Primissima Scuola - Febbraio 2009

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SCHEDE FILM La siciliana ribelle L'onda Mostri contro Alieni Gran Torino Racconti Incantati Milk Che

Inserto speciale Mostri contro Alieni

Veronica D'Agostino " La siciliana ribelle"

POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB ROMA

Proposte audiovisive per le scuole


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L'ONDA

n° 3-4 2008

LA SICILIANA RIBELLE

MOSTRI CONTRO ALIENI

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GRAN TORINO

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RACCONTI INCANTATI

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MILK

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FROST/NIXON - IL DUELLO

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CHE

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PER ABBONARSI A PRIMISSIMA SCUOLA Periodico di informazioni cinematografiche per le scuole Ê£ÈÊ °Ê£ viLLÀ> ÊÓää

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stampa Ige, Roma

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Claudio Lugi

Lezioni di totalitarismo

“La teoria diventa una forza materiale appena conquista la massa.” Karl Marx

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a Storia, come ben sanno le migliaia di insegnanti italiani, è la disciplina che più d’ogni altra ha subito “tagli” nell’orario e nei programmi, superando, a fatica, i pericolosi tentativi di revisione e “riscrittura” dei manuali scolastici. Tuttavia, l’attacco decisivo le è stato sferrato proprio da coloro i quali, per tradizione e vocazione, dovrebbero eleggerla a “maestra di vita”, cioè i discenti. Non a caso il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer sosteneva che “la massa ha scarsissima capacità di giudizio e assai poca memoria.” Tale affermazione può essere senz’altro adottata come corollario della vicenda narrata ne L’Onda, intenso dramma “a tesi” diretto da Dennis Gansel, tratto dal racconto omonimo di William Ron Jones, e dal film-tv The Wave di Johnny Dawkins e Ron Birnbach. Nella fattispecie la tesi si prefigge di dimostrare che la Storia tende a ripetersi, magari in forme differenti, che il rischio del totalitarismo è più forte di quanto si pensi, e che il nazismo

può tornare a manifestarsi prepotentemente, come fenomeno di massa, anche nella Germania odierna. In un liceo tedesco il professor Rainer Wenger (Jürgen Vogel), nell’ambito dei corsi tematici di durata settimanale che di tanto in tanto interrompono la didattica tradizionale, tiene un seminario sull’autocrazia che riscuote numerose adesioni in virtù del carisma del docente - è un tipo giovanile, sportivo e rockettaro - più dell’attrazione per l’argomento. Del resto gli studenti sono perlopiù gli stessi di qualsiasi altra parte del mondo occidentale: scettici o nichilisti, storditi dalla musica e dallo “sballo”, coniugano opportunamente moda e trasgressione, ambientalismo e consumismo. Wenger è consapevole dell’inutilità di un ciclo di lezioni frontali sul tema della dittatura, e così, suggerisce un approccio decisamente più pragmatico: richiede il massimo rispetto nei confronti dell’insegnante, inteso come “capo” e guida ideologica, recupera la disciplina (fisica e mentale), lo spirito di

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gruppo, la competitività, l’annullamento delle differenze tra gli individui. Dopo qualche titubanza, la classe inizia a far proprie le istanze proposte fondando una sorta di movimento, battezzato L’Onda, con tanto di logo, saluto e divisa d’ordinanza: una camicia bianca e un paio di blue-jeans. Nei pochi giorni di quest’esperienza i giovani riscoprono l’orgoglio e l’ordine, l’esoterismo e il militarismo, senza per questo abbandonare “i feticci della contemporaneità”: il culto del corpo e il rock, le feste in spiaggia e le bevute, gli incontri sportivi e il web. Ma il teppismo e la violenza non tardano a manifestarsi, prima come un’affermazione di identità individuali, poi come pratica esteticamente e moralmente condivisa, al fine di promuovere il successo del movimento, per mezzo di azioni dimostrative, di propaganda e di intimidazione, ai limiti del codice penale. A questo punto l’esperimento sembra giunto a buon fine, e il professor Wenger potrà


trarne le debite conclusioni, per indurre alla riflessione, sciogliendo, altresì, il gruppo. Questo, almeno, è quanto gli richiedono gli allievi più maturi e sensibili, i dissidenti come Karo (Jennifer Ulrich), o come la moglie, nonché collega, Anke (Christiane Paul). Ma non è più tanto semplice fermare l’Onda, che possiede ormai una sua vita autonoma. Gli studenti in camicia bianca, infatti, hanno continuato a minacciare gli altri giovani “non allineati”, creando così un clima di tensione e prepotenza. Marco (Max Riemelt), il fidanzato di Karo, la picchia per futili motivi. Tim (Frederick Lau), in rotta con la propria famiglia che gli preferisce il fratello, si è procurato un’arma, con la quale minaccia un gruppo di anarchici che l’aveva aggredito, apostrofando come “fascisti esaltati” i suoi compagni. Non solo. Di notte Tim staziona fuori dall’abitazio-

ne sul lago di Rainer Wenger a protezione dell’incolumità del suo mentore. Infine, una partita di pallanuoto contro un altro liceo della città degenera in un’inaudita esplosione di violenza. L’Onda è sfuggita del tutto al controllo del suo ispiratore, ma interromperne il flusso è divenuto assolutamente necessario. Un assurdo tributo di sangue si appresta ad essere pagato, dai ragazzi e dall’insegnante, per ritrovare la coscienza smarrita nel processo di omologazione. Inculcare idee distorte in soggetti deboli e insicuri, fornire loro alibi e miti è un crimine a tutti gli effetti. Ce lo rammenta l’esperienza storica più recente, le dichiarazioni di responsabilità di Adriano Sofri nell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, più volte additato negli anni Settanta, anche a mezzo stampa, come il “boia”

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dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Ce lo indicano i tanti “cattivi maestri” del cinema, a cominciare da Germania anno zero (1948) di Rossellini, in cui Edmund, il piccolo protagonista, involontariamente plagiato dal maestro, uccide il padre infermo. Ne L’attimo fuggente (1989), di Peter Weir, invece, anche un docente “illuminato”, adottato come “maestro di vita”, può provocare negli allievi sogni e stimoli che possono portare a conseguenze tragiche. Se, però, mutando prospettiva, scegliamo l’apprendistato al totalitarismo come chiave di lettura del film di Gansel, Train de vie (1998), di Radu Mihaileanu, diviene un riferimento obbligato in quanto il gioco di ruolo tra persecutori e perseguitati, carnefici e vittime, è l’artificio, speculare e farsesco, che consente la salvezza di un convoglio di ebrei sfuggiti in treno alla deportazione nazista.


L’Onda è un’opera di grande impatto emotivo che non lascerà indifferenti i recettori giovanili, e dunque, gli studenti delle scuole superiori a cui la pellicola è diretta. Tuttavia, l’approccio al film offrirà agli insegnanti un’ottima occasione di confronto sulle comuni radici storiche e sociologiche delle dittature, e sul ruolo della filosofia e della psicologia delle masse nella nascita e nello sviluppo dei totalitarismi. Inoltre, il film potrà fornire agli educatori un ulteriore spunto di autoanalisi perché porta a interrogarsi sull’etica pedagogica in rapporto alla soddisfazione del proprio ego, sull’efficacia dell’insegnamento “teatrale”, e sul coinvolgimento personale in merito ai bisogni e alle richieste, inconsce o manifeste, dei discenti.

Sulla teoria del totalitarismo “L’IO COLLETTIVO È GUIDATO AD AUTODETERMINARSI E AD ESPRIMER SÉ MOLTO PIÙ DA GLI ISTINTI O LIBIDINI VITALI, (CHE SONO LE FASI ACQUISITE E LE ARCAICHE E DI GIÀ COMPENDIATE DEL DIVENIRE), CIOÈ IN DEFINITIVA DA EROS, CHE NON DA RAGIONE O DA RAGIONATA CONOSCENZA (CHE D’È LA FASE IN ATTO, O FUTURA CHE TU TE NE FABBRICHI).” CARLO EMILIO GADDA, EROS E PRIAPO

Presentato al ventiseiesimo Festival del Film di Torino, L’Onda ha conquistato il pubblico grazie alla potenza delle immagini e al coinvolgimento emotivo che suscita la vicenda, derivata dagli eventi accaduti nel lontano 1967 alla Cubberley High School di Palo Alto, California, dove il prof. Ron Jones, in risposta a uno studente che l’interrogava su come sia stato possibile che milioni di cittadini tedeschi si fossero dichiarati ignari delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei, decise di applicare nella propria classe uno stretto regime disciplinare che limitasse significativamente la libertà degli allievi e li organizzasse in un’unità detta “La terza onda”. Tale sperimentazione provocò il comprensibile stupore dell’insegnante e le reazioni entusiastiche da parte dei ragazzi, i quali, nei giorni successivi estesero a tutta la scuola il nuovo ordine per mezzo di minacce, coercizioni, e violenze di vario genere. Dopo cinque giorni Ron Jones sospese il pericoloso esperimento, che nel 1981 è stato raccontato dallo scrittore americano Todd Strasser nel libro The Wave, da cui Dennis Gansel e Peter Thorwarth hanno ricavato la sceneggiatura per Die Welle - L’Onda. Naturalmente questi ultimi hanno adattato la storia originale al contesto tedesco attuale, modificando diversi particolari, e soprattutto il finale, che nel film culmina nella tragedia. Sebbene i comportamenti descritti ne L’Onda possano indurre a meraviglia e sconcerto, diversi studi in materia di psicologia, sociologia e filosofia hanno, in un passato

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anche piuttosto recente, risposto in maniera efficace agli interrogativi sollevati dall’opera filmica in esame. Sigmund Freud, in Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921), affrontando il rapporto tra psicologia individuale e sociologia, afferma che la psicologia sociale e i comportamenti di massa non siano altro che l’espressione delle vicissitudini psicologiche dei singoli individui, che si realizzano nell’interazione con il gruppo familiare. “Per l’individuo appartenente alla massa svanisce il concetto dell’impossibile”, sostiene il padre della psicanalisi. Ovvero, negli ampi sodalizi collettivi le inibizioni individuali tendono a scomparire, e tornano a manifestarsi tutti gli istinti negativi primordiali che anelano ad essere soddisfatti. L’influenza della massa modifica l’attività psichica dell’individuo al punto da esaltarne l’affettività, e ne inibisce, al tempo stesso, la capacità intellettuale fino a una riduzione delle proprie specificità, portando il medesimo individuo al livellamento e all’omologazione con il resto della comunità.

Tuttavia, in molti casi, l’etica di massa può consentire realizzazioni elevate come il sacrificio e la completa dedizione nei confronti di un’ideale, oppure di uno scopo pratico. Insomma, in un movimento allargato - come quello rappresentato da L’Onda - assistiamo all’annullamento della persona in un individuo collettivo incapace di moderazione, e propenso a scaricare i propri sentimenti in azione, un singolo dominato da atteggiamenti di superiorità fisica e mentale, da pregiudizi sociali e razziali, e dalla fervida adesione ai regimi dittatoriali. Un’altra interessante riflessione riguarda la cosiddetta “personalità autoritaria”, ossia quella che Theodor W. Adorno e i sociologi della Scuola di Francoforte (1950) emigrati negli USA attribuiscono a un soggetto che, avendo subito un’educazione repressiva, e magari avendo ottenuto vari insuccessi e frustrazioni nella vita, è portato ad assumere un’identificazione aggressiva a carico di persone più deboli, e dunque a nutrire sentimenti discriminatori e razzisti. Può essere il caso del professor Rainer Wenger e di Tim, i due personaggi - speculari - più importanti

del film, i quali, hanno in comune un basso livello di autostima, e risultano particolarmente attratti, seppur in modi differenti, da quella che Freud chiamava la “contagiante suggestione del prestigio” operata dalla società. Secondo Adorno, la personalità autoritaria è caratterizzata da rigidità morale e conformismo. Le relazioni interpersonali vengono concepite in termini di potere e di status sociale, senza alcun riguardo per l’originalità dei singoli. Tale tendenza idealizza la forza e la durezza, disprezzando, nel contempo, il sentimentalismo e la mollezza; ed è inoltre caratterizzata da servilismo verso i superiori e l’autorità costituita, mentre i deboli e i subordinati vengono denigrati. In un cambio di prospettiva, L’Onda si propone anche come un’analisi dei bisogni di un’intera generazione di individui insofferenti delle rispettive famiglie e dell’istituzione scolastica, alla ricerca di giustizia e certezze, di punti di riferimento e modelli positivi in cui identificarsi. Certo, a monte di questo disagio si legge un’ormai cronica carenza di autorità maschile nell’odierna società, carenza dovuta alla disgregazione della struttura tradizionale dell’istituzione familiare, e alla profonda crisi della comunicazione e dei rapporti interpersonali. In tale desolante contesto, poco incisiva, se non addirittura disarmata, risulta l’azione degli educatori (insegnanti, assistenti sociali, volontari delle associazioni laiche e religiose…) contro la facile ossessione della musica, contro il sesso facile e disimpegnato, contro il maniacale culto del corpo e del look, contro l’impenetrabile muro di gomma della solitudine, voluta e cercata, contro il ricorso all’alcool, o alle sostanze che promettono viaggi verso improbabili paradisi, contro la realtà virtuale e cibernetica dei videogame e della rete, contro i modelli dei reality show, contenitori fatui e artificiali inneggianti al culto del nulla…

L’Onda (Die Welle, Germania, 2008) Regia: Dennis Gansel Con: Jürgen Vogel, Frederick Lau, Max Riemelt, Jennifer Ulrich, Christiane Paul, Jacob Matschenz, Cristina do Rego, Elyas M’Barek, Maximilian Vollmar, Max Mauff. 101’, Bim, drammatico 27 febbraio 2009

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Claudio Lugi Pierpaolo Festa

Rita

La libertà di una giovane siciliana oltre la mafia “FORSE UN MONDO ONESTO NON ESISTERÀ MAI, MA CHI CI IMPEDISCE DI SOGNARE? FORSE SE CIASCUNO DI NOI PROVA A CAMBIARE, FORSE CI RIUSCIREMO”. RITA

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ita era arrivata a sentenziare che “anche i pomodori sapevano di sangue”. Non era solo lo sfogo di un’adolescente segnata nel profondo dalla mafia, che affidava alle pagine di un diario parole pesanti come pietre. “Non avrò una lunga vita”, amava ripetersi. Ed era piuttosto la riflessione lucida, non ancora disperata, di chi è chiamato a forza nel mondo degli adulti. Vendetta e giustizia, onore e rassegnazione, silenzio e attesa: termini che suonavano sommessamente nella testa della ragazzina a cui i mesi sfuggivano rapidamente, senza che le si placasse, neanche per un istante, l’ansia di vivere. La siciliana ribelle è il titolo del lungometraggio di Marco Amenta ispirato alla vera storia di Rita Atria, martire della guerra di mafia dei primi anni Novanta, e simbolo della lotta femminile alla violenza e all’omertà, al pregiudizio e all’oppressione maschilista. Nel film la vicenda ha inizio negli anni Ottanta, a Balata, piccolo paese agricolo in prossimità di Palermo, in cui Don Vito Mancuso (Mar-

cello Mazzarella), è finora riuscito, anche in barba alle istituzioni dello Stato, a mantenere la “pax mafiosa” grazie a un’equilibrata distribuzione delle rendite agro-pastorali e al rispetto dei valori tradizionali di Cosa Nostra. Ma un vento nuovo è arrivato a soffiare anche per i borghi di periferia. Un vento che spazza via l’antico ordine in nome di un affare ben più redditizio: il traffico di stupefacenti. Chi non si adegua viene cancellato. Don Salvo Rimi (Mario Pupella) è “il nuovo che avanza”. Il corpo esanime di Don Vito giace sul selciato vicino alla fontana, nella piazza del paese. Rita, il giorno della prima comunione, si bagna le mani e il vestito bianco della festa con il sangue del padre. Dopo qualche tempo tocca a Carmelo, suo fratello. Rita (Veronica D’Agostino) cresce sana e forte, accudendo in segreto, come una reliquia, il suo odio viscerale nei confronti di chi l’ha privata degli affetti più prossimi. Mentre Rosa (Lucia Sardo), la madre, tenta di indirizzare la rabbia della figlia sui binari più rassicuranti del silenzio

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Sarà possibile, dalla data di uscita del film e fino a giugno 2009, organizzare delle matinées rivolte agli studenti, dalle medie alle superiori, in tutta Italia ed è possibile effettuare le prenotazioni contattando il Numero Verde 800 144 961. Gli alunni potranno usufruire di un biglietto a prezzo ridotto, mentre l’ingresso per gli insegnanti e gli studenti diversamente abili sarà gratuito.

Per saperne di più: www.lasicilianaribelle.it

e della rassegnazione, la ragazza manifesta il desiderio di viaggiare, scoprire orizzonti diversi, esprimendo la sua completa adesione alla vita. Vito (Francesco Casisa), suo compagno di giochi dai tempi dell’infanzia, pare un ragazzo devoto e affidabile. È lui che la spinge ad abbandonare la propria casa allorché, a 17 anni ormai compiuti, Rita entra in contatto con il Procuratore Antimafia di Palermo (Gerard Jugnot), al quale consegna i propri scritti - assai dettagliati - sulle attività illecite della cosca capeggiata da Don Salvo. Da quel momento Rita verrà affidata a un programma di protezione che prevede il suo spostamento clandestino a Roma, dove le sarà assegnato un appartamento costantemente sorvegliato dalle forze dell’ordine, e l’apporto logistico, nonché umano, del Maresciallo Bruni (Paolo Briguglia). Nella capitale “diventa” Silvia, una giovanissima testimone di giustizia, che mentre collabora con il Procuratore per istruire il processo nei confronti di criminali, fiancheggiatori e funzionari dello stato


k4L?:?qDNRU collusi con la criminalità organizzata, ritrova qualche spiraglio dell’anelata libertà, iniziando a frequentare Lorenzo (Primo Reggiani), un tranquillo ragazzo di buona famiglia. Tuttavia, non sarà questo il legame forte che la giovane sta tentando di costruire. Piuttosto è la continua frequenza con la figura paterna del magistrato a fornirle la forza di reagire all’esecuzione del povero carabiniere Bruni, di accettare per “ragioni di sicurezza” il nuovo nome di Elena, e di sostenere un dibattimento processuale sempre più snervante e coinvolgente. Ma, quando i mafiosi sembrano ormai inchiodati alle loro gravose responsabilità, il giudice istruttore viene barbaramente dilaniato, insieme alla sua scorta, dall’esplosivo preparato da Cosa Nostra. Rinnegata dalla madre, senza più famiglia, né affetti, priva ormai di una qualsiasi identità,

Pierpaolo Festa

vinta la battaglia personale contro le cosche criminali e contro il suo destino, e convinta, alfine, della necessità morale e civile della giustizia, Rita dovrà fare i conti con la propria solitudine. Un nemico ancor più pericoloso della mafia. Che non lascia scelte. Se non quelle tragiche, assolute. Questo è l’esito, tutt’altro che scontato, de La siciliana ribelle, laddove l’affermazione delle idee di libertà costituiscono il migliore antidoto contro l’etica della sopraffazione e la logica della morte. Perciò riteniamo di dover associare quest’opera di alto valore educativo ai film più significativi che hanno scandito la feconda stagione neorealista e a quelli più recenti del nuovo cinema d’impegno civile - Il divo, Gomorra… - che hanno segnato il risveglio della nostra cinematografia in campo internazionale. Anche in questo senso va difatti

tradotta la scelta di affiancare un certo numero di attori presi dalla strada - e talvolta con un travagliato “vissuto” alle spalle - a professionisti che vantano partecipazioni illustri in importanti realizzazioni di ambientazione isolana. È il caso di Veronica D’Agostino, già vista in Respiro di Emanuele Crialese e nel film tv Paolo Borsellino, di Lucia Sardo e Paolo Briguglia, ammirati rispettivamente nel ruolo della madre e in quello del fratello di Peppino Impastato ne I cento passi di Marco Tullio Giordana, di Marcello Mazzarella, ottimo protagonista dello struggente Placido Rizzotto, e del giovane Francesco Casisa, il quale ha già lavorato con Marco Amenta nel docu-film Il Fantasma di Corleone, è stato tra i protagonisti in Respiro e Nuovomondo di Crialese, e ha partecipato alle fiction televisive Paolo Borsellino e Il capo dei capi. Nel cast figura, nei panni del magistrato antimafia, anche Gérard Jugnot, apprezzato interprete di Les choristes, e di Monsieur Batignole, di cui ha curato pure la regia. Percorso di formazione, ricerca di se stessi, lotta contro un nemico reale ed oscuro, isolamento materiale ed esistenziale, netta contrapposizione all’ingiustizia e alle contraddizioni della società: ecco i temi che il pubblico scolastico individuerà facilmente in questo esemplare testo per immagini che esorta a schierarsi, a mettersi in mostra, a impegnarsi personalmente per il cambiamento, e a sfilare contro la criminalità organizzata. Così come fecero migliaia di giovani e studenti all’indomani delle stragi in cui perirono i giudici Falcone e Borsellino, sostenendo con orgoglio gli striscioni che recitavano: “Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe”. I quaderni di Rita mostrano l’avversione nei confronti di quel mondo omertoso e prepotente da parte di una giovane nata e cresciuta nell’humus mafioso, e a contatto con la morale disumana di Cosa Nostra. Una morale fatta di falsità e violenze, di urla e silenzi, di intrighi e tradimenti, utilizzata ai propri fini da uno stuolo di presunti galantuomini. La giovane ha fiducia che l’impegno attivo, individuale e collettivo, possa riuscire, prima o poi, a modificare la situazione. Il dovere dei docenti e degli educatori sarà per l’appunto quello di trasmettere con decisione questo messaggio di fiducia agli studenti e ai giovani che assisteranno alla visione del film: “Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare?”.

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Marco Amenta

Veronica D’Agostino

Emanciparsi dalla mafia? È più facile che vincere la solitudine… Intervista a Marco Amenta e Veronica D’Agostino, in esclusiva per PRIMISSIMA SCUOLA. Già passato nella sezione Alice nella città al Festival di Roma, La siciliana ribelle viene proposto al cinema Nuovo Olimpia in occasione della presentazione del Listino dell’Istituto Luce per il 2009. Il film è diretto da Marco Amenta, giovane documentarista conosciuto per il Diario di una siciliana ribelle, L’ultimo Padrino e Il Fantasma di Corleone, al debutto nel lungometraggio di finzione. Marco Amenta “Il mio obiettivo non era quello di realizzare una pellicola d’autore, bensì un film sociale impostato, tuttavia, come un thriller. Ecco perché mi sono avvalso della collaborazione di Sergio Donati, sceneggiatore - non sempre accreditato - di molti degli spaghetti-western di Sergio Leone. La siciliana ribelle è un film di denuncia sociale, che parla di libertà, di coraggio, di desiderio di giustizia…” Il regista palermitano presenta la giovane protagonista Veronica D’Agostino, già ammirata insieme a Valeria Golino in Respiro di Emanuele Crialese, e nel ruolo di Fiammetta, figlia del giudice Paolo Borsellino, nell’omonimo sceneggiato televisivo diretto da Gianluca Maria Tavarelli.

Amenta “L’ho scelta immediatamente dopo il primo provino. L’ho trovata istintiva, adatta alla parte, ricca di quello spirito un po’ naif che gli deriva dalle origini di Lampedusa, un paese di 5000 anime. Mi ha dato l’idea di una persona non ancora “globalizzata”… Veronica D’Agostino: “Sì che sono globalizzata. Visto che oramai vivo a Londra. Ho creduto anima e corpo in questo personaggio, che non conoscevo, ma che giorno dopo giorno ho particolarmente amato.” Che cosa vi aspettate da questo film? Amenta “Mi aspetto che emozioni particolarmente gli spettatori [il riscontro è già stato assai positivo al Festival di Roma dove la pellicola è stata ben accolta dal pubblico e dalla critica n.d.r.]. Con questo film non intendevo fornire risposte, ma provocare stimoli, domande, visto il quotidiano. Il fine di quest’opera è ridestare le persone dal torpore del nostro tempo. In effetti il messaggio finale è uscire dal sentiero predestinato: ognuno deve trovare il proprio itinerario, il proprio scopo.” D’Agostino “Ho già ottenuto ciò che volevo, e di ciò so 9

no felicissima. Come dicevo prima, ho amato questa parte e mi sono identificata molto nel personaggio. Credo di avere molti punti in comune con Rita Mancuso. Anch’io possiedo una grande voglia di libertà che forse mi deriva dal fatto d’esser vissuta in un piccolo centro isolato come Lampedusa. Attendo ora fiduciosa la prossima sfida…” Qual è il valore aggiunto che ne fa un’opera di grande interesse didattico? Amenta “Credo fortemente nella valenza didattica de La siciliana ribelle in quanto è la storia di un’adolescente, e i ragazzi possono ben identificarsi in Rita Mancuso. È un racconto in cui la protagonista, come i giovani della sua età, è alla ricerca di se stessa. Ma Rita è anche una figura tragica (che ricorda l’Antigone di Sofocle) in lotta contro il destino, che alla fine si dispone decisamente a una scelta dolorosa ed estrema.” D’Agostino “È un film adatto ai giovani per la semplicità della storia e perché tratta argomenti di grande richiamo come gli omicidi di Falcone e Borsellino e per l’evoluzione personale della protagonista, una ragazza che combatte per la sua libertà, si ribella alle costrizioni sociali, e che finisce per rimanere sola da tutto e da tutti…”


k4L?:?qDNRU Le immagini finali di repertorio e le frasi pronunciate da Rita risuonano come un messaggio di speranza. Perché? Amenta “Le immagini d’archivio sono un richiamo alla storia nazionale, alla verità documentata. Il film è di fatto ispirato a una storia vera (quella di Rita Atria). Nelle sequenze finali sono riprese le scene drammatiche che seguirono all’attentato a Borsellino e la massiccia partecipazione della gente alle esequie. Allora si ebbe l’impressione che una mobilitazione così ampia avrebbe potuto finalmente incidere in maniera decisiva contro la mafia…” D’Agostino “Io invece sono piuttosto pessimista riguardo alla mafia. Non penso che la mafia si possa battere facilmente: ne siamo troppo impregnati. Essa è dentro la gente comune, radicata profondamente nella nostra mentalità.”

cambio di prospettiva. Ossia, nella prima parte della pellicola dominano gli spazi aperti, le tonalità calde di una Sicilia ritratta nella sua splendida natura, nel suo paesaggio e nel fascino dei suoi borghi minori, quasi una Sicilia da cartolina. [Nel film compare una citazione di Nuovo Cinema Paradiso: il nonno del regista gestiva una piccola sala cinematografica n.d.r.]. Nella seconda parte, il passaggio a Roma corrisponde a toni più grigi e le scene d’interno prendono decisamente il sopravvento…” D’Agostino “Luca Bigazzi è stato eccezionale. Sul set è sempre stato prodigo di consigli.” Veronica, lei è originaria di Lampedusa, l’isola al centro del Mediterraneo, più vicina all’Africa che alla Sicilia, che ricorre frequentemente nelle cronache per i con-

A proposito di realtà, il contesto mafioso pare ben riprodotto… Amenta “Nel film ho voluto sottolineare il passaggio in un piccolo centro della provincia siciliana dalla vecchia mafia tradizionale fondata sul latifondo, concentrata sul mondo contadino e pastorale alla nuova organizzazione che ha eletto la droga e gli appalti a fonte primaria del proprio business.” La scansione diaristica dell’ordito narrativo del film richiama alla mente altri libri celebri, come Il Diario di Anna Frank. Anche La siciliana ribelle è un racconto di formazione, non crede? Amenta “Certamente. Ne La siciliana ribelle la vicenda personale prevale sul contesto storico. Rita anela alla vita. Il suo percorso personale è una sorta di emancipazione dal maschilismo. Non è solo la mafia direttamente ad opprimere la giovane, ma specialmente la famiglia e il contesto socio-culturale. Chi dalla mafia trae ‘nutrimento’. Tale messaggio dimostra il carattere universale di tale vicenda, unitamente alla tematica più generale della mafia.” Non trovate che l’eccelsa fotografia di Luca Bigazzi, livida e, a tratti angosciante, fornisca ulteriore qualità a questa pellicola? Amenta “Soprattutto Bigazzi riesce a far coincidere i due tempi del racconto caratterizzandoli con una fotografia che corrisponde a un marcato

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tinui sbarchi di clandestini. Ci può raccontare le sue impressioni in merito a tale problematica? D’Agostino “Ho vissuto sull’isola, ma da qualche anno a questa parte vi risiedo solo d’estate. La situazione è ai limiti dell’insostenibilità perché a fronte di 5000 residenti, spesso abbiamo un numero almeno doppio di irregolari. Noi viviamo quotidianamente il dramma dell’immigrazione clandestina e della disperazione. Tante volte mi è capitato di incontrare persone disorientate che, sbarcate nottetempo, mi chiedessero di indicare loro la stazione ferroviaria!”

La siciliana ribelle (Italia, 2008) Regia di Marco Amenta con Veronica D’Agostino, Gerard Jugnot, Marcello Mazzarella, Lucia Sardo 110’, Istituto Luce, drammatico 27 febbraio 2009


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Mostri contro Alieni: il futuro è già qui

E’ L’APRIPISTA DI UN NUOVO MODO DI FARE (E DI CONSUMARE) CINEMA. IL PRIMO FILM GIRATO DIRETTAMENTE IN 3-D, INVECE DI ESSERE CONVERTITO IN POST-PRODUZIONE, È GIÀ UN EVENTO. MONSTERS VS. ALIENS È UN OMAGGIO IRRIVERENTE AI B-MOVIES FANTA-CATASTROFICI DEGLI ANNI 50, QUANDO I MARZIANI INVADEVANO I CORTILI DI CASA, ED I MOSTRI DI GOMMA SI APPICCICAVANO AI GRATTACIELI. MA QUESTO PSEUDO HORROR DI FANTASCIENZA È DESTINATO A TRAGHETTARE UN’ERA DI SCATENATA FANTASIA IN UNA NUOVA ESPERIENZA VISIVA.

LA STORIA Nel giorno del suo matrimonio, la giovane californiana Susan Murphy viene accidentalmente colpita da una meteora piena di sostanze interstellari e inizia misteriosamente a crescere fino a raggiungere 15 metri di altezza. Informato della minaccia che il nuovo mostro potrebbe rappresentare, l’esercito entra in azione catturando la ragazza e

trasferendola in un sito militare segreto. Lì viene ribattezzata con il nome di Ginormica e segregata in un recinto in compagnia di un gruppo di mostriciattoli dall’aria poco rassicurante: il geniale e insettiforme Dottor Professor Scarafaggio; il super macho, metà scimmia e metà pesce Anello Mancante; il gelatinoso e indistruttibile B.O.B e il bruco di oltre 100 metri di lunghezza chiamato In-

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sectosaurus. Ma il loro internamento viene bruscamente interrotto dall’arrivo sulla Terra di un misterioso Robot alieno che prende d’assalto il Paese. Colto dalla disperazione, il Presidente degli Stati Uniti viene persuaso dal Generale W.R. Monger ad arruolare il variopinto gruppo di Mostri per combattere il Robot Alieno e salvare il mondo dalla sua imminente distruzione.


I personaggi GINORMICA

Un giorno, mentre credeva di andare a celebrare le nozze con il meteorologo del posto Derek Dietl, Susan Murphy viene colpita da una meteora proveniente dallo spazio interstellare. La dolce e mite ragazza di provincia si trasforma improvvisamente in un mostro dalla forza inimmaginabile alto come un palazzo a cinque piani. Malgrado la sua forza e la sua altezza, Susan non riesce a vedersi nei panni di un mostro e desidera disperatamente tornare alla tranquilla vita di una volta.

DOTTOR PROFESSOR SCARAFAGGIO

Durante un esperimento per dare agli esseri umani la stessa longevità di uno scarafaggio, il suo apparecchio di tele-trasporto subisce (come spesso accade) un guasto. Fortunatamente, il cervello del folle scienziato non subisce danni ma resta imprigionato all’interno di un gigantesco scarafaggio. Il Dottor Professor Scarafaggio, l’uomo-scarafaggio, è un tipo raffinato e di grande fascino che ama mangiare cibi imputriditi. Sa costruire cose molto ingegnose, come il suo apparecchio di tele-trasporto che, sfortunatamente, però, presentano spesso una serie di effetti collaterali.

L’ANELLO MANCANTE

Metà scimmia e metà pesce, l’Anello Mancante è l’anello mancante tra l’uomo preistorico e i suoi antenati sottomarini. Durante l’antichità aveva subito un’evoluzione – si era

trasferito dalla laguna alla spiaggia – ed era stato travolto dall’Era Glaciale che lo aveva congelato. Alcuni secoli dopo, si era scongelato e aveva tentato di tornare alla vecchia laguna che, tuttavia, era stata trasformata in un resort turistico. Non avendo altra scelta, aveva iniziato a spargere terrore tra i clienti del resort.

B.O.B.

E’ un tipo gelatinoso, indistruttibile e dall’appetito insaziabile. Proviene da un pomodoro geneticamente modificato. Probabilmente, è anche privo di cervello – in realtà, non c’è l’ha affatto – ma è il cuore del gruppo – anche se, tecnicamente parlando, non ha neanche il cuore. Non è neanche il mostro più brillante che esista ma, alla fine, è l’unico a sapere concepire un piano semplice e allo stesso tempo geniale.

INSECTOSAURUS

Le radiazioni nucleari hanno trasformato questo cucciolo di bruco in una larva di oltre 100 metri di altezza, che mette a ferro fuoco la città di Tokyo. Lui, in realtà, non voleva essere tanto distruttivo e voleva usare i grattacieli solo per mettere i denti. Parla facendo strani e incomprensibili ruggiti che solo l’amico Anello Mancante riesce a comprendere. E’ un bruco formidabile, dalla stazza imponente e le narici che sputano seta.

ricostruirne un altro a sua immagine e somiglianza. Vaga attraverso la galassia per trovare le sostanze più potenti che l’universo di Quantonium abbia mai generato e mettere in atto il suo piano diabolico: conquistare l’universo – la Terra, innanzitutto – e creare dei cloni di se stesso.

IL PRESIDENTE HATHAWAY

Non vuole passare alla storia come colui che presenziò alla distruzione finale del pianeta. Così, decide di approvare il piano del Generale Monger di chiamare a raccolta il gruppo di mostri e distruggere il robot alieno. Se vinceranno, il Presidente passerà alla storia come un genio, se falliranno…beh, nessuno sentirà la loro mancanza.

GENERALE W.R. MONGER Odia i mostri tenuti in cattività, ma quando il robot di Galaxhar distrugge tutte le forme di difesa del Paese, si vede costretto a liberarli nella speranza che le cose vadano per il meglio.

DEREK DIETL GALAXHAR

In parte umanoide, in parte calamaro e in tutto e per tutto mostruoso, Galaxhar è un megalomane che distrugge il suo pianeta per

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Derek, il fidanzato di Susan (prima che diventi Ginormica), è un bel ragazzo un po’ superficiale. Il suo sogno più grande è diventare il conduttore televisivo più seguito di Fresno.


DreamWorks Animation

Cinema 3D, la rivoluzione in arrivo IL 2009 POTREBBE ESSERE L’ANNO DELLA SVOLTA PER IL 3D NELLE SALE CINEMATOGRAFICHE DEL PIANETA. NEGLI STATI UNITI LE SALE GIÀ EQUIPAGGIATE PER QUESTO NUOVO FORMATO SONO GIÀ 1.500, IN ITALIA SIAMO ANCORA A QUOTA 50, MA - CRISI ECONOMICA PERMETTENDO - IL NUMERO DOVREBBE RADDOPPIARE ENTRO L’ANNO.

Questo è il primo film, scritto, elaborato e realizzato espressamente per il formato 3D dalla DreamWorks Animation, da tempo in prima linea nella promozione e diffusione della tecnologia 3-D nel cinema. Un risultato importante ottenuto grazie ai recenti successi della tecnologia e alle risorse che lo Studio ha investito per mettere a punto strumenti e tecniche di authoring di film in 3-D. Realizzato con una tecnologia estremamente avanzata, Monsters vs Aliens è un film stereoscopico in 3D che rivoluziona letteralmente l’esperienza visiva offerta allo spettatore. La DreamWorks ha dichiarato che intende passare alla realizzazione di film unicamente in 3D da distribuire nelle sale, a partire dal 2009, iniziando con Monsters vs. Aliens, e continuando con i prossimi film della serie Shrek.

MOSTRI CONTRO ALIENI

Il rilancio del 3D, dopo una falsa partenza negli anni 80, passa per uno sviluppo sostanziale della tecnologia digitale, che oggi garantisce esperienze sensazionali. Gli spettatori potranno sentirsi ‘immersi’ in un film, grazie agli appositi, indispensabili e sofisticati occhiali. «L’unica cosa che rende tutto questo possibile è la tecnologia digitale», spiega Steve Schklair di 3ality digitale, la casa di produzione che ha creato “U2 3D”. «Usiamo l’elaborazione delle immagini digitali in tempo reale, e le digitalizziamo nel momento esatto in cui le catturiamo, cosa impensabile 30 anni fa». Oggi la storia è cambiata: lo dimostra il film animato “Beowulf”, uscito come film tradizionale ma proiettato in 50 cinema in digitale 3D, ottenendo un vero trionfo di pubblico. E Hollywood ha fiutato subito l’aria nuova: un mostro sacro come Jeffrey Katzenberg della Dreamworks (il

signore, per intendersi, che ha prodotto “Shrek”, “Madagascar” e “Bee Movie”) si è innamorato del 3D, tanto da annunciare che a partire da “Monsters vs Aliens” ogni sua produzione sarà tridimensionale. Stesso discorso per la Disney, che dopo “Bolt” ed “Hanna Montana” ha annunciato ben 12 pellicole in 3D. E poi c’è il fenomeno Cameron: il regista di “Terminator” sta girando “Avatar”, filmone di fantascienza in 3D da 195 milioni di dollari, che uscirà a fine 2009, come “Final Destination 4”. Nel 2010 usciranno Ice Age 3 e Toy Story 3, nel 2011 uscirà l’attesissima trilogia di Steven Spielberg e Peter Jackson “Tintin”. L’unico problema è, in tempi di crisi, l’adeguamento degli schermi dei cinema, ancora indietro. Ma se si muovono registi come Cameron, Spielberg e Jackson, che sono probabilmente i tre più grandi al mondo, major come Dreamworks, Disney e Fox, i film in 3D potrebbero diventare lo standard del prossimo decennio.

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(Monsters vs Aliens, Usa, 2009) Prodotto da Lisa Stewart per DreamWorks SKG Diretto da Rob Letterman e Conrad Vernon Cast vocale: Reese Witherspoon, Hugh Laurie, Will Arnett, Seth Rogen, Rainn Wilson, Stephen Colbert, Kiefer Sutherland e Paul Rudd 3 aprile 2009


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La redenzione di un vecchio eroe solitario “… QUANDO MI È ARRIVATA LA SCENEGGIATURA CI HO VISTO QUELLO CHE DESIDERO, CIOÈ UN PERSONAGGIO CHE VA DA QUALCHE PARTE, CHE PARTE DA UN POSTO E ARRIVA IN UN ALTRO. WALT È UN UOMO FUORI DAL TEMPO, CHIUSO PER CHI È DIVERSO DA LUI, INCAPACE DI AVERE UN MINIMO DI CALORE PERFINO CON I SUOI FIGLI”. CLINT EASTWOOD

Una coupé sportivissima fabbricata dalla Ford, e dedicata alla capitale italiana dell’automobile, dà il titolo all’ultima fatica cinematografica di Clint Eastwood: Gran Torino. La grintosa versione GT del 1975, rossa fiammante, e con una larga striscia bianca lungo la fiancata, veniva impiegata dai due simpatici detective protagonisti della serie televisiva più avvincente della fine degli anni Settanta: Starsky e Hutch. Ritroviamo, invece, la Gran Torino Sport, un modello classico del 1972, in un garage di Detroit, gelosamente curata e vezzeggiata come una preziosa cavalla da corsa. Walt Kowalski (Clint Eastwood), di origini polacche, è un anziano meccanico in pensione che ha conosciuto la catena di montaggio della Ford e la crisi dell’auto. Oltre a quella accennata, non possiede altre passioni. Reduce della Guerra in Corea, ha conservato dell’Asia una medaglia al valore e il fucile M-1, il ricordo dei compagni morti e la forte avversione per i “musi gialli”. Che negli ultimi anni, insieme ai neri e ai latinoamericani, hanno invaso la zona. Insomma, Highland Park non è più, come una volta, il quartiere più lindo e ordinato di “Motor City” (così era detta Detroit), ma per fortuna continuano a viverci ancora i suoi unici amici: Martin (John Carroll Lynch), il barbiere, e Daisy, il suo cane bianco. Dopo la morte della moglie Dorothy, Kowalski pare aver accentuato la sua indole burbera e solitaria. Padre Janovich (Christopher Carley) lo invita alla confessione perché è stato questo l’ultimo desiderio della donna, ma Walt lo evita bruscamente. I figli e i nipoti, fatui e superficiali, lo innervosiscono, e gli paiono sempre più estranei. I vicini di casa Hmong, un’etnia sconosciuta dell’Estremo Oriente, lo infastidiscono, e lui non risparmia loro improperi, grugniti e sputi di disprezzo. Intorno a sé null’altro che promiscuità e sciatteria, indifferenza e disordine. Kowalski rifiuta di adattarsi a “sopravvivere” nei pochi anni che gli rimangono. La manutenzione della propria abitazione, i piccoli lavori di riparazione che effettua qua e là, la lucidatura della sua Gran Torino, e la compagnia di una birra bastano, tuttavia, a riempirgli la vita.

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mani della sconfitta. Diretto e interpretato da Clint Eastwood, in uno stato di grazia che negli ultimi anni gli ha consentito di realizzare un numero incredibile di toccanti capolavori, di ritratti unici di un’America dolente e sconsolata, tenacemente aggrappata alla bandiera e alla proprietà, Gran Torino è un’opera malinconica e sincera, tutt’altro che retorica. Che non va letta solamente come una sorta di western crepuscolare, né come la vicenda personale di un uomo solitario e razzista, e neppure come il lento percorso interiore di un individuo fino alla propria riabilitazione. Il sottotesto ci propone, infatti, un’acuta riflessione su una vasta gamma di tematiche che riguardano il mondo contemporaneo: dal rispetto delle minoranze alla tolleranza delle diversità, dall’urgenza dell’integrazione all’elaborazione di un ventaglio di valori condivisi. Nel lavoro del regista di Million dollar baby racconto e allegoria si identificano, e le scene di violenza, o le sequenze che evidenziano l’attuale crisi dei costumi, non hanno il tempo di trasformarsi in metafore, sono già testimonianze di vita vissuta. Ma una notte, dei rumori provenienti dalla rimessa lo destano: un giovane sta cercando di rubargli l’amata Ford. Kowalski interviene prontamente, mettendo in fuga nell’oscurità il goffo e spaventatissimo ladro. Questi è Thao (Bee Vang), il vicino di sedici anni, che è stato costretto dalla gang di teppisti di cui intende far parte, a eseguire il furto. Qualche tempo dopo, la banda ritorna dal ragazzo e provoca una rissa durante la quale i giovani finiscono sul prato rasato nella proprietà di Kowalski. Imbracciato il fedele fucile M-1, Walt scaccia minacciosamente tutto il gruppo.

Parallelamente alla sensibile maturazione del ragazzo, anche la considerazione del “vecchio lupo solitario” va modificandosi: ora il suo rapporto con il giovane somiglia sempre più a un legame affettivo. “Ho molte più cose in comune con questa gente di quante ne abbia con i miei figli viziati e fannulloni”, arriva a dichiarare, mesto, il protagonista. Così, allorché i delinquenti torneranno a infastidire e minacciare Thao e la sua famiglia, il cocciuto veterano vestirà per l’ultima volta i panni del difensore, preparando gli spettatori a un epilogo sorprendente, che naturalmente evitiamo di svelare…

La dimostrazione di coraggio di Walt ne diffonde la popolarità in tutto il quartiere, e i suoi vicini Hmong in breve tempo iniziano a inondarlo di regali (alimenti, fiori e piante) non proprio graditi dallo scorbutico pensionato. Inizialmente, egli rifiuta i contatti con gli asiatici, ma la vivacità e la schiettezza di Sue (Ahney Her), sorella maggiore di Thao, lo inducono a mutare atteggiamento, e pensiero, riguardo a quella famiglia unita e rumorosa, quanto intelligente e rispettosa. Con il tempo Walt accetta anche l’invito a una festa degli Hmong (con tanto di sciamano), frequenta divertito Sue, e finalmente, accetta la compagnia di Thao, il quale, grazie all’anziano vicino di casa, ha iniziato ad appassionarsi al lavoro manuale.

Però, possiamo anticipare che la miglior canzone di Gran Torino, che porta ugual titolo, è stata scritta dallo stesso Clint assieme al figlio Kyle, Michael Stevens e Jamie Cullum. Inoltre, il film contiene diversi spunti ironici e divertenti che alleggeriscono piacevolmente la narrazione; specialmente la sequenza in cui Walt Kowalski riceve dal figlio Mitch (Brian Haley) i regali di compleanno, oppure le buffe scenette familiari dei vicini Hmong, che scopriamo essere una popolazione asiatica che vive nell’area montuosa compresa tra Cina, Laos, Vietnam e Thailandia, e che partecipò alla Guerra del Vietnam a fianco degli Americani: per questo i profughi di tale etnia poterono rifugiarsi negli USA all’indo-

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Il protagonista richiama gli spettatori a una riflessione sulla violenza delle periferie e sulla difficoltà di intercettare le reazioni a catena che essa innesca, sulla religione, e sulla sua incapacità a trovare risposte valide alle pressanti istanze del nostro tempo. Egli è una persona che odia l’ipocrisia e che non è riuscita ad accettare completamente il presente, allontanandosi poco a poco dai propri familiari, e approfondendo, così, il solco generazionale, visto che si è dimostrato impreparato ad accogliere l’etica del mondo che si modifica. Il suo attaccamento al passato, alle abitudini consolidate, e il tormento interiore costituito dalla guerra, tuttavia, non gli impediranno di crescere e di apprendere dagli altri, dai più deboli, che è ancora in tempo per liberarsi dai pregiudizi che lo incatenano…

Gran Torino (Usa, 2008) Regia di Clint Eastwood con Clint Eastwood, Cory Hardrict, Geraldine Hughes, Brian Howe, Brian Haley 116’, Warner Bros., drammatico 13 marzo 2009


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Pierpaolo Festa

E gli Italiani: solo brava gente? Alcuni critici americani hanno parlato di Gran Torino come una sorta di “film testamento”, in quanto ritengono che la parabola di Walt Kowalski sia parallela a quella di Eastwood, uomo e cineasta. Sebbene comprendiamo che sia difficile trovare storie così intense da affidare a un 78enne, non ci piace pensare che questo film rappresenti “il canto del cigno” di “Dirty Harry”. Speriamo, piuttosto, che ciò non sia, e che quella maschera impassibile solcata da rughe profonde possa continuare a regalarci ancora tante emozioni. Se così non fosse avremmo, invece, altri motivi in più per apprezzare una pellicola che riteniamo, per ragioni contingenti, adatta al pubblico italiano, e particolarmente, al dialogo educativo e scolastico. La ricchezza tematica del film, come si accennava nell’articolo precedente, offre svariati spunti di discussione, tuttavia, riteniamo che il problema dell’integrazione degli immigrati nella società contemporanea e la lotta al razzismo e all’intolleranza siano le questioni decisamente più urgenti oggi nella penisola. Abbiamo a lungo creduto, infatti, che l’Italia fosse, per certi versi, immune dagli orribili episodi di xenofobia verificatisi in Europa negli anni passati, come il rogo, in Germania, dell’ostello dei lavoratori turchi (5 vittime innocenti) da parte dei neonazisti, oppure i 60.000 episodi di razzismo registrati in Gran Bretagna tra l’aprile 2004 e il marzo 2005, per non parlare del genocidio di Srebrenica, nella ex-Jugoslavia. Nel corso degli anni l’aumento della presenza di stranieri, extracomunitari e non, regolari e clandestini (5-6 % della popolazione, ovvero circa 3 milioni di persone) ha proceduto di pari passo con l’aumento del razzismo e della xenofobia, dell’intolleranza e dell’omofobia nel nostro paese. Ancor più in questi ultimi mesi in cui gli episodi di violenza e disprezzo nei confronti della diversità non si contano, e accadono con inquietante regolarità in ogni angolo d’Italia, sia nelle aree metropolitane, dove abbondano le situazioni di confronto e di omologazione, che nella provincia, dove più marcati sono i contrasti e le differenze.

“I terroni non so, ma noi italiani non siamo razzisti.” Ellekappa

La strage camorristica di Castelvolturno con sei africani trucidati; i “pogrom” di Napoli contro la comunità Rom; i raid squadristici ai danni dei rumeni e degli albanesi nella capitale; l’insofferenza anticinese e l’omicidio di Abdul, italiano del Burkina Faso, a Milano, da parte di due commercianti; il pestaggio di un cittadino italiano di origine ghanese a Parma, ad opera, addirittura, della Polizia Municipale… È una lista destinata ad allungarsi se non si recupera al più presto un clima di tranquillità, di solidarietà, di senso civile condiviso. Bisogna anzitutto prendere atto che ci attende un futuro sempre più multietnico, multirazziale e multiculturale, perché la pressione demografica mondiale pare inarrestabile. Tale problematica va intesa come un’opportunità decisiva per lo svi-

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luppo della nostra economia, vista la carenza nel nostro Paese, di manodopera a basso costo in agricoltura e pastorizia, industria e artigianato, edilizia e igiene, assistenza sanitaria e cura della persona. Un’altra annosa questione riguarda il recupero della nostra memoria, magari riprendendo nelle sedi scolastiche lo studio delle discipline storiche. Noi italiani, siamo - tradizionalmente - una popolazione di “meticci”, dal momento che abbiamo conosciuto innumerevoli invasioni (diremmo per fortuna) e il proficuo contatto con i popoli più svariati, fattori questi di “arricchimento” genetico e culturale. Inoltre, abbiamo dimenticato troppo rapidamente i milioni di connazionali, che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, hanno attraversato l’Oceano Atlantico, sopportando la “quarantena” a Ellis Island, porta d’America, come ha splen-


didamente narrato Emanuele Crialese in Nuovomondo. Anche Albert Einstein dovette eseguire quell’umiliante trafila, compilando il modulo d’immigrazione. Alla voce “razza” scrisse quella che viene ricordata come una delle sue massime più significative: “L’unica razza che conosco è quella umana”. In quel periodo l’afflusso dalla penisola fu talmente massiccio che i soggettisti di Hollywood, nell’epoca del cinema muto, impiegarono proprio gli italiani come lo stereotipo dell’immigrato europeo. I nostri connazionali vennero ritratti come vittime d’infelici condizioni economiche, e solo talvolta lieti di aver raggiunto la totale americanizzazione, e una piccola porzione dell’american dream. Di lì a poco agli italiani furono anche affibbiati i ruoli di malavitosi, gangster, che dovevano rappresentare il fallimento sociale e le anomalie del sistema americano.

12 film da non perdere Ecco una breve filmografia sul tema dell’emigrazione. Si tratta di pellicole perlopiù facilmente reperibili sul mercato dell’home video, che potranno essere agevolmente utilizzate dai docenti per una maggiore efficacia didattica. Tra queste, spiccano due straordinari classici del cinema muto, di Chaplin e diverse pellicole italiane, a dimostrazione che la problematica è sempre stata affrontata con attenzione nel nostro paese… L’emigrante (1917) di Charlie Chaplin La febbre dell’oro (1925) di Charlie Chaplin Cristo fra i muratori (1949) di Edward Dmytryk Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti La noire de... (1966) di Ousmane Sembene Good Morning, Babilonia (1987) di Paolo e Vittorio Taviani Lamerica (1994) di Gianni Amelio Così ridevano (1998) di GianniAmelio Cose di questo mondo (2002) di Michael Winterbottom Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese Fast food nation (2006) di Richard Linklater

Boss mafiosi e pugili, raffinati latin lover e cantanti d’opera, guitti e miseri lavoratori: questi i soggetti incarnati più volte dalla cinematografia fino agli anni Cinquanta. Ma lontano da Hollywood anche i nostri connazionali dovettero subire sgradevoli discriminazioni razziste che sfociarono, specie negli stati del Sud, in violenze irrefrenabili rimaste perlopiù impunite. Il caso emblematico di “razzismo di stato” è rappresentato dalla ignobile vicenda di Sacco e Vanzetti, condannati alla sedia elettrica nonostante la loro palese innocenza, e ricordati da una struggente pellicola di Giuliano Montaldo del 1971.

Ma a partire dagli anni Settanta, attori e registi di origine italiana hanno invaso il mondo del cinema americano analizzando sotto una diversa luce gli stereotipi del passato, e contribuendo, così, in maniera decisiva, al rinnovamento dell’immagine degli italoamericani. Un’esperienza decisiva quella della nostra comunità negli USA, perché questo grande Paese costituisce tuttora il laboratorio mondiale del melting pot, da cui dovremo trarre una lezione esemplare, cercando di evitare di ripetere gli errori ivi commessi per realizzare un’integrazione il più possibile rispettosa dei diritti umani e delle diversità etniche, religiose eculturali.

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C’era una volta… I racconti della buona notte!

L’umanità si è sempre distinta, per alcune caratteristiche peculiari, tra queste c’è la fantasia: un concetto astratto dalle mille sfaccettature. Il sogno, la fuga dalla realtà, l' astrazione, l’immaginazione, sono componenti fondamentali nell’equilibrio psichico di tutti gli individui. Oltre che dei potenti stimoli della creatività.

UNA COMMEDIA RISCOPRE, ESAGERANDOLO, IL POTERE DEI RACCONTI DELLA BUONA NOTTE. UN TERRITORIO MAGICO DOVE LA FANTASIA SOSTITUISCE LA REALTÀ E PUÒ GIOCARE DEGLI SCHERZI MOLTO BIZZARRI. AD INTERPRETARLA, CON IL SUO CELEBRE MARCHIO DI FABBRICA DI EROE SUONATO E SCANZONATO, IL CELEBRE ADAM SANDLER, UN VERO E PROPRIO IDOLO DEI TEENAGER D’OLTREOCEANO.

LA STORIA Frustrato e umiliato sul posto di lavoro, Skeeter Bronson (Sandller), un garzone d’albergo single, per aiutare la sorella che deve assentarsi per motivi di lavoro, accetta di farle da boy sitter, prendendosi cura per due sere dei suoi due bambini. Il suo compito, grazie alla sua instancabile fantasia, è quello dei ‘racconti della buona notte’, una bella favola per accompagnare i piccoli nel mondo dei sogni. Ma Skeeter si accorgerà ben presto che quello che legge ai suoi nipoti, il giorno dopo diventa realtà, materializzando-

I PROTAGONISTI si nella sua vita quotidiana. Dopo un primo momento di confusione l’intraprendente Skeeter cercherà di sfruttare questa magia a suo vantaggio: nell’aiutare i suoi famigliari, per trovare un lavoro migliore, e per fare colpo sull’amore della sua vita. Ma senza l’aiuto dei due nipotini, la magia non funziona. Anzi, il suo straordinario potere può diventare un pericolo, proprio a causa dei due nipotini che intralciano continuamente le storie deviandole con gli stratagemmi che loro preferiscono.

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Racconti incantati è stato diretto da Adam Shankman (Hairspray – grasso è bello) e vanta un cast eterogeneo all star: Keri Russell (August Rush, Waitress), Guy Pearce (L.A. Confidential, Factory Girl), dall’eccentrico Dj inglese Russell Brand (Non mi scaricare), Richard Griffiths (History Boys, Harry Potter e l’Ordine della Fenice), Jonathan Pryce (Brasil), Courteney Cox (Friends), Lucy Lawless (Xena principessa guerriera) e Teresa Palmer (Kids in America, Grudge 2).


ha dovuto venderlo, ma ha fatto un accordo con il Signor Nottingham, il nuovo proprietario, per cui Skeeter alla fine avrebbe potuto dirigere l’albergo. Quindi Skeeter ha continuato a lavorare in attesa che questo avvenisse. E il giorno in cui sarebbe dovuto accadere, il lavoro è stato assegnato ad un altro”. Gli risponde Guy Pearce: “Io sono Kendall, colui che ha fregato il posto a Skeeter. In pratica siamo nemici. Io sono il direttore idiota, egoista che pensa di essere migliore di chiunque, e quando Sandler racconta le diverse storie fa in modo di avere sempre la meglio su di me. Ogni storia è ambientata in un tempo diverso, nel medioevo, nell’antica Grecia e ogni volta c’è un qualche scontro tra noi.” A dare vita a tutte queste storie inventate da Skeeter sono in realtà i figli di sua sorella, Wendy, interpretata da Courteney Cox: “Io ero una preside in una scuola che è stata chiusa - spiega la Cox – quindi sono impegnata a trovare un’occupazione per riuscire a mantenere la mia famiglia e, questa mia condizione, dà inizio a tutta questa follia”. A darle una mano con i bambini, oltre al fratello, c’è l’amica Jill, interpretata da Keri Russell. “E’ stato molto divertente girare questo film – ha affermato l’attrice – Mi sono trovata in situazioni leggere e solari e penso che Racconti incantati sia davvero forte. E’ un film Disney e questo è quello che la Disney fa meglio. Ma c’è anche il Sandler factor, e questo lo rende un film moderno. Quindi mette assieme la classica narrazione Disney con la tipica comicità di un genio come Sandler.” “Alcune scene non le hanno girate gli stuntmen. – ha continuato la Russell - Per la maggior parte del tempo, io e Adam, indossavamo strani elmetti e urlavamo come matti. Era come se ci chiedessimo: cosa stiamo facendo? Una delle cose più belle è stato il fatto che Adam ha dei figli, Allen Cover ha dei figli, Jack Giarraputo (uno dei produttori) ha dei figli. Tutti avevano dei figli sul set. E’ stato molto gratificante avere tutti questi bambini intorno. Un giorno c’erano degli elefanti sul set e tutti hanno fatto le foto con elefanti e figli. Un altro giorno ero vestita da sirena, e tutti hanno voluto fare le foto con me. Succedevano queste cose sul set. E la pellicola rappresenta tutta questa fantasia al potere.” Le folli avventure di cui tutti parlano sono le fiabe della buonanotte che Skeeter racconta ai suoi nipoti. Ma l’uomo poco soddisfatto della sua vita e anche dei libri che dovrebbero intrattenere e far addormentare i suoi adorati ragazzi, decide di inventarsi delle storie, aggiungendo personaggi, situazioni, animali e mondi alternativi che nei testi non vengono citati. E permettendo, inoltre, ai due nipoti di diventare protagonisti anche loro, con la loro fantasia, di questo spericolato gioco. “La cosa divertente – ha detto il regista - è che Skeeter sceglie dei personaggi della vita reale come protagonisti di tutte queste nuove avventure. Quindi tutti, da Adam a Keri fino ad arrivare a Russell Brand, diventano a loro volta questi personaggi stralunati fuoriusciti dalla mente di Skeeter”. La svolta, sostiene Shankman, avviene quando le storie che il portiere d’albergo racconta si trasformano in realtà. “Qualsiasi cosa i bambini inseriscano nella storia accade veramente il giorno dopo – sostiene Shankman – Tra questa nuova realtà e le scatenate sequenze fantasy delle fiabe, salta fuori, alla fine, un grande spettacolo visivo. Questo è un film con un cuore enorme”.

Ma, soprattutto, l’enorme talento di Adam Sandler lasciato agire a tutto campo e senza limitazioni di sorta. Nel corso della storia lo vedremo diventare cowboy, gladiatore, prestigiatore e molto altro ancora. “Volevo fare un film che mio figlio potesse vedere ogni giorno – ha detto Sandler – per poi guardarmi negli occhi senza vergognarsi. Ho letto la sceneggiatura di Racconti incantati e ho pensato che sarebbe stato il film perfetto e divertente per tutti”. “Quando ero ragazzo, la nostra famiglia viaggiava molto. – ha proseguito l’attore – Noi arrivavamo spesso in macchina a New York dal New Hampshire e nel tragitto ci fermavamo in un motel. Eravamo in sei in una stanza e per me era il momento più bello della nostra vita. Mi è sempre piaciuta l’idea di un tipo che vive in albergo e che lo fa tutti i giorni. Skeeter è un gran lavoratore. Il padre era proprietario dell’albergo quando lui era un ragazzino. Il padre non era granché come uomo d’affari e

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GLI ATTORI DI RACCONTI INCANTATI: PERSONALITÀ MULTIPLE E’ chiaro che trovare gli attori per un film di questo tipo significava per i realizzatori dovere immaginare che ogni interprete ricoprisse una grande varietà di ruoli. E mai scelta è stata più azzeccata. Tutti gli interpreti sono grandi attori e, come ha sottolineato il regista Adam Shankman, “ritengo proprio che sono riuscito ad avere questo cast davvero eccezionale proprio perché molti attori sono stati attirati dall’elemento fantasy del film e dall’idea di potere interpretare dei personaggi tutti diversi. Loro sapevano che sarebbero apparsi in costumi folli e che avrebbero dovuto incarnare molti tipi incredibili. E poi su tutto ha influito il fattore Sandler che è un artista con cui tutti amano lavorare”. Oltre all’ottimo cast messo insieme per il film, da segnalare i due esordienti Jonathan Heit e Laura Ann Kesling, ovvero coloro che interpretano i nipoti di Sandler, e poi Bugsy. Quest’ultimo è un porcellino d’India che, la prima volta che Skeeter si siede per raccontare una fiaba della buonanotte, rimane sorpreso nel trovarselo sulla testa. Bugsy è l’animale dei ragazzi e deve il suo nome agli enormi occhi che possiede ed è stato addestrato alla perfezione per infilarsi sotto le coperte, saltare nella stanza e scivolare sul corpo di Skeeter.

rappresentanti dei vizi e delle virtù degli uomini. L’aspetto interessante dei racconti della buonanotte che Skeeter si inventa per i suoi nipoti e per se stesso, partono dal ‘C’era una volta’, spaziano in epoche e luoghi della storia dell’umanità, utilizzano animali e altre creature mitologiche ma, il tutto, miscelato dalle persone con le quali il protagonista ha a che fare ogni giorno, nella sua quotidianità. E quando la fantasia diventa realtà nel film, tutto diventa vero come la finzione. E Skeeter diventa il “protagonista della propria vita” con perfetto senso dell’assurdo. Perché come scriveva Mark Twain: “La verità è più strana della finzione... perché la finzione deve attenersi ad una serie di possibilità mentre la verità no”.

I MONDI CREATI DALLA FANTASIA DI SKEETER E DEI SUOI DUE NIPOTI

Con delle storie che spaziano dall’Antica Grecia alla Galassia, i realizzatori dovevano scegliere come affrontare le differenti sequenze fantasy delle fiabe. “Abbiamo optato - ricorda Shankman - per le idee classiche di come le persone immaginano questi diversi temi, perché le storie sono raccontate attraverso gli occhi dei bambini”.

MEDIOEVO

FIABE E FAVOLE “Filastrocca impertinente, chi sta zitto non dice niente; chi sta fermo non cammina; chi va lontano non s’avvicina; chi si siede non sta ritto; chi va storto non va dritto; e chi non parte, in verità, in nessun posto arriverà”. Gianni Rodari - Filastrocca impertinente Racconti incantati è un film che prende spunto sia dalla tradizione delle fiabe che da quelle delle favole. La fiaba è un tipo di narrazione i cui protagonisti non sono quasi mai animali, ma creature umane, coinvolte in avventure straordinarie con personaggi dai poteri magici come fate, orchi, e creature bizzarre. La favola, invece, è un componimento letterario breve, narrativo, che fornisce un insegnamento di carattere morale o didascalico. I protagonisti delle favole sono in genere animali, magari antropomorfizzati (più raramente piante, oggetti inanimati o personaggi fantastici),

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La prima fiaba che Skeeter, Patrick e Bobbi creano è una storia medievale. Skeeter dà il via alla vicenda, inserendo dei frammenti della sua vita reale nell’ambientazione medievale. Lui infatti si presenta come un contadino di nome Sir Fixalot, attorniato dal proprietario dell’albergo Barry Nottingham nei panni del Re, la figlia di Nottingham (la principessa Fashionista) e la nemesi Kendall (Sir Buttkiss). “Così, tutto questo finisce per collegarsi alla vita reale di Skeeter nel film”, rivela Sandler. I ragazzi contribuiscono alla storia con dei dettagli fondamentali, che non sempre Skeeter accetta con entusiasmo. La successiva discussione porta a creare tre personaggi unici per Keri Russell. Come spiega la stessa attrice, “il personaggio di Adam non pensa molto a Jill, quindi lei entra nella storia grazie ai ragazzi, che suggeriscono di farla diventare una bellissima fata, per cui appaio in questo modo. Skeeter non è d’accordo e mi trasforma in un brutto corvo, fino a quando uno dei bambini dice che dovrei essere una sirena e così, in queste vesti, nuoto in un fossato”.

IL VECCHIO WEST

Nella storia del Vecchio West, Jeremiah Skeets è un bracciante agricolo nel sud degli Stati Uniti che cerca di farsi un nome, ma ritiene che il suo aspetto dimesso e il suo


vecchio cavallo potrebbero rappresentare uno svantaggio. Skeeter decide allora che Jeremiah Skeets debba avere un nuovo cavallo, uno rosso che nitrisce come una Ferrari, senza spendere nulla. I ragazzi non apprezzano l’idea e suggeriscono di fargli svolgere delle azioni tipiche di un vero gentleman, come salvare la damigella in pericolo, interpretata nella vicenda fantasy dalla figlia dell’albergatore Barry Nottingham (Richard Griffiths), Violet (Teresa Palmer), che Skeeter spera di conquistare nella vita reale.

LA GRECIA ANTICA

La storia della Grecia antica si apre con Skeetacus, un eroe deciso e che indossa una toga, che entra velocemente nel Colosseo greco su una biga trainata da cavalli. La folla impazzisce, mentre fa saltare la biga sopra a una lunga serie di elefanti. Shankman spiega di aver pensato che “sarebbe stato divertente se Skeeter fosse stato il primo a fare gli X-Games sulla biga. Volevo che sembrasse motocross, ma sulla biga”. A presiedere sui giochi dal Palco Reale c’è l’Imperatore Germicus, la sua amabile figlia Principessa Violetus, il Senatore Kendallius e Aspenazon. Tra il pubblico, ci sono Jillius, Patrickus, Bobbius e il servo di Skeetacus, il satiro Mickus.

LO SPAZIO PROFONDO

L’ultima fiaba della buonanotte porta il cast nello Spazio profondo per una scena di battaglia tra Skeeto e Kendallo. La sequenza riflette la vera lotta per gestire l’albergo. Come spiega Shankman, “nella storia, loro combattono per vedere chi sarà a gestire il nuovo pianeta di Nottinghamia”. Guy Pearce sostiene che la battaglia in assenza di gravità richiede un po’ di tempo per prendere quota, per così dire. “Noi oscilliamo cercando disperatamente di entrare in contatto e non ci riusciamo, così arriva un Booger Monster”. Shankman sostiene che “il Booger Monster è un personaggio dello spazio che sembra uno strano tipo di pesce palla, dotato di tentacoli e denti. Sembra essere feroce mentre dà la caccia a Kendallo e Skeeto, ma in realtà si rivela una deliziosa creatura che vuole soltanto baciare il generale Kendallo”.

Racconti incantati

(Bedtime Stories, Usa, 2008) Regia di Adam Shankman con Adam Sandler, Keri Russell, Guy Pearce, Courteney Cox, Teresa Palmer, Jonathan Pryce 99’, Walt Disney, commedia/avventura/ fantasy 27 marzo 2009

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Pierpaolo Festa

Harvey Milk, eroe contro le diseguaglianze “SE UNA PALLOTTOLA DOVESSE ENTRARMI NEL CERVELLO, POSSA QUESTA INFRANGERE LE PORTE DI REPRESSIONE DIETRO LE QUALI SI NASCONDONO I GAY NEL PAESE.” HARVEY BERNARD MILK

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a John Fitzgerald Kennedy a Martin Luther King, a Bob Kennedy la difficile strada dei diritti civili negli Stati Uniti d’America è cosparsa da una lunga scia di sangue. In tutto il mondo lo sconcerto e la tensione seguita al sacrificio di quelle vite hanno coinciso all’affievolirsi di un sogno non più solo “americano”. Quei martiri sono rimasti a lungo nell’immaginario collettivo di più d’una generazione, in ogni angolo del pianeta, a rappresentare la lotta in nome della libertà degli individui. Ma ancora tanti altri eroi, negli Usa o altrove, spesso sconosciuti ai più, sono morti combattendo per l’emancipazione dei neri o di altre minoranze etniche, per le ragioni delle donne o dei disabili, dei disoccupati o dei miseri, dei minori o degli anziani. Harvey Bernard Milk è uno di quegli eroi. Un uomo normale, che merita rispetto e considerazione in virtù dell’impegno in favore degli omosessuali, di cui è stato portavoce e difensore, impegno che lo ha portato - primo politico americano “openly gay” - a ricoprire la carica di supervisor (una sorta di consigliere comunale) presso il Municipio di San Francisco. Se pensiamo che la recente elezione di Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti abbia costituito un’inaspettata quanto insperabile infrazione a un tabù secolare, possiamo allora im-

maginare l’entità di una conquista così eclatante durante gli anni Settanta, nel pieno dell’ignobile crociata - ipocritamente moralizzatrice e repressiva - portata avanti dagli epigoni della discriminazione e dell’oscurantismo. Gus Van Sant (Will Hunting - Genio ribelle, Elephant, Paranoid Park…) alla macchina da presa, e Sean Penn nei panni del protagonista, hanno ritenuto di dover raccontare nella maniera di una struggente biografia per immagini, che miscela una straordinaria performance interpretativa al rigore documentaristico, la vicenda pubblica e privata di una persona eccezionale. Così è nato Milk, lungometraggio che segue l’uscita di The Times of Harvey Milk (1984) di Rob Epstein, un documentario dedicato al carismatico leader della comunità omosessuale di San Francisco e premiato con l’Oscar nel 1985. L’opera in esame, sceneggiata da Dustin Lance Black, è strutturata come un lungo flashback che scandaglia la vita di Harvey Milk lungo un periodo di otto anni, dal 22 maggio 1970, giorno del suo quarantesimo compleanno, fino al 28 novembre 1978, data della sua tragica scomparsa. L’espediente narrativo del salto all’indietro nel tempo - molto ben riuscito - vede il protagonista intento a confidare a un registratore gli anni trascorsi, le minacce di morte e il timore di venire

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ucciso. Non si tratta del tutto di un’invenzione drammaturgica dal momento che quel nastro contenente il racconto di Milk esiste realmente. Harvey Milk, ebreo newyorchese, decide di trasferirsi con il suo compagno Scott Smith (James Franco) a San Francisco, dove apre il Castro Camera, un piccolo negozio di fotografia nel cuore di un quartiere popolare che sarebbe presto diventato il punto di riferimento per tutti gli omosessuali d’America. Sostenuto dalla comunità di Castro, e da tutta la città, Milk inizia a occuparsi del sostegno delle parti deboli della società battendosi in prima persona per l’ottenimento di pari diritti e opportunità per tutti, giovani e anziani, omosessuali e eterosessuali. Nonostante le numerose attestazioni di stima da parte della gente, i pesanti pregiudizi e le violenze fisiche e verbali contro i gay e le lesbiche sono all’ordine del giorno durante tutto l’arco degli anni Settanta. Inoltre, la sua partecipazione attiva nella politica cittadina è supportata da numerosi attivisti, amici e volontari che Milk ha il potere di attrarre grazie alla sua ostinazione e alla sua sincerità. Tra questi Dick Pabich, Jim Rivaldo, Frank Robinson, Michael Wong, Danny Nicoletta e Cleve Jones (Emile Hirsch, il giovane protagonista di Into the wild). Perderà, però, l’apporto di Scott che non accetta più una rela-


zione ormai troppo subalterna alla politica. I brillanti risultati ottenuti alle elezioni comunali lo portano all’elezione, ma solo al quarto tentativo, nel 1977, allorché trionferà nel distretto che comprende il quartiere di Castro: sarà il primo uomo omosessuale dichiarato mai eletto a una carica pubblica negli USA. Nel frattempo, Jack Lira (Diego Luna) ne ha colmato il recente vuoto affettivo divenendo il suo nuovo convivente. La strategia politica di Milk, che si distingue per passione e ironia, concretezza e onestà, gli procura una crescente popolarità anche al di fuori della California. Tra i molteplici progetti che Milk promuove nel periodo in cui resta in carica si ricordano i programmi di assistenza sociale in favore degli anziani, un’ordinanza per difendere i lavoratori dal licenziamento per motivi di orientamento sessuale, le restrizioni normative per i proprietari di cani obbligati a raccogliere i bisogni dei propri animali, e soprattutto, l’organizzazione di una campagna di sensibilizzazione e di numerose manifestazioni contro la cosiddetta “Proposition 6”, che propugnava la destituzione degli insegnanti omosessuali e dei loro sostenitori dalle scuole. Osteggiata dai movimenti omosessuali che riscuoteranno le adesioni anche dell’allora governatore della California Ronald Reagan, e dello stesso Presidente Jimmy Carter, la proposta omofoba verrà

sconfitta sancendo il successo delle iniziative di protesta e la consacrazione personale di Harvey Milk. Ma la meritata popolarità del dinamico assessore doveva suonare forse come un’inaccettabile umiliazione per Dan White (Josh Brolin), un fanatico e rabbioso consigliere comunale dimissionario, il quale, penetrato furtivamente nel Municipio di San Francisco in un nebbioso mattino di fine novembre, uccideva il sindaco George Moscone e il povero Harvey Milk scaricandogli addosso un intero caricatore della sua pistola. A questo punto l’epilogo della storia è intuibile in quanto lo stato d’animo dello spettatore è partecipe dei sentimenti che il grande schermo esprime nelle sequenze di composta disperazione, nella silenziosa “marcia delle candele”, da Castro al Municipio, delle 30.000 persone che spontaneamente accorsero da tutta San Francisco per rendere omaggio a quell’uomo generoso e incolpevole. Incredulità, stupore, non rabbia, suscitano quelle scene, perché ritornano alla mente tutti i delitti illustri, suggellati nella memoria dai media, e perché troppo spesso la storia americana ha evitato il confronto delle idee optando per l’insana logica delle armi. Milk è un film eticamente necessario al dialogo educativo, ma impegnativo per il tema trattato, dunque richiede uno sforzo ulteriore ai docenti, più che agli allievi della scuola superiore

Dei diritti e della speranza “E i ragazzi gay di Altoona, della Pennsylvania, di Richmond, del Minnesota, che fanno coming out e poi ascoltano Anita Bryant [cantante e attivista contro la parità dei diritti degli omosessuali n.d.r.] in televisione. L’unica cosa che li fa andare avanti è la speranza. Speranza di un mondo migliore, di un futuro migliore, speranza di un posto sicuro dove rifugiarsi se la pressione in casa diventa troppa. Speranza che andrà tutto bene. Senza speranza non solo i gay, ma anche i neri, gli anziani, i portatori di handicap, noi tutti ci arrenderemmo. E se eleggerete più politici gay, coloro che fino ad ora si sono sentiti privati del proprio diritto di voto riusciranno ad andare avanti. Sarà una speranza per una nazione che si era arresa, perché se ce la può fare una persona gay, le porte sono aperte per tutti". Harvey Bernard Milk Come riportano le registrazioni audio che ascoltiamo durante il film, Harvey Milk sapeva di essere in pericolo di vita, e che un giorno all’altro qualche folle l’avrebbe ammazzato. Certo non si aspettava che sarebbe accaduto a neanche un anno dalla sua elezione. E che l’assassino fosse proprio l’ex collega Dan White. Un altro elemento che non poteva prevedere era l’incertezza del diritto in materia penale da parte

della giustizia americana, anche rispetto al caso del suo assassinio e di quello del sindaco Moscone. Difatti, il killer del Municipio fu riconosciuto colpevole solo di omicidio volontario con l’attenuante della seminfermità mentale causata dalla depressione, indotta dalla solitudine, dalla mancanza di rapporti intimi con la moglie, e dall’ingestione di junk-food. Fu così condannato a sette anni e otto mesi di prigione: una sentenza dalle giustificazioni psicologiche assolutamente ridicole. In seguito al pronunciamento della corte la comunità gay si scatenò nelle sommosse notturne dette “White Night Riots”, che causarono l’incendio di molte auto e qualche centinaio di feriti negli scontri con la polizia. Nel 1984 White era già fuori. Dopo la libertà vigilata, scontata in buona parte a Los Angeles, tornò a San Francisco, dove si suicidò nel 1985 asfissiandosi con i gas di scarico di un’automobile. Ancora una volta dei diritti erano stati negati, ma ciò non poteva passare di nuovo sotto silenzio. La morte di Milk, “sindaco di Castro” e paladino contro l’intolleranza, aveva aperto molte direzioni al percorso per le libertà e i diritti civili. Da allora divenne più naturale dichiarare, privatamente e pubblicamente, la propria diversità, il proprio orientamento ses

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cui riteniamo debba essere indirizzato. Tuttavia, un’adeguata preparazione preventiva potrà aiutare a fornire il sufficiente distacco dagli eventi che risultano assai coinvolgenti, sebbene distanti nel tempo. Le atmosfere, il clima umano e intellettuale dell’epoca, difatti, sono resi magistralmente, la fotografia è eccelsa, le musiche mai intrusive, il ritmo narrativo della prima mezz’ora sfiora il virtuosismo. Poi il film si sistema sui binari dell’inchiesta - la regia è scrupolosa e antiretorica - facendoci apprezzare il grande lavoro degli attori, Sean Penn su tutti, protagonista di una prova di memorabile sensibilità, un’interpretazione mai leziosa, né caricaturale, che non passerà di sicuro inosservata ai membri dell’Academy preposti all’assegnazione delle “statuette dorate”. Riteniamo, inoltre, che il film conceda pochissimo agli stereotipi ricorrenti sull’universo gay, perfino quando il commento musicale si sposta dalle canzoni di Patti Smith e David Bowie a Over the rainbow e alle arie della Tosca. In ultima analisi, quello che desideriamo scaturisca da questa visione ha molto a che fare con il rispetto nei confronti di individui spesso considerati deviati o malati, e soprattutto con un ventaglio di idee che sono alla base dell’umana e pacifica convivenza, idee che non possono, non devono spegnersi dopo il cieco fragore degli spari.


k4L?:?qDNRU suale, più semplice lottare per la parità, più facile il coraggio. Perché, come asseriva Milk, tra le idee fondanti della nazione americana c’è la dichiarazione di uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Chi tradisce questo assunto basilare della Costituzione tradisce gli Stati Uniti d’America. Grazie a questo principio, oggi un afroamericano, regolarmente designato dal popolo, occupa la Casa Bianca.

Ecco cosa sostiene Harvey Milk in uno dei suoi discorsi riportati nel film: “Da qualche parte a Des Moines o a San Antonio c’è un ragazzo che ha preso coscienza del suo essere gay; sa che se i suoi genitori lo scoprono lo cacciano di casa, i suoi compagni di classe lo scherniscono e gli Anita Bryant e i John Briggs lo deprimono con le loro crociate televisive. Per il ragazzo si prospettano poche soluzioni: accettare di vivere

l’inferno, o suicidarsi. Ma poi quel ragazzo legge sul giornale di un omosessuale eletto a San Francisco, e ha così due nuove opzioni: una è andar via da casa e magari trasferirsi in California; l’altra è restare a San Antonio e lottare. […] Voi dovete eleggere delle persone gay, così migliaia di ragazzi sapranno che c’è una speranza di un mondo migliore e un futuro migliore. […] Dovete dargli speranza”.

Per saperne di più… Tra le varie occupazioni svolte da Harvey Milk prima del trasferimento a San Francisco ricordiamo l’impiego presso la borsa di New York a Wall Street e l'attività teatrale come assistente alla regia nel musical Jesus Christ Superstar. Gus Van Sant ha portato avanti i progetti per il film per più di quindici anni. In questo periodo molti attori sono stati presi in considerazione per interpretare il ruolo di Harvey Milk, fra cui Robin Williams, Richard Gere, Daniel Day-Lewis e James Woods. Il ruolo di Dan White, l’assassino di Milk, avrebbe dovuto essere interpretato da Matt Damon, il quale, però, è stato costretto a rifiutare la parte per la concomitanza con altri impegni sul set. Sean Penn ha preteso che Milk fosse girato realmente a San Francisco. È lui che ha reso possibile questa scelta, insistendo con la produzione: non avrebbe fatto il film se non si fosse girato lì. L’attore Denis O’Hare, che nel film interpreta il ruolo del senatore John Briggs, fieramente avverso al movimento gay, è in realtà un omosessuale dichiarato.

Il “Castro Camera” del film è proprio lo spazio dove Harvey Milk lavorava. Durante le riprese (metà 2008), era una rivendita di articoli da regalo chiamato Given; lo staff del film ha collaborato con il proprietario del locale per riportare indietro nel tempo e rendere proprio com’era effettivamente il negozio di macchine fotografiche di Milk, e, una volta finito di girare, tutto è stato rimesso a posto come prima. Milk contiene riprese d’archivio e arie d’opera. La Tosca che si ascolta durante il film è quella con Maria Callas e Giuseppe Di Stefano. Nulla a che vedere, però, con lo spettacolo a cui il protagonista assiste. Pare che comunque Harvey adorasse veramente Puccini. Il 2 dicembre 1978 gli amici affidarono le ceneri di Harvey Milk all’oceano, spargendole dal Golden Gate. Nelle sequenze conclusive, la rassegna degli attori nei panni dei personaggi che hanno interpretato vengono sostituite dalle foto delle persone reali a cui fanno riferimento. Molti di questi scatti sono stati effettuati da Daniel Nicoletta, il fotografo interpretato da Lucas Grabeel nel film.

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Il 25 giugno 1978 la Rainbow Flag (Bandiera Arcobaleno), disegnata da Gilbert Baker, uno dei sostenitori di Milk, come simbolo dell’unità del movimento LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual & Transgender), sventola per la prima volta a San Francisco alla Freedom Day Parade. Milk partecipa alla sfilata, incoraggiando i passanti e i telespettatori a “uscire allo scoperto”. Il vessillo, derivato dalla “Bandiera della Pace”, comparsa per la prima volta in Italia nel 1961 alla Marcia della Pace Perugia-Assisi per opera di Aldo Capitini, fondatore nel 1964 del Movimento Nonviolento, si differenzia da quest’ultima per l’assenza della scritta PACE, ma anche perché la disposizione dei colori è speculare; e infine perché la bandiera della pace prevede sette strisce di colore invece delle sei di quella gay. Milk (Usa, 2008) Regia di Gus Van Sant con Sean Penn, Emile Hirsch, Josh Brolin, Diego Luna, James Franco 128’, Bim, drammatico 23 gennaio 2009


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Claudio Lugi

Declino e disonore di un Presidente USA “Sarò un avversario accanito. Ti affronterò con tutto me stesso. Perché soltanto uno, fra noi due, potrà brillare sotto la luce dei riflettori. E l’altro, invece, non avrà più nulla e nessuno a fargli compagnia, se non un’eco di voci lontane che rimbomba nella sua testa…” Richard Nixon

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lisse contro Polifemo. Davide contro Golia. Un eroe romantico, fragile e tormentato, contro un gigante ferito. Un giornalista, affascinante e contraddittorio, contro lo scaltro faccendiere, uno degli uomini più potenti del pianeta. David Frost, showman britannico dalla simpatica vena umoristica, prestato al giornalismo politico di qualità, avversario dell’ex Presidente degli Stati Uniti d’America, Richard Milhouse Nixon, in un duello serrato, cavalleresco quantunque senza esclusione di colpi, un confronto memorabile che nell’estate del 1977 catturò l’attenzione mondiale, e tenne davanti alla televisione oltre 45 milioni di cittadini americani, i quali, solo dopo quell’intervista persero definitivamente qualunque presunzione d’innocenza nei confronti del 37esimo inquilino della Casa Bianca. E se tre anni prima, ai tempi dello Scandalo Watergate, avevano pensato: “Il Re è nudo!”, stavolta il senso della frase tratta dalla fiaba di Andersen fu realmente compreso anche

dallo stesso Nixon. Il regista Ron Howard (A Beautiful Mind, Cinderella Man, Apollo 13…), a più di trent’anni da quell’intervista, ha deciso di riportare sul grande schermo l’atmosfera di quello scontro verbale nella forma di un match di pugilato, descrivendo, non solo i momenti del “combattimento”, ma anche le fasi di organizzazione dell’incontro, le lunghe trattative e gli accordi sulle modalità e i contenuti dell’intervista, unitamente all’aspetto economico e logistico, le tensioni dei familiari e dei rispettivi staff, disegnando un sorprendente affresco degli anni Settanta, e soprattutto, il ritratto malinconico di un “sovrano” costretto, suo malgrado, ad abbandonare il trono. Frost/Nixon - Il Duello è il rifacimento per il cinema dell’omonimo lavoro teatrale di Peter Morgan, con Frank Langella e Michael Sheen che riprendono i ruoli già interpretati sul palcoscenico con grande successo. Morgan, che ha curato anche l’eccellente scrit-

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tura del film in esame, dimostra tutta la sua predilezione per le figure “imperiali” come Nixon, avendo già realizzato la sceneggiatura di The Queen, incentrata su Elisabetta II, regina d’Inghilterra, e de L’ultimo re di Scozia, su Idi Amin Dada, il sanguinario autocrate ugandese. Tuttavia, il film si avvale anche di un montaggio straordinario che ne determina la struttura - una via di mezzo tra dramma e documentario - alternando i filmati d’epoca alle compromettenti registrazioni del Watergate, le false interviste ai protagonisti all’azione drammatica, nella quale dominano i dialoghi e i soliloqui dei due personaggi principali. L’intervista, trasmessa in quattro puntate da 90 minuti ciascuna, è il prodotto di ben 28 ore di registrazione, e a tutt’oggi costituisce lo “spettacolo di politica” più visto nella storia della televisione negli USA. Per anticipare l’imminente impeachment seguito allo Scandalo Watergate, il 9 agosto 1974, Richard Nixon rassegna le dimissioni dalla carica di Presidente degli Stati Uniti.


Nel marzo del 1977, però, accetta di confrontarsi con l’anchor man inglese David Frost in un serrato faccia a faccia, durante il quale potrebbero emergere scottanti verità, non ancora sottoposte al vaglio dell’opinione pubblica. Il rischio per l’ex-presidente è grande, ma egli è un politico di razza e cerca un sostegno economico (un milione di dollari la sua parcella) e una riabilitazione che lo riporti in auge; le sue frecce all’arco sono il carisma personale, i buoni risultati ottenuti nei rapporti internazionali, la travagliata “uscita” dal Vietnam, e la consistente possibilità di trionfare nel duello tv, vista l’inesperienza del suo giovane interlocutore, nuovo nel panorama dei media americani. Inoltre, Nixon, nel suo dorato ritiro californiano di San Clemente, gode dell’appoggio di sua moglie Pat, del prezioso supporto di un devoto consigliere, il Colonnello Jack Brennan (Kevin Bacon), e dell’autorevole opinione del suo agente Irving “Swifty” Lazar (Toby Jones). Sull’altro fronte, Frost si avvale del sostegno della fidanzata, Caroline Cushing (Rebecca Hall), e del produttore inglese John Birt (Matthew MacFadyen), nonché della collaborazione del noto reporter Bob Zelnick (Oliver Platt), e del lettore universitario, e critico di Nixon, James Reston, Jr.(Sam Rockwell). La squadra di Frost è seriamente preoccupata dell’esito dell’intervista, sia per l’astuzia e l’indubbia esperienza del contendente, sia per le difficoltà e i costi dell’operazione sulla quale gli sponsor e le grandi reti televisive nazionali non sono disposti a investire. In

caso di insuccesso sarà la loro rovina. E i primi incontri con Nixon sembrano avvalorare le diffuse sensazioni pessimistiche: il Presidente è prolisso, ma brillante e convincente; e riesce a incantare lo schermo sciorinando i continui riferimenti alla sicurezza nazionale, i propri successi internazionali (con l’URSS e la Cina), attribuendosi il merito di aver concluso la guerra in Vietnam, peraltro iniziata dai suoi predecessori democratici... Frost pare impotente: non riesce ad inchiodarlo sulle ingerenze in America Latina, né sull’assurdo attacco alla Cambogia, né sui temi della politica economica. L’unica speranza è riposta nel Watergate. Ma siamo agli sgoccioli. Come il pugile ferito e costretto alle corde che ritrova un improvviso spunto d’orgoglio assestando il pugno che “inchioda sulle gambe” l’avversario, così Frost incalza Nixon, il quale, improvvisamente, vacilla, inizia timidamente ad annuire e ad ammettere le sue responsabilità. “Se lo fa il Presidente significa che non è illegale”. Questa risposta che manifestava l’arroganza del potere, suonava, nel contempo, come un’implicita ammissione di colpevolezza. Era il colpo decisivo. Il crollo psicologico di Nixon appare nella sua evidenza: il volto è una maschera solcata dal sudore e dalle lacrime. Da allora Frost incalza Nixon come un pubblico ministero in un atto d’accusa, fino all’ineluttabile ko, costringendolo a riconoscere completamente gli insabbiamenti, gli ostruzionismi, le corruzioni, il proprio comportamento omertoso in svariate occasioni del suo periodo alla Casa Bianca: egli aveva

MICHAEL SHEEN E FRANK LANGELLA, PROTAGONISTI DI FROST/NIXON

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tradito il mandato presidenziale e la fiducia della gente, la nazione tutta e il futuro dei giovani che, per colpa sua, avrebbero considerato inaffidabile l’intero mondo politico. Se questa trasmissione sancisce il successo di Frost, l’affermazione della propria maturità e la cancellazione dei pregiudizi di frivolezza che ne avevano condizionato la carriera, stabilendo pure il conseguente accantonamento dei sogni di riscatto di Nixon, il film offre molteplici spunti per una riflessione tutt’altro che manichea. La prima qualità della pellicola è quella di aver raggiunto lo scopo di una rappresentazione di cine-verità, per merito delle performance di Michael Sheen (The Queen), e soprattutto, di Frank Langella, (Good Night, and Good Luck), in odore di Oscar per il personaggio Nixon, un uomo, che seppur sconfitto dalla tenzone, recupera una dimensione umana e uno spessore intellettuale da far invidia a un buon 90 percento degli statisti attuali. In seconda analisi incombe prepotente il peso della Storia, che suggella, a vantaggio dei posteri, l’intensità di una battaglia intelligente e dignitosa, diretta sobriamente, e senza inutili moralismi, da un Ron Howard tutt’altro che enfatico. Basta, evidentemente, la problematicità delle parole e il pathos dei dialoghi a rendere appassionante il film, a sottolineare la contrapposizione tra potere politico e potere mediatico, a porre in risalto l’amarezza, la malinconia e il senso di colpa (inconscio?) dell’uno, e l’insicurezza, l’ambizione e la costanza dell’altro.


E non era ancora finita… “MENTALITÀ DIVERTENTE QUELLA DEGLI AMERICANI. NESSUNO HA DETTO NIENTE QUANDO NIXON HA BOMBARDATO ILLEGALMENTE LA CAMBOGIA, MA SE LO AVESSERO SORPRESO IN UNA CAMERA D’ALBERGO CON UNA MINORENNE LO AVREBBERO CACCIATO IN DUE GIORNI.” WOODY ALLEN Richard Nixon detiene un poco invidiabile primato. Quello di esser stato l’unico tra tutti Presidenti Usa costretto a dimettersi per evitare di dover rispondere in giudizio alle accuse mossegli in merito al caso Watergate. Il 9 agosto 1974, egli pronunciava un drammatico discorso di commiato indirizzato alla nazione americana e trasmesso dalle principali reti televisive: “Continuare la mia battaglia personale nei mesi a venire per difendermi dalle accuse assorbirebbe quasi totalmente il tempo e l’attenzione sia del presidente sia del Congresso, in un momento in cui i nostri sforzi devono essere diretti a risolvere le grandi questioni della pace fuori dai nostri confini e della ripresa economica combattendo l’inflazione al nostro interno. Ho deciso perciò di rassegnare le dimissioni da presidente con effetto a partire dal mezzogiorno di domani.”

Così, senza ammissioni di responsabilità, si ritirò a vita privata, seriamente malato, coperto dai sospetti e dai debiti, a soli 61 anni. Frost/Nixon - Il Duello ci ha raccontato come egli tentò di rimettersi in gioco, a soli tre anni da quella disonorevole “epurazione”, e come ne uscì ridimensionato, sia a livello personale che, secondo l’opinione comune, a livello politico. In queste righe, tuttavia, cercheremo di precisare alcuni momenti della vita dello statista che visse ancora un ventennio senza mai rassegnarsi all’oblio. È un dato di fatto che neanche nei sei anni di Washington Nixon riscuotesse una particolare popolarità. Ma poco più tardi, una celebre battuta di Woody Allen, il quale, gli dedicò almeno 3 o 4 aforismi al “vetriolo”, così recitava: “Nixon era un bravo presidente, però quando usciva dalla Casa Bianca il ser

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Rebecca Hall


vizio d’ordine contava l’argenteria”. Il film Tutti gli uomini del presidente (1976), di Alan J. Pakula, fece conoscere al mondo intero tutti i retroscena di un’amministrazione marcia fin nel midollo. Perfino Trickie Dickie, un fumetto che riprendeva fedelmente i tratti somatici di Nixon, ne celebrava la vocazione all’imbroglio. Ma più tardi, sebbene il marchio d’infamia non lo avesse mai abbandonato, il piccolo avvocato californiano riprese con certosina caparbietà la lunga strada del reinserimento, riaffacciandosi, senza clamore, dietro le quinte della Casa Bianca nel ruolo di apprezzato consigliere politico ancora per altri 15 anni. Insomma, tessendo mese dopo mese la sua tela, dopo circa un decennio dal duello televisivo con David Frost, ricomparve ai ricevimenti dei più importanti uomini d’afprovvedimento di grazia che chiudeva definitivamente il caso Watergate. Richard Nixon si spense a 81 anni per un tumore al cervello, nel 1994. Il presidente Bill Clinton volle che gli fossero resi gli onori militari. Negli anni, la sua controversa figura è stata oggetto di vari dibattiti sul suo ruolo, ma diversi meriti gli sono stati alfine riconosciuti. Al cinema fu oggetto di un interessante biopic, interpretato dall’ottimo Anthony Hopkins, ambientato durante il periodo alla Casa Bianca, cioè dal 1968 al 1974, e intitolato lapidariamente: Nixon. Nel film il regista Oliver Stone conferisce all’ex-presidente lo spessore tragico di un personaggio scespiriano, e soprattutto, la dignità e l’autorevolezza che gli era stata, a lungo, negata. Ma, seppur salvaguardandone il lato umano, non bisogna dimenticare che Nixon fu colpevole, e non vittima, di un grave complotto politico. Alla domanda se questi fosse considerato il peggior presidente della storia americana, Ron Howard ha così risposto: “Bush li batte tutti, nettamente. In realtà gli americani politicamente più sofisticati rispettavano Nixon e pensavano che fosse il più spudorato di tutti, non il peggiore”.

fari degli Stati Uniti d’America, corteggiato dai politici più in voga, e addirittura, dal presidente Ronald Reagan, il quale, gli chiedeva pareri e suggerimenti, specialmente in politica estera. Anche i giornali ripresero a occuparsi di Richard Nixon, e nella primavera del 1986 il suo volto ritornò, vittorioso e raggiante, sulla copertina del noto settimanale “Newsweek”.

In definitiva, il presidente deposto era riuscito a navigare controcorrente e a proporsi nuovamente come uno degli uomini di primo piano, una sorta di grande “saggio” della politica dell’era reaganiana. E pensare, che nonostante le frettolose dimissioni, aveva realmente rischiato di finire in carcere. Il suo successore, Gerald Ford, ricorrendo a una prerogativa presidenziale, gli risparmiò in extremis le sbarre con un assai discusso

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Frost/Nixon - Il Duello

(Frost/Nixon, Usa/UK, 2008) Regia: Ron Howard Con: Frank Langella, Michael Sheen, Kevin Bacon, Rebecca Hall, Matthew MacFadyen, Sam Rockwell, Oliver Platt, Toby Jones 122’, Universal Pictures, biografico/ storico 6 febbraio 2009


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Claudio Lugi

La dolente umanità di un rivoluzionario

“LASCIAMI DIRE, A RISCHIO DI SEMBRARE RIDICOLO, CHE IL VERO RIVOLUZIONARIO È GUIDATO DA GRANDI SENTIMENTI D’AMORE.” ERNESTO “CHE” GUEVARA, SCRITTI, DISCORSI E DIARI DI GUERRIGLIA, 1959-1967

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he cosa hanno in comune Gandhi e Martin Luther King, Giovanni XXIII e John Kennedy, Albert Einstein e Charlie Chaplin con Ernesto Che Guevara? Tutti, di certo, lottarono per gli ideali di pace e libertà, giustizia e uguaglianza, per il miglioramento delle condizioni materiali e intellettuali del genere umano, ma ognuno secondo il proprio sentire, la propria prospettiva ideologica e culturale, o secondo le possibilità e i limiti imposti dal proprio ruolo. Tuttavia, tutti i personaggi nominati hanno condiviso la medesima sorte: quella di essere entrati nel mito, e di costituire, nell’epoca dei mass-media, le icone più illustri e popolari del Novecento. Alcuni li abbiamo conosciuti solo attraverso le loro opere, o per mezzo delle testimonianze di seconda mano, ma altri erano ancora in vita quando abbiamo imparato ad apprezzarli, e hanno contribuito ad arricchire il nostro percorso di formazione e la nostra Weltaunshaung. Il Che, tra i protagonisti del nostro tempo, è sicuramente il personaggio

più amato e controverso poiché compì azioni straordinarie e gravi errori politici, finendo per perdersi nelle sue tragiche illusioni: un eroe archetipo, romantico e generoso, che lasciò il posto di ministro e capo di un’insurrezione vittoriosa per “esportare la rivoluzione”, prima in Africa (Congo), e poi in Bolivia, dove andò incontro a un’orribile, quanto prematura, fine. Ecco perché, a più di quarant’anni dalla morte, il Che incarna ancora i sogni e le amarezze di milioni di giovani (e non solo) di ogni parte del mondo. Ed ecco perché l’imminente uscita in Italia della pellicola diretta da Steven Soderbergh, dopo tanti mesi di preparazione e di attesa, provoca una certa inquietudine. Inoltre, la somiglianza eccezionale di Benicio Del Toro con il guerrigliero sudamericano, unitamente alla sua accurata interpretazione, premiata all’ultimo Festival di Cannes con la Palma d’Oro di Miglior Attore, conferisce un valore aggiunto a un’opera che si preannuncia antiretorica e antiepica.

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Per via della materia, trattata scrupolosamente, come una sorta di “cronaca dai luoghi del conflitto”; per il volume della ricerca, che ha richiesto più di sette anni; per il massiccio impegno economico e per la durata complessiva dello spettacolo (quattro ore e mezza); per l’affresco rigoroso della realtà latinoamericana, che induce a interrogarsi sulla situazione politica attuale dei paesi del Centro e Sud America, e dei loro rapporti con gli USA, specialmente all’indomani dell’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca. Una notazione importante ai fini della realizzazione, inoltre, riguarda la tecnica di ripresa, interamente digitale, grazie a un’innovativa cinepresa chiamata RED, che garantisce rapidità, maneggevolezza (solo 4,5 kg di peso), e soprattutto, una qualità visiva impressionante, perlomeno pari a quella della tradizionale 35 mm. In Italia, Che verrà presentato nelle sale in due distinti episodi, com’era stato pensato originariamente, e come verrà distribuito in tutto il mondo, intitolati rispettivamente: L’argentino, che narra dell’arrivo di Che


k4L?:?qDNRU Guevara a Cuba, e della successiva conquista dell’isola, e Guerriglia, incentrato sulla disgraziata missione in Bolivia. Dunque, va dato atto alla BIM, distributore italiano della pellicola, di essersi assicurata la diffusione di quest’opera assai significativa, a cinque anni dall’ottimo successo - sempre targato BIM - di un altro magnifico biopic sul Che: I diari della motocicletta (2004), che precede di pochi anni le vicende narrate nel film in esame. Ne L’argentino, Fidel Castro (Demian Bichir) salpa da Cuba - è il 26 novembre 1956 - con 80 ribelli, di cui un italiano (Gino Donè Paro, deceduto in Italia nel 2008) e un medico argentino che si batte per la liberazione dell’America Latina e dell’isola caraibica: Ernesto Guevara De la Serna detto “Che”. Già allo sbarco il gruppo viene decimato dai militari del dittatore Fulgencio Batista, ma i

Il Che è un combattente dal coraggio ineguagliabile: la leggendaria affermazione nella battaglia di Santa Clara risulta decisiva per gli esiti della rivolta, particolarmente sul piano morale e propagandistico. Le imboscate e gli scontri delle settimane successive, diretti da Castro, porteranno alla definitiva sconfitta di Batista e all’entrata della colonna del “Comandante” all’Avana: Guevara è ormai il beniamino dei guerriglieri, suoi compagni, e del popolo cubano. Dopo l’insediamento del nuovo governo, sposerà, in seconde nozze, la rivoluzionaria Aleida March (Catalina Sandino Moreno).

dalle alterne iniziative militari e dalle fasi risolutive della guerriglia, del Che, di Fidel e Raúl Castro (Rodrigo Santoro), che porteranno al trionfo della lotta armata. L’azione viene intercalata dalle suggestive immagini in bianco e nero - ricostruite - di Che Guevara a New York (dicembre 1964), quando concesse alcune interviste alla rete televisiva CBS, incontrò diverse personalità ed esponenti di gruppi politici, e soprattutto, tenne un memorabile discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “Le rivoluzioni non si esportano. Le rivoluzioni nascono in seno ai popoli. […] Dobbiamo ripetere qui una verità che abbiamo sempre detto davanti a tutto il mondo: fucilazioni; sì, abbiamo fucilato; fuciliamo e continueremo a fucilare finché sarà necessario.”

Questo primo capitolo, è da considerarsi alla stregua di un war movie, caratterizzato com’è

La seconda parte, Guerriglia, contiene maggiori elementi di suspense. Che Guevara affi-

sopravvissuti riescono a darsi “alla macchia”, e a organizzarsi nelle attività di guerriglia contro il regime.

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da a Fidel la lettera di dimissioni da tutti gli incarichi all’interno del governo cubano, e sparisce senza lasciare tracce. Lo ritroviamo in Africa e, successivamente, in Bolivia. Nel suo libro Sulla guerriglia il Che sosteneva il modello rivoluzionario cubano, iniziato da un piccola fazione di guerriglieri, senza la necessità di ricorrere a grandi organizzazioni che sostenessero la sollevazione. Tale strategia venne chiamata “dottrina del focolaio”. Dunque, ritroviamo il Comandante in Bolivia; egli agisce in completa clandestinità per organizzare e addestrare il gruppo dei fedelissimi compagni cubani e le reclute boliviane destinate a fomentare la popolazione civile - contadini, operai e minatori - al fine d i provocare la grande sollevazione dell’America Latina. Ma le sue valutazioni si rivelarono errate. La CIA era al corrente della sua presenza nel paese andino e organizzò accuratamente la controguerriglia: reparti speciali americani parteciparono attivamente ai combattimenti. Mancarono, inoltre, le comunicazioni con Cuba, e l’assistenza del locale Partito Comunista, arroccato su posizioni filosovietiche. Pressoché privo di una significativa adesione popolare, stremato dall’asma e dall’isolamento, Che Guevara fu ferito e catturato nei pressi de La Higuera, l’8 ottobre 1967. Il giorno dopo veniva barbaramente assassinato. Nella piccola scuola del paese. Il Che di Soderbergh si chiude sulla soggettiva del Comandante che “inchioda” con lo sguardo il volto preoccupato del suo carnefice. Un virtuosismo di camera che costringe gli spettatori a identificarsi, e a fare i conti con il tramonto di un’Utopia che non si è potuta realizzare una seconda volta. Con il Che muoiono gli ideali e le illusioni di più di una generazione. E seppur egli sia, comunque, sopravvissuto nel cuore e nella mente di milioni di persone, il capitalismo imperante lo ha svuotato dell’elemento deflagrante, trasformandolo in un feticcio, in una silhouette da applicare sui gadget, in un simbolo romantico, in un sognatore, e come tutti i sognatori, uno sconfitto. Il regista di Atlanta, indimenticato trionfatore a Cannes nel 1989 con Sesso, bugie e videotape, che negli ultimi tempi si barcamena felicemente tra divertenti “rimpatriate” con gli amici del suo clan (Ocean 11, 12 e 13) - comprendente, tra gli altri, George Clooney, Brad Pitt, Matt Damon… - e produzioni a basso costo e di alta qualità (Bubble, Intrigo a Berlino…), stavolta realizza un

“O noi abbiamo la capacità di battere con argomenti le opinioni contrarie o dobbiamo lasciare che si esprimano… Non è possibile distruggere le opinioni con la forza perché questo blocca ogni libero sviluppo dell’intelligenza.” Ernesto “Che” Guevara, in un’intervista in cui ribatteva le accuse di “trotzkismo” mosse dall’URSS

kolossal spettacolare, e dai toni malinconici al tempo stesso, una saga di grande valore didascalico, che evita di porsi troppe domande sull’essenza del rapporto tra Che e Fidel Castro, e di conseguenza, sull’odierno totalitarismo cubano; né trasforma l’avventura dell’eroe sudamericano in un pamphlet ideologico sul ruolo dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Ne scaturisce, così, un’opera che offre una fondamentale occasione di conoscenza ai giovani e agli studenti, per aiutarli a inquadrare la vicenda personale di Che Guevara nel

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contesto della Storia degli anni Sessanta, e sullo sfondo della natura imponente del Sudamerica. Il personaggio è dipinto come un idealista, forse politicamente ingenuo, ma alimentato da un’incrollabile onestà e fede sociale; un uomo affabile e simpatico, mai presuntuoso; solitario, ma sempre pronto a prodigarsi per le altrui sofferenze; un eroe dalla smisurata forza fisica e psicologica; un condottiero entusiasta e generoso descritto nella gioia e nel dolore, nel martirio, quasi cercato, e nella propria, immensa, umanità.


k4L?:?qDNRU Il mito del guerrigliero. Immagini e filmati del “Che” Poco importa che la società capitalistica abbia ridotto il volto del Che a una specie di marchio pubblicitario; quel che conta è che esso continui a rappresentare un simbolo di speranza di un mondo migliore. È curioso, tuttavia, che nel mondo della comunicazione, dominato dalle immagini, la celeberrima fotografia intitolata Guerrillero Heroico, che ritrae il Comandante, sia una delle più stampate del XX secolo. Riviste e libri, cartoline e manifesti, magliette e bandiere, distintivi e spillette, e altri innumerevoli gadget, riportano la conosciutissima effigie dell’eroe di Santa Clara, con barba e basco nero. Anche la “storia” di quello scatto fortunato merita attenzione. Esso fu infatti realizzato da Alberto Korda (1928-2001), un fotografo cubano di moda, poi passato al giornale “Revolution”, all’Avana il 5 marzo 1960, durante il funerale per le vittime (136 persone) dell’esplosione della nave “Coubre”, presumibilmente fatta saltare in aria da agenti della CIA. In quel rullino c’erano anche i fotogrammi di Fidel Castro, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Nel negativo originale, il Che era in compagnia del giornalista Jorge Ricardo Masetti Blanco (il “Comandante Segundo”), poi imprigionato durante la dittatura di Jorge Videla, e scomparso in Argentina insieme a migliaia di desaparecidos.

La foto acquistò notorietà mondiale quando l’editore Giangiacomo Feltrinelli, che se ne era fatte regalare due copie da Korda, la pubblicò come un poster nel 1967, e sulla copertina del libro Diario in Bolivia nel 1968. Anche sulla banconota cubana da tre pesos venne raffigurata tale immagine. Per quella fotografia Alberto Korda non ricevette mai alcun compenso, anzi, egli ne permise a tutti l’utilizzo per la diffusione dell’ideale comunista. Naturalmente, il nobile fine non venne sempre rispettato, ma crediamo che Korda, deceduto nel 2001, non ne abbia sofferto più di tanto. Se è vero che possediamo tantissime immagini di Ernesto Che Guevara prima, durante e dopo la Rivoluzione, altrettanto non possiamo dire dei filmati, di finzione o documentari che siano. Quelli degni di menzione sono pochissimi, e talvolta qualitativamente mediocri. La rassegna indica primieramente Che! (1969) di Richard Fleischer, con Omar Sharif nei panni dell’eroe argentino, e Jack Palance come Castro, una

ricostruzione assolutamente inadeguata sia dal punto di vista storico che cinematografico. Per incontrare lavori degni di nota dobbiamo, addirittura, attendere il cambio di secolo con il documentario Sacrificio. Chi ha tradito Che Guevara? (2001) di Erik Gandini e Tarik Saleh, che ricostruisce le ultime ore di vita del Che, raccogliendo le testimonianze di coloro che erano presenti, e di quelli che ebbero un ruolo importante nella vicenda. Gli autori di quest’avvincente film-inchiesta hanno intervistato alcuni storici, e hanno portato alla luce svariati interrogativi e contraddizioni, corredando il tutto con filmati originali, alcuni dei quali inediti. Tra le fonti utilizzate dai due registi spicca il nome di Jon Lee Anderson, autore di Che: una vita rivoluzionaria, la biografia di riferimento sul Comandante, consultata anche dai realizzatori del Che di Soderbergh. Anderson fu pure l’artefice del ritrovamento dei poveri resti del Che in Bolivia, che furono riportati a Cuba, dove vennero tumulati in un mausoleo costruito appositamente nella città di Santa Clara. Anche Le ultime ore del Che (2005), prodotto dall’Istituto Luce e diretto da Romano Scavolini, tenta di ricostruire la verità su quei drammatici momenti, ricomponendo l’intera vicenda sulla base di testimonianze fondamentali, e realizzando, così, un documento teso ed emozionante. A seguire, la pellicola a basso costo, e interamente girata in spagnolo, Che Guevara (2005) di Josh Evans, con Eduardo Noriega, Sonia Braga ed Enrico Lo Verso, che merita una citazione per la presenza di un attore italiano nei panni di Fidel Castro. A I diari della motocicletta (2004) di Walter Salles, con Gael García Bernal, riserviamo la palma dell’opera più bella mai realizzata sulla vita di Ernesto Guevara De La Serna, il quale, studente in medicina, non ancora battezzato come il “Che”, intraprende un viaggio avventuroso attraverso l’America Latina, in compagnia dell’inseparabile Alberto Granado, prima sulla “Poderosa”, cioè una motocicletta Norton del 1939, e in seguito, a piedi, o con qualunque altro mezzo disponibile. Il film, un road-movie appassionato e commovente, è la fedele trasposizione di Latinoamericana, un diario di viaggio che riporta le avventure (alcune “picaresche”) narrate nel libro, e la formazione politica e intellettuale del giovane Guevara, influenzata, certo, dall’osservazione delle miserevoli condizioni di vita delle popo

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lazioni sudamericane, e dall’ammirazione della maestosità delle costruzioni dei nativi americani presso i resti archeologici andini, primo fra tutti il sito di Machu Picchu. La presa di coscienza dell’appartenenza alla nazione latinoamericana procede di pari passo con la maturazione interiore dei due amici, e con l’elaborazione di un’analisi socio-economica delle cause dell’oppressione dei contadini e dei lavoratori in tutto il subcontinente. Da tale esperienza, l’esigenza, sempre più urgente per il giovane pre-rivoluzionario, di un mondo più libero ed equo da realizzarsi mediante l’intervento di “uomini nuovi”…

Che Regia: Steven Soderbergh Sceneggiatura: Peter Buchman Parte prima: L’argentino tratto da: Diario della Rivoluzione Cubana di Ernesto Che Guevara Con: Benicio Del Toro, Demian Bichir, Santiago Cabrera, Emilia Minguez, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Jorge Perugorria, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco 126’ Distribuzione: BIM 20 marzo 2009 Parte seconda: Guerriglia tratto da: Diario in Bolivia di Ernesto Che Guevara Con: Benicio Del Toro, Carlos Bardem, Demian Bichir, Joaquim De Almeida, Eduard Fernandez, Julia Ormond, Franka Potente, Jordi Mollà, Matt Damon, Lou Diamond Philipps 131’ Distribuzione: BIM 17 aprile 2009


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resentato da DreamWorks Animation e diretto da Rob Letterman (Shark Tale) e Conrad Vernon (Shrek 2), la storia inizia quando Susan Murphy, tipica ragazza americana, viene accidentalmente colpita da un meteorite e inizia misteriosamente a crescere fino a raggiungere 15 metri di altezza. Informato della minaccia che il nuovo mostro potrebbe rappresentare, l’esercito cattura la ragazza e la trasfererisce in un sito militare segreto. Lì viene ribattezzata con il nome di Ginormica e segregata in un recinto in compagnia di un gruppo di mostriciattoli dall’aria poco rassicurante: il geniale e insettiforme Dottor Professor Scarafaggio; il super macho, metà scimmia e metà pesce Anello Mancante; il gelatinoso e indistruttibile B.O.B e il bruco di oltre 100 metri di lunghezza chiamato Insectosaurus. Ma il loro internamento viene bruscamente interrotto dall’arrivo sulla Terra liendii un misterioso Robot alieno che prende d’assalto il Paese. Colto dalla disperazione, il Presidente Mostri coAlinentrs,oUAsa, 2009 ) Stati Uniti viene persuaso dal Generale W.R. Monger ad arruolare il variopinto gruppo di Mostri degli (Monsters vs t ar e combattere il Robot Alieno per salvare il mondo dalla sua imminente distruzione. ew St sa Prodotto da Li G Una tenera e ironica rivisitazione, in chiave ipertecnologica, del genere ‘mostri’ degli anni 50, MonSK ks per DreamWor e an m sters vs. Aliens è il primo film nella storia dell’animazione prodotto e realizzato interamente in 3D, a er tt Le b Diretto da Ro differenza di altre pellicole che sono state convertite successivamente in 3D. La produzione è iniziata on rn Ve Conrad , giugno del 2007, ed il film verrà distribuito in Italia, nelle sale equipaggiate con il formato 3D, poilon rs 18 he it W e es Cast vocale: Re Rogen, ill Arnett, Seth a partire dal 3 aprile. Il film segna una linea di svolta anche per la DreamWorks, che ha annunciato che Hugh Laurie, W t, lb Co aerpartire da questo progetto tutti i film verranno realizzati in 3D. Stephen Rainn Wilson, dd Ru ul Pa e nd la er th Kiefer Su ures, Universal PictNELLE PAGINE SEGUENTI UNA SERIE DI STRAORDINARI GIOCHI DIDATTICI. distribuito da 2009 uscita 3 aprile

I R T S O M O R T N CO I N E I L A


PER FAVORE, ASSICURATI DI CONTROLLARE IL PROCEDIMENTO CON UN ADULTO PRIMA DI TENTARE L’ESPERIMENTO.

1. Procurati una bottiglia di plastica, un paio di forbici, un po’ di terra e dei semi. 2. Chiedi a un adulto di rimuovere l’eventuale etichetta, tagliare la bottiglia a metà, creare due fessure nella metà di sopra e fare dei buchi sul fondo. 3. Metti la terra, pianta i tuoi semi e aggiungi acqua fino a quando la terra non diventa umida. 4. Dopo aver rimesso a posto la parte superiore della bottiglia, posiziona la tua piccola serra in un punto esposto al sole. E non dimenticarti d’innaffiarla regolarmente. 5. Quando i tuoi semi germogliano, datti una pacca sulla spalla!

ILLUSIONI OTTICHE Le linee sono dritte o curve?

Risposta: tutte le linee sono perfettamente dritte.

INSETTOSAURO: Bruco lungo 2 cm trasformato da una radiazione nucleare in un mostro alto 100 metri con una passione particolare per le città giapponesi. L’ANELLO MANCANTE: Anfibio fortissimo e agile, con un debole per le donne.

A

Spingi le tue braccia contro gli stipiti di una

B

porta e conta fino a 30. Poi allontanati dalla porta e inspira mentre tieni le

DR. PROFESSOR SCARAFAGGIO: La mente più geniale del pianeta protetta da un indistruttibile esoscheletro.

C

B.O.B.: Nato per caso dal miscuglio di un pomodoro alterato geneticamente e uno sciroppo da dolci al sapore di salsa ranch.

D

GINORMICA: Colpita da un meteorite pieno di una strana sostanza, è cresciuta a dismisura fino a diventare una donna alta 15 metri.

E

tue braccia sui lati.

1=B, 2=D, 3=E, 4=C, 5=A


PER FAVORE, ASSICURATI DI CONTROLLARE IL PROCEDIMENTO CON UN ADULTO PRIMA DI DEDICARTI A QUEST’ATTIVITÀ.


Risposte: A=Pericolo batteriologico, B=Arma chimica, C=Corrosivo, D=Esplosivi, E=Applicare collirio, F=Radiazioni nonionizzanti, G=Radiazione, H=Radioattivo, I=Alta tensione, J=Composto chimico tossico K=Tossico, L=Arma biologica

I. E. A.

B.

C.

D.

F.

G.

H.

J.

K.

L.

Indovina il nome dei segnali di sicurezza del Laboratorio di Scienze PER FAVORE, ASSICURATI DI CONTROLLARE IL PROCEDIMENTO CON UN ADULTO PRIMA DI DEDICARTI A QUEST’ATTIVITÀ.


PER FAVORE, ASSICURATI DI CONTROLLARE IL PROCEDIMENTO CON UN ADULTO PRIMA DI TENTARE L’ESPERIMENTO.


PER FAVORE, ASSICURATI DI CONTROLLARE IL PROCEDIMENTO CON UN ADULTO PRIMA DI TENTARE L’ESPERIMENTO.

1. Per questo esperimento sull'elettricità statica ti servirà una stampella di ferro, un paio di tronchesine, un paio di pinze, un piccolo barattolo di vetro, del cartone, un paio di forbici, un rotolo di carta stagnola, un rotolo di cellophane, della colla vinilica e un pettine di plastica. 2. Usa le tronchesine per tagliare un pezzo di fil di ferro dalla stampella e con le pinze piegane un'estremità fino a formare un angolo di 90 gradi. 3. Traccia sul cartone il contorno dell'imboccatura del barattolo e ritaglia il cerchio con le forbici. 4. Spingi la parte dritta del fil di ferro attraverso il centro del dischetto di cartone e piega una strisciolina di carta stagnola appoggiandola sopra la parte curva del fil di ferro. 5. Incolla il disco di cartone al bordo del barattolo e, sempre con la colla, fissa il fil di ferro nel punto in cui passa attraverso il cartone. 6. Con attenzione infila un pezzo di stagnola appallottolata stretta sulla punta del fil di ferro. 7. Passati più volte il pettine fra i capelli e poi tienilo vicino alla palla di stagnola. 8. Quando il pettine, caricato positivamente, attrarrà le cariche negative della carta stagnola, le due estremità della strisciolina di stagnola all'interno del barattolo, caricate positivamente, si respingeranno, separandosi come fossero due ali.

ILLUSIONI OTTICHE DA SBALLO La separazione dei pallini. Riesci a contare i pallini neri?

D: Se l'oggetto è più grande di un meteorite, come viene chiamato? R: Asteroide. D: A che velocità può viaggiare un meteorite mentre entra nell'atmosfera della Terra? R: Fino a 270.000 chilometri all'ora. D: Quanti meteoriti precipitano verso la terra ogni giorno? R: Circa 25 milioni. Circa 50.000 anni fa un enorme meteorite entrò in collisione con la terra (nel deserto dell'Arizona), lasciando un buco sulla superficie terrestre profondo 180 metri e largo circa 1,2 chilometri. Così si formò il cratere Barringer.


PER FAVORE, ASSICURATI DI CONTROLLARE IL PROCEDIMENTO CON UN ADULTO PRIMA DI TENTARE L’ESPERIMENTO.

1. Per questo esperimento avrai bisogno di un barattolo pulito (con il coperchio), acqua, olio vegetale, colorante alimentare, brillantini, sale e una torcia elettrica. 2. Riempi 3/4 del barattolo con l'acqua, poi aggiungi poche gocce di colorante e un po' di brillantini. 3. Riempi il resto del barattolo con olio vegetale: galleggerà sulla superficie perché è più leggero dell'acqua. 4. Dopo che i due liquidi si saranno separati, tieniti pronto: illumina con la torcia dal retro del barattolo e aggiungi il sale. 5. Osserva l'olio che si attacca al sale mentre scende e poi risale in superficie dopo che il sale si dissolve completamente.

FANTASTICO!

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Charles Darw

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1952

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Edison 5. Thomas

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Marie Curie

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UNISCI LA LETTERA AL PIANETA CORRISPONDENTE

SATURNO 2. NETTUNO 3. MARTE 4. VENERE 1.

URANO 6. TERRA 7. GIOVE 8. MERCURIO 5.

Risposte: 1=F, 2=H, 3=D, 4=B, 5=G, 6=C, 7=E, 8=A

1.

A.


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