L’identità perduta dei luoghi di Massimo Muciaccia
recensione del libro “La Roma latente” di Franca Feritti, Prospettive edizioni La perdita dei luoghi, causa dello smarrimento dell’uomo, può essere definita perdita del “genius loci” e di tutte quelle prerogative che rendono una città e un territorio riconoscibile da chi lo vive e lo attraversa. Il “genius loci” o altrimenti “coscienza di luogo” per Alberto Magnaghi, si può definire (in termini elementari) come collocazione, configurazione spaziale e articolazione propria di un luogo o parte di esso, nelle sue peculiarità immanenti e trascendenti. Questi aspetti rimangono fondamentali per l’orientamento e l’identificazione dell’uomo nel suo habitat, assieme alle proprietà strutturali primarie come il tipo di insediamento o le modalità di costruzione che distinguono il comportamento umano da quello animale. Per Aldo Rossi la perdita di identità è simbolo dell’alienazione causata dalla marginalità; propone quindi una immagine della città come “locus della memoria collettiva”, in cui spesso la periferia diventa la narrazione mitica dove poter ritrovare memoria storica e ambientale. Per la Feritti il tempo e lo spazio costruiti dalla luce fanno scaturire il desiderio di conoscere, decifrare un paesaggio e ricercare un’identità “latente”, nascosta ma ancora presente, all’interno di realtà territoriali anche storicamente escluse. La cancellazione dei luoghi, avvenuta pian piano negli anni, risulta una sorta di “deserto dello sguardo” che tramutando la campagna in tabula rasa, trasforma infine la natura in un supporto insignificante e degradato. Si cerca con nostalgia la campagna che non c’è più e quella che “resiste” diventa luogo mitico dove sperare di trovare o ritrovare la Memoria. Il limite e la desolazione che testimoniano il paesaggio anonimo più o meno lontano dai centri storici sono l’emblema della città esterna del “nonluogo”, in cui la campagna vera è soltanto quella presente nella nostra psiche (cerebrale, emotiva, spirituale…). Dobbiamo accontentarci delle luci dei bar, dei tralicci di una stazione o sperare in un arcobaleno che sancisce un nuovo patto tra l’uomo e la natura? Le città anonime rimandano a scorci metafisici (Sironi, De Chirico, Hopper) e in questi contesti la presenza dell’uomo è sempre rara. Il tempo è sospeso dalla luce di mezzogiorno o dalle pietre delle case che relegano gli uomini dietro i muri, chiusi nella loro “dittatura dell’oblio” come comparse sempre più a disagio nella vita quotidiana. “La Roma latente, nella ciclicità del rapporto natura-progetto” di Franca Feritti (Prospettive edizioni) è un libro di grande interesse, sicuramente da leggere per l’attualità e per le dettagliate, chiare argomentazioni dell’autrice, nonostante l’esposizione specialistica dei temi trattati. Roma, settembre 2013 arch.massimo.muciaccia@gmail.com