progetto grafico rivis ta inte r na z i o n a le di g r a f i ca in t e rn ati o n al g r a p h ic d e sig n m a g a z ine
Anno 14 • n. 29 • Primavera 2016 • € 15,00 [Italy] • £ 17,50 [UK]
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Committenza Clients and Patrons
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Committenza Clients and Patrons a cura di / edited by CARLO VINTI • DAVIDE FORNARI con / with RICCARDO FALCINELLI
8
44
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Clienti e committenti
Il sostegno pubblico e privato alla grafica
L’importanza del curriculum
Le ragioni del numero
Clients and Patrons
Un’inchiesta sulle fondazioni
The Reasons Behind the Issue
Supporting Graphic Design
Carlo Vinti, Davide Fornari
A Survey on Foundations
18
46 Huib Haye van der Werf, Jo Frenken Jan van Eyck Academie 48 Stefano Faoro
Importance of the Curriculum Do Graphic Design Schools Prepare for the Relationship with Clients and Commissioning Parties? 98 Luciano Perondi isia, Urbino
Il committente competente The Competent Client
50 Marianne Burki The Swiss Arts Council Pro Helvetia
Giovanni Anceschi
54 Stefano Coletto Fondazione Bevilacqua La Masa
28
56 Krisis
107 YuJune Park, Juliette Cezzar Parsons School of Design, New York
58 Kido Hideyuki DNP Foundation for Cultural Promotion
110 Adrian Shaughnessy Royal College of Art, Londra
59 Mariko Takagi
112 Laurent Ungerer EnsAD, Parigi
Il cliente immaginato The Imagined Client Gianluca Camillini, Jonathan Pierini
38 Il design delle condizioni Designing the Conditions Antonio Iadarola
52 Julien Mercier
62 Grafici e committenti Un ritratto allo specchio 1/2
Graphic Designers and Clients Portraits in the Mirror 1/2
67 Project Projects
104 Steven Heller, Lita Talarico School of Visual Arts, New York
114 I poster della Progress Film The Progress Film Posters Giorgio Ruggeri
122
77 R2Design
Note sullo stato dei concorsi pubblici
80
Notes on the Situation of Public Competitions
74 NORM
Committenti e grafici
Riflessioni sul perché non funzionano (per arrabbiarsi un po’ meno)
Un ritratto allo specchio 2/2
Reflections on Why They Don’t Work (and a Way of Keeping Calm)
Clients and Graphic Designers
Emanuela Bonini Lessing
Portraits in the Mirror 2/2 82 Alberto Aspesi 84 Marco Benvegnù Arper 87 Giovanni De Mauro Internazionale 90 Evelina Bazzo Umbrella 93 Christina Reble Museum für Gestaltung
pg 29 Committenza Clients and Patrons
101 Armand Mevis Werkplaats Typografie, Arnhem
64 Leonardo Sonnoli 70 Mark Porter
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Le scuole di grafica preparano al rapporto con i committenti?
Fuori tema Off Topic
130 La teoria del quotidiano di De Certeau e la sua circolazione De Certeau’s Theory of Everyday Life and its Circulation Francesca Cozzolino
134
154 Hanno collaborato a questo numero Contributors in This Issue
156 Abbonamenti e arretrati Subscriptions and Back Issues
Fotografia e scrittura Photography and Writing Luca Capuano, Veronica Maccari, Luciano Perondi
144 Essere altrimenti Being Otherwise Sheila Levrant de Bretteville, Silvia Sfligiotti
La foto di copertina On the Cover Questo numero di «Progetto grafico» dedicato al tema dei committenti ha faticato a trovare un’immagine di copertina che ritraesse al contempo progettista, committente e progetto. Abbiamo scelto di dedicare la copertina di questo numero al complesso progetto grafico dello studio 2 × 4 (New York, Pechino, Madrid) per Fondazione Prada, che ha inaugurato la nuova sede di Milano il 9 maggio 2015. Un progetto curato nei minimi dettagli, in cui i tombini diventano l’occasione per introdurre una mappa infografica della sede. Fondazione Prada è uno dei pochi grandi committenti italiani per l’arte e l’architettura, e riserva un’attenzione particolare al panorama grafico internazionale. It was not easy to find a cover picture for this issue of Progetto grafico devoted to clients and patrons that would portray designer, client and project at the same time. We decided in the end on the complex graphic design project by 2 × 4 (New York, Beijing, Madrid) for the Fondazione Prada, whose new premises opened in Milan on 9 May 2015. A project studied in detail, where the customized manholes become an opportunity to introduce an information graphics map of the site. Fondazione Prada is one of the few large clients for art and architecture in Italy and it pays particular attention to the international graphics scene. Foto: Fondazione Prada, biglietteria e tombino con la mappa del sito. Image courtesy of 2 × 4. Photo: Fondazione Prada digital admissions desk and custom site map manhole. Image courtesy of 2 × 4.
sitografia webliography → www.pg-aiap.it/29
http://2x4.org/ 7
Scala 1:1,75 Scale 1:1.75
8
pg 29 Pubblicare Publishing
In un momento di generale difficoltà
At a time of general economic difficulty
economica e di cambiamenti continui
and continuous changes in the sphere
nell’area della comunicazione visiva,
of visual communication,
«Progetto grafico» rimette al centro
Progetto grafico is focusing its discussion
della discussione il tema della committenza
on the question of clients and their
e della sua relazione con i progettisti.
relationship with designers.
[ Clients and Patrons]
Fuck committees (I believe in lunatics), doppia pagina da Tibor Kalman: Perverse Optimist, a cura di Peter Hall e Michael Bierut, Princeton Architectural Press, New York, 1998.
Fuck committees (I believe in lunatics), spread from Tibor Kalman: Perverse Optimist, edited by Peter Hall and Michael Bierut (New York: Princeton Architectural Press, 1998).
The Reasons Behind the Issue
Clienti e committenti Le ragioni del numero ↳ Carlo Vinti • Davide Fornari
Storicamente, i clienti industriali, commerciali o istituzionali non hanno soltanto fornito ai grafici opportunità di lavoro e sostegno economico. Hanno anche influito sulle loro scelte progettuali e giocato un ruolo importante nel costruire l’immagine che i designer hanno di sé come professionisti. Eppure, il committente è un protagonista quasi sempre dimenticato nel discorso sulla grafica. Nei resoconti storici è una voce spesso muta, persino più che nella storia dell’arte, da tempo attenta alla relazione complessa fra artisti e committenti e a quegli aspetti dell’opera chiaramente riferibili alla committenza. È significativo, per altro, che oggi nelle arti visive si riproponga con forza la questione, con un approccio inclusivo, che coinvolge i committenti nella creazione, come postula il programma dei Nouveaux commanditaires.1 Nel dibattito critico recente sul design grafico il tema della committenza è rimasto per lo più nell’ombra, sebbene i clienti continuino a essere attori fondamentali del processo di progettazione e produzione di artefatti comunicativi, così come lo sono le diverse figure di mediazione fra designer e imprese o istituzioni.
Historically, industrial, commercial or institutional clients not only provided graphic designers with employment opportunities and economic support but they also influenced their design choices, and played an important role in building the image that designers themselves have as professionals. Yet, the client is almost always forgotten when we talk about graphic design. In historical accounts their voice is often unheard, even more than in the history of art, long attentive to the complex relationship between artists and patrons and the aspects of the work clearly related to the client. Moreover, it is significant that today the issue comes up again with force in the visual arts, this time with an inclusive approach involving clients in the creation, as recommended by the Nouveaux commanditaires protocol.1 In the recent critical debate on graphic design the issue of commissioning has been left largely in the background, despite the fact that clients continue to be key players in the process of designing and producing communication artifacts, as are the various figures that mediate between designers and businesses or institutions. 9
Abbiamo chiesto a Giovanni Anceschi di ripubblicare
We asked Giovanni Anceschi’s permission to reprint
un testo cruciale del 2005, Il committente competente,
a decisive essay he wrote in 2005, The competent client,
frutto della sua esperienza nell’unità di ricerca Graphic
fruit of his experience at the Graphic and Multimodal
and Multimodal Systems del Politecnico di Milano,
Systems research unit at the Politecnico di Milano, and asked
e di ritornare sulle tesi di allora.
him to take a look back at the theories he held at the time.
Il committente competente ↳ Giovanni Anceschi
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pg 29 Committenza Clients and Patrons
[ The Competent Client]
The competent client1
C’è attualmente un poco di ubriacatura identitaria – moltissimo nella pratica professionale ma anche nel design discourse della comunicazione – come se tutto fosse solo questione di apparenza. Andrebbe detto però che, più della costruzione di un puro e semplice involucro pieno di promesse o di una pura e semplice carrozzeria piena di seduzioni, si tratta invece di porgere qualcosa che si ha concretamente da offrire. L’identità, cioè il chi?, è – insomma – l’intreccio del come? con il che cosa? Il ritratto, il simulacro identitario che noi costruiamo via via nella nostra mente di utenti (di visitatori, di turisti ecc.), viene prodotto dall’interagire fra chi effettivamente è l’entità in questione e il prodotto che offre o il servizio che presta. E nel caso di un museo o di una biblioteca si tratta della qualità del giacimento di manufatti, ma si tratta soprattutto dell’interfaccia che mette tutti noi in grado di accedervi e di goderne.
There is at the moment a little drunkenness of identity – a great deal in professional practice but also in the design discourse of communication – as if everything was just a matter of appearance. It should be said however that rather than the construction of a pure and simple outer wrapping full of promise or a bodywork full of temptations, it is instead a matter of proffering something that one actually has to offer. The identity, or rather the who?, is – in short – the intertwinement of the how? with the what? The portrait, the simulacrum of identity that we build gradually in our, the users’, minds (as visitors, tourists etc.), is produced from the interaction between who actually is the entity in question and the product or service offered. And in the case of a museum or a library it is the quality of the manufacture therein, but above all it is the interface that puts all of us in a position to access and enjoy it.
Copertine della rivista «Urbanistica», inu edizioni, numeri 102, 105, 106, 107, Roma, 1994-1996. Covers from Urbanistica, inu edizioni, issues 102, 105, 106, 107, Rome, 1994-1996.
Scala 1:2,73 Scale 1:2.73
Il committente competente1
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pg 29 Committenza Clients and Patrons
Oggi, la figura del committente assume diverse sfaccettature
The figure of the client takes on different facets depending
a seconda dei contesti e delle fasi di attività dei graphic
on the context and phases of work of the graphic designer:
designer: a volte assente, a volte simulato, a volte sostituito,
sometimes absent, sometimes simulated, sometimes
il cliente immaginato è pur sempre presente.
replaced, the imagined client is however always present.
Il cliente immaginato
[ The Imagined Client]
↳ Gianluca Camillini • Jonathan Pierini
In questo articolo introduciamo la figura del cliente immaginato come categoria speculativa con cui scandagliare diversi ambiti del progetto grafico al fine di verificare come la monolitica e tradizionalmente intesa relazione progettistacliente assuma oggi nuove configurazioni. Il cliente immaginato è un personaggio cui dare un’identità. È il cliente come immaginiamo che sia, il cliente che vorremmo ma anche un cliente che non si può e vuole più definire cliente: il pubblico, il partner in crime o in need. Il cliente immaginato è ovunque, dove un progettista avverte, per le ragioni più diverse, che vanno dal trovare commissioni al colmare un vuoto che percepisce, la necessità di superare una situazione data. Nelle righe che seguono, osserveremo alcune delle identità che il cliente immaginato può assumere, con particolare riferimento agli ambiti della didattica, dei progetti autocommissionati e dell’autopromozione. Paul Bailey, Looking for/through/ with/amongst/beyond/around Content, a cura di Suze May Sho, Probe 22, 2013. Paul Bailey, Looking for/through/ with/amongst/beyond/around Content, edited by Suze May Sho, Probe 22, 2013.
Il cliente immaginato è ovviamente solo una delle componenti di un percorso progettuale che deve tener conto di un tema, i contenuti specifici del progetto, e dei suoi fruitori o utenti. Il cliente immaginato, dall’identità mutevole, con il suo modo di comportarsi, mette facilmente in discussione tutti gli altri termini di tale relazione progettuale.
In this article we introduce the figure of the imagined client as a way of examining various areas of graphic design and seeing how the monolithic and traditionally accepted designerclient relationship has today taken on a new form. The imagined client is a character to whom we can give an identity. It is the client as we imagine them, the client we want but also a client that you cannot and no longer want to define a client: the public, your partner in crime or in need. The imagined client is everywhere a designer feels the need to overcome a given situation for a wide range of different reasons ranging from finding work to filling a perceived gap. We will take a look at some of the identities the imagined client might assume, with special reference to the world of teaching, self-commissioned designs and self-promotion. Naturally enough, the imagined client is just part of a project that has to take into account a subject, the specific contents of the project, and its users. With their shifting identity and their behaviour, the imagined client is likely to call into question all the other conditions of the project.
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Il design è in una fase di continui e rapidi cambiamenti.
Design is in a phase of continuous and rapid change.
I designer sono spesso chiamati a progettare le condizioni
Designers are often asked to construct the way content
della comunicazione dei contenuti, più che a dar forma
is conveyed rather than shape the contents.
ai contenuti. Come influisce tutto questo sui rapporti
How does this affect the relationship between
tra grafici e committenti?
graphic artists and clients?
Il design delle condizioni ↳ Antonio Iadarola
[ Designing
the Conditions]
Per i designer millennial – nati tra il 1980 e il 2000 – il committente, inteso come manager aziendale che ingaggia il designer autore, è una figura carica delle contraddizioni di un’industria ormai satura di sperimentazioni, rivoluzioni culturali, utopie, eccessi. Oggi sistemi di comunicazione, mobilità e apertura dei saperi aumentano le interazioni umane all’interno delle aziende e con la comunità. Ad esempio, manager interagiscono col pubblico su Twitter e Corporation acquistano startup risultanti da innovazione bottom-up. Questa co-produzione di significati e di valori sfuma le linee distintive tra committente, designer e utente. Le organizzazioni committenti, sempre più simili a network, sono alla ricerca di processi responsivi che mantengano rilevanti i processi di lavoro rispetto ai segnali deboli delle comunità creative,1 abilitandole ad avanzare proposte nuove all’interno delle proprie organizzazioni. 38
pg 29 Committenza Clients and Patrons
For the millennial designer – born between 1980 and 2000 – the client in the sense of a corporate manager who hires the author designer is a figure full of the contradictions of an industry overladen with experimentation, cultural revolutions, utopias and excesses. Today communication systems, mobility and free exchange of knowledge increase human interaction within companies and with the community. For instance, managers interact with the public on Twitter and Corporations buy start-ups originating from bottom-up innovation. This co-production of meanings and values blurs the lines between client, designer and user. Increasingly becoming like networks, the commissioning organizations are looking for responsive processes that keep work processes relevant to the weak signals of the creative communities,1 enabling them to advance new proposals within their organizations.
«Rispondere ai cambiamenti è più importante che seguire il piano» (Manifesto del Movimento Agile, www.agilemanifesto.org).2
“Responding to changes is more important that following the plan” (Manifesto del Movimento Agile, www.agilemanifesto.org).2
Il designer è ora al centro della relazione forze produttive-comunità, in un ecosistema di tecnologie abilitanti e saperi che danno accesso alla produzione di artefatti e contenuti complessi anche ai non progettisti (design diffuso), stimolando la formazione di una cultura del «Design, when everybody designs»3 in cui l’atto progettuale, anche se finalizzato al profitto, è di fatto sempre un atto sociale poiché sociale è il contesto di indagine e di sviluppo del progetto, se non anche le finalità.4 La committenza privata sta trasformando le proprie pratiche da profit-oriented a community-oriented, e ricerca agenti di cambiamento all’esterno.
Designers are now the focus of the productive forces-community relationship, in an ecosystem of enabling technologies and knowledge that give access to the production of artefacts and complex content even to non-designers (diffuse design), stimulating the formation of a culture of “Design, when everybody designs,”3 where the design act, even if its aim is for profit, is in fact always a social one since the context of investigation and development of the project is social, if not the aims as well.4 Private commission is transforming its practices from profit-oriented to community-oriented, and is searching outside for agents for this change.
Nell’ultimo ventennio molti designer hanno tentato di diventare agenti del cambiamento in maniera indipendente, attraverso avventure imprenditoriali o di attivismo, fallendo però spesso nel produrre modelli ripetibili o scalabili perché esterni al mercato.
Idea Couture, esempio di customer journey map. Supporti grafici sono utilizzati nella progettazione dell’esperienza dell’utente di prodotti e servizi, sia nei momenti di mappatura partecipata che in quelli di visualizzazione dei risultati in template strutturati come la customer journey map. © Idea Couture Idea Couture, an example of customer journey map. Graphics supports are used to design the user’s experience of products and services, both during participatory mapping and when the results are displayed in structured templates such as the customer journey map. © Idea Couture
In the last twenty years many design practitioners have tried to become agents of change independently, through entrepreneurial adventures or activism, often failing though to produce repeatable or scalable patterns because they are outside the market. 39
In tempi recenti, sempre più istituzioni
More and more institutions are supporting
supportano il lavoro dei grafici. Abbiamo chiesto
the work of graphic designers. We asked four
a quattro fondazioni di raccontarci perché,
foundations to tell us why. We also asked
aggiungendo il punto di vista di designer
for feedback from designers and researchers
e ricercatori che hanno ricevuto il loro sostegno.
who have received their support.
Il sostegno pubblico e privato alla grafica Un’inchiesta sulle fondazioni [ Supporting Graphic Design] A Survey on Foundations Residenze, borse di studio, sussidi hanno sempre fatto parte del sostegno dato dalle fondazioni ad artisti e ricercatori. Più di recente, istituzioni pubbliche e private hanno cominciato a fornire opportunità di sperimentazione e ricerca anche a chi lavora come graphic designer. Da un lato, tale azione si può interpretare come un’alternativa contemporanea alle forme di design patronage di cui in passato si sono resi protagonisti industriali e dirigenti pubblici illuminati. Dall’altro, il fenomeno della grafica sovvenzionata dalle fondazioni rispecchia nuovi modi di concepire la pratica, sulla linea di confine oggi sempre più permeabile fra design e arte. Con tali questioni in mente, abbiamo chiesto ai responsabili di fondazioni come la Bevilacqua La Masa di Venezia, la dnp Foundation for Cultural Promotion di Tokyo, Pro Helvetia di Zurigo e la Van Eyck Academie di Maastricht, di raccontarci perché e come sostengono il progetto grafico. Abbiamo interpellato poi alcuni dei grafici che hanno ottenuto borse, residenze e altri tipi di facilitazioni, per avere il loro parere sull’esperienza compiuta. Il lavoro per le fondazioni, pur non essendo privo di vincoli e scadenze, garantisce maggiore autonomia ai designer e rende relativamente più facile adottare approcci critici. Ma ottenere una borsa da una fondazione significa per i grafici anche crearsi una rete di contatti nel mercato specifico della produzione culturale e accreditarsi nell’ambiente dell’arte contemporanea.
Residencies, scholarships and grants have always been part of the support given by foundations to artists and researchers. More recently, public and private institutions have begun to provide opportunities for experimentation and research to graphic designers. On the one hand such action may be viewed as a contemporary alternative to the forms of design patronage which in the past were carried out by enlightened industrialists and public administrators. On the other, the phenomenon of design practitioners subsidized by foundations reflects new ways of thinking about a practice that today lies on the increasingly permeable border between design and art. With these issues in mind, we asked the heads of foundations such as the Bevilacqua La Masa of Venice, the dnp Foundation for Cultural Promotion of Tokyo, the Swiss Arts Council Pro Helvetia of Zurich and the Van Eyck Academy in Maastricht to tell us why and how they support graphic design projects. We also asked some of the graphic designers who have been awarded scholarships, residencies and other facilitations for their opinion on the experience. Working for a foundation, although not without constraints and deadlines, ensures greater autonomy to designers and makes it relatively easy to adopt critical approaches. Receiving a grant also means creating a network of contacts in the specific market of cultural production and accreditation in the contemporary art world.
Le domande rivolte alle fondazioni
Questions for the foundations
d1 La fondazione è di diritto pubblico o privato?
Q1 Is the foundation public or private?
d2 Quanto spesso vi capita di sostenere come fondazione dei graphic designer? d3 Tale sostegno ha un carattere programmatico? Fa parte in qualche modo della vostra mission? d4 Se sì, come è nata questa scelta all’interno della vostra organizzazione? d5 Vi capita anche di utilizzare il lavoro e la consulenza professionale degli stessi designer per la vostra comunicazione? Le domande rivolte a chi è stato sostenuto da una fondazione d6 Qual è stata la tua esperienza di grafico finanziato da una fondazione? d7 In che modo è diverso il lavoro che hai svolto con la fondazione rispetto alla tua routine lavorativa e agli incarichi professionali commissionati? d8 Avverti condizionamenti, vincoli o il peso di aspettative specifiche da parte dei tuoi interlocutori all’interno della fondazione? d9 Pensi che i progetti più indipendenti che hai realizzato con l’aiuto della fondazione ti abbiano aiutato ad acquisire nuovi clienti?
Q2 How often do you finance graphic designers? Q3 Is this part of the mission of the foundation? Q4 If so, what triggered this decision? Q5 Do you also hire the same designers for work or advice on your visual communication? Questions for the graphic designers who have been supported by a foundation Q6 How was your experience as a graphic designer financed by a foundation? Q7 How different is your other professional/commissioned work from work you have done on a foundation grant? Q8 Did you feel conditioned or constrained? Did the foundation have any particular expectations you felt you had to meet? Q9 Has the more independent work you have done with the assistance of the foundation helped you to get more clients?
Odiati o santificati, i committenti rappresentano
Hated or sanctified, the clients are the
la controparte del progetto grafico di cui
counterparts of graphic design, although
si tende a parlare poco per motivi deontologici.
we tend to talk little about them because
Abbiamo chiesto a cinque studi di grafica
of work ethics. We asked five graphics studios
di raccontarci il loro rapporto, reale o ideale,
to tell us about their relationship, real
con i committenti.
or ideal, with their clients.
Grafici e committenti
[ Graphic Designers and Clients] Portraits in the Mirror 1/2
Un ritratto allo specchio 1/2 I designer non sempre parlano volentieri dei propri clienti. Nella nostra inchiesta, allora, per prima cosa abbiamo provato a interpellare studi e progettisti di provenienza e approcci assai diversi: NORM di Zurigo, Project Projects di New York, R2Design di Porto, Leonardo Sonnoli dello studio Tassinari/Vetta con sedi a Trieste e Rimini, e Mark Porter, art director di «Internazionale».
Since designers do not always like to talk about their clients the first thing we did was to try and consult studios and designers of very different backgrounds and approaches: NORM of Zurich, Project Projects in New York, R2Design of Porto, Leonardo Sonnoli at studio Tassinari/Vetta based in Trieste and Rimini, and Mark Porter, art director of Internazionale.
Molti di loro non hanno smentito la tradizionale dicotomia fra i «cattivi» clienti – quelli che inibiscono innovazione e qualità – e i «buoni clienti», con cui è facile instaurare un rapporto di fiducia, rispetto e autentica collaborazione. Ma il cliente migliore è davvero quello che si intende di grafica? Su questo non esiste pieno accordo: c’è chi pensa che un committente debba almeno credere nel graphic design, se non saperlo valutare, conoscere le scuole e gli autori migliori; chi invece ritiene sufficiente che il cliente sappia fare il proprio mestiere: avere le idee chiare.
Many of them did not contradict the traditional dichotomy between “bad” clients – who discourage innovation and quality – and “good clients,” with whom it is easy to establish a relationship of trust, respect and genuine collaboration. But is the best client really one who knows about graphics? On this there was no complete agreement: there are those who feel a client should at least believe in graphic design, even if they don’t know how to judge it, be informed about the schools and the best practitioners; others think it is sufficient for the client to know how to do their job: to have clear ideas.
Il vecchio motivo dell’educazione della committenza per alcuni è ancora attualissimo, per altri il processo di apprendimento dovrebbe essere reciproco e in grado di avvicinare culturalmente le due controparti. Il nodo più importante continua a essere, in ogni caso, la costruzione di un terreno comune che possa consentire un confronto fruttuoso al di là dei possibili contrasti, altro argomento su cui abbiamo chiesto il parere dei progettisti.
The old idea of educating the client is still valid for some, while for others the process of learning should be reciprocal and able to bring the two counterparts together culturally. The most important point is still that of building a common ground that will allow fruitful interaction in spite of any eventual disagreements, another question we put to the designers. Finally, an issue that particularly interested us: graphic design without cli-
Le domande rivolte ai grafici
Questions for the designers
D1 Come descriveresti la tua relazione con un committente ideale?
Q1 How would you describe your relationship with an ideal client?
D2 Come definisci invece la collaborazione con i tuoi clienti reali (servizio, consulenza, scambio, condivisione…)? D3 Ha ancora senso parlare di educazione del committente? D4 Una buona relazione con i committenti può essere anche conflittuale? D5 Quanto sono importanti per il tuo studio i progetti autoiniziati? Sono il segno di una crisi nel rapporto tra grafici e committenti o uno strumento per acquisire nuovi clienti?
Infine, una questione che ci interessava particolarmente: la grafica senza committenti. Dopo anni all’insegna della ricerca di indipendenza, in cui i grafici hanno rivendicato per sé i ruoli di autore, produttore o curatore, sempre più spesso oggi i progetti autoiniziati o autoprodotti non sono visti in termini di alternativa ai lavori professionali, ma in un’ottica complementare: una possibilità di dedicarsi alla ricerca ed esplorare strade nuove che inevitabilmente finisce per alimentare le opportunità di lavorare su commissione.
Q2 How would you define instead the collaboration with your real clients (service, consultancy, exchange/sharing…)? Q3 Does it still make sense to talk about a process of “education” of clients? Q4 Can a good relationship with clients also be conflicting? Q5 How important are self-initiated projects for your practice? Do they imply a crisis in the relationship between designers and clients or are they a way to attract new clients?
ents. After years of independenceseeking in which graphic designers claimed for themselves the roles of author, producer or editor, self-initiated or self-produced projects are increasingly seen not as alternatives to professional jobs but as complementary: a chance to take up research and explore new paths that inevitably end up adding to the chance to work on commission.
Del committente non si sa nulla: di rado
No one knows anything about the client
è la controparte principale del progetto grafico
and rarely does the graphic designer’s main
a parlare. Abbiamo chiesto ad alcuni clienti
counterpart get a chance to speak. We asked
e a chi li rappresenta che relazione hanno
clients and those who represent them about
con i loro progettisti di riferimento.
their relationship with the designers.
Committenti e grafici
[ Clients and Graphic Designers] Portraits in the Mirror 2/2
Un ritratto allo specchio 2/2 Quando si parla di committenti nell’ambiente della grafica, normalmente si citano mitiche figure di imprenditori e dirigenti illuminati del passato. Più raramente si ricorda il ruolo cruciale svolto – ieri come oggi – da chi nelle aziende e nelle istituzioni ha il compito di selezionare i grafici e di gestire la relazione con loro. Per sentire la voce dei committenti, abbiamo scelto quindi in prevalenza chi svolge tale funzione di intermediazione, in settori che conservano un rapporto privilegiato con i progettisti grafici: la moda, l’editoria, la cultura e il design stesso. Le loro risposte sembrano confermare un dato di fatto: chi rappresenta la committenza parla una lingua in parte diversa. Se l’approccio dei grafici appare molto più ancorato alle specificità della disciplina – alla sua metodologia e alla sua storia – l’attitudine di chi rappresenta i committenti è più strategica, attenta ai significati e agli effetti della comunicazione. Al centro delle loro preoccupazioni ci sono i valori di marca, il pubblico cui si vuole parlare e il contributo di tutte le figure che partecipano al processo di progettazione, pur mantenendo fermo il rispetto e l’apprezzamento per il lavoro del grafico. Certo, è solo uno spaccato parziale, ma ci dice qualcosa sulle diverse priorità di chi vede inevitabilmente la grafica da un’altra prospettiva. Il confronto fra il punto di vista dei grafici e quello di chi fornisce lavoro dovrebbe entrare più spesso nel dibattito sulla professione e sulla disciplina.
When it comes to clients in the world of graphic design the mythically enlightened entrepreneurs and executives of the past normally spring to mind. More rarely is the crucial role remembered – now as in the past – of the people in companies and institutions selecting and dealing with the graphic designers. So, to get the client’s viewpoint we chose some intermediaries in sectors that still have a privileged relationship with graphic designers: fashion, publishing, culture and design itself. Their answers seem to confirm the fact that those looking after the interests of the client speak a somewhat different language. While the approach of the graphic designers seems a lot more closely tied to the specificities of their work – its methodology and history – the attitude of those who represent the clients is more strategic, attentive to the meanings and effects of the communication. Their central concerns are brand values, the target public and the contribution of all the figures involved in the design process – which does not imply lack of respect or appreciation for the designer’s work. It is of course only a partial glimpse but it tells us something about the different priorities of those who inevitably see graphic design from another perspective. The comparison between the views of the designers and those supplying the work should appear more often in the debate on the job and its practice.
Le domande rivolte ai committenti
Questions for the clients
D1 Come definirebbe il rapporto della sua azienda con il vostro grafico di riferimento (acquisto di servizi, richiesta di consulenza, collaborazione proficua…)?
Q1 How would you define the relationship between your organization and your graphic designer (service, consultancy, collaboration…)?
D2 Perché avete scelto uno studio di grafici invece di un’agenzia di pubblicità? D3 Come avete scelto il vostro grafico (passaparola, «colpo di fulmine», ufficio marketing, art direction)? I vostri grafici lavorano in maniera indipendente e in piena fiducia o con un controllo costante del responsabile aziendale? D4 Chi prende questo tipo di decisioni nella vostra organizzazione? Chi è l’interlocutore diretto dei grafici? D5 Una buona relazione con i grafici può essere anche conflittuale? D6 Dietro la vostra scelta dei grafici, e attraverso la collaborazione con loro, c’è anche l’intenzione di dare un contributo alla cultura visiva contemporanea?
Q2 Why did you choose a graphic design office instead of an advertising agency? Q3 How did you choose your graphic designer (word of mouth, love at first sight, as a suggestion of the marketing office or of the in-house art director)? Do your designers work independently with a free rein or under the constant control of a spokesperson of your organization? Q4 Who is in charge of this kind of decision in your organization? Who is the person in charge for the interaction with the graphic design office? Q5 Can a good relationship with the designers also be conflicting? Q6 Do you see the choice of collaborating with graphic designers as a contribution to visual contemporary culture?
Il curriculum delle scuole di grafica è in costante
The curriculum at graphic design schools
evoluzione, nel tentativo di adattarsi
is constantly evolving in an effort to adapt
ai mutamenti interni ed esterni alla professione.
to changes inside and outside the profession.
Come rispondono le università alle nuove
How do schools and colleges respond to new
richieste del mercato e dei clienti?
market and client demands?
L’importanza del curriculum Le scuole di grafica preparano al rapporto con i committenti? [ Importance of the Curriculum] Do Graphic Design Schools Prepare for the Relationship with Clients and Commissioning Parties?
La relazione delle scuole di design con le imprese e i clienti è sempre stata controversa: dagli esempi storici influenti del Bauhaus e della Scuola di Ulm – costantemente alla ricerca di commissioni esterne da integrare nel curriculum didattico – al celebre rifiuto di Katherine McCoy di sfornare, alla Cranbrook Academy of Art, designer al servizio della Corporate America.1 Per provare a capire cosa succede oggi abbiamo intervistato docenti e responsabili dei programmi didattici di alcune delle migliori scuole esistenti nel panorama internazionale: l’École nationale supérieure des Arts Décoratifs di Parigi, il Royal College of Art di Londra, la Werkplaats Typografie di Arnhem, l’isia di Urbino, la School of Visual Arts e Parsons the New School for Design di New York. Ci interessava soprattutto capire in che misura le scuole conservino una visione della grafica come professione orientata all’offerta di servizi;
The relationship between design schools and companies and clients has always been controversial: from the influential historical examples of the Bauhaus and the Ulm School – constantly looking for external commissions to integrate into the curriculum – to the famous refusal by Katherine McCoy at the Cranbrook Academy of Art to churn out designers at the service of Corporate America.1 To try to understand what is happening today, we interviewed teachers and heads of educational programs of some of the schools on the international scene: l’École nationale supérieure des Arts Décoratifs in Paris, the Royal College of Art in London, the Werkplaats Typografie Arnhem, isia in Urbino, the School of Visual Arts and Parsons the New School for Design in New York. We were mainly interested in discovering to what extent the schools conserve a vision of graphic design as a
Le domande rivolte alle scuole
The questions we asked the schools
D1 Quali sono gli sbocchi professionali più comuni per i vostri laureati/diplomati?
Q1 What are the most likely future careers for your graduates?
D2 La vostra scuola dedica una parte del percorso formativo a preparare gli studenti al rapporto con i clienti? D3 Se sì in che modo? Si simula una committenza nei lavori e nelle esercitazioni o ci sono progetti reali con committenti esterni? D4 Esistono corsi di design management, marketing, strategia che preparino i designer a rapportarsi con figure manageriali o di intermediazione con i clienti? D5 Quanto conta far collaborare con le aziende gli studenti di grafica? Quali gli aspetti positivi e negativi?
Q2 Does your school dedicate part of the syllabus to preparing students for a relationship with the client? Q3 If so, in what way? Do you simulate clients during their projects and exercises or do they have any real work with external clients? Q4 Do design management, marketing and strategy courses exist to prepare designers to relate to managers or client intermediaries? Q5 Is it useful to organize cooperation between companies and graphic design students? What are the advantages and disadvantages? Q6 Do you prepare your students for the idea of becoming designer entrepreneurs?
D6 Preparate i vostri studenti anche all’ipotesi di diventare designer imprenditori?
o, viceversa, se incoraggino maggiormente gli studenti a imboccare strade indipendenti, autoimprenditoriali o più vicine al mondo dell’arte. Le risposte sono piuttosto varie, in linea con i differenti profili culturali e formativi delle scuole che abbiamo scelto. Un punto in comune tuttavia esiste: più che preparare gli studenti alla relazione con il cliente tout court – per esempio, attraverso specifici corsi o moduli didattici – si mira a incentivare nei grafici l’abitudine al confronto e la capacità di collaborare con chi ha competenze e punti di vista anche molto diversi.
service-oriented profession; or, conversely, if they rather encourage students to take the path of independence and self-direction or one closer to the world of art. The answers vary considerably, in line with the different cultural and educational profiles of the schools we have chosen. However, there is one thing in common: rather than preparing students for a relationship with the client as such – for example with specific training courses or teaching modules – they try to encourage graphic designers to seek an exchange of views and to develop the ability to collaborate with those whose own skills and points of view can be very different from theirs.
1. «We are not here at Cranbrook to prepare indentured
1. “We are not here at Cranbrook to prepare indentured servants for corporate America,” interview with Katherine McCoy, in Emigre, 19, 1991.
servants for corporate America», intervista a Katherine McCoy, in «Emigre», 19, 1991.
In Germania Est, i poster per il cinema furono un bizzarro
In East Germany, film posters were examples of an odd
cortocircuito politico. A commissionarli era un unico ente
political short circuit. They were commissioned by a single
statale. A realizzarli erano i grafici che volevano sovvertire
government body and made by graphic designers seeking
i dogmi estetici del regime, in favore dell’individualismo.
to subvert the aesthetic dogmas of the regime in favour of individualism.
I poster della Progress Film [ The Progress Film Posters]
↳ Giorgio Ruggeri
«Tutti i manifesti cinematografici hanno il medesimo committente, e le sue indicazioni definiscono il volto di un intero genere.» Così, nel 1981, i grafici Helmut Brade e Volker Pfüller raccontavano la loro ddr. Il mondo del cinema era gestito e controllato dallo Stato. Un’unica casa produttrice, la defa, realizzava tutte le pellicole. Della distribuzione e della pubblicità si occupava invece un altro ente, la Progress Film-Verleih, che lavorava anche con film importati dall’estero, da altri regimi comunisti e dall’Occidente.
“All film posters are commissioned by the same body and its indications define the look of a whole genre,” is how in 1981, graphic designers Helmut Brade and Volker Pfüller described their gdr. The cinema was State run and State controlled and defa, the only production company there was, made all its films. Advertising and distribution were carried out by another body, the Progress Film-Verleih, which also worked with films imported from other countries under communist regime, and the West.
I relativi poster, svuotati delle leggi del marketing e del culto delle star, andavano «riadattati» al pubblico tedesco-orientale. Con tali presupposti, ci si aspetterebbe da questi lavori la piattezza e il conformismo tipici dei regimi totalitari. Invece, la loro eterogeneità è spiazzante. Sembra difficile rintracciare un approccio stilistico comune: tecniche grafico-pittoriche, modalità d’uso delle foto, illustrazioni, calligrafie e caratteri tipografici variano in maniera impressionante. Fra allusioni metaforiche o simboliche, atmosfere oniriche o ironiche, com’è stata possibile una simile libertà espressiva in un Paese che proibiva persino l’espatrio ai propri cittadini?
The posters, not subject to the laws of marketing and the star system, were “adapted” for an East German public. Under these circumstances one would expect the flatness and conformism typical of totalitarian regimes. Instead their variety is astonishing. It is hard to identify a common stylistic approach: graphic and pictorial techniques, use of photos, illustrations, calligraphy and typefaces vary dramatically. With their metaphorical or symbolic allusions, dreamlike or ironic moods, it is hard to imagine how such freedom of expression was possible in a country that forbade its citizens even to travel abroad.
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Collage di manifesti per il cinema realizzati per la Progress Film da vari grafici della ddr fra il 1977 e il 1989. Collage of film posters made for Progress Film by various graphic artists in the gdr between 1977 and 1989.
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Salerno, il logo. Assegnazione di incarico diretto da parte del sindaco della città, 2011. Progetto visivo di Massimo Vignelli. Bando di concorso contestato da tutti. Tra le altre cose ha surclassato i risultati di un bando di concorso sullo stesso tema, vinto da due giovani universitari. Salerno, the logo. Direct appointment by the mayor of the city, 2011. Visual project by Massimo Vignelli. Announcement of assignment contested by everyone. Among other things it outclassed the results of a competition on the same topic won by two university students.
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pg 29 Committenza Clients and Patrons
I concorsi più recenti per le immagini coordinate di alcune
Recent competitions for the corporate identity of various
città italiane hanno rinforzato il dibattito intorno a temi
Italian cities have added to the debate over longstanding
storici come la grafica di pubblica utilità, lo strumento
topics such as graphics for public utilities, public competitions
concorsuale e il ruolo dei graphic designer.
and the role of the graphic designer.
Note sullo stato dei concorsi pubblici Riflessioni sul perché non funzionano (per arrabbiarsi un po’ meno) [ Notes on the Situation of Public Competitions]
↳ Emanuela Bonini Lessing
Reflections on Why They Don’t Work (and a Way of Keeping Calm). I risultati dei progetti di comunicazione visiva per città e territori commissionati negli ultimi tempi hanno, ancora una volta, evidenziato quanto sia problematica la relazione tra i principali soggetti coinvolti: le amministrazioni, i progettisti, gli utenti.
The results of visual communication projects for cities and territories commissioned recently have once again highlighted the problematics of the relationship between local government, designers and users.
Proviamo a prendere in considerazione un aspetto alla volta.
Public Administration
Le Pubbliche Amministrazioni Quante sono le amministrazioni che hanno sensibilità per la comunicazione visiva e che conoscono davvero il mestiere del grafico?
Massimo Vignelli a Salerno. Conferenza stampa con il Sindaco Vincenzo De Luca a Palazzo di Città, Salerno, 22 novembre 2011. Tutte le immagini: courtesy of Comune di Salerno, ufficio stampa. Massimo Vignelli in Salerno. Press conference with the mayor, Vincenzo De Luca, at Palazzo di Città, Salerno, 22 November 2011. All images: courtesy of Salerno Municipality, Press Office.
In molti casi nulla, se non principi etici, impedisce a una pubblica amministrazione di emanare un bando per il logo della propria città aperto, ad esempio, ai bambini delle scuole elementari del territorio, o spesso nulla impedisce di incaricare direttamente un buon (esecutore) grafico. A livello normativo si tratta, il più delle volte, di operazioni perfettamente in regola. Solo con un po’ di fortuna l’occhio di qualche amministratore con particolare «sensibilità artistica»
Let us consider one aspect at a time.
How many local government administrations have any knowledge of visual communication or really know what a graphic designer does? In many cases nothing, apart from ethical principles, prevents local government from issuing a tender to design a new city logo to, for example, local primary school children. Often nothing prevents them either from directly hiring someone “good at graphic design.” Generally speaking this is all perfectly legitimate. With a little luck the eye of some administrators with particular “artistic sensibility” will accidentally come across a logo that can no longer be ignored, for example Iamsterdam. Perhaps they will appreciate it and perhaps even will want to bring equal fame to their own city. 123
[Fuori tema / Off topic]
130 Al modello delle immagini coercitive che danno l’ordine di comprare, si sostituisce quello di una «narrazione lenta». / The model of coercive images that order us to buy is replaced by that of a “slow narrative” 140 La fotografia può essere usata come componente integrante di un testo scritto «ibrido», che contenga in sé una combinazione di molteplici elementi espressivi quali disegno, lettere, fotogrammi. / Photography can be used as an integral component of a written “hybrid” text, which contains in itself a combination of multiple expressive elements such as drawings, letters or frames. 146 «Nel mio lavoro si vede una reazione alle gerarchie e alla supremazia dell’autorità, e un senso di libertà.» / «My work has to do with a reacting against hierarchy and the primacy of authority, and a spirit of freedom.»
biblioteca: i classici di PG
Le idee esposte nell’Invenzione del quotidiano invitano a riconoscere la capacità creativa degli individui di sovvertire le regole attraverso le pratiche quotidiane: una lezione valida anche per i designer. The ideas in The Practice of Everyday Life encourage us to recognize the individual’s creative ability to subvert the rules through everyday actions: a lesson for designers as well.
La teoria del quotidiano di De Certeau e la sua circolazione De Certeau’s Theory of Everyday Life and its Circulation ↳ Francesca Cozzolino
L’invenzione del quotidiano di Michel De Certeau può difficilmente essere classificato in un genere letterario (i récits d’espace appartengono ancora alla scrittura saggistica?) o in una disciplina specifica (numerose sono quelle che vi sono convocate e discusse). Scritto più di trent’anni fa, il testo appare ancora oggi attualissimo. L’antropologo francese – i cui apporti teorici spaziano dalla filosofia e la storia alle scienze sociali – si pone come obiettivo quello di analizzare le capacità dell’uomo comune di «inventare il quotidiano», cioè di mettere in opera, nella vita di tutti i giorni, delle tattiche di resistenza, al fine di eludere le logiche razionali dell’ordine sociale, o delle pratiche di détournement, di uso imprevedibile dei prodotti che gli sono imposti. L’opera, che si organizza in due volumi, presenta i risultati di una ricerca interdisciplinare pluriennale (1974-1978) condotta da De Certeau e pubblicata nel 1980 dall’editore Gallimard. Il primo, interamente redatto da De Certeau, porta il titolo Arts de faire. Il quadro intellettuale della teoria delle «arti del fare» è costruito a partire dagli studi sul linguaggio sviluppati da Wittgenstein, dalle analisi di Bourdieu sulle pratiche culturali (l’habitus), in rapporto dialettico con quelle di 130
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Foucault sull’istituzione e i dispositivi del potere. In questo primo tomo, l’attenzione dell’autore si concentra soprattutto sulle «pratiche dello spazio» e la lettura. Per De Certeau, l’atto di lettura è esemplare ed è concepito come un atto non tanto di ricezione ma di produzione del senso, un modo personale di «abitare la scrittura» e di appropriarsi di un testo. Allo stesso modo, l’azione individuale all’interno dello spazio urbano si presenta come un atto di «bracconaggio», d’infiltrazione negli interstizi lasciati vacanti dalle strategie del potere – economico, sociale e politico. Il secondo volume, curato da Luce Giard e Pierre Mayol, contiene solo due testi di De Certeau ed è composto principalmente da analisi di esempi empirici (testimonianze, interviste, dati statistici) che documentano rituali e pratiche ordinarie, l’organizzazione dei gesti, dei tempi e degli spazi – dall’andare a fare la spesa al cucinare. Come già Henri Lefebvre negli anni Sessanta,1 De Certeau difende l’idea secondo cui attività in apparenza banali come leggere, conversare, camminare, mangiare e cucinare non solo riflettono i comportamenti e gli usi imposti dalla società dei consumi, ma possono anche costituire delle esperienze consapevolmente creative e perfino
Pierre Di Sciullo, Tables d’orientation, 2006-2007. Pierre Di Sciullo, Tables d’orientation, 2006-2007.
sovversive nella misura in cui gli individui se ne riappropriano trasformandoli in strumenti di emancipazione. Secondo i termini di De Certeau, «le rappresentazioni dei sistemi sociali o i processi di fabbricazione non solo appaiono come quadri normativi, ma come strumenti manipolati dagli utenti».2 Il progetto dell’Invenzione del quotidiano non è tanto di fondare una storia o una semiotica delle pratiche ordinarie, ma di proporre una metodologia alternativa per considerarle «tattiche» attraverso cui l’individuo infiltra le strategie dell’economia culturale dominante. Se le «strategie» sono prerogativa delle istituzioni, determinate da repertori coercitivi di regole e norme sociali, e definiscono uno spazio normativo, in cui gli individui sono «disciplinati» dai dispositivi del potere,3 le «tattiche» sono la possibilità che resta agli individui di aprirsi spazi di libertà. In questo senso, L’invenzione del quotidiano opera un doppio spostamento teorico: da una parte indicando che l’alterità culturale è meno visibile negli oggetti (produzioni) che negli usi; dall’altra rilevando la necessità e l’importanza dei trucchi (ruses) e delle logiche sovversive, che s’insinuano negli interstizi del sistema, per renderlo abitabile.
It is hard to assign The Practice of Everyday Life by Michel De Certeau to any particular literary genre (are récits d’espace still non-fiction?) or discipline (many of which are brought into the discussion). Written over thirty years ago, the book is still extremely up to date. The aim of the French anthropologist – whose theories range from philosophy and history to the social sciences – is to analyze the ability of the common man to “invent everyday life,” i.e. to apply resistance tactics to elude the rational logic of the social order: a kind of détournement, an unpredictable use of products imposed on him. The book, set out in two volumes, presents the results of a multi-year interdisciplinary research (1974-1978) carried out by De Certeau and published in 1980 by Gallimard. The first, written entirely by De Certeau, is entitled Arts de faire. The intellectual framework of the theory of the “arts of doing” is based on studies on language developed by Wittgenstein, and on Bourdieu’s analysis of cultural practices (habitus), in a dialectical relationship with those of Foucault on institution and the devices of power. In the first volume, the author’s attention is focused primarily on “practices of space” and reading. For De Certeau,
the act of reading is exemplary and is conceived not so much as an act of reception but more as a production of meaning, a personal way of “inhabiting writing” and of making a text one’s own. Similarly, individual action within the city becomes an act of “poaching,” of infiltrating the gaps left vacant by the economic, social and political strategies of power. The second volume, edited by Luce Giard and Pierre Mayol, contains only two texts by De Certeau and consists mainly of analyses of empirical examples (testimonies, interviews, statistical data) documenting ordinary rituals and practices, the organization of gestures, time and space — from doing the shopping to cooking. Like Henri Lefebvre in the sixties,1 De Certeau defends the idea that seemingly mundane activities such as reading, talking, walking, eating and cooking do not only reflect the behaviour and practices imposed by the consumer society but that they can also be consciously creative experiences and even subversive insofar as individuals re-appropriate them, turning them into tools of empowerment. According to De Certeau, “representations of social systems or manufacturing processes do not only appear as regulatory frameworks, but as a tool manipulated by users.”2 131
La fotografia come strumento dal quale ricavare dati e/o con il quale comunicarli. Photography as a tool for obtaining data and/or for communicating it.
Fotografia e scrittura Photography and Writing ↳ Luca Capuano • Veronica Maccari • Luciano Perondi
Come si inserisce l’immagine fotografica nell’ambito del cosiddetto «information design»? Può la fotografia comunicare in maniera «ragionevolmente univoca» tenendo conto dei suoi aspetti incontrollabili? Questa conversazione prende le mosse dalla Tesi di Veronica Maccari La fotografia e l’information design/ Il mezzo fotografico come strumento per raccogliere e visualizzare dati.
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How do photos fit into what is known as “information design”? Can photography communicate in a “reasonably unambiguous” way, bearing in mind its uncontrollable features? This conversation takes its cue from the thesis of Veronica Maccari La fotografia e l’information design/Il mezzo fotografico come strumento per raccogliere e visualizzare dati (Photography and information
luciano perondi A mio parere occorre per prima cosa definire il campo in cui operiamo. Posto che il nostro campo è circoscritto dall’uso della fotografia, parlare di information design o di infografica a mio parere è riduttivo. Il termine «information» contiene già l’idea di design nella sua etimologia (dare forma). A questo aggiungo come provocazione che tali termini richiamano una certa maniera di illustrare utilizzando la grafica vettoriale a imitazione di Isotype e dell’opera di Gert Arntz, quasi le curve di Bézier fossero la forma naturale per una «illustrazione rigorosa». L’interesse della tesi di Veronica sta anche nel tentativo di liberare il concetto di grafica di informazione da un particolare linguaggio grafico e di sottolineare le possibilità e l’efficacia di altri strumenti espressivi. Diagramma di montaggio in una sequenza del film Alexander Nevskij di Sergej M. Ejzenštein, 1938. Editing diagram in a sequence from the film Alexander Nevskij by Sergej M. Ejzenštein, 1938.
veronica maccari Credo sia il caso a questo punto di far slittare leggermente l’argomento e chiedersi: la fotografia è scrittura? Partiamo allora dalla definizione di «testo» dell’Enciclopedia Treccani:
design/Photography as a tool for collecting and viewing data). luciano perondi In my opinion we must first define the field we operate in. Given that our field is limited by the use of photography, talking about information design and infographics in my opinion is not enough. The term “information” already contains the idea of design in its etymology (give form). To this I would like to add the provocative remark that such terms call to mind a certain way of illustrating, with vector graphics to imitate Isotype and the work of Gert Arntz, almost as if Bézier curves were a natural form for a “rigorous illustration.” Veronica’s thesis is interesting in its attempt to free the concept of Information graphics from a particular graphic language and emphasize the possibility and effectiveness of other means of expression. veronica maccari I think it is a good idea at this point to shift the subject slightly and ask: is photography writing? Let’s start from the dictionary definition of “text” as defined in the Treccani Italian dictionary:
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Una conversazione con Sheila Levrant de Bretteville a proposito di femminismo, arte pubblica, formazione, e arte gentile dell’attivismo. A conversation with Sheila Levrant de Bretteville on feminism, public art, education, and the gentle art of activism.
Essere altrimenti Being Otherwise ↳ Sheila Levrant de Bretteville • Silvia Sfligiotti
Ho conosciuto Sheila Levrant de Bretteville nel novembre del 2014, a Varsavia, alla conferenza Manifest Fest, organizzata nel cinquantesimo anniversario del manifesto First Things First. In quell’occasione, presentando un intervento di sole immagini, introdotto da poche parole,1 ha messo in evidenza il suo interesse per una comunicazione aperta alle interpretazioni. Qualche mese dopo, nell’agosto del 2015, ci siamo incontrate di nuovo per una lunga videochiamata, di cui la conversazione che segue è solo un estratto. Nata a New York da genitori emigrati dalla Polonia, nella sua vita De Bretteville ha attraversato numerose esperienze: dopo gli studi a Yale e un periodo di lavoro a Milano, nei primi anni Settanta a Los Angeles ha partecipato alla creazione di CalArts, ed è stata fra le fondatrici del Woman’s Building. Dal 1990 dirige i corsi di Graphic Design alla Yale University School of Art. La sua attività progettuale si concentra attualmente sulle installazioni permanenti nello spazio pubblico. silvia sfligiotti Lorraine Wild ha usato il termine «Hippie modernism»2 per descrivere alcuni tuoi lavori dei primi anni Settanta. Mi puoi dire qualcosa di più su questa idea? sheila levrant de bretteville Nel citare la cultura hippie, Lorraine probabilmente fa riferimento al fatto che nel mio lavoro si vede una reazione alle gerarchie e alla supremazia dell’autorità, un voler creare le mie regole, e un senso 144
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di libertà. Queste idee non sono antagonistiche, indicano solo un voler seguire una strada diversa, essere altrimenti. Del modernismo forse vede la parte più ottimistica e visionaria, e anche una certa pulizia e un ritegno nell’uso della decorazione. Ogni parte di un lavoro, i materiali, il modo in cui è fatto, ciò che dice, fa tutto parte del suo significato. Forse non è possibile essere allo stesso tempo hippie e modernisti, ma penso che questa tensione sia molto positiva. Ci ho convissuto perché, per quanto non mi piacciano la gerarchia né le regole, mi trovo qui alla Yale University. Può sembrare illogico, ma è una tensione che crea qualcosa di utile. Penso che si possa agire altrimenti ed essere altrimenti all’interno di una gerarchia, e vedere come agire sul sistema e sulle regole per fare quello che si ritiene giusto. s.s. Nel tuo lavoro si vede, fin dai primi anni Settanta, un interesse verso la partecipazione delle persone e i progetti aperti. Questo tipo di interesse si è diffuso nel graphic design negli ultimi anni, ma nel tuo lavoro era presente già molto prima. Da dove viene? s.l.d.b. Direi che è inconscio, ma credo che sia iniziato in Italia! Peter (suo marito, n.d.r.) e io abbiamo vissuto e lavorato a Milano nel 1968, un periodo in cui molte cose venivano messe in discussione. Il Politecnico di Milano era stato dipinto di rosso, lavoravamo alla Triennale con Giancarlo De Carlo. Sicuramente il lavoro di
I met Sheila Levrant de Bretteville in November 2014 at the Manifest Fest conference in Warsaw, held to mark the 50th anniversary of the First Things First manifesto. The presentation she gave there, simply of images introduced by just a few words,1 highlighted her interest in a kind of communication open to interpretation. A few months later, in August 2015, we met again for a long video call, of which the following conversation is only a part. Born in New York of Polish emigrant parents, De Bretteville’s life has been full of experiences. After studying at Yale and a stint working in Milan, she helped set up CalArts in the early seventies in Los Angeles and was one of the founders of the Woman’s Building. Since 1990 she has been Head of Graphic Design at Yale University School of Art. Her own work currently focuses on permanent installations in the public space. silvia sfligiotti Lorraine Wild described some of your work from the early Seventies as Hippie modernism2 – a title that was also used by Andrew Blauvelt for an exhibition at the Walker Art Center. Can you tell me more about this idea? sheila levrant de bretteville In referencing Hippie culture Lorraine probably is talking about the way in which my work has to do with a reacting against hierarchy and the primacy of authority, wanting to make up the rules yourself, and a spirit of freedom. Those notions are not antagonistic, and simply to go another path, to be otherwise. [...] The part of modernism that is optimistic and visionary may be what she sees, as there’s a kind of cleanliness and restrained decoration in modernism. Every part of a work, its materials, how it is made, what it says are part of what it means. Our designer choices have to be meaningful. Perhaps it isn’t possible to be both hippie and modernist. What I think is that tension is actually very good. It’s a tension I think I’ve lived with because, much as I don’t like hierarchy or rules, here I am at Yale University. Perhaps that seems like a non sequitur. But in fact, it is the tension that creates something that is not negative. I think you can act otherwise and be otherwise within a hierarchy and see how to work the system and rules so that you do what you believe is right.
«Everywoman», numero speciale della rivista femminista, 1970. Everywoman, special edition of the feminist magazine, 1970.
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Hanno collaborato a questo numero Contributors in This Issue Giovanni Anceschi. Artista, designer, saggista e organizzatore di «cultura della multimodalità». Fino al 2011 è stato professore ordinario presso lo Iuav di Venezia e coordinatore del dottorato di ricerca in Scienze del design. Negli anni Sessanta è fra i fondatori del movimento internazionale dell’arte cinetica e programmata. Si laurea e insegna alla scuola di Ulm. Da più di quarant’anni insegna discipline della comunicazione nell’università italiana. Negli anni Ottanta è protagonista della Grafica di pubblica utilità. È autore di numerosi libri e vincitore di premi prestigiosi come il Compasso d’Oro 1998 e l’Icograda Excellence Award for Distinguished Services to Graphic Design 1999. Sue opere sono nella collezione permanente del Museo del Novecento, Milano. Giovanni Anceschi. Artist, designer, essayist, and “multimodal” cultural organizer. Through 2011 he was a full professor at the Iuav University in Venice, where he ran the doctoral research program in Design sciences. In the sixties he was a founding member of the international programmed and kinetic art movement. He graduated from and later taught at the Hochschule für Gestaltung in Ulm. For over forty years he has taught university-level communications courses in Italy. In the eighties he conducted pioneering work in what became known as Grafica di pubblica utilità, “publicservice graphics.” He has published many books and won prestigious awards including the 1998 Compasso d’Oro and the 1999 Icograda Excellence Award for Distinguished Services to Graphic Design. His works are in the permanent collection of the Museo del Novecento in Milan. Emanuela Bonini Lessing. Ha conseguito un dottorato in Scienze del design ed è ricercatrice presso l’Università Iuav di Venezia. Si occupa di teorie e progetti di comunicazione di città e territori, anche in cooperazione con diverse università in Europa e in Brasile. Tra le sue pubblicazioni, Interfacce metropolitane. Frammenti di corporate identity (et al., 2011) e Mapping Cultural Information (in corso di stampa) con Michael Stoll, con il quale collabora dal 2012. È curatrice del testo Urban Safety and Security (Franco Angeli, 2015). Emanuela Bonini Lessing. She holds a PhD in Design sciences and is an Assistant professor at the Iuav University in Venice dealing with communication theories and 156
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projects for cities and local areas, often in cooperation with universities in Europe and Brazil. Among her publications are Interfacce metropolitane. Frammenti di corporate identity (et al., 2011) and Mapping Cultural Information (in press) with Michael Stoll, with whom she has worked since 2012, and Urban Safety and Security (Franco Angeli, 2015), of which she is editor. Gianluca Camillini. Designer e ricercatore nell’ambito della comunicazione visiva. Dal 2013 lavora come ricercatore e docente aggregato in graphic design presso la Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano-Bozen; parallelamente dal 2014 è studente di dottorato presso il Dipartimento di Tipografia e Graphic Communication dell’Università di Reading. Gianluca Camillini. Designer and researcher in visual communication. Since 2013 he has carried out research and worked as assistant professor of graphic design at the Faculty of Design and Art at the Free University of Bozen-Bolzano; in 2014 he began a PhD in Typography and Graphic Communication at the University of Reading, UK. Luca Capuano. Fotografo professionista, ha realizzato progetti di documentazione e di analisi interpretativa dell’architettura storica e contemporanea e del patrimonio storico, artistico e culturale. Le sue immagini sono pubblicate su riviste nazionali e internazionali di settore. È presente nel mondo dell’arte con lavori di ricerca esposti in diverse gallerie e fondazioni private e musei d’arte contemporanea. Insegna all’isia di Urbino, all’Istituto Europeo di Design (ied) di Roma, e allo Spazio Labo’ di Bologna; tiene workshop e laboratori in Italia e all’estero. Luca Capuano. A professional photographer specializing in the photography of classical and contemporary architecture, his work appears in national and international magazines. In the art world his research work is exhibited in galleries, private foundations and contemporary art museums. He teaches at isia in Urbino, the Istituto Europeo di Design (ied) in Rome, and at Spazio Labo’ in Bologna; he holds workshops in Italy and abroad. Francesca Cozzolino è antropologa e docente presso l’École nationale supérieure des Arts Décoratifs (EnsAD) di Parigi. È
ricercatrice associata presso il laboratorio di ricerca in arte e design (EnsadLab) e presso il laboratorio di etnologia e sociologia comparata dell’Università di Parigi X (lesc); le sue ricerche si situano alla convergenza tra i visuals studies e l’antropologia della cultura materiale. Francesca Cozzolino is an anthropologist and lecturer at the École nationale supérieure des Arts Décoratifs (EnsAD) in Paris. She is an associate researcher at the Art and design research laboratory (EnsadLab) and at the Laboratory of ethnology and comparative sociology at the University of Paris X (lesc); her research stands at the crossroads between visual studies and anthropology of material culture. Davide Fornari ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze del design presso l’Università Iuav di Venezia ed è docente ricercatore presso il Laboratorio cultura visiva della supsi, Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, a Lugano, dove insegna Storia della grafica e coordina il Master of Advanced Studies in Interaction Design. È membro dell’Istituto Svizzero di Roma per l’anno 2014-2015. Davide Fornari holds a PhD in Design sciences from Iuav University in Venice and he is a tenured lecturer-researcher at Lugano’s Laboratory of visual culture at supsi, the University of Applied Sciences and Arts of Southern Switzerland, where he holds courses in History of graphic design and coordinates the Master of Advanced Studies in Interaction Design. He has been a member of the Swiss Institute in Rome for the year 2014-2015. Antonio Iadarola è dottorando in Design e Innovazione alla Seconda Università di Napoli ed è stato visiting scholar presso il Parsons desis Lab di New York. Porta avanti il progetto di ricerca Future Workscape che esplora la relazione fra creatività collettiva e spazi di lavoro. Ha esperienza professionale e accademica internazionale nei campi del design per l’innovazione sociale. Antonio Iadarola is a doctoral student in Design and Innovation at the Second University of Naples and has been a visiting scholar at the Parsons desis Lab in New York. He is pursuing the research project Future Workscape, which explores the relation-
ship between creativity and collective work spaces. He has international professional and academic experience in design for social innovation. Sheila Levrant de Bretteville. Come può una graphic designer contribuire con le sue capacità a rafforzare il tessuto sociale? Sheila agisce evitando l’ortodossia e la gerarchia, e prestando attenzione a una varietà di voci diverse. Nei suoi progetti di installazioni permanenti site-specific, quotidiani, manifesti, libri e nei suoi programmi formativi centrati sulla persona, Sheila invita a partecipare al significato del suo lavoro. Su entrambe le coste degli Stati Uniti, in Europa e in Asia, e nel suo programma universitario a Yale, Sheila ha scoperto che la sua attività sociale e il suo insegnamento implicano l’ascolto e i puntini di sospensione, per creare una pausa e uno spazio per chiunque o qualunque cosa sia stato trascurato... Sheila Levrant de Bretteville. How could a graphic designer’s skills contribute to strengthen the social fabric? Sheila proceeds by avoiding orthodoxy and hierarchy while paying attention to a broad diversity of voices. In her site-specific permanent installations, newspapers, posters, books and proactive, person-centered educational programs she extends an invitation to participate in the signification of the work. On both coasts of the United States, abroad in Europe and Asia and within her graduate program at Yale, Sheila has found that her social practice and her teaching involve listening and ellipses to give pause and provide a location for whomever and whatever has been overlooked… Veronica Maccari, nata a Macerata, è graphic designer, illustratrice e appassionata di fotografia. Ha studiato Disegno Industriale allo Iuav di San Marino e nel 2011 inizia uno stage come graphic designer all’unric di Bruxelles. Successivamente si specializza in Comunicazione, Design e Editoria all’isia di Urbino. Attualmente vive e lavora a Bologna. Veronica Maccari, born in Macerata, Italy, is a graphic designer, illustrator and keen photographer. She studied Industrial Design at the Iuav University in San Marino and in 2011 was given a graphic design internship at unric in Brussels. Since then she has completed a post-graduate course
in Communication, Design and Publishing at isia in Urbino. She currently lives and works in Bologna. Luciano Perondi opera nel campo della progettazione grafica di aspetti legati alla scrittura e all’information design. Nel 2003 ha dato vita allo studio Molotro. Luciano Perondi è docente di Storia del libro e della stampa presso l’isia di Urbino dal 2007 e direttore dello stesso Istituto dal 2013. Oltre che di progettazione si occupa anche degli aspetti teorici della grafica e della scrittura. Luciano Perondi works with the graphic aspects of writing and information design. In 2003 he founded studio Molotro. He has taught History of books and printing at isia in Urbino since 2007, and became the school’s director in 2013. In addition to his design practice, he also deals with the more theoretical aspects of graphic design and writing. Jonathan Pierini. Progettista grafico e tipografico, diplomatosi all’isia di Urbino e alla kabk dell’Aia, Jonathan lavora attualmente come ricercatore e professore aggregato presso la Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano-Bozen. Nel 2015 fonda, con Alessio Cancellieri, la rivista di cultura contemporanea «Mould». Jonathan è studente di dottorato presso l’Università di Reading. Jonathan Pierini. Graphic designer and type designer, Jonathan graduated at isia in Urbino and at kabk in the Hague. He is currently working as a researcher and is assistant professor at the Faculty of Design and Art at the Free University of Bolzano-Bozen. In 2015 he and Alessio Cancellieri founded the contemporary culture magazine, Mould. Jonathan is currently a PhD candidate at the University of Reading. Giorgio Ruggeri è un graphic designer freelance. Nel 2015 si è diplomato all’isia di Urbino con la tesi PLAKATKUNST. L’arte del poster nella DDR dal 1949 al 1990, con relatrice Silvia Sfligiotti. Attualmente è iscritto alla specialistica in Visual Communication Design presso Accademia d'arte di Vilnius, in Lituania. Giorgio Ruggeri is a freelance graphic designer. In 2015 he graduated from isia in Urbino with a thesis on PLAKATKUNST. The art of the poster in the GDR between 1949 and
1990. His supervisor was Silvia Sfligiotti. He is currently carrying out a post-graduate degree in Visual Communication Design at the Vilnius Academy of Arts in Lithuania. Silvia Sfligiotti è una graphic designer, docente e critica della comunicazione visiva. Accanto alla sua attività professionale con Alizarina, lo studio di cui è co-titolare dal 2005, insegna all’isia di Urbino e alla Scuola Politecnica di Design di Milano. È co-curatrice di diverse pubblicazioni e mostre, tra cui Italic 2.0 (Torino, 2008) e Open Projects (Chaumont, 2010). Tiene workshop e conferenze in ambito internazionale e partecipa a giurie di premi come gli European Design Awards e la 24ma Biennale Internazionale del Poster di Varsavia. Silvia Sfligiotti is a graphic designer, educator, and visual communications critic. In addition to her ongoing work with Alizarina, the studio she co-founded in 2005, she also teaches at isia in Urbino and the Scuola Politecnica di Design in Milan. She has coedited and co-curated various publications and exhibitions, including Italic 2.0 (Turin, 2008) and Open Projects (Chaumont, 2010). She lectures and holds workshops internationally, and was a jury member at the European Design Awards and the 24th International Poster Biennale in Warsaw. Carlo Vinti è ricercatore presso la Scuola di architettura e design dell’Università di Camerino. Ha insegnato allo Iuav di Venezia, all’isia di Urbino e in altre scuole universitarie. Tra le sue pubblicazioni: Gli anni dello stile industriale (Marsilio, 2007) e TDM5: Grafica Italiana, catalogo della V edizione del Triennale Design Museum, che ha curato con Giorgio Camuffo e Mario Piazza (Corraini, 2012). Carlo Vinti is a research assistant at the Architecture and Design school of the University of Camerino. He has taught at the Iuav University in Venice, isia in Urbino and on various other university programs. His recent publications include Gli anni dello stile industriale (Marsilio, 2007) and TDM5: Grafica Italiana (Corraini, 2012), an exhibition catalog for the Triennale Design Museum, which he co-edited alongside Giorgio Camuffo and Mario Piazza.
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