Pisa, Luglio 2013
la voce
Presidio Libera Pisa “Giancarlo Siani”
Riparte il futuro… dal passato
Giancarlo Siani, (Napoli, 19 settembre 1959 Napoli, 23 settembre 1985) Giornalista presso “Il Mattino” fu assassinato in seguito alle sue inchieste sul clan camorristico dei Nuvoletta.
Nascere in Italia dalla fine degli anni Ottanta in poi ha voluto dire, per noi giovani, crescere in un paese che aveva perso tutti i suoi punti di riferimento. Nei primi anni Novanta le certezze che avevano tenuto insieme la Repubblica fino a quel momento iniziano a sgretolarsi. Manipulite svela il livello di corruzione interno ai partiti, senza distinzioni significative tra l’uno e l’altro, creando un clima di sfiducia verso i politici che rimarrà nel tempo. Nel 1992 le stragi di mafia dimostrano, senza possibilità di appello, che nel migliore dei casi lo Stato non è riuscito a difendere chi stava combattendo una battaglia importantissima per il paese. Nel 1994 cade definitivamente il sistema politico che era in vigore dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e con esso la Prima Repubblica. Quella che rimane è un’Italia che ha smesso di credere in se stessa, in cui vige una (apparente?) mancanza di ideali e un disfattismo dilagante. Il fervore culturale e politico che aveva animato gli anni Settanta sembra perso in un passato lontanissimo, così lontano che quasi ci se ne dimentica.
E’ proprio questo, forse, il problema: negli ultimi vent’anni si è cercato in ogni modo di offuscare o affievolire il ricordo delle lotte portate avanti fino a quel momento. Perché ricordare che è possibile combattere contro le ingiustizie porta le persone ad avere speranza, a pretendere che i propri diritti vengano rispettati e a lottare se questo non succede. E’ per questo motivo che vogliamo proporvi alcune “rievocazioni” storiche. Sono storie di persone qualunque, che stavano facendo il proprio lavoro o vivendo la propria vita quando si sono trovate ad un bivio: piegare la testa davanti alla violenza, all’ingiustizia, al crimine oppure accettare le conseguenze delle proprie azioni e comportarsi da uomini e donne onesti e coraggiosi. Hanno deciso di sacrificare le proprie vite per un ideale più importante di tutto il resto, hanno creduto che lottare per la giustizia, per il proprio paese, per le persone che amavano fosse più importante di loro stessi. Hanno creduto di poter fare, nel loro piccolo, la differenza, e non hanno voluto tirarsi indietro. Le loro storie sono quelle su cui si fonda il
nostro impegno contro la mafia, che vuol dire impegnarsi per difendere o conquistare i propri diritti, contro le logiche di privilegio che spesso governano questo paese. Contro la corruzione, che ha invaso da tempo la politica e quindi la nostra vita. Possono apparire come storie di sconfitta (ma chi ha perso è spesso lo Stato, non la persona) ma da tutte possiamo trarre grandi insegnamenti. Il primo è che ci sono ideali per cui vale la pena combattere, poco importa quanto grandi siano gli ostacoli che ci troviamo di fronte. Il secondo è che anche quando crediamo di essere soli, abbandonati da tutto e da tutti, possiamo fare la differenza. Poche delle persone di cui raccontiamo hanno avuto fama e onori in vita, spesso sono state riscoperte da morte, quando ormai non era più possibile lottare al loro fianco. Pensiamo che conoscere le loro storie sia importante anche per capire accanto a chi dovremmo camminare, nel presente, e da chi dovremmo invece difenderci con tutte le nostre forze.
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Irene Mangani
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La peste Da dove riparte il futuro?
Riparte il futuro è una campagna apartitica e trasversale che ha per obiettivo quello di contrastare il fenomeno della corruzione. http://www.riparteilfuturo.it/
La corruzione è uno dei motivi principali per cui il futuro dell’Italia è bloccato nell’incertezza. Pochi paesi dell’Unione Europea vivono il problema in maniera così acuta (fanno peggio solo Grecia e Bulgaria). Si tratta di un fenomeno dilagante, fra le cause della disoccupazione, della crisi economica, dei disservizi del settore pubblico, degli sprechi e delle ineguaglianze sociali, che danneggia le istituzioni e la vita quotidiana delle persone. La corruzione nel nostro Paese è un cancro le cui metastasi si sono allargate in modo generalizzato. Invadente, invasivo, ma silenzioso. Che uccide moralmente e fisicamente. Un virus che cambia aspetto e si rigenera anno dopo anno. Difficile da debellare. La corruzione adesso è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se non si contrasta in modo netto, senza mediazioni, con volontà politica concreta, al di là delle parole di questo o quel partito. La corruzione ci ruba il futuro, in tutti i sensi. Un male che comporta rischi per la credibilità della nostra economia, per la tenuta della nostra immagine all'estero, per gli investimenti nel nostro Paese. E che crea disuguaglianze, massacra le politiche sociali, avvelena l'ambiente, tiene in ostaggio la democrazia. Infatti se il costo diretto della corruzione (stimato all'incirca in 60 miliardi di euro all’anno) è un fardello pesante per i disastrati bilanci dello Stato, ancora più allarmanti sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle
istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale della classe dirigente, l'affermarsi di meccanismi di selezione che premiano corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche, il dilagare dell'ecomafia, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta "zona grigia", fatta di colletti bianchi, tecnici compiacenti, politici corrotti. Ma non tutti pagano allo stesso modo: a farne le spese sono le fasce deboli, i poveri, gli enti che sono costretti a tagliare sulla sanità, sull'assistenza, sulle mense scolastiche. Una peste che mina quotidianamente il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, alimentando un clima diffuso di sospetto. Quando il pagamento delle tangenti diventa prassi comune per ottenere licenze e permessi, e la risorsa pubblica è risucchiata nei soliti giri di potere, ciò che viene sacrificato sull'altare dei furbetti di turno è soprattutto la credibilità dello Stato, con un doppio rischio: da un alto un'illegalità sdoganata in virtù della sua diffusione, in un clima di generale rassegnazione; dall'altro gli appesantimenti burocratici, la ridondanza di controlli, leggi e leggine che diventano una sorta di persecuzione dello Stato sui cittadini onesti, messa in atto nel tentativo di colpire chi viola le regole. Quale speranza, quale spinta può avere un Paese, se i suoi abitanti sono convinti
che solo nelle ruberie si nasconda la chiave del successo e che la legalità sia un inutile fardello? Quella che emerge oggi, in definitiva, non è tanto una corruzione liquida o gelatinosa, come l'hanno definita commentatori e inquirenti per contrapporla a quella del passato, strutturata intorno all'obolo coatto versato dalle imprese ai partiti. È infatti una corruzione ancora solidamente regolata, dove però a seconda dei contesti il ruolo di garante del rispetto delle regole del gioco è ricoperto da attori diversi: l'alto dirigente oppure il faccendiere ben introdotto, il "boss dell'ente pubblico" o l'imprenditore dai contatti trasversali, il capofamiglia mafioso o il leader politico a capo di costose macchine clientelari. Collocandosi al centro delle nuove reti di corruzione, questi soggetti riescono ad assicurare che tutto fili liscio, favoriscono l'assorbimento dei dissidi interni e creano le condizioni per l'impermeabilità del sistema della corruzione ad intrusioni esterne. “La corruzione è come la peste, dobbiamo fare in fretta”. Don Luigi Ciotti cita il cardinale Carlo Maria Martini per premere l’acceleratore della campagna anticorruzione “Riparte il futuro” promossa da Libera e Gruppo Abele. La lotta alla corruzione ha quindi bisogno del sostegno di tutte le diverse forze politiche e di quella parte della società civile che più desidera il cambiamento. Niccolò Batini
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Quando il coraggio non ha età Rita Atria, una storia dimenticata Rita Atria ha 16 anni quando, stanca della violenza mafiosa nella quale è sempre vissuta, decide di rompere il muro dell’omertà e collaborare con le istituzioni diventando testimone di giustizia. Decide di ribellarsi alla mafia non per senso civico ma per amore, per amore del fratello, mafioso ucciso da mafiosi. Rita è solo una bambina quando, nel novembre del 1985, il padre Vito, uomo d’onore di Partanna, paesino di diecimila anime fra Trapani e Palermo, viene ucciso dalla mafia siciliana per essersi opposto alla scelta di Cosa Nostra di buttarsi nel traffico di droga. La morte del padre lascia segni profondi in Rita, la quale riverserà tutto il suo amore sul fratello Nicola e sulla madre Giovanna, con la quale il rapporto resterà però sempre difficile. Il fratello Nicola, nel mentre, si trasferisce insieme alla moglie Piera e alla figlia a Montevago dove apre un bar, un investimento con cui cercare di rimanere fuori dal giro della mafia. Si fa però presto ammaliare dai soldi facili derivanti dal commercio della droga e cade anch’egli vittima della mafia che già aveva ucciso il padre. E’ il giugno del 1991 quando Nicola viene ucciso. La moglie Piera decide allora di averne abbastanza e, contro tutto e tutti, di ribellarsi e collaborare con la giustizia. E’ così che conosce il procuratore capo di Marsala, Paolo Borsellino; sarà lui ad occuparsi di lei e a farla trasferire a Roma sotto protezione. Rita, perso il padre, il fratello e adesso anche la cognata con la quale spesso aveva condiviso i dolori familiari, si ritrova sola, con accanto solo la madre che però è decisa a
non “tradire” la famiglia. Decide quindi di seguire l’esempio di Piera; si ritrova davanti Paolo Borsellino, un uomo nel quale la giovane siciliana rivede il padre che gli è stato strappato. Rita si fida totalmente del “giudice dai baffetti gentili” e gli racconta tutto ciò che aveva visto e sentito negli anni a contatto col padre prima e con il fratello poi; grazie alle sue rivelazioni vengono eseguiti molti arresti nel paese e la gente comincia a insospettirsi, prima fra tutti la madre che non voleva una figlia infame. Dopo l’ennesima minaccia a Rita, Borsellino decide che la ragazza deve essere portata via da quella terra di violenza e così, il 21 novembre 1991, Rita viene trasferita a Roma sotto la protezione dell’Alto commissariato per la lotta alla mafia. A Roma inizia una nuova vita, con un nuovo nome e un lavoro di copertura. Sembra andare tutto bene insieme alla cognata e alla nipotina; conosce anche un ragazzo del quale si innamora e con il quale sogna di andare a vivere. Il 23 maggio 1992 però tutto cambia; l’attentato di Punta Raisi le ricorda da cosa sta fuggendo, la terra insanguinata contro la quale si è ribellata. Una grande amarezza la avvolge insieme allo sconvolgimento per la morte del giudice Falcone. Passa poco tempo quando, il 19 luglio 1992, tutto va in frantumi; “Zio Paolo”, come Rita chiamava Borsellino, viene ucciso in Via d’Amelio e Rita si sente all’improvviso sola e sconfitta. Si trasferisce in un appartamentino a vivere da sola e, il 26 luglio, mentre la cognata è in Sicilia per
rivedere i parenti, Rita si getta dal terrazzo del settimo piano. A 17 anni finisce la vita della ragazza che aveva osato ribellarsi alla mafia. Al funerale partecipano quasi duecento donne, a rappresentare l’orgoglio delle donne siciliane unite contro la mafia; ma proprio di una donna si noterà l'assenza: Giovanna, la madre di Rita. La ragazza verrà così seppellita sola, a 17 anni, lei e la sua giovinezza.
Lo sapevi che: o
Le vittime della sola Cosa Nostra ammontano a più di 5000 persone se si contano gli stessi mafiosi uccisi tra di loro.
o
Le principali organizzazioni mafiose come ora le conosciamo sorgono nel secondo dopoguerra.
o
Il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso (legge 416 bis) nasce il 13 settembre 1982. Precedentemente la mafia non esisteva agli occhi dello stato.
o
Il fatturato annuale delle mafie si pensa ammonti a circa 140 miliardi con un utile di 105 miliardi. Se fosse uno stato rientrerebbe nella top 60 del mondo per guadagno.
Alessandro Giubilei Michela Simi
Rita Atria Palermo, 4-9-1974; Roma, 26-7-1992
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Bruno Caccia Là dove la mafia non esiste La sera del 26 giugno del 1983 Bruno Caccia, il Procuratore capo della Repubblica di Torino, si concede una libertà che gli sarà fatale: congeda la scorta ed esce a portare a spasso il cane. Alle 23.30 due uomini a bordo di una Fiat 128 gli sparano diciassette colpi d'arma da fuoco che metteranno fine al rito delle sue passeggiate serali. Mentre nel resto d'Italia si archiviano una calda domenica di inizio estate e la prima giornata elettorale, a Torino la 'ndrangheta uccide un magistrato che aveva dedicato la sua vita a far rispettare la legge. Perchè? Quali motivi hanno spinto un'organizzazione criminale come quella calabrese ad agire lontano dalla sua terra d'origine? Nato a Cuneo il 16 novembre del 1917, Caccia entra in magistratura nel 1941 e, dopo tre anni trascorsi ad Aosta, rientra nel capoluogo piemontese nel 1967,
Bruno Caccia ricoprendo dapprima l'incarico di sostituto procuratore e poi quello di Procuratore della Repubblica, dal 1980. Sotto il suo comando, nasce il primo pool di giudici istruttori a cui si ispireranno anche Falcone e Borsellino. Terrorismo e criminalità organizzata sono i cardini intorno a cui ruotano le sue indagini. Sotto il suo comando la Procura istituì i primi processi contro i capi storici delle Brigate Rosse e dei terroristi di Prima Linea.
Anticipando di otto anni l'inchiesta Mani Pulite, portò alla luce lo scandalo delle tangenti nel comune di Torino, provocando le dimissioni dell'intera giunta comunale. Certo della presenza malavitosa sul territorio piemontese, avviò una serie di indagini che fecero tremare i vertici delle organizzazioni criminali più radicate a Torino e in provincia, in particolare quelli della 'ndrangheta calabrese. E la risposta non si fece attendere. Dopo la sua morte, iniziarono i primi depistaggi che condussero le indagini sulla pista del terrorismo rosso. Fu soltanto qualche anno dopo che si iniziò a seguire il filone della criminalità organizzata. Queste ultime indagini portarono, nel 1992, alla condanna di Domenico Belfiore, capo del clan dei Calabresi che all'epoca dominava la malavita torinese. Riconosciuto mandante dell'omicidio, Belfiore fu
condannato all'ergastolo. Tuttavia, gli esecutori materiali del delitto restano ancora ignoti. Oggi, trent'anni dopo, in seguito all'emergere di nuovi particolari, come il coinvolgimento di servizi segreti deviati, i figli del magistrato chiedono di riaprire il processo per far luce sull'ennesimo mistero italiano. Il ricordo di Bruno Caccia rivive nelle parole di Gian Carlo Caselli, attuale Procuratore della Repubblica di Torino: “Con lui ho imparato il mestiere di magistrato. Era un uomo rigoroso ma giusto. La sua cifra di magistrato era applicare la legge senza sconti per nessuno, nel rispetto però delle persone e della dignità di chiunque”. Bruno Caccia è stato l'unico magistrato ucciso dalla mafia nel Nord Italia. Dove la mafia non esiste. Marika Pezzolla
Chi siamo "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie" è nata il 25 marzo 1995 con l'intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Attualmente Libera è un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. La legge sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie, l'educazione alla legalità democratica, l'impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul lavoro e lo sviluppo, le attività antiusura, sono alcuni dei concreti impegni di Libera. A Pisa il presidio è nato il 12 novembre 2012 grazie a un gruppo di studenti universitari ed è intitolato a Giancarlo Siani, un giornalista ucciso dalla camorra. Il presidio è impegnato nel progetto “Libera scuola” per far conoscere la mafia ai ragazzi. Oltre a questo sono presenti numerosi progetti tra cui giornalino, tornei di beneficenza, eventi particolari (es. fiaccolate, cineforum, dibattiti).