Passeggiando all’Eur tra ruderi e corvi un racconto di Massimo Muciaccia foto di Paolo Di Giulio
“Un popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori…”. Ma siamo sicuri che sia ancora così? Ognuno in coscienza provi a rispondersi come può! “Caro sindaco e caro amico (Walter Veltroni), con questa lettera aperta ti chiedo, se non altro, una pausa di riflessione a proposito della demolizione delle torri del ministero delle Finanze all’Eur”. (Renato Nicolini) “No non saranno più torri, verranno demolite. Quel complesso non era nemmeno male. Ma il vero problema è che quegli edifici costituivano una cittadella impenetrabile, mentre nel mutare della città il nuovo complesso deve diventare un sistema aperto e trasparente. Non lontano, infatti, sarà realizzato il centro congressi di Massimiliano Fuksas, e quindi si è voluto pensare e creare un insieme più armonico”. (Renzo Piano) Elettra e Ovidio, due amici “immaginari” dei nostri giorni con una particolare sensibiltà per l’ambiente, sono stati pensati nei panni di curiosi turisti per la visita a piedi della cosiddetta “Città nella Città”. I nostri personaggi, dopo aver lasciato alle loro spalle il grande palazzo dello sport di Nervi (oggi Lottomatica), arrivano al ponte sul laghetto dell’Eur. Sulla destra domina il palazzo dell’Eni color verde petrolio, proseguono a passo svelto e si avvicinano alla “Porta Sud”, così viene chiamata quell’entrata a Roma, con le “famose” torri di Cesare Ligini sulla destra e la torre nera delle “Posteitaliane” sull’altro lato. Alla fine del ponte si trovano finalmente alla “meta” e Ovidio indica alla sua amica, che sta un passo indietro, le geometriche sagome delle torri scintillanti al sole. Quello che si prospetta loro a poche decine di metri come in un film neorealista, sono i martoriati edifici degli anni ‘60 dell’ex ministero delle Finanze. Le macchine sfrecciano accanto velocemente, come fossero già sul tracciato di “Formula 1” sognato nel quartiere dall’ex sindaco Alemanno. Guardandosi intorno si soffermano sulla tabella di cantiere appesa accanto all’ingresso principale del ministero, dove leggono insieme sconcertati la data di inizio lavori. Sono passati ben otto anni da quando gli operai smontarono, in fretta e furia, la pelle in “curtain wall” delle tre torri, lasciandole con la struttura di cemento nuda e una fitta ragnatela di fili d’acciaio. Elettra e il suo amico si rendono accorgono che negli ultimi mesi i writers o vandali nostrani (a seconda delle opinioni), hanno preso di mira il cantiere con fantasiose dediche d’amore “grammaticalmente scorrette”. L’attenzione degli amici si posa sulla grafica delle parole tracciate con lo spray, tutto sembra meno che romantica: le frasi campeggiano tra gabinetti in vista, maioliche spaccate, pareti scolorit, cavi elettrici penzolanti e i lampade ormai arrugginite che si rispecchiano nei severi e scuri volumi cartesiani del nuovo hotel e centro congressi “La Nuvola” ancora in costruzione.
1
Scrive Aaron Betsky: “Avendo perduto la finitura o la pelle, (…) ci mostrano le varie parti con cui sono costruiti gli edifici. Indicano spazi senza definirli, permettendoci di fantasticare sul tipo di vita che forse o effettivamente ebbe luogo al loro interno”. Ad un tratto uno strano assoluto silenzio. L’intorno sembra surreale, tutto ricorda vagamente le opere di Fellini o lo scenario di una macabra location cinematografica. Ovidio si sofferma a guardare dei particolari, suggeriti da Elettra, dello spazio urbano rubato alla civiltà. Dopo si trasferiscono nel vicinissimo mercato di viale America, incuriositi dai mille colori, odori, rumori di una moderna kasbah mediorientale. Attraversando la Colombo e facendo attenzione alle molte auto che sfrecciano rombanti, si trovano davanti al perenne cantiere dell’acquario “Mediterraneum”. Si, i lavori sono fermi! Senza l’arrivo dei finanziamenti promessi e necessari l’opera non sarà certo completata! La triste situazione che hanno trovato finora, i nostri amici, non fa che aggravare il degrado morale e materiale di una parte della “Città nella Città”. Una volta quartiere monumentale modello e impeccabile per pulizia. Lungo il percorso della passeggiata sono invece costretti allo slalom tra sporcizia accumulata sui marciapiede e le bottiglie di whisky vuote. La cattiva o assenza totale di manutenzione è evidente: cigli sbrecciati e panchine di travertino irrecuperabili e radici dei pini che escono dal terreno deformando i vialetti degli spazi verdi. All’incrocio tra viale Europa e la Colombo, all’altezza del semaforo, campeggia un cartello di “lavori in corso”, di questo passo non finiranno mai. Alzando gli occhi in alto, Elettra e Ovidio, si accorgono che nonostante tutto sventolano ancora sugli alti pennoni le bandiere “tricolore” e quelle dell’Europa con la “corona di stelle dorate”. Segnano forse un confine tra la terra di nessuno e uno Stato sovrano? Georg Simmel descrive l’”andare in rovina” come il momento in cui l’equazione tra le forze della natura e quelle dello spirito, rappresentata dall’edificio, si risolve a vantaggio della natura, ovvero il momento in cui le forze meccaniche della natura si reimpossessano dell’opera, cancellandone le volontà spirituali. A sette mesi dal precedente articolo pubblicato, “Roma-Caracas. Due facce della stessa medaglia?”, dove si rifletteva sulle rovine delle torri (già inserite nella “Carta della qualità architettonica” e approvata assieme al PRG nel 2008), viene spontaneo chiedersi, a cosa servono gli strumenti urbanistici se poi vengono considerati semplici optional o disattesi del tutto. Gli edifici dismessi e fatiscenti, talvolta rifugi per disperati, rappresentano comunque delle vere e proprie ferite che rimangono a ricordare gli errori commessi, a livello istituzionale, per incapacità gestionale… Mai che nessuno se ne assuma la responsabilità, ci metta la faccia: i cittadini ormai da troppo tempo sono gli unici “spettatori” inermi a farne le spese di tali situazioni. L’evento di Alta Moda Roma 2014 è stata l’occasione per superare ogni fantasia e scendere nella realtà concreta. Cosa avranno potuto pensare arrivando nel cantiere della “Nuvola” all’Eur i tanti invitati alla elegante sfilata che girando lo sguardo dalle modelle con abiti firmati hanno visto tanta trascuratezza e abbandono? Che idea si potranno fare un domani i malcapitati congressisti (internazionali) trovandosi anch’essi all’ombra di queste rovine? Mentre i due amici continuano a girare intorno alla stessa area, accompagnati da alcuni corvi svolazzanti, li assale un’incredula amarezza mista a rabbia e la voglia di fuggire. Sono 2
probabilmente gli stessi sentimenti che assalgono da anni abitanti e tanti impiegati a piedi, in auto e in metro che sono costretti a percorrere questo “girone dantesco”. Forse aveva ragione John Raskin, che già a metà ‘800 (nel libro “Le pietre di Venezia”), affermava che l’architettura e più in generale gli spazi urbani erano i responsabili diretti degli stati psicologici (patologici) e materiali degli esseri umani. Le rovine hanno un significato semantico, relativo al linguaggio del loro aspetto attualmente scarno e deteriorato. Il fascino perverso verso un’estetica moderna e contemporanea sofferente, inorganica e deforme che caratterizza un po’ tutta l’arte e l’architettura a partire dal primo Novecento è indubbio: la società (di massa) a questo è stata educata! I canoni (anticlassicistici?) del moderno rivalutarono quello che la cultura del bello ufficiale non contemplava, il “sublime del brutto”. Da aggiungere all’elenco lo “sporco” come miseria umana, degnamente rappresentato dall’opera “Merda d’artista” (1961) di Piero Manzoni. Non a caso Franco Purini individua l’origine della “composizione moderna” nell’immagine metaforica dei labirinti mentali delle rovine e si sofferma con la sua riflessione sugli spazi scomposti, riassemblati, spesso privi di senso e di funzione, per arrivare in ultimo a un’immagine irrisolta, indeterminata e inquietante. Con ciò il moderno non è certo tutto da rigettare, ma sicuramente da riconsiderare, rivedere nelle sue estremizzazioni e mancanze. L’arte e le rovine dei nostri giorni, secondo Marc Augè, divengono un dispositivo per il recupero dell’essenza stessa del tempo che scorre. Le rovine parlano di una molteplicità di passati, di ricordi, che non rimandano a nulla, non sono il tempo della storia o delle date ma sono il tempo puro. Il passato ha prodotto rovine, capaci di ricordi, echi di passati molteplici e di conservare l’essenza del tempo. Il mondo contemporaneo invece ha prodotto solo macerie, ovvero resti, residui, scorie incapaci di raccontare, di comunicare qualcosa di positivo. Le macerie, che ci troviamo davanti in questa passeggiata, si dicono Elettra e Ovidio, portano alla volontà di cancellare, di eliminare il passato, non raccontano nulla, se non la storia del “vuoto siderale”. Insieme come sono arrivati, Elettra e Ovidio, tornano sui loro passi sconfortati, ma non del tutto rassegnati a questa deriva…
Roma, gennaio 2014 arch.massimo.muciaccia@gmail.com
3
Non a caso le rovine hanno sedotto e affascinato l’animo umano, tanto che negli accurati disegni di Piranesi i ruderi risultano come spazi cavi, scomposti, riassemblati, spesso privi di senso e di funzione, in cui appunto Franco Purini individua (o tenta di individuare) l’origine della “composizione moderna”. La produzione cioè di quei manufatti architettonici (e non solo) a partire dal ‘900, le cui caratteristiche, anche estetiche, risultano spesso irrisolte, indeterminate e in certi casi inquietanti perché appunto si rifanno a tali presupposti di “disordine”. Il moderno non è tutto da “rigettare”, ma certo deve far riflettere sui risultati concreti, speculativi, procurati alla città e all’ambiente che ci circonda.
4