LIBERA la voce #6

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la voce

Pisa, 13 Dicembre 2014 Presidio Libera Pisa “Giancarlo Siani”

AddioSLOT Gli studenti pisani contro il gioco d’azzardo Da ormai sei anni le nostre giornate si alternano tra spread, deflazioni, recessioni e banche europee, in una crisi che sembra non voler finire; c’è un mercato però che pare non avvertire minimamente la crisi: il mercato del gioco d’azzardo col suo fatturato annuale – solamente in Italia – di circa 85 miliardi di euro nel 2013. Crisi che non si fa sentire a causa anche delle bassissime tasse sull’azzardo, rimaste praticamente invariate dal 2001 a oggi. Se è vero che le tasse non sono aumentate, quella che è aumentata invece – in maniera del tutto incontrollata – è l’offerta di azzardo nel nostro Paese: slot machine, videolottery (introdotte nel 2009 a seguito del terremoto aquilano per far cassa in chiave ricostruzione; soldi ovviamente mai arrivati), lotto, superenalotto, oltre 50 lotterie istantanee – i cosiddetti grattini da pochi euro – fino ai cosiddetti “non-giochi d’azzardo” quali totem e ticket redemption - per la legge non considerati azzardo ma che di fatto lo sono - hanno ormai invaso il Paese. Conseguenti a quest’offerta d’azzardo spropositata, e in continua crescita, vi sono i numeri altrettanto spaventosi dei giocatori: 26 milioni di giocatori continui, 36 milioni di giocatori discontinui, 2 milioni di giocatori patologici. Il quadro desolante che ci si presenta davanti è quindi quello di una

nazione amante del “gioco” che sempre più dilapida risparmi e stipendi per tentare la fortuna: sono circa 17 i miliardi persi dagli italiani per colpa dell’azzardo nel solo anno 2013, soldi che basterebbero a finanziare per due anni gli 80 euro renziani a 10 milioni di italiani. Siamo una nazione con 250.000 posti letto negli ospedali e 470.000 macchinette; una nazione in cui i giocatori sono per la gran parte appartenenti ai ceti più poveri e più colpiti dalla crisi, quei ceti che sperano nel colpo di fortuna per dare una svolta alla loro vita, incoraggiati dagli ingannevoli messaggi pubblicitari che i concessionari quotidianamente ci propinano illudendoci che vincere sia facile e che diventare miliardario sia davvero possibile. Oramai è possibile giocare praticamente ovunque e in ogni momento: sale slot aperte quasi 24 ore al giorno, vlt nei bar, nei ristoranti e dal tabaccaio, dovunque macchinette scintillanti e colorate che con i loro suoni ammalianti sembrano dirci “perché non ci provi? che ti costa?”. Quanto ci costa ce lo dicono i SerT delle Asl, che registrano un continuo aumento di malati di Gioco d’Azzardo Patologico negli ultimi anni e una spesa di circa 6-7 miliardi di euro annui per la loro cura. Se tutto questo non bastasse, si aggiunge poi il rapporto tra

azzardo e mafie: il solo mercato illegale – secondo una stima del Prof. Fiasco della Consulta Nazionale Antiusura – fattura tra gli 8 e i 9 miliardi l’anno. Sempre maggiore inoltre è l’allungarsi dei tentacoli della piovra anche sul mercato legale, gestito dalle mafie tramite società fittizie e prestanome. E’ di fronte a una situazione del genere che un gruppo di studenti universitari di Pisa, provenienti da varie associazioni attive sul territorio, decide quindi di impegnarsi in prima linea per la lotta al gioco d’azzardo nella città in cui vivono. Dopo mesi di discussioni, scambi d’idee e studio, a fine ottobre 2014 nasce ufficialmente il gruppo AddioSLOT con il dichiarato intento di portare il tema del gioco d’azzardo al centro del dibattito pubblico tra la cittadinanza. Anche Pisa infatti non è rimasta immune, negli anni recenti, dalla diffusione endemica di sale slot e punti scommesse in ogni angolo della città e proprio per questo uno dei primi obiettivi del gruppo sarà quello di realizzare una mappatura delle slot machines e videolottery presenti sul territorio cittadino per una stima dell’entità del fenomeno.

Alessandro Giubilei


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Ndrangheta in Lombardia

La forza della tradizione che resiste anche al Nord

Mappa dei clan in Lombardia secondo le ultime indagini

A gennaio del 2010 Gian Valerio Lombardi, l’allora Prefetto di Milano, alla presenza della commissione Antimafia dichiarò: ”Anche se sono presenti singole famiglie, non vuol dire che a Milano e in Lombardia esista la mafia”. Pronta la risposta di Giuseppe Pisanu, presidente della commissione parlamentare Antimafia al tempo della dichiarazione: “Un errore di espressione, un’espressione non felicissima che è stata fraintesa. In realtà il prefetto voleva dire solo che il modus operandi della mafia a Milano e in Lombardia è del tutto diverso da quello delle Regioni di origine. Per il non ricorso alla violenza. E perché la società lombarda non è disposta a subire intimidazioni di stampo mafioso”. Il 18 novembre 2014, quasi cinque anni dopo le suddette dichiarazioni, l’operazione Insubria, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, ha portato in carcere 40 persone e, dopo due anni di intercettazioni ambientali e filmati, le telecamere piazzate dai Ros hanno ripreso integralmente alcuni tipici rituali di ‘ndrangheta: dalla formazione delle società, al battesimo del locale, alla fedelizzazione, fino alle formule per la concessione delle doti della “Santa” e del “Vangelo”. L’indagine costituisce la prosecuzione dell’operazione del 1994 denominata “I fiori della notte di San Vito”, che colpì gli affiliati del clan Mazzaferro, una sorta di embrione nella provincia comasca de “La Lombardia”, la struttura di ‘ndrangheta a cui si riferiscono tutti i locali e le ‘ndrine della Regione. La DDA milanese ha coordinato le indagini con i pm Paolo Storari, Ilda Boccassini e

Francesca Celle; l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata firmata dal gip Simone Luerti. Le indagini hanno portato in manette gli esponenti delle cosche di Fino Monasco, Calolziocorte e Cermenate. Oltre che in Lombardia, ci sono stati arresti anche a Caltanissetta e nella provincia di Verona. Durante la conferenza stampa, il pm Boccassini ha dichiarato: “Per la prima volta è stato documentato il giuramento con il conferimento di cariche e doti con i rituali tipici della ‘ndrangheta. E attenzione, non siamo a Reggio Calabria o sulla montagna, ma nella ridente provincia del Nord dove, nelle zone del comasco e del lecchese, sono state individuate una serie di cosiddette “mangiate”, i summit di ‘ndrangheta, nel corso delle quali sono state conferite cariche e doti. Alcune di queste “mangiate” sono state fatte alla presenza del capo locale di Giffone, che è salito al Nord per essere presente e presenziare al conferimento delle cariche. Sembra un film, ma invece è la realtà, è il senso delle tradizioni che sono la forza della ‘ndrangheta”. Dunque, in questo lembo di terra del Nord Italia confinante con la Svizzera, il “modus operandi” della ‘ndrangheta resta quello della casa madre calabrese; d’altronde, come dichiara un affiliato in una intercettazione, “il Nord non conta niente senza la Calabria”. Al Nord come al Sud i mafiosi mettono bombe, incendiano, uccidono, corrompono politici, fanno estorsioni. Nell’ordinanza di custodia cautelare si legge che la ‘ndrangheta in Lombardia non è più infiltrata, ma è ormai radicata. “Il termine infiltrazione fornisce l’idea di una penetrazione, di qualcosa di negativo all’interno di un

tessuto sano, una sorta di attacco dall’esterno nei confronti di una realtà che prova inutilmente a resistere. […] La pretesa di purezza del destinatario dell’aggressione è una sorta di baconiano idolum fori che va sfatato”. Quante indagini servono ancora perché la politica e la classe imprenditoriale la smettano di autoassolversi e di portare avanti un meccanismo di rimozione cercando di immaginarsi cosa fa la mafia nel settentrione ed evitando di vedere come effettivamente agisce? Quando si dissolverà l’antico luogo comune secondo cui le società del nord sono immuni dalle intimidazioni di stampo mafioso e, quando inchieste, segnalazioni e relazioni di commissioni antimafia non saranno più materia solo di studenti, esperti e professori universitari e la questione criminalità organizzata diventerà il problema numero uno di questo Paese?

Marika Pezzolla


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“RIPARTE IL FUTURO” Rilanciamo sulle università “Riparte il Futuro” è una campagna apartitica e trasversale che ha per obiettivo quello di contrastare il fenomeno della corruzione. Nel 2011 la campagna “Corrotti” di Libera e Avviso Pubblico ha raccolto un milione e mezzo di cartoline in cui si chiedeva l’impegno di governo e Parlamento ad adeguare il nostro codice alle leggi internazionali anticorruzione. Al momento della consegna in Quirinale, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato che rappresentavano “un pezzo della storia d’Italia”. “Riparte il futuro”, accanto a Libera e al Gruppo Abele, legandosi alla storia di Don Luigi Ciotti, vuole continuare questa battaglia civile con mezzi nuovi, ancora più efficaci. La nostra innovativa battaglia di civiltà vuol far ripartire le migliori energie del Paese e sembra proprio che passi avanti in questa direzione siano stati fatti. Difatti, siamo quasi in 750mila a voler combattere. Per citare solo alcuni esempi, la campagna lotta contro il vitalizio ai politici condannati per mafia e corruzione, richiede all’Unione Europea di mantenere gli impegni contro la corruzione in tutta Europa, si batte per una maggiore chiarezza e un maggiore impegno per la messa in sicurezza della Liguria e, per finire, per una più grande trasparenza nelle Università italiane. Per noi universitari quella sull’istruzione è la madre di tutte le battaglie. Con “Riparte il futuro” chiediamo un meccanismo per difendere e incoraggiare chi segnala corruzione, malaffare, nepotismi e raccomandazioni nelle Università italiane. Non è un caso che il diritto allo studio venga garantito dalla Costituzione: chi danneggia le nostre Università aggredisce la fiducia nel sistema pubblico che è alla base del nostro domani. Per questo la campagna “Riparte il futuro” vuole sostenere un meccanismo che possa esporre e arginare le illegalità che possono accadere dentro e fuori dagli atenei. Per farlo serve difendere e

incoraggiare chi segnala corruzione, malaffare, nepotismi e raccomandazioni. La petizione chiede alle nostre Università di stare dalla parte di chi ha il coraggio di esporsi, dotandosi volontariamente di regole che aiutino e proteggano chi segnala illeciti. Gli atenei possono fare molto. La legge anticorruzione del 2012 ha infatti introdotto l'istituto del “whistleblowing”: letteralmente “suonare il fischietto”, un’espressione per indicare chi sceglie di rompere i muri del silenzio sulle illegalità a cui talvolta può capitare di assistere. Chiediamo a tutti i rettori degli atenei pubblici italiani di sottoscrivere con noi un impegno a favore del whistleblowing. Le Università devono concedere una protezione efficace a chi denuncia episodi d’illegalità che avvengono al loro interno, incoraggiando la segnalazione di pratiche illegali e predisponendo massime tutele per chi ha il coraggio di parlare. Vogliamo arrivare a un accordo con tutte le 66 Università italiane ed è a loro che rivolgiamo questa petizione. Nel dettaglio, si chiedono: 1. Tutela per chi segnala illeciti a cui ha assistito, ovvero la tutela della riservatezza e dell’anonimato (l’identità di chi denuncia può essere resa nota solo col suo esplicito consenso). Nel caso in cui un dipendente dell’ateneo ritenesse ingiusto un cambio di ruolo subito dopo la denuncia di un illecito, spetterà a chi ha preso tale decisione dimostrare la propria buona fede; lo stesso varrà anche per lo studente “whistleblower”, qualora incontrasse

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difficoltà nel portare avanti il suo percorso di studi. La tutela dovrà essere estesa, per proteggere anche chi segnala episodi di illegalità al di fuori del settore in cui opera professionalmente. Protezione per tutti e a tutti i livelli, per i lavoratori amministrativi degli atenei, per gli studenti, per i docenti, per i ricercatori di ruolo e quelli precari. Canali di segnalazione certi e semplificati, ai quali faccia capo personale di riconosciuta indipendenza e integrità; si deve infine un contatto diretto con l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), inviando ogni segnalazione a whistleblowing@anticorr uzione.it.

Niccolò Batini


Libera la voce Alzi lo sguardo e la cogli mentre osserva con circospezione i prodotti sugli scaffali; forse solo un bravo fotografo saprebbe raccontare la perplessità leggera, quasi inespressa, che è disegnata su quel volto. Azzarda un saluto, vuole sapere che cos’è quel posto. Dal marcato accento capisci che non è italiana. «Bella domanda!» irrompe con una risata Francesco, impegnato a riordinare i barattoli di melanzane. Da che parte iniziare? Una bottega in cui si vendono prodotti provenienti da beni confiscati a organizzazioni mafiose, un impegno contro la criminalità e la corruzione. Con sorpresa, la risposta cliché non esaurisce il suo vivo interesse. Quella sensazione ti mette qualcosa più dell’allegria, un senso di imminenza euforica; allora le parli di una rete di persone, delle cooperative sociali, dei campi di lavoro estivi, dell’associazione Ora Legale, del presidio Giancarlo Siani. E mentre racconti l’enfasi è tale che i lineamenti dell’interlocutrice si stendono nel largo sorriso di chi pare trovarsi nel bel mezzo di un fatto straordinario. In fondo, mentre ascolti il suono delle tue parole, è così anche per te. Stai per consigliarle di passare dall’edicola in Borgo Stretto, quando un uomo si precipita disperato alla scrivania dopo aver salutato frettolosamente il barista Alessio: «Ditemi che avete ancora il cus-cus, mia moglie si è fissata con quella ricetta che hanno pubblicato sul sito di Libera! Patirò la fame se non lo trovo!». Mentre il fortunato se ne va soddisfatto, riavviandosi il ciuffo alla Elvis e stringendo

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Un pomeriggio in bottega vittorioso il cus-cus tra le mani quasi fosse un trofeo, avverti un senso di vago pericolo. L’attenzione si sposta alla vetrina: un bambino ti fa le linguacce, il naso schiacciato contro il vetro. Francesco accetta la sfida, apre un pacchetto di biscotti alle mandorle e mostra il bottino all’astuto disturbatore, che si aggrappa alle maniche del cappotto della nonna per trascinarla in bottega. Rivaluti la brillantezza dell’idea quando il profluvio di parole della signora si riversa su di te. «Guardi, ormai che ci siamo, compriamo anche due pacchi di lenticchie, nonostante costino care, eh! Però mio figlio ne va matto. E pensare che quando era piccolo proprio non ne voleva sapere di legumi: anzi, sa cosa si inventava per non mangiarli?» No, non lo sai e nemmeno lo vuoi sapere, ma non fai in tempo a rispondere che l’altra si è già lanciata in un appassionato racconto su vita, morte e miracoli dei figli, mentre il nipotino addenta un biscotto con soddisfazione furtiva. A salvarti è un affabile signore che ha assistito divertito alla scena mentre sorseggiava un caffè al bancone del bar. Strizza un occhio a te e Francesco e si intromette nella discussione fingendo interesse verso i pomodorini sottolio: impossibile non restare incantati dalla sua capacità di trattare argomenti partendo da spunti inattesi. Scoprite che è un professore liceale di filosofia quando acquista una pacchetto di penne per i suoi studenti, «così non avranno più scuse

quando finiranno l’inchiostro durante i compiti scritti». Si è fatto tardi. Mentre accompagni Francesco verso l’uscita, ti accorgi che la ragazza straniera è ancora lì. Vuole sapere un’altra cosa, prima di andare via. Perché fai la volontaria, cosa ti fa stare lì ad ore. Rimani spiazzata. Se è vero che, come recita un antico detto polacco, le persone nascono quadrati e muoiono poliedri, con tante facce, una per ogni persona incontrata nel corso della vita capace di dare forma, volume e dimensione alla piatta figura iniziale, stare in bottega ti dà la sensazione di diventare un poliedro più grande e colorato. Vorresti dirle questo ma ti senti ridicola a citare una metafora. Lì hai una sensazione di familiarità, come se quel posto sia diventato, in qualche modo, anche tuo. Un senso di protezione. Quel modo di impiegare il tempo ti sembra una buona idea, il principio di qualcosa, dopo tanto tempo. Ti ricorda sempre che si può cambiare e si può diventare qualcosa di completamente diverso da quello che si era prima. E poi le storie che ascolti in bottega sono pezzi di mondo, pare di vivere in un’enciclopedia umana. Le dici proprio così. La ragazza sorride di nuovo, senza chiaroscuri: solo un lampo di gratitudine per averla presa sul serio. Sta per aggiungere qualcosa, poi rinuncia e sul viso le si disegna un’espressione enigmatica. È quell’espressione che ti rimane impressa nella mente, quando lei è già fuori e accenna un saluto con la mano prima di scomparire dalla visuale. Bisogna prestare

attenzione a quello che c’è intorno, bisogna recuperare un contatto con le cose, ti dici come se stessi dando un consiglio a un conoscente mentre la guardi allontanarsi. Una settimana dopo scopri che quella ragazza si chiama Megan, viene dal Connecticut e sta viaggiando per l’Europa. Ti ha cercato su facebook per ringraziarti e inviarti l’articolo sulla scoperta dell’associazione Libera e del suo pomeriggio nella bottega “I Sapori e I Saperi della Legalità” gestita da una cooperativa sociale all’interno di un social bar, “Colazione al Colombre”, che offre percorsi di tirocinio lavorativo a persone affette da sindrome di down. La lotta alla mafia inizia dal basso, cita una frase. Qualcosa che ti ricorda come la pietra scartata dai costruttori sia divenuta testata d’angolo. Più leggi e più ti viene voglia di raccontare questa storia. Magari potresti scrivere un articolo anche tu, pensi. Magari.

Monica Maurelli

La Bottega dei Sapori e dei Saperi si trova in Via F. da Buti 10, a Pisa, aperta dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 19, e il sabato dalle 7 alle 13.


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