Primissima Scuola Dicembre 2011

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SCHEDE FILM The Help Il gatto con gli stivali

Il Figlio di Babbo Natale L’incredibile storia di Winter il delfino Proposte cinematografiche per le scuole


Sommario

n°4 2011

NATA NEL 1994 PER PROMUOVERE LE PELLICOLE PIÙ ADATTE AL MONDO DELLA SCUOLA, SIA SOTTO IL PROFILO DIDATTICO CHE DI INTRATTENIMENTO, PRIMISSIMA SCUOLA È DIVENTATA NEGLI ANNI UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA MAGGIOR PARTE DELLE SCUOLE E DEGLI INSEGNANTI CHE UTILIZZANO IL CINEMA COME RIFERIMENTO DIDATTICO.

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UN GATTO DA FAVOLA

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UN DELFINO PER AMICO

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STORIE DI VITA DOMESTICA NEGLI ANNI '60

DIETRO LE QUINTE DI BABBO NATALE

PER ABBONARSI A PRIMISSIMA SCUOLA Periodico di informazioni cinematografiche per le scuole Anno 17 n.4 Dicembre 2011

editore MULTIVISION S.R.L. Via Fabio Massimo, 107 • 00192 - Roma tel. fax. +39 0645437670

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grafica Luca Foddis luca.foddis@primissima.it Patrizia Morfù patrizia.morfu@primissima.it

Reg. Trib. Roma n. 00438/94 del 1/10/1994

stampa Ige, Roma

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schede film

Claudio Lugi

“Un gatto è un gentiluomo: elegante nell’atteggiamento, dalle maniere squisite e con una passione per i combattimenti corpo a corpo, sfrenate storie d’amore, duelli al chiar di luna e canti di gioia.” Pam Brown

Il Gatto con gli stivali

(Puss in Boots) Regia: Chris Miller 90', animazione, Universal

Un gatto da favola L

a macchina da presa insiste sui piani americani, sui primi piani e sui dettagli. Poi due occhioni ammiccanti sotto la falda del cappello, e un compiaciuto mezzo sorriso a mostrar la natura spavalda e guascona del protagonista. La musica di sottofondo sottolinea magistralmente il pathos epico. Il paesaggio brullo e arso dal sole ricorda lo scenario delle lunghe cavalcate e dei fuorilegge. Ma non siamo in uno “spaghetti

western” di Sergio Leone, sebbene l’ambientazione lo suggerisca, ma nella Spagna “caliente” della meseta e del flamenco. Il personaggio sopra descritto è uno degli animali più celebrati dalle fiabe e dai cartoni animati: il Gatto. Nella fattispecie si tratta di uno specialissimo esemplare proveniente da antichi racconti popolari e da una recente saga animata caratterizzata da una strepi-

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tosa serie di successi e riconoscimenti, che risponde al nome di Shrek. Stavolta, però, la DreamWorks Animation, dopo averlo fatto esordire nel secondo capitolo della saga dell’orco verdastro, ha deciso di affidargli un film tutto suo. Diretta dall’eclettico Chris Miller (Shrek III) la trama rispetta in pieno lo schema, le funzioni e i canoni della tradizione delle


fiabe popolari in quanto profila il dualismo tra protagonista e antagonista, la presenza dell’aiutante dell’eroe e di un mandante, il danneggiamento, il tranello, la partenza dell’eroe, lo smascheramento del falso eroe, ecc. Il Gatto si è alleato con Kitty Zampe di Velluto un’abilissima gatta ladra dal tocco felpato, e con Humpty “Alexander” Dumpty, un vecchio amico ovoidale, già caduto in disgrazia, e ora riabilitato, per appropriarsi di alcuni fagioli magici finiti chissà come nelle mani dei grevi e loschi Jack e Jill. L’intento è quello di seminare i legumi in un terreno adatto, e dopo aver atteso la crescita dell’enorme pianta fino al cielo, esplorare le nuvole per giungere al castello di un gigante, il quale, ha allevato un’oca che produce uova d’oro massiccio… Un lungo flashback espone l’antefatto. Il felino, quando era solo un cucciolo, ma già dotato di un timbro vocale profondo, finisce nell’orfanotrofio di San Ricardo, un paesino sperduto nel cuore della penisola iberica, diretto da Imelda, una donna vigorosa e autorevole, la quale lo accoglie amorevolmente, educandolo al rispetto e alla convivenza civile. Lì il Gatto solidarizza con Humpty Dumpty, preso spesso di mira dai compagni per la sua diversità, e ne diventa il migliore amico. L’Uovo è un cervellone, inventore e sognatore vagheggia di fagioli magici e di volarsene via da quel paesino ristretto e isolato. Dopo tante scorribande e monellate il Gatto interviene coraggiosamente a salvare l’anziana madre del comandante delle truppe dalla carica di un toro infuriato, e perciò viene salutato come eroe da tutti gli abitanti del villaggio. Dopo qualche tempo, però, rimane irretito, a causa dell’iniziativa del compagno che, contro il suo volere, e a sua insaputa, ha messo in atto un colpo ai danni della banca locale. Ma le cose non vanno nel senso sperato, e la rapina fallisce, provocando così, la cattura dell’Uovo, e la fuga del Gatto sul quale graverà la reputazione di fuorilegge e un’appetitosa taglia. Il racconto prosegue tra mille peripezie e altrettanti colpi di scena, tra duelli a fil di lama, fughe spericolate sui tetti, imprigionamenti e folli evasioni, viaggi avventurosi a cavallo e tra le nuvole, spesso in contrapposizione con la coppia Jack e Jill, e del loro stupefacente armamentario di cattiverie. Ma il film offre anche tanta ironia e

Il lancio cinematografico di Rapunzel - l’Intreccio della Torre è accompagnato da una vasta gamma di articoli che portano questa incredibile favola anche fuori dallo schermo. Per vivere le rocambolesche avventure di Rapunzel sono in arrivo tante novità: giochi, accessori, videogame, libri illustrati e molto altro per sentirsi principesse ... con brio! svariati momenti sentimentali. L’amicizia tra il Gatto con gli stivali, ricevuti in regalo a San Ricardo, e la conturbante dark cat dal tocco vellutato, si trasforma lentamente in qualcosa che assomiglia molto a un legame affettivo…

Dalla fiaba archetipa all’avventura animata. Un viaggio con cappa, spada e… stivali

Tra le sequenze più travolgenti, difatti, annotiamo il lungo inseguimento tra i due felini all’inizio del film, e specialmente, la scena del duello danzante condito da mirabolanti evoluzioni acrobatiche al cospetto di una nutrita e miagolante platea di felini d’ogni tipo, accompagnato dalle sensuali note del flamenco. Anche le curiose performance tecnologiche dell’Uovo offrono innegabili momenti di spasso, unitamente alle numerose situazioni comiche scaturite sia dal ritratto dei due rozzi antagonisti che dall’accento di Antonio Banderas, il quale, come già avvenuto nelle altre animazioni di Shrek, ha doppiato anche in italiano, oltre che in spagnolo e in inglese il simpatico “micio macho” di sessanta, o giù di lì (considerando le calzature?) centimetri.

“I gatti, come categoria, non hanno mai completamente superato il complesso di superiorità dovuto al fatto che, nell’antico Egitto, erano adorati come dei.” Pelham Grenville Wodenhause

Molto più di uno spin-off di Shrek 2, Il Gatto con gli stivali (destinato a dare vita ad un suo franchise), non trascura il ritratto psicologico dei vari personaggi delineando con attenzione gli scopi dell’eroe felino che intende portare qualche agio in più agli orfanelli (un po’ come accadeva per la missione dei Blues Brothers). I valori della solidarietà e dell’amicizia risultano prevalenti in questo racconto di redenzione e di riscatto per gli errori del passato, come pure il senso di appartenenza a un luogo e a una comunità. •

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Se un’analogia vogliamo ritrovare nel confronto tra la fiaba popolare europea e il racconto di animazione che a quella si riferisce, essa non può che risiedere nella morale didascalica del messaggio, che indica l’abilità e la sveltezza d’ingegno come valori di gran lunga superiori a ogni altra qualità o fortuna materiale. Stabilito, inoltre, che Il Gatto con gli stivali è da ritenersi patrimonio della tradizione orale, prima ancora delle versioni scritte di Giambattista Basile o del romantico Ludwig Tieck, e di quelle più fortunate dei Fratelli Grimm o di Charles Perrault, non rimane che sottolineare l’originalità della revisione effettuata da Chris Miller, il quale, colloca l’eroico micio schermidore in un contesto meramente avventuroso, adottando così gli stilemi del genere che prevedono il ricorso a molteplici scene d’azione, la presenza di personaggi che lottano per un obiettivo comune, oppure affrontano ostacoli, o altri impedimenti, e magari subiscono una decisiva trasformazione nel corso della vicenda. C’è però da riconoscere che le personalità espresse dai protagonisti non risultano stereotipate, né tantomeno rigidamente antitetiche. Piuttosto il lungometraggio in esame aderisce in buona misura al filone di “cappa e spada”, tanto celebrato tra il 1920 e il 1950, e tornato in auge in questi ultimi anni grazie ai successi riscossi dalla saga dei Pirati dei Caraibi (i primi tre episodi con Gore Verbinski regista,


Difatti, la presenza del noto personaggio Humpty Dumpty deriva direttamente dalle filastrocche inglesi, e successivamente, da Attraverso lo specchio (seguito di Alice nel paese delle meraviglie) di Lewis Carroll che diede dignità, spazio e spessore all’uomo ovale. Anche l’episodio dei fagioli e della straordinaria pianta che svetta in cielo dipende da un altro celebre racconto popolare presente nella raccolta English Folk & Fairy Tales di Joseph Jacobs, che gli donò ampia notorietà: Jack e la pianta di fagioli (Jack and the Beanstalk); quest’ultimo fornì ispirazione anche a un medio metraggio Disney del 1947 (Topolino e il fagiolo magico) con Pippo, Paperino e Mickey Mouse alle prese con il temibile gigante che dimora in un castello tra le nuvole.

il quarto con Rob Marshall dietro la cinepresa) e dai recenti aggiornamenti delle gesta di Zorro (La maschera di Zorro e La Leggenda di Zorro, con Banderas), D’Artagnan (I tre moschettieri, nell’ultimissima rilettura ipertecnologica di Paul W. S. Anderson) e Robin Hood (con Russel Crowe diretto da Ridley Scott). Insomma, il Gatto incarna una felicissima sintesi dei personaggi (tutti, o quasi, forniti di baffi) e degli attori che interpretano le dette avventure, a cominciare proprio dallo spagnolo Antonio Banderas, emulo dei mitici Douglas Fairbanks (Il segno di Zorro, Il ladro di Bagdad, Il pirata nero, La maschera di ferro…), Errol Flynn (Captain Blood, Le avventure di Don

Giovanni, La carica dei Seicento, La leggenda di Robin Hood…), e del pirata più amato del terzo millennio, vale a dire, l’istrionico Johnny Depp. Ma il successo di questa realizzazione non risiede soltanto nell’aver riproposto un’epopea avventurosa al passo coi tempi, in quanto ad essa si mescola mirabilmente la commedia sentimentale e la verve comico-umoristica che non solo cosparge di citazioni cinematografiche e letterarie i dialoghi, ma s’innesta abilmente nel mondo fatato e “trasgressivamente rivisitatato” di Shrek.

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Tra i precedessori sul grande schermo di questo Gatto con gli stivali dobbiamo citarne almeno due. La prima è una pellicola live action del 1988, pubblicata in Italia solo in dvd, diretta da Eugene Marner, con Christopher Walken che recita la parte del Gatto. Il Gatto con gli stivali di Kimio Yabuki, invece, è un cartone giapponese prodotto nel 1969 dalla Toei Animation, la quale, sull’onda del successo ottenuto ha adottato proprio il micetto, chiamato Pero, in omaggio a Perrault, come logo della casa di produzione, questo anime, a cui ha collaborato anche un giovane Hayao Miyazaki, è stato selezionato a partecipare (fuori concorso) alla Mostra del Cinema di Venezia dello stesso anno. La Toei Animation, infine, ha ideato ben due sequel delle avventure di Pero: una versione western, Continuavano a chiamarlo il gatto con gli stivali (1972) e l’altra, Il gatto con gli stivali in giro per il mondo (1976) ispirata, come si evidenzia dal titolo, al più noto romanzo di viaggio di Jules Verne: Il giro del mondo in ottanta giorni.


schede film Il lancio cinematografico di Rapunzel - l’Intreccio della Torre è accompagnato da una vasta gamma di articoli che portano questa incredibile favola anche fuori dallo schermo. Per vivere le rocambolesche avventure di Rapunzel sono in arrivo tante novità: giochi, accessori, videogame, libri illustrati e molto altro per sentirsi principesse ... con brio!

Storie di vita domestica negli anni '60 In uno stato in cui vige una segregazione razziale di carattere istituzionalizzato, la discriminazione avviene innanzi tutto nella vita di ogni giorno. “Ho cominciato a crescere i bambini dei bianchi già a quattordici anni, nel 1925, perché mia madre era morta di malattia e le bollette non aspettavano…”. Così esordisce Aibileen Clark (Viola Davis), una domestica nera che espone la propria esperienza personale a Eugenia “Skeeter” Phelan (Emma Stone), una giovane donna bianca della buona società di Jackson, Mississippi, la quale, appena laureata (estate 1962), è ritornata a casa, dove pensa d’intraprendere la carriera di scrittrice. Ottiene, intanto, un impiego presso il Jackson Journal, ed è già un buon inizio. Dopo il quadriennio di studi Skeeter riprende a frequentare la sua migliore amica Hilly Holbrooks (Bryce Dallas Howard) e le altre ragazze della comitiva: tutte ora possiedono una famiglia, un marito con un impiego ben remunerato, un’abitazione molto confortevole, e in alcuni casi, lussuosa, un figlio pic-

colo, e una tata di colore che si occupa di accudire il pargolo, della pulizia domestica e della cucina. Le giovani donne passano il loro tempo in riunioni al club, aperitivi al bar e soprattutto a scambiarsi pettegolezzi. Nonostante i ripetuti consigli della madre di pensare al matrimonio, Skeeter, indipendente e anticonformista, vuole realizzare un’inchiesta giornalistica sulla vita domestica e familiare nella città natale. Avendo ormai perso le tracce di Constantine, la governante nera che l’ha cresciuta, la giovane propone ad Aibileen, una domestica di colore non più giovane, di raccontare la propria storia di balia e inserviente. Seppur inizialmente un po’ diffidente, Aibileen, che per pochi spiccioli ha allevato amorevolmente ben diciassette bambini bianchi, si lascia conquistare dalla sincerità di Skeeter, della quale diventa fedele ami-

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ca e confidente, liberandosi del fardello che l’opprimeva, e rivelando la disgrazia che il destino le ha riservato: il suo unico figlio è tragicamente scomparso in un incidente sul lavoro. Ben presto, però, a questi drammatici racconti faranno eco le vicissitudini di Minny (Octavia Spencer), la migliore amica di Aibi, cuoca impareggiabile (specialista di dolci e pollo fritto), dal carattere fiero, ma che non sa frenare la lingua. L’intervista alle due “nannies” viene poco a poco a delinearsi come una vera e propria denuncia delle condizioni di vita e degli innumerevoli episodi di ingiustizia perpetrati ai danni delle lavoratrici di colore: le balie e le domestiche nere non potevano usare nemmeno il wc in casa dei bianchi! Tante altre donne si uniranno all’iniziativa fino a formare un coro a più voci, cui non basteranno poche colonne su un giornale del profondo Sud. Così prenderà corpo The Help, un libro


Claudio Lugi che raccoglie le testimonianze, sovente drammatiche, dell’ intolleranza dei bianchi. Il volume viene stampato in un clima di minacce e intimidazioni. Le vecchie amiche di Skeeter le mostrano disappunto e ostilità. Anche Johnny Foote (Mike Vogel), il fidanzato, si allontana dopo la pubblicazione che mette alla berlina le donne della media e alta borghesia di Jackson (e non solo) come inaffidabili, ciniche, pigre e occupate solo in inutili frivolezze. Sulla graticola finisce specialmente la perfida Hilly. Licenziata da questa per aver utilizzato il bagno di casa, Minny narra di aver ‘cucinato’ la sua vendetta, preparandole un dolce con sorpresa. Destinato a diventare una delle “scene madri” del film. Il messaggio che si evince dal racconto rimanda alla fratellanza e all’amicizia tra Skeeter, Aibi e Minny, ma anche alla solidarietà tra le tante domestiche che hanno collaborato all’iniziativa. The Help è una storia sulla fatica, sulla forza e sul coraggio di queste donne che hanno educato con dedizione diverse generazioni di bambini bianchi, creando così le premesse per una società nuova e più tollerante. E che in molti casi sono state ripagate, come nel caso della perfida - fino alla fine - Hilly, con una ipocrisia, e spesso un disprezzo, dovuto al diverso colore della pelle. Opera corale al femminile, diretta da Tate Taylor, The Help è il felicissimo adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Kathryn Stockett, un melodramma di stampo sudista che fotografa un’epoca di rapidi mutamenti, e racconta con estrema leggerezza temi per altri versi drammatici come quello del segregazionismo razziale, i pregiudizi sociali, la disuguaglianza tra bianchi e neri, che

si specchia non solo nell’intolleranza e negli atteggiamenti marcatamente arroganti delle persone, ma specialmente nelle condizioni di vita della comunità di colore, ancora discriminata nel diritto al voto, al lavoro, al trasporto pubblico. Nei primi anni Sessanta i numerosi interventi del presidente John Fitzgerald Kennedy, per eliminare la segregazione sugli autobus e per risolvere l’emergenza abitativa combattendo contro la discriminazione nell’acquisto e nell’affitto degli immobili, parallelamente alle crescenti proteste del Movimento dei Diritti Civili e degli attivisti della comunità di colore, guidati da un giovane Martin Luther King, mettono le

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basi dei cambiamenti politici necessari per l’evoluzione della società. Contemporaneamente, il 18 gennaio 1963, George Wallace, il nuovo governatore dell’Alabama, nel suo discorso di insediamento reclamava: “Segregation now, segregation tomorrow, segregation forever!” The Help Regia: Tate Taylor Cast: Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Octavia Spencer, Jessica Chastain, Allison Janney, Sissy Spacek, Ahna O’Reilly, Anna Camp, Mike Vogel Distribuzione: Walt Disney Pictures Italia, 146 min


schede film La segregazione nella società USA degli anni ’60 tra politica e cinema La cinematografia, soprattutto a partire dalla fine degli anni Sessanta, ha iniziato a occuparsi della questione razziale negli USA parallelamente alla conquista di Hollywood da parte di tanti giovani autori (da Scorsese a Coppola, da Spielberg a De Palma…) alla ricerca di nuove vie espressive per un cinema finalmente emancipato dagli stretti vincoli produttivi, impegnato culturalmente e politicamente, nonché attento a una rilettura storica e realistica della società americana. Il pregio di The Help consiste nell’aver saputo disegnare una sorta di affresco delle condizioni razziali in alcuni stati del Sud agli inizi degli anni Sessanta, in un periodo di grandi conquiste della comunità nera, di lunghe battaglie per l’affermazione dei diritti civili, che vedranno cadere tanti martiri, picchiati dalla polizia nelle manifestazioni di piazza, brutalmente torturati o assassinati dai segregazionisti e dai terroristi del Ku Klux Klan (KKK). In quei mesi usciva Il buio oltre la siepe (1962) diretto da Robert Mulligan e interpretato da Gregory Peck, tratto dal romanzo omonimo di Harper Lee, vincitrice del Premio Pulitzer. Tre

premi Oscar per una vicenda di odio razziale ambientata negli anni Trenta in Alabama, dove un nero, Tom Robinson, è accusato ingiustamente di violenza carnale ai danni di una diciannovenne bianca. Uno degli episodi più significativi della lotta contro la segregazione – ricordato da un film per la tv (The Rosa Parks Story, 2002), protagonista Angela Bassett – riguarda Rosa Parks, rammendatrice in un negozio di Montgomery, Alabama, la quale, si rifiutò di cedere il suo posto a sedere sull’autobus a un passeggero bianco, nonostante l’intimazione dell’autista. La donna venne arrestata, ma il primo dicembre 1955 scattò la protesta e il conseguente boicottaggio dei trasporti pubblici da parte della comunità nera, fra i cui leader c era già il giovanissimo pastore battista Martin Luther King. Il 4 giugno 1956 la Corte dell’Alabama sancì l’incostituzionalità della segregazione razziale sugli autobus: fu la vittoria di Rosa Parks e del Montgomery Bus Boycott. In una cerimonia commemorativa nel 2000, il governatore dell Alabama Don Siegelman ricordò che il gesto della Parks (scomparsa nel 2005, a 92 anni) cambiò

lo Stato e la Nazione per sempre . Il 28 agosto1963 a Washington si tenne la cosiddetta “Marcia per il lavoro e per la libertà” che terminò di fronte al Lincoln Memorial, dove il reverendo Martin Luther King pronunciò il celeberrimo discorso ricordato come I have a dream. Diciotto giorni più tardi il KKK fece esplodere una bomba in una chiesa battista di Birmingham durante la messa, uccidendo quattro bambine innocenti, alle quali Spike Lee dedicherà il documentario Four Little Girls (1997). Il 22 novembre di quello stesso anno, a Dallas, in Texas, venne assassinato John. F. Kennedy (JFK). Un anno dopo al trentacinquenne Martin Luther King fu assegnato il Premio Nobel per la pace: fu il più giovane a ricevere l’ambito riconoscimento. Il 28 giugno 1964 Malcolm X, uno dei più importanti rappresentanti della comunità nera, fondò l’Organizzazione per l’Unità AfroAmericana, dopo essere fuoriuscito dalla “Nation of Islam”. Ecco perché pochi mesi più tardi, il 21 febbraio 1965, venne ucciso a New York. Sostenitore della religione mu-

“Il mio sogno è che i miei quattro bambini possano vivere un giorno in una nazione dove non saranno giudicati dal colore della loro pelle ma dal contenuto del loro carattere.” Martin Luther King

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sulmana, egli affermava che l’Islam avrebbe potuto abbattere ogni barriera razziale e ogni forma di discriminazione. Spike Lee lo ricordò nel 1992 con un notevole biopic (Malcom X) basato sull’Autobiografia, con Denzel Washington nei panni del protagonista. Fu il primo film occidentale a presentare alcune scene girate a La Mecca. Il 1964 è anche l’anno in cui verrà approvato il Civil Rights Act, una legge federale che proibì la discriminazione in tutti i luoghi pubblici, e istituì la Commissione sulle Pari opportunità. Nel marzo del 1965, dopo una ormai famosa marcia di attivisti organizzata da Martin Luther King, il Presidente Johnson annunciò la Voting Rights Act, che estese ai cittadini di colore il diritto di voto. Ma pochi giorni dopo la tensione esplose a Watts, sobborgo di Los Angeles, dove fu avviata una violentissima sommossa a sfondo razziale che mise a ferro e fuoco il quartiere, e durò per sei giorni, causando la morte di 34 persone, 1032 feriti e più di tremila arrestati. Due pellicole, tuttora molto popolari, e non solo in America, segnano il 1967. La prima, La calda notte dell’ispettore Tibbs, di Norman Jewison, con Rod Steiger e Sidney Poitier ha vinto ben cinque Oscar, tra cui Miglior Film e Miglior Attore (Steiger). Si tratta di un’avvincente storia di genere poliziesco sullo sfondo di Sparta, una cittadina del Mississippi, in cui il contrasto tra l’ispettore nero (Poitier), giunto da Philadelphia, e il rude capo della polizia locale, Bill Gillespie (Steiger), sul caso di un omicidio evidenzia le difficoltà e il radicamento del pregiudizio razziale. Il successo del film ha innescato due seguiti, e la produzione di un’altrettanto gradita serie televisiva trasmessa anche in Italia nei primi anni Novanta con il titolo di L’ispettore Tibbs. La seconda, la prima commedia ad affron-

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tare il tema del matrimonio tra bianchi e neri, ebbe due statuette dorate, e conobbe uno straordinario successo in tutto il mondo: Indovina chi viene a cena porta la firma di Stanley Kramer alla regia, e un trio d’interpreti eccezionali: il solito Sidney Poitier, la formidabile Katharine Hepburn, al suo secondo Oscar (su quattro ottenuti), e Spencer Tracy, compagno della Hepburn, deceduto dodici giorni dopo la conclusione delle riprese. Arcinota la trama che mostra l’imbarazzo di una famiglia bianca (Hepburn e Tracy) all’incontro con il futuro genero (Poitier), un medico afro-americano di cui s’è innamorata la figlia (Katharine Houghton, nipote della Hepburn nella vita reale). Successivamente, nel 1968 Martin Luther King fu assassinato da un segregazionista, a Memphis (4 aprile 1968), nel Tennessee. Il 6 giugno di quello stesso anno venne ucciso a Los Angeles Robert F. Kennedy, candidato democratico alle elezioni presidenziali, il quale, come ministro della giustizia del fratello JFK, aveva contribuito alla definizione e al varo del Civil Rights Act. Bobby (2006) opera di Emilio Estevez, è la concitata cronaca dell’ultimo giorno di vita di RFK, cioè di colui che avrebbe dovuto realizzare la definitiva “conciliazione” della grande nazione americana. Finì come sappiamo, ma quest’opera corale, magari imperfetta, ma che ricorda la lezione del grande Robert Altman, e dotata pure di una sontuosa colonna sonora, rimarrà nella memoria sia come un dovuto omaggio al “giovane presidente”, che come un ottimo docu-film, anche grazie all’apporto di un cast stratosferico, tra cui Anthony Hopkins, Harry Belafonte, Laurence Fishburne, Helen Hunt, Sharon Stone, Martin Sheen...


schede film

Un delfino per amico

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uotando in piena libertà, un giovane delfino resta incastrato in una trappola per granchi, danneggiando seriamente la propria coda. Viene soccorso e trasportato al Clearwater Marine Hospital (Florida), dove viene chiamato “Winter”. La sua lotta per la sopravvivenza è appena cominciata. Senza coda, la situazione di Winter è disperata. Ci vorranno l’esperienza di un appassionato biologo marino, l’ingegnosità di un brillante medico esperto in protesi, e la ferma devozione di un giovane ragazzo per

compiere un miracolo di innovazione – un miracolo che possa non solo salvare Winter ma anche aiutare numerose persone nel mondo. Ispirato alla storia vera di un delfino coraggioso ed agli sconosciuti che si sono uniti per salvargli la vita, il vero Winter, che interpreta se stesso in “L'incredibile stoia di Winter il delfino”, oggi rappresenta un simbolo di coraggio, perseveranza e speranza per millioni di persone – abili e disabili – che si sono commosse per la sua incredibile storia di recupero e riabilitazione. Il vincitore del Premio Oscar® Morgan Freeman (“Million Dollar Baby”) interpreta il Dr. Ken McCarthy, cui è affidata la missione quasi impossibile di creare artigianalmente una protesi per la coda di Winter; Harry Connick Jr. è il Dr. Clay Haskett, che dirige il Clearwater Marine Hospital; Ashley Judd è Lorraine, una mamma single; Nathan Gamble è suo figlio Sawyer, che libera Winter dalla trappola e crea un legame immedia•

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to con il delfino; Cozi Zuehlsdorff è Hazel, la figlia del Dr.Clay, amica di Sawyer; infine Kris Kristofferson è il padre di Clay, Reed. Il film è diretto da Charles Martin Smith, da una sceneggiatura di Karen Janszen & Noam Dromi.

La vera storia di Winter Nel dicembre del 2005, in Florida, un pescatore trovò un piccolo delfino femmina impigliato nelle funi di una trappola per granchi che gli avevano bloccato la circolazione sanguigna nella coda. Ferita gravemente, ven-


Tratto da una storia vera “L’incredibile storia di Winter il delfino” è la sorprendente storia di un ragazzo destinato a scoprire grazie ad un delfino il potere di guarigione dei legami famigliari, umani e animali.

L’incredibile storia di Winter il delfino (Dolphin Tale, 2011, Usa)

Regia: Charles Martin Smith Con: Morgan Freeman, Ashley Judd, Harry Connick Jr, Kris Kristofferson, Ray McKinnon, Nathan Gamble, Rus Blackwell 113', Family, Warner Italia ne subito trasportata al Clearwater Marine Aquarium (CMA), dove alla fine perse la coda, aumentando le probabilità che non sopravvivesse. In ogni caso tutto il personale si impegnò 24 ore su 24, sette giorni su sette, ad aiutare Winter - così venne chiamato il delfino - fino alla completa ripresa, dovuta in gran parte a un’ingegnosa coda prostetica, prodotta con un materiale morbidissimo, flessibile e duraturo, chiamato “Winter’s Gel”, che ha salvato non solo il delfino, ma ha cambiato la vita delle persone con disabilità in tutto il mondo.

La storia del film Ben presto i media vennero a conoscenza di quello che era successo in Florida e la storia attirò anche l’attenzione del produttore Richard Ingber. “Una mattina stavo guardando la televisione quando sentii parlare di Winter”, ricorda il produttore. “Rimasi affascinato dalla storia e realizzai subito che aveva il potenziale per un grande film per tutta la famiglia”. “L’incredibile storia di Winter il delfino” parla di come superare le difficoltà, di perseveranza e •

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di coraggio - qualità cui gli esseri umani si relazionano a livello molto profondo, ma la cosa speciale è che sono viste attraverso l’esperienza di un delfino”, continua il produttore Andrew A. Kosove. “Non vedevo l’ora di lavorare con Winter”, dice Morgan Freeman. “So che è lei la vera star del film, quindi ho cercato di farmela amica”, dice ridendo. Forse Freeman scherzava, ma per un altro membro del cast le sue parole erano molto vicine alla verità. Il cuore del film è il legame tra Winter e Sawyer, il ragazzo che le salva la vita, quindi, per ottenere il ruolo di Sawyer, il giovane attore Nathan Gamble doveva conquistare Winter. Gamble dice: “E’ stato divertente, perché ho fatto quattro o cinque audizioni con Charles e i produttori, ma loro dovevano ancora essere sicuri che Winter si trovasse bene con me. Sono volato in Florida ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita; ci siamo capiti subito. Quando mi hanno detto che avrei avuto la parte, ero emozionatissimo perché sapevo che avrei trascorso i mesi seguenti con Winter e gli altri animali, una cosa magnifica”. Gamble aveva solo 12 anni quando è stato scelto per interpretare Sawyer, ma, dice Smith, “Ho visto raramente un attore fare quello che sa fare Nathan. Tutto il film ruota intorno al

rapporto di Sawyer con Winter, quindi aveva una grossa responsabilità per una persona così giovane. Ma è un ottimo performer con una fiducia e una abilità che alcuni attori lavorano una vita per raggiungere”. All’inizio del film, Sawyer non ha alcuna fiducia in se stesso. “E’ molto timido, non ha amici e non riesce in niente”, dice Gamble. “Suo padre l’ha lasciato quando era piccolo e ora anche suo cugino Kyle, che per lui è come un fratello maggiore, sta per lasciarlo, quindi Sawyer si sente perduto. Ma poi incontra Winter, e questo lo trasforma completamente”. Sawyer incontra Winter per la prima volta quando il delfino, impigliato nelle funi di una trappola per granchi e incapace di nuotare, arriva sulla spiaggia, moribondo. Facendosi coraggio, Sawyer si avvicina all’animale e taglia le funi che lo legano e proprio in quel momento nasce un legame particolare. Qualche istante dopo arriva la squadra di soccorso del vicino Clearwater Marine Hospital, guidata dal dr. Clay Haskett, interpretato da Harry Connick, Jr. “E’ lui che si occupa del benessere di Winter e ama molto il suo lavoro”, osserva l’attore. “Cerca di salvare il delfino, ma cerca anche di salvare l’acquario, che non ha più soldi. Inoltre è un padre single che cerca di crescere la figlioletta, quindi i problemi sono tanti. Mi è piaciuto il personaggio, mi piace che lotti per quello che ritiene giusto, anche se deve fare scelte dolorose. Parlando con la gente al Clearwater Marine Hospital, ho imparato che bisogna essere molto appassionati per lavorare con gli animali, perché anche se si ricevono tante soddisfazioni, non ci sono sufficienti riconoscimenti economici e l’impegno è continuo, 24 ore su 24, sette giorni su sette. Ho voluto render loro giustizia”. •

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La leggenda dei delfini Secondo un mito greco, i delfini sarebbero pirati, trasformati in creature acquatiche da Dionisio, perciò cercherebbero di riavvicinarsi all’uomo e di conquistare la sua amicizia. Esistono diversi racconti sull’amicizia tra ragazzi e delfini. Uno di essi, narrato da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), riguarda il rapporto tra un giovane e un delfino, che si lasciava cavalcare da lui, nel “Lago Lucrino”, laguna costiera nei pressi di Pozzuoli. In un altro racconto Plinio il Vecchio descrive la pesca con l’aiuto dei delfini nella zona di Narbonne, e come questi animali amici dell’uomo aiutino i pescatori spingendo i cefali nelle reti, durante il passo. In Amazzonia esiste un delfino fluviale di colore rosato e quasi cieco, localmente chiamato “boto”. Ogni pescatore ha il suo personale boto, che risponde a un fischio di richiamo e, con il suo sonar, lo aiuta ad individuare i banchi di pesce nelle acque fangose del fiume. La leggenda locale vuole che questi delfini, in condizioni particolari, possano trasformarsi in bellissimi uomini o donne per


unirsi alla gente del luogo. In questo modo vengono spiegate molte gravidanze indesiderate; ai bambini che nascono vengono spesso dati nomi come Bofo, Botu o simili.

L’interazione con i delfini Il cervello del delfino è tra i più simili a quello dell’uomo per peso, sviluppo della corteccia e connessioni tra i due emisferi. E’ stato dimostrato che sono capaci di riconoscere fino a 50 suoni o simboli corrispondenti ad altrettante parole, e che sono in grado anche di comprendere la struttura della frase agendo in modo diverso a seconda dell’ordine in cui queste “parole” vengono loro proposte. I delfini sono dotati anche della funzione dell’ecolocazione, che funziona più o meno come l’ecoscandaglio delle barche, che consente loro di riconoscere i fondali e le prede anche in acque non limpide. Gli ultrasuoni, che noi

possiamo percepire alle più basse frequenze, vanno da 20.000 a 150.000 Hertz. In diverse occasioni si è notato che le donne in stato di gravidanza sembrano attrarre particolarmente l’attenzione dei delfini, che esaminano ripetutamente il loro addome con gli ultrasuoni. Per quanto concerne la vita sociale dei delfini essa è improntata ad una grande solidarietà che a volte viene trasferita anche all’uomo. Quando un delfino è ammalato o ferito non viene abbandonato. Al contrario, gli altri lo guidano e lo sostengono in modo che possa seguire il branco e salire in superficie per respirare. Numerose notizie riportano casi di salvataggi in cui non solo i delfini sono in grado

di individuare e mantenere in superficie persone in difficoltà ma, diversamente da quello che farebbero con compagni della loro stessa specie, spingono questi esseri umani verso riva, come se capissero il loro bisogno di raggiungere la terra ferma. Oltre a questo soccorso “fisico”, i delfini influenzano in maniera positiva anche la psiche umana. Coloro che hanno nuotato con i delfini hanno avuto quasi sempre l’impressione che essi interagissero con le persone immerse come se comprendessero il loro umore: timidi e distanti con chi ha timore, giocosi con chi è eccitato, carezzevoli con chi è rilassato. E’ probabile che in questa capacità di contatto sulla giusta “lunghezza d’onda”, per noi molto gratificante, essi siano guidati da una notevole capacità di leggere il linguaggio corporeo e di percepire, attraverso l’acqua le produzioni ormonali che accompagnano i diversi stati emotivi. Tutte le testimonianze raccolte indicano che l’incontro con queste creature è un’esperienza eccezionale, profondamente coinvolgente a livello psichico, forse anche a motivo della componente immaginaria e fantastica che ha dato origine a tanti racconti mitologici. Con il suo aspetto “sorridente”, i suoi movimenti fluidi, il suo istintivo rispetto per lo spazio interpersonale (che fa sì che non si avvicini troppo a chi mostra timore) il delfino viene percepito in modo amichevole e meno minaccioso o giudicante degli esseri umani. Nello stesso tempo offre gratificanti opportunità di scambio, basate sul gioco e sul contatto fisico, che portano la comunicazione a un livello accettabile anche per le persone più chiuse in se stesse, come nel caso degli autistici. Il gioco con un delfino, inoltre, non è mai monotono o ripetitivo. La grande intelligenza di questi animali li rende capaci di inventare “trucchi” sempre nuovi e adeguati alle circostanze, tanto da riuscire a volte a spezzare anche le stereotipie di persone, come quelle autistiche, appunto, che sembrano imprigionate in una gabbia di comportamenti ripetitivi.

La delfino-terapia Esiste anche, sebbene limitata a pochissime strutture, la delfino-terapia che pare abbia dato risultati eccezionali soprattutto nel caso di pazienti psichiatrici, autistici e depressi. Purtroppo i costi proibitivi delle strutture e del mantenimento degli animali •

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impediscono uno sfruttamento su larga scala dei benefici di questa forma di terapia. Il contatto con i delfini servirebbe anche a stimolare la motivazione, l’aumento di fiducia, la capacità motoria e comunicativa, la capacità di memorizzare e di elaborare concetti. Ma come e perché funziona la “delfinoterapia”? L’ipotesi attualmente più accreditata è quella che attribuisce l’efficacia della delfinoterapia ad un complesso di fattori, che vanno dall’immersione nell’acqua al contatto fisico e allo scambio giocoso con gli animali. L’immersione nell’acqua è di per sé un’ esperienza particolare, per il legame concreto, e l’acqua salata aiuta a sciogliere alcune rigidezze corporee che spesso corrispondono a blocchi emotivi; fornisce un sostegno che facilita l’equilibrio, la fluidità del movimento e le sensazioni di rilassamento che ne derivano. La presenza dei delfini sembra moltiplicare gli effetti positivi del contatto con l’acqua. Una conferma di queste impressioni è venuta da questionari sui vissuti emotivi dei partecipanti ai programmi di nuoto con i delfini, raccolti da ARION, l’unica associazione italiana impegnata in questo settore. Le risposte ai questionari hanno dimostrato che la quasi totalità (109 su 110) delle persone che si sono incontrate con i delfini hanno trovato l’esperienza positiva se non addirittura entusiasmante; il 76,4% ha riferito di provare sentimenti di benessere anche dopo l’immersione; il 49% ha dichiarato di essersi sentiti in comunicazione o in contatto (non solo fisico) con i delfini ( “mi è sembrato che i delfini mi capissero”; “ho sentito di poter comunicare con questi animali: questo ha destato in me un senso di comunione” ); il 39% ha dichiarato di avere scoperto qualcosa di nuovo in se stessi nel corso dell’esperienza ( “I delfini mi hanno portato la calma interiore e il desiderio di ascoltare gli altri, uomini e animali”; “ho imparato ad essere più altruista”; “ci si sente più aperti” ).


schede film

Claudio Lugi

Dietro le quinte di Babbo Natale

Il figlio di Babbo Natale (Arthur Christmas)

“Voglio che oggi non pianga nel mondo un solo bambino, che abbiano lo stesso sorriso il bianco, il moro, il giallino”. Gianni Rodari

Regia: Sarah Smith e Barry Cook 97', animazione, Warner Bros

Grazie ad un esercito di un milione di elfi, un’enorme slitta supersonica e un enorme centro di controllo sotto i ghiacci del Polo, Babbo Natale riesce a consegnare nell’arco di una notte seicento milioni di regali sparso in tutto il mondo. Ma quest’anno una consegna è saltata. Prende avvio tra i ghiacci del Polo Nord, sarebbe meglio dire “sotto” la calotta polare, visto che proprio lì si trova il centro operativo che si occupa della consegna dei milioni e milioni di regali che annualmente giungono sotto l’albero di altrettanti bambini di ogni parte del mondo. Tale base consta di centinaia di postazioni

elettroniche presso le quali si danno da fare migliaia di elfi al servizio di Babbo Natale, e agli ordini del primogenito Steve. Questi è un meticoloso organizzatore che utilizza al meglio ogni strumento e accessorio tecnologico al fine di allietare la festa più importante dell’anno. Inoltre, quasi un milione di elfi trasportati dall’ipertecnologica astroslitta S1 (150.000 km/h), una specie di Enterprise rivisitata a mo’ di slitta, larga un miglio e lunga due, sono impegnati nel recapito “porta a porta” dei doni, effettuato nel tempo record di circa diciotto secondi da squadre di tre elementi ciascuna. Babbo Natale non può che gongolare per la sua super efficiente organizzazione, e per aver raggiunto il settantesimo anniversario di attività, anche se, di fatto, e soprattutto nelle ultime uscite, l’artefice è stato Steve, che non fa mistero di ambire al posto del vetusto genitore qualora (il giovane spera il prima possibile) questi si ritiri definitivamente. Del resto, il giorno successivo al 25 Dicembre non porta forse il suo nome? E poi è stimato enormemente dalla sua famiglia, che comprende anche Mamma Natale, giu-

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diziosa consorte dell’omone rosso vestito, il vispo Nonno Natale, un vegliardo tradizionalista di 136 anni, che gode della compagnia di una mansueta renna domestica, e Arthur, il fratello più giovane, addetto del reparto “Lettere a Babbo Natale”. Chiamato dai genitori “il grosso enigma”, per via dei guai combinati nel recente passato, Arthur è un ragazzo piuttosto confusionario, ma sensibile, ingenuo e sognatore, e soprattutto appassionato della magia del Natale, secondo tradizione familiare. Difatti, nel caos dell’ufficio in cui è stato relegato, egli legge attentamente ogni singola missiva che arriva al Polo Nord, convinto che ogni bambino debba ricevere un regalo per la ricorrenza della natività. Anche la famiglia Natale passa la notte della vigilia e le altre festività, normalmente, nella tipica calorosa atmosfera, davanti al camino o alla tavola imbandita, discorrendo della riuscita dell’ultima missione, oppure passando il tempo con i giochi di società come “Natalopoli”. E in quella oc-


casione, puntualmente, si accende un’aspra discussione sull’assegnazione dei segnalini: Babbo Natale, la slitta, la renna, la candela ecc. Stavolta, però, una notizia contribuisce a turbare la “solita” serenità: per un fatale disguido una consegna non è stata eseguita. Una su seicento milioni. Babbo Natale ed il figlio Steve lo ritengono un accettabile margine di errore. Ma non per Arthur Christmas, che tra le colonne di corrispondenza ricevuta, recupera velocemente la bella letterina illustrata di Gwen Hines, una bambina residente al numero 23 di Mimosa Avenue a Trelew, in Cornovaglia. La piccola, che s’interrogava su come Santa Claus riuscisse a consegnare i regali a tutti i bambini del mondo, aveva chiesto per Natale una bicicletta a rotelle Pinky Princess. Mancano soltanto un paio d’ore al sorgere del sole, e al momento che i bambini hanno atteso tutto l’anno, e così Arthur si risolve d’intervenire. Con l’aiuto di Nonno Natale

intraprende una spedizione a bordo di una vecchia slitta di legno e ottone (Evie), munita di una pariglia di otto renne in carne e ossa, un’antica mappa, della polvere magica, campanellini e quant’altro… A bordo c’è anche la renna domestica, e perfino… un clandestino: si tratta di Bryony, l’elfo incartatore. C’è pochissimo tempo a disposizione prima che arrivi il mattino perciò i tre si dirigono in volo verso l’Inghilterra, ma la loro imperizia nel calcolare la rotta li dirotta prima a Toronto, in Canada, dove portano scompiglio nel centro cittadino, successivamente nell’Idaho (USA), dove aggregano alle renne rimaste un’esemplare pubblicitario in metallo dorato. Mentre i minuti scorrono la peregrinazione continua, prima nella savana africana, poi su una spiaggia di Cuba (Cayo Confites), dove Arthur è avvilito dall’insuccesso che si profila, per essere successivamente intercettati dalle forze della Nato, che li hanno scambiati per una navicella aliena. Riuscirà il figlio minore di Babbo Natale ad arrivare a destinazione in

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tempo, a consegnare la piccola bici rosa, e a salvare lo spirito della festività? Senza svelare oltremodo l’esito finale della vicenda possiamo rassicurare il pubblico che il contrasto alla base del film, tra modernità e tradizione, rappresentato allegoricamente da Steve e Arthur, due fratelli “agli antipodi”, si risolve a tutto favore della magia natalizia.


Perché Il figlio di Babbo Natale, diretto da Sarah Smith e Barry Cook, si avvale, nella versione originale di un cast stellare che comprende James McAvoy, Hugh Laurie, Jim Broadbent, Imelda Staunton e Bill Nighy (rispettivamente Arthur, Steve, Babbo Natale, la di lui consorte, e l’esplosivo Nonno Natale); perché racconta le peripezie di un viaggio di formazione e l’evoluzione interiore dei principali caratteri della storia; perché possiede il ritmo e la suspense di un film d’azione quando mostra la perfetta sincronizzazione di una squadra di elfi. Difatti, la sequenza accennata descrive l’operazione di disinnesco di un set di batterie Snovy (facile pubblicità autoreferenziale) all’interno di un giocattolo, la cui improvvisa anomalia funzionale avrebbe potuto svegliare anzitempo un bambino nel pieno dei sogni della notte più attesa dell’anno, con la conseguente rivelazione di Babbo Natale. Insomma, Arthur Christmas è un’avventura ingegnosa, umoristica e divertente, nella migliore tradizione della Aardman Animations, che per questa pellicola ha abbandonato, in favore della classica computer grafica, la caratteristica tecnica di animazione “a passo uno” (claymation), che prevedeva la ripresa dei modellini e dei personaggi appositamente creati in plastilina, con la quale ha ottenuto vari successi planetari, come Wallace & Gromit, Galline in fuga e La maledizione del coniglio fantasma.

Quella star di Babbo natale! “Se fossi un filosofo, dovrei scrivere una filosofia dei giocattoli, per dimostrare che nella vita non bisogna prendere nient’altro sul serio e che il giorno di Natale in compagnia dei bambini è una delle pochissime occasioni in cui gli uomini diventano completamente vivi.” Robert Lynd Che Natale sarebbe senza Babbo Natale? La sua importanza è cresciuta negli anni, fino a farlo diventare la vera icona delle festività. Grazie anche al cinema.

Cominciamo con il racconto del viaggio fantastico effettuato in treno da un bambino di otto anni per raggiungere il Polo Nord e la magnifica residenza appunto di Santa Claus di Polar Express (2004). Girato con una tecnica innovativa chiamata performance capture in grado di garantire movimenti ed espressioni naturali alle diverse caratterizzazioni umane, il bel racconto di Robert Zemeckis mostra l’attore Tom Hanks in sei distinti ruoli, incluso quello del bimbo protagonista: magia tecnica e inventiva che si sposano felicemente! Così come accade in A Christmas Carol (2009) eseguito con la medesima tecnica ancora dal geniale autore di Forrest Gump e della trilogia Ritorno al futuro. Stavolta Zemeckis dirige una delle pagine più popolari della tradizione britannica, Canto di Natale, con un grandissimo Jim Carrey che stavolta, è uno e settuplo, visto che rappresenta Ebenezer Scrooge nelle varie fasi dell’esistenza, e anche i tre fantasmi che lo tormentano. La celeberrima novella di Charles Dickens è una delle opere più frequentemente tradotte in immagini da quando è nato il cinema, e non sempre con risultati all’altezza. Citiamo, tuttavia, tra le migliori trasposizioni animate: Canto di Natale di Topolino, un mediometraggio del 1983 prodotto per la TV, Festa in casa Muppet del 1992, intelligente commistione tra i noti pupazzi di Brian Henson e attori in carne e ossa, in cui Michael Caine interpreta ottimamente il taccagno; Looney Tunes - Canto Di Natale (2006), una spassosa animazione con Daffy Duck nel ruolo dell’avarissimo vegliardo. Ancora i pupazzi di Henson, un decennio più tardi, a celebrare la festa invernale più bella: Natale con i Muppet (2002), mentre Il bianco Natale di Topolino è una raccolta di alcuni cartoni pubblicata per il mercato home-video nel Natale del 2001, in cui è presente pure il già citato episodio con Zio Paperone nei panni dello spilorcio Scrooge. Di ben altro spessore Nightmare Before Christmas (1993) di Henry Selick, una delle opere più felici partorite

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dall’estro di Tim Burton, un capolavoro assoluto del cinema, non solo dell’animazione (stop-motion); un classico a cavallo tra Halloween e Natale, popolato da personaggi inquietanti e meravigliosi, in cui Jack Skeletron, il re delle zucche, annoiato dalla routine dei festeggiamenti, tenta di catturare “lo spirito del Natale”, prima facendo sequestrare Babbo Nachele, poi sostituendosi a lui e consegnando ai bambini gli improbabili e mostruosi regali prodotti dai suoi concittadini: un totale fallimento. Evidentemente la situazione gli è sfuggita dalle mani, ma almeno avrà compreso l’amore di Sally, e d’adesso in poi saprà dedicarsi esclusivamente ad Halloween… Il finale lo dedichiamo a due lungometraggi italiani, entrambi diretti da Enzo D’Alò, dove Babbo Natale viene soppiantato da altre tradizioni della penisola. Il primo, La freccia azzurra (1996), tratto dall’omonima fiaba di Gianni Rodari, riguarda più la festa dell’Epi-

fania che il Natale, dal momento che ricorda che i bambini della penisola sono i più fortunati del mondo visto che ricevono regali anche dalla Befana. Scritto a quattro mani da D’Alò e Umberto Marino, il cartone, dalla gradevole grafica “vintage”, risulta ulteriormente nobilitato dalle voci di Dario Fo e Lella Costa, e dal commento sonoro di Paolo Conte. Il secondo, Opopomoz (2003), ha come protagonista un bambino napoletano, Rocco, in piena crisi di gelosia per l’arrivo imminente di un fratellino, la cui nascita coincide con il Natale, che nella metropoli partenopea, com’è noto, fa rima soprattutto con il presepe. Ed è proprio nel presepe di casa, dove, aiutato da un diavoletto Rocco riuscirà ad entrare, come una delle tante statuine, per cercare di impedire la nascita di Francesco, prevista proprio per la notte del 24 dicembre. Ma nel mondo incantato delle casine di cartapesta e delle statuette di terracotta Rocco imparerà che una nuova natività non toglie amore, ne porta invece dell’altro: ecco la vera magia del Natale!


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