LA DONNA S’È DESTA?
N°1
2011
Progrédire, la rivista che avete in mano, è uno dei primi atti pubblici di Progré, la nostra neonata associazione. Non riteniamo che la nascita di una ennesima realtà associativa nell’università di Bologna sia in se stessa una notizia, le notizie speriamo verranno dalla nostra attività. Abbiamo quindi scelto di non porre noi stessi al centro di questo primo numero che tratta di tutt’altro e ci limiteremo a descrivere brevemente qui quello che siamo e quello che vorremo essere in futuro. Ci rivolgiamo naturalmente in maniera primaria a chi è studente universitario ora e a chi ha smesso di esserlo da poco e lavora o cerca lavoro in quella che è la statisticamente non felice condizione di questa generazione. Progré nasce dalla presa di coscienza che c’è una forte voglia di fare politica nelle persone che abbiamo intorno. Persone che appartengono alla generazione che ormai proverbialmente rischia di essere più povera dei propri genitori, quella che è oggetto dell’altissima disoccupazione giovanile e sconta la precarizzazione del lavoro. Queste persone esprimono un desiderio politico molto forte che rischia di non poter trovare applicazione. Le associazioni dedite alla rappresentanza studentesca assorbono, o dovrebbero assorbire, in essa buona parte delle loro energie e non paiono per loro natura adatte a svolgere l’elaborazione politico generazio-
nale di cui si parla. Le giovanili di partito molto ridotte nei numeri rispetto al passato non sembrano certo i luoghi in cui persone di sensibilità molto diverse possano lavorare vedendo in questo lavoro un fine. Periodicamente si creano movimenti molto grandi che caratterizzano una stagione che però perdono poi energia forse anche perché legati ad una solo battaglia, prendiamo ad esempio due fenomeni diversissimi come l’Onda e il Popolo Viola. Progré nasce per dare un luogo a questa voglia. Per trasformare attraverso l’esperienza di gruppi di lavoro già avviati questa esigenza in una critica puntuale, motivata e circoscritta dell’esistente. Per poter maturare attraverso lo studio un’opinione più consapevole sulle tematiche del lavoro, dell’università e delle politiche giovanili in un ambiente che non subisca condizionamenti maggiori di quello di riconoscersi in un ambito culturale progressista. Non credo che a questo stadio il progetto sia definibile in una maniera molto più approfondita di questa perché a partire da questo sfondo saranno le opinioni e le riunioni delle prossime settimane e dei prossimi mesi a definirlo sempre più. Con la speranza che sarete in molti a voler partecipare a ciò che saremo vi saluto. Luca Rossi
Salve a tutti ragazzi e ragazze! Quello che avete in mano è il primo numero di progrèdire,la rivista della neonata associazione ProgrE’. Uno strumento di comunicazione, di trasmissione, di esportazione di idee giovani, nate in menti giovani, che hanno deciso di mettersi insieme e formare una rete. Perchè leggerci? Perchè siamo nuovi, la nostra età media è 24 anni e vogliamo portare un po’ di colore nel vecchiume della società attuale, che ci dipinge come generazione senza valori, attratta solo dai vestiti alla moda e dalle feste in discoteca. Abbiamo invece scelto di dire che ci siamo, e non solo in maniera effimera, nascosti dai cartelloni nelle manifestazioni di piazza, ma in maniera costante, con riflessioni sincere e lucide della nostra società. Questo primo numero è dedicato alla donna, alle sue mille sfaccettature, e agli uomini che le sono complementari. Ma è dedicato anche ai lavoratori, alle “vite stonate”, a tutte le popolazioni del mondo che necessitano di cooperare tra loro. E’ dedicato a personaggi di ieri,di cui avremmo bisogno oggi. E’ dedicato a chi si sente stretto in una società che corre così veloce,e sembra non abbia tempo di ascoltarsi. E’ dedicato a voi che avete deciso di leggerlo e a noi che, forse con qualche errore, abbiamo messo la pancia,e non solo la penna, nel realizzarlo
L’analisi
FIAT più catena, meno diritti viaggio negli ultimi due anni dell’era Marchionne All’inizio fu Termini Imerese, poi vennero Pomigliano e Mirafiori, adesso è il turno di Melfi e Cassino. Si scrive Fabbrica Italia, si pronuncia Modernità. È una modernità delineata da Marchionne il 21 aprile 2010 a margine della riunione del Cda Fiat, in cui presentò il suo piano Fabbrica Italia: «Si tratta di aumentare i volumi e di ridurre i costi. Non c’è null’altro. Non è complicato». A chi chiede dettagli, numeri, spiegazioni “l’Italiano scomodo secondo la definizione del Corriere della Sera (controllato guardo caso al 10% dalla Fiat), risponde: «Vi dò un consiglio: se si dovesse presentare un altro Amministratore delegato di un’azienda estera con un assegno da 5-10 miliardi dicendo ‘voglio investire
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in questo Paese’, facciamoci un grandissimo favore e cerchiamo di non importunarlo con i dettagli di un progetto che viene finanziato dalla sua società e fa il bene del Paese». Una modernità semplice, insomma, che si raggiunge a piccoli passi, senza fare domande, senza dare spiegazioni. Si chiude uno stabilimento, si sposta la produzione di qualche vettura in Paesi con manodopera a basso costo, si mettono in competizione gli operai italiani con quelli serbi e polacchi. La modernità di Marchionne è una sfida rivolta allo status quo, alle incrostazioni dei diritti sedimentati nel corso del ‘900, una sfida che prevede solo vittorie e non ammette contraddittorio. È un percorso a tappe, biso-
gna fiaccare, umiliare, sconfiggere il nemico fabbrica per fabbrica. Per capire cosa sia successo è necessario ripercorrerle queste tappe, bisogna tornare indietro ed osservare i campi in cui si è giocata la partita. Se il lettore vorrà seguirmi, dovremo risalire la corrente, e provare a vedere uno per uno i nemici di Marchionne e della sua Modernità. Termini Imerese Tutto partì da Termini Imerese, millecinquecento addetti e un indotto di oltre cinquecento posti di lavoro: bisognava chiudere. L’impianto produce in perdita, ha costi di logistica enormi, «Termini non ha ragione di esistere». E chiusura fu, o meglio
L’analisi (da due da 20 minuti a tre da 10), più straordinario (da 40 a 200 ore, di cui 120 obbligatorie), più turni di lavoro (con uno schema articolato in 18 turni settimanali, dal lunedì al sabato 24 ore su 24), meno diritto alla malattia, meno diritto di sciopero: le deroghe al contratto collettivo nazionale sono difese in nome dell’eccezionalità del caso-Pomigliano. Il 3 novembre l’atto finale: a Pomigliano a produrre non sarà più Fiat in prima persona ma la Fipo (Fabbrica Italia Pomigliano), nuova società di proprietà della Fiat partecipazioni, non aderente a Confindustria. Il contratto nazionale, dunque, non si deroga: semplicemente non viene applicato.
sarà, entro il 31 dicembre 2011. Annuncio fatto, decisione presa, perché nel mondo di Marchionne non c’è spazio per la contrattazione. La storia di quei millecinquecento operai sulla via del licenziamento è finita dalla prima alla quinta pagina, per poi rapidamente sparire. Solo il 16 febbraio gli stabilimenti di Termini hanno riconquistato l’attenzione dei media, con la firma dell’accordo di programma “per il rilancio e la reindustrializzazione del polo”, che prevede un investimento di 1 miliardo di euro (di cui 350 milioni pubblici) e 3300 posti di lavoro. Non sappiamo come andrà a finire, ma speriamo che i grandi annunci, che si sono accompagnati alla firma, non si perdano nel cumulo di promes-
se di rilancio che la Sicilia colleziona da decenni. Pomigliano d’Arco Nell’estate 2010 è il turno di Pomigliano d’Arco. Gli operai napoletani alla catena di montaggio, spiegava Marchionne, si assentavano per le partite dell’Italia e del Napoli, l’assenteismo cronico dello stabilimento era da curare con una medicina amara. E medicina amara fu, come chiedeva quello che il Sole 24 Ore ha eletto ‘l’Uomo dell’anno’. Il 15 giugno 2010 arriva l’accordo di rilancio per Pomigliano. Firmano Cisl, Uil e Ugl. Dicono no Fiom-Cgil e Cobas. L’accordo rispecchia la massima marchionniana del 21 aprile, e allora: meno pause
Mirafiori Da quel momento le voci che vogliono anche Mirafiori fuori da Confindustria si fanno sempre più insistenti, fino ad essere confermate, il 10 dicembre 2010, dalla stessa presidentessa dell’associazione degli industriali Emma Marcegaglia, all’uscita da un lungo incontro con l’Ad di Fiat: «La newco di Mirafiori nasce fuori da Confindustria». Anche per gli operai torinesi non esisterà più il sistema della contrattazione collettiva nazionale. Il 23 dicembre 2010 è il giorno del nuovo accordo separato. L’intesa sul futuro di Mirafiori vede Cisl, Uil e Ugl d’accordo, ma non la Fiom e i Cobas. L’accordo non si discosta molto da quello previsto a Pomigliano: meno pause, più straordinario, più turni di lavoro, meno diritto alla malattia, meno diritto di sciopero. Il fronte del no mette sotto accusa la finta trattativa e svela il diktat di
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L’analisi Marchionne: prendere o lasciare. Ma non si era detto che Pomigliano era un caso eccezionale e irrepetibile? Si era detto, ma così non era, a Mirafiori se ne ha la certezza. Non si tratta più di medicine amare da somministrare per curare problemi patologici, si tratta di un nuovo modello delle relazioni industriali, che da eccezione si fà regola, per divenire il paradigma della modernità. I referendum In entrambi gli stabilimenti, comunque, i due accordi sono sottoposti a una condizione: i lavoratori si devono esprimere tramite referendum aziendale. Il quesito che si pone agli operai è semplice, si tratta di accettare o respingere la proposta. Se vincono i sì si va avanti, se vincono i no si chiude l’impianto e si va a produrre all’estero. Difficile non scorgere l’impostazione ricattatoria. E infatti gli accordi passano, a Pomigliano, il 22 giugno, col 63%, a Mirafiori, il 14 gennaio, col 54%. Lo spin-off Il 3 gennaio 2011, un nuovo pezzo del puzzle va a posto: lo spin-off, ovvero la divisione di Fiat in due società, votato a settembre 2010 dall’assemblea dei soci, esordisce in borsa. Quotati separatamente, Fiat spa, che comprende esclusivamente il comparto auto, e Fiat Industrial, che comprende invece i veicoli commerciali e i camion, riportano segno positivo: rispettivamente +4,91% e +3,05%. Marchionne esulta e, forte dell’approvazione della borsa all’operazione di scissione, lancia un chiaro segnale al fronte sindacale:
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«La Fiat è capace di produrre vetture operai, “o lavoro o diritti”. con o senza la Fiom», e pure senza La modernità non ha mai avuto un saConfindustria, alla quale le due socie- pore tanto medievale. tà non aderiscono. Nicola Usai Il destino comune degli operai Siamo all’oggi. Il 18 gennaio 2011 Marchionne, in un’intervista a Repubblica, svela il prossimo obiettivo. Rispondendo alla domanda se “dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino”, l’Ad risponde: «Non c’è alternativa. Non possiamo vivere in due mondi. Io spero che, visto l’accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai». I cinque stabilimenti Fiat in Italia saranno dunque legati dallo stesso destino: lavorare di più e con meno diritti. Un destino cupo, ma si sa, la modernità non è cosa per tutti. Sicuramente non lo è per gli operai con i muscoli spezzati dal lavoro seriale e ripetitivo, condannati dalla competizione globale a ritmi sempre più intensi di lavoro. Sicuramente non lo è per le famiglie in cui entrambi i genitori sono operai Fiat e i cui figli sono costretti a vedere (poco) un genitore (stanco) per volta. Sicuramente non lo è per i giovani addetti alla catena di montaggio, schiavi di una vita programmata sul binomio casa-fabbrica, anche il sabato. Sicuramente non lo è per i figli degli operai di Pomigliano, Mirafiori, Melfi, Cassino, che negli occhi del padre e della madre vedono la stanchezza delle ore passate in fabbrica; il sacrificio di ingoiare saliva resa amara dai fumi delle vernici; il ricatto di chi dice, con uno stipendio equivalente a quello di cinquemila
Le interviste di
Roberta Castronuovo
interviste di: Nicola Usai
Segreterio organizzativo Fim-Cisl Bologna con delega alle politiche per la contrattazione, il proselitismo e il coordinamento, ci accoglie nella sede della Cisl in Via Milazzo e accetta di rispondere alle nostre domande. È di ritorno da un’assemblea in cui si è parlato proprio di Fiat e Miarafiori, tema di cui si è occupata molto nelle ultime settimane.
Elena Giustozzi
È molto difficile raggiungere telefonicamente Elena Giustozzi, membro della segreteria Fiom-Bologna, in questi giorni. Ci dice di essere molto impegnata, gira il territorio e le fabbriche per parlare della grave situazione del tessuto industriale. Trova comunque il tempo per rispondere alle nostre domande e parlare di quello che sta succedendo, non solo in Fiat.
1- Negli ultimi mesi due argomenti, a lungo trascurati, hanno guadagnato l’attenzione del grande pubblico: la questione della dignità delle donne e le tematiche del lavoro. Vede una connessione fra questi due argomenti? Se per temi attinenti le donne ti riferisci agli scandali del Presidente del Consiglio, devo registrare che fra le donne le preoccupazioni sono altre. In questo periodo di crisi, le lavoratrici si rivolgono al sindacato se hanno problemi sul posto di lavoro, il problema del premier resta marginale rispetto a esigenze come la flessibilità negli orari di lavoro, la questione del part-time, etc. Certo, come donna disapprovo l’atteggiamento del premier nei confronti del sesso femminile, ma resta il fatto che nelle aziende si affrontano altre problematiche.
1- Negli ultimi mesi due argomenti, a lungo trascurati, hanno guadagnato l’attenzione del grande pubblico: la questione della dignità delle donne e le tematiche del lavoro. Vede una connessione fra questi due argomenti? Il risveglio della coscienza collettiva. Non vi e’dubbio che la crisi economica da una parte e quella culturale, forse ancora più grave, dall’altra, abbiano fatto da detonatore a un’energia sociale che negli anni si era assopita, dando nuova visibilità alla connessione fra individuo e società, attraverso le importanti e bellissime manifestazioni pacifiche di lavoratori, giovani e donne, che hanno mostrato una nuova consapevolezza dell’idea che diritti e riconoscimento sociali sono una conquista da rinnovare ogni volta.
2- Agli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono seguiti due tipi opposti di reazioni: da una parte sono stati esaltati come simboli della modernità, con il segretario della Cisl Bonanni che ha rivendicato “10, 100, 1000 Pomigliano”, dall’altra sono stati duramente criticati, con l’accusa di colpire i diritti dei lavoratori. Lei che ne pensa? Io sono d’accordo con il mio segretario quando dice che dobbiamo fare accordi per mantenere posti di lavoro. Il compito del sindacato non è dire sempre “no”, ma deve sedersi al tavolo e contrattare. Anche noi sul territorio di Bologna abbiamo firmato accordi difficili come quello di Pomigliano, anche unitari ma, per mantenere posti di lavoro e per garantire un futuro ai giovani. Comunque secondo me le due reazioni a cui fai riferimento sono due
2- Agli accordi di Pomigliano e Mirafiori sono seguiti due tipi opposti di reazioni: da una parte sono stati esaltati come simboli della modernità, con il segretario della Cisl Bonanni che ha rivendicato “10, 100, 1000 Pomigliano”, dall’altra sono stati duramente criticati, con l’accusa di colpire i diritti dei lavoratori. Lei che ne pensa? Sono molto critica rispetto a quegli accordi. Prima di tutto, perché i lavoratori hanno dovuto votare sotto la minaccia, esplicita da parte di Marchionne, che la vittoria dei no avrebbe di fatto annullato l’investimento della FIAT in quei territori. La maggior parte dei lavoratori ha vissuto quel referendum come un ricatto, e poiché il portato di quegli accordi sul sistema delle relazioni industriali e del diritto del lavoro va ben oltre i cancelli di Pomigliano e
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Le interviste di modi di fare sindacato. La Fim è dal 2001 che firma accor- Mirafiori, quei lavoratori sono stati costretti ad assumersi di non condivisi da altre organizzazioni sindacali e nelle una responsabilità troppo grande. aziende c’è sempre stata una risposta positiva, tant’è che l’organizzazione continua a crescere. 3- Quali sono, a suo avviso, gli aspetti più rilevanti dei nuovi accordi? 3- Quali sono, a suo avviso, gli aspetti più rilevanti dei Oltre agli aspetti relativi al peggioramento dei ritmi di nuovi accordi? lavoro, in quegli accordi viene messo in dubbio il diritto La salvaguardia dell’occupazione la metterei al primo alla retribuzione durante la malattia e il diritto di sciopeposto; gli aspetti economici senz’altro, con un appesan- ro. Ma non basta: vi è anche una ferita gravissima alla litimento delle buste paga; e infine l’organizzazione del bertà sindacale, sancita dalla Costituzione, e al diritto dei lavoro. Considero fondamentale che il nuovo metodo lavoratori di eleggere i propri rappresentanti. Inoltre, la di lavoro consenta di migliorare le condizioni di lavoro, decisione della FIAT di uscire da FEDERMECCANICA e di quindi di anche di ridurre il rischio di malattie professio- non applicare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, nali e infortuni. I lavoratori ci chiedono di lavorare meglio, rappresenta un attacco frontale a quello che per noi è lo non meno. strumento cardine per il riconoscimento su tutto il territorio nazionale dei diritti fondamentali conquistati in anni 4- Come si è arrivati a una rottura così profonda sul di lotte sindacali. fronte sindacale, che ha portato ad accuse reciproche e a forti tensioni? 4- Come si è arrivati a una rottura così profonda sul Inizialmente c’è stata un’ipotesi di accordo, ad un’orga- fronte sindacale, che ha portato ad accuse reciproche nizzazione sindacale non piaceva, ad un’altra pareva la e a forti tensioni? migliore possibile, cioè non la migliore in assoluto, ma la L’unità del mondo del lavoro è sempre stata l’arma che migliore in quelle precise condizioni, ad esempio a Pomi- ha permesso le maggiori conquiste sindacali. La perdita gliano con lo stabilimento fermo e tutti gli operai in cassa di questa consapevolezza ha portato, a mio avviso, alcune integrazione. In seguito, su questi argomenti, si è perso il organizzazioni sindacali a illudersi di poter prendere scorsenso della misura e del rispetto, e questa è la cosa peg- ciatoie per far prevalere il proprio modello di sindacato, giore. La Fiom ha usato addirittura l’espressione “l’accor- scegliendo come interlocutori privilegiati le controparti e do della vergogna”, sono state usate parole come :“boia l’attuale Governo, anziché i lavoratori e le altre organizzachi firma”, mi è stata tappata la bocca in più di un’assem- zioni sindacali. Per cercare di porre rimedio a queste tenblea. sioni, ritengo sia necessario una legge che misuri la reale rappresentanza delle organizzazioni sindacali nei luoghi 5- Quali interventi sarebbero a suo avviso necessari per di lavoro, nonché le modalità di partecipazione demomigliorare la posizione della donna nel mondo del la- cratica dei lavoratori alle decisioni che riguardano le loro voro? condizioni di lavoro e i loro diritti. Innanzitutto credo che sarebbe da migliorare il contratto collettivo nazionale per quanto riguarda i permessi e 5- Quali interventi sarebbero a suo avviso necessari per il diritto al part time. Poi trovo che ci sia un’incoerenza migliorare la posizione della donna nel mondo del lasconcertante tra quanto dice il ministero della salute, cioè voro? che i figli vanno allattati almeno fino all’anno di vita e in Finché il carico delle cure parentali sarà appannaggio maniera esclusiva fino al sesto, e il fatto che la materni- quasi esclusivo delle donne, sarà secondo me difficile tà obbligatoria arriva solo fino al terzo, massimo quarto superare le discriminazioni nel lavoro. Allora servono più mese. Anche l’organizzazione degli asili nido sarebbe da servizi nel territorio, e un’applicazione migliore delle legrivedere, perché in quelli pubblici il bimbo viene ammesso gi, che già esistono, mirate ad agevolare la conciliazione solo a 9 mesi e solo a partire da settembre, ma la mam- dei tempi di vita e di lavoro e le pratiche per la Pari Opma cinque mesi prima deve rientrare al lavoro. Gli orari portunità fra uomo e donna. E, naturalmente, serve una di apertura, poi, dalle 8 alle 17, coincidono con gli orari di cultura del rispetto che accetti e valorizzi le differenze. lavoro, creando gravi disagi ai genitori.
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L’analisi
(NON)FEDERALISMO made in Lega “Noi non solo pensiamo in una lingua, “Noi non solo pensiamo in una lingua, ma la lingua pensa con noi o, per essere ancora più espliciti, per noi”. Così si legge in un magnifico saggio Sulla lingua del tempo presente di Gustavo Zagrebelsky, e in effetti, ancora una volta, siamo di fronte ad un equivoco, o meglio, ad un abuso linguistico utilizzato per aggirare la realtà e fornirne una scorretta rappresentazione. L’occasione è la discussione e l’approvazione di quello che politicamente e giornalisticamente viene definito “federalismo municipale”. Esso altro non è se non una semplice legge di autonomia finanziaria dei comuni che nulla ha a che vedere col concetto molto più serio, complicato e ampio di federalismo, che descrive un processo di progressiva unificazione di stati sovrani verso un unico stato gestore. Tolta alla Lega il vessillo col quale si forgia e col quale ha costruito la sua forza politica in questi ultimi anni, passiamo ad analizzare nel me-
rito il provvedimento normativo che chiameremo, più appropriatamente, “autonomismo municipale”.Per capire di che cosa si tratta bisogna tornare al 2001, quando la riforma del titolo V della Costituzione introdusse il principio della proporzionalità diretta, il quale prevede che le imposte vadano, almeno in parte, a beneficio dell’area in cui sono riscosse, secondo il principio dell’autonomismo fiscale ( anche impropriamente chiamato “federalismo fiscale”), da concretizzare, successivamente, con legge ordinaria. Un primo passo in questo senso è stata la legge delega 42 del 2009, con la quale si è introdotta l’idea di premiare gli enti locali “virtuosi”, ossia quelli che non spendono più di quanto incassano, e si è fissata per il 21 maggio di quest’anno la data di attuazione vera e propria della riforma. In vista dell’appuntamento è stata istituita una Commissione bicamerale di trenta parlamentari (la cosid-
detta “Bicameralina”) con il compito di approvare i decreti attuativi, ossia i provvedimenti che stabiliscono le norme di dettaglio su come realizzare in concreto l’autonomismo fiscale. Fino ad oggi ne sono stati approvati tre: quello sull’impropriamente detto “federalismo demaniale” che attribuisce parte del patrimonio dello Stato, soprattutto edifici e aree pubbliche, a comuni, province e regioni; quello sull’ordinamento di Roma Capitale, dotata provvisoriamente di autonomie speciali; e quello sui “fabbisogni standard”, cioè una norma che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe modificare il criterio attuale di distribuzione delle risorse agli enti locali, a oggi finanziati sulla base della loro “spesa storica”. A concludere questo iter il Governo ha approvato, salvo poi essere stoppato dal Presidente Napolitano e rispedito alle Camere, il decreto sul nuovo fisco municipale. Esso prevede lo sposta-
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L’analisi mento dallo Stato ai comuni del gettito di numerosi tributi erariali: imposta di registro, ipotecaria e catastale, Irpef sui redditi fondiari non agrari, imposta di registro e bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili ed istituisce una imposta sostitutiva sui canoni di locazione (cedolare secca sugli affitti). In una prima fase di avvio, della durata di tre anni, (20112013), gli enti locali riceveranno il gettito dei tributi immobiliari, che manterranno per questo periodo l’assetto attuale; poi, dall’anno 2014, saranno introdotte nell’ordinamento fiscale due nuove forme di tributi comunali: l’imposta municipale propria (IMU) e l’imposta municipale secondaria.I tributi in questione alimenteranno un Fondo sperimentale di equilibrio, istituito con la finalità di assicurare una devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare che risulti progressiva e territorialmente equilibrata, la cui durata è fissata per un periodo di cinque anni. Il riparto del Fondo fra i singoli comuni avverrà tenendo conto dei fabbisogni standard di spesa (D.Lgs. n. 216 del 26 novembre 2010) e dei risultati conseguiti dalle amministrazioni locali nel recupero dell’evasione fiscale. Per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti si prevedono modalità di attribuzione differenziate e semplificate. In corrispondenza del gettito che confluisce nel Fondo vengono ridotti i trasferimenti erariali spettanti ai comuni. Al medesimo fine viene stabilita l’attribuzione allo Stato di una compartecipazione sul gettito dei tributi devoluti ai comuni. Viene infine istituita – con decorrenza dall’anno 2011 - una nuo-
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va imposta sostitutiva sui canoni di locazione, denominata cedolare secca che, previa opzione da parte del contribuente, sostituisce l’Irpef sulle locazioni, le addizionali regionale e comunale all’imposta sul reddito e le imposte sui canoni di locazione. Sono previste due aliquote, una al 21 per cento per il canone libero e una al 19 per cento per il canone concordato. La tassa non varierà in base al reddito, ma la percentuale sarà uguale per tutti i proprietari; oggi invece vengono detratte le spese forfettarie e gli affitti entrano a far parte del reddito, su cui poi si pagano le tasse. Scompare il bonus di 400 milioni previsto come fondo di sostegno per le famiglie numerose in affitto, ma i proprietari che sceglieranno di pagare le tasse con un’aliquota secca non potranno chiedere un aumento del canone agli inquilini e nemmeno adeguarlo all’indice Istat. A tutto ciò si affianca la nuova impo-
sta di soggiorno, ossia si da la possibilità a comuni capoluogo di provincia, unioni di comuni e comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte di istituire una tassa di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive del proprio territorio. L’imposta sarà applicata con gradualità, fino a un massimo di 5 euro per notte di soggiorno, in proporzione al prezzo. Il gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali. Infine a partire dal 1° aprile 2011 quadruplicano le sanzioni sugli immobili non dichiarati. Il 75% dell’importo delle sanzioni è devoluto al comune dove è ubicato l’immobile. In sostanza si sostituiscono vecchie tasse con nuove e si stabiliscono nuovi criteri di finanziamento dei comuni che porteranno, secondo quanto
L’analisi
emerge da recenti studi di settore, ad un aumento della tassazione per i cittadini proprietari di immobili colpiti dalla nuova cedolare secca sugli affitti e ad una diminuzione complessiva di quasi 500 milioni di euro delle entrate per i redditi da locazione. Tutto ciò ha portato a sollevare numerose e variegate critiche al provvedimento anche da parte di coloro che si dichiarano convinti sostenitori e promotori del federalismo. Emblematiche in tal senso sono le posizioni di Luca Ricolfi, federalista convinto e autore del libro “Il sacco del nord” , il quale si esprime in questi termini in un editoriale pubblicato su La Stampa. “[…] oggi fra coloro che si oppongono ai decreti sul federalismo ci sono per la prima volta anche i veri federalisti, coloro che al federalismo hanno sempre creduto più della Lega stessa. Politici, amministratori, studiosi, commentatori politici, il cui timore non è che il federalismo possa
funzionare, eliminando ogni forma di parassitismo e assistenzialismo, ma che il federalismo possa non funzionare affatto, lasciando le cose così come sono, o addirittura peggiorandole, ad esempio con più tasse e più spese, o semplicemente con una selva di norme ancora più barocche e intricate di quelle che cerchiamo di lasciarci alle spalle. Oggi capita sempre più di frequente di leggere e di sentir dire, non già «sono contro il federalismo, quindi mi oppongo al decreto sul federalismo municipale», ma piuttosto, «sono federalista, quindi non posso votare questo decreto».[...] la novità è questa: oggi chi è veramente federalista non può non chiedersi se sia meglio (meno peggio) che il federalismo «à la Calderoli» passi, o sia meglio che tutto venga affossato per l’ennesima volta. Io, che ho sempre difeso il federalismo, il dubbio ce l’ho. E vi posso dire che altri federalisti convinti, almeno in privato, confes-
sano di augurarsi che tutto si blocchi, tali e tante sono le concessioni che gli artefici del federalismo sono stati costretti a fare alla rivolta degli interessi costituiti e alla miopia del ceto politico locale.Questo, che ci piaccia o no, è l’impropriamente detto “federalismo municipale” modello di quel federalismo all’italiana, o meglio, in stile Lega che alla luce dei fatti altro non è che un semplice spot elettorale. Michele Forlivesi
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La società di
COOPERARE occhi fissi sul mondo Buon giorno, Buenos dias, Bom dia, Good Morning, e chi più ne ha più ne metta! Si lo so, sarà una banalità, ma è davvero così:biologicamente parlando le persone tra loro sono tutte uguali, ed è solo la cultura, la lingua, la storia che differenzia i popoli, che crea questa varietà davvero splendida ed intrigante. Però spesso succede che le differenze, invece di essere considerate un valore aggiunto, un fattore positivo della società, sono viste con diffidenza e attaccate poiché considerate portatrici del male. Per questo è necessaria la Cooperazione. Cooperazione fra i popoli, fra le diverse genti di uno stesso Stato, ma anche fra le diverse comunità appartenenti a Stati differenti, affinché nessuno sia emarginato, sia considerato feccia. Collaborazione, perché nessuno debba sentirsi escluso ma al contrario tutti partecipino attivamente e positivamente alla Vita del Mondo. Questa rubrica, nella più grande umiltà possibile si pone l’obiettivo di informare e far riflettere riguardo l’ambito della Cooperazione e del Mondo Sociale. Spesso non ci si pensa, o lo si fa superficialmente, ma il fenomeno della compensazione vale anche per gli esseri umani, per la nostra società. Se da una parte vi e’ un livello di benessere mediamente alto, significa che da un’ altra parte si ha un livello di be-
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nessere mediamente basso. Il problema della nostra realtà sociale è che questa compensazione è stravolta : c’è pochissima gente che sta bene, molto bene, mentre la maggior parte dei miliardi di persone vive nella povertà più triste, scoraggiante e indignante. Mentre Noi, nel parlamento UE, combattiamo per il diritto al peer to peer, più che legittimo, ci sono tantissime persone che lottano per un sorso d’acqua, per riuscire ad avere un tozzo di pane, per difendersi dai continui abusi, violazioni e torture. Combattono affinché non gli venga strappato l’ultimo pezzo di terreno, loro unica fonte di sostentamento. Terreno che poi andrà in proprietà di una qualche multinazionale, la quale produrrà beni rivolti esclusivamente ai ricchi consumatori occidentali. Intanto, quei poveracci ai quali è stata rubata la terra, saranno morti di fame. Ovvio, non è solo colpa Nostra. I popoli dei Paesi del Sud del Mondo dovrebbero ribellarsi di più. Poi però succede che quando lo fanno, i Nostri governi ci mettono la manina, tappando le bocche della protesta, e cosi il tutto finisce in un niente. E quindi sta a noi, alla gente comune che gode di un benessere mediamente alto, fare qualcosa. Informarsi, informare, aiutare, agire. In una parola: Cooperare.
La società di
Un universo giusto?
vittime e ai familiari di queste di conoscere la verità ed ottenere giustizia. Bisogna invece permettere a queste persone, che hanno subito abusi inimmaginabili, di provare a costruirsi una nuova vita, ad avere nuovamente fiducia nel Sistema che regola la nostra Società. Riporto le parole di Rigoberta Manchù, premio Nobel per la Pace nel 1992, attivista guatemalteca per i diritti delle popolazioni indigene. E’ l’appello rivolto al Parlamento spagnolo, il quale voleva modificare la definizione di Giustizia Universale, per restringere i possibili casi di istruzione di processi. Rigoberta Manchù dichiara che, grazie alle imputazioni a Pinochet (Cile) e a Videla (Argentina), operate dall‘Audencia Nacional (Corte Spagnola): “se abrió una esperanza para las víctimas. Se abrió una esperanza donde podremos ser eschudas las personas que vivimos las torturas, las desaparición forzad, los secuestos, el terrorismo de estado y el aniquilamiento de muchos de nuestros pueblos. Por esto creemos que la Audiencia Nacional ha sentado un gran precedente en el corazón de la humanidad”.
Un’azione nel segno della Cooperazione e nel nome della fratellanza fra popoli, è la difesa del Principio di Giustizia Universale. Noi occidentali dobbiamo lottare affinché questo Principio non scompaia dai nostri ordinamenti giuridici. Attraverso la Giustizia Universale, vi è la possibilità che tutti i dittatori, tutti gli autori di delitti di genocidio, di lesa umanità ed altri crimini atroci siano giudicati da qualsiasi tribunale nazionale, indipendentemente dal luogo nel quale sia stato compiuto il reato e dalla nazionalità dell’autore e delle vittime. In questa maniera, le vittime avrebbero la possibilità di ottenere giustizia e verità, nonostante il proprio sistema giuridico non sia dotato dell’ imparzialità e indipendenza necessaria per portare a compimento un processo
così complesso. Incapacità data anche dall’importanza e dalla notorietà delle persone implicate ed accusate, spesso occupanti i vertici del potere di uno Stato. La Giustizia Universale la si può vedere come una sorta di solidarietà giuridica globale. Non scordiamoci che nel secolo passato, quasi tutti i Paesi dell’America latina sono stati governati da dittature, nelle quali sono stati compiuti gli atti più orripilanti : delitti, violazioni massive di donne di interi villaggi, violazioni dei diritti umani..E secondo voi, gli autori sono stati processati, incarcerati?Chiaramente no! Tutti a piede libero, grazie all’approvazione Federico Ticchi delle varie leggi di indulto e di amnistia. Ma così facendo, si frustra il diritto alle
STATO
DITTATOREA
ANNI
PENA
Cile
Pinochet
1973 - 1990
Riconciliazione Nazionale Senatore a Vita
Argentina
Videla
1976 - 1981
1983: Ergastolo 1990: Indulto 2007: Corte Penale Federale conferma l’ergastolo
Guatemala Brasile
Castillo Armas Castelo Branco e altri
1960 - 1996 1964 - 1984
1990: Indulto 1979: Legge di amnistia
Dittature nei principali Stati dell’America Latina. Come si può ben vedere, le varie leggi di impunità, indulto o riconciliazione nazionale hanno hanno reso possibile l’impunità di queste persone, nonostante gli atroci crimini commessi.
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La copertina di
LA DONNA S’È DESTA?
13 Febbraio 2011. Oggi,scendo in piazza per amore. Non voglio saperne di delusione, tristez- bianchissimi e le padelle in mano, a ribel- volta, godo del fatto che non m’interessa za e insofferenza,mi vesto solo di quella larsi con gli stessi oggetti che un tempo le cosa dirà Minzolini. Oggi la piazza, ci serrabbia sana,tanto più forte quanto più relegavano a “regine del focolare”,per dir- ve per guardarci in faccia. Per ricordarci di grande è l’amore verso l’alternativa a ciò la alla Simone De Beauvoir. “Hai visto quel come siamo fuori dalle realtà fasulle tracui ci stiamo ribellando. So che è tardi per cartellone?Sembra quello del ‘77”,dice smesse dai media e oggi assurte a improfarci sentire, che non avremmo dovuto un’anziana al suo compagno,che la tiene babile modello politico, serve per dirci che aspettare le debolezze del solito poten- per mano chiedendole di non urlare,di ral- non siamo nemici quando lottiamo, che le te contornato da prostitute,quel potente lentare il passo o si sentirà male. Ma lei non diverse generazioni possono essere fonte che fin dall’antichità ci perseguita ricor- lo ascolta e accelera: “dobbiamo fare un di scambio e dialogo,non solo di scontro. dandoci quanto sia facile(?) per noi don- coro sui giovani,qua ce ne sono tanti”.E a Oggi non ci sono litigi nelle piazze, né ne riempirci di oro. So che non avremmo me,vengono i brividi. Poi mi guardo attor- energumeni vestiti di nero ad oscurare la dovuto mai fermarci,mai credere di esse- no, ecco perché mi piacciono tanto le ma- bellezza dei cortei. Non ci sono bandiere re arrivate, ma oggi non m’importa. Oggi nifestazioni: Vedo i passeggini, i bambini e politiche a far da mantello alle idee che voglio urlare che ci sono, che sono stanca le mamme trafelate accompagnare le loro sfilano entusiaste, anche se raramente di essere offesa in tutte le componenti del figlie in bagno, vedo gruppi di ragazzine la politica è stata così presente. La politimio essere donna. Sono stanca di seni nudi tenersi per mano, disegnarsi entusiaste ca come cosa pubblica, quella che non si sui link di facebook, di donne bellissime e sulle guance il simbolo della pace. Vedo limita a ridondare discorsi triti e sputarli discinte in televisione, senza parole da un gruppo di amiche adulte,sorridere senza ritegno, quella costruita dal basso, dire e con tanta carne da mostrare, sono mostrando le loro rughe di espressione quel meraviglioso principio secondo cui a stanca delle pubblicità ripetitive e vuote, di mentre si chiedono quale slogan cantare fare il nostro destino sono le nostre mani,è donne senza sguardo che parlano coi loro successivamente. “Chissà cosa diranno- il nostro stomaco,è la nostra grinta. Mi fianchi. Oggi voglio vedere l’umanità,e la sento dire- Minzolini dirà che siamo cento- guardo intorno,vedo un altro gruppo di scorgo piena,in tutta la sua irruenza,dal centocinquanta,ammesso che trasmetta donne adulte, coi capelli coloratissimi e i primo istante. Vedo signore coi capelli la notizia”; ascolto senza amarezza sta- fischietti attaccati al collo. Alzano le brac-
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La copertina di è di troppi tipi, sappiamo che chi prostituisce le sue idee è più pericoloso di chi prostituisce il suo corpo ma oggi siamo qui per scegliere da che parte stare. E non sceglieremo la tristezza di una rappresentanza femminile politica basata su tacchi a spillo e frasi vuote atte a difendere l’indifendibile. Oggi siamo deste,e scegliamo l’amore per quei diritti che ci sono stati donati, per la libertà di poter avere un corpo desiderabile e poterlo donare gratis,a chi ci pare a noi,per voglia o per amore che sia. Il corteo è finito,ora tocca ai discorsi. Parla una partigiana, voce ferma,capelli grigi raccolti. Non posso far altro che commuovermi a sentir parlare chi ha costruito un cia, uniscono le dita fino a formare il sim- meno che a compierle non sia un immigra- pezzo della nostra storia, chi ha ridato dibolo del femminismo, quell’organo geni- to ubriaco. Oggi non ci dicono che siamo gnità ad un Paese uscito perdente e scontale mimato rivendicato con forza come regine del focolare,oggi ci mostrano che volto dalla guerra. Poi,rifletto sulla parola simbolo di appartenenza ad un genere che possiamo essere regine dello show. Ce lo resistenza, e il mio pensiero va in Iran, a troppo spesso era rimasto al margine. E mi dicono nelle pubblicità, nei cartelloni, sui quelle donne imprigionate nel loro velo fermo ad immaginarle le donne di allora, giornali. I corpi che più spesso riempio- che hanno trovato la forza di scrivere ed senza uomini nei loro cortei, oppresse da no i mass media, e che inevitabilmente si esportare la loro sottomissione. Va chi reun patriarcato cieco e da una religione che impongono nella visione collettiva sono siste ogni giorno, in un mondo in cui non le relegava all’angolo,con l’unico compito sempre più magri e perfetti. Non c’è spa- vendersi è considerato (ahinoi) di per sé un di perpetuare la specie. Immagino la fie- zio per parlare delle donne anoressiche atto eroico. Va a chi cerca di costruire giorrezza nei loro occhi, la necessità di nascon- o bulimiche ,uccise da una malsana idea di no dopo giorno, a chi sceglie di guardare in dere quelle forme che le differenziavano bellezza, né degli abusi subiti ancora oggi faccia i volti delle proteste, e non a schivardall’uomo,come se così facendo potesse- tra le mura domestiche (il 67% degli stupri le dicendo che non servano a nulla. E poi ro eliminare le diversità, riappropriarsi di in Italia è opera del partner, fonte ISTAT). va a chi sta zitto, criticando dietro un comOggi però, è una lotta diversa,una lotta puter, dicendo a se stesso e agli altri che prio da quell’organo rivendicato coi loro comune. Oggi non vogliamo sterminare siamo tutti un popolo di servi, che tanto gesti. Chiedevano di andare alle urne, di l’”uomo nemico” né essere come lui. Oggi questo è il modo in cui il mondo gira,e non poter abortire, di poter divorziare. Chie- lo vogliamo accanto,per riprenderci la di- possiamo farci nulla. E allora sorrido, conun mondo che,cavolo, tiravano fuori pro-
devano alle loro congeneri di squarciare il gnità di una lotta di cui abbiamo tratto i tenta di essere scesa in piazza, di essere insilenzio,di denunciare le violenze fisiche e benefici. E lo sappiamo che questa gior- namorata della forza collettiva delle idee, nata verrà strumentalizzata, lo sappiamo di non essermi persa lo spettacolo di genOggi,tutto,è uguale è diverso. Ci hanno in- che non dev’essere ora,ma anche domani, te che magari voterà partiti differenti,ma segnato che siamo uguali agli uomini,che dopodomani, sempre. Sappiamo che il oggi,oggi è tutta insieme. Oggi ha scelto di mentali che ogni giorno le colpivano.
qualcuno ha lottato per darci quello che rispetto per noi deve partire dalle piccole essere sostanza. abbiamo e nessuno potrà togliercelo. Le scelte di ogni giorno,dal decidere se ci stiatv non parlano più delle violenze sessuali mo a far parlare il nostro corpo al posto Francesca Antonella De Nisi (oggi in aumento anche sugli uomini),a della bocca. Sappiamo che la prostituzione
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La società di
PERCHÈ l’8 MARZO? La donna al tempo del radical-chic Sguardi di donne e ragazzine appaiono un po’ dappertutto negli ultimi tempi, i giornali e le televisioni sembrano calderoni ribollenti di strilli, frustrazioni e sdegno, espressioni diverse di un comune senso di rivalsa nei confronti della costruzione mediatico-commerciale della donna dell’ultimo ventennio; un arco di tempo durante il quale è avvenuta una robotizzante trasformazione della sensualità femminile in un prodotto codificato e standardizzato in base a regole, dettate dal copione della irreale tv commerciale. Gli strilloni della politica, in molti casi, hanno descritto gli occhi delle manifestanti del “se non ora, quando?”e la loro forza e voglia di emozionarsi insieme , scaturita da gravi problematiche sociali e realmente esistenti , con un linguaggio stereotipato, inappropriato, il famoso “politichese”. Tuttavia, tralasciando il Palazzo e la scatola parlante, cosa pensano e che faranno le dirette interessate riguardo l’8 Marzo, festa della donna? “Sono una mamma che lavora circa otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì, per poter uscire solo la Domenica
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a mangiare una pizza con la mia famiglia, altroché shopping e serate con le amiche..Io l’8 Marzo lavorerò, per me non è una giornata diversa dalle altre”, spiega Teresa, precipitandosi verso la fermata dell’autobus, assorbita dai suoi pensieri. Marina si mostra alquanto indifferente sull’argomento: “ non so cosa farò, penso nulla di speciale, a parte andare a lezione e studiare, come tutti i giorni..Per me queste feste sono inutili, non hanno senso, è un fatto commerciale”. Michela, mentre serve con gentilezza i soliti caffè ai soliti colletti bianchi nel bar in cui lavora, dice: ” io penso sia importante parlare di noi donne tutti i giorni, non solo l’8 Marzo, perché, ad esempio, se io volessi chiedere, in questo momento, al mio titolare di poter organizzare il mio orario di lavoro, in modo da renderlo più leggero, dovrei avere la possibilità di poterlo fare tutti i giorni, e senza che questi mi rida in faccia..”. Nel frattempo Deborah, bramando una borsa rossa in vetrina, sembra non veder l’ora di festeggiare: “andremo in un locale, ci sarà uno schiuma-party, saremo tantissime ragazze e ci saranno ragazzi
palestrati, il tutto chiaramente in assenza dei fidanzati rompiscatole!”, afferma entusiasta, e quando le viene chiesto il motivo di questa scelta, risponde “a me non piace la politica, non sono una tipa che va in piazza a gridare senza un motivo, da grande vorrei fare la giornalista sportiva”. Sara siede in biblioteca, sfoglia una rivista di attualità, mostra freschezza e irradia di idee chi le parla: “nessuno conosce bene sé stesso, figuriamoci se sia in grado di inquadrare alla perfezione la situazione femminile al giorno d’oggi..Si parla tanto e troppo della donna, eppure sento dire sempre le stesse cose; discutere sull’8 Marzo per me è inutile, sarebbe come discutere su San Valentino..Se vogliamo porre fine al silenzio dei media sulle questioni che più ci interessano, dovremmo puntare sulle nostre capacità: ad esempio, noi donne, col nostro modo di pensare, potremmo rendere una discussione banale sul testo di una canzone, meravigliosamente femminile e unica in quanto tale, e allo stesso modo riusciremmo a volare in alto con la nostra curiosità, la nostra operosità e sensibilità,
La società di trattando di questioni socio-politiche rilevanti; dovremmo solamente ottenere anche l’aiuto degli uomini su questo punto; il fatto che gli uomini abbiano più possibilità di far carriera rispetto a noi donne, dipende dall’assenza di una criticità diversa dal loro modo di pensare; se riuscissimo a conquistare lo spazio di criticità quotidiana che ci spetta di diritto, la vita sarebbe senz’altro meno monotona e, di certo, più interessante”. Emergono opinioni difformi tra loro, segno tangibile di come la società viva contrasti, evidenziati maggiormente in tal caso, a causa della influenza dei mezzi di comunicazione e dall’efficacia che alcune parole possono avere se pronunciate in maniera ripetitiva, in primis dalle personalità pubbliche. Si parla in genere del tema legato all’8 Marzo in vario modo,vengono compiute analisi che poco hanno a che fare con la sociologia, che per nulla rendono l’idea di come il Paese stia vivendo effettivamente le manifestazioni e i moti dell’ultimo periodo; a riguardo, una volta Alda Merini disse “mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri”; forse “la novità” potrebbe consistere nello svegliarsi e pretendere di poter dar forma alle idee, sperando di non essere additati di comportamenti da “radical chic”, soltanto per aver richiesto maggiore parità salariale tra uomini e donne. Emanuele Vitale
E AL DI LA’ DELL’OCEANO? Nelle realtà diverse dalla nostra, esiste una giornata dedicata alla donna? Per soddisfare questa curiosità, ci pensano tre mie amiche che vivono di là dell’oceano Atlantico: Livia, una solare ragazza di Recife (Pernambuco), nord-est del Brasile, che studia nella Universidade Federal de Pernambuco. Andrea , simpaticissima peruviana di Lima, studentessa della Pontificia Universidad Catolica de Perù. Ana, una divertentissima mexicana di Aguascalientes, frequentante la Universidad Autonoma de Aguascalientes. 1) L’8 marzo, festa della donna,è un giorno particolare nel tuo Paese?E’ una ricorrenza sentita e partecipata? Livia(Brasile): Si, è una giornata particolare. Gli uomini e le donne regalano fiori e cioccolata. Dovunque, nella strada, nei negozi, le donne ricevono dei presenti. Quest’anno, la giornata di apertura del Carnival di Recife cade esattamente l’8 marzo, e per omaggiare questa data, canteranno solo donne. Andrea(Perù): Solamente da pochi anni la televisione ed i quotidiani menzionano l’8 marzo come festa della donna, ma non si celebra ne si festeggia. Non vengono regalati fiori. Molte donne neppure sanno che esiste un giorno dedicato a loro! Ana(Mexico): Non è molto popolare. Molte donne non sono a conoscenza che l’8 marzo sia la loro giornata.Non riceviamo alcun regalo!! 2) Come festeggiano le ragazze (per esempio qui in Italia solitamente vanno negli StripClub)? Livia:Una semplice uscita riservata alle amiche. Andrea: anche qui dovremmo andare negli Strip club, ma sfortunatamente no(risata)!Le poche donne che celebrano l’8 marzo, e soprattutto le pochissime che possono permetterselo, al massimo vanno a cenare fuori o bere qualcosa. Ana: Disgraziatamente in Messico non festeggiamo negli StripClub, ma penso che inizerò questa tradizione con le mie amiche (risata)! 4)Nel tuo Paese, il movimento femminista è forte e ben radicato? Livia: Ci sono solo alcuni gruppi isolati, senza molto seguito. Solo il gruppo che difende i diritti delle lesbiche è abbastanza radicato. Andrea:Esistono, ma non sono forti come dovrebbero essere. Al massimo, denunciano le imprese di birra che pubblicizzano il prodotto con foto di donne in bikini. Ana:Dopo le marce e le proteste degli anni ‘’60, attualmente il movimento femminista continua la sua attività nella vita sociale, in quanto il mercato del lavoro e dell’università è dominato dalle donne .Abbiamo avuto
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La società di delle icone femministe molto famose e conosciute : Sor Juana Ines de la Cruz, scrittrice e religiosa; Frida Kahlo, famosissima pittrice. 5) Il maschilismo è ancora presente? Livia:Certamente!Per esempio, le donne guadagnano molto meno che gli uomini! Andrea:Si tantissimo. Nonostante che sulla carta le donne abbiano pieno accesso al mondo del lavoro, il fenomeno del maschilismo è ancora forte e radicato. Nelle Ande poi la situazione è ancora più triste:le ragazze non vanno a scuola e la maggioranza fa la casalinga. In alcune comunità andine esiste una pratica, chiamata “servinacuy”(parola quechua, la lingua degli Incas), con la quale i padri danno in prestito le proprie figlie ai possibili futuri mariti, affinché questi le provino, e nel caso in cui la donna non “funzioni”, la restituiscono alla famiglia!! Ana:Tristemente in Messico il maschilismo è molto comune.La donna viene trattata come un essere inferiore, soprattutto nei piccoli villaggi, molto legati alle tradizioni 6)Sono frequenti i casi di violenze sulle donne?
Livia:Si molto. La Ley Maria da Penha punisce proprio questo illecito. Andrea: Ci sono moltissimi casi di violenze domestiche. Solo in gennaio, sono state uccise 7 peruviane. Ana:Si sono frequentissimi. Basti ricordare il femminicidio di Ciudad Juarez:Tragico e sconvolgente. 7) Vi sono donne che occupano ruoli importanti, sia nelle istituzioni Pubbliche che nel Privato? Livia:Certo! E’ da poco stata eletta la “presidentA” Dilma Roussef!La maggioranza dei brasiliani confida in lei. Sicuramente è tra le donne più potenti del Mondo! Andrea:Si. Ci sono Ministre,Amministratrici di grandi imprese,funzionarie pubbliche. Il sindaco di Lima è donna! Ana: La proprietaria della Corona (la birra!) è donna. Il presidente del PRI( Partido Revolucionario Institucional), partito più importante del Paese, è donna!Inoltre ci sono molte governatrici e sindachesse.Il sindaco di AguasCalientes, la mia città, è donna! Federico Ticchi
SPACCATO STORICO Erano i primi anni del novecento quando diversi nuclei del movimento femminista incominciarono a muoversi, anticipando una corrente che diverse volte nel corso della storia del secolo ventesimo si rese protagonista . Erano quelli gli anni delle suffragette, impegnate in una lotta alimentata da una speranza, quella dell’estensione del diritto al voto alle donne, destinata a tramutarsi in realtà, seppur in momenti diversi a seconda delle nazioni. Ma erano anche gli anni della “Belle Epoque”, anni in cui, sorretta dalla spinta conferitagli dalla Seconda rivoluzione industriale prima e da altri fenomeni come la corsa agli armamenti poi, la produzione si manteneva florida, la richiesta di manodopera aumentava e nelle fabbriche erano impegnate, in un cre-
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scendo che vedrà il suo apice durante la grande guerra, anche le donne. Proprio nelle fabbriche andava sempre più consolidandosi fra gli operai il senso d’appartenenza ad una vera e propria classe, e la componente femminile, soggetta a non poche vessazioni, non poteva non far sentire la propria voce per chiedere il rispetto e l’acquisizione dei propri diritti. A New York le cronache del tempo riportano la notizia di un tragico incendio divampato presso la Triangle Factory il 25 Marzo del 1911. In seguito a questo drammatico evento morirono più di 140 persone, per lo più donne, anche giovanissime, emigrate dall’Europa. I proprietari della Triangle purché responsabili di aver tenuto sotto chiave le operaie (il timore era che potessero rubare), e messisi in salvo
lasciando le vittime al loro destino, furono assolti. Una sconsiderata politica interna alle fabbriche, foriera di eventi come il disastro del colosso industriale newyorkese e totalmente incurante dei diritti e della sicurezza delle operaie aveva spinto, stando a quel che riportano le fonti storiche, già nel 1910, in occasione del Congresso dell’internazionale socialista tenutosi a Copenaghen, la componente femminile della convention a proporre l’istituzione di una giornata internazionale dedicata alla donna. A quanto pare però, non fu però scelta all’unisono la data da destinare alla celebrazione, anzi l’istituzione venne ufficializzata in anni diversi a seconda dei Paesi (in Italia ad esempio nel 1922). Difatti, come ha ricordato uno speciale de La Repubblica uscito l’ 8
La società di Marzo dello scorso anno, nel 2010 si è festeggiato il centenario della giornata internazionale della donna, ma proprio dalla lettura dei giornali è deducibile una certa confusione riguardo alle origini della medesima. Nel 2004 Il Resto del Carlino rimanda all’incendio della industria tessile Cotton di New York, incendio secondo le leggende divampato il giorno 8 Marzo del 1908 (alcune fonti, come Wikipedia, chiamano in causa l’evento come “manipolazione” del disastro
della Triangle Factory), e il quotidiano Bolognese non è di certo l’unica fonte a far risalire l’istituzione della festa della donna all’incendio della Cotton. Dall’altra parte “La Repubblica” celebrando nel 2010 il centenario, ricordò altresì come momento chiave il congresso di Copenaghen, lo stesso quotidiano nel 1987 pubblicò tuttavia un articolo dove richiamando le “indagini” di due studiose femministe, vengono smentite le voci che ricollegano il fatidico incendio del 1908 da una
ANNAMARIA TAGLIAVINI Per comprendere meglio la nuova fase che sembra essersi inaugurata nella politica italiana il 13 febbraio 2011 diamo la parola ad Annamaria Tagliavini, Direttrice della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna. Dottoressa Tagliavini, il 13 febbraio 2011 oltre un milione di donne e uomini ha invaso 230 piazze italiane, riunito sotto un unico slogan «Se non ora, quando?». Come giudica questo evento e quali sono, a suo avviso, le motivazioni che hanno portato alla protesta? Mi pare sia stata una giornata importantissima sulla scena politica italiana. Io, che viaggio molto all’estero, e che mi trovavo all’estero in quei giorni, non faccio altro che ricevere domande alle quali non so rispondere: perché le donne italiane sopportano il governo Berlusconi, soprattutto l’immagine che il governo Berlusconi propone della donna. In questo caso, mi sento di dire che la risposta è arrivata dalle piazze, nel senso che le stesse donne italiane hanno deciso di far vedere, e di far vedere pubblicamente, che non hanno più voglia di sopportare questa rappresentazione, da un lato irreale, dall’altro fortemente lesiva del loro valore. A me pare che questa manifestazione abbia contribuito al recupero non solo della dignità della donna, che è una parte del problema, ma anche di un concetto stesso di civiltà che è, in questo momento, sotto scacco nel nostro Paese. I rapporti fra l’uomo e la donna infatti sono, a mio parere, un’unità di misura del grado di civiltà di una società. Quindi, evviva la manifestazione del 13 febbraio, e mi auguro ce ne siano tante altre. Diverse commentatrici vi hanno descritto criticamente: qualcuna vi ha definito bacchettone e moraliste o radical chic, altre, come Elena Loewenthal de La Stampa, hanno sostenuto che la dignità della donna si difende nella vita quotidiana, non in una manifestazione che chiede le dimissioni del Presidente del Consiglio. Come giudica queste prese di posizione? Le giudico queste abbastanza pretestuose. Io sono stata una delle prime firmatarie dell’appello lanciato da Concita De Gregorio «Se non ora, quando?», con la consapevolezza che quel documento era un testo, se vogliamo, abbastanza generico. D’altra parte, è così che si fa quando si vogliono chiamare in piazza un gran numero di donne e non un ristretto gruppo di femministe teoricamente schierate. Se si ha l’obiettivo di mobilitare un gran numero di donne si fa un appello molto generale, che sia capace di toccare le corde del sentimento popolare. Io non credo che quel documento avesse alcun contenuto moralistico: l’ho letto, l’ho riletto e credo che fosse un documento, se vogliamo, forse un po’ generico, ma utile. La prova che fosse un documento utile sta nella risposta delle persone: è un testo che ha toccato il cuore di tantissima gente, non soltanto donne peraltro, ma anche uo-
parte e addirittura lo stesso incontro di Copenaghen dall’altra all’istituzione all’8 Marzo, che risulterebbe essere una pura invenzione, dal punto di vista “storico”. Fu nel dopoguerra che la giornata internazionale della donna incominciò ad essere celebrata con più “chiarezza”, all’ alba di un’era che vedrà impegnato su nuovi fronti (aborto, divorzio ecc.) il movimento femminista. Enea Conti
mini. Quando il documento è arrivato a me, ho iniziato a farlo circolare fuori dai giri del femminismo, delle reti delle donne che io frequento di solito, verso un altro tipo di pubblico. Ho avuto immediatamente un consenso enorme, anche da parte di donne e uomini che normalmente non fanno politica e che non sono particolarmente interessati al movimento delle donne. Questo è stato un segno positivo: se si fosse fatto un documento più approfondito, o più sofisticato dal punto di vista teorico, ci saremmo trovate in 50 in piazza invece che in 50.000. Io quindi credo che esistano strumenti diversi per finalità diverse: è chiaro che se vogliamo analizzare il nesso sesso-potere-politica nel nostro Paese non è certo un volantino di una mezza cartella che può fare questo tipo di analisi. Se vogliamo scendere in piazza e far vedere che siamo in tante contro questo tipo di andazzo della società, allora si fa un volantino più generale, forse anche un po’ demagogico, ma che sia capace di dare il via, appunto, a questo tipo di mobilitazione. Penso quindi che le critiche che ci sono state rivolte siano davvero un pochino pretestuose. In séguito al successo della manifestazione, il 14 febbraio l’Unità apriva con il titolo È solo l’inizio: è un fatto, una speranza o un’illusione? Io penso che sia una volontà. Dopo la manifestazione, infatti, moltissime sono state le donne che ci hanno contattato per chiederci: «E adesso? Adesso che cosa facciamo?». Il prossimo 8 marzo, invece delle solite manifestazioni, magari anche di notevole spessore culturale, ma trite e ritrite, cerchiamo di dare continuità a quello che è uscito da questa piazza. A tal fine, so che è in previsione per l’otto marzo un altro presidio della piazza, di un paio d’ore, per richiamare l’attenzione su questo problema. In ogni caso, sono convinta che molte delle persone che erano alla manifestazione il 13 febbraio, e che hanno voglia di continuare, sapranno darsi i modi per fare di questa giornata qualcosa che duri appunto tutte le giornate dell’anno, attraverso momenti di mobilitazione, di riflessione, di discussione, di partecipazione, che faranno di questo 13 febbraio uno spartiacque. Per concludere, ha dunque senso, nel 2011, festeggiare l’8 marzo? Sì, penso di sì. Perché dopo questo 13 febbraio questo 8 marzo sarà ancora più dotato di senso. Il 25 aprile, il primo maggio, l’8 marzo, è vero, c’è il rischio di fare il solito corteo per portare, in certi casi, le corone di fiori ai caduti, però sono date che non possono essere dimenticate. Sono date di eventi che sono stati pagati con la vita: l’8 marzo è tale, perché ricorda un gran numero di donne morte in una fabbrica durante un incidente sul lavoro. Allora non sono episodi da dimenticare, sono episodi da ricordare, magari non soltanto andando a cena con le amiche o regalando una mimosa, come per anni si è fatto, ma cercando di riempire questa giornata di contenuti, di una riflessione comune in un momento che lo richiede assolutamente.
FEDERICA NUZZO
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La società di
MADRE DI FAMIGLIE Il linguaggio attuale, da quello giuridico a quello economico a quello dell’informazione, descrive la società` in termini di categorie distinte, connotate di proprie peculiarità e interessi specifici, impedendo una visione d’insieme e delle interazioni tra queste. Servendoci di questo stesso linguaggio, nonostante la limitatezza che comporta, possiamo dire che una delle più rilevanti di queste categorie nella nostra società è quella delle donne immigrate. In Italia, rappresentano più della metà tra gli immigrati regolari, come riportano i rapporti statistici del 2010 e degli ultimi anni. La maggior parte di loro svolge mansioni di collaborazione domestica, ovvero attività di colf e badanti. I profili sia sociali che economici di questo fenomeno incidono non soltanto sull’assetto della società italiana, bensì anche su quello dei paesi d’origine delle stesse migranti e sulla crescita ed emancipazione del ruolo femminile a livello globale. La sensibile crescita occupazionale di donne straniere nei ruoli di aiuto domestico e assistenza alla persona ha fatto conseguire la necessità di una sanatoria che permettesse di far emergere il rapporto di lavoro irregolare tra datori e colf e badanti ai fini di un più stringente controllo del fenomeno sul territorio. Non va poi dimenticato che, per le casse italiane, sanatoria equivale a entrate economiche, poiché la regolarizzazione di tali lavoratrici comporta spese a carico del datore di lavoro ed è subordinata al requisito di determinate soglie reddituali dello stesso. Inoltre, la messa
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in regola impone al datore una retribu- donne alla famiglia italiana per la quazione non inferiore ai minimi previsti le lavorano, uniti alla lontananza dalla dal contratto collettivo nazionale di propria, finiscono per divorare le loro lavoro. Secondo i dati 2010 sarebbero aspettative di intraprendere altri tipi già emerse circa 300.000 richieste di di carriera lavorativa e soprattutto la regolarizzazione, sebbene la procedura possibilità di dedicarsi ai propri affetti. di esamina delle stesse proceda molto Il disagio è reso ancora più forte dalla a rilento e, con molta probabilità, la rigida disciplina dei ricongiungimenti poca convenienza per il datore di rego- familiari, che spesso rendono arduo larizzare funga da disincentivo a farlo. per i familiari rimasti in patria riunirsi Unico deterrente contro la mancata alla propria congiunta e dal fatto che, in attivazione della procedura è quello del realtà, la maggior parte delle lavoratrici rischio di sanzioni connesse al fenome- vorrebbe poi ritornare nel proprio paeno dell’immigrazione irregolare, che se una volta garantito il sostentamento colpiscono sia le prestatrici di lavoro alla famiglia. Le lavoratrici di cui si è sin che i datori stessi. Le donne che svol- qui parlato, dunque, rappresentano una gono le mansioni di colf e badanti sono forza economica, ma ancor di più sociaanello di sostegno di ben due famiglie: le che spinge a riflettere su quale sia il la propria e quella acquisita per moti- ruolo della donna a livello globale, nei vi di lavoro. Da una lato, infatti, larga paesi poveri e in quelli più sviluppati, parte del loro stipendio è destinato alle ma altresì nella famiglia e nelle relazioproprie famiglie d’origine ni di interdipendenza tra tramite rimesse all’estero, parte del loro sti- queste e le persone non e va a costituire una delle pendio è destina- autosufficienti. Si impomaggiori fonti di ricchezza to alle proprie fa- ne , quindi, la necessità dei loro stati di proveniendi ripensare a un modelmiglie d’origine za, prevalentemente dell’ lo di società che concili Europa dell’est e dell’ America latina. lo sviluppo della personalità della donD’altro canto arginano un grosso pro- na con attività lavorative e di assistenza blema della nostra società, legato alla storicamente svolte dalla stessa, che carenza di assistenzialismo dello Stato riducono sensibilmente altre possibilità e di servizi verso le persone dipenden- di scelte di vita. ti e non autosufficienti. Colf e badanti vengono a ricoprire un ruolo che nelle Giulia Travain famiglie vecchio stampo veniva svolto dalla “donna di casa”, destinata a occuparsi delle cose di famiglia per permettere al marito di dedicarsi al lavoro. Il tempo e le energie rivolti da queste
La società di
DONNE FEMMINE E FEMMINE NON DONNE
più le principesse in attesa di essere salvate a farci da modello, ma nemmeno le eroine combattenti apparse di riflesso ai primi movimenti di emancipazione femminili. Oggi,ci sono le protagoniste bambine già formose e truccate, e il diktat torna ad essere quello di ieri, solo che un po’ meno sottile e molto più volgare: piacere all’uomo o, meglio ancora, agli uomini. L’invito alla seduzione è costante in sempre più aspetti della comunicazione sociale:per pubblicizzare un divano, c’è bisogno di una donna sedutaci sopra,possibilmente a gambe aperte e col sorriso ammiccante. Ad un presentatore brillante si affianca sempre più spesso un corpo senza voce,e ogni programma ha la sua presenza femminile , molte (troppe) volte al limite dell’inutilità. Maria De Filippi è il nuovo idolo delle moderne generazioni, padrona di casa il cui salotto si riempie di uomini oggetto e femmine urlanti (e viceversa). Certo, la progressiva lobotomizzazione della comunicazione di massa è un fenomeno trasversale, che tocca tutti i generi e , ahinoi, tutte le generazioni. Ma quando questo tocca la donna gli effetti sono più gravi e devastanti, e un tragico esempio ci viene dato dalla trasmissione “la pupa e il secchione”, in cui femmine deliberatamente decidono di essere stupide, farsi applaudire come tali, e avere successo grazie alla propria ignoranza. Di trasmissione in trasmissione, di spot in spot, ecco che i corpi femminili si decuplicano,i capi di abbigliamento si riducono e, come sempre accade, i media influenzano gran parte dei soggetti che ne sono attratti. Per cui non sorprendiamoci se vediamo bambine truccatissime e seminude, già consce del ruolo di seduzione che giocheranno in società. Non sorprendiamoci se non sappiamo rispondere alle tesi dello scarso maschilista di turno che ci dirà “siete voi donne che lo volete, è inutile che fate le vittime”. E stiamo attente a non cadere nel tranello di chi vuol farci credere che l’ideologia della supremazia maschile si fermi al concetto patriarcale della società, al lasciare la donna a casa a badare ai figli. Quale oppressione è più violenta, infatti, di quella che predica l’incapacità di ragionare del soggetto oppresso? E privilegiare sempre e comunque il corpo a discapito del pensiero non produce forse gli stessi effetti? Effetti inevitabili se ci trattiamo come dei corpi vuoti da utilizzare come lasciapassare, anche se ciò avviene in piccoli contesti, come l’ammiccamento al professore per farci alzare un voto o l’ accettazione delle infelici battute di chi dice che “abbiamo il mondo in mano grazie alla figa” . Se vogliamo ribellarci, dunque, prendiamo le distanze da questo maschilismo rosa latente ma violento, che parte dalla più triste delle mancanze umane,la scarsa coscienza del proprio essere, e si nutre della più grande debolezza trasversale del nostro tempo: la ricerca dell’apparire, dei soldi e del potere (mediatico o politico che sia), a qualsiasi costo.
Che l’uomo medio sia intrinsecamente maschilista è cosa a cui siamo ben abituate. Lo è dal giorno in cui fu cacciato dall’eden per colpa della donna tentatrice, che venne punita (da un Dio maschio) con la maledizione di “partorire con dolore” . E come biasimarlo,il nostro uomo, se le sue bislacche tesi di superiorità sono state sistematicamente avallate da buona parte di regimi mono e democratici, e ancor di più, da tutte le religioni monoteiste- e sappiamo bene quanto la religione sia in grado di condizionare intere popolazioni .Il maschilismo dell’uomo, tuttavia, è un movimento di scarsa fantasia, che affannosamente ha cercato di adattarsi al cambiamento dei tempi, adducendo improbabili giustificazioni storiche, biologiche, culturali (?). Per ogni epoca il suo clichè,dunque, e il maschilismo dell’uomo è in men che non si dica smascherato. Già. Se non ci fossimo noi ad accorrere in soccorso di un’ ideologia che alla luce delle “moderne legislazioni occidentali”(?) apparirebbe completamente senza senso. Già, proprio noi, perchè essere donne non è di per sé un valore aggiunto. La distinzione tra donne e femmine si fa sempre più netta, e pur nell’unità che contraddistingue tutte le ribellioni, dobbiamo chiederci a chi vogliamo affidare il rispetto della nostra dignità. Sì,perché oggi non attacca più la scusa del “Non avere scelta” quando si accetta di fare da spalla silente al presentatore di turno. Quando si sorride compiaciute alla battuta volgare di chi ci guarda il seno e non il viso,quando si osserva superficialmente, magari sorridendo, quei mondi fatati dei media e di una nuova politica che costantemente propongono il modello grottesco della donna sempre più nuda e sempre più zitta. Non siamo qui a giudicare altre donne, non entriamo nel merito delle vite di chi ha scelto di farsi pagare per dare un po’ di sé,anche se il nostro pensiero va a chi è stato costretto a farlo. Un tempo eravamo educate ad essere obbedienti, oggi siamo educate ad essere belle fin da bambine:non ci sono Francesca Antonella De Nisi
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La società di
TIME MIRRORS
Va bene ,starete pensando : “Ecco la solita rubrica nostalgica della serie la scuola non è più quella di una volta... quant’erano belli gli anni settanta , la mia prozia mi raccontava che gli uomini non sono più galanti come ai tempi suoi” , mentre l’amico scettico commenta : “e va bene lo sappiamo che non è più il mondo di una volta…basta!”: poi cambierete pagina . Non temete, lasciando le analisi storiche a chi di competenza , in questa rubrica ci concentreremo sulle persone e sulle loro vite che , accomunate da esperienze , luoghi , battaglie comuni si specchieranno sfidando le leggi del tempo .
Donne e nobel : 2011 , anno del risarcimento morale o ennesima delusione? Riflesso di ieri….
nalmente le varie discussioni “da bar”lavorando sul campo, con cattedre , riconoscimenti , premi nobel o no. Specchio di “ieri” è Jocelin Bell-Burnell . La storia della scienziata di Belfast è molto singolare. In un’epoca in cui non si ipotizzava neppure l’esistenza di tale corpo celeste , ancora studentessa l’astronoma scoprì il “pulsar”. Il premio Nobel verrà assegnato al professore Anthony Ewish , relatore della sua tesi con il quale, dicono le fonti, ella stesse collaborando al momento della scoperta. Professoressa alla Cambridge University nonostante i numerosi e prestigiosi premi e le lauree honoris causa ricevute , il nostro peronaggio “di ieri” non verrà mai annoverato tra i premi Nobel della storia. Un errore casuale?Sarebbe stato tale se la sua storia non ci rimandasse a quella di Rosalind Franklin , Lise Meitner , Chien Shiung-Wu , Nettie M.Stevens e tante altre ancora.
Riflesso di oggi….
Proviamo a darci un taglio :se vi trovate a navigare in rete fate un salto nel sito www.noppaw.org. Vi accorgerete che una riconciliazione tra il genere femminile ed il premio Nobel è ancora possibile. Noppaw (Nobel peace prize for African women) è l’idea di conferire il Nobel per la pace non ad una donna , ma a tutte le donne africane , segnando la data storica del primo premio collettivo dal 1901- anno di nascita del premio -ad oggi. Dalla Liberia alla Sierra Leone , le donne africane vengono considerate elemento fondamentale proprio per il modo con cui affrontano i disastri che colpiscono questi territori . Per questi specchi di oggi , per Suzane Quare , presiden-
Cose d’altri tempi? Sarebbe così se non vi fosse una vasta e statistiche sono chiare , solo il 4% dei premi Nobel della storia è stato assegnato a donne. La maggior parte delle volte infatti , pur avendo partecipato brillantemente alle attività di ricerca , importanti scienziate , medici , ricercatrici, personaggi straordinari , hanno dovuto lasciare il posto ai colleghi uomini una volta arrivate alla soglia della gratificazione.. L’idea diffusa in molti ambienti è stata – ed è- che una donna renda meno dell’altro sesso. “Gli uomini sono più analitici” , o anche “gli uomini affrontano le questioni in modo completamente diverso” sono le frasi più utilizzate per spiegare perché , a conti fatti , il sapere universale ha sempre avuto la “firma” di un uomo , pur di fronte all’evidenza di donne che smentiscono gior-
Cose d’altri tempi? Sarebbe così se non vi fosse una vasta fetta dell’opinione pubblica a sostenere il contrario. Nel 1997 la celebre rivista scientifica “Nature” pubblicò un dossier secondo cui, una ricercatrice deve dimostrarsi due volte e mezzo più brava per ottenere delle promozioni pari a quelle di un collega(Wenneras - Wold). Citare una sola tra le tante Jocelin “di oggi” non solo condurrebbe all’imbarazzo della scelta , ma risulterebbe l’ennesimo modo per far navigare le nostre menti nella comune insoddisfazione , nel pensiero per cui “nel mondo non funziona niente”.
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I dossier te dell’Association Paglayiri ,Minata Sokodogo ,assistente sociale in Costa D’avorio , per Natalie Denà , associata all’Enfantes et Jeunes Travailleurs de la Cote d’Ivoire , per tutte le donne che come loro ogni giorno lottano per la difesa dei diritti umani in Africa ,questa premiazione sarebbe un traguardo unico non solo per la gratificazione a livello mondiale , ma soprattutto per lo spirito solidale con cui il Nobel verrebbe conferito ,quello stesso spirito che tutte insieme mettono ogni giorno quando affrontano le non poche difficoltà. Riportiamo l’appello fatto ai direttori di quotidiani da parte di Solidarietà e Cooperazione Cipsi e “chiAma l’Africa”: “L’8 marzo dedicate le prime pagine delle vostre testate
alle donne africane e alla loro candidatura al Premio Nobel per la Pace 2011”. Per aderire all’iniziativa è possibile anche firmare online visitando un apposito spazio che troverete all’interno della pagina web. Considerandolo un ottimo risarcimento morale per tutte le donne a cui questo premio tanto ambito è stato negato , nonché un forte segnale di crescita , non ci resta che sperare in un sì da parte di Stoccolma . Laura Pergolizzi
MA CHE STAI A DI’? Il linguaggio è la nostra chiave d’accesso al mondo. E’ l’arma più potente di descrizione della realtà,che diventa costruzione quando si tratta di una realtà a noi sconosciuta e percepita quindi solo tramite quello stesso linguaggio, che a sua volta può diventare distruzione quando viene manipolato per stravolgere la percezione della realtà stessa. Questa rubrica si propone di analizzare alcuni dei termini più utilizzati in ambito politico,giornalistico e mediatico al fine di restituirci una più corretta visione della realtà.
ESCORT Escort è una parola inglese che significa “scorta”, o , al maschile, “accompagnatore”. Importato in Italia, tale termine ha per lo più un’accezione femminile, e si utilizza per indicare le cosiddette “prostitute di altro borgo”, elegantemente chiamate “accompagnatrici”, in riferimento al fatto che spesso, in proprio o tramite delle agenzie, si offrono di accompagnare il cliente (o la cliente, esistono anche escort uomini) a cene di lavoro o di semplice intrattenimento, dietro pagamento di cospicue somme di danaro. Non necessariamente il servizio di accompagnamento si concluderebbe con l’atto sessuale ed è questa una delle componenti che farebbero differire l’escort dalla prostituta. In realtà, digitando su google la parola “escort”,
tra i primi risultati ottenuti si ha una pagina di annunci di “top escort”, allegati a immagini di donne impegnate in atti di autoerotismo e rigorosamente in biancheria intima. Tali annunci riportano i numeri di telefono delle prestatrici di lavoro e le loro abilità migliori, tutte riguardanti atti sessuali. Pare difficile immaginare quindi, come l’attività di una escort possa limitarsi a un semplice accompagnamento a cena, anche se tale possibilità è demandata all’arbitrio della escort stessa. Le altre differenze tra escort e prostitute si ravvisano poi nella diversità di budget (le escort sono sorprendentemente costose), nella volontarietà dell’atto e nel luogo della prestazione, che spesso è un hotel o la casa del cliente (mentre le ordinarie prostitute si accontentano generalmente di auto, angoli di strada o case fornite dal protettore). L’ eleganza del-
la escort rispetto ad una prostituta quindi, non sembra giacere tanto negli atti compiuti, quanto nel diverso scenario in cui essi si consumano. E’ ragionevole pensare, pertanto, che chi condanni la prostituzione come atto in sé, ugualmente debba comportarsi nei riguardi dei “servizi di accompagnamento”, se non vuole esser considerato un ipocrita. Chi invece crede nel libero arbitrio e nella facoltà di scelta di ognuno di fare del proprio corpo ciò che più gli aggrada non ha motivo di enfatizzare sottili differenze e ancor di meno, di utilizzarle come fossero caratterizzanti di “eleganza” di un mestiere rispetto ad un altro. Francesca Antonella De Nisi
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I dossier
VITE STONATE Questa rubrica sarà composta da racconti: racconti di persone, conosciute e non , che vivono diversamente dalla media, che osservano la realtà da una prospettiva differente, a volte innovativa, a volte suscettibile di critiche.
IL MENDICANTE Giuseppe avanza lungo un viottolo ciondolando, indossa degli stivali in pelle bucati, tra le braccia stringe una coperta di lana raggomitolata. “Qui dentro c’è la mia vita”, dice, fissando rabbuiato l’ingresso di un bar e incrociando lo sguardo truce di un cameriere; è difficile, quasi impossibile, pensare che un individuo possa filtrare la propria vita, in modo da estrapolare da essa pochi oggetti che la rappresentino, tanto più pensare di riuscire a raccattare il tutto in un fagotto logoro;“non ho avuto scelta, erano le uniche cose che mi erano rimaste, mi hanno sfrattato e non trovo lavoro”.Quando ci si trova a vivere una simile esperienza, la vita sembra diventare una pressa d’acciaio, sotto il peso della quale la propria dignità viene irrimediabilmente sbriciolata, ridotta in macerie; “mi rendo conto di essere l’ultimo della classe, come si dice..Lo so..Lo leggo negli occhi della gente che mi fissa..”.Durante i primi giorni di povertà, gli sguardi della gente appaiono compassionevoli oppure indifferenti; dopo anni e anni vissuti in ginocchio per strada, i volti delle persone quasi si deformano orribilmente contro te stesso, le sconfitte personali si conformano ad essi, e con occhi sbarrati ti ricordano ogni giorno di far parte di una categoria di persone deboli. Vivere una tale prova di vita, significa affrontare quo-
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tidianamente la fragilità della propria condizione, ed è quando si è immersi nell’incertezza più oscura, che si cerca di pescare dal proprio mare tutto ciò che possa nutrire una reazione contraria alle innumerevoli avversità che vorticano attorno a te stesso. “Mi rincuora svegliarmi al mattino.. Ogni sera, prima di addormentarmi, temo sia l’ultima volta che possa tenere gli occhi aperti..Cerco di ascoltare quanto più a lungo il mio respiro”. La routine ci spinge a compiere gesti ripetitivi e impersonali, quasi inconsciamente; elaboriamo pensieri in continuazione, discutiamo col nostro ego di argomenti diversi, evitando con cura quelli scomodi, quelli che al solo pensiero ci rendono vulnerabili; la straordinarietà dell’uomo consiste nel costituire, al pari dei suoi simili, un flusso di idee e opinioni diverse tra loro, sia che ci si trovi in un’ aula universitaria o in una affollata via del centro; chi vive perennemente la società perché frequenta esclusivamente la strada, più di ogni altro assorbe i sentimenti della gente, ed impara ad osservare e ascoltare.“Osservo la gente..Sono tutti così indaffarati..Alcuni fingono, sono depress, ma non lo danno a vedere, vogliono far credere di aver da fare anche mentre fissano un volantino per terra. Magari avessi io la sicurezza di lavorare o trovare una famiglia a casa che mi accetti
ancora!”, spiega Giuseppe, offrendo un sorriso in cambio di un piccolo dono da un passante; ogni mattina un signore gli offre un caffè, e poter entrare per un attimo in un bar al pari degli altri alleggerisce il fardello dei luoghi comuni e delle sconfitte che Giuseppe si porta dietro da tanti anni di solitudine. Di solito, comunemente si pensa “eh, fanno finta, troppo facile star lì seduti a chiedere soldi alla gente..Che vadano a lavorare”: questa è la voce dell’indifferenza, un atteggiamento che ci omologa alla massa informe, al pool genico, un atteggiamento sviante dinanzi al timore di poter fare la stessa fine di un diseredato; la maggior parte degli uomini fugge da se stessa, ma non Giuseppe. Nei pochi attimi di intimità che riesce a riservarsi un uomo che vive in strada, sistema le sue cose in una specie di fagotto di lana, che porta in spalla, ed ogni giorno trascina il cumulo delle proprie sconfitte e si trascina sempre in avanti, a rilento, sforzandosi di non fermarsi prima di aver raggiunto una meta, ogni giorno diversa e sconosciuta, “ non ho paura di affrontare ciò che non posso conoscere..fa parte del gioco ormai, secondo me. Purtroppo il mio destino è quello di dipendere dalla carità altrui”; essere costantemente in bilico, in equilibrio precario, non viene annoverato nel catalogo dei lavori che una
I dossier persona potrebbe compiere, questa gente non è soggetto di una frase che potremmo trovare nel comma di un disegno di legge, questa gente non fa parte del turbinio dei nostri pensieri. Un mendicante fa parte solo di se stesso, non possiede nulla, la propria esistenza è ancorata ad una zattera di
fortuna lanciata verso di lui da un marinaio che abbia voglia di ascoltarlo, una volta su mille. Chissà se un giorno Giuseppe riuscirebbe ad abbandonare in un pozzo i timori ed i rimorsi che lo opprimono, come fanno tutti gli altri; per adesso, sul fondo giace riflessa soltanto l’immagine sfocata del
suo viso, sopracciglia folte, barba mal curata, ma tanta, tanta voglia di resistere alla tentazione di far scivolare dolcemente se stesso, in quel pozzo. Emanuele Vitale
OTTO MARZO
con in mano un gran frustino aspetta silvio tra le sedie come l’orco a pollicino Chi mi conosce lo sa che sono un po’ (tutto) rincoglionito, in- le studentesse delle medie. fatti quest’anno avevo pensato che la festa della donna fosse il 13 febbraio: una manifestazione bellissima dove la donna ha fatto capire di non essere un oggetto, ma una persona speciale perchè, a differenza dell’uomo, ha con un cuore grande così. E a differenza di quei comodini con le tette e i culi, fatti con così tanta plastica che sembra carnevale 12 mesi all’anno, hanno anche una testa che sa pensare anche ad altro oltre che ai programmi di merdasec (o mediaset?).Il problema è che agli “uomini”, o meglio, ai “maschi” (che sono uomini le cui terminazioni nervose risiedono al 90% nella zona che va tra la coscia e pancia) piace molto più la suddetta mobilia in lattice (con libretto di montaggio ikea) che non una vera donna. C’è poi la categoria “nano malefico magrebino”, a cui non solo piacciono i mobili, ma adora anche cambiarla tutte le settimane assicurandosi solo prodotti appena usciti di fabbrica, in genere dalla mora&fede s.p.a. (società per andr...oidi); è talmente tanto ossessionato dalla novità del prodotto che per trovare roba proprio fresca fresca ne ha combinata una che... che solo io so, e che voglio raccontare in rima:
davanti a quei cancelli delle scuole di Milano si accorsero i bidelli di un fatto alquanto strano stava scritto in evidenza con pallini di mimosa “se li segui con pazienza la serata avrai grandiosa” ed infatti quei pallini che formavano una scia se seguiti da vicini indicavano una via!! per capire mollan tutto i bidelli preoccupati ma non oso dir che lutto quando furono arrivati! eran giunti più di cento ed il posto era vicino non capite lo sgomento a legger “villa san martino”.
ma i bidelli con sveltezza spazzan tutto senza posa e gettan via nella monnezza quel tranello di mimosa. resta senza la serata il sicofante nano che infatti è terminata a nervi tesi e frusta in mano. E menomale dai...che i bidelli ci hanno messo una pezza prima che la mettesse lui... Però la cosa mi fa pensare, ossia: se questa cosa succede vuol dire che i comodini di cui parlavo prima PURTROPPO esistono davvero (ad un prezzo di catalago di 7000 euro iva inclusa)!!!!! A sto punto ripenso a tutto e capisco che quello che ho scritto prima sulle donne non è abbastanza, non rende a pieno... voi donne siete al contempo.... speciali, ma normali tranquille, ma aggressive spensierate, ma complessate insicure eppure certe sconclusionate, ma decise siete luce e siete ombra notte eppure giorno rabbia eppure amore sorriso eppure pianto. siete dolci ma acidelle ninfe ma anche furie complicatissime ma semplicemente donne. Se di sola polvere è l’uomo, la donna è il soffio di vento che riesce a spostarla, anche se non si sa dove. Vi vogliamo bene per questo. AUGURI!!! Alessandro Cubattoli
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I dossier
LA LIBRERIA EMILY DICKINSON Nei giorni in cui si andava organizzando la manifestazione del 13 Febbraio, più volte sono stati fatti riferimenti a personaggi femminili di rilievo. In alcune piazze le loro “icone” sono state affisse ai muri con lo scopo di sottolineare il loro operato civile, il loro contributo offerto all’umanità. Interessante è stato l’atto di affiancare personalità di altri tempi con personalità a noi contemporanee (in una del-
le piazze figuravano, ad esempio, Margherita Hack, John Baez, Grace Slick, ma anche Virginia Woolf , Rosa Luxemburg, Madre Teresa di Calcutta e tantissimi altri volti, ci teniamo a dirlo, più o meno noti). Noi portiamo in scena un personaggio storico di riferimento nel panorama letterario, citando alcuni versi della poetessa americana Emily Dickinson.
La speranza è al centro di sostenute riflessioni nel panorama letterario, sin dai tempi più antichi. Ecco che la Dickinson ci offre una metafora quanto mai soave della speranza: un piccolo uccello che canta una melodia senza parole . Forse la speranza non è da considerarsi dal punto di vista assoluto come “positiva”. Può essere ingannevole, può costituire l’illusione massima, può essere salvifica. E come una melodia senza parole, forse, suscita in noi emozioni diverse a seconda dei nostri umori, a seconda delle nostre emozioni, ispirazioni, che dobbiamo sforzarci di interpretare. La speranza rasserena, quieta gli animi, (- e la senti dolcissima – nel vento -), difficilmente non è ricorsiva nelle situazioni, dona forza di sopravvivenza per molti (quel “calore” evocato dalla poetessa). Anche la speranza è dunque assimilabile ad una divinità bendata, ma capace di ispirare (è diversa dalla Fortuna), come la piccola creatura “plasmata” da Emily Dickinson? Emily nasce nel 1830 a Amherst nel Massachussetts, muore nel 1886 nella sua città natale, la sua opera è costituita da poesie pubblicate per la maggior parte postume. Della sua biografia ci limitiamo a riferire questo. L’Emily Dickinson che conosciamo è infatti quella delle sue liriche: ne riportiamo due integrali che ci parlano di “speranza” ed “esperienza,” temi simbolici, sia che ci si rivolga al singolo individuo, sia che ci si rivolga alla collettività, e alcuni estratti da altri due componimenti, che ci regalano immagini a dir poco suggestive.
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La “Speranza” è quella cosa piumata Che si viene a posare sull’anima Canta melodia senza paroleE non smette – mai – E la senti – dolcissima – nel vento – E dura deve essere la tempesta – Capace di intimidire il piccolo uccello Che ha dato calore a tanti – Io l’ho sentito nel paese più gelido –
I dossier
E sui mari più alieni – Eppure mai, nemmeno allo stremo, ha chiesto una briciola – di me.
Portami il tramonto in una tazza Sommami le caraffe del mattino E dimmi quante stillano di rugiada. Dimmi fin dove salta il mattino – Le emozioni, i sentimenti, fra cui il dolore e la soffe- Dimmi fin quando dorme colui renza, sono insiti nella natura biologica dell’uomo, a Che intreccio e lavorò le vastità d’azzurro. prescindere dai contesti. L’esperienza, tante volte chiamata in causa, ci porta sulla cattiva strada, ed è da qui Scrivimi quante sono le note che nascono la presunzione, l’arroganza, forse pure la Tra i rami incantati frustrazione e l’orgoglio. Questa è una lirica intrisa di Raccolte nell’estasi del nuovo pettirosso un velo di pessimismo equilibrato, allegorica dell’idea stessa di esperienza, nella sua accezione “negativa” , […..] ricordando la duplice natura propria ad ogni idea e ad ogni concetto. Chiudiamo con due immagini. Come negli alberi i rami sono quella componente che meglio rappresenta il loro essere vita, nella mano la visibilità delle vene è espresL’esperienza è una strada tortuosa sione della vita stessa. Vene che ricordano piccoli rami. Che la mente – paradossalmente – Potremmo forse azzardarci a dire che quest’immagine Preferisce alla mente stessa – rappresenta la capacità stessa dell’anima poetica di Con la presunzione di far strada rintracciare quelle corrispondenze che meglio ci permettono di comprendere la nostra natura così come Proprio al contrario – Quanto contorta la realtà che ci circonda. Ed Il bicchiere che si appanna L’autodisciplina dell’uomo – a contatto con le labbra accoglie un’impronta insolita, Che lo costringe a scegliersi con le sue stesse mani un’impronta che prova un’esistenza, non quindi un pasI dolori cui è stato destinato in precedenza saggio, non quel viaggio rappresentato dalle piante dei piedi o dai palmi delle mani. La natura incontaminata è un motivo che ricorre nella tradizione poetica in tutta la sua periodizzazione. In Sospetto di essere – viva – questi versi la Dickinson ci offre una visione totalizzante Nella mia mano i rami della natura, non tralascia neppure il riferimento al divi- Sono ricchi di campanule no (spesso presente nella sua opera poetica). Bring me E sulla punta delle dita – the sunset in a cup, per citare l’originale verso iniziale (la poesia reale è quella in lingua originale!) suggerisce Tiepido punge il carminio – un’intonazione romantica associata al desiderio di frui- E se contro le labbra premo zione di ciò che la natura offre. Straordinario l’accenno Un bicchiere s’appanna – al motivo musicale, laddove la musica è elemento di E questa è la prova media che sono – viva – natura, solo codificato dall’uomo, la melodia del pettirosso non può che esser fatta di suoni corrispondenti a [….] note musicali che attraversano le fronde degli alberi. Enea Conti
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DIRETTRICE
FRANCESCA ANTONELLA DE NISI
REDAZIONE
ENEA CONTI, MICHELE FORLIVESI, LAURA PERGOLIZZI, LUCA ROSSI, FEDERICO TICCHI, NICOLA USAI, EMANUELE VITALE
GRAFICA
IVAN ANDRES SAAVEDRA ROSAS
COPERTINA TERESA SAVIANO
HANNO COLLABORATO
ALESSANDRO CUBATTOLI, FEDERICA NUZZO, GIULIA TRAVAIN
CONTATTI
info_progrè@gmail.it
EVENTI
23 MARZO, FESTA PROGRE', AL LORD LISTER, VIA ZAMBONI 56 (IN FONDO) 24 MARZO, INCONTRO-DIBATTITO SULLA COMPLICATA SITUAZIONE DELLE CARCERI, IN ITALIA E ALL'ESTERO Rivista mensile dell'associazione Progrè, realizzata con il contributo dell'Alma Mater Studiorum.