Primissima scuola febbraio 2012

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SCHEDE FILM War Horse Hugo Cabret Molto forte, incredibilmente vicino Un giorno questo dolore ti sarĂ utile Proposte cinematografiche per le scuole


Sommario

n°2 2012

NATA NEL 1994 PER PROMUOVERE LE PELLICOLE PIÙ ADATTE AL MONDO DELLA SCUOLA, SIA SOTTO IL PROFILO DIDATTICO CHE DI INTRATTENIMENTO, PRIMISSIMA SCUOLA È DIVENTATA NEGLI ANNI UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA MAGGIOR PARTE DELLE SCUOLE E DEGLI INSEGNANTI CHE UTILIZZANO IL CINEMA COME RIFERIMENTO DIDATTICO.

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MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO

10 Periodico di informazioni cinematografiche per le scuole Anno 18 n.2 Febbraio 2012

WAR HORSE Direttore Responsabile Piero Cinelli Direttore Editoriale Paolo Sivori Reg. Trib. Roma n. 00438/94 del 1/10/1994

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UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARÀ UTILE

14 editore MULTIVISION S.R.L. Via Fabio Massimo, 107 • 00192 - Roma tel. fax. +39 0645437670

HUGO CABRET grafica Luca Foddis luca.foddis@primissima.it Patrizia Morfù patrizia.morfu@primissima.it stampa Ige, Roma

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schede film

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CANDIDATO A PREMI OSCAR TRA CUI MIGLIOR FILM

Molto forte, incredibilmente vicino

(Extremely Loud and Incredibly Close, Usa, 2012) Regia Stephen Daldry. Con Tom Hanks, Sandra Bullock, Thomas Horn, Max von Sydow, Viola Davis. 129', Drammatico, Warner Bros Italia uscita 13 aprile

L'odissea donchisciottesca di un singolare adolescente alla ricerca di accettare la morte del padre e la difficoltà di un paese a guarire le ferite dell'11 settembre.

Nel nome del padre Il romanzo Nel 2005, lo scrittore Jonathan Safran Foer, già conosciuto per il suo mix di commedia e dramma presente nel suo primo romanzo “Ogni cosa è illuminata" (Everything Is Illuminated) ha pubblicato il suo romanzo successivo “Extremely Loud & Incredibly Close.” destinato a diventare uno dei più discussi, acclamati e dibattuti romanzi della storia recente. Un romanzo che racconta la storia bizzarra di un ragazzo straordinariamente creativo e sensibile che si imbarca in un’odissea attraverso una città che non riesce

ad elaborare il lutto dell’11 settembre, per scoprire come l’immaginazione possa aiutarlo ad affrontare una paura enorme ed una perdita devastante a seguito di avvenimenti che nessuna logica potrà mai spiegare. "Jonathan Safran Foer - ha scritto un importante quotidiano americano - ha realizzato qualcosa di necessario scrivendo il primo vero grande romanzo post-11 settembre, confrontandosi in modo assolutamente originale con un tema molto difficile e riscoprendo la forza terapeutica e liberatoria dell'im•

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maginazione." Un bambino di undici anni, Oskar Schell, è a caccia della serratura che corrisponde ad una misteriosa chiave che apparteneva al padre che è morto nell'attentato delle Torri Gemelle. Ingenuo, ossessivo, comico, e a suo modo ribelle, Oskar si muove come un piccolo don Chisciotte tra Central Park, Coney Island ed Harlem, nella sua ricerca impossibile. Incontrando un eterogeneo quanto bizzarro assortimento di persone, tutti sopravvissuti a modo loro.


Il suo viaggio si conclude in un crescendo emozionale di verità e commozione. In Extremely Loud and Incredibly Close, Foer ancora una volta dimostra la sua abilità nel seguire i complessi e imprevedibili percorsi del cuore umano.

Il film

Adattamento del bestseller di Jonathan Safran Foer, “Extremely Loud & Incredibly Close” è una storia vista con gli occhi del giovanissimo Oskar Schell, un undicenne newyorkese che scopre una chiave tra gli oggetti appartenuti a suo padre defunto. Questa scoperta lo spinge a iniziare una ricerca 'porta a porta' tra le strade della città per trovare quel qualcosa da aprire con la chiave. A distanza di un anno dalla morte di suo padre avvenuta nell’attentato al World Trade Center, in quello che Oskar ha definito “Il giorno peggiore”, il ragazzo è determinato a tenere in vita il legame con l’uomo che gli ha insegnato ad affrontare le sue paure più profonde. Man mano che attraversa i cinque distretti di New York alla ricerca del lucchetto man-

cante – cosa che gli permette di incontrare una vasta gamma di persone tra le più disparate - Oskar inizia a scoprire dei legami nascosti con il padre di cui sente profondamente e dolorosamente la mancanza, con la madre che sembra essere molto lontana da lui e con tutto il mondo rumoroso, pericoloso e scombussolato che lo

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circonda. Quando il regista Stephen Daldry – 3 volte candidato all’Oscar (per The Reader, The Hours e Billy Elliot) – ha letto il libro, è rimasto colpito essenzialmente dal punto di vista soggettivo di Oskar. Bambino fuori dal normale con una intelligenza vivissima, ma comportamenti eccentrici ed ossessivi che potrebbero farlo collocare nel mondo dell’autismo, Oskar descrive il mondo intorno a lui con il suo stile particolarissimo fatto di ingenuità e profondità interiore, nervosismo e sfrontatezza, incomprensione e desiderio di comprendere. Una lettura della realtà che riunisce insieme pensieri, flash di memoria, idee e fantasie all’impronta basate sulle emozioni – il tutto in un momento della vita di Oskar in cui tutto è stato stravolto per la sua famiglia e per tutto il mondo intorno a lui. “Ho trovato molto stimolante il fatto che Jonathan Safran Foer abbia raccontato la sua storia non solo dal punto di vista di un bambino che deve sopportare un dolore grandissimo, ma di un b a m b i no c he ha un’opinione precisa su tutto ciò che lo circonda,” afferma Daldry. “E’ un punto di vista interessante, creativo e ricco di emozioni.”

Il giorno più buio

Tra i molti temi trattati dal libro lo sceneggiatore Eric Roth ha concentrato il filo conduttore del film su un elemento particolare: il rapporto tra Oskar e suo padre, Thomas, che viene mostrato nel film esclusivamente attraverso i ricordi soggettivi di Oskar, a loro volta alimentati da un miscuglio confuso di amore, perdita e domande persistenti. Ad Oskar mancano terribilmente le cosiddette “perlustrazioni” di suo padre, quei puzzle intelligenti che Thomas aveva creato per Oskar affinché il ragazzo li risolvesse, non solo come giochi intelligenti tra padre e figlio ma anche per aiutare il bambino ad affrontare il mondo nonostante la sua ritrosia. Quindi, quando scopre la chiave misteriosa sul fondo di un vaso nascosto in un angolo buio dell’armadio di suo padre, Oskar si butta in una nuova missione deciso a trovare, tra le 17 milioni di serrature, secondo il suo calcolo, quella che corrisponde alla sua chiave. Il suo piano è di cominciare, attraverso l'elenco del telefono, con tutti i 472 “Black” di New York City, andandoli a trovare uno ad uno, e se la matematica non è un’opinione, valuta che gli ci vorranno tre anni per finire il giro. Elabora meticolosamente il percorso, la piantina della città sot-


difficoltà specifiche di coloro che hanno perso i propri cari nell’attacco terroristico. Il regista ha appreso che per molti bambini come Oskar, l’inaspettatezza, l’enormità e la natura pubblica dell’avvenimento hanno lasciato un senso di impotenza in aggiunta al loro dolore già molto profondo. Quindi lo smarrimento e l'avventura di Oskar, che rappresentano il suo bizzarro modo di venire a patti con il dolore, diventano emblematici del tentativo di un intero paese di elaborare il lutto di una tragedia che sembra avvenuta ieri.

L'11 settembre 2001

to forma di rete perfettamente suddivisa, si impone delle regole di base ed inizia a girare a piedi , perché potrebbero verificarsi ancora degli attacchi sugli autobus o sulla metro. “Il padre gli diceva sempre che ci sono tesori e cose preziose da trovare nel mondo. Quindi quando trova la chiave appartenente al padre, è interessante notare come Oskar elabori un suo piano riguardo al significato di questa chiave, convinto che in qualche modo possa arrivare a spiegargli ciò che gli è rimasto inspiegato. Diventa una storia molto intima e personale, di un ragazzo che cerca di dare a modo suo un senso ad un mondo che senso non ne ha.” Come molti altri bambini con il dono dell’intelligenza, con un’elevata sensibilità ma con scarsa vita sociale, Oskar vive di programmi, regole e azioni, e si rende conto che la sua ricerca lo porterà molto lontano da tutto ciò che è prevedibile e tranquillo. “Oskar è un bambino diverso, ma in un modo stupendo,” fa notare Roth. “Possiede una grande immaginazione ed un profondo senso di curiosità oltre alle sue numerose paure. Per molto tempo è riuscito a cavarsela grazie a suo padre con il quale divideva molte cose. E quindi ora che ha trovato una chiave appartenente al padre, un anno dopo la sua morte, ritiene che debba aprire qualcosa: un segreto, un oggetto, un qualcosa di importante che suo padre ha lasciato per lui. E la chiave lo porta in un'avventura che rappresenta il suo modo di venire a patti con il dolore e con molte altre cose.”

di Oskar era tedesca, e viveva a Dresda al tempo dei bombardamenti che distrussero la città sul finire della seconda guerra mondiale. Quest'ultima gli racconta il proprio matrimonio con un uomo che come lei era scampato al bombardamento di Dresda, alla fine della seconda guerra mondiale e che prima di sposarla era stato il fidanzato della sorella, perita assieme al figlio durante un bombardamento. L'uomo le aveva fatto promettere che non avrebbero mai messo al mondo un figlio. Ma la donna ruppe la promessa e diede alla luce Thomas, il futuro papà di Oskar.

Il trauma collettivo dell'11 settembre

Il regista Stephen Daldry era anche interessato a comprendere meglio il trauma specifico vissuto dai 3.000 bambini che hanno perso i propri genitori l’11 settembre, e la loro lotta per la sopravvivenza. E’ ricorso all’aiuto di numerosi esperti, compresa l’organizzazione Tuesday’s Children, struttura non-profit fondata da famiglie e amici delle vittime dell’11 settembre, per affrontare le

La nonna

Mentre conduce la sua improbabile ricerca, con l'apparente disinteresse della madre, Oskar scopre molte cose sulla sua famiglia, in particolare sulla storia dei suoi nonni, con dei curiosi paralleli tra la propria giovinezza, devastata dall'attentato alle Torri, e la loro, distrutta dalla seconda guerra mondiale a dal bombardamento di Dresda. La nonna •

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L'11 settembre 2001 gli Stati Uniti furono colpiti da quattro attacchi suicidi da parte di terroristi di al-Qāeda contro obiettivi civili e militari. La mattina dell'11 settembre 2001, 19 affiliati all'organizzazione terroristica Al Qaeda dirottarono quattro voli civili commerciali. I dirottatori fecero intenzionalmente schiantare due degli aerei sulle torri 1 e 2 del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli. La torre meridionale (denominata WTC 2) crollò alle 9:59 circa, dopo un incendio di 56 minuti causato dall'impatto del volo United Airlines 175; la torre settentrionale(WTC 1) collassò alle 10:28, dopo un incendio di circa 102 minuti. Il terzo aereo di linea fu fatto schiantare dai dirottatori contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro la Casa Bianca a Washington, si schiantò in un campo vicino Shanksville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania), dopo che i passeggeri e i membri dell'equipaggio tentarono, senza riuscirci, di riprendere il controllo del velivolo. Gli attacchi terroristici dell'11 settembre causarono circa 3.000 vittime. Nell'attacco alle torri gemelle morirono 2.752 persone, tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti. La maggior parte delle vittime erano civili di 70 diverse nazionalità.


schede film Il lancio cinematografico di Rapunzel - l’Intreccio della Torre è accompagnato da una vasta gamma di articoli che portano questa incredibile favola anche fuori dallo schermo. Per vivere le rocambolesche avventure di Rapunzel sono in arrivo tante novità: giochi, accessori, videogame, libri illustrati e molto altro per sentirsi principesse ... con brio!

Adolescenza ribelle Il diciassettenne James Sveck è il personaggio centrale dell’ultimo film di Roberto Faenza, tratto dallo straordinario libro di Peter Cameron. Adolescente inquieto e arrabbiato con il mondo, ha molte cose in comune con un suo illustre predecessore: Holden Caulfield.

J

ames (Toby Regbo) ha 17anni, ha appena finito il college e non ha nessuna intenzione di andare all’Università. Ragazzo molto intelligente, pieno di humour, appassionato e malinconico, James fatica a trovare un senso all’esistenza in generale. Di famiglia ricca e altamente disfunzionale se non proprio squinternata: la madre Marjorie (Gay Harden) ha una galleria d’arte dove espone bidoni della spazzatura di un artista giapponese e colleziona mariti. Il padre Paul (Peter Gallagher) esce solo con ragazze che potrebbero essergli figlie. Al contrario, la sorella Gillian (Deborah Ann Woll) ha una relazione con il suo professore di semiotica e non riesce ad innamorarsi di uomini che non abbiano almeno il doppio della sua età. Solo Nanette (Ellen Burstyn), la nonna enigmatica e anticonformista, riesce a comprendere lo spaesamento di un diciassettenne inquieto

alla ricerca dell’identità, sullo sfondo di una New York piena di personaggi sconcertanti. La difficoltà di James nell’uniformarsi ad una presunta “normalità” lo porta a commettere alcuni errori che, senza essere sua intenzione, feriscono persone a lui vicino. Per questo motivo viene mandato in terapia da una life coach di origini cinesi (Lucy Liu), che pratica metodi analitici decisamente non convenzionali. Dopo un’iniziale diffidenza, finalmente James comincia a rovistare nel suo io. E finisce per porsi una domanda alla quale urge dare una risposta: “Se io sono un disadattato, allora gli altri cosa sono?” Secondo film americano per Roberto Faenza, dopo Copkiller del 1983, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore americano, classe 1959, Peter Cameron, ci regala un personaggio indimenticabile, un inquieto ‘Giovane •

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Holden’ di oggi, la cui esistenza è profondamente legata alla Grande Mela odierna, ovvero la metropoli più emblematica dell’Occidente. Il protagonista, James Sveck, interpretato dal 20enne inglese Toby Regbo (che abbiamo visto in un cameo in One Day), ha una delicatezza che si sposa magnificamente con la sua furiosa ribellione interiore. “Ho 17 anni e non amo molto parlare. Sono un anarchico, odio la guerra, la politica e la religione organizzata. I miei dicono che sono un asociale perché non voglio andare all’università. Non ci voglio andare perché non voglio essere indottrinato. Mi bastano le idee che ho. Amo leggere e passare le giornate in campagna da mia nonna. Per questo sarei un disadattato?” Ce n’è abbastanza per promuoverlo a simbolo stesso di un problematico quanto ricchissimo universo adolescenziale.


Nicoletta Gemmi

Un giorno questo dolore ti sarà utile (Someday This Pain Will Be Useful to You, Italia/Usa, 2011) Regia di Roberto Faenza con Toby Regbo, Marcia Gay Harden, Stephen Lang, Peter Gallagher, Ellen Burstyn 98’, 01 Distribution, drammatico/commedia 24 FEBBRAIO

James e Holden “Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto”. E’ l’incipit di Il giovane Holden, scritto nel 1951 da J.D. Salinger. Ma potrebbe essere anche l’incipit di Someday This Pain Will Be Useful to You. Leggendo quest’ultimo romanzo, che Peter Cameron ha scritto nel 2007 (edizione Adelphi), non può non tornare alla mente il personaggio del giovane Holden. Nonostante Cameron abbia sempre preso le distanze da un classico della contestazione giovanile che ha formato intere generazioni, è evidente che i parallelismi non mancano. Sia Holden che James hanno diciassette anni, quasi diciotto, provengono da famiglie benestanti e disfunzionali newyorkesi, hanno enormi difficoltà a relazionarsi con i loro coetanei e con i loro famigliari, sono estremamente intelligenti, sensibili, e con una urgente necessità di non conformarsi con la società nella quale vivono. Essendo quello di Salinger ambientato negli anni ’50 e quello di Cameron negli anni 2000 sono salienti anche le differenze, ma la base è questa: sia Holden che Sveck sono ‘angry young men’, giovani arrabbiati, antisistema, pervasi da umori anti-istituzionali. Odiano il denaro, la borghesia, la stupidità di quelli che hanno la loro età.

I motivi che portano James e Holden a sentirsi in questo modo sono profondamente diversi, ma il malessere è identico, e li accomuna anche ad altri eroi della contestazione generazionale e talvolta politica, come indica lo stesso Cameron. “Avevo vent’anni: non consentirò a nessuno di dire che è l’età più bella della vita. Tutto minaccia di rovina un giovane: l’amore, le idee, la perdita della propria famiglia, l’ingresso fra gli adulti. È duro apprendere la propria parte nel mondo”. “Ho sempre adorato questo libro e questo folgorante inizio di un genio come Paul Nizan nel suo Aden Arabie. – ha affermato Cameron - Ma tutto si ferma qui. Nel libro di Nizan siamo negli anni ’30 e il suo protago-

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nista è un personaggio emblematico, ribelle in tutti i sensi, in particolare per motivi politici, aspetto che non riguarda il mio James. Però da scrittore leggo molto e quindi volevo che anche James avesse sempre un libro in mano e così lo vediamo con i tomi di Anthony Trollope e affermare che il prossimo a cui si dedicherà sarà À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. In questo ultimo caso ho aggiunto un evento biografico. Quando ero al liceo e dissi ad un mio amico che volevo leggere tutto Proust lui mi ha detto: “Non lo fare. Non prima di avere vissuto un grande amore con tanto di delusione e tradimento”. Aveva ragione e l’ho inserito in Un giorno questo dolore ti sarà utile”.


schede film Chi parla male, pensa male Nel romanzo di Cameron sono tanti gli argomenti che emergono a sostegno della personalità di James che, come abbiamo, detto non vuole omologarsi con gli altri, ed è difficile cercare di rimanere se stessi quando tutti cercano di convincerti che sei tu ‘il problema’, il ‘disadattato’. Così l’idea dei genitori di James di mandarlo in terapia diventa l’occasione per una lieve e ironica critica all’analisi a causa dell’attenzione maniacale del ragazzo nei confronti del linguaggio. Sveck è ossessionato da chi sbaglia i congiuntivi e si esprime in maniera inappropriata. Oltre ad un lontano accenno alla tragedia dell’11 settembre 2011 che, forse, inconsciamente, ha influito sul lato malinconico del ragazzo. Agli occhi degli altri, James è uno strano, solo perchè i suoi compagni di scuola non gli piacciono, affermando che non sanno parlare di nulla, sono noiosi e quando si trovano insieme “sembrano contenti di scoreggiare e farsi canne tutti insieme, per nulla infastiditi dal fatto di non avere mai un momento per sé”. James è un ragazzo che, invece, nelle persone sa cogliere le sfumature e sa apprezzare i piccoli gesti: “Lo strano è che io sono un asociale, ma quando entro in contatto con uno sconosciuto - anche se si tratta solo di un sorriso o di un cenno con la mano (...) - mi sembra che dopo non possiamo andarcene ognuno per la sua strada come se niente fosse”. Insomma quello che cerca e non trova è un vero rapporto non quello che ostentano i gruppi con cui è troppo spesso a contatto. Contatto che riesce ad avere solo con la nonna materna Nanette (nel film di Faenza interpretata da una grandissima Ellen Burstyn), non per niente anche lei ritenuta una persona eccentrica e bizzarra sulla quale non si può fare affidamento dal resto della famiglia.

L’ascolto Per quanto riguarda il linguaggio James pensa che sia difficile comunicare, e come dargli torto quando dice: “I pensieri sono più veri quando vengono pensati, esprimerli li distorce, li diluisce, la cosa migliore è che restino nell’hangar buio della mente, nel suo clima controllato, perchè l’aria e la luce possono alterarli come una pellicola esposta accidentalmente”. Perché la capacità che manca a chi spesso ci circonda è l’ascolto e senza ascolto non esiste il dialogo, quello vero non quello che mette in campo subito i nostri pregiudizi e il nostro modo di vedere la realtà. Come detto, questa capacità il ragazzo, la trova in sua nonna.

Osservatori e spettatori Sia James che Holden sono assolutamente attraenti, delicati nei lineamenti, di acciaio come carattere. In entrambi vi è un aspetto non comune negli esseri umani. Sono due diciassettenni che osservano. Osservano la propria vita e come si relazionano con gli altri. Essendo l’esistenza basata sui rapporti questo li porta a non conformarsi con quello che genitori, scuola, società, amici ecc... hanno già programmato per loro. Non è quello che sentono e vogliono, e per questo motivo vengono classificati come degli asociali. Ma sono loro ad essere disadattati o è la maggioranza degli esseri umani ad ac-

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cettare di vedere scorrere – come spettatori – la propria vita davanti ai loro occhi senza chiedersi mai se è questo quello che vogliono o di cui hanno realmente bisogno? E’ proprio questo il punto di contatto tra queste due singolari personaggi, tutt’altro che facili al primo impatto ed amabili e affascinanti agli occhi di chi ha la sensibilità di capire o che prova la stessa urgente necessità. Ricordiamo, infine, che il libro precedente di Peter Cameron, Quella sera dorata, è stato adattato per il grande schermo in un bellissimo film diretto da James Ivory.


IL “DOLORE UTILE” DEI GIOVANI HOLDEN CONTEMPORANEI A colloquio con il regista Roberto Faenza James ama parlare poco, preferisce leggere e trascorrere molto tempo con la nonna. Per questo suscita preoccupazione nei suoi genitori, quasi fosse un disadattato… James vorrebbe vivere in un mondo diametralmente all’opposto dell’attuale, dominato dal conformismo e dall’arrivismo. Non vuole speculare sul cuore della gente, arricchirsi a spese degli altri, né diventare famoso. Preferirebbe vivere di poco, magari in campagna, magari facendo il calzolaio o il falegname. Non ha certezze, ma è convinto che è venuto il momento di inventare un futuro diverso. Gli adulti intorno a lui non lo capiscono, per questo lo ritengono un “disadattato”. In realtà è la loro presunta normalità a risultare il più delle volte incomprensibile. Nel film interagiscono tre generazioni: figli, genitori, nonni. Quella dei genitori appare la “categoria” più maldestra, adulti magari brillanti nei loro ambiti professionali, ma sempre più disorientati a livello esistenziale. La nonna, interpretata dal premio Oscar Ellen Burstyn, rapppresenta una saggezza di fondo, offuscata nei figli diventati genitori. James si sente compreso solo da lei che lo arricchisce attraverso il legame con le generazioni precedenti e la memoria, un valore fortemente in disuso che è invece fondamentale, specie per i giovani. James è uno dei tanti ragazzi d’oggi, spesso più intelligenti e sensibili di quel che immaginiamo. Insegno alla Sapienza, ho con i giovani un rapporto quotidiano. Penso che a volte dovrebbero essere loro a salire in cattedra e noi adulti a tornare sui banchi. James è stato definito una sorta di nuovo e più attuale “giovane Holden”. Ho provato per anni a portare sullo schermo il romanzo di Salinger, un’impresa impossibile: lo scrittore non ha mai voluto cedere i diritti, convinto che non si può fare un film da un libro scritto in prima persona. Cosa a mio avviso per nulla vera: ci sono dei film bellissimi raccontati in prima persona, vedi ad esempio Sunset Boulevard. Quando mi sono imbattuto nel romanzo di Cameron, non ho avuto esitazioni. Il libro si apre e si chiude con una “citazione” al Giovane Holden. Racconta lo stesso percorso di formazione di un adolescente a disagio rispetto alla cultura

dominante. Senza dimenticare la leggerezza e l’ironia con le quali vengono descritte le peripezie del giovane protagonista. James vive a New York, la sua figura è comunque vicina alla realtà degli adolescenti italiani ed europei? Credo che il personaggio di James abbia una valenza che supera i confini delle nazioni. Gli adolescenti di oggi rappresentano una sorta di stato dell’anima rispetto alle contraddizioni dell’odierna civiltà globale. Sempre che di civiltà si possa ancora parlare, considerando che, a dispetto degli incredibili progressi della tecnologia e della scienza, sembra di essere giunti sull’orlo di un baratro. James è di fatto un antesignano degli “indignati”, impegnati a costruire un mondo diverso e migliore. I moti di ribellione dei ragazzi sono voci da ascoltare, mentre il mondo adulto tende a condannare tutto ciò che non gli somiglia. James non viene compreso, ma ha molto da insegnare. a cura di Antonella Montesi Responsabile Progetto Scuole antonella.montesi@yahoo.it

Numero verde per le proiezioni scolastiche

800.960.154 •

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schede film

Salvate il cavallo Joey Durante la Prima Guerra Mondiale, Joey, il cavallo del giovane Albert, viene venduto all’esercito inglese contro la volontà del ragazzo. Non potendo sopportare l’idea di non rivedere mai più l’animale, con il quale ha costruito un rapporto straordinario, Albert decide di andarlo a cercare nel pieno del conflitto, arruolandosi e partendo per il fronte.

A rendere “War horse” uno dei film più attesi della stagione, concorrono svariati fattori oltre a quello tutt’altro che marginale della regia di Steven Spielberg. Al centro della storia l’amicizia tra un giovane adolescente e il suo cavallo; un’amicizia che supererà le avversità e le crudeltà della guerra. Una storia dai contenuti forti, che mette in gioco valori come l’amicizia,

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il coraggio, la lealtà, e che difficilmente lascerà indifferenti. La guerra che fa da sfondo alla vicenda e mette in pericolo lo straordinario legame tra il giovane ragazzo e il suo cavallo, è mostrata in tutta la sua crudeltà (seppur senza fare ricorso a scene eccessivamente violente e spargimenti di sangue). Viene evidenziato l’ultimo utilizzo dei cavalli come strumento di battaglia,

nella prima guerra mondiale che vede l’entrata in scena dei carri armati. Ma non è un altro Salvate il soldato Ryan, bensì una storia incentrata sui legami affettivi, adatta alle famiglie - ha commentato Spielberg. Se la guerra è per eccellenza sinonimo di divisione, separazione, distruzione, ci sono valori e sentimenti, tuttavia, che superano in grandezza la più distruttiva delle armi.

zampe e una macchia sul muso che ricorda la forma di una croce. Con il passare del tempo, il rapporto tra il ragazzo e il cavallo cresce fino a diventare un legame indissolubile, che si rivelerà più forte di qualsiasi distanza e ostacolo. Insieme, riescono a dissodare molti ettari di terreno affinché il padre possa pagare i numerosi debiti che ha contratto con Lyons, un Lord del paese. Tuttavia, una fortissima pioggia distrugge completamente i campi coltivati e rende vani i loro sforzi. Il padre di Albert a questo punto, non sapendo come fare per pagare il suo creditore, decide di vendere il cavallo all’esercito inglese, in procinto di scendere in campo nella prima guerra mondiale. Albert non può fare niente per opporsi. Il nuovo proprietario di

Joey è il capitano Nicholls, un soldato dal volto sincero e dotato di grande umanità: promette al giovane ragazzo che avrà cura dell’animale e, se sarà possibile, glielo restituirà. Inizia così la storia di un viaggio difficile e pericoloso, durante il quale Joey rivela tutta la sua grandezza e tocca profondamente le vite di coloro che incontra. E’ un cavallo forte, coraggioso e dotato di spirito d’iniziativa, che non ha perso la speranza di ritrovare il suo primo, vero padrone. Albert intanto, animato dall’indomabile desiderio di ricongiungersi con il suo cavallo, decide di arruolarsi e partire per la guerra. "Questo è un film d’amore, non di guerra. Una storia sull’amicizia, la devozione, la lealtà", parola di Spielberg.

LA TRAMA Tratto dal best seller di Michael Morpurgo, uno dei più illustri scrittori di romanzi per ragazzi con all’attivo più di cento libri, la storia ha inizio nel 1914, in un piccolo villaggio dell’Inghilterra del sud. Ted Narracot, un piccolo proprietario terriero, vive con la moglie Rose e il figlio Albert. Un giorno, partecipando ad un’asta in paese, acquista un cavallo per trenta sterline senza tenere conto delle proprie difficoltà economiche. Chi risulta entusiasta del cavallo fin dal primo momento è il piccolo Albert, che si prende l’impegno di addestrarlo: decide di chiamarlo Joey e si prende cura di lui quotidianamente. Joey è un cavallo molto forte dotato di una spiccata personalità, un purosangue caratterizzato da“calzini bianchi” sulle quattro

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Beatrice Campagna

War Horse (Usa, 2012) Regia di Steven Spielberg con Jeremy Irvine, Peter Mullan, Emily Watson, David Thewlis, Benedict Cumberbatch, Toby Kebbell 146’, Walt Disney, drammatico/guerra

USCITA 17 FEBBRAIO

IL CAST 6

CANDIDATO A PREMI OSCAR TRA CUI MIGLIOR FILM

SPIELBERG E LA GUERRA Tanti, e di varia natura, sono i temi che questo grande maestro del cinema ha trattato nelle sue pellicole; la guerra, da cornice o da protagonista, la troviamo in diverse occasioni. Il capolavoro del 1993, “Schindler’s list”, basato sulla vera storia di Oskar Schindler, affronta il tema dell’olocausto e ha come sfondo la seconda guerra mondiale. Questo periodo storico verrà trattato nuovamente dal regista in due brevi serie televisive (di grande successo negli USA) : “Band of Brothers” (2001), interpretata da Tom Hanks, e “The Pacific” (2010), incentrata sugli avvenimenti della guerra nel Pacifico. Ed ora, tredici anni dopo aver raccontato la seconda guerra mondiale in “Salvate il soldato Ryan” (1998), Steven Spielberg incontra la prima guerra mondiale, con una storia nella quale il conflitto è solo il drammatico background che avvolge le vite di personaggi estremamente positivi che, con la guerra, non averebbero voluto avere nulla a che fare. «A me interessava raccontare il mondo bellico prima della grande rivoluzione tecnologica, quando i cavalli erano i compagni di trincea dei soldati e portavano un sostegno reale alle truppe. Dopo i conflitti del ’15-’18 questi animali sono tornati a pascolare nei campi. Ed è forse lì che sarebbero dovuti sempre stare. In realtà non lo considero un film di guerra. Anzi, è decisamente un film anti-guerra, e che dà speranza». Il primo conflitto mondiale, reso

ancor più estenuante e atroce dall’utilizzo delle trincee, viene dunque raccontato attraverso gli occhi di un cavallo, che appare come un essere a sé stante, un simbolo di grande purezza capace di diffondere valori preziosi anche in condizioni estreme, laddove la speranza è assente. E’ proprio questo elemento, a detta dello stesso Spielberg, che lo ha spinto a realizzare il progetto: il fatto che sia un animale a portare un po’ di umanità nell’atrocità della guerra. E’ un fatto paradossale ma ricorrente tanto nella letteratura quanto nella cinematografia. Non di rado infatti, vengono attribuite agli animali, in virtù della loro forte sensibilità, quelle qualità comportamentali che possono mancare a tanti uomini: il coraggio, l’innocenza,

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Girato nei maestosi paesaggi del Devon, War Horse è il film più britannico di Spielberg. Anche nel cast, a cominciare dal giovane Jeremy Irvine che interpreta Albert, da Peter Mullan che interpreta suo padre e da Emily Watson nel ruolo di Rose, la madre; Tom Hiddleston è il capitano Nicholls, colui che compra il cavallo prima di entrare in guerra; David Thewlis, (il “professor Lupin” di “Harry Potter”) è Lyons, il creditore del padre di Albert; Niels Arestrup è un anziano signore francese, altro personaggio che incrocerà in maniera decisiva la vita dei due amici.

la fedeltà, la tenerezza e l’affetto incondizionato, il rispetto per la vita, l’amore puro privo di qualsiasi artificio o interesse. Il protagonista della nostra storia incarna queste qualità e, per usare le parole dello stesso Spielberg, "è in grado di connettere magicamente le persone". Persone che non hanno assolutamente nulla in comune, di nazionalità diversa, o che, addirittura, sono nemiche in battaglia, davanti a Joey trovano un punto d’incontro e la forza di mettere da parte le armi in nome di un bene superiore. Spielberg, che nella sua lunga e brillante carriera ha sempre mostrato una sensibilità particolare verso i grandi temi e i valori più profondi dell’essere umano, non ha voluto perdere neanche questa occasione per emozionare, commuovere e far riflettere.


schede film LA CAVALLERIA NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Con l’avvento della guerra moderna anche la cavalleria fu costretta ad ammodernarsi, mutando anche il suo concetto ed uso, arrivando in alcuni casi ad essere classificata non più come cavalleria ma come semplice fanteria a cavallo. Ovviamente l’equipaggiamento andò cambiando, le lance vennero sostituite dai fucili e le sciabole dalle baionette. Nel 1914 la cavalleria era ancora piuttosto usata dagli eserciti moderni, anche se con l’inizio della guerra di trincea vide il suo declino - ma non la sua scomparsa.

Nella prima guerra mondiale la cavalleria o la fanteria a cavallo venne usata prevalentemente sia per pattugliare o esplorare, che per essere dislocata rapidamente in supporto di truppe di fanteria, o (quando il terreno lo consentiva) come vera e propria cavalleria usata per caricare le postazioni di artiglieria o caricare le colonne nemiche o comunque tagliarne la ritirata. In ogni caso, di fronte al micidiale trinomio - trincea, filo spinato, mitragliatrici - l’utilizzo dei cavalli in battaglia divenne estremamente pericoloso. Nel corso della guerra sono passate alla storia alcune imprese compiute dalla cavalleria italiana. La prima, nell’agosto del 1916, per liberare Gorizia ed inseguire il nemico in rotta. All’azione parteciparono

sedici squadroni, tra cui l’intero reggimento “Udine”. Per l’occasione si rinnovarono le antiche ‘cariche’, anche se con difficoltà (e perdite) enormemente più grandi rispetto al passato. Ma l’impresa più eroica compiuta dalla cavalleria italiana è avvenuta nel 1917, a copertura e protezione delle forze che ripiegano sul Piave dopo la sconfitta di Caporetto. La protezione del ripiegamento è un compito durissimo, nel quale bisogna avere il coraggio di sacrificarsi mettendosi in mezzo tra la propria fanteria che ripiega e il nemico che avanza per annientarla. Un compito che necessita una ferrea autodisciplina che si imponga sull’istinto di conservazione da parte sia dei cavalieri che dei loro generosi destrieri.

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Claudio Lugi

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LE NUOVE ARMI DELLA GRANDE GUERRA La principale innovazione bellica fu introdotta dall’esercito inglese. Il 15 settembre 1916 gli inglesi durante la battaglia di Somme attaccarono le linee tedesche accompagnati da carri armati, i Mark. L’utilizzo dei mezzi corazzati scatenò panico nelle truppe del kaiser nonostante fossero ancora mezzi lenti e impacciati negli spostamenti. Il loro utilizzo non fu quello di aprire varchi nelle difese avversarie a cui far seguire le forze di terra,

come avvenne nella seconda guerra mondiale, ma furono impiegati come supporto alla fanteria. Tra centinaia di chilometri di trincee, l’utilizzo di armi nuove e tecnologicamente più evolute (come i carri armati, le mitragliatrici ed i gas asfissianti), la grande guerra, iniziata con l’idea che fosse un conflitto breve e di facile soluzione, si tramutò in una lunga mattanza che lasciò 10 milioni di morti dopo 4 anni di violenza e morte.

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schede film Un maestro del cinema come Martin Scorsese gira il suo primo film in 3D con una storia che è un grande omaggio alle origini del cinema, mescolando il passato e il futuro del cinema, con un fantasy che profuma di Oscar.

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CANDIDATO A PREMI OSCAR TRA CUI MIGLIOR FILM

Il passato ed il futuro del cinema si incontrano P

arigi, 1930. La vita non ha mai sorriso al dodicenne Hugo Cabret (Asa Butterfield). Dopo la morte del padre (Jude Law), rimasto ucciso nell’incendio sprigionatosi nel museo in cui lavorava, il ragazzino ha imparato a vivere nascosto all’interno della stazione ferroviaria, sostituendo in gran segreto lo zio – anch’egli nel frattempo deceduto nella riparazione del grande

orologio e tirando a campare grazie a dei piccoli furti. L’unica persona con cui Hugo divide i suoi segreti è la coetanea Isabelle (Chloë Moretz), con la quale scopre di avere molte cose in comune. Intanto per portare a termine la costruzione di un automa iniziata dal padre, ruba i pezzi di cui necessita da un negozio di giocattoli all’interno della stazione stessa, provocando la reazione del proprietario, un eccentrico signore, che risponde al nome di George Méliès (Ben Kingsley), che con le sue scoperte ha appena dato il via ad una grande avventura…

Sogni di celluloide Adattamento del romanzo grafico ‘La straordinaria i n v e n z io ne d i Hu go Cabret’ di Brian Selznick, il nuovo film di Martin Scorsese in 3D lascia meravigliati come se si scoprisse il cinema per la prima volta. “E’ stata un’avventura •

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eccitante, toccante, divertente, una sorta di festa del cinema” ha commentato Scorsese. La storia della settima arte fa parte del Dna del grande regista, e questo film, imperdibile per gli amanti del cinema di tutte le età, ne restituisce la spettacolare, emozionante avventura. Cast stellare che vede in primo piano il sorprendente Asa Butterfield affiancato dalla piccola diva in ascesa Chloe Moretz, Jude Law, Sacha Baron Cohen ed il bravissimo Ben Kingsley alle prese con l’importante ruolo di George Méliès, Scorsese realizza Hugo con lo stesso spirito di Méliès,


ricreando un entusiasmante mondo parigino, con la stessa stoffa di cui sono fatti ‘i sogni di celluloide’. Scorsese ricrea i primi tempi del cinema, q ua ndo M é l i è s, a l l ’ e p o c a u n ma go illusionista, scopre la magia del cinema, divertendosi a realizzare (con l’aiuto della moglie Jeanne (Helen McCrory), alcune meraviglie.

Scorsese e il 3D Accantonati momentaneamente thriller e serie tv, il regista, premiato proprio per questo film ai Golden Globes 2012, realizza il sogno che aveva di portare in sala la storia dell’orfano Hugo, affascinato dalla graphic novel di Brian Selznick. 135 ore di girato, 28 attori, 500 comparse, 94 musicisti, per 150 milioni di dollari di budget , sono i numeri della monumentale quanto appassionata dichiarazione d’amore in 3D di Martin Scorsese al mondo del cinema. “Ne è valsa la pena – ha dichiarato il produttore Graham King – questa tecnologia ha aggiunto spessore, bellezza e magia”. “Per me che vedo già il cinema come qualcosa di magico, infilarmi gli occhiali e vedere le immagini con la profondità con cui le vediamo nella realtà aggiunge qualcosa di straordinario – dice Scorsese - tutto è stato un po’ una sorpresa. Devi imparare a come allineare gli attori, a come usare il loro linguaggio del corpo, a sfruttare il nuovo senso di intimità”. “La fotografia di Hugo Cabret è la migliore mai vista in un film del genere”, ha dichiarato James Cameron. E proprio come è capitato a Cameron, convertito al 3D sulla strada di Avatar, anche Scorsese vede decisamente il futuro del cinema in questa tecnologia: “Dove andremo non lo so, ma ogni nuova tecnologia genera resistenze. Comunque, anche se entriamo in un nuovo mondo, quello che resta alla fine è ciò che racconti, la storia e i suoi personaggi”.

in un unico progetto che esplicita con totale poesia la PARTECIPA SUBITO potenza evocativa del Cinema AL GRANDE CONCORSO con la “C” maiuscola. “L’idea del libro - racconta E VINCI UN VIDEOPROIETTORE Selznick - mi è venuta dopo PER LA TUA SCUOLA! aver saputo della collezione di automi di Georges Méliès. La SCOPRI COME, SEGUENDO LE ISTRUZIONI storia si basa molto sul legame tra figlio e genitore, infarcita SUL SITO WWW.SVELAILMISTERO.IT di citazioni di Truffaut e di Jean Vigo. Quando ho saputo che Scorsese voleva farne un film, sono stato felice, è stato un momento incredibile”. Scorsese ha impartito dei ‘compiti a casa’: La gestazione di Hugo Cabret risale al la visione di pellicole come Scarpette rosse lontano 2007, quando Graham King acquistò o I sette samurai, Sanjuro e Sogni, alcuni i diritti della graphic novel insieme a Johnny lavori di George Mèliès e Vacanze Romane Depp. King aveva già lavorato con Scorsese per Chloe Moretz. per The Departed – il bene e il male, che “Scorsese è totalmente diverso da tutti gli portò un Oscar ad entrambi, e da subito altri - racconta il piccolo Asa Butterfield, - ti convinto dell’idea di proporre l’adattamento consente di mettere le tue idee in quello che cinematografico a Martin. A convincere fai. Alla fine, ho imparato che bisogna sempre definitivamente il regista, la figlia Francesca, impegnarsi fino in fondo, non mollare mai”. 12 anni, già fan della graphic novel e conquistata dalla sceneggiatura di John George Méliès Logan. Nonostante sia ambientato a Parigi, il “E’ un film per famiglie – precisa il regista film è stato girato in Inghilterra negli –, se i genitori lo vedranno da soli, poi ci studi Longcross nel Surrey e Pinewood nel vorranno tornare con i figli”. Buckinghamshire. Cast interamente inglese “E’ una storia – continua Scorsese – che eccezion fatta per la giovane Chloe Moretz attraverso gli occhi di un bambino celebra che ha comunque studiato a fondo per il genio di Méliès: mago, inventore di effetti modificare il suo accento. Come da tradizione speciali, inventore del cinema... non poteva per preparare i suoi attori adulti e piccini, lasciarmi indifferente”.

Dalla graphic novel al grande schermo L’autore del libro Brian Selznick, nonché rampollo di una delle più antiche famiglie di produttori del cinema hollywoodiano, ha dichiarato: “Dentro a questa storia c’è Dickens, Truffaut, Méliès ma anche Jules Verne e Jean Vigo”. Hugo Cabret è un’esperienza che fonde passato e presente •

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E’ una dichiarazione d’amore appassionata verso la settima arte quella di Scorsese, affascinato a tal punto dall’opera di Méliès da permettersi di rigirare anche alcune sequenze di suoi film muti come Le royaume des fèes. Figlio di scarpai, Maries Georges Jean Méliès è senza alcuna ombra di dubbio, il padre dell’arte cinematografica insieme ai Fratelli Lumière. Come prestigiatore e illusionista dirigeva il Teatro Robert-Houdin a Parigi, dove venivano messi in scena spettacoli di magia, intervallati da proiezioni di lanterna magica e dal kinetoscopio di Thomas Edison. La folgorazione per il cinema avvenne il 28 dicembre 1885 quando, assistendo alla prima rappresentazione dei Fratelli Lumière, intuì le potenzialità del nuovo mezzo nell’intrattenimento e nella

realizzazione di giochi di prestigio. I suoi primi film imitavano appunto lo stile dei fratelli, fino a trovarne uno proprio, nel quale vi trasferì i trucchi del suo mestiere, filmando rappresentazioni di spettacoli d’intrattenimento. Diresse più di 1500 film servendosi di tutti i trucchi possibili del tempo, sul palcoscenico, sulla pellicola, alterando la velocità delle riprese e intervenendo sul montaggio, per lui sinonimo di metamorfosi. E’ considerato il padre degli effetti speciali: a lui dobbiamo l’introduzione de Il mascherinocontromascherino (l’inquadratura viene divisa in due o più parti, impressionate in momenti diversi), dell’arresto della ripresa, per la sparizione, riapparizione di oggetti e personaggi ecc, dello scatto singolo (per muovere oggetti inanimati) e dello spostamento della cinepresa avanti e indietro (per ingrandire e rimpicciolire un soggetto). Il tutto era mischiato a numeri di varietà, scherzi e attrazioni di tipo teatrale (macchine sceniche, modellini, scorrevoli, effetti pirotecnici, ecc.). Méliès fece un ampio uso di queste tecniche per creare quelle che lui chiamava “fantasmagorie”. I suoi film non avevano la pretesa di narrare storie nel senso in cui intendiamo oggi: il suo scopo era fare spettacolo mostrando giochi di prestigio, magari assemblando più episodi autonomi. Il cinema era per lui il teatro dell’impossibile, dell’anarchia, della sovversione delle leggi della fisica. Nel 1913 purtroppo però la Star Film, sua compagnia cinematografica •

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andò in bancarotta a causa delle politiche commerciali: Méliès vendeva le copie dei suoi film una per una, ma non percepiva nessun diritto d’autore per le singole proiezioni, per cui fu costretto a impegnarsi economicamente per creare continuamente nuove pellicole, che però iniziarono ad essere ripetitive, e dunque non più di interesse per il mercato. Solo nel 1931 il suo lavoro trovò la fama che meritava grazie alla riscoperta dei surrealisti francesi. Il suo masterpiece è a tutt’oggi Il viaggio nella luna, recentemente restaurato e riproposto con la moderna colonna sonora degli Air.

Hugo Cabret (Hugo, 2011, Usa)

Regia di Martin Scorsese con Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Jude Law, Christopher Lee 127’, Fantasy, 01 Distribution, uscita 3 febbraio


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