MOSTACCIANO, il quartiere dei Pallavicini Alcuni spunti di riflessione sulla periferia di Massimo Muciaccia
Non ci resterà che il centro storico per ricordarci cos’era la città… Mario Fazio. Passato e futuro delle città
“Così nel luglio 1962 gli elaborati costituenti il Progetto di piano divenivano di pubblico dominio mentre in Campidoglio si insediava il nuovo consiglio comunale da cui sarebbe uscita la prima giunta amministrativa di centro-sinistra. (...) Il Progetto di piano favoriva quindi inevitabilmente le società immobiliari di elevata potenzialità finanziaria, mentre aveva invece accaniti avversari nelle medie e piccole società immobiliari ed imprese edili. (...) Si tratta di tentativi più o meno decisi e riusciti di creare dei nuclei residenziali ad alto livello e serviti: in cui cioè entrano a far parte del patrimonio condominiale un pò di verde, una piscina, il tennis a cui si affiancano i negozi, supermercato, snack, stazione di servizio. (...) E' che il valore del verde privato è tanto maggiore quanto più povera di verde pubblico è la città: il valore della piscina e del tennis è determinato dalla carenza di impianti sportivi collettivi. (...) Il vantaggio degli inquilini ad abitare in nuclei di questo tipo è indirettamente confermato dal fatto che essi rispecchiano le più recenti tendenze dell’urbanistica residenziale all'estero. In Inghilterra, nei Paesi scandinavi, in Olanda, in Germania e sempre di più anche negli altri paesi, il concetto che l'espansione della città non deve avvenire casa per casa ma per quartieri, per nuclei, per unità residenziali autosufficienti, è ormai entrato nel costume e nella legislazione". (Italo Insolera. Roma moderna).
Intorno al 1967 la NIR, Nuova Immobiliare Romana SpA, redatto il progetto urbanistico avvia la realizzazione del quartiere residenziale Mostacciano, comprensorio economico-urbanistico “ moderno” a misura di automobile, tra Spinaceto e il quartiere monumentale dell’EUR, confermando la previsione di Mussolini: " La terza Roma si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del Tirreno". Alla fine del 1800 la tenuta di Mostacciano era già di proprietà della famiglia Pallavicini, ma grazie al passaggio dei loro terreni da agricoli a edificabili intorno agli anni ’60, la principessa Elvina Pallavicini pensò di realizzare su di essi una lottizzazione a destinazione residenziale che conta oggi circa trentamila abitanti. Verso la fine del 1100 sugli stessi terreni si trovavano vigneti di proprietà ecclesiastica, da qui il nome in riferimento al mosto, dal latino mustacanus, che vi si ricavava. Sorgeva inoltre su una delle sue collinette una torre di avvistamento che con
2 la torre dell’Arnaro al chilometro undici della via Ostiense e quella Brunori, assicurava il controllo su tutto il territorio delimitato dalla via Ostiense e Laurentina e dai fossi di Vallerano e Spinaceto. Nel progetto di Mostacciano (piano di lottizzazione di iniziativa privata assimilabile ad un piano particolareggiato), si delinea il tipico esempio di “campagna urbanizzata”, in cui prevale la frammentazione del costruito. Si trascura la bellezza legata ai valori estetici sia paesaggistici che architettonici, si mortificano i valori etici come qualità e identità dell’insediamento e dove al “non luogo” di conseguenza corrisponde la cosiddetta isola monoculturale, cioè la mancanza di città. Il risultato di tale operazione non può che essere l’assenza di spazi pubblici di interesse sociale e collettivo come la piazza ad esempio, che dovrebbe essere invece il cuore pulsante della vita di un quartiere. In considerazione di ciò l’abitante non avrà mai il senso di appartenenza a questa aggregazione che risulta statica e priva di equilibrio tra le parti. “La città storica ha un chiaro disegno: ha una struttura. La parte corrispondente agli sviluppi degli ultimi due mezzi secoli ha ancora un disegno, che tuttavia mostra tutta la sua fiacchezza e l’assenza assoluta di qualsiasi struttura. La parte corrispondente agli sviluppi più recenti è addirittura il caos”. (Ludovico Quaroni. La Torre di Babele).
Risultano evidenziate nel piano del quartiere tre zone in modo del tutto anonimo con le lettere: A, B, C. Prevale il vuoto con ampie aree non edificate lasciate a verde pubblico o privato, sul pieno cioè il costruito con prevalenza di edifici destinati al ceto medio o medio alto, tipici degli anni '70, piuttosto rifiniti, con facciate rivestite a cortina, a mattonelle lucide e dotate di ampi balconi. D’altronde per il mercato immobiliare privato non conta molto la qualità urbanistica e architettonica, ma piuttosto la localizzazione, la tipologia dell’alloggio e dell’edificio ( la palazzina romana) e le finiture. Il verde pubblico pensato per quantità e non per qualità, non è mai stato particolarmente curato, è senza illuminazione notturna, fortunatamente alcune strutture per il gioco sono richiamo per qualche genitore con allegri bambini; importanti sono invece le alberature che costeggiano tutte le strade e sono motivo di godimento e frescura. Si pensi che un viale lungo mille metri, con due filari di alberi, immette nell’atmosfera cinquantamila litri d’acqua in una giornata d’estate. Il tipo edilizio residenziale prevalente è quello in linea e la palazzina di quattro o cinque piani inserita spesso in un parco condominiale con piscina o campi da tennis. I singoli edifici sono talmente isolati tra loro che vivono di vita propria, facendo perdere all'insieme del quartiere il senso di vita minimamente comunitaria. Le zone destinate a servizi, le scuole di vario ordine e grado e la chiesa principale si trovano nella maggior parte dei casi al centro di piccole valli circondate da strade con alti pini e ampi parcheggi. Mostacciano è da sempre il luogo adatto purtroppo al solo transito delle automobili, incrementato negli ultimi anni dal nuovo polo ospedaliero e dal completamento del Torrino. Il piano urbanistico, carente dal punto
3 di vista della struttura che non riesce a generare l’organismo, poteva essere per il progettista e per la committenza privata, l’occasione per una sperimentazione sul tema del quartiere moderno, su un brano di città e invece diviene soltanto una semplice partita a dadi gettati casualmente. Frutto della mancanza di uno spessore culturale, l’urbanistica diviene quindi una fuga dalla creazione della forma unitaria, diviene perdita di memoria, di senso del passato e di criterio e regole condivise. “L’ipotesi della città generica resta quindi quella di un anti-disegno urbano che ha come fondamento l’idea di trarre la propria poetica dal disfacimento globale come libertà senza progetto , cioè della libertà come assenza di impedimenti”. (Vittorio Gregotti. Architettura e postmetropoli).
Per avere un servizio di trasporto pubblico sufficiente ci sono voluti circa venti anni, prima l'unico autobus che arrivava nel quartiere era la linea che partiva da piazzale dell'Agricoltura e doveva fare capolinea a Decima, ma alcune volte veniva deviata per Mostacciano passando in mezzo alla campagna dove si vedevano pecore al pascolo con i loro pastori. Il centro commerciale e per uffici di fronte alla chiesa, indicato dai costruttori come fiore all'occhiello del quartiere, dove una volta c'era il cinema, versa da sempre in uno stato di quasi totale abbandono e incuria. Unica architettura presente nel quartiere e degna di nota è il complesso parrocchiale della Beata Vergine del Carmelo che si trova nel mezzo di una conca naturale che vorrebbe essere una piazza. Attraversando la strada c'è il centro commerciale già citato, sul retro la scuola elementare Pallavicini, su un lato la scuola materna e sull'altro una strada di scorrimento alberata. L'importante complesso parrocchiale opera dell'architetto Giuseppe Spina è stato progettato nel 1975 per essere realizzato dopo undici anni. E' caratterizzato da una forte presenza di organismi plasticoarchitettonici, completamente in calcestruzzo a vista color camoscio o quasi, capaci di incidere sull'area in modo determinante anche per le loro proporzioni, tentando di costituire una “cerniera urbana”. Le articolate e dinamiche parti di cui è composto il complesso, che danno la sensazione di un movimento continuo a velocità diverse, che concretizzano “lo spazio in moto”, lasciano pensare a una commistione di componenti futuriste e costruttiviste che hanno il compito di introdurre nell'ambiente un edificio a tema sacro capace di vivificare e caratterizzare uno spazio amorfo come la “pseudo-piazza”, ove insistono manufatti insignificanti. Ci troviamo di fronte quindi a delle forme anche complesse, in taluni casi dissonanti tra loro, spesso fini a se stesse, ma che riescono a divenire fortunatamente delle vere e proprie sculture. Il progettista ha avuto il merito di non farsi assorbire dai puri tecnicismi, conservando il gusto e il bisogno di forme "inutili”, unito ai segni visivi creati dalla pura inventiva riesce a rendere intenso il luogo della vita e della funzione religiosa. L'intera “grande macchina” forse riconducibile ad un ingranaggio dentato, questo sembra il complesso dall’alto, dove prevale un linguaggio di radice astratta e di chiara matrice neo-brutalista ( beton brut di Le Corbusier), riesce a incuriosire e colpisce anche l’occhio più distratto, l’”esaminatore sbadato” per dirla con Walter Benjamin, attraendo per la sua complessità compositiva. Particolare attenzione va
4 rivolta all'ampia copertura a vela ondulata della chiesa che rappresenterebbe la tenda, che secondo la tradizione, fu riparo per la Vergine durante il concepimento. Talora sono gli architetti a comportarsi come scultori e viceversa, tanto che in molte occasioni dovremmo parlare semplicemente di costruttori. Qualche volta, come in questo caso, i confini fra "architettura" e "scultura" sono molto labili e indefiniti da consentire una certa invasione di campo. Nessun'altra materia possiede così grande variabile di utilizzo e grande duttilità come il cemento. Con questo materiale non si indica solo una certa materia, ma i modi di usarla con approccio personale e con metodiche rinnovatrici delle sue stesse primarie proprietà, ben sapendo che talvolta le forme emergono e si definiscono a seguito della ricerca personale sul materiale e sulle possibili tecnologie del momento. Questa ricerca non solo è parte costituente di molte poetiche, ma è termine dialettico imprescindibile nella genesi formativa dell’opera. Le avanguardie, così come l'architetto Spina, hanno ostentatamente esaltato la irritualità delle materie e delle tecniche, quasi a rivendicare anche su questo piano la più ampia libertà di scelte, purtroppo a discapito della tradizione, dell’identità dei luoghi e della memoria collettiva. Il progettista ha fatto suo inconsapevolmente ciò che Marcel Joray, nel primo dei due volumi "Le Béton dans l'Art contemporain", sintetizza così: "Nella fase della formatura, il calcestruzzo indurisce lentamente e questo consente modifiche e correzioni. Tutte le forme suscettibili di essere modellate possono essere in calcestruzzo (...) è possibile lavorarlo, tagliarlo, levigarlo. In superficie può rendere tutte le tessiture desiderate (secondo la grossezza della sabbia o del pietrame incluso), tutti i disegni voluti (secondo la venatura del legno delle casseforme), tutti i colori possibili (secondo le sostanze o i coloranti mescolati nella massa del materiale). Una volta completata la presa, la superficie può essere trattata con opportuni lavaggi in modo da scoprire gli inerti ed ottenere così effetti interessanti". Da qualche tempo qualcuno a pensato bene di collocare simmetricamente alle estremità della facciata della chiesa due gabbie di ferro con le campane vere, precedentemente non previste, assomiglianti a due orecchie che sembrano ascoltare il rombo dei potenti motori degli incoscienti che corrono per arrivare agli appuntamenti con il loro “vuoto interiore”. In ultimo mi faccio carico a nome dei residenti di Mostacciano (e non solo), di inviare un particolare ringraziamento a chi ha voluto, realizzato e gestisce il depuratore più grande d'Europa di Tor di Valle, che diffondendo da più di dieci anni i suoi miasmi, rende l'aria irrespirabile e la vita insopportabile. Roma, febbraio 2012
Arch. Massimo Muciaccia cell. 3332343630
Pubblicato su www.eur.roma.it con immagini gentilmente concesse da “L’industria delle Costruzioni”