La perdita del luogo Alienazione del significato e dell’identità di Massimo Muciaccia
“Si deve dire che questo mondo è un essere vivente, dotato di anima e di intelligenza, creato dalla provvidenza del dio”. Platone
Le mie riflessioni e considerazioni che seguono, sono state trattate volontariamente in termini generali, in considerazione della complessità dei temi presenti nel piccolo-grande libro di Franca Feritti “La Roma latente” (Prospettive Edizioni), che ha il pregio di aprire “spiragli d’altre dimensioni della mente”, in una situazione ormai consolidata ed evidente ove manca una cultura del progetto di luogo è prolifica invece una regola immobiliarista. Relazione di introduzione alla presentazione del libro “La Roma latente nella ciclicità del rapporto natura-progetto” di Franca Feritti. I lunedì dell’Architettura IN/ARCH-Roma, 18/03/2013
Lo smarrimento del “Genius Loci” è la conseguenza della trasformazione del concetto di luogo in semplice spazio. Lo spirito, l’anima del luogo, l’interiorità e quindi la sua individualità rende una città “semplicemente una vera città”, un paesaggio riconoscibile da chi lo abita, altrimenti abbiamo lo smarrimento dell’uomo e della sua identità. Il “Genius Loci” si manifesta come collocazione, configurazione spaziale e articolazione caratteristica del territorio. Questi aspetti sono gli oggetti dell’orientamento e dell’identificazione umana, insieme naturalmente alle proprietà strutturali primarie, come il tipo di insediamento o le modalità di costruzione. L’ambiente finisce col forgiare il carattere, l’indole e perfino le fattezze dell’uomo che vi nasce o sceglie di abitarvi. Jung attraverso gli studi della moderna psicologia sulla relazione tra anima e luoghi, tendenti a dimostrare che il luogo in cui si è vissuti a lungo ha un valore fondante per la psicologia dell’individuo, anche inconsciamente, che lo accompagna per il resto della vita. Questo luogo interiore è assimilabile ad un archetipo, cioè la forma preesistente e primitiva di un pensiero presente nell’inconscio umano. Franco Purini: “…fa pensare quanto sia appropriata e illuminante l’ipotesi su Roma che Sigmund Freud ha formulato nel suo ‘Il disagio della civiltà’ quando antepone l’essenza di Roma stessa come una ‘entità psichica’ alla sua realtà fisica”. “Ogni luogo esiste proprio perché è sacro, perché nel suo centro ripete la struttura del cosmo e della sua generazione a partire dal centro e perché nella sua apertura che interrompe la distesa amorfa dello spazio profano mette in comunicazione la totalità del Cosmo: per questo un mondo di luoghi è un ‘Mondo carico di messaggi’, che ‘vive’ e ‘parla’”. (Giovanni Ferraro)
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La ricerca progettuale di Frank Lloyd Wright, Ove Arup e James Stirling verte nel riportare alla luce aspetti rimossi, rielaborandoli e attualizzandoli. Per Aldo Rossi l’estraniazione degli oggetti in generale, è simbolo dell’alienazione della periferia con i suoi spazi vuoti di tutto. Quest’ultimo propone quindi una immagine della città come “locus della memoria collettiva”, dove la periferia cosiddetta generica, quella ad esempio esaltata da Rem Koolhass, può diventare il luogo mitico in cui poter ritrovare la propria memoria, “luogo-non luogo” dove al meglio, o al peggio, viene rappresentato dai moderni e contemporanei, la vuotezza del messaggio attuale. I luoghi sono più forti delle persone e la scena fissa è più forte della vicenda, o della “narrazione della città”. Il problema sono gli “spazi dimenticati dalla storia”; questi spazi possono, anzi devono, divenire in sintonia con lo spirito dei luoghi, il punto di vista privilegiato di una scena prospettica ancora sconosciuta. Lo spazio della rappresentazione coincide con la rappresentazione dello spazio, giungendo ad essere il fondamento teorico di un lavoro di riqualificazione dei luoghi costruiti. Per James Hillman i luoghi hanno un’anima da scoprire e valorizzare: “Un tempo, nell’antichità le potenze apparivano in luoghi specifici: sotto un albero, presso una sorgente, un pozzo, su una montagna in un pianoro, all’ingresso della tana di un serpente: Gli uomini circondavano il luogo di pietre: per proteggere la sua interiorità: Nascevano i templi consacrati a queste divinità, ritualizzando il Genius Loci si fondavano le città”. Oggi avviene il contrario, si cela l’interiorità dei luoghi dimenticando completamente che c’è una loro topografia dinamica, interiore, fatta di sentimenti e memorie, figure e forze, fantasie e pensieri. Le culture tradizionali erano infatti animate da una interpretazione sacrale del territorio. Ogni angolo del pianeta presenta una propria manifestazione simbolica. Ogni luogo in cui gli uomini abbiano lasciato segni anagogici della loro presenza o del loro passaggio, ha una propria identità. Rispettare un territorio, proteggendolo ecologicamente, invece di violentarlo significa quindi permettere alla sua energia di vivere nel tempo e giungere alle generazioni future. Anche l’esercizio del pensiero, si pensava anticamente, che non fosse disgiunto dallo spazio-luogo in cui si abitava e che determinasse gli atteggiamenti stessi degli esseri umani. L’oikos greco, quale senso della dimora della manifestazione dell’essere, poneva il “senso del limite” comunitario del vivere associato, in assoluta simbiosi con le risorse naturali del luogo, sia in merito alla cultura materiale che a quella spirituale e quindi culturale. Se Hillman ci indica un punto di vista filosofico, psicologico ed esistenziale della necessità di salvaguardare un luogo, Kevin Lynch ci apre ad una lettura delle città dal punto di vista della percezione dell’immagine ambientale nel suo insieme; considerando la città una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corso di lunghi periodi di tempo. “(…) Se ambiente significa, letteralmente, ciò che c’è intorno, allora si deve intendere tutto, ma proprio tutto ciò che c’è intorno. La psiche pesca i rottami che galleggiano nell’ambiente e li consegna al sogno. Il sogno, l’impianto di riciclaggio dell’ambiente, trova nella spazzaturai valori dell’anima. Il sogno: un artista che si appropria di immagini presenti nell’ambiente per richiamarle alla memoria più tardi, in pace. (…) Dovremmo ampliare la nozione di ambiente nel senso di una ‘ecologia del profondo’, (…) poiché qualunque cosa abbiamo intorno può nutrire la nostra anima in 2
quanto alimenta l’immaginazione. (…) L’ambiente è intriso di anima inestricabilmente fuso con noi”. (James Hillman) Il tempo e lo spazio costruiti dalla luce, sospendono la vita relegandola dietro agli edifici che a sbalzo fuoriesce, ma sempre in modo marginale rispetto agli oggetti che catturano immediatamente l’attenzione. Desiderio di conoscere, decifrare un paesaggio e ricercare un’identità territoriale all’interno di realtà storicamente escluse. Così la cancellazione del paesaggio è avvenuta pian piano, prima materialmente, per poi insinuarsi nella percezione dello stesso paesaggio. Una sorta di “deserto dello sguardo”, che ha frantumato la campagna, ma anche i centri storici, trasformando la natura in un oggetto plastificato usa e getta. Si cerca la campagna che non c’è più, o meglio quella che “resiste” tra le colate di cemento e diventa luogo mitico dove cercare di ritrovare la propria memoria, una memoria che vive nelle periferie, quei “non luoghi” in cui meglio viene rappresentata la pochezza e le caratteristiche del paesaggio contemporaneo. Il limite e la desolazione, ma non solo, che testimoniano il paesaggio anonimo, quello lontano dai centri storici, sono l’emblema della città estrema, in cui la campagna, indagata come “bordo urbano” non esiste lontana dagli occhi, ma è così entrata nella nostra interiorità causando la perdita del nostro “luogo interiore più intimo”. Le luci dei bar, i tralicci di una stazione o un arcobaleno, danno dignità al brutto. La presenza umana, in questi contesti è sempre relativa, le città vuote rimandano a scorci metafisici, il tempo è bloccato dalle luci dei neon o dalle pietre delle case che relegano gli uomini dietro i muri o in secondo piano rispetto agli oggetti del quotidiano che catturano l’attenzione. Scrive Claudio Saragosa: “Credo che ogni ‘Luogo della Terra’ abbia prodotto, nella sua evoluzione un linguaggio di configurazioni spaziali che, se reso operante e anche ulteriormente evoluto, possa garantire la costruzione di uno spazio denso , vitale, possa garantire la qualità identitaria del Luogo. Rispetto allo spazio, il territorio dell’uomo si forma con un processo ben definito che comprende alcuni atti fondamentali. (…) Oggi non c’è più il recupero dei sedimenti cognitivi e materiali del passato, anzi c’è la loro negazione e il processo si esplica producendo fenomeni quali la ‘de-contestualizzazione’ e il ‘degrado’. (…) Il territorio viene trattato come un mero supporto di un sistema di attività economiche insediate secondo regole astratte dalla natura, dalla qualità e dall’identità dei luoghi. “Il ‘territorio’ non esiste in natura, in quanto è il prodotto storico di atti culturali dell’uomo in relazione dialettica e coevolutiva con l’ambiente naturale”. (Alberto Magnaghi) “La territorializzazione è dunque un grande processo, in virtù del quale lo spazio incorpora valore antropologico; quest’ultimo non si aggiunge alle proprietà fisiche ma le assorbe, le rimodella e le mette in circolo in forme e funzioni variamente culturalizzate, irriconoscibili ad un’analisi puramente naturalistica dell’ambiente geografico”. (Angelo Turco) Particolare attenzione merita il concetto di archetipo, all’interno della presente riflessione sul territorio e più specificatamente sui luoghi. Il termine archetipo indica una figura, un’azione, 3
un’immagine ricorrente o un qualsiasi altro elemento che si ritrovi nel territorio, in tempi e luoghi diversi. La critica “archetipica” ritiene che , oltre agli elementi biografici, storici e sociali presenti nei singoli territori, sia possibile rintracciare anche degli elementi ricorrenti, dei modelli archetipici appunto, che sono fondamentalmente analoghi a quelli presenti nei miti e nei riti delle culture umane, nei sogni e nelle immagini psichiche, elementi dei quali, tra l’altro, i territori deriverebbero la loro vera pregnanza e il loro carattere. Per questo motivo la critica archetipica ritiene che la conoscenza etno-antropologica dei miti e dei riti e quella psicologica dei simboli e delle immagini sia fondamentale per individuare e comprendere i motivi archetipici che ricorrono in ogni produzione intellettuale. Insieme alla critica sociale, alla critica formale e a quella psicologica, la critica archetipica si può considerare uno dei quattro più importanti orientamenti con i quali studiare e valutare il territorio. Ispirandosi agli studi dell’antropologo inglese James Frazer e delle teorizzazioni dello psichiatra e psicologo svizzero Carl Gustav Jung, la critica archetipica dedica particolare attenzione a tutti quei motivi che in modo costante e ricorrente danno forma ad aspetti fondamentali dell’esistenza umana; motivi che non si lasciano spiegare riduttivamente , né dal punto di vista biografico , né dal quello storico e sociale, ma che rimandano a qualcosa che sta “prima” di tutto questo: alle “immagini primordiali”, ai “modelli originari delle forme”, ai “modelli di comportamento”, ai “concetti chiave” del vivere umano che sono a fondamento delle forme visibili, a quelle costanti archetipiche che, anche nel territorio, esprimono le connessioni profonde con le determinanti universali dell’esistenza umana. Usando un metodo fondamentalmente comparativo, dopo aver esaminato un vastissimo numero di miti provenienti da luoghi e da tempi diversi, Frazer rintraccia gli archetipi che caratterizzano i miti e i riti delle diverse culture, mettendo in evidenza le somiglianze di base e suggerendo che il mito e il rito, sebbene nel tempo e nello spazio si manifestino in modo diverso, si strutturano comunque intorno a modelli ricorrenti. Nel corso degli anni la teoria junghiana degli archetipi è stata oggetto di ampliamenti e revisioni, sia in direzione di un maggiore radicamento del concetto di archetipo nella sfera biologica, sia nella direzione opposta di suo maggiore radicamento nella sfera mitologico-immaginale. Nel primo caso rientra il contributo di Antony Stevens che offre una tesi empirica all’esistenza degli archetipi, individuandone la base biologica e assimilandoli al concetto di struttura etologica ereditaria propria della moderna biologia; nel secondo quello di James Hillman che, radicalizzando il “significato mitologico” dell’archetipo, propone un modello della psiche il cui soggetto principale sia l’anima, la base poetica della mente che interconnette gli eventi in modo immaginale. Nella sua opera Hillman evidenzia le affinità che il concetto di “mundus imaginalis”, studiato dall’islamista Henri Corbin ha con quello di archetipo junghiano, affermando che gli archetipi e le immagini archetipiche sono le trame invisibili della psiche unana e le “direzioni” immaginali lungo le quali rintracciare il senso metaforico degli eventi psichici e culturali. L’accettazione dell’ipotesi junghiana dell’esistenza di uno strato collettivo della “psiche inconscia” invece ha stimolato soprattutto la ricerca e la descrizione delle “immagini primordiali sovrapersonali”, in altre parole gli “schemi emotivi della mente”. Lo spirito del luogo può essere trovato e compreso anche attraverso il ‘numen’ e la sua intensità è riconducibile alla numinosità appunto del luogo. La numinosità quindi è indice e misura delle emozioni suscitate, con la risultanza di un valore archetipico di ciò che attrae l’osservatore. La 4
montagna, il bosco, la foresta, il mare, il fiume, le cavità sotterranee e altri luoghi naturali sono portatori di caratteri archetipici. Poi pian piano avvicinandoci al particolare abbiamo l’albero, la pietra, il fiore, la varietà degli animali e degli esseri umani. Esperienze numinose le registriamo anche nei luoghi costruiti dall’uomo sulla base di modelli architettonici archetipici, le cui forme si rifanno a figure geometriche come il cerchio, il quadrato, il triangolo, seguendo spesso le leggi universali della simmetria, della proporzione e dell’armonia, che sono poi per essere chiari, i principi di Leonardo. Per esaltare la dimensione storico-culturale nell’ambito della costruzione del sacro, l’uomo tenta di concentrare l’esperienza numinosa, sottolineando il legame dio-luogo-gruppo. La città, la casa, la piazza, il teatro e altri luoghi della vita sociale possono e devono diventare nuovamente richiami archetipici per l’uomo. “L’universalità del simbolismo e delle forme, e il potere evocativo esercitato dal punto di vista storico e culturale, rende la sacralità dei luoghi prima psicologica e poi, a seconda dei casi, anche religiosa”. (Elena Liotta) Metafora, magia, simbolo, sacralità, il rapporto tra l’essere umano e il luogo non si esaurisce in una dimensione soltanto fisica e culturale, ma subentrano equilibri psicologici, sia inconsci che consapevoli, la costituzionalità e la tipologia personale, i momenti e i passaggi della vita. Potremmo concludere pensando ancora una volta a James Hillman, che tutto ciò che si è appena detto fa “luogo” quindi anima e dovrebbe continuare a farlo anche nella società globale contemporanea. Roma, marzo 2013 Arch. Massimo Muciaccia
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