Filiera Grano Duro news - n. 20 - ott 2011

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Filiera Grano duro news

P e ri o d ic o d i inf o r m a z i o n e tecnico-economica a sostegno del Progetto Pilota “Grano duro di alta qualità in Emilia-Romagna”

Numero 20 • OTTOBRE 2011

Sommario Progetto “Grano duro alta qualità in Emilia Romagna” - anno 2011 Le innovazioni biologiche nel passato e le prospettive future La ricerca sul grano, strumento per lo sviluppo dell’agricoltura e per una migliore gestione delle risorse alimentari Alle origini del made in Italy

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Filiera Grano duro news

Codice ISSN 2239-4230

Proprietà e redazione: Società Produttori Sementi Via Macero, 1 - 40050 Argelato (BO) - info@prosementi.com

Progetto “Grano duro alta qualità in Emilia Romagna” - anno 2011 Michele Zerbini e Marco Silvestri – Barilla G. e R. Fratelli s.p.a. Con le semine delle prossime settimane giungiamo al sesto anno del Progetto Grano Duro di Alta Qualità in Emilia Romagna, apprezzato strumento di contatto tra le imprese agricole e l’industria collocate in regione, i cui risultati sono tangibili ed apprezzati da tutti gli operatori di settore. A livello nazionale, la campagna agraria appena passata è stata caratterizzata da una riduzione delle superfici stimata, secondo diverse fonti, intorno al 10% pari a circa 130.000 ettari. A farne le spese è stato prevalentemente il Nord Italia dove questa riduzione ha raggiunto circa il 40%. Tre sono i fattori principali alla base di questo fenomeno: 1. differenziale di prezzo tra grano duro e tenero a favore di quest’ultimo avvantaggiato anche da rese più elevate nell’areale Settentrionale; 2. prezzi interessanti di mais, soia e girasole, anche alla luce del ritardo delle semine causato dalle frequenti piogge invernali; 3. la presenza nelle precedenti campagne agrarie di valori elevati di DON al Nord che ha creato diffidenza verso la coltivazione del grano duro. Complessivamente quindi, tenendo conto della riduzione delle superfici e di una resa media nazionale analoga a quella dello scorso anno si stima una produzione complessiva per il raccolto 2011 di circa 3,6 milioni di tonnellate di grano duro. Anche per quanto riguarda le rese, il Nord Italia, con una resa di circa 5 t/ ha, è stato penalizzato da un andamento meteorologico particolarmente sfavorevole: a una prima fase estremamente piovosa nel periodo invernale, che ha provocato difficoltà e ritardi nella semina ha fatto seguito una primavera siccitosa con temperature alte e assenza di piogge (rendendo in molti casi necessaria l’irrigazione di soccorso), per terminare con un breve periodo di contenuta piovosità appena prima della fase di raccolto. Nel Centro-Sud Italia, invece, una maggiore presenza di piogge durante il ciclo ha favorito la coltivazione, permettendo il raggiungimento di rese (3,5-4 t/ ha) superiori alla media storica.

Una maggiore uniformità invece si è registrata per quanto riguarda le caratteristiche merceologiche: il caldo nel periodo primaverile e, al Nord, le piogge di fine ciclo hanno favorito il buon riempimento delle cariossidi, permettendo di ottenere pesi specifici elevati e mediamente superiori ad 81 kg/hl. Anche dal punto di vista proteico si è assistito ad una maggiore uniformità tra gli areali con dati tendenzialmente intorno al 13,5% ss. Infine dal punto di vista igienico-sanitario l’annata è stata in generale abbastanza favorevole grazie a condizioni climatiche non particolarmente idonee allo sviluppo del Fusarium e conseguentemente all’accumulo di DON nella granella. Infatti, come per gli areali del Centro-Sud, dove si è confermata una presenza di DON bassa o nulla, anche al Nord non si sono registrati valori preoccupanti di questa micotossina. Tuttavia la scalarità delle semine (che si sono protratte da fine ottobre fino a metà febbraio) ha determinato una fioritura estesa nel tempo con alcune varietà maggiormente esposte allo sviluppo del Fusarium e quindi al rischio di accumulo di DON. Andamento del Progetto Passiamo ora ad analizzare la situazione nell’ambito del Progetto Emilia-Romagna. I dati riportati qui di seguito sono generati dall’analisi qualitativa e relativa al contenuto del DON dei campioni prelevati su tutti i lotti stoccati nell’ambito del progetto, seguendo la metodologia ufficiale sancita nel Reg. CE 401/2006. Per il 2011 era previsto a contratto un quantitativo totale di 70.000 tonnellate che, pur se lievemente minore rispetto allo scorso anno, non ha risentito delle forti riduzioni di superfici riscontrate a livello regionale. Questo dato conferma la solidità del Progetto anche nei confronti dell’agricoltore stesso che negli ultimi anni ha visto remunerata adeguatamente la propria produzione. Entrando nel dettaglio delle diverse provincie facenti parte del Progetto, si evidenziano, al contrario dello scorso anno, differenze so-

Direttore responsabile: Dott. Marco Bon Stampa: Grafiche Bime s.r.l. Via Sebastiano Zavaglia 20/24 - 40062 Molinella (BO) Reg. Tribunale di Bologna n. 7711 del 15/11/2006 Periodico realizzato con il contributo della Regione EmiliaRomagna ai sensi della L. R. 28/1998.

società PRODUTTORI SEMENTI S.p.A. BOLOGNA


2 Filiera Grano duro news prattutto in termini quantitativi piuttosto che qualitativi. La situazione di Parma e Piacenza, considerando la similitudine dell’areale e delle pratiche agronomiche è paragonabile: rese particolarmente basse, intorno a 4,5 tonnellate per ettaro, livelli proteici buoni (circa 13,5%) ma tendenzialmente più elevati nella zona di Parma, pesi specifici elevati che in alcuni casi hanno superato anche 82 kg/hl, arrivando a toccare punte di 85 e 86, e DON estremamente contenuto. Modena e Bologna presentano un deciso incremento dei rendimenti unitari per ettaro con punte, nelle zone intorno a Medicina e Castel San Pietro, anche di 6,5 t/ha. Dal punto di vista qualitativo, il peso specifico è risultato analogo alle zone precedenti, mentre più elevato è il contenuto proteico con una media vicina al 13,8% e quantitativi significativi con valori che superano il 14%. Per quanto riguarda poi la presenza di DON, generalmente bassi i valori registrati nella zona di Bologna, mentre più alta, anche se non preoccupante, la media della provincia di Modena (circa 700 ppb) dove comunque non sono stati rilevati valori superiori ai limiti di legge. A Ferrara, al di là di rese e qualità molto vicine a quelle fatte registrare nella zona del Bolognese, si è riscontrata una maggiore variabilità nel contenuto di DON con differenze molto marcate anche nell’ambito delle stesse zone produttive. In generale tuttavia, fatta eccezione per alcuni casi sporadici, il livello di DON si è sempre mantenuto a livelli ampiamente al di sotto dei limiti di legge, con una media provinciale di 653 ppb. Ancora più variegato il quadro del Ravennate: al confine con il Bolognese e il Ferrarese le caratteristiche qualitative e quantitative sono state in linea con la media regionale, mentre nella parte più interna e verso la costa, con una media di circa 5,5 t/ha, le rese hanno subito una flessione di almeno 1 t/ha. Anche il contenuto proteico pur mantenendosi discreto non ha superato il 13,5%. Elevato invece il peso specifico paragonabile ai valori riscontrati negli altri areali. Più problematica la situazione relativa al DON, infatti sempre nelle zone più interne, la marcata variabilità dell’epoca di semina ha fatto sì che si creassero alcune aree favorevoli all’inoculo del Fusarium quindi all’accumulo della tossina portando in alcuni casi a sforare il limite di legge. Concludendo con Forlì-Cesena e Rimini, a livello qualitativo e igienico-sanitario si osserva una situazione similare a quella di Ravenna con rese vicine alle 5 tonnellate per ettaro, in linea con la media storica dell’area. Il quadro per le prossime semine si presenta piuttosto articolato e non privo di incognite: infatti se i prezzi del grano duro si mantengono remunerativi, anche le altre colture non presentano particolari ribassi e le migliori rese le rendono competitive creando un quadro particolarmente incerto sino alla semina. Anche quest’anno quindi, il Progetto “Grano duro Alta Qualità in Emilia-Romagna” svolgerà un ruolo importante nel proporre strumenti contrattuali volti a ridurre, almeno in parte, la variabilità di mercato, mantenendo ancora il legame con una remunerazione basata sui costi di coltivazione, ma anche pensando a nuovi strumenti internazionali che permettano di fare coperture anche a lungo termine.

n. 20 - Ottobre 2011

il settore agricolo

Le innovazioni biologiche nel passato e le prospettive future Giovanni Federico - European University Institute e Università di Pisa Intervento tenuto al convegno “100 anni di Ricerca scientifica e di organizzazione di impresa per la diffusione dell’innovazione quale essenziale contributo allo sviluppo tecnico-scientifico e socio-economico nel settore Agro-industriale” - Centro Sementiero PSB - Argelato, 6 giugno 2011

Da qualche anno, il settore agricolo non gode di impeccabile reputazione. E’ citato nei media più frequentemente come fonte di inquinamento o di rischi per la salute dei consumatori che per la sua capacità di nutrire la popolazione mondiale. Questa visione è, a mio avviso, profondamente ingiusta. I risultati produttivi dell’agricoltura nel lungo passato sono stati eccezionali: dal 1870 al 2000, la produzione agricola è aumentata di circa dieci volte, mentre la popolazione mondiale è aumentata “solo” di sei volte. La produzione mondiale pro-capite è aumentata prima del 1914 e soprattutto dopo il 1950, ed è rimasta più o meno costante nel periodo fra le due guerre mondiali. Questo incremento è stato reso possibile dalla crescita dei fattori utilizzati (terra, lavoro, capitale) e dall’aumento dell’efficienza nel loro uso. L’incremento di efficienza è un fenomeno complesso, ma sicuramente una sua componente essenziale è il progresso tecnico, cioè l’introduzione di innovazioni nelle pratiche di coltivazione. E’ possibile distinguere quattro categorie di innovazioni - nuove pratiche colturali, nuove piante ed animali, i prodotti chimici (fertilizzanti, antiparassitari etc) e la meccanizzazione. Le prime due categorie sono spesso chiamate innovazioni biologiche. L’innovazione biologica - Si può definire innovazione biologica l’introduzione con successo di una nuova pratica colturale (per esempio una diversa rotazione delle colture), di una nuova pianta (o animale) o di una nuova varietà di piante (o animale) già in uso. Per millenni, nuove piante e nuove varietà sono state scoperte per caso e si sono diffuse lentamente. Il processo fu accelerato dal trasferimento intercontinen500

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Fig. 1 - La produzione mondiale pro-capite è aumentata prima del 1914 e soprattutto dopo il 1950, ed è rimasta più o meno costante nel periodo fra le due guerre mondiali.

tale dopo le esplorazioni geografiche dei secoli XV e XVI ed è continuato per tutto il XIX secolo. Gli emigranti europei hanno portato con sé le piante del loro continente nel Nuovo Mondo e molti governi europei hanno tentato di introdurre nelle proprie colonie la coltivazione di piante tropicali per produrre per il mercato europeo. Lo stock di varietà naturali da provare si è però andato esaurendo e quindi ha assunto crescente importanza la produzione in laboratorio attraverso l’ibridazione di due varietà già note della stessa pianta. La possibilità era nota sin dalla metà del Settecento e varietà di grano ibrido furono prodotte negli anni Quaranta del secolo successivo negli Stati Uniti, ma non si rivelarono particolarmente produttive. La situazione cambiò grazie alla (ri-)scoperta delle leggi della genetica alla fine del secolo XIX, che permise la selezione scientifica di varietà da ibridare, e alla messa a punto nei decenni successivi di tecniche di ibridazione su vasta scala. Il primo grande successo fu la produzione di una nuova varietà di mais ibrido negli anni Trenta, che aumentava il rendimento del 20%. Pochi anni dopo, le fondazioni Ford e Rockfeller iniziarono a finanziare la ricerca di varietà di grano ibrido adatto al Messico. Il successo dell’impresa stimolò l’estensione del lavoro al riso ed a varietà adatte ai paesi asiatici. Negli anni Ottanta e Novanta, la ricerca si è estesa a varietà adatte ad ambienti “marginali” (per esempio le montagne) e ad altre piante alimentari, come il sorgo o la cassava. Le nuove varietà furono denominate di “high yielding varieties” (varietà ad alto rendimento), in sigla HYV, proprio in quanto molto più produttive di quelle tradizionali. Il rendimento per ettaro del riso IR-8, distribuito dal 1966, era fino ad otto volte superiore. Inoltre alcune delle nuove varietà crescevano più rapidamente, permettendo di intensificare la coltivazione, fino a tre raccolti di riso l’anno. Avevano però bisogno di più acqua e di più fertilizzanti di quelle tradizionali. Nel 1998 le varietà ad alto rendimento erano seminate nell’8590% della superficie a grano in Asia e Sud America. Le percentuali per altri continenti e per altri prodotti, riso compreso, erano inferiori. La loro introduzione ha permesso uno spettacolare aumento dei rendimenti – noto come Rivoluzione Verde. Dagli anni Sessanta in poi, i rendimenti per ettaro del grano in Asia sono aumentati di 3,5 volte e


Filiera Grano duro news quelli di riso di 2,5 volte. Purtroppo, questi successi sono per loro natura effimeri. Infatti, dopo alcuni anni di uso, le varietà ad alto rendimento tendono a perdere le proprie qualità e devono essere rimpiazzate. Finora il flusso di nuove varietà è stato sufficiente, ma sono stati e saranno necessari continui investimenti. D’altra parte la possibilità di produzione di innovazioni biologiche è stata drasticamente aumentata dallo sviluppo delle tecniche di ingegneria genetica negli anni Settanta ed Ottanta. La prima pianta geneticamente modificata, la varietà di pomodoro Flavr-Savr, fu approvata dalla Food and Drug Administration americana per l’uso commerciale nel 1994. La produzione di ibridi - La produzione di ibridi e, a maggior ragione, di organismi geneticamente modificati richiede competenze tecniche (per es. di genetica) ed attrezzature specializzate e quindi deve essere svolta in laboratori specializzati. D’altra parte, una volta note le varietà di origine, qualsiasi ditta specializzata può riprodurre un ibrido. Gli imitatori possono far profitti a spese dei pionieri che hanno investito nella ricerca (free riding). Questo può ridurre gli investimenti e quindi il ritmo di produzione e di introduzione di nuove varietà. La soluzione tradizionale al problema è stato il ricorso ai fondi di benefattori, come le fondazioni Ford e Rockfeller nelle fasi iniziali della rivoluzione verde, o dello Stato. I governi hanno finanziato la ricerca di base attraverso le università e quella applicata (e la diffusione delle pratiche corrette) fondando istituti appositi. La prima stazione pubblica fu fondata dal governo della Sassonia a Mockern nel 1851 e nei decenni successivi, questo esempio fu imitato da quasi tutti i paesi europei e dagli Stati Uniti. Questi istituti di ricerca furono all’avanguardia nella moderna ricerca sulle sementi ibride nella prima parte del XX secolo. I finanziamenti internazionali per la ricerca sulle varietà ad alto rendimento vennero erogati attraverso centri specializzati come il CIMMYT (in Messico) o l’IRRI (nelle Filippine) che dal 1971 sono coordinati dal Consultative Group of International Agricultural Research (CGIAR). Nel complesso, l’investimento in ricerca è stato massiccio. Le spese complessive mondiali sono aumentate di quattro volte dal 1959 al 1981 e poi sono raddoppiate nei successivi quindici anni. Negli ultimi anni però gli investimenti pubblici sono rimasti costanti o addirittura diminuiti. La grande novità degli ultimi decenni è la crescita degli investimenti da parte di ditte private. Il problema del free riding è stato risolto dalla possibilità di brevettare nuove varietà, riconosciuta per la prima volta negli Stati Uniti (per le piante) nel 1930. La brevettabilità di sementi fu riconosciuta dai paesi europei nel 1960 e negli Stati Uniti nel 1970-71 dal Plant Variety Protection Act. Nel 1961 fu fondata l’UPOV (“International Union for the Protection of new varieties of plants”), una convenzione per il reciproco riconoscimento dei brevetti.

Quanto hanno contributo le innovazioni biologiche all’incremento della produzione agricola mondiale? L’incremento di efficienza (detta in termine tecnico Produttività totale dei fattori o PTF) può essere misurato come la differenza fra l’aumento della produzione agricola e l’incremento dei fattori di produzione impiegati – terra, capitale e lavoro. Per tutto il “lungo” XIX secolo, fino alla prima guerra mondiale, la dotazione di fattori in agricoltura è aumentata abbastanza rapidamente in tutto il mondo, ma il periodo fra le due guerre ha segnato l’inizio di una netta divaricazione fra i paesi sviluppati ed il resto del mondo che si è approfondita dopo il 1950. La crescita dei fattori è rallentata sensibilmente, fino quasi ad arrestarsi nei paesi avanzati, mentre è continuata nel resto del mondo. Nel secondo dopoguerra, la quantità di fattori è aumentata nei paesi sottosviluppati (soprattutto in Asia) ed è diminuita in quelli avanzati, soprattutto per il crollo dell’occupazione. A livello mondiale, la quantità di fattori utilizzati è andata aumentando almeno fino al 2000, ma ad tasso più lento. Si deve quindi concludere che l’accelerazione della crescita della produzione agricola dopo il 1950 sia stata causata principalmente dall’aumento nel tasso di incremento della PTF. Per il periodo precedente la seconda guerra mondiale, le stime della PTF si riferiscono quasi esclusivamente ai paesi avanzati. Il tasso medio di crescita per i paesi europei risulta essere attorno allo 0.8% nel secolo XIX e attorno all’1% nel periodo fra le due guerre. Per quasi tutti i paesi, la crescita nel secondo dopoguerra è più rapida che nel periodo pre-bellico – in media tre volte più rapida. Il tasso di crescita della PTF aggregata a livello mondiale dal 1960 al 2000 varia, a seconda delle assunzioni sulle quote dei fattori e dei metodi di calcolo, fra l’1% e l’1,25% annuo. La crescita è stata lievemente superiore per i paesi sviluppati (fra 1,5% ed 1,8%) che per il resto del mondo (fra 0,8% e 1%). Le cifre potrebbero sembrare basse – ma occorre ricordare che una crescita composta al saggio annuo dell’1%, cumulata su quarant’anni, corrisponde ad un aumento di efficienza del 50%. Si tratta di una performance notevole, e le innovazioni biologiche hanno senza dubbio contribuito in misura sostanziale a tale successo anche

se non è purtroppo possibile misurare il loro contributo con precisione. Cosa ci riserva il futuro? In genere gli storici dovrebbero evitare di imbarcarsi in previsioni, ma alcuni trend sembrano ormai consolidati. In particolare è altamente probabile che la domanda totale di prodotti agricoli aumenti per tre fattori: 1) la popolazione continuerà ad aumentare: le previsioni delle Nazioni Unite per il 2050 variano da un minimo di 7,4 ad un massimo di 10,6 miliardi, con un valore più probabile di 9 miliardi – un aumento del 30%; 2) il consumo pro-capite di generi alimentari non diminuirà e forse potrebbe aumentare se non altro per ridurre il numero di persone sottonutrite; 3) la composizione della domanda tenderà a spostarsi dai cereali ai prodotti zootecnici a seguito dell’aumento del reddito. Questo cambiamento aumenta in misura notevole la quantità di terra necessaria, a parità di consumo calorico. Sembra da escludere che la quantità di fattori aumenti in proporzione alla domanda. Il capitale sarà sicuramente disponibile in abbondanza, ma appare poco probabile che la forza-lavoro in agricoltura possa aumentare in maniera significativa. L’aumento della popolazione sta rallentando e la percentuale di agricoltori in età lavorativa tenderà a ridursi per il combinato effetto dell’aumento dell’età media della popolazione e dell’urbanizzazione. E’ ancor meno probabile un aumento della terra coltivabile. Ulteriori incrementi della superficie irrigata sono tecnicamente difficili, molto costosi ed ecologicamente poco sostenibili. Le uniche estensioni di terra potenzialmente disponibili sono le aree forestali superstiti, ma un massiccio disboscamento avrebbe conseguenze ambientali devastanti. E’ addirittura possibile che la quantità di terra disponibile si riduca per l’incremento degli usi non agricoli ed anche per processi degenerativi di terre irrigue. L’equilibrio fra domanda ed offerta di prodotti agricoli potrà essere ristabilito o con un aumento dei prezzi, con gravi conseguenze sociali o con un aumento ulteriore della produttività totale dei fattori - e soprattutto della terra. A tal fine, sarà indispensabile un flusso continuo di innovazioni biologiche.

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Attività di Ricerca

La ricerca sul grano, strumento per lo sviluppo dell’agricoltura e per una migliore gestione delle risorse alimentari Karim Ammar – Responsabile del programma di miglioramento genetico del grano duro del CIMMYT - Messico Intervento tenuto al convegno “100 anni di Ricerca scientifica e di organizzazione di impresa per la diffusione dell’innovazione quale essenziale contributo allo sviluppo tecnico-scientifico e socio-economico nel settore Agro-industriale” - Centro Sementiero PSB - Argelato, 6 giugno 2011

Il CIMMYT - International Maize and Wheat Improvement (Centro Internazionale di Miglioramento del Mais e del Grano), è un’organizzazione di ricerca no-profit, dedicata allo sviluppo di varietà migliorate di grano e mais e all’introduzione di pratiche agricole innovative e sostenibili che possano essere diffuse ai coltivatori di tutto il mondo. La sede principale è in Messico a El Batán, località nei pressi di Città del Messico, al centro dell’omonimo stato ed è uno dei 15 istituti di ricerca e formazione affiliati al CGIAR, il Gruppo Consultivo sulla Ricerca Agricola Internazionale. La principale risorsa del CIMMYT, oltre alle 90 filiali distribuite in tutto il mondo in cui lavorano 140 persone (Figura 1), è il network internazionale formato da oltre 400 partner e organizzazioni, tra cui è compresa anche la Società Produttori Sementi. La mission del Centro di Ricerca messicano comprende: 1) il miglioramento genetico del mais e del grano e lo sviluppo di pratiche agricole sostenibili da diffondere nel mondo insieme ai nuovi genotipi selezionati; 2) la conservazione del germoplasma mondiale del mais e del grano (Gene bank) in modo da assicurare un sufficiente livello di biodiversità tra le specie coltivate; 3) lo sviluppo delle competenze nella Ricerca sul mais e sul grano: il CIMMYT

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vuole rappresentare un punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati allo sviluppo di queste due colture, con l’intento di coagulare le conoscenze e le professionalità attorno ad esse. CIMMYT - un centro di riferimento internazionale Senza scendere troppo nei particolari, la principale attività del CIMMYT è quella di sviluppare nuove varietà ad alto rendimento e in grado di resistere a condizioni ambientali particolari, come terreni poco fertili, siccità, malattie ecc. All’interno dei programmi di breeding convenzionale, utilizzando il germoplasma a disposizione, i ricercatori generano variabilità genetica e tramite la valutazione in campo, generazione dopo generazione, selezionano e fissano le linee che presentano caratteristiche di elevata produttività e resistenza. Il germoplasma “migliorato” in Messico viene poi distribuito nel mondo per essere valutato e testato in condizioni pedo-climatiche diverse (Figura 2). Questa attività ha una enorme rilevanza internazionale: ogni anno il CIMMYT distribuisce più di mezzo milione di campioni di seme a più di 600 programmi di ricerca in 112 Paesi. Tutti i rilievi effettuati sulle linee inserite nei campi sperimentali dei centri internazionali di miglioramento genetico vengono raccolti, catalogati ed interpretati in modo da essere utilizzati nel processo di

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selezione; un’attività fondamentale che permette al CIMMYT di avere un impatto molto rilevante nel miglioramento e nello sviluppo della coltura del grano. I dati e il materiale genetico, ma più in generale tutta l’attività del CIMMYT, sono a disposizione della comunità mondiale, dagli enti pubblici, alle società private, dalle organizzazioni degli agricoltori, alle accademie, e le linee selezionate possono essere utilizzate liberamente all’interno di programmi di ricerca o essere direttamente registrate nei diversi Paesi. Come accennato precedentemente uno dei punti di forza della nostra attività sono i partner distribuiti nel mondo che, insieme al nostro Centro di Ricerca, formano un network chiamato IWIN - International Wheat Improvement Network, che partecipa a programmi di ricerca internazionali. Questa struttura internazionale permette la condivisione e lo scambio di materiale genetico, di informazioni e di dati. Un network che è impegnato anche nello sviluppo di genotipi resistenti in aree dove vi sono particolari fitopatie assenti in Messico. Il CIMMYT inoltre può anche sviluppare delle partnership con centri di ricerca di eccellenza a livello mondiale nella genetica del grano, quali sono ad esempio la Società Produttori Sementi di Bologna e l’Università di Bologna. Questa attività ci permette di partecipare attivamente allo sviluppo di strumenti e metodi innovati-


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vi per la selezione genetica che possono così essere impiegati nei programmi avviati nei Paesi “nostri clienti” in modo da aumentare l’impatto della nostra attività. La validazione delle nuove tecnologie è certamente uno degli aspetti chiave dell’attività di collaborazione con gli Istituti di ricerca. In proposito, voglio ricordare i due progetti sviluppati con la Società Produttori Sementi di Bologna, “Durum Wheat QTL - Genomica Grano duro” concluso circa un anno e mezzo fa e il Progetto Ager “From Seed to Pasta Multidisciplinary approach for a more sustainable and high quality durum wheat production” cominciato da qualche mese e attualmente in corso, che mirano proprio alla validazione delle nuove tecnologie sviluppate dal mondo della ricerca di base. Il grano nel mondo Vorrei analizzare ora la situazione mondiale del grano. Il grano rappresenta la coltura più importante in tutto il mondo; in poco più di 200 milioni di ettari si producono 621 milioni di tonnellate di grano, con una produzione media di circa 3 tonnellate per ettaro. Nei Paesi industrializzati il grano è la coltura più importante mentre nei Paesi in via di sviluppo, al cui interno rientra la popolazione asiatica, è seconda dopo il riso. In ogni caso questa coltura rappresenta l’alimento principale per circa 1,2 miliardi di persone povere nel mondo, che guadagnano cioè meno di 2 dollari al giorno. Il grano è inoltre la coltura più commercializzata nel mondo e questo la rende anche coltura di soccorso per eccellenza grazie alla sua facile trasportabilità e stoccaggio. Il mondo dipende dal grano anche per l’energia quotidiana (Figura 3). Ci sono Paesi dove il 60% delle calorie della dieta giornaliera sono fornite direttamente dal grano contro una media nel mondo del 20%. Questo ci fa capire quale sia l’im-

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portanza che questa coltura assume nella dieta umana e come sia una risorsa strategica per molti Paesi. Possiamo quindi prevedere che colture come grano, riso e mais, così rilevanti nella dieta di molte popolazioni, non caleranno nel tempo, ma anzi incrementeranno le loro superfici con l’atteso aumento demografico. Nel 2030 il mondo avrà bisogno di produrre il 40% in più di grano e di raggiungere una produzione vicina a 900 milioni di tonnellate (Figura 4). Storicamente il grano è sempre stato abbondante, ma dagli anni ‘90 le riserve che sono state prodotte a livello planetario sono molto prossime al livello del consumo. Negli ultimi 6-10 anni l’intero pianeta ha “mangiato” le proprie riserve, consumando più grano di quello prodotto tanto che le riserve sono diminuite annualmente del 9,2%. Questo è un campanello d’allarme che sta suonando, che al momento però non pare essere ascoltato. Non è una sorpresa quindi che il prezzo di questa commodities sia aumentato velocemente negli ultimi anni, raggiungendo un culmine nel 2008 di 800 dollari a tonnellata, per poi ridiscendere nel 2009 e 2010 e riprendere recentemente la sua corsa al rialzo (Figura 5). Il trend è quello di un ulteriore incremento del prezzo. Una previsione certamente positiva per i produttori dei Paesi sviluppati che esportano i propri raccolti, ma certo pessima per i Paesi importatori. Una situazione che in futuro potrebbe divenire fonte di una forte instabilità. Cosa fare per mantenere il grano accessibili a tutti Mantenere il prezzo dei cereali accessibile a tutti è un compito anche dei ricercatori e dei genetisti. L’obiettivo annuale dovrebbe essere quello di accrescere la produzione “genetica”, stimando un incremento percentuale all’anno da 1 a 1,7 per il grano, da 1,6 a 2,4 per il mais e da 0,9 a 1,5 per il riso. E’ un obiettivo difficile da perseguire,

ma realizzabile; già in alcuni programmi nazionali di ricerca si è riusciti ad incrementare la produzione fino al 2%. Certo bisogna fare i conti con molti ostacoli: non ci sono più ad esempio territori dove espandere la coltura del grano, c’è meno acqua per le irrigazioni, i concimi diventano sempre più costosi come la manodopera in generale, e assistiamo a continui cambiamenti climatici. Le variazioni nel clima, su cui attualmente sono in atto molte discussioni, devono essere esaminate con grande attenzione perché concorrono in maniera importante ai cali delle produzioni. Si stima ad esempio che a causa dei cambiamenti climatici si potrà registrare una diminuzione delle produzioni nel nord dell’India del 15% da oggi al 2050. Per far fronte a tutto ciò è importante che la ricerca usi tutte le risorse a disposizione per cercare di mantenere elevato il potenziale produttivo delle colture. Norman Bourlaug, nel 1969 disse che: “la gravità e la vastità dei problemi del cibo nel mondo non dovrebbe essere mai sottovalutata. Il recente successo dell’espansione della produzione del grano, del riso e del mais nei paesi asiatici offre la possibilità di guadagnare 20 - 30 anni di tempo”. Per questa felice intuizione a Borlaug fu assegnato il premio Nobel nel 1970. Oggi, però, si è completamente dimenticato quanto da lui detto. Gli investimenti da parte dei Paesi industrializzati per la crescita dell’agricoltura mondiale sono diminuiti a partire dal 1980 e parallelamente è iniziato a scendere anche il tasso medio di crescita globale annuale delle produzioni. E’ proprio il caso di affermare che “raccogliamo ciò che seminiamo”. Questo è un aspetto centrale nella discussione; è necessario tornare ad investire in maniera forte sullo sviluppo dell’agricoltura e su tutte le aree della ricerca. La “supply security”, la disponibilità di cibo per tutti, può essere raggiunta indirizzando la ricerca su tre principali caratteri: 1) il primo è il potenziale produttivo;

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6 Filiera Grano duro news abbiamo la necessità di incrementare le capacità genetiche delle colture per ottenere produzioni più elevate e stabili in condizioni sub ottimali; 2) dobbiamo anche essere in grado di proteggere le potenzialità produttive raggiunte creando resistenze genetiche alle malattie dato che le soluzioni chimiche per il loro controllo sono opzioni efficaci solo in alcuni Paesi; 3) dobbiamo infine essere certi che le produzioni siano remunerative per chi le coltiva; un agricoltore in qualsiasi parte del mondo si trovi deve poter vendere il proprio raccolto ad un giusto prezzo ottenendo un adeguato guadagno. Per questo motivo dobbiamo fornire dei genotipi che abbiano sufficienti qualità tecnologiche. Contemporaneamente è necessario investire sulle generazioni future trasferendo il patrimonio di conoscenze fin qui acquisito ai nuovi giovani ricercatori. Fino a qualche anno fa per un giovane diventare ricercatore era uno dei più lavori più prestigiosi; attualmente l’appeal che ha questa professione è molto diminuito. Le statistiche dicono che la diminuzione del numero di nuovi ricercatori va di pari passo con la diminuzione degli investimenti dedicati alla ricerca. Senza persone, senza ricercatori, senza nuovi breeder non si può avere innovazione. Per far fronte a questo aspetto bisogna orientare le politiche governative ad impiegare maggiori risorse sulla ricerca. E’ fondamentale continuare ad investire in innovazione. Parallelamente però dobbiamo anche accertarci che questi investimenti abbiano una ricaduta positiva sulla filiera agroalimentare, sia economica che di carattere sociale. Un altro aspetto rilevante è l’equilibrio tra la ricerca di base e la ricerca applicata. Dieci anni fa si pensava che utilizzando le biotecnologie avremmo fatto miracoli; alla fine del decennio stiamo utilizzando ancora le stesse tecniche di selezione e

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solo ora le biotecnologie sono divenute mature per aiutare sufficientemente lo sviluppo del breeding. Non dobbiamo però dimenticarci del legame tra la scienza di base e quella applicata tra “upstream science” e “downstream science” che sono assolutamente collegate. Dobbiamo mantenere un equilibrio tra questi due livelli di ricerca distribuendo le forze a disposizione. Non ci possiamo permettere di impegnare troppe risorse umane in programmi di ricerca vecchi di anni, ma al contrario dobbiamo puntare a progetti integrati come il Progetto Ager “From Seed to Pasta” di cui la PSB è capofila e in cui noi del CIMMYT abbiamo il privilegio di essere coinvolti. Questo progetto può essere preso di esempio perché è uno dei pochi in cui realmente le persone sono impegnate ad ogni livello lungo la filiera tecnologica: dallo sviluppo delle nuove tecnologie, alla validazione delle stesse da parte dei breeder, fino alla verifica in campo dei risultati direttamente presso gli agricoltori. Miglioramento genetico del grano Lavorando tutti insieme possiamo raggiungere dei risultati enormi. La “Green revolution” è la dimostrazione di come un ricercatore lungimirante come Norman Bourlang riuscì con le proprie intuizioni a risolvere problemi di una intera nazione. Formando tecnici e ricercatori e introducendo i geni di bassa taglia riuscì a far divenire il Messico autosufficiente nella produzione del grano. Qualche anno dopo la rivoluzione verde fu esportata in Asia e, contemporaneamente in India e in Pakistan, dove vi erano milioni di persone assediate dalla carestia. Più tardi raggiunse anche il Mediterraneo, il Nord Africa, l’Est e il Sud dell’Europa, portando all’autosufficienza molti Paesi e permettendo così a tutti di beneficiare di queste innovazioni che hanno rivoluzionato l’attività di miglioramento genetico del grano.

Fig. 6

Di esempi simili a questo, ce ne sono tantissimi in giro per il mondo, in Italia, in Francia, in Spagna, tante piccole rivoluzioni verdi che sono avvenute grazie all’intuizione di ricercatori, cito Strampelli come esempio, che hanno avuto un grandissimo impatto sull’economia e sulla agricoltura nazionale. La storia del grano e in particolare del grano duro è stata influenzata in maniera determinante dalle attività condotte a Sonora in Messico. Se analizziamo l’incremento della produzione dal 1950 ad oggi nella Yaqui Valley (Figura 6), regione del Messico che comprende la città di Sonora, possiamo notare che l’incremento della produzione in ciascuna decade è stato determinato da un piccola ma puntuale innovazione genetica o dall’interazione tra genetica e agronomia, ed evidenzia come l’introduzione di un gene o di una serie di geni attraverso metodi tradizionali abbia avuto un profondo impatto sulla società messicana. Quest’anno (2011) nella Yaqui Valley la produzione media che siamo riusciti a raggiungere su 180.000 ettari è stata di 6,7 tonnellate ettaro, una produzione che rappresenta un vero e proprio record - solo 4 anni fa la produzione era di circa 1,5 ton/ettaro – un risultato raggiunto grazie anche ad un buon andamento climatico, ma soprattutto per merito di varietà dotate di ottime potenzialità produttive e di corrette pratiche agricole. Un secondo esempio che mostra come l’attività di breeding e il miglioramento delle pratiche agricole abbia avuto un forte impatto sull’economia di un Paese è rappresentato dalla Tunisia. Se osserviamo il grafico in figura 7 che riporta i dati di produzione nazionale del grano duro della Tunisia, indicando anche i minimi e i massimi di produzione in ciascuna decade dall’inizio del 1900 fino ai giorni attuali, possiamo constatare come dagli anni ‘60, dopo l’introduzione


Filiera Grano duro news

Fig. 7

dei geni di bassa taglia e l’utilizzo di corrette pratiche agricole la produzione sia triplicata. Ma la cosa ancora più importante da notare è che anche negli anni più negativi - ricordiamo che siamo in un ambiente mediterraneo che può registrare annate favorevoli alternate ad altre meno positive - si è prodotto comunque più grano di quello che si otteneva nelle migliori annate prima del 1960. Risultati simili a quelli della Tunisia si sono registrati alle stesse latitudini in Marocco, Algeria, India, Afghanistan. Fortunatamente, dopo la rivoluzione verde c’è stata comunque, anche se poco conosciuta, una continua evoluzione dell’incremento medio della produzione mondiale. Se si analizzano i dati registrati su materiale genetico del CIMMYT distribuito nel mondo dal 1983 al 2004, possiamo notare come ci sia stata una evoluzione lenta, ma costante dell’incremento della produttività (Figura 8). Risultati che non sono spettacolari come quelli raggiunti dalla Green revolution, ma che sono stati fino ad oggi fondamentali per continuare a soddisfare l’aumento della domanda di cibo, cresciuta parallelamente all’incremento demografico. Per fare capire quanto è importante la

Fig. 9

Fig. 8

ricerca vorrei portarvi come esempio quello legato alla ruggine nera. Qualche anno fa una nuova razza di ruggine nera la Ug99 (Ruggine nera), fu isolata per la prima volta in Uganda nel 1999. Tale razza si è dimostrata in grado di superare molte delle resistenze presenti nella varietà coltivate e ha creato danni ingenti in Kenya e in Etiopia, diffondendosi rapidamente verso il corno d’Africa fino a raggiungere il medio oriente, Siria, Iran, Yemen, Iraq, Afghanistan, minacciando le colture, in particolare di frumento tenero (Figura 9). Grazie alla mobilitazione della comunità scientifica mondiale, circa 300 specialisti, patologi e breeder sono riusciti a individuare delle varietà resistenti, che sono state introdotte nei Paesi minacciati. Questo è un esempio di come la comunità scientifica internazionale sia riuscita insieme a reagire ad una minaccia, un esempio che dobbiamo tenere molto in considerazione. Non posso infine dimenticare di parlare anche della qualità delle produzioni. A tal proposito vi riporto l’esperienza del Messico che, fino a qualche anno fa, poteva esportare solo il 30-40% del grano duro, in quanto la qualità della restante produzione non soddisfaceva gli stan-

Fig. 10

dard di qualità internazionali. Per questo motivo i ricercatori coinvolti in alcuni programmi nazionali si sono avvalsi del “supermarket” CIMMYT e hanno iniziato a testare il germoplasma a disposizione, identificando tre linee che presentavano caratteristiche idonee per soddisfare le esigenze qualitative dei mercati. Oggi la produzione di grano duro del Messico è in grado o potenzialmente in grado di competere con gli standard qualitativi internazionali, avendo la certezza che il grano esportato possa essere remunerato al miglior prezzo di mercato. Ecco quindi un ulteriore esempio di come le innovazioni introdotte dai ricercatori possano avere un enorme impatto sulla sostenibilità economica di una intera regione. Ritengo che oggi sia possibile rendere il grano accessibile a tutti ad un prezzo sostenibile. Abbiamo gli strumenti e le conoscenze per renderlo possibile. Dobbiamo però essere in grado di cambiare il modo di lavorare, dobbiamo essere reattivi e soprattutto dobbiamo lavorare insieme, in maniera collettiva. Concludo il mio intervento con una frase molto significativa di Norman Bourlag: “se desiderate la pace, coltivate la giustizia, ma coltivate anche i campi per produrre più pane, altrimenti non ci sarà mai pace”.

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CENTENARIO PSB

Alle origini del made in Italy Emanuele Felice - Università Autonoma di Barcellona Intervento tenuto al convegno “100 anni di Ricerca scientifica e di organizzazione di impresa per la diffusione dell’innovazione quale essenziale contributo allo sviluppo tecnico-scientifico e socioeconomico nel settore Agro-industriale” - Centro Sementiero PSB - Argelato, 6 giugno 2011

Può essere di particolare interesse ripercorrere la storia, ormai centenaria, della Società Produttori Sementi di Bologna (PSB), per almeno due ordini di ragioni. Il primo concerne l’attività stessa della Produttori Sementi, il suo core business, ovvero il miglioramento varietale: su scala mondiale, dall’Ottocento ad oggi la ricerca genetica in agricoltura, contribuendo ad innalzare la produttività della terra, è stato uno dei fattori che ha reso possibile il sostentamento di una popolazione in crescita esponenziale; per l’Italia, basti pensare che dal 1900 a oggi, in base ad un calcolo approssimativo, oltre la metà del miglioramento della produttività della terra è riconducibile all’introduzione di nuove varietà. Il secondo motivo è l’importanza – forse esemplare – che la vicenda della PSB può assumere per una parte del sistema produttivo italiano. Questi negli ultimi decenni si è andato specializzando verso la piccola dimensione d’impresa, lasciando adito a severi dubbi sulla sua capacità di fare innovazione, stante le ridotte dimensioni. Ebbene, la Produttori Sementi dimostra che anche le piccole imprese possono competere nella con le grandi multinazionali mondiali, ma a patto di operare in un contesto, come l’Emilia-Romagna, di istituzioni efficienti ed elevato capitale sociale. La storia della società si può suddividere in quattro fasi principali. I capitoli del volume sono organizzati seguendo questa scansione, ad eccezione dell’ultima fase (dal 1974 ad oggi) che è stata ripartita in due capitoli, per meglio dare conto dei più recenti successi che sono seguiti alla filiera con la Barilla. Gli anni del decollo (1912-18) corrispondo alla fase di avvio della società: l’intuizione strategica dell’agronomo Francesco Todaro, di unire ricerca scientifica e trasferimento dell’innovazione, può realizzarsi grazie alla collaborazione di diverse istituzioni locali, da quella degli agrari bolognesi, la Società Agraria, che diventa il principale azionista della Produttori Sementi, alla Cassa di Risparmio di Bologna, che fornisce il capitale necessario, all’Università di Bologna. La seconda fase (1919-1943) vede una lunga espansione commerciale e organizzativa, conclusasi con la seconda guerra mondiale. Mentre l’Istituto di Allevamento Vegetale, creato ancora su impulso di Francesco Todaro nel 1919, si dedica alla ricerca scientifica, nella selezione per linea pura e poi negli incroci, la PSB realizza elevati fatturati e buoni utili: grazie da un lato alla crescente

commercializzazione delle sementi, dall’altro alla politica di gestione in provincia di Bologna degli ammassi granari; può quindi realizzare importanti investimenti, che ne fanno un attore di primo piano nel panorama dell’agricoltura del tempo. Il secondo dopoguerra (1946-73) vede la Produttori Sementi alle prese con un difficile riavvio, che tuttavia segna le basi per il successivo rilancio. È questa la terza fase della storia della società. Da un lato, nel 1946 si consuma la separazione con l’Istituto di Allevamento Vegetale; dall’altro, la Produttori Sementi si lega sempre più alla Cassa di Risparmio di Bologna, che diviene l’unico azionista di riferimento. Tutto ciò in un contesto in cui l’agricoltura nazionale va cambiando radicalmente volto, immersa in un processo di modernizzazione che non ha precedenti: mentre il costo del lavoro cresce, la meccanizzazione espelle manodopera, e gli agrari non hanno più il ruolo centrale nella società che rivestivano prima. Di fronte a questa situazione di crisi, la società torna a fare innovazione in proprio, in primis nel grano tenero, seguendo la linea della selezione per incroci. In questo campo sono necessari molti anni prima che i risultati della ricerca giungano alla fase di commercializzazione, ma quando questi vi arrivano (la varietà Produttore a metà anni cinquanta, poi l’Argelato dal 1960, l’Irnerio a fine anni sessanta) permettono alla PSB di conseguire la leadership nazionale nelle sementi di grano tenero. La Produttori Sementi torna insomma al suo core business originario, creando così le basi per una nuova espansione. Dal 1974 possiamo fare iniziare un quarto periodo, che si apre con la nomina del nuovo direttore Ercole Borasio e dura fino ai nostri giorni, caratterizzato dalla crescente globalizzazione e integrazione dei mercati. Di nuovo vediamo l’insorgere di gravi difficoltà di contesto: sul mercato italiano arrivano le grandi multinazionali, con possibilità di ricerca molto maggiori della Produttori Sementi, mentre per effetto della nuova politica agricola comunitaria si restringe la superficie coltivata a grano tenero. Come reagisce la società di fronte alle nuove sfide? Ancora una volta, trasformando le situazioni di crisi in occasioni di crescita, ovvero attraverso tre momenti di svolta fra loro correlati. Primo, con il sostegno della Cassa di Risparmio vengono decisi e realizzati nuovi investimenti (il moderno centro cementiero ad Argelato). Secondo, la Produttori Semen-

ti intuisce in anticipo che la strada per restare competitivi è quella del collegamento con le grandi società dell’agro-alimentare: alla metà degli anni ottanta, è la prima in Italia ad avviare i contratti di filiera, fra cui spicca la partnership con la società Barilla, la principale azienda pastaria in Italia e nel mondo. Terzo, la società in filiera con la Barilla si sposta nel settore del grano duro, dove ben presto, grazie alle nuove varietà prodotte (Svevo, Iride, Saragolla, Levante), consegue il primato nel mercato nazionale. Negli ultimi anni, con la riforma del sistema bancario che istituisce le fondazioni, anche la Produttori Sementi trova una sua caratterizzazione giuridica più precisa, diventando a tutti gli effetti società strumentale non profit della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna. Dopo una breve fase di diversificazione, la PSB torna a dedicarsi esclusivamente alla sua principale attività, ovvero la specializzazione nella ricerca scientifica in ambito cerealicolo. Impressionante risulta il successo che la società consegue, nel volgere di appena una manciata di anni, in ambito internazionale: ad oggi il fatturato estero ha raggiunto un quarto del totale e coinvolge decine di paesi, in tutti i continenti. In alcuni paesi (diversi stati europei e poi ancora Turchia, Tunisia, Usa, Marocco) vengono avviati veri e propri contratti di filiera, su modello di quanto fatto in Italia. Da quanto riportato sinora, ancorché in maniera assai succinta, si evince la validità di quanto accennato all’inizio: la storia di così lunga durata della Produttori Sementi è notevole (e lodevole) non solo per l’oggettiva importanza della sua attività – il miglioramento genetico in cerealicoltura, che contribuisce al sostento della popolazione umana – ma anche perché, nel contesto italiano, la società bolognese rappresenta un caso esemplare di innovazione applicata alla piccola dimensione: di come questa possa avere successo anche in un mondo globalizzato che vede sulla scena i grandi centri di ricerca multinazionali. La Produttori Sementi è forse un piccolo antidoto al declino.


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