Progetto grafico 32

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Rivista internazionale di grafica

Progetto

International graphic design magazine

Qui

Altrove

Here

Elsewhere

grafico

32

Autunno

Autumn 2017


copertina cover A tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero, dall’ideazione dei contenuti fino alla stampa, è stato chiesto di inviare uno scatto fotografico del primo orizzonte visto la mattina del 20 ottobre 2017. L’orizzonte è inteso come la «soglia» – o meglio come il «confine» – che separa il visibile e l’invisibile, il conosciuto e l’ignoto, il qui e l’altrove. In uno stesso momento, in differenti luoghi, è sempre possibile sperimentare questo confine che per alcuni nasconde e per altri svela, rimanendo sempre inafferrabile perché in continuo movimento. A cura di Lupo & Burtscher — Everyone who contributed to making this issue, from the creation of its content to its printing, was asked to send a photograph of the first horizon they saw on the morning of October 20, 2017. The sense of horizon here is the border between visible and invisible, known and unknown, here and elsewhere. Concealing for some and revealing for others, this elusive, shifting border can always be experienced in different places at the same time. Edited by Lupo & Burtscher

direttrice responsabile Silvia Sfligiotti direzione editoriale Davide Fornari Silvia Sfligiotti

editor in chief

traduzioni translations Isobel Butters sede editorial office via Amilcare Ponchielli 3 20129 Milano, Italia contatti email contact redazione_progettografico@aiap.it collaboratori di questo numero contributors in this issue Pouya Ahmadi, Federico Antonini, Chiara Barbieri, Laura Bortoloni, Maria Rosaria Digregorio, Fontarte, Davide Fornari, Friends Make Books, Ester Greco, Saki Mafundikwa, Claude Marzotto, Federico Novaro, Emilio Patuzzo, Giorgio Ruggeri, Maia Sambonet, Silvia Sfligiotti, Huda Smitshuijzen AbiFarès, Mauro Tosarelli, Tommaso Trojani, Zero Per Zero, Salvatore Zingale impianti e stampa prepress and printing Rubbettino srl via Commendatore Rosario Rubbettino 8 88049 Soveria Mannelli (CZ) distribuzione in libreria distribution (I) Joo info@joodistribuzione.it

editors

comitato di redazione editorial board Emanuela Bonini Lessing Serena Brovelli Maria Rosaria Digregorio Caterina Di Paolo Claude Marzotto Jonathan Pierini Giorgio Ruggeri Carlo Vinti Stefano Vittori

consiglio direttivo national board Cinzia Ferrara Presidente President Carla Palladino Vicepresidente Vice-President Stefano Tonti Segretario generale General Secretary consiglieri directors Gianluca Camillini Roberta Manzotti Monica Nannini Luca Pitoni probiviri panel of arbitrators Elena Camilla Masciadri Presidente President Susanna Vallebona Segretario Secretary Luciano Perondi Roberto Pieracini Aldo Presta revisori dei conti auditors Piergiorgio Capozza Luciano Ferro Paola Lenarduzzi tesoriere treasurer Ino Chisesi segreteria secretariat Elena Panzeri segreteria amministrativa Lucia Leonardi

administrative secretariat

distribuzione per l’estero distribution (other countries) Central Books contactus@centralbooks.com

responsabile archivio e ricerche CDPG (centro di documentazione sul progetto grafico) supervisor archive and research CDPG (graphic design documentation center) Lorenzo Grazzani

caratteri tipografici typefaces Times Ten, Stanley Morison Univers, Adrian Frutiger

licenza license Tutto il materiale scritto dai collaboratori è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 4.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare «Progetto grafico», di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. — All material written by the contributors is available under Creative Commons license AttributionNonCommercial-Share Alike 4.0. This means it can be reproduced as long as you mention Progetto grafico, do not use it for commercial purposes and share it with the same license.

copertina stampata su cover printed on Divina White 300 g by Cordenons interno stampato su pages printed on Divina White 100 g by Cordenons

coordinamento redazionale editorial coordination Serena Brovelli progetto grafico graphic design Lupo & Burtscher partner tecnici impaginazione layout Giulia Semprini, Lupo & Burtscher

Aiap via Amilcare Ponchielli 3 20129 Milano tel. (+39) 02 29 52 05 90 aiap@aiap.it www.aiap.it

technical partners

Per questioni di diritti non possiamo applicare questa licenza ai materiali visivi che ci vengono concessi da terzi per la pubblicazione. Le immagini utilizzate in «Progetto grafico» rispondono alla pratica del fair use (Copyright Act, 17 U.S.C., 107) essendo finalizzate al commento storico-critico e all’insegnamento. — For questions of rights we cannot use this license for visual materials that are provided by third parties for publication. The images used in Progetto Grafico respond to the practice of fair use (Copyright Act, 17 U.S.C.,107), being aimed at historical and critical commentary and teaching.

3


Here, elsewhere

Qui, altrove

32

A cura di Edited by Serena Brovelli, Claude Marzotto, Silvia Sfligiotti

9

Editoriale

Editorial

12

Henry Steiner. Cross-cultural design

24

Tracce nomadi. Intervista a Huda Smitshuijzen AbiFarès Nomadic Traces. Interview with Huda Smitshuijzen AbiFarès

Serena Brovelli, Claude Marzotto, Silvia Sfligiotti Ester Greco

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Il progetto delle forme

42

Lost & gained in translation

50

Xanti Schawinsky: i caratteri perduti Xanti Schawinsky: the lost typefaces Chiara Barbieri, Davide Fornari

61

Nuove immagini per divulgare knowledge Laura Bortoloni

73

La storia digitale è [anche] una questione di design is [also] a matter of design Giorgio Ruggeri

84

NUM3R1

88

Lettere dal carcere

95

Traduzione, risografia, materialismo Translation, Risography, Materialism Friends Make Books

NUM3R4L5

Designing forms

Silvia Sfligiotti

Emilio Patuzzo, Salvatore Zingale

Federico Antonini

New images for popularizing and sharing

Digital history

Maria Rosaria Digregorio

Letters from jail

Mauro Tosarelli

102 Chaîne graphique: un’esplorazione del flusso di lavoro Chaîne graphique: exploring the workflow Davide Fornari 107 Out of sync. Alterazioni spazio-temporali tra figura e sfondo Out of sync. Alterations in space and time between figure and background Claude Marzotto, Maia Sambonet

Fuori tema Off Topic

123 «Handkerchief»: una non rivista sull’omofobia che sfida le norme dell’editoria Handkerchief: a non-magazine about homophobia that challenges standard editorial practices Federico Novaro 130 Designer, un carattere profumato Tommaso Trojani

Designer, a fragrant type


Mauro Tosarelli 88

tion secret communica

Ester Greco 12

gn esi d l a tur cul s s cro Huda Smitshuizen AbiFarès

codes

Silvia Sfligiotti h isto r y

Davide Fornari Chiara Barbieri

ty

24

hy rap g o p

Maria Rosaria Digregorio 84

50

Emilio Patuzzo Salvatore Zingale

translation

Federico Antonini 42

media

37

Giorgio Ruggeri 73

ation

dissemin

Laura Bortoloni

print ing

Friends Make Books

61

95

102

ur

Davide Fornari lo co

Claude Marzotto Maia Sambonet bac

Zero Per Zero 94, 119

Seoul

Chicago

Saki Mafundikwa 35, 120

Pouya Ahmadi

Harare

60, 93

Warszawa

10

Qui, altrove

Here, elsewhere

Fontarte 36, 59

107

kgro un

ds


Qui Testo di Serena Brovelli, Claude Marzotto Silvia Sfligiotti

Qui e altrove sono posizioni correlative, punti che si definiscono a vicenda per indicare un orientamento nello spazio e nel tempo. Il loro scarto è la condizione di ogni movimento: senza differenza non c’è pensiero né relazione. Il rapporto con un’alterità è alla base di tutti quei processi di trasposizione di forme e contenuti, codici, stili, media e contesti, con cui la comunicazione visiva, intermediale e internazionale per vocazione, contribuisce a far circolare conoscenze e immaginari. Il presupposto da cui muove questo numero di «Progetto grafico» è la pluralità dei punti di vista. Ogni qui – geografico, temporale, disciplinare – è l’altrove di un altro. Per cominciare, abbiamo invitato quattro designer e studi di diverse città del mondo a partecipare a un semplice esperimento visivo realizzando due immagini, una riferita alla propria città e l’altra a quella in cui vive uno degli altri partecipanti. Distribuito tra le pagine della rivista, il gioco delle cartoline attiva una staffetta di connessioni a doppio senso di marcia: usiamo le immagini per trasmettere la nostra esperienza ad altri, ma anche per appropriarci di visioni e linguaggi apparentemente distanti.

Editoriale

Editorial

Questo continuo passaggio di informazioni avviene secondo percorsi e trasformazioni di vario genere. Le parole chiave scelte per lanciare il tema – traduzioni, migrazioni, contaminazioni – suggerivano solo alcune delle traiettorie possibili. I contributi raccolti offrono di fatto una campionatura assai più eterogenea di movimenti, attraverso ricerche che indagano ambiti come la divulgazione scientifica, la comunicazione clandestina, la semiotica del progetto e la tipografia, il rapporto tra cinema e libro, la superficie dell’immagine a stampa e lo spazio interno della fotografia. La diversità degli approcci ci sembra connaturata a una riflessione collettiva sull’esperienza dello spostamento, per sua natura contingente, soggettiva, provvisoria.

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Tracce nomadi

— English text on p. 31

Nomadic


Un progetto che r i u n i s c e d e s i g n e r e a r t i s t i a r a b i e e u r o p e i per realizzare caratteri e oggetti che rendono omaggio alla ricchezza della tradizione marocchina attraverso le sue diverse scritture.

Intervista a Huda Smitshuijzen AbiFarès di Silvia Sfligiotti

SF

Dal 2005 con i tuoi progetti Typographic Matchmaking promuovi le connessioni tra le culture dell’Europa e del mondo arabo. Qual è l’impulso che ti ha spinto su questa strada?

HSA Il primo progetto che ho lanciato con la Khatt Foundation è partito dall’idea di mettere in contatto i designer arabi con quelli europei per aiutarli a sviluppare le proprie capacità nel type design. All’epoca il type design non veniva insegnato nelle scuole d’arte del mondo arabo. Quando ho iniziato a insegnare nei primi anni Novanta mi sono resa conto dei numerosi limiti degli strumenti che i designer arabi avevano a disposizione, tra cui la scarsa varietà e quantità di caratteri digitali arabi ben disegnati. L’intento del progetto era quello di creare famiglie di caratteri armoniose, che comprendessero entrambe le scritture, e un nuovo modello di collaborazione tra type designer arabi e occidentali. Finora il progetto ha avuto tre edizioni.

SF

Puoi raccontarci gli intenti di Typographic Matchmaking in the Maghrib, il più recente della serie?

HSA Un gruppo di designer europei (spagnoli e francesi) e arabi (libanesi, marocchini e tunisini) hanno svolto ricerche e collaborato nella creazione di tre caratteri digitali che unissero i tre diversi sistemi di scrittura – arabo, latino e tifinagh – seguendo lo stesso linguaggio visivo e gli stessi principi estetici, in modo

Tracce nomadi

Nomadic traces

In Which I Dwell è un’installazione che usa la famiglia di caratteri Tubqal e le tecniche tradizionali berbere di gioielleria e ricamo. Progetto di Ghita Abi Hanna. — In Which I Dwell is a jewelry installation using the Tubqal font family and traditional Berber jewelry and embroidery techniques. Designed by Ghita Abi Hanna. Totem informativi progettati per la mostra da Richard Niessen e Lowies van Zanen. — Information totems designed for the exhibition by Richard Niessen and Lowies van Zanen.

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A project b r i n g i n g t o g e t h e r A r a b a n d E u r o p e a n d e s i g n e r s a n d a r t i s t s to create typefaces and objects celebrating the richness of Moroccan heritage through its scripts.

Interview with Huda Smitshuijzen AbiFarès by Silvia Sfligiotti

SF

Since 2005 you have been promoting the connections between European and Arab cultures with the Typographic Matchmaking projects. What was the impulse that got you started?

HSA The project I initiated with the Khatt Foundation started with the idea of bringing Arab designers into contact with European designers to help them develop their type design skills. At that time type design was not taught in art schools in the Arab world. When I began teaching in the early 1990s, I was faced with various shortcomings of the tools available to Arab designers, among which the lack of variety and quantity of well-designed digital Arabic fonts. The intent of the project was to create truly harmonious multi-script font families and a new model of collaboration between Western and Arab type designers. It has been repeated in three editions to date. SF

The type project was followed by the Nomadic Traces, Typographic Journeys exhibition, a reflection on the important role that typography and writings have played in defining the cultural identity of past and present civilizations, and on the migrational and transformative nature of writing and its ability to freely cross borders and cultures. Typography has become an intrinsic part of our public spaces and defines our multicultural and mobile way of life. The new generation of world citizens are the new nomads that carry with them the seeds of their original (visual) cultures and spread them along their paths. The exhibition takes writing into the fabric of everyday life, poetically linking the past with the present. It shows the wealth of Moroccan heritage through its three scripts, Arabic, Tifinagh and Latin, which constitute the core material for the production of new commissioned works by designers of various nationalities. The works reflect on and interpret with text and form the notion of contemporary nomads, referencing traditional crafts and their potential for contemporary design.

Can you describe the intent behind Typographic Matchmaking in the Maghrib, the most recent project in the series?

HSA A group of European (Spanish, French) and Arab (Lebanese, Moroccan, Tunisian) designers researched and collaborated on creating three digital font families that combined the Arabic, Tifinagh and Latin scripts to harmoniously work together following the same visual language and aesthetic principles. The fonts were inspired by the rich Maghribi and Andalusian calligraphic traditions.

Tracce nomadi

Nomadic traces

Manifesto della mostra Nomadic Traces, Typographic Journeys (dettaglio), progettato da Richard Niessen utilizzando i caratteri Elixir, Tubqal e Qandus. — Poster for the exhibition Nomadic Traces, Typographic Journeys (detail), designed by Richard Niessen, featuring the three font families Elixir, Tubqal and Qandus. © 2017 Richard Niessen

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Harare

Fontarte

Altrove


Il progetto delle forme

Designing forms Testo di

Modelli semiotici per il designertraduttore

Semiotic models for the designertranslator

Text by Emilio Patuzzo, Salvatore Zingale

Uno strumento teorico per riflettere sul processo traduttivo nel visual design è il modello semiotico elaborato da Louis Hjelmslev (1943). In questo modello ogni sistema di significazione viene suddiviso in due piani: Piano dell’Espressione e Piano del Contenuto, a loro volta nuovamente suddivisi in Forma e Sostanza. Ma prima di assumere una Forma, nel modello di Hjelmslev l’Espressione e il Contenuto sono pura Materia (Purport), inarticolata e informe, come sabbia in una spiaggia o come lo spettro indefinito dei colori, dove ogni tinta si confonde e compenetra con le tinte che la precedono o seguono. La Materia rappresenta tutto l’esprimibile e tutto il pensabile. — The semiotic model developed by Louis Hjelmslev in 1943 offers us a theoretical tool to reflect on the translation process in visual design. In this model, each signification system is placed on two planes: Expression and Content, which in turn are subdivided into Form and Substance. But before assuming form, in Hjelmslev’s model expression and content are pure Matter (Purport), inarticulate and shapeless, like sand on a beach or the indefinite color spectrum, where each shade blends and permeates with the colors that precede or follow it. Matter represents everything that can be expressed and thought.

Il progetto delle forme

Designing forms

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Lost & gained in translation

Le tante vite di La Jetée di Chris Marker Testo di

Text by Federico Antonini

Il luogo comune vuole che l’adattamento di un contenuto da un medium a un altro, per esempio la «riduzione cinematografica» di un libro in un film, sia un’operazione a perdere. I numerosi adattamenti e rielaborazioni di La Jetée, fondamentale cortometraggio di Chris Marker del 1962, dimostrano invece non solo un rapporto assai più complesso tra l’informazione di partenza e i nuovi supporti, ma anche la possibilità di un «guadagno» nell’intersezione tra linguaggio letterario, forma libro e immagine cinematografica.

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The many lives of Chris Marker’s La Jetée

Qui, altrove

Here, elsewhere

Although it is a common perception that adaptations from one medium to another, such as turning a book into a film often result in a loss compared to the original, the numerous adaptations and re-workings of Chris Marker’s classic short film La Jetée (1962), show not only a much more complex relationship between the starting situation and the new media, but even perhaps an improvement brought about by the meeting between literary language, book form and cinematic image.


Ispirato da Vertigo (1958) di Hitchcock e ispiratore de L’esercito delle dodici scimmie (1995) di Terry Gilliam, il film distopico di Marker è un montaggio sperimentale di alcune centinaia di fotografie più una breve sequenza in movimento, accompagnato dalle musiche di Trevor Duncan e dalla voce narrante di Jean Négroni. Nel 1993 La Jetée viene riproposto da MIT Press / Zone Books come libro in un progetto curato dal graphic designer Bruce Mau, ai tempi art director di Zone Books, in collaborazione con lo stesso Marker. Se i titoli di apertura del cortometraggio giocavano sulla natura del film annunciando un photo-roman (fotoromanzo), l’adattamento in forma libro modifica il sottotitolo in ciné-roman (cineromanzo) per sottolineare l’intermedialità del progetto. I ventotto minuti del montaggio originale vedono il protagonista muoversi in una Parigi divisa tra due piani temporali, prima e dopo un’apocalisse nucleare. Nelle sue incursioni nel passato incontra la donna il cui volto è l’unico ricordo della sua vita precedente. L’evoluzione della vicenda e un colpo di scena rivelano la circolarità del tempo della narrazione, uno degli aspetti più celebrati del film.

Inspired by Hitchcock’s Vertigo (1958) and inspirer of Terry Gilliam’s Twelve Monkeys (1995), Marker’s dystopian film is an experimental montage of several hundred photographs plus a short motion sequence, the whole accompanied by Trevor Duncan’s music and Jean Négroni’s narrating voice. In 1993 La Jetée was published as a book by MIT Press / Zone Books. The project was curated by graphic designer Bruce Mau, then arts director of Zone Books, in collaboration with Marker himself. If the opening titles of the short played on the nature of the film by announcing a photo-roman, the book form adaptation changed the subtitle to ciné-roman to emphasize the intermedial aspect of the project. The original film’s twenty-eight minutes see the protagonist move through a Paris split between two time phases, before and after a nuclear apocalypse. During his incursions into the past, he meets the woman whose face is the only memory from his previous life. The evolution of the story and a coup de scène reveal the circularity of the narration, one of the most acclaimed aspects of the film.

A destra e nella pagina accanto On the right and facing page Chris Marker, La Jetée, 1962. Frame dalla versione caricata su Vimeo. — Chris Marker, La Jetée, 1962. Frame from the Vimeo version. <vimeo.com/189997751>

Meme ispirato a un’immagine promozionale progettata dallo studio Rockerheads per una libreria antiquaria di San Paolo del Brasile, 2014. — Meme inspired by and designed by the Rockerheads studio for an antiquarian bookshop in São Paulo, Brazil, 2014.

Lost & gained in translation

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Xanti Schawinsky

D AL B AU HA U S A L L’ I TA L I A

F ROM BAUHAUS T O ITA LY — English text on p. 55

i caratteri perduti the lost typefaces 52

Qui, altrove

Here, elsewhere


Due caratteri tipografici inediti disegnati da Xanti Schawinsky negli anni Trenta raccontano come le m i g r a z i o n i d e i g r a f i c i hanno contribuito a disseminare le idee del Bauhaus e a mescolare le «scene» della grafica. Trenta e utilizzati nei suoi lavori italiani, sopravvissuti in pochi esemplari, per Olivetti e altri clienti dello Studio Boggeri.

Testo di Chiara Barbieri, Davide Fornari

Alexander Victor «Xanti» Schawinsky (Basilea 1904 – Locarno 1979) è stato un artista e designer svizzero, allievo del Bauhaus (a Weimar e Dessau) e in seguito docente al Black Mountain College (North Carolina). In fuga dalla Germania di Adolf Hitler, Schawinsky emigra nell’inverno del 1933 in Italia, dove trascorre tre anni collaborando con lo Studio Boggeri a Milano per i suoi illustri clienti. Seppur spesso nominato dalla storiografia della grafica italiana, Schawinsky è una voce quasi dimenticata della grafica modernista. Le sue opere sono state a lungo indisponibili e in parte disperse durante i numerosi trasferimenti dalla Svizzera alla Germania negli anni Venti, all’Italia, agli Stati Uniti, per tornare poi definitivamente in Europa soltanto negli anni Sessanta. Recentemente un rinnovato interesse verso l’opera di Schawinsky, anche in seguito alla fondazione dello Xanti Schawinsky Estate nel 2013 da parte degli eredi, ha dato impulso a una serie di mostre, principalmente dedicate alla sua attività di pittore e performer. Gli anni italiani di Schawinsky – a detta di storici e critici del design – sono stati tanto cruciali quanto poco studiati: non solo per la sua maturazione artistica, ma anche per l’impatto del suo lavoro sulla scena milanese degli anni Trenta. 1 Ricerche d’archivio hanno portato alla luce due caratteri tipografici disegnati da Schawinsky negli anni

Xanti Schawinsky: i caratteri perduti

Alfabeto 1932 venne disegnato da Schawinsky in Germania nel 1932 e successivamente pubblicato su un numero monografico della rivista «L’ufficio moderno» del 1935. 2 Il type designer Luca Pellegrini ha recentemente digitalizzato Alfabeto 1932 e ne ha prodotto un revival. 3 Lo xanti32 di Pellegrini corregge una serie di incongruenze nel set dei glifi del carattere originale, ma soprattutto ne completa la tabella, permettendo un confronto critico con altri caratteri stencil e modulari prodotti in Germania e Italia nello stesso periodo. 4 Un secondo carattere, un font display geometrico, venne disegnato da Schawinsky per la rivista «Tecnica e Organizzazione» edita dalla Olivetti soltanto dopo il suo soggiorno in Italia. La rivista era nota, ma la paternità della grafica e della tipografia sconosciuta fino a oggi. Progettata durante gli anni italiani del grafico, il primo numero di «Tecnica e Organizzazione» uscì solo a gennaio 1937. 5 L’inclusione della copertina della rivista nel portfolio inedito di Xanti Schawinsky grafico, insieme al confronto con altri utilizzi di questo carattere in una brochure Olivetti e sulla copertina di un numero speciale della «Gazzetta dello Sport» ne ha permesso la sicura attribuzione. 6

Poster realizzato con il set di stencil del carattere xanti32 di Luca Pellegrini. — Poster designed with the set of stencils for the typeface xanti32 by Luca Pellegrini. © Luca Pellegrini

Xanti Schawinsky: the lost typefaces

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Warszawa

Pouya Ahmadi

Altrove


Nuove immagini per divulgare

New images for popularizing and sharing knowledge

— English text on p. 67

Testo di Laura Bortoloni

Cosa succede alla c o m u n i c a z i o n e storytelling transmediale. Il concetto di transmedialità nelle narrazioni sta attraversando un momento fertile; l’utilizzo di più strumenti espressivi al servizio di un racconto non è una novità, ma lo è nell’accezione della convergenza 1 come pratica culturale. Cosa è cambiato? Gli strumenti: connessioni di rete veloci ci permettono di seguire corsi accademici a distanza; device e tecnologie digitali ci fanno sperimentare esperienze sensoriali inedite. Aumenta l’ampiezza dell’audience, aumenta l’esperienza possibile. La comunicazione della scienza è esemplificativa; i musei delle scienze reinventano i propri exhibit trasformandoli in esperienze interattive digitali, le dinamiche del gaming entrano nelle modalità della ricerca, le piattaforme editoriali scientifiche diventano open.

Nuove immagini per divulgare

della scienza

nell’era dello

Altri aspetti restano invariati: la necessità di un lessico che semplifichi senza tradire, di metafore per spiegare processi complessi in evoluzione, di un equilibrio tra correttezza e comprensibilità. Soprattutto, la necessità di modelli contemporanei con cui concretizzare lo shift da PUS (Public Understanding of Science) a PEST (Public Engagement with Science and Technology). 2 La ricerca della metafora più calzante per tradurre un concetto scientifico al grande pubblico percorre tutta la storia della divulgazione scientifica. Il meccanismo è noto: si tratta sempre di uno spostamento di significato, di un «trasloco» di senso da un ambito a un altro, nel tentativo di sfruttare un modello mentale noto all’ascoltatore facendolo aderire, per quanto possibile, a un

New images for popularizing and sharing knowledge

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Into Darkness © Arte France, Ex Nihilo, AudioGaming, Archer’s Mark, 2016.

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Qui, altrove

Here, elsewhere


La storia digitale è [anche] una questione di design Digital history is [also] a matter of design Testo di

Text by Giorgio Ruggeri

Quali forme può assumere la narrazione storica nel web? Come trasformare dati del passato in e s p e r i e n z e o n l i n e ? I progetti di storia digitale estendono il campo della comunicazione visiva verso terreni ancora poco esplorati. La storia digitale è [anche] una questione di design

What forms can history telling take on the Internet? How can information from the past be turned into o n l i n e e x p e r i e n c e s ? Digital history projects expand the field of visual communication towards uncharted territories. Digital history is [also] a matter of design

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NUM3R1

NUM3R4L5 Testo di

Text by Maria Rosaria Digregorio

Una ricostruzione ipotetica e parziale dell’evoluzione del concetto di numero e dei relativi sistemi di visualizzazione, dalla preistoria all’intelligenza artificiale. A hypothetical and partial reconstruction of the evolution of the concept of number and its visualization systems, from prehistory to artificial intelligence.

Mani e falangi usate per contare in base 12 e base 60 (12 × 5). — Hands and phalanges used to count in base 12 and base 60 (12 × 5).

86

Qui, altrove

Here, elsewhere

Numero/concetto Il concetto di numero si sviluppa nell’essere umano in un tempo antecedente all’invenzione della ruota, potenzialmente antico quanto quello della scoperta del fuoco e intrinsecamente legato all’evoluzione del linguaggio e della scrittura. Alla sua origine c’è la capacità di distinguere e designare il singolo, la coppia e il gruppo, dalla quale scaturiscono le primordiali nozioni numeriche di uno, due e molti, entità concrete inseparabili dagli elementi reali a cui si riferiscono, risposta atavica alla necessità pratica di quantificare il presente (contare le prede, misurare i confini) e al bisogno spirituale di ordinare il futuro (decifrare i movimenti degli astri a scopi divinatori, gestire la sequenza dei rituali religiosi). Numero/gesto La consapevolezza del concetto di numero si lega all’esigenza di esprimere le proprietà numeriche di ciò che si osserva, e lo strumento più immediato di visualizzazione dei valori è la mano, la più antica macchina da calcolo. Prima ancora di riuscire a identificare verbalmente i numeri, si riesce a contare fino a dieci usando le dita, fino a venti includendo anche i piedi. Non è casuale infatti la predilezione umana per il sistema decimale, e il retaggio di terminologie anatomiche nelle unità di misura (palmo, pollice, piede, braccio). Con la mano si arriva a contare anche fino a dodici o a sessanta usando le falangi, instaurando quella familiarità col sistema duodecimale e sessadecimale che permane nelle misurazioni delle unità tipografiche (punti e pica), del tempo (mesi, ore, minuti, secondi), e degli angoli (gradi, primi, secondi).

Number/concept The concept of number developed prior to the invention of the wheel, potentially as long ago as the discovery of fire and is intrinsically linked to the evolution of language and writing. At its origin is the ability to distinguish and name the individual, the couple, and the group, which gives rise to the primordial notions of one, two, and many concrete entities inseparable from the elements they refer to. It was an atavistic response to the practical need to quantify the present (count prey or measure boundaries, for example) and the spiritual need to sort out the future (decipher the movements of the stars for divinatory purposes, or establish the sequence of religious rituals). Numeral/sign Awareness of the concept of number is tied to the need to express the numerical features of what is observed, and the most immediate tool for displaying numbers is the hand, the oldest calculating machine. Even before you can figure numbers out verbally, you can count up to ten on your fingers, up to twenty including your feet. The preference for the decimal system is no more random than the legacy of anatomical terms found in units of measurement (palm, thumb, foot, arm). With the hand we can even count up to twelve or sixty using our phalanges, thereby establishing that familiarity with the duodecimal and sexagesimal system still used for measuring typographic units (points and pics), time (months, hours, minutes, seconds), and angles (degrees, firsts, seconds etc.).


Numero/simbolo L’utilizzo sempre più diffuso dei numeri determina la necessità di registrare le informazioni comunicate effimeramente attraverso i gesti o la parola. Si utilizzano raggruppamenti di pietre, successioni di nodi o sequenze di tacche inizialmente basate su semplici ripetizioni di uno stesso segno, forme embrionali di contabilità e scrittura che fanno del punto e della linea il loro alfabeto. I sistemi additivi si affinano con l’introduzione di segni che moltiplicano il valore delle ripetizioni, e lentamente si evolvono in sofisticati sistemi posizionali in cui l’invenzione rivoluzionaria dello zero – introdotto indipendentemente dai Babilonesi, dai Maya e dagli Indiani – permette di legare il valore del segno al suo posto nella notazione, in un processo di graduale astrazione che svincola il numero dall’onere di visualizzare didascalicamente la quantità rappresentata e gli conferisce lo status di simbolo. Nell’efficiente sistema indiano – messo a punto circa quindici secoli fa e progenitore di quello moderno – con soli dieci segni si riesce a scrivere qualsiasi cifra. I numeri indiani giungono in Europa grazie agli Arabi dopo la caduta dell’Impero Romano, diventando determinanti per i progressi scientifici del Medioevo e del Rinascimento. L’invenzione della stampa a caratteri mobili contribuisce a normalizzarne l’uso e standardizzarne gradualmente le forme. Umani > Numeri > Macchine Il perfezionamento delle capacità di calcolo si rispecchia nella tendenza ad utilizzare i numeri per astrarre il ragionamento, fino a renderlo comunicabile al di là della sfera umana. Il sistema binario, basato sull’alternanza di due soli valori, permette di esplicitare una corrispondenza biunivoca tra vero / falso > 1 / 0 > acceso / spento. Tramite questo processo di codifica, una lista di istruzioni per risolvere un problema può essere convertita in una sequenza di operazioni matematiche eseguibili da circuiti elettrici, traducendo il ragionamento deduttivo elaborato dal pensiero umano in un linguaggio comprensibile ai computer. Il più elementare dei sistemi di numerazione, derivato dall’arcaico riconoscimento del sé e dell’altro, fa funzionare macchine in grado di risolvere calcoli vertiginosamente complessi, macchine sempre più capaci di apprendere automaticamente dall’analisi di grandi quantità di dati sfruttando le regole della statistica e del ragionamento deduttivo, macchine che usano i numeri per quantificare l’esperienza e imparare da essa, non dissimilmente dal primo essere umano che ha iniziato a contare.

NUM3R1

NUM3RAL5

Numeral/symbol The widespread use of numerals determined the need to record the information communicated temporarily through gestures or word. Groups of rocks, successions of knots or sequences of notches initially based on simple repetitions of the same sign were used. These were embryonic accounting and writing forms that made point and dash their alphabet. Methods of addition were refined with the introduction of signs that multiplied the value of the repetitions. These slowly evolved into sophisticated place-value systems in which the revolutionary invention of the zero – introduced independently by Babylonians, Mayans and Indians – made it possible to fix the value of the sign in its place in the notation, in a gradual abstraction process that released the number from the need to visualize the amount represented and giving it a symbolic status. In the efficient Indian system – perfected some fifteen centuries ago and progenitor of the modern one – just ten digits enabled you to write any quantity. Indian numbers filtered through to Europe via the Arabs after the fall of the Roman Empire, and were decisive to the scientific advances of the Middle Ages and the Renaissance. The invention of mobile type helped spread their use and gradually standardize their forms. Humans > Numbers > Machines As calculating skills were perfected, numbers began to be used to abstract reasoning to the point that it became communicable beyond the human sphere. The binary system, based on the alternation of two single values, enables you to specify a biunivocal match between true / false > 1 / 0 > on / off. Through this coding process, a list of instructions on how to solve a problem can be converted into a sequence of mathematical operations that can be carried out by electrical circuits, translating the deductive reasoning developed by human thought into a language a computer can understand. The most elementary of numeration systems, derived from the archaic recognition of self and the other, activates machines that can solve dizzyingly complex calculations; machines that are increasingly able to learn automatically by analyzing large amounts of data following the rules of statistics and deductive reasoning; machines that use numbers to quantify experience and learn from it, not unlike the first human beings who began counting.

Visualizzazione del connettivo logico AND come diagramma di Eulero-Venn e circuito elettrico, con relative tabelle di verità. Corrispondenza V=vero / F=falso > 1 / 0 > acceso / spento. — Visualization of the logical operator AND as Euler-Venn diagram and electrical circuit, with related truth tables. V=true / F=false > 1 / 0 > on / off correspondence.

Riferimenti bibliografici e iconografici Bibliography and iconographic references Carl B. Boyer, Storia della matematica, Mondadori, 2000. Ed. orig. A History of Mathematics, Wiley, 1968. Chris Dixon, How Aristotle Invented Computer, «The Atlantic», 20 marzo 2017. <theatlantic.com/technology/archive/2017/03/ aristotle-computer/518697/> Georges Ifrah, From One to Zero: A Universal History of Numbers, Penguin Books, 1987. Ed. orig. Histoire universelle des chiffres, Editions Seghers, 1981.

Questa doppia pagina e la successiva This spread page and the next one Mani di Till Teenck / Noun Project, altre illustrazioni dell’autrice. — Hands by Till Teenck / Noun Project, other illustrations by the author.

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Lettere dal carcere

Letters from jail — English text on p. 91

Testo di Mauro Tosarelli

Il ruolo della comunicazione segreta palestinese nelle carceri israeliane. Aprile 2017. Mentre scrivo questo articolo 1500 prigionieri politici palestinesi sono entrati in sciopero della fame nelle carceri israeliane chiedendo il rispetto dei loro diritti di detenuti, in particolare la possibilità di ricevere visite regolari dalle famiglie, l’accesso ai telefoni e la garanzia di adeguate condizioni di assistenza sanitaria. I permessi per ricevere visite dovrebbero essere concessi ogni due settimane, ma vengono negati per periodi molto più lunghi, impedendo a padri, figli, compagne e sorelle di vedersi per mesi o anni. Ghassan, rilasciato da due mesi al momento del nostro primo incontro, mi mostra una foto che lo ritrae col padre e mi dice che è stata scattata la prima volta che gli fu permesso di rivederlo dopo due anni di carcere senza visite. Dopo l’arresto, i palestinesi non sono incarcerati in Cisgiordania, ma vengono deportati in Israele. Questo trasferimento illegale allontana i detenuti dal loro luogo

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Qui, altrove

Here, elsewhere

d’origine, dalla loro casa e dai loro affetti, negandogli volontariamente la possibilità di mantenere rapporti stabili con l’esterno. Il muro costruito da Israele che circonda la Cisgiordania rappresenta un ulteriore ostacolo da superare e ulteriori permessi da richiedere per attraversarlo. In un contesto in cui viene negata ai detenuti la legittima possibilità di incontrare di persona i propri cari, di parlarsi e toccarsi, la scrittura assume un nuovo significato: diventa l’unica connessione possibile con chi sta fuori, l’unico modo per difendere affetti e relazioni. Questo articolo vuole esplorare il valore politico e affettivo della comunicazione scritta in carcere attraverso le testimonianze raccolte in Cisgiordania negli ultimi mesi del 2016.

Fotografia scattata la prima volta che Ghassan e il padre hanno ricevuto il permesso di vedersi dopo due anni di carcere senza visite. — Photograph taken the first time Ghassan and his father are given a permit after two years without any visits.


Karim, ex giornalista conosciuto a Tulkarem, un mese dopo essersi fidanzato viene arrestato; incarcerato in detenzione amministrativa (forma di detenzione senza accusa né processo) non ha diritto a ricevere visite. L’unico modo per restare in contatto con la fidanzata è scriverle delle lettere. Tuttavia l’unica forma di comunicazione scritta concessa dall’amministrazione ai detenuti è un sistema di lettere regolato dai Servizi Segreti Israeliani: vengono chiamate cartoline per via della forma e dimensione e, prima di uscire dal carcere, devono passare attraverso la censura israeliana. I detenuti sanno che qualunque cosa scriveranno sarà letta dai Servizi Segreti, così come ogni informazione sul destinatario. Lo spazio per scrivere è poco e il tempo che le cartoline impiegano per raggiungere casa sempre troppo. Sono pochi i detenuti disposti ad accettare queste condizioni. Nel corso degli anni i prigionieri hanno sviluppato un sistema autonomo e segreto per comunicare, lo stesso che usò Karim per scrivere alla sua compagna. È quello delle capsule, chiamate così per via del metodo utilizzato per conservarle e trasportarle. Dopo essere state scritte, le lettere vengono ripiegate e arrotolate fino a dargli le dimensioni di una supposta e poi avvolte nella plastica per renderle impermeabili. In questa forma vengono passate di mano in mano, nascoste o trasportate fuori dal carcere. Per uscire dalla prigione le lettere vengono consegnate a un detenuto che sta per essere rilasciato, l’unico ponte tra il dentro e il fuori quando le visite sono vietate. Il detenuto ingoia la capsula e la trasporta all’interno del proprio corpo, il solo posto in cui non potrà essere perquisito al momento del rilascio. Una volta fuori potrà cercare il destinatario e consegnare la lettera. Durante tutti i dieci mesi di detenzione senza visite, Karim ha usato questo sistema per scrivere alla compagna.

A.N. mostra la foto del fratello Mahmoud, arrestato la sera precedente. 1 Novembre 2016. — A.N. shows a photo of his brother Mahmoud, arrested the previous evening. November 1, 2016. Karim e la sua compagna il giorno del loro matrimonio, dopo 10 mesi di detenzione senza visite. — Karim and his fiancée on the day of their wedding, after 10 months detention without visits. Cartolina, l’unica forma di comunicazione scritta ammessa dall’amministrazione carceraria, fronte e retro. — Postcard, the only form of written communication allowed by the prison administrators, front and back.

Lettere dal carcere

Letters from jail

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Chicago

Zero Per Zero

Altrove


Traduzione, risografia, materialismo

Translation, Risography, Materialism Testo e immagini di

Text and images by Friends Make Books (Joe Miceli, Lina Ozerkina)

La riproduzione di immagini non sfugge all’imbarazzo che il design contemporaneo deve affrontare quando si confronta con il tema della traduzione. Nel campo della risografia, la diffusa dipendenza da immagini tradotte coincide con il trascurare la loro natura di riproduzioni, un fallimento generale nel considerare correttamente le differenze introdotte dalla tecnologia di stampa Risograph.

Image reproduction does not escape the embarrassment that faces contemporary design disciplines when confronted with the problem of translation. In the risographic world, widespread dependence on translated images coincides with neglect of their status as reproductions, a general failure to take into account the differences introduced by the Risograph printing process.

La tecnologia Risograph porta allo scoperto un idealismo di fondo nella stampa ponendo attenzione sulle qualità materiali delle riproduzioni, sulle loro forme visive e comunicative, sui diversi significati e funzioni che acquisiscono grazie proprio al differente metodo di stampa. Per questo la stampa risografica offre ai designer un’opportunità di auto-critica, di analisi delle pratiche e delle convenzioni di stampa e un ripensamento delle tecniche in uso in funzione dell’interpretazione e traduzione delle immagini.

Risographic printing exposes a fundamental idealism in printing by calling attention to the material conditions of printed reproductions, their optical and communicational forms and the different meanings and functions they come to possess thanks to different printing methods. Thus risographic printing offers designers an opportunity for self-criticism, scrutiny of printing practices and conventions and a rethinking of current techniques in the interpreting and translating of images.

Il nostro obiettivo è affrontare la mancanza di attenzione verso il tema della traduzione nella stampa Risograph adottando un approccio materialista che non muta il progetto di riprodurre immagini ma lo

Traduzione, risografia, materialismo

Our aim is to challenge the neglect of translation in risographic printing by taking a materialist approach, one that does not abandon the project of image reproduction but grounds it in the difference that translating opens in the materiality

Translation, Risography, Materialism

Roberto Fassone, 35 Alternate Covers to This Book, Friends Make Books, Torino, 2016.

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Chaîne graphique

— English text on p. 105

Un’esplorazione del flusso Exploring the workflow di lavoro Testo di Davide Fornari

Chaîne graphique, letteralmente «flusso di lavoro», è un’espressione normalmente usata nel mondo della grafica per indicare le operazioni e i professionisti coinvolti nella produzione di artefatti visivi d a l l ’ i d e a a l l a f i n a l i z z a z i o n e . Un processo al centro di un progetto di ricerca dell’ECAL. 104

Qui, altrove

Here, elsewhere


Grazie ai software per il design digitale e alle infrastrutture di stampa digitale, il flusso di lavoro della grafica si è nel tempo segmentato sempre più, allargando il divario fra stampatori e designer. Lo studio di grafica svizzero Maximage ha esplorato le aree grigie all’interno del flusso di lavoro attraverso una serie di pubblicazioni (sia digitali che stampate) intese come strumenti per tutti i portatori di interesse nel campo del progetto grafico. Il progetto Chaîne graphique è particolarmente significativo in un momento in cui il diritto ad esistere di alcuni tipi di stampati di produzione seriale, come i libri, è un argomento di discussione abituale, così come l’ipotesi che siano destinati a sparire, superati dalla tecnologia. Di fronte a questi divari crescenti – sia tra designer e i loro desideri sia tra il progetto immaginato e l’automatismo delle macchine – Maximage ha provato a dare una risposta a queste domande implicite attraverso una serie di esperimenti originali, tipici della ricerca in design, che esplorano il significato specifico di questo tipo di oggetti stampati in termini materiali: inchiostri, carte, tecniche di stampa. Il progetto mira a mettere in luce certi sviluppi tecnici e a creare legami tra designer e stampatori, offrendo loro nuove procedure e dotandoli di mezzi per emergere in un mercato estremamente competitivo. Lo scopo è offrire una comprensione pedagogica della stampa come medium, e produrre strumenti – una specie di collana di manuali – destinata a progettisti grafici, studenti e stampatori. Nato da un workshop tenuto da Maximage e Körner Union nel 2011, dedicato alla sperimentazione in stampa offset per insegnare a studenti del primo anno di Comunicazione visiva come giocare con il sistema colori CMYK in stampa, ha portato alla pubblicazione di Formula Guide. Special Colors for Offset Printing. 1 Il progetto si è ulteriormente evoluto verso un’esplorazione di altri settori del progetto grafico, come i retini e la loro gestione in stampa, al centro di Raster Guide. Special Halftones for Offset Printing. 2 Come conseguente sviluppo digitale, Color Library è un database di profili colore per artisti, designer, fotografi e stampatori in cerca di nuove soluzioni professionali per la gestione del colore. Color Library offre un’ampia varietà di combinazioni di colore, dalle tinte metalliche ai colori neon e pastello. 3 Immagini del libro Raster Guide. — Images from the book Raster Guide. Photo © Nicolas Polli Immagini del libro Formula Guide. — Images from the book Formula Guide. Photo © ECAL

Chaîne graphique

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As a consequent digital development, Color Library is a database of color profiles for artists, designers, photographers and printers looking for new professional solutions to color management. Color Library offers a wide variety of color combinations, from metallic to neon and pastels.3 The website was launched in 2014 after a workshop held at ECAL by Franz Sigg (a faculty member of RIT, Rochester Institute of Technology) and Maximage. The library was initially developed for experimental purposes and eventually extended to create an online platform for development and distribution. This non-profit website has a dual purpose: to offer an innovative tool to artists, designers and printers and to raise student awareness of color theory and management. All revenue from the Color Library is reinvested in research and development. The final stage of the ongoing research project involves publishing a selection of experiments carried out both in the workshop and the print works, along with a series of texts that seek to contextualize these visual tasks by placing them within a social, historical, scientific context.

Chaîne graphique / Workflow is a research project (2014 - 2017) financed by the strategic fund for design and visual arts at the University of Applied Sciences and Arts of Western Switzerland (RCDAV HES-SO) and by ECAL University of Art and Design Lausanne. The project is led by Guy Meldem and Tatiana Rihs, together with David Keshavjee and Julien Tavelli; research assistant: Chi-Long Trieu; printer: Benjamin Plantier; contributions by: Shirana Shabazi, Franz Sigg, Thomi Wolfensberg.

Immagini dal sito web <colorlibrary.ch>. — Images from <colorlibrary.ch>. Photo © Maximage / ECAL

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Qui, altrove

Here, elsewhere

1 Maximage & Körner Union, Formula Guide. Special Colors for Offset Printing, ECAL, Renens 2011. 2 Maximage, Raster Guide. Special Halftones for Offset Printing, edited by Marietta Eugster, ECAL, Renens 2015. 3 Maximage, Color Library. Automated Color Separation, <colorlibrary.ch> (last accessed: June 15, 2017).


Out of sync Alterazioni spaziotemporali tra figura e sfondo Alterations in space and time between figure and background

Testo di

Text by Claude Marzotto, Maia Sambonet

Piccola fenomenologia degli effetti di p r o s s i m i t à , d i s t a n z a e d i s l o c a z i o n e all’interno dell’immagine fotografica. Out of sync

A brief phenomenology of the effects of p r o x i m i t y, d i s t a n c e a n d d i s p l a c e m e n t in photography. 109



Testo di Federico Novaro

«Handkerchief» è una rivista fondata da cinque studenti dell’ISIA di Urbino e dedicata al contrasto dell’omofobia: ha ricevuto il premio della giuria agli European Design Award 2016 per il suo impatto sociale.

HANDKERCHIEF

Una rivista che non si confronta col mercato, cos’è? Riviste gratuite n’è pieno il mondo e la storia; di solito compensano i mancati introiti – e il confronto dirimente col potere economico del proprio pubblico – con la pubblicità o con l’idealismo.

Una non rivista sull’omofobia che sfida le norme dell’editoria. A non-magazine about homophobia that challenges standard editorial practices. — English text on p. 126

Handkerchief

Quanto orienta, nelle scelte grafiche, nella selezione dei materiali testuali e iconografici, la necessità di un riscontro economico? Quando si progetta una rivista settoriale ci si muove su una linea che va da ciò ch’è stato e ciò che si immagina – si spera – sarà; il confronto con le esperienze precedenti orienterà le scelte; le scelte precedenti diventano – oltre la loro efficacia – linguaggio con il quale fare i conti; questo è più vero tanto più la settorialità è stretta, tale da creare un doppio codice comunicativo, uno palese, comune, e uno nascosto, alluso, criptato. È possibile eludere il pregresso, uscire dai codici? Quanto lo slittamento da un codice pregresso o la sua scotomizzazione muta il pubblico che sarà raggiunto dalla comunicazione? «Handkerchief» si pone al centro di queste questioni, nella pratica e nel risultato. Prima di descriverlo è bene citare integralmente un testo pubblicato in copertina sul numero 3 della rivista: «Questo stampato è distribuito gratuitamente,

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Testo di Tommaso Trojani

Symbol è il carattere tipografico che rappresenta la rivalsa di Aldo Novarese sul gruppo di grafici riunito per supervisionare l’operato dello studio artistico Nebiolo a partire dal 1965. A metà degli anni Sessanta l’era del carattere tipografico era al tramonto. Malgrado gli sforzi profusi dalle fonderie nella creazione di tipi attraenti, il mercato sostituiva la leggerezza della fotocomposizione al peso del metallo. 1

DESIGNER, UN CARATTERE PROFUMATO A FRAGRANT TYPE — English text on p. 134

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Fuori tema

Off Topic

L’italiana Nebiolo 2 affrontò la crisi come poteva. Franco Etzi-Coller, Franco Camera e Franco Mosca 3 furono concordi nel chiedere a un gruppo di grafici – opinion leader capaci di dettare la linea che sarebbe stata seguita dal “compositore tipografo” 4 – di supervisionare l’operato dello studio artistico, diretto unicamente da Aldo Novarese fin dal 1952. I membri dell’equipe che avrebbe reso concorrenziale il prodotto e rilanciato l’immagine aziendale che aveva perso aderenza coi tempi furono selezionati da Pino Tovaglia. Dapprima il gruppo riunì Tovaglia, Franco Grignani e Aldo Novarese, successivamente presero posto al tavolo di discussione anche Giancarlo Iliprandi, Bruno Munari, Ilio Negri, Till Neuburg e Luigi Oriani.


Nel primo incontro tenutosi a Torino il 22 maggio 1965, emerse l’incompatibilità di vedute che fece da sfondo a tutta la vicenda. All’affermazione di Etzi-Coller «Non pretendiamo che qualcuno di voi venga alla lavagna e ci serva caldo un carattere nuovo, perché allora la nostra funzione cesserebbe. Però, almeno in termini di ricerca, vorremmo avere un’indicazione delle vostre tendenze», seguì la presa di posizione di Grignani «Alla Nebiolo interessa nel futuro preparare dei caratteri che non siano dei fatti personali, ma tipi universali […] Noi siamo dei tipografi che usano pochi caratteri, caratteri che rappresentano lo spirito, l’architettura della grafica moderna. Chi disegna sempre caratteri non può conoscere i segreti di un’altra parte del mondo che si occupa invece di altri problemi visivi». 5 Novarese si astenne da qualsiasi commento. Seguirono circa cinquanta incontri in una decina d’anni – ai quali tutti partecipavano in cambio di un gettone aureo di presenza 6 – cui obiettivo era dar vita al «nuovo» carattere lineare italiano. In ogni caso, a decorrere dal 1965 l’equipe affiancò Novarese in tutte le attività che, fino a quella data, egli aveva svolto in assoluta autonomia. Le immagini sono eloquenti, durante gli incontri Novarese era adombrato, nervoso ed emaciato al punto da rassegnare le dimissioni nel giro di pochi anni. 7

Primo incontro tra Novarese, Tovaglia e Grignani, Torino, 22 maggio 1965, da «Qui Nebiolo», n. 10 («Qui Forma»), 1969. — First meeting between Novarese, Tovaglia and Grignani, Turin, May 22, 1965, from Qui Nebiolo, No. 10 (Qui Forma), 1969. Designer I – studio, da «Qui Nebiolo», n. 10 («Qui Forma»), 1969. — Designer I – study, in Qui Nebiolo, No. 10 (Qui Forma), 1969. Designer V – studio, da «Qui Nebiolo», n. 10 («Qui Forma»), 1969. — Designer V – study, in Qui Nebiolo, No. 10 (Qui Forma), 1969.

Immagini Images Per gentile concessione del Fondo Nebiolo – Centro storico Fiat, Torino Courtesy of Fondo Nebiolo – Centro storico Fiat, Turin

Designer, un carattere profumato

Designer, a fragrant type

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Qui, altrove

Here, elsewhere

A cura di Serena Brovelli, Claude Marzotto, Silvia Sfligiotti

Edited by Serena Brovelli, Claude Marzotto, Silvia Sfligiotti

In questo numero di «Progetto grafico» ci proponiamo di indagare le diverse modalità in cui la relazione tra un qui e un altrove – di volta in volta punto di partenza e destinazione, fonte e rielaborazione, lingua madre e straniera… – si dispiega all’interno della comunicazione visiva, alimentando processi di trasposizione a livello di forme e contenuti, codici, stili, media e contesti.

In this issue of Progetto Grafico we aim to investigate the different ways in which the relationship between a here and an elsewhere – both starting points and destinations, sources and reworked versions, mother tongue and foreign language … – unfolds within visual communication, fostering transposition processes of form and content, codes, styles, media and contexts.

ISSN 1824-1301

15 € (Italy) 17,50 £ (UK) Poste italiane s.p.a. – Spedizione in abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. In L- 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1. DCB Milano


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