la voce
Pisa, 23-05-2013
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Perché liberiamo la voce Libera è la più grande associazione antimafia. Nata nel 1995, sulla scia del periodo stragista (’92-’93), ha come obiettivo ultimo il riscatto della società civile dal giogo mafioso.
Giancarlo Siani, (Napoli, 19 settembre 1959 Napoli, 23 settembre 1985) Giornalista presso “Il Mattino” fu assassinato in seguito alle sue inchieste sul clan camorristico dei Nuvoletta.
Articoli Editoriale
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Finestra sulla città
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intorno ai 15 miliardi di euro. Una lettura da capogiro, con riferimenti a Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra, mafia russa e mafia cinese. Il semplice fatto che la situazione sia latente, non significa che non La nascita di un Presidio di Libera sia pericolosa. in un territorio così distante dalle “tradizionali” terre di mafia è per Libera e, qui a Pisa, il Presidio alcuni un fatto strano: in molti “Giancarlo Siani” si propongo di non colgono l’utilità di fare diffondere la cultura della antimafia in questa regione, in Legalità e dell’antimafia. Che ci questa provincia. facciamo a Pisa? Noi siamo qui perché questa terra possa contare Il Presidio di Libera Pisa, nato nel sull’onestà dei propri cittadini; a Novembre 2012, è dedicato ad un partire dalla tua: ognuno è giornalista: Giancarlo Siani. Fin indispensabile. da quel momento, ci hanno domandato: “Perché a Pisa?” Il Presidio opera in due modi: formazione e informazione. Nessuna terra è immune per La formazione riguarda i percorsi natura alla mafia. Le regioni più nelle scuole di ogni livello, gli prospere, dove il denaro circola incontri con i giornalisti, le più facilmente, sono quelle che presentazioni di libri. più fanno gola ai consorzi L’informazione avviene tramite il mafiosi. giornalino. Nessuna terra è immune, ma può contare sui propri figli, sui propri Da quando siamo nati ad oggi, il cittadini. Questo è l’insegnamento gruppo è cresciuto e si è che Libera si propone di dare. consolidato. Non nascondo la mia gioia nell’aver assistito al L’ultimo rapporto della successo di questo progetto. fondazione Caponnetto è del 2011. Esso stima il fatturato delle La prima cosa che puoi fare è mafie nella sola regione toscana seguire le nostre iniziative, il
passo successivo è partecipare. Libertà è partecipazione! E partecipazione significa assumersi le proprie responsabilità. Delegare, rassegnarsi non è mai stata una soluzione. L’indifferenza fa il pari con la complicità.
Si tratta quindi di scegliere: tu da che parte stai? Sarai parte della soluzione o parte del problema?
Storia di un ventennio 3-4
Presidiolibera.pisa@gmail.com Facebook: Presidio Libera Pisa “Giancarlo Siani” Twitter: Presidio Libera Pisa
Giacomo Saccone
Libera la voce
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Chi sono i ladri?
Foto scattata davanti alla mensa in via Martiri in data 20-05-2013
Pisa, città universitaria, città di studenti e di bici. Pisa, fine settimana, città di studenti e quel che rimane delle bici. Città di circa 86000 abitanti, con più di 50000 studenti che si recano nel centro della città quotidianamente. Il principale mezzo di trasporto, come tutti sappiamo, è la bicicletta. Grazie alle tante rastrelliere presenti vicino ai posti di lavoro ed ai vari dipartimenti è possibile trovare un loco per il proprio ciclo. Non è così il fine settimana. Piazza Garibaldi, Borgo Largo, Borgo Stretto, Piazza XX settembre, sono tra i tanti posti preferiti per posteggiare. Ma finiti i posti, dove si parcheggia la bici? Durante il week end tanti studenti sono costretti a cercare qualsiasi appiglio per poter incatenare la propria bici e le proprie speranze di ritrovarla. Pali della segnaletica stradale, pluviali, transenne per lavori in corso ed altro ancora sono strumentalizzati per assicurare la propria bici. Ma non basta. Tutti, a Pisa, hanno subito un furto o ne hanno sentito parlare. Ma chi sono i ladri? C’è una piccola differenza tra chi ruba e chi tace: il ladro, di solito, ruba per necessità, l’omertoso perché lo fa? L’omertà, per definizione consiste nel tacere, nel negare qualcosa che ci appartiene, come in questo caso, la nostra dignità. Ma quindi chi ruba? I
ladri e gli omertosi? L’omertà consiste nel defraudare la visione della realtà, costruendo muri di bugie a discapito della verità. Si sta parlando di quei muri che alziamo di fronte a gesti di frode, di fronte all’atto di furto di bici, di ruote, oppure di fronte alla stessa compravendita di un ciclo, magari il nostro. Eppure non bisogna essere eroi. Ad uno studente gli venne rubata la bici. Chiaramente non è questa la notizia, ma, dopo averla ritrovata, “in vendita” al di fuori della mensa centrale, con un po’ di “faccia tosta” disse: “Guarda che la bici è mia!!”e se la riprese. Inoltre ebbe anche la possibilità di legittimarla. Infatti, grazie ad un ulteriore catenaccio, non vincolante ma ancora presente, poté anche segnalare il furto alle forze dell’ordine dimostrandone la proprietà. Siamo liberi se siamo cittadini onesti che non si nascondono dietro a nulla. Evitiamo le solite frasi fatte “è colpa dello stato”, “la polizia non fa mai niente”, “tanto sarà sempre così”. Dice Aldo Busi in “Grazie del pensiero”<<È la vostra mafiosità spicciola, o italiani, lo zoccolo duro su cui giostra l'intero cavallo di Troia della mafia nazionale>>. Inoltre non siamo così soli in questa piccola lotta cittadina. Pisamo, che si occupa della mobilità Pisana, da anni svolge delle attività per cercare di arginare il problema. La
punzonatura è una delle tante attività intraprese. Consiste nel marchiare la propria bici con un numero. Oltre che ad essere uno strumento per poterla legittimare, è probabilmente anche un antifurto stesso, così come per i telai delle auto. Imminente l’arrivo del bike sharing Pisano. Proprio a partire da metà maggio sarà possibile condividere la bici pubblica. Probabilmente avrete già notato i primi pilastri di attacco delle bici presenti in alcune zone della città. Nel sito www.pisamo.it trovate tutte le informazioni sulla punzonatura, bike sharing, vendita delle bici rimosse e molto altro su bici, furti, statistiche e così via (anche nel link http://www.pisamo.it/interno.php? id=829&lang=it). Un proposta da lanciare al comune e alle forze dell’ordine potrebbe essere maggiori rastrelliere antifurto, maggiori forze dell’ordine notturne, magari in bicicletta, e molte altre. Ma prima di criticare, cerchiamo di dar voce alla nostra voglia di libertà quando compriamo qualcosa che forse era già nostra, anche se una semplice bici. Non nascondiamoci dietro muri di omertà liberiamo la nostra dignità. O’ pappece ra’ mafia
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Andreotti, lo statista della mafia “buona” che muore incensurato Giulio Andreotti nasce a Roma il 14 negoziazione di appoggi elettorali gennaio 1919 da genitori originari di Segni. Rimasto orfano del padre, frequenta il ginnasio al "Visconti" e il liceo al "Tasso”. Si iscrive poi alla facoltà di Giurisprudenza dove si laurea il 10 novembre del 1941 a pieni voti. La sua carriera politica inizia già nel corso degli studi universitari, durante i quali entra a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, ovvero l’unica associazione cattolica riconosciuta nelle università durante il fascismo, nella quale si formerà una gran parte della futura classe dirigente democristiana. Sette volte Presidente del Consiglio, otto volte Ministro della Difesa, cinque volte Ministro degli Esteri, tre volte Ministro delle Partecipazioni Statali, due volte Ministro delle Finanze, Ministro del Bilancio e Ministro dell’Industria, una volta Ministro del Tesoro, Ministro dell’Interno, Ministro dei Beni Culturali e Ministro delle Politiche Comunitarie, il Senatore a vita Giulio Andreotti viene assolto in primo grado il 23 ottobre 1999: si tratta di assoluzione con il comma 2 dell’articolo 530 cpp, la vecchia insufficienza di prove per capirci. In appello, il 2 maggio 2003, i giudici in parte prescrivono e in parte assolvono l’ex premier, proclamando soprattutto la prescrizione per il reato di associazione a delinquere (in quegli anni non c’era ancora il reato di associazione mafiosa, 416 bis) “commesso fino alla primavera del 1980”. Per le accuse successive alla primavera del 1980, la Corte d’appello assolve sempre con la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione conferma l’appello il 15 ottobre del 2004. Dunque Andreotti, almeno fino al 1980, ha avuto rapporti con Cosa Nostra. Ma quali? E di che tipo? Secondo la Corte d’appello Andreotti, “con la sua condotta (non meramente fittizia) ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi”. La Corte ritiene che sia stato “ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale, di spiccatissima influenza nella politica generale del Paese ed estraneo all’ambiente siciliano, il quale, nell’arco di un congruo lasso di tempo, anche al di fuori di una esplicitata
in cambio di propri interventi in favore di una organizzazione mafiosa di rilevantissimo radicamento territoriale nell’Isola.” Andreotti muore a Roma lo scorso 6 maggio e subito qualche acrobata del verbo tenta di cimentarsi in estasianti giochi di parole, atti ad elogiare le encomiabili capacità di statista del senatore a vita. Fabrizio Cicchitto: “Mediò con la mafia tradizionale, ma condusse una lotta senza quartiere contro quella corleonese”. Non si fa lasciare indietro Giulia Bongiorno, secondo cui Andreotti avrebbe avuto rapporti, in fondo, con l’“ala moderata” di Cosa nostra, o addirittura la “mafia buona”. In che cosa consisteva la “moderazione” o la “bontà” della Cosa nostra di Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Tano Badalamenti? Ma allora, quali elogi per chi, in vita, fece sì di essere il referente di alti funzionari, burocrati ministeriali e servizi di sicurezza, con un coinvolgimento personale in vicende che non lo riguardavano più sotto il profilo istituzionale? Quali glorificazioni per chi è stato definito "punciutu", ossia uomo d'onore con giuramento rituale? Quali encomi per colui che, sull’omicidio Ambrosoli, ha dichiarato: “è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando”? Quali onorificenze per chi ha mostrato, secondo quanto riporta la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 2 maggio 2003, “un'autentica, stabile ed amichevole disponibilità verso i mafiosi fino alla primavera del 1980”?
Niccolò Batini
Giulio Andreotti (Roma, 14 gennaio 1919 - Roma, 6 maggio 2013)
Il casus unicum di Michele Sindona Viaggio nella storia del celebre bancarottiere siciliano e dei suoi legami tentacolari con il Papato, la P2, la Dc, la Mafia. Invitato ad un party esclusivo in un albergo lussuoso di New York (il Woldorf Astoria) al quale partecipava secondo le voci di alcuni testimoni la crème de la crème della mafia italoamericana, il Divo lo salutò come il "salvatore della lira", contribuendo a cementificare un'amicizia forte e lunga della quale avrebbe fatto le spese sulla propria pelle più di tutti Giorgio Ambrosoli.
Ambrosoli, l'avvocato onesto e coraggioso, fece il suo lavoro fino in fondo, finchè non ottenne «quello che si era meritato» parafrasando quello che avrebbe detto Andreotti qualche tempo dopo. Sindona e Andreotti, Sindona e la mafia, ma anche Sindona e Licio Gelli, Sindona e il Vaticano. Chi era questo "avvocaticchio di Patti" (chiamato così dal nome della località messinese da cui proveniva) capace di monopolizzare dagli anni ‘50 agli ‘80 la scena finanziaria italiana e mondiale con una folgorante ascesa ed un altrettanto fulmineo declino? Com'era riuscito a tessere allo stesso tempo legami con i piani alti dei differenti palazzi del potere?Nato nel 1920 e laureatosi in Giurisprudenza, Michele Sindona aveva stabilito già negli anni della Seconda Guerra Mondiale relazioni durature sia con la Cosa Nostra dei Bontade e degli Inzerillo, che con le gerarchie italoamericane dei Genovese e dei Gambino. Per conto loro egli agiva da consulente e compiva viaggi oltreoceano, ancora prima di fare la sua comparsa brillante sulle scene di Milano negli anni ‘50. Nel capoluogo lombardo "l'avvocaticchio di Patti" grazie alla spregiudicatezza che lo portava disinvolto a fare incetta di imprese e banche in liquidazione, arrivò nel giro di meno di dieci anni a diventare socio di maggioranza della Banca Privata Finanziaria, uno degli istituti di credito privati più importanti del Belpaese. La BPF rappresentò soltanto il trampolino di una poderosa scalata al potere che lo condusse prima alla fondazione di numerosi filiali europee, e inoltre all'acquisto della Franklin National Bank, una delle venti banche più influenti degli Stati d'Uniti. Alla base del successo di Sindona avevano contribuito tra gli altri i suoi vincoli stretti con il Vaticano risalenti al 1954, anno in cui il
banchiere fece la conoscenza diretta dell'arcivescovo Montini, il futuro Paolo VI, che una volta divenuto pontefice cominciò a riceverlo abitualmente nei suoi appartamenti privati. Qui Sindona entrò in contatto con gli ambienti finanziari dello Stato Pontificio, in particolare con lo Ior, meglio conosciuto come la Banca Vaticana, sotto la cui copertura, potè smistare i suoi profitti dall'Italia alla Finabank, finanziaria Svizzera controllato dal Vaticano, riuscendo in questo modo ad eludere le tassazioni imposte dal Governo italiano. All'interno dello Ior agivano altri due personaggi oscuri e corrotti come il direttore braccio destro del Papa, Marcinkus e il responsabile Massimo Spada, invischiati nella P2 di Licio Gelli, con il quale Sindona instaurò una stretta amicizia durante la quale finirono nelle casse della società segreta ben 4 miliardi di dollari. Nell'aprile del 1974 i vertici della Banca d'Italia aprirono un'inchiesta sull'improvvisa richiesta di Sindona di aumentare il capitale delle sue banche, e scoprirono ingenti buchi miliardari degli istituti sindoniani sia in Italia che all'estero. Il governo italiano lo inquisì per bancarotta fraudolenta e dichiarò il fallimento della Banca Privata Finanziaria. Nell'ottobre dello stesso anno crollarono le banche europee e la Franklin, il cui declino rappresentò il più grande disastro finanziario nella storia degli Stati Uniti. Fu la bancarotta, il celebre "crac Sindona". In tali circostanze un ruolo di primordine venne ricoperto dai suoi legami con la politica e la mafia. In particolare Sindona si appellò spesso ad Andreotti, all'epoca Primo ministro che lo aveva conosciuto fin dai primi anni milanesi e in tutta tranquillità si era recato al già citato party al Wordolf Astoria nonostante fosse stato sconsigliato dai suoi collaboratori. Quando nel 1976 Sindona tentava di ritardare la sua estradizione per il processo in Italia, riceveva dal Divo tutta la solidarietà possibile, come avrebbe dichiarato uno dei loro tramiti, l'avvocato massone Philip Guarino. L'appoggio di Andreotti e il sostegno costante di Licio Gelli vennero meno nel momento in cui Sindona giunse a commettere due errori decisivi ai fini della sua caduta, dettati dall'opposizione della Banca d'Italia
Libera la voce ai suoi tentativi di risollevamento. Il primo di questi due errori fu il commissionamento dell'assassinio di Giorgio Ambrosoli per mano di un killer americano, che qualche anno dopo si costituì e rivelò i retroscena del progetto di Sindona. Il secondo tentativo disperato del bancarottiere
consistette nell'ideazione di un falso sequestro ai suoi danni, che egli realizzò con lo scopo di recarsi in Sicilia sotto la protezione dei vecchi compagni mafiosi e riportare alla luce importanti documenti per la sua salvezza. Tra queste carte il bancarottiere cercava in primis "la lista dei 500" un elenco scottante di nomi di personaggi politici e non che attraverso il meccanismo dei traffici sindoniani avevano trasferito all'estero circa 97 milioni di dollari. Grazie alla lista Sindona avrebbe potuto ricattare i suoi fiduciari, minacciandoli di rivelare i loro nomi se essi non lo avessero aiutato nel suo piano di salvataggio. Ma il suo tentativo non andò a buon fine. Nel 1982 Michele Sindona fu condannato a 75 anni di reclusione per il crac della Franklin Bank, e quattro anni dopo costretto a ritornare in Italia, fu processato e condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli. La mattina del 22 marzo 1986 Sindona morì dopo aver ingerito una dose di caffè contenente cianuro, la cui provenienza rimane tuttoggi un mistero irrisolto e lascia la porta aperta ad un altro dubbio più grande: suicidio oppure omicidio. Sarebbe vera l'ipotesi secondo la quale Sindona si sarebbe fatto inviare una dose ridotta di veleno, grazie alla quale avrebbe potuto riottenere l'estradizione negli Stati Uniti? Esisteva un accordo al riguardo, in base al quale se l'incolumità del detenuto in Italia fosse stata a rischio, egli avrebbe potuto fare ritorno immediatamente nel Paese anglosassone.Oppure la dose di cianuro sarebbe stata volutamente manomessa da qualcuno con lo scopo di ammazzarlo, ed evitare che nel Processo d'Appello ancora a disposizione il bancarottiere potesse rivelare verità pericolosissime sui 500 presenti nella famosa lista? Secondo uno dei giudichi istruttori che furono incaricati di occuparsi del suo caso, Sergio Turone, dietro l'avvelenamento ci sarebbe stato il Divo in persona. Enrico Esposito
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Giorgio Ambrosoli Lo scorso 7 maggio, mentre il consiglio regionale della Lombardia commemorava Giulio Andreotti all'indomani della sua scomparsa, Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio Ambrosoli, usciva dall'aula. Dichiarava: "Io penso che sia sacrosanto che le istituzioni ricordino con un minuto di silenzio chi ha interpretato ruoli istituzionali importantissimi, però, come ho già detto, le istituzioni sono fatte dalle persone. Le persone hanno le loro storie e la loro coscienza; la mia storia e la mia coscienza mi impongono di assumermi la responsabilità di uscire". Andreotti, nel 2010, in una puntata di "La storia siamo noi", alla domanda "Secondo lei, perchè Ambrosoli è stato ucciso?", rispondeva: "Beh, questo è molto difficile e io non voglio sostituirmi nè alla polizia nè ai giudici, certo era una persona che, in termini romaneschi, se l'andava cercando". Circa il mandante dell'omicidio, Michele Sindona, con il quale intratteneva rapporti personali, Andreotti affermava: " Non sono mai stato sindoniano, non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona. Il fatto che si occupasse sul piano internazionale dimostrava una competenza economico finanziaria che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene." Perchè Michele Sindona commissionò l'omicidio di Giorgio Ambrosoli? Nel 1974 Giorgio Ambrosoli fu nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, guidata sull'orlo del crack finanziario dal banchiere siciliano Michele Sindona. Suo compito era indagare sulla situazione economica della banca e sull'operato di Sindona, sul quale si nutrivano sospetti già da tempo. In questo ruolo Ambrosoli si trovò
a esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il banchiere siciliano aveva intessuto. Scoprì così le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata, oltre a diverse rivelazioni sulle connivenze di alcuni ufficiali pubblici con il mondo sporco della finanza di Sindona. Cominciò ad essere quindi oggetto di pressioni e tentativi di corruzione, affinchè avallasse documenti comprovanti la buona fede del banchiere. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito e Sindona avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ambrosoli non cedette. La sera dell'11 luglio 1979 fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto. Questi, dopo essersi scusato, gli esplose contro quattro colpi. Nonostante il sacrificio estremo con cui aveva pagato la sua onestà e il suo zelo professionale, Ambrosoli non ebbe mai grandi riconoscimenti. Michele Sindona fu condannato all'ergastolo e morì assassinato in carcere, due giorni dopo la condanna, avvelenato con un caffè al cianuro. Questa è la lettera che Ambrosoli scrisse alla moglie mentre era impegnato nello svolgimento del suo incarico: "Anna carissima, sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E' indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell'Umi, le speranze mai
realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (...) Giorgio ». Michela Simi
Michele Sindona