sue peculiarità e si deve imparare come tutti gli altri mestieri.
Ha accennato prima al tema della competenza. Mario Draghi la riporta sugli scranni della politica? Direi che la reintroduce a Palazzo Chigi nel senso più elevato del termine, con una visione del futuro molto nitida e tutt’altro che priva di riferimenti valoriali. Un contrasto abissale con la tendenza a selezionare il personale politico sulla capacità di fare salire l’audience dei talk show televisivi. I partiti di massa avevano criteri interni di reclutamento molto più rigidi e, alla fine, chi riusciva ad arrivare agli incarichi di governo era più competente di buona parte dei politici di oggi. Una preparazione non soltanto correlata con il livello di istruzione, molto più alto oggi e ovviamente importante. Ha a che vedere soprattutto con l’esperien-
Sembra lontana anni luce la narrazione dell’«uno vale uno»... «L’uno vale uno» è una componente della nostra idea di democrazia ma è quantomeno ingenuo pensare che l’azione di governo non richieda competenza ed esperienza. Una classe politica adeguata, oltre a rispondere alle aspettative dei cittadini, dovrebbe piuttosto riuscire a recepire le indicazioni che provengono dalle cosiddette “comunità epistemiche”. Non soltanto dagli scienziati ma anche da chi ha competenze nei territori locali. Prendere delle decisioni significa disporre di alcune conoscenze che le istituzioni non hanno e che sono, invece, detenute, da chi si occupa di questioni specifiche. Dopodiché il compito della classe politica è quello di decidere. Questo è ovvia-
mente il grande dilemma della politica: mettere insieme le domande particolari e definire le prospettive generali. Una classe politica adeguata non può eludere questa sfida. Che futuro vede per i partiti “populisti” in Italia? I populisti sono stati il prodotto di una serie di crisi che hanno attraversato la società italiana e occidentale: la crisi economica, la crisi di fiducia nei partiti e quella legata ai fl ussi migratori. Queste crisi non verranno superate quando ci lasceremo la pandemia alle spalle. Non credo che i nuovi partiti populisti di domani saranno la fotocopia di quelli che hanno segnato l’ultimo decennio. Ma è molto probabile che in una società in cui ci saranno molti “scontenti”, forze radicali troveranno spazio per portare avanti le loro posizioni. Non è detto che i populismi del prossimo decennio saranno gli stessi di quello passato ma occasioni per un’avanzata di posizioni radicali non ne mancheranno.
Dal “Whatever it takes” a “conoscenza, coraggio, umiltà” er una felice e voluta coincidenza Mario Draghi, ora “nocchiero” del governo italiano, tenne il suo ultimo discorso pubblico, da presidente della Banca centrale europea, in Università Cattolica. «Ha condotto la Bce nella tempesta» disse il rettore Franco Anelli l’11 ottobre 2019, introducendo la cerimonia di conferimento della laurea magistrale honoris causa in Economia. Nell’aula magna gremita della sede milanese dell’Ateneo, Draghi tenne un discorso, più volte ripreso dai mezzi di informazione, sulle responsabilità del policy maker, rivolgendosi agli studenti con queste parole: «Il futuro della società dipende dal sentire il bene pubblico da parte dei giovani migliori e dall’impegno che profondono nel raggiungerlo». Tre le caratteristiche che individuò alla base delle decisioni che consideriamo “buone”: la conoscenza, il coraggio, l’umiltà. «Oggi viviamo in un mondo in cui la rilevanza della conoscenza per il policy making è messa in discussione» affermò Draghi. «Sta scemando la fiducia nei fatti oggettivi, risultato della ricerca, riportati da fonti imparziali; aumenta invece il peso delle opinioni soggettive. In questo contesto è più facile per il policy maker rispecchiare semplicemente quelli
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che egli reputa essere gli umori della pubblica opinione, sminuendo il valore della conoscenza, assumendo prospettive di breve respiro e obbedendo più all’istinto che alla ragione. Ma solitamente ciò non serve l’interesse pubblico. La lezione della storia è invece che le decisioni destinate ad avere un impatto duraturo e positivo sono basate su un lavoro di ricerca ben condotto, su fatti accuratamente accertati e sull’esperienza accumulata». «La conoscenza non è però tutto» aggiunse Mario Draghi. «Una volta stabilito nella misura del possibile come stanno i fatti arriva il momento della decisione. Anche nel caso della politica economica, le azioni hanno sempre effetti collaterali e conseguenze indesiderate. Vi sono situazioni in cui anche le migliori analisi non danno quella certezza che rende una decisione facile: la tentazione di non decidere è frequente. È in questo momento che il policy maker deve far leva sul coraggio». L’ultima “virtù” cui fece riferimento l’ex presidente della Bce fu l’umiltà, che «discende dalla consapevolezza che il potere e la responsabilità del servitore pubblico non sono illimitati ma derivano dal mandato conferito che guida le sue decisioni e pone limiti alla sua azione.
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I funzionari pubblici, le banche centrali in particolare, ricevono un mandato politico, nel senso che esso è il frutto di un processo politico». In quella occasione l’Università Cattolica, attraverso la sua University Press Vita e Pensiero, ha pubblicato una strenna a tiratura limitata intitolata Whatever it takes. Cinque discorsi per l’Europa. Dei discorsi tenuti dall’allora presidente della Banca Centrale Europea fanno parte L’euro: dal passato al futuro, un intervento sul profondo significato politico della moneta unica europea tenuto durante il ciclo «Colloqui sull’Europa» organizzato dal Dipartimento di Economia e finanza, e la lezione inaugurale dell’anno accademico 2015-2016 dell’Ateneo. Il titolo è invece tratto dal famoso speech pronunciato il 26 luglio 2012 alla Global Investment Conference, nel quale Draghi dichiarò che la Bce era determinata, in un contesto di grave crisi, ad adottare “a ogni costo” qualunque manovra necessaria per mantenere la stabilità finanziaria e salvare – attraverso l’euro – il progetto europeo. (Velania La Mendola)
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Nuova sanità, i cinque cantieri per il dopo Covid di Federica Mancinelli
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ulla scrivania del professor Americo Cicchetti più della metà dello spazio è occupato da grafici, dati e proiezioni. Sono gli ingredienti dell’Altems Covid-19 Instant report, che ogni settimana fotografa la situazione della pandemia in Italia. «A un anno da marzo 2020, siamo arrivati alla prova del Covid con una sistema sanitario sicuramente fra i migliori al mondo, ma in debito di ossigeno» afferma il professore di Organizzazione aziendale alla facoltà di Economia nel campus di Roma dell’Università Cattolica e direttore dell’Alta Scuola di Economia e management dei Sistemi sanitari dell’Ateneo (Altems). «Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha subito in 13 anni una cura dimagrante significativa» aggiunge. «Nel periodo 2000-2006, la spesa sanitaria cresceva a tassi superiori al 6% anno. Tra il 2007 e il 2011, la crescita si è ridotta al 12% medio annuo e tra il 2011 e il 2019 si è pressoché azzerata. Questo a fronte di un incremento dei bisogni causato dall’invecchiamento della popolazione (+3 anni, l’età media) e dall’aumento delle patologie croniche e delle disabilità associate con l’età avanzata. Il sistema sanitario è arrivato allo stress test della pandemia come un maratoneta che, dopo aver corso i suoi 42 Km, giunge stremato al traguardo». Lei afferma spesso che “l’organizzazione è la migliore medicina”. Che cosa significa in questo particolare momento? La pandemia conferma l’assioma che organizzazione vuol dire avere regole per collaborare: abbiamo tante risorse, persone, competenze, ma se non si sono stabilite regole precise, ognuno può prendere direzioni diverse, raggiungendo diversi risultati. Non è un caso che la migliore gestione del Covid-19 non sia stata quella delle Regioni
Ricerca, edilizia, tecnologia, digitale, know how: la ricetta del professor Americo Cicchetti per un Servizio sanitario nazionale che torni a essere un fiore all’occhiello
con le maggiori risorse, ma quelle con l’organizzazione più adatta alla risposta, per far lavorare insieme soprattutto chi operava sul territorio, come i medici di famiglia. Insomma, alla prova dei fatti il sistema sanitario ha segnato il passo... Se vuole continuare a correre ha assoluto bisogno di investimenti. Non basta pensare di ristrutturarlo. È più utile ripensarlo come se il 2021 fosse l’anno di istituzione del “nuovo” Ssn. Dovremmo costruire un sistema sanitario che sia universalista, effi-
cace, accessibile ed equo. Su questi pilastri far nascere, poi, le domande fondamentali. Quali sono le domande da porsi? La logica del regionalismo funziona o il Titolo V va rivisto? Qual è il ruolo che dovrebbe avere il ministero della Salute rispetto al ministero dell’Economia? Quanti ospedali servono, e quali? Quanto dovremmo gestire le persone a casa e sul territorio? Oggi costruirei il sistema sanitario analizzando prima i bisogni di cura di ciascuno e, poi, costruendo le strutture adeguate a Università Cattolica del Sacro Cuore
rispondervi; eventualmente con una sana “distruzione creatrice” di enti e percorsi non più adeguati. Come scegliere il tipo di investimenti da fare? Tre sono i princìpi cardine: selezionare soluzioni di valore nella prospettiva individuale (costo-efficacia), determinando ricadute sulla società nel suo complesso (equità) e impatti sul sistema economico (produttività). Saremo in grado di restituire le risorse nella misura in cui le utilizzeremo per prevenire le malattie piuttosto che curarle, garantendo – contestualmente – salute e produttività del lavoro, innovazione e ricerca per le imprese del settore e, di conseguenza, reddito e gettito fiscale. Solo questo approccio permetterebbe di avviare un ciclo virtuoso in grado di assicurare quella crescita economica che è la condizione essenziale per assicurare assistenza e cura alla popolazione più fragile, agli anziani, ai disabili e ai bambini.
E gli altri? Il terzo capitolo sono le tecnologie sanitarie: sviluppando però la capacità di individuare selettivamente le tecnologie ad alto valore, dando la priorità a quelle in grado di cambiare la storia naturale delle malattie restituendo salute, socialità e produttività alle persone. Il quarto è la trasformazione digitale del sistema sanitario, fondamento per una radicale innovazione organizzativa orientata realmente alle esigenze dei pazienti e non a quelle degli operatori. E, infine, lo sviluppo del know how w attraverso investimenti nell’education, nella formazione continua sia in ambito clinico che manageriale, e adottando modelli di gestione del personale basati sulle competenze e non su compiti e mansioni.
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Intanto, la pandemia non sembra arrestarsi: non servirebbero piani di programmazione più a medio-lungo termine per non farsi trovare impreparati? La gestione di ogni disastro, soprattutto degli slow moving disasterr prevede diversi momenti: il primo è il pre-impact quando non si sa nulla di ciò che accade e l’unica cosa possibile è limitare i danni, ciò che è accaduto a febbraio 2020. A settembre lo sapevamo, ma non ci siamo preparati adeguatamente. Adesso il rischio è di agire come in autunno. Servono scelte forti, seppur dolorose, ma senza tentennamenti e, insieme, accelerare il piano delle vaccinazioni. La pandemia lascerà segni indelebili a tutti i livelli della società, e possiamo
dire dell’esistenza: com’è cambiato il suo lavoro e quello dei suoi collaboratori nell’ultimo anno? È cambiato molto, e anche in meglio. Abbiamo accelerato sicuramente il nostro modo di lavorare, siamo stati più focalizzati e abbiamo velocizzato tutti i percorsi di didattica a distanza: anche se nell’Alta Scuola avevamo già deciso di implementare programmi di eLearning, quello che solo un anno fa ci sembrava insormontabile, oggi è diventata automaticamente realtà, e funziona benissimo. A proposito di tecnologie, la “cura digitale” garantirà una maggiore equità nell’accesso all’assistenza? L’eHealth abbatterà molte delle situazioni che riducono l’accessibilità di alcune categorie di persone, quelle che non hanno la possibilità di muoversi, come le persone con disabilità, o chi non ha la possibilità di spostarsi per ragioni economiche. Sarà soprattutto più difficile “dimenticare” le persone, lavorando con banche dati nelle quali ogni persona è presente. La tecnologia garantirà un incremento di equità molto importante, più di quanto immaginiamo. La tecnologia, per fortuna, è democratica.
Un unicum nell’health care management TRA ECONOMIA E MEDICINA
Quali sono i cantieri da aprire? Sono almeno cinque. Il primo è quello della ricerca sanitaria, che è il motore dell’innovazione e del cambiamento, grazie a grandi piattaforme che facciano convergere investimenti pubblici e privati. In secondo luogo, un’edilizia sanitariaa innovativa, ponendo attenzione alle infrastrutture assistenziali, ma anche a quelle abitative per gli anziani superando la logica delle Rsa, non più adatte, alla richiesta di active ageing che proviene dalla società.
Una sfida enorme... Siamo davvero a un bivio per il più importante presidio del welfare nazionale. Rilanciare, in modo deciso, o declinare definitivamente ammainando la bandiera dell’universalismo. Come dice spesso papa Francesco, da una grande crisi non si esce mai uguali: l’emergenza Covid-19 può dare il colpo di grazia al sistema sanitario nazionale o rappresentare un’occasione unica di rilancio.
all’anno 2000 Economia è “sbarcata” nel campus di Roma, una sede che, grazie alla presenza della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, offre un unicum nel panorama formativo italiano sul tema dell’healthcare management. «Il settore sanitario allargato, cioè tutto l’ambito delle Life Science, in un Paese come l’Italia vale il 10% del Pil e rappresenta un fattore di sviluppo, oltre che una spesa» spiega il professor Americo Cicchetti (nella foto), docente di Organizzazione aziendale e direttore Altems. «Le nuove competenze diventano sempre più importanti e il Covid lo ha dimostrato: se si fanno le scelte giuste, si salvano le persone». Per questo occorre immaginare il futuro, pensando alla sanità pubblica che verrà. «Da qui al 2030 la medicina sarà totalmente e positivamente stravolta» afferma Cicchetti «Finora, soprattutto in Italia, abbiamo sfruttato poco le possibilità della telemedicina che sono enormi. Ci vogliono, però, visione e coraggio, oltre a investimenti oculati. Una cosa è certa: nella nuova medicina il ruolo dei professionisti sarà sempre fondamentale, ma accanto a quello dei pazienti. L’assistenza attraverso le piattaforme funziona solo se c’è una capacità di patient engagement, così da creare uno stretto rapporto tra medici, tecnologia e paziente. È questa la tripla combinazione che funziona».
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Il nuovo Osservatorio d’ateneo sul debito privato di Beatrice Broglio
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a società ha bisogno dell’economia e l’economia ha bisogno della finanza. Ma nulla è fine a se stesso. Al centro si pone sempre l’uomo, verso cui tutto converge». In questa relazione si gioca la partita del credito sostenibile. Una sfida che il prorettore vicario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Antonella Sciarrone Alibrandi (nella foto) affronta sia nella prospettiva scientifica del diritto dell’economia sia con la sensibilità culturale di un Ateneo che ha molto da dire nel dibattito pubblico. La pubblicazione del documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, da parte della Congregazione per la Dottrina della fede e del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede, è stata l’occasione per avviare un percorso formativo sulla bio-diversità economica e finanziaria, che non si è limitato a costruire uno spazio di rifles-
È solo l’ultimo risultato del lavoro sul sovraindebitamento, che è già diventato legge, e porterà a presentare un position paper alla Commissione e al Parlamento europeo sione nella comunità universitaria ma ha prodotto anche un confronto ampio e inclusivo con professionisti di istituzioni bancarie e finanziarie. La professoressa Sciarrone ha coordinato uno dei dodici laboratori attivati in Ateneo sui temi del documento vaticano, che hanno complessivamente coinvolto, in un percorso interdisciplinare, più di 700 studenti di varie facoltà delle quattro sedi e numerosi accademici. Il quarto laboratorio si è occupato di sostenibilità non solo nella più usuale prospettiva degli investimenti ma anche in quella della sostenibilità dell’attività di credito. «Con questo termine ci si riferisce di solito all’erogazione di finanziamenti da parte delle banche, rivolta a soggetti che operano in settori sostenibili o con modalità sostenibili, come la transizione ecologica
e la trasformazione ambientale» spiega la docente della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. «Siamo partiti, tuttavia, da una prospettiva più ampia. La nostra riflessione si è, infatti, focalizzata principalmente sul valore intrinseco del concetto di “sostenibilità del credito”, identificabile nella relazione esistente tra il debitore e il creditore per tutta la durata della loro “relazione giuridica”». Ci aiuti a capire bene. Partendo dall’etimologia del termine “credito” (che deriva da crederee ed evoca la fiducia) preoccuparsi della sostenibilità significa compiere una valutazione che prenda come parametro di riferimento l’intero ciclo di vita del credito. Dalla fase di erogazione – in cui deve essere valutata la capacità effettiva del debitore di restitu-
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ire la somma di denaro – a quella dell’inadempimento, sino all’eventuale insolvenza, momento in cui ci si deve chiedere quali soluzioni giuridiche siano adeguate a garantire un soddisfacimento di tutte le posizioni. Come bisogna intervenire in questa situazione? Proprio in questa delicata fase è importante distinguere, con occhio attento, le imprese e le persone che sono in grado di ripartire (e che vanno aiutate a farlo) da coloro che vanno accompagnati all’uscita dal mercato con procedure e strumenti idonei. Aiutare i debitori e preoccuparsi della loro situazione come persone e come famiglie non significa sprecare risorse ma comporta un esame continuo e costante della sostenibilità del credito, perseguendo l’equilibrio del rapporto tra economia reale e stabilità finanziaria. I crediti inadempiuti preoccupano infatti non solo i debitori, ma anche le banche… Le banche hanno un ruolo centrale nell’ecosistema, essendo i principali attori nella fase di erogazione del credito. Se consideriamo però la situazione attuale, la sostenibilità della relazione con i debitori è in qualche modo forzata da fattori esterni. Gli istituti di credito non sono, infatti, completamente liberi nelle proprie decisioni riguardo a crediti non performanti, bensì “costretti” da regole di provenienza internazionale ed europea, che pongono la banca di fronte a una rigida alternativa: accantonare più patrimonio o, come più spesso accade, cedere il credito. In questo caso, che cosa succede? Entrano in gioco operatori specializzati che, in un’ottica di breve periodo, non hanno interesse a comprendere se il debitore ceduto sia in condizione di ripartire oppure no. Ciò che ne deriva è che, acquistati i crediti dalle banche, questi soggetti agiscono rapidamente attraverso procedure di esecuzione aggredendo i beni oggetto di garanzie. Che soluzione si potrebbe adottare per risolvere questa emergenza sociale? In questa cornice di regole, i margini di operatività delle banche sono limitati. Università Cattolica del Sacro Cuore
Perciò è necessario unire competenze diverse e confrontare vari punti di vista: per provare a formulare alcune proposte che vadano a modificare il quadro normativo esistente. Proprio in questa direzione ci stiamo muovendo come Università Cattolica, con l’elaborazione, insieme al Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, di un position paper che presenteremo alla Commissione e al Parlamento europeo. Una strategia in linea con le attività di Terza missione di una università che, nel suo statuto, all’articolo 1, si impegna ad «affrontare e risolvere, alla luce del messaggio cristiano e dei principi morali, i problemi della società e della cultura». Dopo i laboratori sulla bio-diversità economica e finanziaria, il prossimo passo è l’istituzione di un Osservatorio sul debito privato che promuoverà, attraverso analisi, ricerca e comunicazione, una buona gestione del debito. Un obiettivo che rientra pienamente nella Terza missione, il terzo pilastro dell’Università Cattolica insieme alla didattica (prima missione) e alla ricerca (seconda). Vogliamo mettere al servizio della comunità e della società le competenze del nostro Ateneo, indirizzando energie e attività anche verso l’esterno. Quali sono le sfide che ci attendono? La difficoltà maggiore è trovare soluzioni condivise su un tema così complesso e urgente. L’idea di un Osservatorio permanente, come è già accaduto peraltro per il Competence Center (di cui parliamo nella pagina seguente, ndr), r nasce con lo scopo di favorire il confronto tra portatori di interessi solo in apparenza contrapposti: il mondo dei creditori, il mondo dei debitori, l’Agenzia delle entrate, i magistrati e tutti gli attori dell’ecosistema del credito. Ciò in cui crediamo come Università Cattolica, in sintonia con la Chiesa ambrosiana e quella universale, è la necessità di superare la logica dell’interesse particolare. E di collaborare, soprattutto in un momento difficile come questo, per giungere a un adeguato bilanciamento di tutti gli interessi in gioco.
Il progetto di formazione
Educazione finanziaria nformare significa fornire gli strumenti necessari per comprendere la realtà. Ed è per questa ragione che, per arginare il fenomeno del sovraindebitamento, sono estremamente importanti l’educazione finanziaria e l’assistenza tempestiva ai debitori alle prime difficoltà. «In Italia, come dimostrano molte statistiche, il livello medio di educazione finanziaria è basso. La causa principale è l’assenza di una formazione adeguata soprattutto nelle scuole medie e superiori, i luoghi ideali per iniziare a porre le basi per scelte finanziarie consapevoli» spiega la professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore dell’Università Cattolica e docente di Diritto dell’economia alla facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. L’Ateneo, perseguendo l’obiettivo di una educazione finanziaria diffusa, collabora con diverse realtà a livello nazionale e a due livelli: da un lato promuovendo attività nelle scuole, dall’altro adottando un approccio più pragmatico. «Abbiamo accolto l’invito dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a partecipare a una rete capillare di supporto e sostegno» prosegue. «Grazie al sostegno di Caritas, Acli e parrocchie, vorremo provvedere alla formazione finanziaria di persone adulte, orientando verso la strada migliore chi mostra i primi segnali di difficoltà». Una direzione intrapresa seguendo le riflessioni contenute nelle Oeconomicae et pecuniariae quaestiones, che rappresentano il contributo della Chiesa al dialogo su questo tema. «Noi tutti siamo rimasti colpiti dalla visione lucida e innovativa che papa Franceso ha della dimensione economica e finanziaria» conclude la professoressa Sciarrone. «Anche nelle relazioni economiche e finanziarie non si può prescindere, mai, come ha sottolineato il Santo Padre, da una relazione di prossimità. E, soprattutto, da una visione dell’uomo completa e da un’etica che la sappia esprimere». [b.b.]
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E c’è anche un nuovo master per professionisti ornire una conoscenza approfondita, organica e multidisciplinare della disciplina della gestione della crisi di tutti i soggetti privati dell’ordinamento. È uno dei punti di forza del nuovo master Crisi Insolvenza Sovraindebitamento (CrIS), promosso dalla facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell’Università Cattolica. «L’idea di promuovere un percorso formativo di questo tipo nasce assai prima della pandemia, in seguito all’introduzione del Codice della crisi, che ridisegna la normativa relativa a procedure concorsuali e quindi anche al sovraindebitamento» spiega Pierluigi Benigno, docente di Analisi e gestione finanziaria e direttore del master. «La situazione che stiamo vivendo rende questo tema ancora più attuale sul piano sostanziale dovendo verificare se gli strumenti oggi ancora in vigore e quelli introdotti o innovati dal nuovo Codice siano poi idonei ad affrontare la crisi come adesso si sta prospettando». Al percorso formativo – che si avvale del Patrocinio sia dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Milano sia di quello degli Avvocati della città ambrosiana – partecipano laureati e professionisti della materia, sostenuti anche da borse di studio erogate dai partner sostenitori. Il master è articolato in dieci moduli ma c’è anche la possibilità di partecipare a un singolo modulo per chi vuole acquisire competenze su specifiche tematiche prese in esame nel programma di studio. «Vogliamo formare professionisti che possano assistere aziende, famiglie, organi delle procedure, funzioni delle banche che, a vario titolo, si occupano di ristrutturazione del debito, come pure gestori dei titoli di crediti non performing» afferma il professor Gianluca Mucciarone, co-direttore del master, che in Cattolica insegna Diritto bancario e dei mercati. Per questo oltre ai docenti dell’Ateneo, nella faculty sono state coinvolte professionalità di varia natura e di spicco nella ristrutturazione delle crisi e molti magistrati del Tribunale di Milano. [k.b.]
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Sovraindebitamento, la proposta Unicatt ora è legge ontrastare il sovraindebitamento delle famiglie, monitorando l’evoluzione del fenomeno ed elaborando proposte efficaci per aiutare coloro che sono in difficoltà. È l’obiettivo del Competence Center sul sovraindebitamento, un tavolo di lavoro attivato dal Centro di ricerca su Tecnologie, innovazione e servizi finanziari (Cetif), in collaborazione con Caritas ambrosiana e Fondazione San Bernardino, nato su impulso dell’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini. In Italia ci sono quasi 1,8 milioni di famiglie con debiti eccessivi, che non riescono più a pagare i debiti e rischiano di finire in procedure esecutive, che spesso significa perdere la prima casa. La situazione, già grave, si teme possa diventare drammatica una volta che andranno a scadenza le moratorie sui prestiti, oggi superiori a 300 miliardi di euro. «Il gruppo di lavoro, composto da tecnici ed esperti del settore dei debiti privati, attivo ormai da quasi due anni, ha già raggiunto risultati importanti» spiega la professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi, docente di Diritto dell’Economia alla facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. «Uno tra questi è essere riusciti a sostenere
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l’introduzione anticipata, nel nostro ordinamento, di alcune delle innovative soluzioni contenute nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in materia di sovraindebitamento». Esistono già, infatti, norme che consentono di ridurre la mole di debiti, anche perché le difficoltà di applicazione le hanno rese poco utilizzate. Il Decreto ristori, uno degli ultimi del governo Conte II, convertito con modifiche in legge, ha introdotto nuove regole per agevolare queste transazioni con i creditori e far tornare così «bancabili» centinaia di migliaia di persone. Anche le attività del Competence Center rientreranno nell’ambito del nuovo Osservatorio di Ateneo sul debito privato, che intende porsi come contesto permanente di riferimento sul tema. «L’Osservatorio si occuperà del fenomeno del debito privato a tutto campo: non solo consumatori, famiglie e debitori non fallibili, ma anche piccole e medie imprese» spiega il prorettore. «L’orizzonte sarà non solo nazionale ma anche europeo e uno dei primi obiettivi sarà l’elaborazione di una proposta di riforma delle regole dell’Ue che riguardano i crediti deteriorati». [b.b.]
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7-10 LUGLIO 2021 ANNO ACCADEMICO 2021/2022
Le prove di concorso si svolgeranno completamente
on l in e A FAVORE DI STUDENTI CHE SI IMMATRICOLANO IN UNIVERSITÀ CATTOLICA
60 40 BORSE PER DIPLOMANDI O DIPLOMATI
BORSE PER LAUREANDI O LAUREATI DI I LIVELLO E PER ISCRIVENDI AL IV ANNO
TERMINE DELLE ISCRIZIONI
MERCOLEDÌ 30 GIUGNO 2021 ORE 12.00
PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: WWW.BORSEPERMERITOUC.IT Con la collaborazione di:
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Mattia Ferraresi, fino a ieri nei chiostri, oggi a Domani di Luca Aprea
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Il caporedattore del nuovo quotidiano di De Benedetti: «In Cattolica ho incontrato e prime esperienze nel mondo del una comunità di persone con la voglia, l’ambizione e la capacità di pensare e capire»
giornalismo, gli anni negli Stati Uniti, poi i libri e adesso un ruolo di primo piano in una nuova testata, Domani, di cui è caporedattore. Mattia Ferraresi, nonostante la giovane età, è una delle firme più autorevoli del panorama nazionale. Partito dal Foglio, si è poi affermato collaborando con numerose riviste (Panorama, Rolling Stone) e come corrispondente dagli Usa per il giornale fondato da Giuliano Ferrara. Un osservatorio privilegiato sulla politica americana e sul giornalismo a stelle e strisce, un modello da cui c’è ancora molto da imparare. Una strada ancora lunga ma già ricca di soddisfazioni, che è partita dall’Università Cattolica. La laurea in Filosofia e gli anni vissuti nei chiostri di largo Gemelli sono il terreno fecondo non solo di un percorso professionale ma anche per la sensibilità a temi particolari, come dimostra l’ultimo libro del giornalista dedicato al tema della solitudine. «Per me è stata un’esperienza bellissima» racconta. «Ho un grandissimo ricordo degli anni dell’università, dove ho incontrato persone che mi hanno permesso di imparare e di assorbire quello che significa pensare. La Cattolica mi ha consentito di mettermi in gioco all’interno di una comunità che aveva la voglia, l’ambizione, il talento e la capacità per pensare, per capire, per trasmettere che cosa vuol dire articolare un pensiero e guardare la realtà con alcune categorie fondamentali per intrepretare meglio tutto. Mi è rimasta dentro questo grande concetto di apertura. Ho il ricordo di un luogo che fornisce strumenti fondamentali per aprirsi e cercare di interpretare la realtà». Che cosa ha studiato in Cattolica? «Mi sono laureato nella triennale di Filosofia, mentre la magistrale, nella stessa
disciplina, l’ho interrotta a metà. Mi mancavano nove esami ma nel frattempo ero stato ammesso alla Scuola di Giornalismo Ifg e i due impegni non erano compatibili. La laurea l’ho conseguita con il professor Paolo Gomarasca, a quel tempo assistente del professor Botturi, che aveva catturato la testa e il cuore di noi studenti. Ma non è stato semplicemente il frutto di un incontro fortunato bensì l’espressione del clima vissuto in università. Anche grazie a lui ho iniziato ad appassionarmi a quell’ambientazione americana che poi tanta importanza ha ricoperto nel corso della mia vita. La tesi era sul filosofo canadese Charles Taylor e sulla sua idea di comunità, un lavoro di cui sono tuttora orgoglioso perché ha rappresentato una sintesi del mio percorso in Cattolica». Da settembre lei è caporedattore di Domani. Come è stato coinvolto in questa avventura? «Tutto nasce dall’amicizia e dalla stima reciproca che ho con il direttore Stefano Feltri. Ci siamo re-incontrati negli Usa a Boston. Entrambi stavamo vivendo esperienze accademiche negli Stati Uniti: io seguivo una fellowship con la Nieman Foundation for Journalism di Harvard, lui alla University of Chicago – Booth School of Business. Ci accomuna, oltre alla stima reciproca, lo stesso modo di intendere il giornalismo – in questo sicuramente hanno inciso le nostre esperienze “americane” – oltre a una storia comune: siamo stati compagni di stage ai tempi del Foglio». Che tipo di giornale state cercando di realizzare? «Gli standard giornalistici dei grandi giornali americani, con il loro modo di
lavorare, il loro rapporto con le fonti e un certo tipo di linguaggio, sono sicuramente un modello di riferimento. Domani vorrebbe assorbire queste caratteristiche, tuttavia, pur traendone ispirazione, non è nostra intenzione riproporlo ma elevarci da certe consuetudini tipiche del nostro giornalismo. Cerchiamo di costruire un luogo di approfondimento per persone che hanno voglia di pensare. È un giornale che sceglie e che ha una gerarchia molto chiara e molto “nostra”, con notizie che riteniamo rilevanti e che vogliamo valorizzare. A partire dalla prima pagina... Infatti, presenta due soli articoli: uno portante e uno di commento e, dunque, non è la sintesi di quello che c’è dentro. Abbiamo scelto di non dividerlo in settori “classici” come la politica interna, gli esteri o gli spettacoli ma per temi, come per esempio l’ambiente o le diseguaglianze. Valori che per noi sono irrinunciabili e che riteniamo prioritari e di cui ci vogliamo occupare in modo sistematico e non occasionale, perché pensiamo che siano centrali per il nostro tempo. L’ambiente, per esempio, non importa che sia vicino o lontano da noi perché è un tema globale per eccellenza e sarebbe provinciale considerare quello che succede a Roma più importante di quello che accade a Bali. Sappiamo che non è così e vogliamo farlo capire anche ai nostri lettori. Fondare un giornale cartaceo, in questo periodo, è decisamente controtendenza. Perché questa scelta? Ci definiamo un giornale digitale che è anche sulla carta. Pur consapevoli delle differenze non facciamo distinzioUniversità Cattolica del Sacro Cuore
ni. Non abbiamo una divisione, nella redazione, tra carta e online: fa tutto parte di un unico fl usso di produzione. Seguiamo la strada indicata dai grandi giornali americani: cosa va sulla carta rispetto al web, semplicemente, non è un tema. La priorità è produrre contenuti giornalistici di valore. Non siamo ossessionati dalle due velocità, ne abbiamo una sola. Quindi la carta conta ancora? «Ci sono tante piattaforme e tanti modi per distribuire contenuti, possono variare a seconda del pubblico di riferimento, delle circostanze e delle abitudini di consumo. Crediamo che avere una presenza in edicola possa essere un modo efficace per raggiungere un certo tipo di pubblico. Non pensiamo che la carta sia necessariamente morta ma che abbia ancora un suo spazio: non è più
quello che aveva in passato ma resta comunque un supporto non in confl itto con gli altri. Nel suo ultimo libro si è occupato del tema della solitudine nell’accezione più alta del termine. È il grande male della nostra società? «La solitudine e l’isolamento dell’individuo secondo me non è un tema ma il grande tema, dato che coinvolge tutti. Il ritorno del populismo, la diff usione degli oppiacei, l’incidenza enorme di alcune malattie mentali e patologie di vario tipo sono riconducibili a questa condizione. La storia di tutte le storie per descrivere la contemporaneità. A partire da questa osservazione l’individuo senza legami è sempre più protagonista della nostra società e questo sta diventando una grande fonte di preoccupazione da parte di tutti, anche dei governi.
Che cosa ci dobbiamo aspettare? Nel libro ho provato a entrare dentro questa rappresentazione, approfondendo e cercandone di capire l’origine. La mia analisi interpretativa è nel solco della revisione dell’intera storia della modernità. L’individuo autosufficiente, o presunto tale, negli ultimi due-tre secoli diventa l’intero dominatore della Storia. Questo configura un paradosso: come se la modernità fosse stata una grande corsa verso la liberazione dai legami, di qualunque tipo: gerarchici, autoritari ma anche familiari o economici. Quello che si configurava come un lungo percorso di liberazione, in maniera drammatica e dolorosa, sta producendo persone infelici. Una prigione non imposta, senza secondini. L’esclusione del legame, una scelta volontaria e arbitraria, come condizione di vita».
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Il biscotto con i superpoteri sfamerà i bambini del Burundi. E non solo loro di Sabrina Cliti
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uando hanno sentito del progetto umanitario a lezione, Davide e Gaia hanno alzato subito la mano. Lui impegnato nel volontariato in Caritas, lei attiva nei Centri sociali per anziani, sono entrambi studenti della professoressa Giorgia Spigno nel corso di laurea magistrale in Scienze e tecnologie alimentari della sede di Piacenza dell’Università Cattolica. È iniziata così la loro avventura per realizzare un biscotto speciale per i bambini del Burundi, insieme con André Ndereyimana, ricercatore nell’ambito del progetto C3S, produzione di cibo appropriato: sufficiente, sicuro, sostenibile. André è il PhD Agrisystem che cinque anni fa ha dato vita nel suo Paese d’origine alla startup Buslin (Burundi Smallholders Livestock Network) per la lotta alla malnutrizione, un’impresa che fa microcredito
Gaia Alessi e Davide Reggi, con il ricercatore burundese André Ndereyimana, hanno realizzato un alimento “fonte di proteine” che possa placare la fame dell’Africa fornendo attrezzature e animali (anziché soldi) ai piccoli coltivatori. «Ci ha subito aiutati facendoci calare nella realtà di quei bambini» raccontano Davide Reggi e Gaia Alessi. Per loro quel prodotto alimentare che dovesse utilizzare materie prime semplici e facilmente reperibili in Burundi è diventata una sfida e l’oggetto stesso della loro tesi di laurea in Ricerca e sviluppo, che si è svolta nel dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari (Distas) di Piacenza. «Una possibilità che non capita a tutti: fare qualcosa di creativo, grazie alle conoscenze acquisite in aula, ma anche alle skill di problem solvingg maturate in cinque anni di università» racconta Davide. «La nostra prof non ci ha indicato una strada stretta e diritta da seguire, ma tanti spunti diversi e la libertà di rielaborarli secon-
do le nostre idee, andando per tentativi. Una libertà formante, sia per il nostro futuro, ma anche per il nostro presente qui in università». Più di un anno di analisi, produzione e selezione dei prototipi all’interno del Distas. Lavoro sui libri e sul campo, allacciando anche rapporti con negozi etnici «perché sapevamo di poter trovare solo lì certe materie prime che vengono prodotte in Africa. È stata una caccia al tesoro molta istruttiva e umanamente ricca» spiegano i due ragazzi. Sono seguiti mesi di studi ed esperimenti in laboratorio: «Si trattava di vagliare gli ingredienti più proteici e di equilibrarli nel dosaggio necessario a integrare la dieta di questi bambini, che è carente di lipidi e proteine, indispensabili nei primi cinque anni di vita per lo sviluppo cognitivo. Ne ab-
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biamo individuati una decina e testato tredici ricette possibili». Dalle 13 ricette sono arrivati a sceglierne tre che, oltre a essere di piacevole gusto e struttura, raggiungevano l’obiettivo prefissato: avere 12% di kcal fornite da proteine, valore necessario per poter definire un alimento “fonte di proteine”. Arrivati a tre ricette si sono messi ai fornelli, trasferendosi per le prove sperimentali nella sede cremonese della Cattolica, che è dotata di impastatrici e forni professionali. Anche qui, alla parte tecnica, si è unita l’esperienza umana del coinvolgimento di bambini del posto che si sono prestati a fare da assaggiatori e giudici per la fase di analisi sensoriale. «L’hanno fatto volentieri perché sapevano a chi sono destinati i biscotti. E a noi si è aperto un mondo che ci fa amare ancora di più la professione di tecnologi alimentari» affermano entusiasti. I tre frollini finali hanno tutti gli stessi ingredienti, ma in diversa proporzione. Niente burro né latte, «solo materie prime reperibili nel territorio in cui verranno consumati (come farina di frumento, sorgo, riso, patata dolce, farina di arachide e uova come fonte di proteine nobili), per mantenere il costo del biscotto basso e per poter dare un contributo all’economia e all’agricoltura del territorio» precisa Gaia. Ora André è tornato nel proprio Paese per seguire i passaggi, anche con il coinvolgimento di organizzazioni umanitarie, affinché il biscotto arrivi il prima
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possibile ai bambini. «Ci vorranno forse un paio di anni per attivare la produzione con attrezzature artigianali e trovare gestori e investitori» spiega il ricercatore. «Speriamo in aziende italiane che con il ramo di responsabilità sociale di impresa potrebbero essere interessate finanziando un impianto pilota in Italia o sostenendo uno sviluppo locale». Qualcuno si è già fatto avanti tramite social dove i due neolaureati, da poco
I progetti nel Sud del mondo per lo sviluppo integrale delle zone rurali COOPERAZIONE
Università Cattolica del Sacro Cuore ha un’intensa attività di cooperazione internazionale che viene coordinata principalmente attraverso il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (Cesi) (https://centridiateneo.unicatt.it), t che mette insieme l’ingente patrimonio di saperi e competenze coltivato tra le facoltà e i dipartimenti. In modo più specifico, Scienze Agrarie, alimentari e ambientali nella sede di Piacenza e Cremona si è dotata di un organismo, la Consulta per le relazioni con i Paesi in via di sviluppo (Cr-Pvs) per seguire le attività di sviluppo integrale nelle zone rurali. Intervenire in campo agro-alimentare, infatti, è apparentemente più semplice, ma in realtà esige più coordinamento, interdisciplinarità e tempo. E, soprattutto, il fattivo coinvolgimento della popolazione locale. I progetti più recenti e rappresentativi portati avanti dalla Consulta sono localizzati in Meghalaya (Nord-Est India), in Lomami (Repubblica Democratica del Congo), in Karamoja (Uganda), in Guraghe (Ethiopia), in Mafuiane (Mozambico), in Naivasha (Kenia) e in Arusha (Tanzania). Sono coinvolti tutti i dipartimenti legati alla facoltà, realizzando quella interdisciplinarità che deve caratterizzare gli interventi in campo rurale. Per info vincenzo.tabaglio@unicatt.it.
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assunti nel team C3S come collaboratori scientifici, hanno postato il progetto. E settemila visualizzazioni solo su Linkedin sono la prima risposta. Nel futuro dei due giovani ricercatori, ancora ricerche sul doppio binario alimentare-umanitario con verifiche sul posto, in particolare in Congo e in India, Paesi in cui operano centri pilota della Cattolica, che hanno già sfornato farine proteiche chiamate, come spiega il professor Ndereyimana «santè, cioè salute, perché capaci di assicurare un forte apporto energetico a soggetti usciti da dure esperienze di malattia». Questo “biscotto da 110 e lode” non è altro che l’anello che chiude il circolo virtuoso tra formazione universitaria di alto livello, ricerca scientifica di primissimo piano, cooperazione internazionale allo sviluppo, impegno per la solidarietà e la giustizia, terza missione a servizio della società. Ma è anche un esempio concreto di come dare gambe a una parola che costituisce la cifra di questo cambiamento d’epoca, e cioè la “sostenibilità”. Che altro non è se non il modo per prenderci cura, tutti insieme, della nostra “casa comune”.
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Fundraiser più che cassiera La donna che fece la storia di Ernesto Preziosi *
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on la beatificazione di Armida Barelli, la Chiesa ci indica una donna che merita di essere senz’altro annoverata tra le figure femminili più importanti del ’900 italiano. Il suo impegno si è espresso con originalità e con scelte coraggiose in molteplici opere: dall’associazionismo femminile alla formazione e alla maturazione del laicato, dal contributo alla fondazione e alla vita dell’Ateneo dei cattolici italianii a un decisivo impegno civico nella prim ma stagione del ritorno alla democrazia ddel nostro Paese. Nasce a Milano il 1° dicembree 1882 da Napoleone e Savina Candiani, secondogenita di sei figli. Dal 1895 al 1900 frequenta un prestigioso collegio svizzero, a Menzingen, dove compleeta la sua formazione con lo studio delle lingue. Nel collegio, retto da suore s francescane, inizia il suo itineerario spirituale, apprendendo la devo ozione al Sacro Cuore e la spiritualità frrancescana, che avrebbe approfondito negli n ann n i seguenti. Decisivo è l’incontro, nel 19100, con padre Agostino Gemelli, con cui inizia a collaborare nell’attività editoriaale con traduzioni per la “Rivista di filosofia neoscolastica”, fondata dal fran ncescano nell’anno precedente. Entra poi in contatto con l’ambiente del Movvimento sociale cattolico, conosce Giu useppe Toniolo e partecipa agli svilupppi delle attività promosse da Gemelli: quelle rivolte all’assistenza, come l’Oppera impiegate (1912), e quelle culturali, come la rivista «Vita e Pensiero» (19114) e l’omonima casa editrice (1918), dii cui sarà la prima amministratrice. Un’associazione di giovani donne La svolta decisa avviene negli anni a della Prima guerra mondiale. Nel 19918, dopo
Con la beatificazione di Armida Barelli, la Chiesa ci indica una persona che merita di essere senz’altro annoverata tra le figure femminili più importanti del ‘900 italiano aver partecipato alla grande Opera della Consacrazione dei soldati al Sacro Cuore, è chiamata a organizzare le giovani donne della diocesi ambrosiana e quindi dell’intera penisola. Nasce così la Gioventù Femminile (Gf ). In un periodo in cui la secolarizzazione incalza e il panorama sociale cambia, anche sotto la spinta dell’aumento
del lavoro e delle attività femminili, la Barelli comincia un percorso che la porta a mobilitare migliaia di ragazze. Grazie anche alle collaborazioni che le vengono dall’ambiente della nascente Università Cattolica, dà loro una solida formazione umana e cristiana, che le rende consapevoli della loro ddignità, senza per questo percorrere la sttrada del femminismo “laico” allora in via di diffusione. Promuove, invecee, in loro, attraverso la formazzione delle coscienze, una so oggettività inedita, un protag aggonismo, che le mette in grrado di misurarsi con il “seccolo delle masse”. Ai ffondamenti della sua azion ne sta un intenso cammiino sspirituale che culmina già nel 19909 nella scelta della “verginità e appostolato nel mondo”. L’anno segguente, dopo l’incontro con Agostino o Gemellli, l’intuizione viene conferrmata: in naugura, così, insieme al fondatoree della Cattolica, una n ova form nu ma di consacrazione nel monddo, un sodalizio di donne laiche votate interamente all’aposto olato e alla presenza nella società (1919). Nel 1929, con Gemelli, dà vita all’Opera della Regalità che si dedica a sostenerre e a incrementare la partecipazion ne popolare alla liturgia, anche attraaverso la traduzione in lingua italiana ddei testi delle celebrazioni eucaristich he, anticipando così la riforma del Conccilio su questo tema. dell’Università Cattolica Alle origini dell’Un Notevole è il contrributo dato da Armida Barelli alla progetttazione e alla fondazione dell’Universiità Cattolica del Sacro Università Cattolica del Sacro Cuore
Cuore, per cui collabora strettamente con padre Gemelli, monsignor Francesco Olgiati, Vico Necchi e il conte Ernesto Lombardo, fin dalla fase dell’ideazione e della costituzione del Comitato promotore. Mette a disposizione del nuovo Ateneo, che verrà inaugurato il 7 dicembre 1921, le sue grandi capacità organizzative e un’intensa attività di quello che oggi chiameremmo fundraising, sostenuta dall’Associazione degli Amici dell’Università Cattolica. Nel 1923 promuoverà inoltre la Giornata Universitaria in tutte le parrocchie d’Italia, un’iniziativa che sarà istituita formalmente nell’anno seguente. Armida non si sente un’intellettuale e all’inizio fatica a partecipare al progetto di Gemelli: la convince la visione francescana del futuro rettore, da lui proposta in seguito nel capitolo “intelligenza e sapere” del suo volume sul francescanesimo. In questa luce si comprende meglio quello che sarà il percorso di un’idea, la maturazione del progetto, così come si può cogliere il punto d’incontro con Armida Barelli: non la scienza o la cultura, in primo luogo, ma la diffusione dell’amore di Cristo. Scriverà Gemelli alla Barelli nel 1919: «Per l’Università non più la fisima della scienza per la scienza o della cultura per la cultura, ma tutto, per la religione».
Gemelli, a sua volta, citerà san Bonaventura: «Studiate, ma per vivere santamente. Traducete la scienza in virtù e il dissidio fra scienza e fede sparirà». L’apporto dato dalla Barelli alla nascita dell’Università Cattolica, di cui è “cassiera”, ma in realtà fundraiser, comincia già nel 1920, quando invia alle presidenti di tutti i circoli della Gf un opuscolo illustrativo e la scheda per la raccolta dei fondi per sostenerne la nascita. Occorre un edificio come sede e Armida si attiva: «Dovetti faticare due anni per raccogliere la misera somma di 50mila lire, che più tardi ci permise di dare la caparra per l’acquisto della sede. Quanti rifiuti, quante umiliazioni! Quante volte mi sentii dire: “Soldi sprecati... Se non c’è una forte somma iniziale, milioni e milioni, inutile darvi piccole offerte”». Ma il contributo dato alla nascita dell’Ateneo non è solo economico. Alla Barelli riuscirà, negli anni, un’operazione inedita: costituire, intorno all’Università, una rete capillare di persone che amano l’Ateneo del Sacro Cuore, non sempre intellettuali e spesso neppure di media istruzione. Gli amici seguono, passo passo, la crescita e gli sviluppi dell’Ateneo – puntualmente comunicati nella «Rivista degli Amici» con tanto di cronaca fotografica delle
nuove strutture – e orientano giovani motivati da tutte le regioni. La biografia di Armida attraversa la prima metà del ’900, lasciando una traccia significativa in più generazioni di donne e nella stessa Università Cattolica, dove continua a svolgere il suo ruolo contribuendo ad alcune pagine rilevanti della sua storia: dalla costruzione del collegio Marianum (1936) alla ricostruzione della sede di largo Gemelli, dopo i danni dei bombardamenti dell’agosto 1943. Quando nel 1946 lascia la presidenza della Gf, Pio XII la nomina vicepresidente generale dell’Azione Cattolica e organizza in tutta la Penisola le “Missioni Sociali”, coordinate con Giuseppe Lazzati ed Emilio Colombo, per dare una coscienza politica alle donne che per la prima volta parteciperanno al voto, un diritto per cui si era battuta fin dal 1922. Tante sono le donne provenienti dalla Gf elette nelle nuove amministrazioni e in Parlamento. Scrive nel ’48, con legittima soddisfazione, che la Cattolica «ha contribuito alla ricostruzione dell’Italia anche con l’opera di due ministri e 25 deputati alla Costituente». Nel 1949 avverte i sintomi della malattia che si aggraverà rapidamente. Muore a Marzio il 15 agosto 1952. * vicepostulatore della Causa di beatificazione di Armida Barelli
Vita, morte e miracoli VERSO LA BEATIFICAZIONE
rmida Barelli nasce a Milano il 1° dicembre 1882, completa gli studi nell’Istituto delle suore della Santa Croce di Menzingen, nella Svizzera tedesca, dove rimane tra il 1895 e il 1900. Nel 1910 incontra padre Agostino Gemelli, con cui stabilisce un legame destinato ad approfondirsi negli anni. Nel corso della Prima guerra mondiale è la segretaria del Comitato per la Consacrazione dei soldati al Sacro Cuore di Gesù, di cui lo stesso Gemelli è presidente. Dopo la guerra, con Gemelli, dà vita ad una forma di consacrazione nel mondo, secondo la spiritualità francescana che diverrà nel tempo l’Istituto delle Missionarie della Regalità di Cristo. Vicepresidente per l’azione sociale nel comitato milanese delle Donne cattoliche, su incarico del cardinale Andrea Carlo Ferrari avvia, nel 1918, con l’aiuto di validi sacerdoti, la Gioventù Cattolica Femminile (Gf). Nello stesso anno è nominata da Benedetto XV vicepresidente dell’Unione
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donne cattoliche e riceve l’incarico di estendere l’associazione giovanile in ambito nazionale, nasce così quella che sarà la Gioventù femminile di Azione cattolica. La «sorella maggiore», come viene chiamata, collabora attivamente anche alla fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (1921) che lei vuole dedicata al Sacro Cuore. A favore dell’Ateneo svolge per lunghi anni il ruolo di «cassiera», dando vita anche all’Associazione degli Amici dell’Università Cattolica e animando la Giornata Universitaria. Nel 1929 promuove, unitamente a padre Gemelli, l’Opera della Regalità, per avvicinare i credenti alla vita liturgica. Nel 1946 lascia la presidenza della Gf e assume, su indicazione di Pio XII, la vicepresidenza generale dell’Azione Cattolica, incarico che mantiene per un triennio curando in maniera particolare la formazione sociale e civica e sensibilizzando le donne al voto nelle elezioni amministrative e per la Costituente. Nel
1949 si manifesta una grave malattia, morirà a Marzio il 15 agosto 1952. Il 1° giugno 2007 è dichiarata Venerabile; nel febbraio 2021, con il riconoscimento del miracolo, si apre la strada della beatificazione. Il miracolo è avvenuto a Prato. Una signora di 65 anni, che nel maggio 1989 aveva subito, in un incidente stradale, una forte commozione cerebrale con gravi conseguenze di tipo neurologico, grazie alla preghiera della famiglia che si era rivolta all’intercessione della serva di Dio Armida Barelli, ottiene la guarigione, in modo scientificamente inspiegabile.
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I giovani chiedono di curare l’anima di un’America uscita dal reality show di Martina Vodola
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n disperato bisogno di trovare rimedio alle divisioni che hanno segnato dolorosamente la storia recente degli Stati Uniti. Lo leggo negli occhi pensierosi dei ragazzi dell’America profonda, con cui mesi fa ho condiviso idee e progetti, ammirando e provando a imparare da loro l’ottimismo e la fiducia nel futuro tipici del “sogno americano”, che sembrava reggere anche in uno dei momenti più tesi e controversi della loro storia. Sono le parole che Alexa, Kristen, Charles, Thomas, Walter e Jack hanno condiviso con me e che ho raccolto, nella loro lingua, su ePeople, la rivista online di EDUCatt. Li avevo incontrati un anno fa alla University of Mary Washington (Virginia), quando gli eventi che avrebbero scosso profondamente l’America, culminati con l’assalto a Capitol Hill, erano ancora lontani. Siamo nella provincia americana, a Fredericksburg, un paesino a un’ora da Washington DC, famoso per il ruolo che ha avuto durante la Guerra Civile. Percorre la graziosa cittadina il fiume Potomac, nel XIX secolo teatro di sanguinose battaglie tra forze confederate e dell’unione, di cui ancora oggi un enorme cimitero conserva memoria, insieme a qualche nostalgica bandiera a “stelle e barre”, che sventola ostinata da alcune abitazioni e dai loro portici in stile coloniale. Appena a poche miglia dalla capitale del Paese democratico più potente del mondo e dai suoi maestosi edifici bianchi, ci sono vaste distese di abeti, villette con giardino e pick-up parcheggiati davanti ai garage, immensi centri commerciali che diffondono odore di cibo a ogni ora del giorno e della notte e l’università che mi ha ospitato lo scorso anno. «Healing the Soul of America» Era uno dei punti chiave del programma elettorale del Partito democratico: “curare”, far “cicatrizzare” l’anima dell’America. La presidenza Trump ha fatto esplodere
Le ferite dell’era Trump sono ancora aperte e non è certo che Biden trovi l’unità di un Paese lacerato. Ma la “meglio gioventù” Usa non mancherà di fare la sua parte le fratture che percorrono da anni gli Stati Uniti e la fragilità, che ha mostrato una democrazia con 244 anni di storia, ha reso evidente quanto sia necessario che gli Stati Uniti ritrovino la loro unità nazionale: «Spero che Biden possa unirci tutti, non sono certo che questo accada, ma continuo a sperarlo» mi ha scritto Charles, un ragazzo che si è appena laureato alla Mary Washington e che ora lavora come venditore nel campo dell’intelligenza artificiale. Anche pensieri più critici nei confronti di Biden, come quello di Walter, un programmatore di 24 anni, mostrano lo stesso desiderio di riconciliazione: «Per ora il nuovo presidente ha usato nei suoi discorsi pubblici parole di unità. Mi auguro che anche le sue azioni future, insieme a quelle della sua amministrazione, siano coerenti con le sue parole e non si dimostrino ostili alle persone che la pensano diversamente. Spero in un governo moderato, capace di riportare unità nel Paese». La percezione è infatti quella che i toni usati negli ultimi tempi siano stati nocivi per tutti gli americani, indipendentemente dalla loro posizione politica, come mi ha raccontato Alexa, una ventiquattrenne studentessa di psicologia forense: «Spero che la nuova amministrazione ripari i danni del mandato di Trump e tolga legittimità ai politici che ne sostengono i messaggi. Nono-
stante abbia qualche riserva nei confronti sia di Biden che della Harris, riconosco che riporteranno quella serietà di cui abbiamo tanto bisogno per restituire un po’ di pace a questo Paese profondamente scosso». Bisogno di cambiamento, non solo nei contenuti, ma anche nelle modalità con cui viene condotto il dibattito pubblico: «Speriamo che con Biden finisca il clima da reality show e venga usato meno Twitter» (Kristen, digital marketer di 24 anni). Tuttavia, come mi ha più volte sottolineato Charles anche quando ci preparavamo in università il nostro caffè della domenica pomeriggio con una moka di fortuna: «Questi problemi esistevano prima di Trump e continueranno a esistere dopo di lui. Dobbiamo affrontarli ma ho paura che troppa gente penserà: “Trump ha lasciato e tutto il male se ne è andato via con lui!”. Quando in realtà i problemi che riguardano la sfiducia nelle nostre istituzioni, nei media, nel governo e nell’economia, insieme alla diffusione della violenza politica, continueranno ad aumentare, a meno che le istituzioni ed entrambi i partiti politici tornino insieme e lavorino per dimostrare di avere a cuore gli interessi dei cittadini». Pensare al futuro facendo fronte alle sfide presenti Chiuso il capitolo del secondo processo di impeachmentt nei confronti di Donald
Con gli Stati Uniti nel cuore artina Vodola ha 27 anni e ha studiato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si è laureata nel 2015 in Lettere moderne e ha conseguito nel 2018 la laurea magistrale in Filologia con una tesi in Editoria libraria e multimediale su Sebastiano Vassalli. Nel 2019 ha accettato il ruolo di assistente alla cattedra di Lingua italiana alla University of Mary Washington di Fredericksburg, una piccola città della Virginia a poche miglia da Washington DC. Durante l’esperienza americana ha avuto modo di approfondire le sue ricerche, dando così respiro internazionale ai propri studi. Lo scorso autunno ha iniziato un dottorato di ricerca in Scienze della persona e della formazione sempre nella sede di Milano dell’Università Cattolica, con un progetto sulla Letteratura elettronica. Collabora con lo studio editoriale e l’ufficio stampa di EDUCatt e con il Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica del professor Roberto Cicala.
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Trump, che ha – almeno simbolicamente – messo fine a un’escalationn di tensioni iniziata lo scorso novembre, è iniziato per gli Stati Uniti un momento di ricostruzione che deve fare i conti con la crisi sociale ma anche con la pandemia e le crisi economica e climatica. Thomas, 22enne studente di geografia alla University of Mary Washington, spiega quali siano le speranze nei confronti del nuovo presidente degli Stati Uniti: «Speriamo che Biden sia capace di gestire la pandemia. Ha già ordinato milioni di vaccini usando i soldi federali. Molti Stati non hanno fatto tuttavia un buon lavoro nella distribuzione delle dosi: l’avere normative diverse ha portato a una distribuzione disomogenea. Biden ha dichiarato di voler vaccinare 100 milioni di persone entro i suoi primi 100 giorni di mandato, che significa un milione di americani al giorno». Thomas guarda già oltre la pandemia. «Quando la crisi legata al Covid-19 migliorerà, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare il resto del mondo a ricevere le dosi necessarie per sostenere l’economia globale. Dovremmo fare la nostra parte nel salvataggio di molte imprese che sono state pesantemente colpite dal virus. Come è successo nel 2009 con le grandi banche, il governo americano potrebbe dover intervenire per salvare imprese vicine alla bancarotta». Thomas ha le idee chiare anche su una sfida globale. «Il mio Paese deve investire nella green energyy in modo che gli Stati Uniti siano in grado di guidare una transizione verso un’energia più sostenibile. Ma, prima di poter avere il diritto di dire cosa fare agli altri Paesi, dobbiamo fare la nostra parte negli Accordi di Parigi. Spero che l’amministrazione Biden lavorerà bene, darà prova che i democratici sono efficienti al governo. Per ora il presidente è concentrato nella lotta alla pandemia con la distribuzione dei vaccini, ma ha già riportato il nostro Paese all’interno degli accordi sul clima di Parigi e avviato un’azione di tutela delle terre di giurisdizione federale usate per estrarre petrolio». Le ferite dell’era Trump sono ancora aperte ed è troppo presto per capire se la presidenza di Joe Biden sarà in grado di trovare la tanto agognata unità per un Paese lacerato. Ma l’America dei giovani non mancherà di fare la sua parte.
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La cassetta degli attrezzi degli psicologi anti Covid di Francesca Canto
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i fronte alla più grave crisi pandemica del nostro tempo, ognuno è chiamato a fare la propria parte. Gli psicologi dell’Università Cattolica hanno affrontato questa sfida con gli strumenti a loro disposizione, che sono quelli della ricerca e dello studio, producendo in poco tempo più di 70 progetti sul tema della pandemia. «I ricercatori del dipartimento di Psicologia hanno colto subito una situazione caratterizzata da grande complessità e da enorme rischio psicologico correlato» afferma il direttore Antonella Marchetti (qui sotto), docente di Psicologia dello Sviluppo e Psicologia dell’Educazione. «E ognuno ha fatto ricorso alla “cassetta degli attrezzi” teorica e metodologica della propria disciplina». Le ricerche hanno preso in considerazione la salute e il benessere, le organizzazioni, gli individui, le famiglie e i gruppi, la scuola e le relative fasi di vita dei ragazzi. Lo scopo di questi studi è stato quello di valutare l’impatto, a livello personale e sociale, delle trasformazioni, dei cambiamenti e delle restrizioni che tutti abbiamo dovuto fronteggiare. Un contributo che cade non a caso nell’anno del centenario dell’Università Cattolica, che fu fondata da padre Agostino Gemelli, uno dei pionieri della ricerca psicologica in Italia. «I nostri studi dimostrano che lo spirito del fondatore e la sua curiosità scientifica nei confronti di tutti gli aspetti psicologici della persona è vivo e ben rappresentato nelle varie anime della psicologia dell’Ateneo, anche a cento anni di distanza» fa notare la professoressa Marchetti. Con un duplice valore: «Innanzitutto in termini di seconda missione, perché si tratta di contributi alla ricerca scientifica confluiti in diverse pubblicazioni». Ma non solo. «C’è
Il dipartimento di Psicologia ha realizzato più di 70 ricerche. Molte sono proposte di intervento dello psicologo per fronteggiare le conseguenze della pandemia
un profondo legame anche con la terza missionee dell’Università, ravvisabile nell’apporto che i risultati degli studi possono offrire all’intervento dello psicologo – spesso in modo integrato con altre professionalità – per far fronte, sia nel breve sia nel medio e lungo termine, alle conseguenze della pandemia». Un primo filone di ricerca – presentato nel panel di Giuseppe Scaratti, docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni – si è focalizzato sull’ambito lavorativo e organizzativo. Si va dai temi legati all’accelerazione nell’uso di dispositivi tecnologici in remoto (come l’impiego dello smart-working) g alle implicazioni in termini di stress e di sollecitazione dell’esperienza professionale e lavorativa di vari operatori (specialmente nelle organizzazioni sanitarie); dai processi di comunicazione organizzativa adottati alle implicazioni socioeconomiche determinate dal Covid. «C’è una situazione di ferita e di sofferenza nel rapporto con il lavoro e con le organizzazioni che il Covid ha generato» dice il professor Scaratti. «Ma c’è bisogno di guarire da questi disagi. Dobbiamo cogliere le sollecitazioni di ciò che abbiamo chiamato ibridazione, perché in questa situazione le persone sono chiamate a riconfigurare il loro rapporto con gli oggetti di lavoro e con le altre persone». Questi studi hanno evidenziato come la pandemia abbia accelerato alcuni processi legati alla quarta rivoluzione industriale. I dati acquisiti offrono uno spaccato interessante e suggeriscono indicazioni per un nuovo rapporto con il lavoro e i processi organizzativi.
Michela Balconi (a lato), docente di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica, ha coordinato la presentazione del secondo gruppo di ricerche, una ventina di studi dedicati al mondo scientifico, alla sanità, alla salute e al benessere. «Abbiamo studiato le conseguenze dell’emergenza sulla percezione del benessere soggettivo e sociale. Le analisi dell’evoluzione del fenomeno pandemico sul versante clinico (sia relativamente agli operatori sanitari sia al singolo cittadino) appaiono fattori centrali nella comprensione dei processi e delle dinamiche psicologiche e di natura neurobiologica che ne derivano». All’attenzione dei ricercatori spicca «l’impatto della situazione pandemica su medici e paramedici, sia in termini organizzativi che personali, anche sulle attività di ricerca in questo ambito». I dati ottenuti dalle ricerche sul campo e dalle riflessioni metodologiche condotte costituiscono un prezioso bagaglio per impostare un adeguato percorso di accompagnamento alle situazioni di crisi come quella in atto. La “rivoluzione” delle attività lavorative è strettamente connessa alla vita familiare. E proprio l’area tematica relativa a persone, gruppi e famiglie ha analizzato molti fattori individuali, relazionali e familiari particolarmente sollecitati dalla pandemia e le risorse che sono state messe in gioco per far fronte ai molteplici stress che sono emersi. Per esempio, «che tipo di musica si è ascoltata, la qualità del sonno, quanto le caratteristiche personali abbiano permesso alle persone di affrontare la situazione» spiega Margherita Lanz (qui sopra), docente di Psicometria, che ha presentato questo terzo filone di studi. «Un altro elemento su cui ci siamo focalizzati è
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stato il rapporto relazionale: come la coppia ha affrontato la quarantena e quali dinamiche si sono create. Sono state elaborate alcune considerazioni rispetto a che cosa si può mettere in atto per garantire il benessere delle persone anche in una situazione emergenziale come quella che stiamo vivendo». Una particolare attenzione è stata rivolta alla comunicazione e ai social media che hanno contribuito attivamente alla costruzione dei contesti di vita. I risultati prodotti permettono di evidenziare ambiti di prevenzione su cui poter progettare interventi futuri.
Gli studi presentati nel panel coordinato da Annalisa Valle, docente di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’Educazione, si sono dedicati all’impatto del Covid-19 sui cambiamenti che la scuola, uno dei principali contesti di vita dei bambini, ha dovuto affrontare a seguito della pandemia, e sulle trasformazioni legate al percorso di vita degli “attori” della vita scolastica. Nel primo caso, i lavori relativi alla scuola si sono confrontati con la trasformazione delle relazioni interpersonali, con le modifiche imposte alle metodologie didattiche e con l’impor-
tante apporto delle nuove tecnologie in quest’ultimo anno scolastico. Nel secondo caso, «ci siamo occupati dell’impatto della pandemia sullo sviluppo individuale, sia in termini di costruzione della propria identità, come nel caso di adolescenti e giovani adulti, sia rispetto alla costruzione e al cambiamento di ruoli specifici, come quello genitoriale. Complessivamente, le riflessioni portano a identificare come i cambiamenti nei contesti di vita influenzano i percorsi di crescita, in termini sia di difficoltà, sia di risorse personali».
Valutare l’impatto della pandemia a livello personale e sociale RICERCA
a salute e il benessere, le organizzazioni, le persone singole ma anche le famiglie e i gruppi, la scuola e le relative fasi di vita dei ragazzi. I ricercatori del dipartimento di Psicologia hanno prodotto oltre settanta studi in questi ambiti di ricerca per valutare l’impatto della pandemia, a livello personale e sociale, insieme alle trasformazioni, ai cambiamenti e alle restrizioni che abbiamo dovuto fronteggiare. Le ricerche, che sono
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state presentate il 18 febbraio durante il webinar La Psicologia di fronte al Covid-19. Ricerca e riflessioni applicative, presentano i principali orientamenti emersi dal corpus di dati rilevati, insieme con riflessioni critiche, che consentano una migliore gestione presente e futura del fenomeno. L’utilizzo di prospettive multiple di analisi, confronto e discussione costituisce, infatti, un prezioso strumento per individuare traiettorie condivise e funzionali ad
affrontare gli scenari in divenire. Gli studi sono stati presentati in quattro workshop: Lavoro e organizzazioni: vincoli, prospettive e adattamenti possibili; Dal mondo scientifico alle realtà sanitarie: l’impatto del Covid-19 e i cambiamenti in atto; Persone, relazioni e stili di vita: cambiamenti e trasformazioni in tempo di Covid-19; Benessere e sfide della vita: il cambiamento che il Covid-19 ha prodotto nei contesti scolastici.
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Unicatt e Gemelli uniti contro il diabete di Federica Mancinelli
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Contro la malattia di tipo 2, sono stati pubblicati su Diabetes Care e su Lancet due studi che rappresentano altrettante scoperte fondamentali a livello clinico. La prima ue ricerche fondamentali nel- svela il segreto della metformina, l’altra la chirurgia metabolica come migliore “cura”
la lotta al diabete di tipo 2. La facoltà di Medicina e chirurgia della sede di Roma è in prima linea in questo tipo di studi e nelle settimane scorse ha pubblicato su Diabetes Care e su Lancet due scoperte fondamentali a livello clinico.
Svelato il segreto della metformina
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È il farmaco più usato nel mondo per il trattamento del diabete di tipo 2 e ha da poco compiuto 60 anni. Ma lungi dal non avere più segreti per la scienza, di giorno in giorno emergono nuovi aspetti del funzionamento della metformina. È inoltre certo che questo farmaco, terapia di prima linea per il diabete di tipo 2, conferisce una solida protezione contro una serie di patologie renali, cardiovascolari, neurologiche e addirittura tumorali. Una delle ultime scoperte scientifiche relative alla metformina, oggetto di una puntuale revisione pubblicata su Diabetes Care a firma di scienziati di tre università italiane, tra le quali l’Università Cattoli-
ca (le altre due sono l’Università di Pisa e l’Università Tor Vergata di Roma) è il ruolo del lattato, prodotto su input della metformina. «Questa sostanza è la stessa che si accumula nei muscoli e li indolenzisce dopo una seduta di allenamento, considerata un tempo solo prodotto di scarto, rappresenta al contrario una preziosa fonte di energia, un ‘carburante’ immediatamente utilizzabile dai tessuti» spiega Andrea Giaccari, docente di Endocrinologia all’Università Cattolica e responsabile del Centro per le Malattie Endocrine e Metaboliche, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. «L’ipotesi, suffragata da molti esperimenti, è che la metformina permetta ad alcuni tessuti di trasformare il glucosio in acido lattico, che viene sfruttato come fonte di energia “alternativa” e rapidamente utilizzabile. In questo senso, la produzione di lattato indotta dalla metformina, potrebbe rappresentare un meccanismo di protezione per il funzionamento di cuore, reni, cer-
vello e addirittura contribuire alla sua attività “antineoplastica”. Il glucosio come carburante deve essere elaborato per poter essere pienamente utilizzato dalle cellule, mentre al contrario il lattato è un carburante pronto per essere bruciato».
Chirurgia metabolica, la miglior cura per il diabete Una ricerca della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e del King’s College di Londra dimostra che a dieci anni dalla chirurgia bariatrica, oltre un terzo dei pazienti è ancora in remissione dal diabete (cioè non ha bisogno di ricorrere a farmaci), ha sviluppato meno complicanze legate al diabete e vive globalmente meglio. Questo trial clinico randomizzato, pubblicato su Lancet e finanziato dalla Fondazione Policlinico Gemelli, rende disponibili per la prima volta in assoluto i dati sulle ricadute metaboliche della chirurgia bariatrica a dieci anni. Finora erano infatti disponibili solo quelli di follow-up a cinque anni. Per valutare
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come stanno le persone con diabete di tipo 2 sottoposte a chirurgia metabolica a distanza di 10 anni dall’intervento, rispetto a quelle trattate con i farmaci, i ricercatori della Fondazione Policlinico Gemelli e del King’s College (senior author il professor Francesco Rubino, direttore della Chirurgia Metabolica e Bariatrica) hanno seguito per 10 anni 60 soggetti obesi (BMI > 44) di età media con diabete di tipo 2 esordito da almeno cinque anni, sottoposti a chirurgica bariatrica (bypass gastrico Roux-en-Y, RYGB- o diversione bilio-pancreatica, DBP), confrontandoli con un gruppo di pazienti sottoposto a terapia medica. Tra i soggetti sottoposti a intervento chirurgico, il 37,5% (il 50% di quelli DBP e il 25% di quelli RYGB) è risultato ancora in remissione dal diabete dopo 10 anni (contro il 5,5% del gruppo terapia medica). I soggetti sottoposti a intervento avevano inoltre un minor numero di complicanze cardiovascolari, neurologiche e renali correlate al diabete, rispetto a quelli sottoposti a terapia medica; per contro, nel gruppo BPD si è registrato un maggior numero di eventi avversi gravi rispetto ai pazienti trattati con farmaci o sottoposti a RYGB. «La chirurgia metabolica è, dunque, più efficace della terapia medica nel controllo del diabete e delle sue complicanze a lungo termine ed è un’opzione terapeutica che andrebbe sempre tenuta in considerazione nei pazienti affetti da obesità e diabete di tipo 2 scarsamente controllato» afferma il primo autore dello studio, la professoressa Geltrude Mingrone, direttore Uoc Patologie dell’Obesità del
Policlinico Gemelli e docente di Medicina interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Questi risultati dimostrano che il diabete di tipo 2 è una patologia potenzialmente “curabile”».
Cellule staminali “spagnole” contro il Crohn Le cellule staminali sono l’ultima frontiera di trattamento di una delle forme più disabilitanti della malattia di Crohn, la malattia perianale fistolizzante. Alofisel®(darvadstrocel), questo il nome di questa terapia cellulare, è oggi il trattamento più avanzato per i casi più complicati e non responsivi alla terapia medica e chirurgica tradizionale. La nuova tecnica, validata dallo studio Admire CD Study (i risultati sono stati pubblicati su Lancet e su Gastroenterology) e approvata dal 2018 in Europa è stata utilizzata dal dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, diretto dal professor Antonio Gasbarrinii (unico centro, insieme a quello dell’Università di Bologna, ad averla utilizzata in Italia al di fuori degli studi clinici) per il trattamento di tre pazienti. «Questo trattamento innovativo è riservato a pazienti con Crohn complicato da fistole perianali (riguarda il 30-40% di tutti i pazienti con Crohn, molti dei quali presentano fistole complesse) refrattarie alla terapia medico-chirurgica e con malattia ‘spenta’ all’interno dell’ultima parte dell’intestino» spiega il professor Luigi Sofo, direttore della Uoc di Chirurgia ad-
dominale e docente di Chirurgia generale all’Università Cattolica. «La presenza di fistole complesse condiziona pesantemente la vita sociale e di relazione di questi pazienti, in genere molto giovani, intorno ai 20-30 anni». E la terapia con staminali può aiutare a scongiurare questo epilogo. «Caratteristica della malattia di Crohn è di avere un’ampia variabilità fenotipica, in termini di localizzazione, evoluzione e manifestazioni extraintestinali» spiega il professor Alessandro Armuzzi, Uoc di Gastroenterologia e docente di Gastroenterologia all’Università Cattolica. «Il nuovo trattamento – spiega Angelo Eugenio Potenza, Uoc Chirurgia addominale – prevede una toilette chirurgica accurata delle fistole perianali complesse, seguita a distanza di qualche settimana, dalla somministrazione di una sospensione di cellule staminali totipotenti, mediante iniezioni multiple nel tessuto che circonda il tramite fistoloso». Secondo Marcello Pani, direttore Uoc Farmacia, «l’accesso e la gestione dei Medicinali per Terapie Avanzate (Advanced Therapy Medicinal Product, ATMP) richiedono la costituzione di un team multidisciplinare per garantire efficacia e sicurezza dei trattamenti. Il farmaco in questione, sottoposto a monitoraggio addizionale da Aifa, è costituito da cellule staminali allogeniche, particolarmente delicate da un punto di vista della stabilità; la tracciabilità deve pertanto essere rigorosa poiché il trattamento necessita di essere somministrato entro 72 ore dalla produzione nella cell factoryy situata a Madrid».
Dalle microplastiche nei mari alle cozze: i batteri nella catena alimentare SICUREZZA IN TAVOLA
e la tossicità per gli organismi viventi che popolano il mare è stata esplorata in vari studi scientifici, esiste ancora un vuoto di conoscenze sul ruolo che le plastiche svolgono nel plasmare le strutture della comunità batterica nel contesto marino e sulla loro possibile trasmissione all’uomo. I ricercatori della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali della sede di Piacenza dell’Università Cattolica, insieme ai colleghi dell’Università di Sousse, hanno indagato la presenza di microplastiche e di batteri anche patogeni in campioni di acqua del mar
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Mediterraneo e in campioni di cozze. Dai risultati della ricerca pubblicati sul Journal of Hazardous Materials (ottava rivista per importanza nella classifica delle 265 riviste scientifiche nel settore delle scienze ambientali) è emerso, non solo che nelle cozze sono presenti significative quantità di microplastiche, ma anche che queste trasportano batteri patogeni, che ritroviamo anche nelle vongole. I batteri hanno un effetto tossico sulle cozze, come indicato dalla loro risposta immunitaria. «C’è una grande variabilità nella
composizione delle comunità batteriche di plastica galleggiante e acqua di mare provenienti da diverse aree geografiche» spiega Edoardo Puglisi, docente di microbiologia all’Università Cattolica, che, insieme al microbiologo della facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali Pier Sandro Cocconcelli, ha condotto lo studio. «I batteri accumulati dalle cozze inclusi alcuni patogeni appartenenti al gruppo dei vibrioni sono un allarme in termini di valutazione del rischio alimentare per l’uomo, che richiede future investigazioni».
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Il termometro per la salute delle aziende di Tommaso Ganugi *
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are un “voto” allo stato di salute di un’azienda. È la sfida affidata a uno studio condotto sulle imprese bresciane. Ma che può essere estesa, con i debiti accorgimenti, anche al resto del sistema industriale del Paese. Il risultato è un valore che fornisce a un’associazione di categoria territoriale una prospettiva di grande novità, strategica per comprendere la complessità ed eterogeneità del tessuto industriale in cui opera. Nell’approccio tradizionale dell’analisi di bilancio una società può essere osservata da vari lati e con diverse lenti: attraverso alcune variabili si legge la solidità patrimoniale e finanziaria, con altre la redditività e con altre ancora la liquidità. Lo sviluppo di uno specifico modello statistico multivariato denominato “Indice sintetico manifatturiero” (Ism) si pone come strumento complementare all’analisi tradizionale. Ism, sintetizzando più indici di bilancio, attribuisce alla singola azienda un unico punteggio capace di esprimere lo stato di salute in cui versa. Il made in Brescia è stato valutato attraverso l’analisi di 2905 società di capitali manifatturiere bresciane, segmentate per settore e classe dimensionale. Lo score che Ism assegna va da 0 ad 1. Più il valore si avvicina a uno, migliore risulta lo stato di salute dell’azienda; al contrario più il valore tende a zero più la probabilità di dissesto aziendale è elevata. Lo score è poi suddiviso in otto classi di rating: dalla migliore “A1” alla peggiore “D2”. Per sviluppare Ism sono state utilizzate le variabili di bilancio del modello economico di Altman del 1993, per calcolare i parame-
tri è implementata sul software statistico “R-Studio” la regressione logistica. Applicando Ism ai bilanci 2019 si ottiene un quadro complessivamente confortante riguardante la salute economico finanziaria delle imprese bresciane: più del 40% si colloca nelle classi di merito più alte (A1, A2), solo l’1,2% in quelle più basse (D1, D2). Alla luce delle forti ricadute economiche derivanti dalla pandemia in atto, che rendono i numeri al 2019 non più in grado di fotografare l’effettivo stato delle imprese, è risultato necessario applicare eccezionalmente parte delle variabili di Ism a uno shock, fornendo così tre possibili scenari. Lo scenario peggioree (denominato «Zero»), che rappresenta un minimo teorico in cui nel 2020 i ricavi calano, mentre i costi rimangono invariati rispetto all’anno precedente; lo scenario più ottimistico (tra i tre proposti), in cui i costi calano in relazione al fatturato con la stessa intensità rilevata nella grande recessione del 2009 (e per questo rinominato proprio «2009»); lo scenario più prudenzialee (denominato «Intermedio»), in cui i costi calano in relazione al fatturato con un’intensità pari alla metà di quanto rilevato nel 2009.
In tutti e tre gli scenari considerati, Ism prevede un inevitabile peggioramento dello score per l’industria bresciana rispetto al 2019. Tuttavia, i risultati delineano un sistema manifatturiero che, nonostante le evidenti difficoltà di questi mesi, mostra una complessiva «tenuta». Sulla base delle simulazioni effettuate, le aziende di minori dimensioni si confermerebbero come le più in difficoltà. A livello settoriale la situazione appare più diversificata. Non va tuttavia dimenticato che il sistema industriale bresciano si è affacciato a questa crisi complessivamente più attrezzato rispetto a quanto non lo fosse nel biennio 2008-2009. Le aziende, rispetto a dieci anni prima, registrano un netto miglioramento della patrimonializzazione, indicatore molto confortante anche in ottica futura. Risulta necessario specificare che I.S.M. è stato costruito per analizzare e valutare il sistema manifatturiero. Le società appartenenti ai quei settori più duramente colpiti dalla crisi come servizi, commercio e costruzioni non sono considerati in questo modello. * assegnista di ricerca dell’Università Cattolica al Centro Studi Confindustria Brescia.
L’indice sintetico manifatturiero sviluppato da un giovane ricercatore INDUSTRIA
Indice sintetico manifatturiero (Ism) è stato sviluppato da Davide Fedreghini (primo da destra nella foto in alto), del Centro studi Confindustria Brescia, e Tommaso Ganugi (primo da sinistra), il giovanissimo ricercatore (29 anni), autore dell’articolo, laureato alla facoltà di Economia e Giurisprudenza della sede di Piacenza e assegnista di ricerca dell’Ateneo nel medesimo Centro
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studi. La ricerca è stata promossa dal Centro studi Confindustria Brescia e da Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione (OpTer) dell’Università Cattolica, ed è stato presentato il 17 febbraio dal presidente degli industriali bresciani Giuseppe Pasini (secondo da destra nella foto in alto), dal coordinatore strategie di sviluppo del polo di Brescia Unicatt Mario Taccolini
(secondo da sinistra) e dal direttore di OpTer Giovanni Marseguerra, che ha supervisionato il lavoro di ricerca insieme alla professoressa Daniela Bragoli della facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Ateneo. Un esempio virtuoso dove il mondo dell’industria e quello accademico si uniscono creando valore aggiunto alla collettività del territorio cui entrambi appartengono.
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Robotica e agricoltura, il vigneto del futuro di Sabrina Cliti
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Dal progetto congiunto Università Cattolica e Istituto italiano di tecnologia nasce il laboratorio che integra gruppi di ricerca attivi a livello internazionale n braccio robotico da impiega- nel campo delle scienze agrarie e dell’intelligenza artificiale applicata alle colture
re nella potatura invernale della vite, montato su un robot quadrupede. È il simbolo della robotica che “scende in campo” nella sede di Piacenza, dove è nato il laboratorio di robotica per l’agricoltura, frutto dell’accordo tra Università Cattolica del Sacro Cuore e Istituto Italiano di Tecnologia (Iit). Nel campus piacentino si svilupperanno i robot per il monitoraggio e la gestione dei sistemi colturali. «La nostra facoltà punta all’innovazione per migliorare l’agricoltura e farla diventare di precisione e sostenibile, al fine di utilizzare le risorse in modo puntuale e ridurre ogni spreco» spiega il preside della facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali Marco Trevisan. Ed è in questa cornice che si innesta l’accordo con IIt, come afferma il professor Pier Sandro Cocconcelli, responsabile del programma di ricerca per l’Università Cattolica: «Un’alleanza voluta per sviluppare approcci innovativi nell’ambito delle Scienze agrarie, alimentari e ambientali, con particolare attenzione alla messa a punto di metodi diagnostici molecolari rapidi, di nuovi materiali derivati da sottoprodotti dell’industria agro-alimentare e di sistemi robotici per il monitoraggio e la gestione dei sistemi colturali, di cui il laboratorio di robotica è uno dei risultati». Il gruppo di lavoro interdisciplinare sulla robotica in agricoltura lavora sulla creazione di sistemi integrati che, grazie alla raccolta, alla trasmissione e all’elaborazione
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di dati, promuovono la digitalizzazione e l’automazione delle attività agricole. «Introdurre applicazioni robotiche in ambito agricolo significa favorire la crescita sostenibile delle produzioni, aiutando ad affrontare il problema della carenza di manodopera» ricorda Matteo Gatti, docente di viticoltura e referente del laboratorio per l’Università Cattolica. Il perfezionamento di soluzioni robotiche in ambito agrario è orientato principalmente a tre aree applicative: la navigazione autonoma, il sensingg e la manipolazione delle colture. L’agricoltura digitale prevede l’utilizzo di macchine smart, il cui funzionamento implica una rigorosa conoscenza della morfo-fisiologia di piante e animali,
nonché delle migliori pratiche in grado di ottimizzare il processo produttivo. «Uno degli aspetti più stimolanti della collaborazione tra Università Cattolica e Iit è la sinergia necessaria a convertire il processo cognitivo dell’uomo in algoritmi per la realizzazione di specifiche operazioni, con il fine ultimo di rendere il lavoro più efficiente, meno faticoso e più sicuro». Il primo esperimento in questa prospettiva è il prototipo per la potatura invernale robotizzata della vite nell’ambito del progetto “Vinum”, curata da Matteo Gatti e Fei Chen, capo gruppo all’interno della linea di ricerca Advanced Robotics dell’Istituto Italiano di Tecnologia guidata da Darwin Caldwell. «Attraverso il ricorso all’intelligenza artificiale, è stata addestrata una rete neurale artificiale (Artificial Neural Network) con l’obiettivo di distinguere i diversi organi della vite e di identificare i punti di taglio in corrispondenza dei quali un braccio robotico collegato a una forbice elettrica (end-effector) eseguirà la potatura» spiega Claudio Semini. «Il braccio sarà installato su un innovativo sistema di locomozione, il robot quadrupede HyQReal, che vedrà i primi test al termine della prossima stagione vegetativa e sarà poi perfezionato nel corso del 2022».
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Lo sport come inclusione Ottomila km per fare rete di Francesco Berlucchi
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n percorso di inclusione lungo ottomila chilometri. È la distanza, tra Milano e Johannesburg, che Chiara Corvino (nella foto), dottore di ricerca in Psicologia all’Università Cattolica, ha colmato per dare corpo a un network di ricerca internazionale coordinato dalla direttrice dell’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (Asag) Caterina Gozzoli. Caterina ha appena discusso la tesi di dottorato, dedicata alla valutazione dell’impatto psicosociale di un programma che promuove l’inclusione sociale, attraverso lo sport, di bambini e giovani vulnerabili. Ma il suo percorso all’Università Cattolica parte molto più lontano, dalla laurea triennale in Psicologia delle relazioni interpersonali e interventi di comunità, conseguita con lode così come quella magistrale in Psicologia delle organizzazioni e del marketing. Poi, sempre in Cattolica, il master in Sport e intervento psicosociale che, racconta, «mi ha aperto un mondo». Nel 2017 il dottorato di ricerca con una borsa di studio, co-finanziata dall’Asag, sulla valutazione e il monitoraggio dei programmi sportivi finalizzati
È la distanza, tra Milano e Johannesburg, che la giovane ricercatrice Chiara Corvino ha colmato per dare corpo a un network di ricerca internazionale coordinato dall’Asag all’inclusione sociale, con la supervisione dalla professoressa Chiara D’Angelo. Dall’Italia al Sudafrica il passo è stato più breve dello spazio che divide i due Paesi. «Durante il dottorato ho scelto di andare all’Olympic Studies Centre dell’Università di Johannesburg, il centro di ricerca diretto dalla professoressa Cora Burnett, grande esperta di valutazione e monitoraggio dell’impatto di progetti che utilizzano lo sport come strumento di inclusione sociale. Ho imparato tantissimo, più di quanto mi aspettassi. Ma l’aspetto più interessante è stato venire a contatto con il bisogno sociale del territorio sudafricano. Se in Italia si lavora per l’inclusione sociale di fasce di popolazione fragili, come i disabili o i ragazzi a rischio, in Sudafrica la maggior parte delle famiglie hanno importanti situazioni di fragilità socioeconomica». Vi è insomma un bisogno sociale più palese e diverso, così come diversa è la cultura sportiva. La pagina che ha fatto la storia è sicuramente la vittoria dei mondiali di rugby che il Sudafrica ospitò nel 1995, solamente
tre anni dopo la fine ufficiale dell’apartheid e un anno dopo l’elezione di Nelson Mandela a presidente. Quando gli Springboks vinsero la finale contro gli All Blacks, in quella che fu molto più di una partita. «Lo sport ha costituito uno snodo importante nella storia del Sudafrica, un collante sociale. Ma dentro al fenomeno sportivo si racchiudono tanti significati per questo popolo, che rimane comunque diviso per ragioni prevalentemente economiche. Durante una fase di raccolta dati, abbiamo incontrato un gruppo di ragazze in una cittadina provincia vicino a Johannesburg. Provenivano tutte da situazioni drammatiche. Una di loro era rimasta incinta molto giovane. Ha cresciuto il bambino fino a quando ha compiuto quattro anni, poi i suoi genitori hanno deciso di toglierglielo per darlo a una zia. Lei, rimasta senza suo figlio, ha tentato il suicidio. Grazie ad alcune amiche si è avvicinata a un programma sportivo dove, dopo un periodo di formazione, ha iniziato a svolgere il ruolo di allenatrice ed educatrice dei bambini. Ha scelto quindi di rimettersi in gioco, raccontandoci nel focus group cose difficili da dimenticare». Chiara ha potuto seguire la professoressa Burnett nella sua metodologia di ricerca e facendo la conoscenza di diverse realtà organizzative che si occupano di sport e inclusione sociale. Sport che, in Sudafrica, più che il calcio sono il rugby e il netball, simile al basket e molto comune dei Paesi del Commonwealth. «È stata anche l’occasione per creare un network di ricerca, visto che Burnett è un punto di riferimento anche al di fuori del Sudafrica per la sua esperienza sul campo. Questo viaggio ha consolidato in me la convinzione che la ricerca deve essere applicata. E che lo sport ha davvero il potere di cambiare il mondo».
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Il fioretto di Margherita per il Dual Career
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Sport
di Francesco Berlucchi
È
partito con una stoccata vincente il terzo anno del percorso Dual Career. A metterla a segno è stata Margherita Granbassi, ospite del primo evento pensato per i 23 nuovi studenti-atleti dell’Università Cattolica, che sono entrati nel progetto promosso da Cattolicaperr lo Sport. A dare loro il benvenuto, la fiorettista triestina, che è rappresentante degli atleti nel Consiglio Nazionale del Coni, oltre a essere stata tre volte campionessa del mondo e due volte medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino. «Avete una grande fortuna: un percorso universitario che vi accompagna durante la vostra carriera sportiva» spiega Margherita agli studenti. «Solo pochi anni fa, la coesistenza tra sport e studio poteva rappresentare un problema già alle scuole elementari. Certo, c’è ancora tantissimo lavoro da fare, perché troppo spesso ci si dimentica che per eccellere nello sport occorrono tante caratteristiche, le soft skills, che saranno fondamentali durante la vostra carriera universitaria e in ambito lavorativo. Dunque, è importante continuare a formarsi, perché chiudere la carriera agonistica è brutto per tutti e nessuno può sapere con precisione quando questo accadrà». Proprio come è accaduto a Margherita. Dopo la settima operazione al ginocchio, con spostamento della rotula e trapianto di menisco, nel marzo 2014 tornò in pedana in coppa del mondo. Nel primo assalto a eliminazione diretta il ginocchio sinistro fece di nuovo crac. Fu la fine, a 34 anni, della sua attività ago-
nistica. «Per me quel momento è stato realmente traumatico. Non tanto per il dolore fisico, quanto perché non ho potuto decidere io quando smettere. Ma poi ho ripensato a quello che lo sport mi ha dato: molti insegnamenti li assorbi, ti entrano nel Dna. Penso alla gestione dello stress e di situazioni critiche, alla capacità di organizzarsi, all’autostima, alla concentrazione. Perché lo sport è emozione e non serve arrivare all’Olimpiade per vivere tutto questo». Proprio per accompagnare chi sceglie di frequentare l’università pur continuando a fare sport ad alto livello, tre anni fa l’Ateneo ha attivato il progetto Università e Sport: la Dual Career in Università Cattolica, in collaborazione con il Cus Milano. «Lo sport può essere un valore aggiunto nello studio» commenta il direttore della sede di Milano dell’Ateneo Mario Gatti. «Ed è questa la parte più interessante del
progetto. Speriamo che questa modalità sia per gli studenti il modo di frequentare l’università con il massimo del profitto. Un profitto non solo legato ai risultati sportivi o accademici, ma una tappa fondamentale della crescita di ciascuno, sia come atleta sia come persona». Già, perché chi fa sport a livello agonistico inizia ad affrontare le sfide da bambino. «All’inizio è solo un gioco» continua Margherita «ma l’aspetto ludico deve rimanere presente anche quando si cresce. Lo sport però è anche un impegno, e questo è un aspetto molto importante per i bambini. La mia palestra era a un’ora da casa, a Udine. Mi ricordo lunghi viaggi, con mia mamma alla guida e le musicassette nell’autoradio. Non ascoltavamo la musica, ma le registrazioni delle mie lezioni, per sfruttare ogni minuto per studiare. Così ho imparato a gestire il mio tempo».
Sessantacinque studenti per ventidue sport TUTORSHIP
l programma Dual Career hanno partecipato 25 studenti-atleti durante il primo anno, 50 l’anno seguente e 65 lo stanno ora frequentando. La facoltà di Scienze della formazione – e in particolar modo il corso di laurea in Scienze motorie e dello sport – è la prediletta dagli studenti-atleti insieme a quella di Economia. Ma ci sono anche Giurisprudenza,
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Psicologia, Scienze linguistiche, Scienze agrarie, Lettere e filosofia, Scienze politiche e sociali. Sono 22 gli sport praticati, dal calcio alla pallavolo, dal basket al nuoto salvamento e al wakeboard, a rappresentare l’intero panorama sportivo. Già dieci studenti-atleti si sono laureati e cinque lo faranno entro il mese di aprile. «Oltre alle borse di
studio, quello che la nostra Università propone è soprattutto un percorso di tutorship» spiega Chiara D’Angelo, coordinatrice del percorso Dual Career. «Ma è anche l’occasione per stimolare gli studenti a rendersi protagonisti del proprio processo di carriera. Per rendere il percorso universitario più proficuo e arricchente possibile».
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La diplomazia si fa anche con le pratiche sportive o sport come ambasciatore tra nazioni. Si chiama TES-D, si legge Towards an European Sport Diplomacy, il progetto, co-finanziato dalla Commissione Europea con il partenariato di Erasmus+ nel programma Sport, che ha per capofila l’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’obiettivo è sviluppare un set di buone pratiche e di raccomandazioni finalizzate a sostenere e indirizzare una diplomazia sportiva comune a livello europeo. I due motori di questa partnership sono l’International Program and Master in Cultural Diplomacy: Arts and Digital Media for International Relations and Global Communication e l’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo (Almed). «Lo sport, i suoi valori, le opportunità di condivisione attraverso i piccoli e grandi eventi, costituiscono da sempre una potente esperienza identitaria» spiega Mariagrazia Fanchi, direttore di Almed. «TES-D si propone di convertire la carica divisiva, spesso connessa all’esperienza sportiva come agone, in un fattore costruttivo di relazioni fra istituzioni e nazioni». In questa fase, dunque, lo sforzo è propriamente fondativo. Coinvolgendo studiosi e professionisti europei ed extra-europei, e attraverso una mappatura delle azioni di sport diplomacy già e po-
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sitivamente attuate nei 27 Paesi membri dell’Unione europea, il progetto intende sviluppare azioni pilota e consolidare una rete di stakeholder rilevanti in grado di promuovere e sostenere pratiche diplomatiche in ambito sportivo. «La sport diplomacy è un potente strumento di soft power per la reputazione globale di Paesi e continenti» commenta Federica Olivares, director dell’International Program and Master in Cultural Diplomacy. «In questo caso anche per l’Europa, che vedrà nei prossimamente, dopo molti anni di Olimpiadi asiatiche, due grandi momenti: Parigi 2024 e Milano-Cortina 2026. Geopoliticamente le Olimpiadi offrono un proscenio planetario per la reputazione globale di un Paese e la sua public diplomacy. Il progetto TES-D ci ha coinvolto sin dallo scorso febbraio, ma emerge ora sotto una nuova luce. Nel nuovo contesto mutato, rilanciare il tema della sport diplomacy vuol dire evocare speranze e aspettative per uno scenario futuro in cui la priorità è, e sarà, creare valore sociale attraverso sviluppo economico, innovazione e lavoro, soprattutto per i nostri giovani». TES-D ha preso ufficialmente l’avvio il 27 gennaio 2021, in modalità virtuale. Prevede una durata biennale, con il termine previsto per dicembre 2022. A giugno del prossimo anno l’Università Cattolica ospiterà uno dei meeting, in qualità di le-
ader nella costruzione della literacy, ossia delle fonti, sia a livello internazionale sia locale, che possano fungere da base per l’istituzione di questa disciplina. Oltre alla Cattolica, sono coinvolti nel progetto il French Institute for Internation and Strategic Affairs (Iris, Francia), l’International Sport and Cultural Association (Isca, Danimarca) e sei università: Edge Hill University (Regno Unito), la National University of Physical Education of Sports (Romania), Soas University of London (Regno Unito), l’Université catholique de Louvain (Belgio) e la University Carlos III of Madrid (Spagna). «È una bella sfida» continua Mariagrazia Fanchi. «Il ruolo che ci troveremo a svolgere è triplice: di ricerca scientifica, cioè la seconda missione dell’università; di dialogo e interlocuzione con le parti sociali, come le imprese, i professionisti e le associazioni che operano nell’ambito della promozione dello sport a tutti i livelli, dalla promozione dei valori dello sport all’organizzazione dell’evento sportivo. E, infine, di public engagement, quindi di terza missione, coinvolgendo gli interlocutori istituzionali. Considerato cosa ci aspetta, a partire dalle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, è un progetto che dialoga molto bene con il presente ed è un riconoscimento di quello che Università Cattolica è e fa nel tessuto sociale e imprenditoriale italiano. (Francesco Berlucchi)
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Franco Marini: quando un esame ti segna la vita di Aldo Carera *
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ella sua vita Franco Marini di esami ne ha dovuti superare non pochi. Quelli per laurearsi in giurisprudenza e, soprattutto, quelli sul campo, tutte le volte in cui, assumendo nuove responsabilità, si è trovato quasi a cambiare mestiere. Perché un conto è essere giovane sindacalista nel pubblico impiego, altra cosa è, da cinquantenne, diventare segretario generale della Cisl (1985-1991) e, a breve giro, Ministro del lavoro (1991-1992), poi parlamentare (1992-2013), presidente del Partito popolare Italiano (1997-1999), presidente del Senato (2006-2008) e, infine, presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale (20132018), ruolo forse meno noto anche se tutti ricordiamo le celebrazioni per il settantesimo della Resistenza e il ciclo pluriennale dedicato alla Prima guerra mondiale realizzati durante il suo mandato. Più che gli esami in università e sul campo, l’esame mai dimenticato era segnato in quel giorno del 1956 di fronte a un esaminatore particolarmente severo. La documentazione di quell’esame è conservata in Università Cattolica, nell’archivio del Centro studi sindacali della Cisl, ora depositato presso l’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia intitolato al professor Mario Romani, autorevole docente di Storia economica nella facoltà di Economia e commercio e collaboratore del fondatore della Cisl, Giulio Pastore. L’esame era la prova finale del corso annuale di studi per dirigenti sindacali (tra i suoi compagni un coetaneo cremonese, Pierre Carniti). Il luogo era una bella villa sul colle di Fiesole, sede del Centro studi, e l’esaminatore si chiamava Mario Romani. Non mancano testimonianze, anche colorite, della sofferenza per superare quell’esame che non prevedeva un voto finale perché non occorrevano voti. Come accade nella formazione degli Università Cattolica del Sacro Cuore
adulti quel che conta è la capacità di autovalutazione che ciascuno può derivare dal dialogo con la commissione d’esame. Quel giorno, Franco Marini – quante volte ne abbiamo parlato – si è confrontato non solo con la solidità di una scelta di vita che l’aveva portato dall’altopiano abruzzese in cui era nato, primo di sette fratelli, a impegnarsi a tempo pieno nel sindacato. Il punto era stata la verifica delle proprie convinzioni di fondo. Ne avrebbe scritto molti anni dopo (1988): «Ebbi la ventura di essere parte di quel disegno e non posso dimenticare l’irriducibile fiducia che essi [Pastore e Romani] ponevano nei lavoratori e nel sindacato». Il disegno, anzi «l’eredità migliore dei fondatori», puntava su una classe dirigente sindacale in grado di proporsi come classe dirigente per il Paese, capace di un costante sforzo di conoscenza e di interpretazione delle concrete condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Per Marini ogni «scelta pratica», sin da quel 1956 in cui molti puntavano solo sulla lotta di classe, implicava una continua assunzione di responsabilità riguardo gli obiettivi specifici dell’azione sindacale nel costante sforzo di conseguire «una composizione equilibrata, espressione di responsabilità inedite, ampie e rivolte al bene comune». Giunto ai massimi vertici del sindacato o delle istituzioni (vissute sempre da sindacalista), il ricordo di quell’esame lo portava a chiedersi se le sue «scelte pratiche» corrispondevano sempre a quel disegno. Senza infingimenti e con la sofferta umiltà del vero leader, concludeva: «Non ho una risposta sicura». * docente di Storia economica e direttore dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia “Mario Romani” e presidente della Fondazione Giulio Pastore
Il legame con la sede di Roma
Un amico della Cattolica ranco Marini, 87 anni, ex presidente del Senato, dopo una militanza trentennale nel sindacato, si è ammalato di Covid alla viglia di Natale ed è morto il 9 febbraio. È sempre stato un amico dell’Università Cattolica, in particolare della sede di Roma, che nel 2006, in occasione della festa patronale del Sacro Cuore, gli conferì, come omaggio, copia originale del contratto di lavoro del 1968, contenente le correzioni manoscritte di allora. “Marini si rese artefice di una intelligente e saggia mediazione tra i vertici dell’Università e il giovane sindacato, che proponeva le istanze di una base che stava raggiungendo numeri cospicui con professionalità diversificate e non omogenee in particolare per effetto dell’attivazione del Policlinico Gemelli”, recita la motivazione. La figura di Franco Marini fu molto importante in quel periodo storico, con l’Università percorsa da incertezze, mentre il personale cresceva e non c’era la sicurezza di un contratto stabile perché la sanità era gestita ancora dalle mutue e la convenzione con la Regione Lazio avvenne qualche anno più tardi. Ma lui riuscì a instaurare un rapporto basato su regole sicure, condivise e lealmente accettate. (Franco Gemelli).
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Dostoevskij e quella bellezza travisata di Velania La Mendola
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a bellezza salverà il mondo. Quante volte abbiamo sentito questa frase! Utilizzata nei contesti più vari è un passe-partoutt per ogni manifestazione di moda, design, cucina, architettura. Le origini del motto sono però letterarie: la citazione è tratta infatti dal romanzo L’idiota di Fedor Dostoevskij che in questo 2021 festeggia un doppio anniversario (140 anni dalla morte e 200 anni dalla nascita). Pochi ricordano però che la frase compare in un contesto molto più complesso e in forma interrogativa. Vale la pena rileggere quel passo per intero; chi parla è il giovane tormentato Ippolit che si rivolge al principe Miškin: «È vero principe che una volta avete detto che la “bellezza salverà il mondo”? Signori – prese a gridare a tutti – il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato. Signori, il principe è innamorato, non appena è arrivato, me ne sono subito convinto. Non arrossite principe, mi impietosite. Quale bellezza salverà il mondo?». Come spiega bene Giuliano Zanchii nel libro La bellezza complice. Cosmesi come forma del mondo (Vita e Pensiero), queste parole «chiamano in causa la questione di un riscatto del mondo, il suo possibile affrancamento dal male, rappresentato nel romanzo dalla cappa di violenza e di morte che
aleggia su vicende amorose insieme ingenue e torbide, destinate a precipitare nella tragedia da un momento all’altro. Che si possa redimere una condizione compromessa come il “mondo” che Dostoevskij tratteggia nelle trame cupe dei suoi romanzi, resta il tema di un vero enigma, sospeso peraltro alla natura della bellezzaa che viene chiamata in suo soccorso». Di quale bellezza parla Dostoevskij? Sergio Givonee nell’articolo Crisi e bellezza sulla rivista “Vita e Pensiero” ci ricorda un’altra citazione dello scrittore russo: «La bellezza è un campo di battaglia dove Dio e Satana si disputano il cuore dell’uomo». Negli stessi anni, Baudelaire si chiedeva se la bellezza venisse da una profondità celeste o dal cuore stesso dell’inferno. Secondo Zanchi la bellezza invocata nell’Idiotaa è «l’intensità sacrale che può scaturire solo da una vera profondità etica in cui grazia e moralità restano sempre indisgiungibili, ma la cui congiunzione, almeno in questo mondo, appare ogni volta misteriosa e irrealizzabile. Quello di bellezza è il nome che si dà all’inequivocabile manifestarsi del bene». Non qualità che hanno a che fare con la perfezione quindi, ma con la bontà, a costo di tutto. Anche di perdere la perfezione della forma: «È il bello del bene […], consiste nel fatto che se necessario perde anche la faccia, se serve a preservare l’integrità. Si tratta di una bellezza che talvolta non si cura di poter apparire anche brutta se questo resta segno della propria tenacia». Come scrive Roger Scruton n nel saggio intitolato La bellezza: «La bontà e la verità non si contrappongono mai [...] e la ricerca dell’una è sempre compatibile con il giusto rispetto dell’altra. La ricerca della bellezza, invece, è di gran lunga più dubbia». La bellezza su cui il romanzo profetizza, tanto quanto ironizza, spiega ancora Zanchi, è quella che emana dall’aura tangibile dell’uomo veramente buono che attraversa la storia con semplicità d’animo e inscal-
A proposito dei Fratelli Karamazov i “paradigma Dostoevskij” parla Alessio Musio, docente di Filosofia morale, nel libro Chiaroscuri. Figure dell’ethos, tirando in causa le pagine di uno dei capitoli più celebri della letteratura di tutti i tempi, la leggenda del Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov che affronta il grande tema del libero arbitrio. Alla resa cinematografica dei Fratelli Karamazov ha invece dedicato un libro Eleonora Recalcati, docente per il master “International Screenwriting and Production” e “Booktelling”, intitolato Dostoevskij sullo schermo, dove si mettono a confronto tre adattamenti nati in contesti storico-culturali diversi: il film hollywoodiano Brothers Karamazov di Richard Brooks (1958), lo sceneggiato italiano I fratelli Karamazov di Sandro Bolchi (1969) e il sovietico Brat’ja Karamazovy di Ivan Pyr’ev (1969).
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fi bile bontà di cuore; è il ritratto del mite che sfida i prepotenti con innocenza, «un profilo umano dai caratteri tipicamente cristologici che Dostoevskij, come il Padre creatore del suo mondo letterario, invia nel mondo oscuro di una tetra borghesia russa a rinnovare il gesto di redenzione che il cristianesimo pone a fondamento della storia. Il principe è un povero Cristo nuovamente mandato sulla terra. La mitezza ancora una volta di fronte alle potenze del male. Di lui non si smette mai di dire che è bello». Questa bellezza, non il suo stereotipo occidentalizzante, potrebbe salvare il mondo, tuttavia l’esito del romanzo ci dice che il risultato è incerto e inoltre «più che semplice, il principe di Dostoevskij si rivela incapace».
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Università Cattolica del Sacro Cuore
Damiano Palano Un ideale da molti anni coltivato
Libro EDUCatt
Materiali per la storia della Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Testimoni della fede nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù
Vita e Pensiero, Milano 2021 – 848 pp., € 50,00 (Ricerche. Scienze politiche)
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uesto volume, che si apre con la prefazione del rettore Franco Anelli, intende esplorare le radici dell’attuale Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica, ripercorrendo le differenti tappe della sua storia ormai secolare. I saggi e i documenti presentati in queste pagine mettono in luce la fisionomia di un’istituzione accademica originale, partendo dalle origini e giungendo alla riorganizzazione seguita alla riforma nata dal cosiddetto «progetto Maranini-Miglio», che nel 1968 modificò l’ordinamento delle Facoltà di Scienze politiche. Una riflessione sulle dinamiche di sviluppo, sugli snodi critici e sulle dimensioni problematiche di una Facoltà che, dinanzi a una società e a un mondo in rapida trasformazione, si trovò a ripensare quasi costantemente la propria identità e la propria funzione.
Bernard McGinn La Summa theologiae di Tommaso d’Aquino Una biografia Vita e Pensiero, Milano 2021 – 180 pp., 16,00 € (Cultura e storia), n. 38
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n milione e mezzo di parole scritte nell’arco di sette anni e divise in tre grandi parti composte di oltre 2500 articoli: la Summa theologiae di Tommaso d’Aquino è certamente un’opera imponente, icona del pensiero religioso medievale e parte del patrimonio comune della società umana. Più di mille sono i commenti che si è calcolato siano stati scritti sulla Summa, alcuni anche più lunghi dell’opera stessa, e la vasta letteratura ancor oggi intesa a spiegarla può risultare scoraggiante. Proprio una tale riflessione ha portato Bernard McGinn a scrivere in modo vivido la «biografia» di questo capolavoro, rivelando, scrive Marco Rainini nella Nota all’edizione italiana, «l’importanza della ricerca storica per la teologia, e l’importanza della storia della teologia per la ricerca storica».
Pier Luigi Guiducci
EDUCatt, Milano 2021 | ISBN 9788893357920 | 36 pp. | download gratuito
n dialogo tra studente e professore su figure significative legate all’Università Cattolica del Sacro Cuore, nell’occasione del suo centenario. In Testimoni della fede Carlo Màfera intervista Pier Luigi Guiducci, storico e giurista, e assieme ricostruiscono un percorso di esempi e virtù, a partire dai fondatori dell’Università fino a ragazzi che ancora adesso frequentano le lezioni universitarie e dimostrano di aver compreso a pieno il modello dei loro predecessori. Agostino Gemelli, Giuseppe Lazzati, Armida Barelli, Maria Cristina Cella: le storie di questi «testimoni della fede», e di molti altri loro “colleghi”, sono raccolte in questo volume, che è disponibile in download gratuito assieme agli altri volumi a firma del professor Guiducci, come Shoah a Milano, pubblicato in occasione della Giornata della Memoria 2021.. [V.G.]
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Alumni Università Cattolica del Sacro Cuore e Associazione Ludovico Necchi (a cura di)
Premio “Agostino Gemelli”. Abstract delle tesi premiate a.a. 2019/2020
Alessio Musio Baby boom. Critica della maternità surrogata
EDUCatt, Milano 2021 | ISBN 978-88-9335-773-9 | 48 pp. | download gratuito
Vita e Pensiero, Milano 2021 – 280 pp., 22,00 € (Transizioni), n. 74
alorizzare il merito e l’impegno dei migliori laureati di ogni Facoltà: questo l’obiettivo del Premio “Agostino Gemelli”, che giunge alla sua 60° edizione con l’a.a. 2019/2020. Tra le iniziative promosse per celebrare i neo alumni più brillanti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, viene proposto in download gratuito un volume, a cura dell’Associazione Ludovico Necchi e dal progetto Alumni d’Ateneo e pubblicato da EDUCatt, che raccoglie estratti delle tesi premiate nell’ultimo anno accademico. [V.G.]
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esperienza è fatta di eventi. Alcuni si ripetono senza farsi notare; altri sono così radicali da cambiare in modo decisivo i significati dell’esperienza stessa. La maternità surrogata rientra in questa seconda categoria. La pratica della surrogacy rappresenta qualcosa di mai visto prima: con essa non solo si appalta alla tecnologia l’atto generativo, ma anche il materno, che così viene scomposto, assegnando a tre figure femminili ciò che, nella generazione, avviene nel corpo dell’unica madre. Quanto accade durante i nove mesi della gravidanza esce semplicemente di scena, sulla base di quella stessa logica che considera irrilevanti per il ‘prodotto’, una volta finito, le circostanze e le procedure della sua produzione. A rischio, così, è ciò che nell’etica ha il linguaggio della dignità e nelle relazioni quello dell’amore: il senso dell’unicità.
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@Cattolica_News @Unicatt Viaggio onlife: perché il web non è più una bolla n occasione del Safer Internet Day CattolicaNews ha dato voce ad alcuni esperti dell’Ateneo che quotidianamente si occupano della rete nei propri ambiti di ricerca. Dalla psicologia della comunicazione alla sociologia dei fenomeni collettivi, dalla psicologia dello sviluppo alla psichiatria, dal diritto all’informatica, le scienze si interrogano su opportunità e rischi dell’online valutandone la portata e l’impatto sulla vita, sui pensieri, sui comportamenti, sulla costruzione dell’identità per i giovanissimi.
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Dal phygital al digital, la palestra dei giovani al tempo del Covid di Cristina Pasqualini La scuola nell’immaginario collettivo di tutte le generazioni di studenti è un posto dove si impara a crescere prima ancora che ad apprendere nozioni. Ma nell’ultimo anno i ragazzi hanno dovuto rinunciare alla socialità in presenza.
Perché i social non sono più una bolla: viaggio nell’interrealtà 1-2/2021
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di Giuseppe Riva Il concetto di relazione è profondamente mutato con l’accesso continuo ai social e con l’iperconnessione. Con conseguenze importanti sia a livello sociale sia a livello personale.
I minori e rischi della Rete di Giovanna Mascheroni «L’esposizione a messaggi d’odio e commenti offensivi che discriminano l’individuo o il gruppo per colore, pelle, nazionalità, religione, orientamento sessuale sono i rischi più frequenti per i minori»
Dipendenza o comfort? Come crescere con il gaming
ritiro sociale e se la spinta verso l’autonomia e a uscire si inverte e viene usata per trattenersi dentro casa.
Sexting, più responsabilità e senso critico di Alessandra Carenzio e Simona Ferrari Vissuto all’interno della coppia o usato come scambio di immagini per fare conversazione questo fenomeno è spesso vissuto dagli adolescenti senza la consapevolezza necessaria.
Il fenomeno inquietante del cyberbullismo di Simona Caravita Per fronteggiare questi problemi è necessaria un’azione di comunità: «Insegnanti, educatori e genitori devono accompagnare i giovani a utilizzare in modo corretto gli strumenti digital»
Quando la rete è complice di reato di Marta Lamanuzzi Internet never forgets: rimuovendo un contenuto non si avrà mai la certezza di averlo eliminato definitivamente.
Cyberspazio, serve una nuova bussola di Gabriele Della Morte Per un giudice è molto difficile leggere quello che c’è nell’algoritmo e capire l’elemento discriminatorio originario, perché questo nel frattempo è stato trasformato dalle informazioni che ha incamerato
Ecco come non cadere nelle cybertruffe di Marco Della Vedova La rete può essere fonte di spiacevoli inganni e chi naviga senza conoscere alcuni accorgimenti può, come si dice, essere “cybertruffato”. Bastano tre trucchi per essere più sicuri.
di Federico Tonioni Il gaming non va demonizzato, bisogna preoccuparsi solo se ci sono segni di
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omunicare Covid, il diritto alla cura entra nelle aule di giustizia La pandemia, con il sistema sanitario in tilt, stimolerà molte cause legali
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La Radiologia interventistica nel trattamento dei tumori Nuove opzioni di trattamento alternative o d’ausilio a quelle chirurgiche
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I passaggi di fascia dei professori della sede di Roma Maria Antonietta Dì’Agostino ordinario di Reumatologia
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Il collegio, un’esperienza che unisce anche le distanze La testimonianza del San Damiano nella sede romana della Cattolica
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Algoritmi e gestione sanitaria Un progetto di ricerca su governance senza governo della società algoritmica
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La Bibbia, un libro da portarsi a lezione. Ogni giorno Spiritualità. «Un seme destinato a dare frutto a suo tempo»
Comunicare – Anno 32. Nuova serie Numero 101 – Gennaio - Febbraio 2021 Bimestrale di informazione interna della sede di Roma dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
HANNO COLLABORATO IN REDAZIONE
DIRETTORE Franco Anelli DIRETTORE RESPONSABILE Francesco Gemelli REDAZIONE Patrizia Del Principe (referente), Francesca Fusco
Sergio Bonincontro, Paolo Bonini, Maria Luisa Di Pietro
SEGRETERIA E UFFICIO DI REDAZIONE Largo Francesco Vito, 1- 00168 Roma Tel. 0630155825-063015715 e-mail: redazione.comunicare@unicatt.it https://www.unicatt.it/giornalisti-e-media-comunicare
Nicola Cerbino, Federica Mancinelli
HANNO COLLABORATO AI TESTI FOTO Servizio Fotografico Università Cattolica - Roma Chiuso in redazione il 27 febbraio 2021 Autorizzazione del Tribunale di Roma n.390 del 15/6/1990
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Covid e azioni legali
Covid, il diritto alla cura entra nelle aule di giustizia di Antonio Oliva *
La pandemia, con il sistema sanitario in tilt, rischia di stimolare molte cause legali Eppure il Covid-19 ha impartito un forte impulso trasformativo in chiave d’innovazione
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l diritto alla salute, garantito dalla costituzione repubblicana, con la pandemia ha assunto nuove dimensioni di significato, che si muovono necessariamente tra il polo dei diritti (innanzitutto il diritto del cittadino a trovare risposte a tutti i suoi bisogni di salute) e quello dei doveri (quelli in capo alle istituzioni e alle strutture sanitarie di erogare sia le prestazioni emergenziali che quelle tradizionali). L’abnorme pressione esercitata dalla pandemia, soprattutto ai suoi esordi, ha senz’altro travolto e sconvolto il Servizio sanitario nazionale (Ssn). Già nelle primissime fasi era entrata in fermento una discussione sui profili di responsabilità dei decisori politici e delle strutture sanitarie. Tale discussione, però, – almeno in quel momento – era stata
confinata ai soli addetti ai lavori dalla solida diga del pensiero giuridico e medico-legale italiano, che, forte degli insegnamenti di maestri, come l’Antolisei, disconosce la responsabilità sanitaria di fronte a un evento assolutamente sconosciuto e imprevedibile. Con il proseguire della crisi pandemica, e quindi l’approfondirsi delle conoscenze sulla malattia, si è però diff usa tanto nell’opinione pubblica quanto tra gli esperti la netta percezione che, superato il momento di stunningg iniziale, in capo ai decisori politici e ospedalieri vi sia l’onere di garantire sicurezza sanitaria ed efficienza organizzativa. In fondo, risale ad Hobbes l’idea che i governi siano stati inventati prima di tutto per difendere gli uomini dall’entropia e dall’aggressività della natura, ed è quin-
di più che naturale che i cittadini pretendano risposte alle proprie paure e ai propri bisogni. La pandemia è indubbiamente l’evento globale più critico dall’ultima guerra mondiale e l’approccio alle criticità che ha introdotto non è certamente né ovvio né semplice. Diverse nazioni hanno infatti strutturato diversi modelli di risposta alla crisi pandemica. Il nostro Paese, per esempio, ha realizzato un modello su base regionale, con differenziazioni di fascia di rischio (il cosiddetto “colore”). Alla luce delle evidenze scientifiche attuali, tale modello, accompagnato da un rigoroso monitoraggio dei contagi e degli spostamenti interregionali, è in grado di contenere la spesa pubblica ed evitare la saturazione delle capacità ospedaliere regionali.
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Una diversa strategia è stata adottata in Svezia: il modello svedese, imponendo poche limitazioni, si appella prevalentemente al senso di responsabilità individuale. Tuttavia, questa strategia è stata messa in discussione dal preoccupante andamento degli indicatori epidemiologici e, in particolare, da quello del tasso di mortalità (alto anche rispetto ai propri vicini scandinavi). È indubbio, tuttavia, che il Covid-19 abbia impartito anche un forte impulso trasformativo, che, nelle strutture sanitarie più virtuose, si è trasformato in uno stimolo innovativo. Per esempio, la Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs si è evoluta per adattarsi alla crisi, mostrandosi in grado di rispondere anche ai bisogni di salute tradizionali e registrando, peraltro, nel settore chirurgico, un incremento dei casi trattati rispetto al periodo pre-pandemico, poiché ha vicariato le strutture territoriali in cui i reparti chirurgici sono stati chiusi. Inoltre, la Fondazione è stata riorganizzata per tutelare i pazienti “fragili”, in particolar modo i malati oncologici. La tutela dei pazienti oncologici è un tema estremamente sensibile: come descritto da Mark Lewis, questa categoria si trova attualmente “tra Scilla e Cariddi”, ovvero tra il rischio di infezioni nosocomiali (aumentato in questi pazienti) e quello di rinviare le cure evitando di recarsi in ospedale (compromettendo eventualmente le proprie possibilità di miglioramento e di sopravvivenza). Attraverso una consapevole differenziazione dei percorsi e un’attenta allocazione delle risorse tecniche e umane, la Fondazione ha garantito sia la
sicurezza dei malati che la continuità dei servizi di diagnosi e cura a loro rivolti. In molte realtà virtuose, l’impulso trasformativo-innovativo è divampato non solo nel settore della prevenzione dei contagi intra-ospedalieri e dell’organizzazione dei servizi, ma ha altresì catalizzato la formazione di efficienti network di coordinamento regionale e confronto (come è avvenuto nel Lazio) nonché lo sviluppo e la diff usione della telemedicina e della tecno-assistenza. Tuttavia, non tutte le strutture sul territorio nazionale sono riuscite a rispondere ai bisogni di salute dei pazienti in termini di efficienza, efficacia e sicurezza. Le principali vittime della cattiva organizzazione dei servizi sono state e sono i pazienti “fragili”, come gli anziani e i soggetti affetti da policomorbidità. Non riuscire a garantire efficienza e sicurezza ai soggetti fragili equivale a costringerli a operare scelte penalizzanti, quali quella di esporsi al rischio infettivo in ospedale o interrompere il percorso assistenziale. Il tema della responsabilità medica in corso di pandemia troverà ampio spazio in ambito processuale per tutto il prossimo decennio, in ragione dei lunghi termini di prescrizione garantiti dall’attuale ordinamento. In risposta alle indubbie difficoltà del Ssn a rispondere alla situazione sanitaria in atto, non è difficile prevedere una forte inflazione dei procedimenti giudiziari, la quale non potrà che essere ulteriormente detonata dalla crisi economica causata dal lockdown. Infatti,
i cittadini, gravati dall’attuale crisi economica del Paese, potrebbero intravedere nello strumento risarcitorio un modo per recuperare lo svantaggio economico sofferto in questi mesi. Gli ospedali avranno non poche difficoltà a resistere alle istanze risarcitorie, poiché in diverse strutture le prestazioni sono state erogate in maniera discontinua o non sono state affatto erogate. Ciò è importante perché ricade sull’ospedale l’onere di provare che l’inadempimento o il ritardo diagnostico e/o terapeutico sia stato determinato da causa a esso non imputabile. Si deve infine sottolineare che i giudici non possono far altro che applicare la legge e pronunciarsi in merito alle specifiche vicende, in quanto non è possibile tenere in considerazione ciò che non appartenga alla sfera processuale. Spetta quindi ai politici la possibilità e il dovere di creare degli strumenti legislativi che tengano conto dell’eccezionalità di questa situazione, evitando di intercorrere in un’inflazione del contenzioso (per esempio introducendo invece dei risarcimenti giudiziari la possibilità di indennizzo statale). In caso contrario, gli organi giudiziari, già provati dal significativo carico di lavoro post-lockdown, verrebbero definitivamente saturati e, condizione ancor più preoccupante, il Paese andrebbe incontro a un ulteriore impoverimento determinato dal sostenimento della spesa economica e dei trasferimenti di ricchezza comportati dai procedimenti civili. * docente di Medicina Legale, facoltà di Medicina e chirurgia, Università Cattolica
Diritto alle cure e implicazioni medico-legali WEBINAR
ontroversie nelle misure di lockdown: tutela del Diritto alle cure ed implicazioni medico-legali è il tema del webinar, promosso il 29 gennaio dalla Sezione di Medicina legale del dipartimento di Sicurezza e Bioetica dell’Università Cattolica. L’incontro è stato moderato dal professor Antonio Oliva e da Silvia Sciorilli Borrelli, giornalista e corrispondente per il Financial Times. Sono intervenuti Rocco Bellantone preside della facoltà di Medicina e chirurgia
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dell’Università Cattolica, Giovanni Scambia, direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, Mario Di Bernardo, docente di Automatica all’Università degli Studi di Napoli Federico II, Anders Tegnell, epidemiologo di Stato in Svezia, i professori dell’Università Cattolica Roberto Cauda (Malattie infettive), Filippo Crea (Cardiologia), Lorenzo Zileri Dal Verme (Medicina interna), Gianpaolo Tortora (Oncologia medica), Vincenzo
Valentini (Diagnostica per immagini e radioterapia), Sergio Alfieri (Chirurgia Generale), Andrea Cambieri, direttore sanitario Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, Alberto Cisterna, presidente della XIII Sezione Civile del Tribunale di Roma, Vincenzo Pascali, docente di Medicina legale e coordinatore della Sezione di Medicina legale e delle assicurazioni del dipartimento di Sicurezza e Bioetica della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Ateneo.
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La radiologia interventistica nel trattamento dei tumori con operazioni mini-invasive di Roberto Iezzi *
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a Radiologia interventistica è un’ultra-specialità clinica della Radiologia focalizzata sulla diagnosi e sul trattamento mininvasivo di numerose patologie mediante la guida e il controllo delle metodiche radiologiche che, grazie allo sviluppo tecnologico avvenuto negli ultimi anni, rappresenta uno dei campi più in evoluzione della medicina. Il miglioramento delle metodiche radiologiche, l’introduzione di nuove tecniche e materiali di ultima generazione, sempre più sofisticati, dedicati e soprattutto di calibro ridotto, insieme al bisogno della medicina moderna di trattare le patologie in maniera sempre meno invasiva per il paziente ha fatto sì che tali trattamenti registrassero una sempre maggiore affermazione andando a rappresentare una valida alternativa ai trattamenti chirurgici tradizionali invasivi. Alla luce di tale evoluzione, nel corso degli ultimi venti anni si è andata delineando una nuova figura professionale, quella del medico radiologo interventista, che interagisce direttamente con i pazienti offrendo nuove opzioni di trattamento. La radiologia interventistica oncologica fornisce nuove opzioni di trattamento alternative o d’ausilio a quelle chirurgiche, quali l’esecuzione di termoablazioni, o anche alternative a terapie chemioterapi-
che o radioterapiche, quali la chemioembolizzazione o radioembolizzazione mediante le quali la dose di chemioterapico o la dose radiante viene somministrata in maniera selettiva negli organi patologici, con ridotta tossicità sistemica ed effetti collaterali. I trattamenti vengono eseguiti in maniera mini-invasiva percutanea, ossia senza richiedere alcuna esposizione chirurgica dei distretti corporei su cui si opera, prevalentemente in anestesia locale, in alcuni casi associata a una sedazione profonda, senza necessità di anestesia generale. Ne conseguono ovviamente un minore stress procedurale per il paziente, la riduzione del dolore, degli effetti collaterali e delle complicanze, nonché dei tempi di ricovero ospedaliero e una più rapida ripresa delle normali attività quotidiane, rispetto a quanto avviene con i pazienti trattati con le terapie convenzionali. La Radiologia interventistica del Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs rappresenta un centro di riferimento nazionale e internazionale con più di 3.500 procedure eseguite ogni anno, utilizzando le più innovative procedure e tecnolo-
MioLive, Mediterranean Interventional Oncology MEETING
i è svolta lo scorso 25 e 26 gennaio, in modalità virtuale per le attuali criticità pandemiche, la sesta edizione del MioLive, Mediterranean Interventional Oncology, meeting teorico-pratico internazionale, focalizzato all’approfondimento delle più innovative tecniche e tecnologie utilizzate nell’ambito della Radiologia interventistica oncologica, promosso dal dipartimento di
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Diagnostica per immagini, radioterapia oncologica ed ematologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e dal dipartimento di Scienze radiologiche ed ematologiche dell’Università Cattolica. Hanno presieduto il congresso i professori Cesare Colosimo e Riccardo Manfredi, docenti di Radiologia all’Università Cattolica, e il dottor Roberto Iezzi.
gie, grazie soprattutto a una stretta collaborazione con tutti gli altri specialisti clinici. Mio-Livee nasce proprio dalla stretta collaborazione con gli oncologi, diretti dal professor Giampaolo Tortora, i radioterapisti oncologi, diretti dal professor Vincenzo Valentini, con gli epatologi e gastroenterologi del gruppo del professor Antonio Gasbarrini, e con i chirurghi epatobiliari, dei trapianti e addominali, coordinati dai professori Felice Giuliante e Salvatore Agnes. Questa stretta collaborazione multidisciplinare consente di ottenere una corretta selezione dei pazienti che possono giovarsi a pieno della disponibilità di tecnologie avanzate e dell’eccellenza delle diverse e integrate metodologie impiegate al Gemelli con i migliori risultati in termini di successo tecnico, guarigione e sopravvivenza dei pazienti. * Ricercatore di Radiologia all’Università Cattolica, Radiologo Interventista dell’Uoc di Radiologia d’urgenza della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs
Università Cattolica del Sacro Cuore
Passaggi di fascia Professori di prima fascia Dal 1° agosto 2020 Maria Antonietta D’Agostino, MD, PhD, è professore ordinario di Reumatologia e direttore della Scuola di Specializzazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Roma e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. La professoressa D’Agostino è stata ordinario di Reumatologia all’Università di Versailles-Saint-Quentin, Francia, dal 2010 al 2020 e, dal 2016, è onorario di Reumatologia all’Università di Leeds, Regno Unito, e visiting professor nel dipartimento di Epidemiologia dell’Università VU di Amsterdam, Olanda. Le sue attività di ricerca scientifica nell’ambito di una medicina di precisione si focalizzano sullo sviluppo dell’imaging come biomarcatore per la presa in carico delle patologie reumatologiche e del suo utilizzo in associazione ad altri biomarcatori clinici, tissulari, e serologici. L’attività di ricerca della professoressa D’Agostino si estende dall’approccio metodologico di proof of concept nell’ambito dello sviluppo di outcome measures fino ai grandi studi clinici interventistici e osservazionali a livello nazionale e internazionale.
Dal 2010 è membro del comitato esecutivo dell’Omeract (Outcome Measures in Rheumatology), dove è responsabile dello sviluppo e della standardizzazione dell’imaging e dei surrogati biomarkers. Dal 2010 al 2014 è stata presidente del Comitato permanente Eular European League Against per Rheumatisms) l’imaging in reumatologia e da allora è Eular Honorary Member.
Professori di seconda fascia Dal 1° gennaio ha assunto la qualifica di professore di seconda fascia Cristian Ripoli nel dipartimento di Neuroscienze. Dal 1° febbraio il professor Valter Perilli nel dipartimento di Scienze biotecnologiche di base, cliniche intensivologiche e perioperatorie.
Ricercatori universitari Dal 1° gennaio hanno assunto la qualifica di ricercatori a tempo determinato Daniela Pia Rosaria Chieffo presso il dipartimento di Scienze della vita e sanità pubblica e Rossella Cianci presso il dipartimento di Medicina e chirurgia traslazionale.
VATICANO
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orna l’appuntamento con i passaggi di fascia del personale docente della sede di Roma.
Roberto Bernabei è il nuovo medico personale del Papa ominato da Francesco il 24 febbraio scorso, Roberto Bernabei, ordinario di Medicina interna e Geriatria dell’Università Cattolica di Roma, prende il posto del dottor Fabrizio Soccorsi che ha seguito e curato il Pontefice sin dal 2015 ed è scomparso nel gennaio scorso per complicanze legate al Covid-19. Bernabei si è laureato nel 1976 in Medicina e Chirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma e si è specializzato in Medicina interna e in Malattie dell’apparato cardiovascolare. Oggi è ordinario di Medicina interna e Geriatria e direttore della Scuola di specializzazione in Geriatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma; direttore del dipartimento di Scienze dell’invecchiamento, neurologiche, ortopediche e della testa-collo della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, sempre a Roma. Tra i vari incarichi, è stato anche presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e membro dell’European Academy for Medicine of Ageing. Ha pubblicato numerosi lavori e contributi a carattere scientifico.
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Cessazioni Dal 1° marzo hanno concluso l’attività alla sede di Roma dell’Università Cattolica il professor Roberto Colombo, il dottor Luciano De Giovanni e il dottor Giuseppe Nucara.
Sono tornati alla Casa del Padre iamo notizia a tutta la comunità universitaria che il 3 febbraio è venuto a mancare il professor Francesco Fanfani. Si era laureato in Medicina e chirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1976, dove si è Specializzato
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in Ortopedia e Traumatologia nel 1979. Ha ricoperto il ruolo di professore associato in Ortopedia e Chirurgia della mano ed è stato direttore della Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dal 2013 al 2017.
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Dal Corpo docente
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Dal Centro Pastorale
Il collegio, quando il distanziamento unisce di Matteo Fracasso *
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n anno fa questi erano giorni di incertezza, di disorientamento, di paura degli altri e per gli altri. Oggi ci ritroviamo catapultati in una prospettiva diametralmente opposta, con una voglia di abbattere le barriere e le distanze che fino a poco tempo prima costruivamo con scrupolosa cura. Il Collegio è stato il fulcro della trasformazione sociale che i ragazzi hanno sviluppato e sviluppano tuttora, ponendosi un po’ come modello di un ideale, quello secondo cui la distanza non abbatte la socialità, ma piuttosto la amplifica e la valorizza. In poco tempo è diventato estremamente spontaneo e naturale svolgere incontri, assemblee, momenti di comunità attraverso i mezzi che la tecnologia moderna ci offre, senza avvertire il senso di limitazione, ma piuttosto avvalendosi di strumenti nuovi e per certi aspetti più potenti di quelli utilizzati prima dell’emergenza. I rapporti interpersonali ne hanno paradossalmente giovato, con la lontananza che ha spinto i nostri ragazzi a cercare con più frequenza il contatto umano con l’altro, a condividere paure, preoccupazioni, insicurezze, ma anche gioie, successi, prospettive. Le attività di quest’anno sono state molteplici e innovative, dettate dalla necessità di ingegnarsi su nuovi modi di stare insieme e dalla creatività dei collegiali. Su tutte, gli incontri di Catechesi d’Avvento hanno rappresentato un’esperienza straordinaria, dovuta sia
al contesto che ha reso i contenuti carichi di significato, sia alla modalità con cui sono stati svolti. Abbiamo infatti abbinato la possibilità di seguire gli incontri in presenza all’opportunità di connettersi online, e di partecipare in tempo reale. Importante è stata anche la partecipazione ai Cineforum, che mai come quest’anno sono stati un momento di condivisione. Tra tutti, l’appuntamento in occasione della Giornata della Memoria è stato particolarmente sentito, registrando un’affluenza quasi totale da parte della comunità collegiale presente in struttura, e una grande partecipazione di chi invece ha seguito online. Si è di fatto conservato, e in certi aspetti migliorato, l’ambiente per il quale una struttura come quella dei Collegi in Campus è pensata e progettata, in un modo che sicuramente non ci aspettavamo, ma che, complice anche la guida della Direzione, ha tratto dai collegiali risorse che i ragazzi in primis non pensavano di avere. Nel tirare le somme dell’anno appena trascorso, diventa più semplice vedere questo momento difficile come un dono, nonostante le difficoltà che, nostro malgrado, siamo stati costretti a fronteggiare. È stato un anno che ha insegnato tanto a ciascuno di noi, e che ha accresciuto lo spessore umano e morale dei nostri ragazzi, rendendoli più responsabili e capaci di trarre energie e motivazioni anche da condizioni che all’apparenza potevano sembrare limitanti. * vicedirettore collegio “San Damiano” – Roma
Giornata per la Vita, ricordo di Carlo Casini omenica 7 febbraio, in occasione della 43ma Giornata per la Vita, il Centro pastorale della sede di Roma, per iniziativa di don Nunzio Currao e padre Loreto Fioravanti, ha organizzato un momento di raccoglimento nella Chiesa del secondo piano dedicata a San Giovanni Paolo II. Prima della Santa Messa celebrata dal vescovo monsignor Paolo Ricciardi – che nell’intensa omelia ha ricordato l’importanza anche civile di tutelare la vita dal concepimento alla morte – i presenti hanno potuto ascoltare la testimonianza di Marina Casini su suo padre Carlo, storico presidente del Movimento per la Vita, nato al Cielo il 23 marzo scorso dopo una terribile malattia vissuta con profonda fede cristiana. La dottoressa Casini ha ricordato la figura del padre dando voce ad alcuni suoi scritti a partire dal breve racconto sulla famiglia di origine, soffermandosi poi sulla sua formazione umana e cristiana, sulla professione di magistrato, sulla vicenda che lo ha portato nel mondo della politica per difendere la dignità di ogni essere umano sin dal momento in cui “dal nulla compare all’esistenza nel concepimento”, sulla sua radicata convinzione che nel riconoscimento del concepito come uno di noi ci sia l’energia per un rinnovamento morale e civile dell’intera società e la prima pietra di un nuovo umanesimo. Infine, l’attenzione si è spostata con molta discrezione sulla dimensione della fede e qui la Casini ha letto una frase del padre che ha commosso i presenti: “Sono certo che non vi è nulla di più profondamente umano del bisogno di infinito e di amore. La disperazione nasce dalla solitudine teologica, cioè dall’eclissi del senso di Dio. Ma Dio di fatto è presente nel cuore di ogni uomo e per scoprire il senso della vita anche nella sofferenza bisogna ultimamente ascoltare la sua voce” (Buenos Aires, terzo incontro di politici e legislatori dell’America latina, 3-5 agosto 1999). Una figura, quella di Carlo Casini, che – come ha detto Francesco Ognibene in occasione del convegno dei Centri di Aiuto alla Vita – attira “perché più lo scopriamo più sono convinto che sarà affascinante e affascinerà tanta gente”.
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Università Cattolica del Sacro Cuore
Algoritmi e Gestione sanitaria iniziato nel mese di marzo il percorso scientifico battuto dal Gruppo di ricerca dell’Università Cattolica su “Algoritmi e Gestione sanitaria”, coordinato dal professore di Medicina del lavoro Antonio Oliva e composto dal professore di Statistica economica Giuseppe Arbia, dal professore di Diritto costituzionale e già ministro della Salute Renato Balduzzi, dal professore di Diritto penale Matteo Caputo, dal professore di Igiene generale e applicata Gianfranco Damiani, dal dottorando in Scienze biomediche di base e Sanità pubblica Simone Grassi e dalla professoressa di Sociologia generale Linda Lombi. Il gruppo afferisce al progetto “Funzioni pubbliche, controllo privato. Profili interdisciplinari sulla governance senza governo della società algoritmica”, finanziato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore con Linea D3.2 e portato avanti in sinergia con altri due sottogruppi, guidati dai professori Gabriele Della Morte (principal investigator) e Giovanna Mascheroni, professori, rispettivamente, di Diritto internazionale e Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla sede di Milano dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
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Fondazione Policlinico Gemelli Irccs acquista Columbus a Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs ha acquistato a titolo definitivo il Complesso integrato Columbus (Cic), il cui personale, dal 1° febbraio, proseguirà il proprio rapporto di lavoro alle dipendenze della Fondazione che ha tutelato gli oltre 660 posti. L’acquisizione del Columbus rappresenta grande soddisfazione anche per l’Ateneo che ha dato e darà il suo contributo con l’apporto di conoscenze, competenze e diffusione di corrette informazioni che molti nostri docenti erogano ogni giorno, a dimostrazione dell’unicità del valore e del ruolo della nostra scuola medica cattolica, dove accompagnare l’impegno professionale con il patrimonio di valori umani che sono alla base dell’identità e della mission.
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Scienza e cultura
La comunicazione sanitaria in tempo di pandemia emergenza sanitaria ha evidenziato quanto sia fondamentale una buona comunicazione in tempo di pandemia, in seguito alla continua circolazione di informazioni spesso non verificate che ha reso complicato riuscire a districarsi tra notizie certe e fake news. Alla formazione di professionisti che operano nell’ambito della comunicazione aziendale con specifico riferimento al settore sanitario, sia pubblico che privato risponderà il master in Comunicazione sanitaria, promosso per iniziativa dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari (Altems) in collaborazione con l’Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo (Almed) e delle facoltà di Economia, di Lettere e filosofia e di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. Il master avrà la durata di un anno accademico, con inizio nel mese di marzo in modalità interamente online con una formula in streaming nei weekend e con videolezioni nel corso delle settimane. Prestigioso il Comitato composto da giornalisti di primo piano: Marzio Bartoloni, Laura Berti, Chiara Bidoli, Maria Emilia Bonaccorso, Don Simone Bruno, Gerardo D’Amico, Cesare Fassari, Sandro Franco, Riccardo Iacona, Roberto Iadicicco, Giancarlo Loquenzi, Adelisa Maio, Carla Massi, Vincenzo Morgante, Elvira Naselli, Andrea Pancani, Luciano Onder, Luigi Ripamonti, Marco Tarquinio.
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Comunicaree
Scienza e cultura
Le proposte Altems per la formazione manageriale ue i webinar organizzati dall’Alta Scuola di Economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica (Altems) che si sono svolti rispettivamente nel mese di gennaio e di febbraio. “Nuovi approcci per l’innovazione tecnologica in sanità: Università e aziende per l’executive account di oggi e di domani” del 25 gennaio, direttamente connesso al master di secondo livello in Bio Executive Account Manager che ha come scopo principale quello di fornire ai partecipanti competenze manageriali, una visione olistica e soft skill caratterizzanti l’Account Manager. Il 12 febbraio, con il webinar “Le competenze manageriali per il Servizio Sanitario Nazionale”, sono stati presentati due corsi per la formazione manageriale. “Metodologie e strumenti per il management sanitario in organizzazioni complesse”, rivolto ai dirigenti sanitari. Indirizzato particolarmente a medici, veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi, per lo svolgimento di incarichi di direzione di strutture complesse, per 100 ore di lezione e “Governo strategico delle aziende e dei servizi sanitari”, rivolto ai direttori generali, sanitari e amministrativi delle aziende e degli enti del Sistema Sanitario della Regione Basilicata per 218 ore di lezione. I corsi, iniziati nel mese di febbraio sono erogati in modalità flipped classroom, alternando momenti formativi sincroni e asincroni, durante i quali saranno trasmessi contenuti teorici e teorico-pratici su temi strategici per l’organizzazione sanitaria.
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Sessualità, fertilità, ambiente e stili di vita ffrire conoscenze sulle condizioni e sulle cause, che possono danneggiare la fertilità femminile e maschile. Fornire strumenti per disegnare e realizzare interventi di riduzione del rischio attraverso il miglioramento degli stili di vita individuali e collettivi e progettare interventi culturali e socioeconomici che possano favorire la transizione verso una primavera demografica nel nostro Paese. Questi i principali obiettivi del corso di perfezionamento in Sessualità, fertilità, ambiente e stili di vita promosso dal Centro di ricerca e studi sulla Salute procreativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, diretto dalla professoressa Maria Luisa Di Pietro. Il corso, erogato in modalità online e organizzato in quattro moduli, è iniziato il 12 marzo scorso. Partendo dal concetto di “salute preconcezionale” in un’ottica di sanità pubblica, se ne analizzeranno – nel primo modulo – i determinati (alimentazione, attività fisica, ambiente di vita e lavoro, comportamenti di consumo, stato vaccinale, dipendenza da Internet), le conoscenze e i comportamenti. Il secondo modulo è dedicato alle condizioni di patologia maschile e femminile che possono ridurre la fertilità, con un focus anche sulla preservazione della fertilità a fronte di una patologia oncologica. Il terzo e il quarto modulo prenderanno in esame gli aspetti antropologici, etici, educativi e sociali, con una particolare attenzione agli aspetti della comunicazione di massa e alle ricadute delle politiche demografiche ed economiche sulle scelte procreative. Il Corso è rivolto a medici, psicologi, ostetriche, infermieri, insegnanti, educatori, religiosi, religiose e sacerdoti operanti in contesti educativi.
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Allievi, docu-serie medical con gli specializzandi della Cattolica asce Allievi, una docu-serie tv in sette puntate, in onda su TV2000 che vede protagonisti i medici specializzandi della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica che operano all’interno del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs. Il programma di Chiara Salvo, in onda dal 15 marzo in seconda serata è stato presentato il 4 marzo nell’Aula Brasca del Policlinico Gemelli. Sono intervenuti: Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Rocco Bellantone, preside della Facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli”, Filippo Anelli, presidente della Fnomceo Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Vincenzo Morgante, direttore di TV2000, Diletta Barone, specializzanda in Oncologia medica alla Cattolica, e l’autrice Chiara Salvo. Per l’occasione il ministro dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa ha inviato un messaggio di auguri agli specializzandi di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica «per la partecipazione a questa interessante iniziativa che contribuisce a comunicare e avvicinare la società alla quanto mai fondamentale professione medica». In ogni puntata la giornata tipo di tre specializzandi, che si interfacciano con i pazienti e i medici del Gemelli. Il risultato è un racconto corale dell’umanità dei medici e dei malati, la vita quotidiana dei reparti, con il carico di emozioni, passioni, trepidazioni, fatiche e speranze.
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Università Cattolica del Sacro Cuore
Alla scuola della Parola
La Bibbia, un libro da portarsi a lezione compagno di ogni percorso educativo di monsignor Claudio Stercal *
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11 aprile 2002, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Scienze dell’educazione, il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) concluse la sua lectio magistralis, nell’Aula Magna dell’Università Cattolica, invitando «ciascuno a fare esperienza di quelle parole con cui Paolo ricorda a Timoteo che “tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tim 3,16)». Il desiderio dell’allora Arcivescovo di Milano era che l’insegnamento dell’apostolo Paolo rimanesse in Università come frutto di quell’evento: «Se sarà così, non si sarà soltanto trattato di una cerimonia esteriore, ma di un seme destinato a dare frutto a suo tempo». A distanza di quasi vent’anni, può essere interessante provare a valutare il frutto lasciato da quell’invito, proposto in una cerimonia che fu, allo stesso tempo, un solenne atto accademico e un momento di intensa condivisione dell’impegno educativo. Il cardinal Martini presentò la Bibbia come «il grande libro educativo dell’umanità» e articolò in cinque ambiti fondamentali la sua funzione educativa. Anzitutto, «come libro letterario, perché è un libro che crea un linguaggio comunicativo, narrativo e poetico di straordinaria efficacia e bellezza». In secondo luogo, «come libro sapienziale, che esprime la condizione umana» in una forma «così efficace, così attraente, così incisiva che ogni persona umana, di qualunque continente e cultura, può sentirsi specchiata almeno in qualche parte di essa». E ancora, «come libro storico», poiché fornisce «un paradigma storico valido per l’intera storia
dell’umanità». Per i credenti, inoltre, è un grande libro educativo anche «perché libro dello Spirito santo che muove il cuore al vero e al bene», «stimola ogni energia positiva» e «smaschera le trappole e gli infingimenti che ostacolano il cammino della santità cristiana». Infine, «mette al centro Dio educatore», che opera con «un processo personale e insieme comunitario, graduale e progressivo, con momenti di rottura e salti di qualità, confl ittuale, energico, progettuale e liberante», processo che si compie «in maniera esemplare nella vita di Gesù». Non è difficile, allora, riconoscere come la Bibbia possa costituire in Università, e non solo nella nostra, un punto di riferimento importante per stimolare e accompagnare ogni passaggio della riflessione umana, per far maturare nell’esercizio responsabile della libertà, per sostenere nella dedizione all’insegnamento, allo studio e alla ricerca, per illuminare il percorso, a volte tormentato, della ricerca di senso.
Singole iniziative, naturalmente, possono concretizzare questo cammino. Ne ricordiamo alcune attualmente proposte nel nostro Ateneo: la costante attenzione, negli insegnamenti e nei progetti di ricerca, alle possibili intersezioni con i grandi temi biblici; la presenza dei corsi di teologia e le varie forme di collaborazione sviluppate con l’intero corpo docente; le attività del “Centro Pastorale”; la rubrica “Parola del giorno”, che offre un commento quotidiano, preparato da docenti di diverse discipline, al Vangelo della liturgia eucaristica quotidiana; il percorso di lettura “insieme” di un capitolo al giorno del Nuovo Testamento. Molto altro c’è e molto altro potrà ancora essere progettato e realizzato per continuare a perseguire l’obiettivo lasciatoci in eredità dal cardinal Martini: farsi accompagnare dalla Scrittura in ogni percorso educativo, affinché «l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tim 3,16). * Docente di Teologia, Università Cattolica del Sacro Cuore
Comunicare
Spiritualità
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97 GIORNATA PER a
L’UNIVERSITÀ CATTOLICA
DOME NICA
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UN SECOLO DI STORIA DAVANTI A NOI
Con i fondi raccolti in occasione della Giornata universitaria
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BORSE DI STUDIO E CONTRIBUTI DI SOLIDARIETÀ A STUDENTI MERITEVOLI
400
INSEGNANTI DI TUTTA ITALIA PARTECIPANTI A CORSI DI FORMAZIONE
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BORSE DI PERFEZIONAMENTO LINGUISTICO
12
BORSE INTERNAZIONALI DI FORMAZIONE POST LAUREA
9.000
GIOVANI TRA I 18 E I 29 ANNI COINVOLTI NEL “RAPPORTO GIOVANI”, L’INDAGINE RICONOSCIUTA COME LA PIÙ AUTOREVOLE IN ITALIA CON APPROFONDIMENTI SULL’IMPATTO DELL’EMERGENZA SANITARIA NELLA VITA DELLE NUOVE GENERAZIONI
PROMUOVERE, CON L‘OSSERVATORIO GIOVANI E IL NUOVO PROGETTO “LABORATORIO FUTURO”, RIFLESSIONI SU TEMI STRATEGICI PER LA RIPRESA DEL PAESE POTENZIARE ULTERIORI INIZIATIVE PER SOSTENERE LE IMMATRICOLAZIONI E I PERCORSI UNIVERSITARI DEGLI STUDENTI MERITEVOLI, IN DIFFICOLTÀ A CAUSA DELLA CRISI ECONOMICA
10.000
PARTECIPANTI A 30 INCONTRI ONLINE DI PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO GIOVANI E SU TEMI DI ATTUALITÀ
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