Antica viabilità in Abruzzo

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Sandro Zenodocchio

antica viabilitĂ in ABRUZZO


© 2008 - Rea Edizioni Via Sant’Agostino, 15 - 67100 L’Aquila Tel. 0862 25928-Fax 0862 421659 www. reamultimedia.it e-mail: redazione@reamultimedia.it Grafica: Enrico Cristofaro


Desidero ringraziare innanzitutto la dott.ssa Rosanna Tuteri per i preziosi consigli e suggerimenti. Esprimo la mia gratitudine alla dott.ssa Barbara Di Vincenzo e al prof. Lorenzo Quilici con i quali ho avuto modo di discutere alcuni aspetti del lavoro. È evidente che ogni responsabilità di quanto qui esposto e sostenuto ricade su di me. Ringrazio, inoltre, Umberto Degano e Giancarlo Marchetti, amici da sempre, per l’incoraggiamento costante a proseguire le ricerche. Ancora un grazie a tutto il personale dell’Archivio di Stato di L’Aquila, di Ascoli Piceno, della Biblioteca Provinciale di L’Aquila, dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma. Non ultimo ringrazio di cuore il caro amico Enrico Cristofaro che ha curato la carta della viabilità inserita nel testo. Sandro Zenodocchio

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LE STRADE DEL TEMPO Raramente si percepisce la distanza del tempo, quello antico appartenuto a diverse generazioni, che il mutare dei paesaggi rende a volte solo intuibile. La rete delle strade antiche, spesso ancora vissuta, può delineare l’evolversi dei processi storici che passo dopo passo hanno costruito la struttura culturale e la civiltà di una regione. Così la ricostruzione delle vicende legata alla presenza e all’evoluzione del sistema viario antico può assumere l’aspetto di una narrazione: uno dei tanti modi possibili per “entrare” nel passato di un territorio, come fa Sandro Zenodocchio in questo suo volume. All’inizio del procedimento che porta alla ricostruzione e alla narrazione storica, l’apparire di un tratto di strada glareata, o dei basoli in pietra che ancora recano i solchi delle ruote dei carri, sotto la coltre del tempo divenuta terra stratificata, procura improvvisa emozione e la vertigine dolce e sottile di chi si affaccia all’orlo del passato e ne percepisce l’abisso. Lo scavo archeologico, nel suo indagare insieme lo spazio e il tempo, raggiunge il cuore di un uomo in cammino su strade e sentieri che si inoltrano nell’inconoscibile. Le merci e i pensieri hanno percorso i tracciati viari e di questi traffici conosciamo spesso l’effetto: le strade ci forniscono l’immagine del passare, del trascorrere, azioni necessarie all’idea del permanere e dello stare. Conosciamo realtà statiche, fissate nella realtà della nostra percezione puntuale del qui ed ora, ma spesso l’evoluzione degli eventi ci sfugge se non indaghiamo gli atomi delle cose, la struttura interna dei monumenti, gli strati della terra. Spesso monumenti e fonti letterarie hanno rappresentato e documentano il lascito volontario alla memoria perché divenisse storia, mentre i reperti e gli strati di terra rappresentano delle fonti involontarie di narrazione del vissuto: raccontano microstorie, puntellando uno svolgimento caratterizzato dalla discontinuità. Le strade costruite, ristrutturate, razionalizzate, le strade che si sono adattate al territorio e quelle che si sono imposte sulla natura dei luoghi, rac-

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contano una progressiva espansione della potenza romana nei nostri territori, tanto che i fenomeni di romanizzazione e di costruzione di una rete stradale efficiente si identificano. Ma è anche vero che, in senso inverso, la percorrenza viaria introduce gli Italici a Roma, tanto che si può finalmente parlare di sannitizzazione del Lazio. L’originalità dell’apporto italico e la stessa complessa identità dei popoli che abitarono l’Abruzzo antico, costruendo i loro primi percorsi viari, si manifestano nella serie infinita degli insediamenti posti lungo le strade: villaggi, città, santuari, complessi rurali e necropoli, alla luce delle scoperte archeologiche più recenti, raccontano storie di contatti antichi con popoli diversi oltre quello romano. Il collegamento tra le aree settentrionali della penisola, abitate da Celti, Etruschi, Umbri, Piceni e quelle meridionali arricchite dagli orizzonti del Sannio e della Magna Grecia, poneva la nostra regione al centro di scambi culturali tra le odierne aree europee e mediterranee: queste presenze di civiltà appaiono non improvvise ad illuminare una storia dimenticata, dove oggi la montagna costituisce barriera, e dove invece ieri una strada percorreva i pendii e oltrepassava i valichi. Spesso i piccoli paesi montani, oggi in via di abbandono, nascondono preesistenze monumentali e la ricchezza dell’antico Abruzzo interno non ha confronti con la situazione attuale. L’antico sistema viario ha impresso una struttura al territorio e ha dato forma ai paesaggi che vanno indagati con una prospettiva non più romanocentrica, ricercando l’identità di un territorio pur sotteso all’opera colossale che in età romana vide l’ammodernamento, e a volte la creazione, di una rete stradale come fattore di romanizzazione politico-amministrativa dell’esercizio del potere, di valorizzazione delle risorse, di creazione di infrastrutture. Poter ancorare alla riconosciuta rete viaria la fitta presenza di villae, santuari, abitati, necropoli e quindi delle canalizzazioni, delle ripartizioni territoriali come la centuriazione, e poterne leggere lo sviluppo diacronico oltre che spaziale, significa ricostruire l’immagine dei diversi paesaggi che nel tempo hanno rappresentato il volto della nostra regione: significa ripercorrere le strade della storia restando saldamente legati ai dati materiali assunti direttamente dal terreno. Ancora oggi l’antichità dei percorsi riproposti dalla viabilità moderna sia in senso trasversale (via Salaria, Calatina, Cecilia, Claudia Valeria), sia in senso longitudinale (via poplica Campana, via Claudia Nova, via che attra-

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verso Corfinium e Sulmo raggiungeva il Sannio e la Magna Grecia) può costituire un filo conduttore per rintracciare, documentare e quindi conoscere e soprattutto tutelare il contesto dilatato dei nostri passati che, sulle percorrenze come la via degli Abruzzi e i tratturi, ha dettato i percorsi del presente. Così la pratica della tutela archeologica, volta sia a preservare e conservare la consistenza del patrimonio culturale che ad accrescerlo mediante la ricerca più aggiornata, dovrebbe rientrare in un più vasto programma di tutela territoriale, che riesca a far emergere la struttura antica spesso nascosta dei paesaggi, arricchiti dalla quarta dimensione del tempo.L’impegno in questo senso, attivato dalla Soprintendenza, si esprime su due binari del riferimento alla norma generale, alla teoria di un sistema apparentemente concluso in sé, e alla prassi di un richiamo costante alla situazione locale, ricca di eccezione e assolutamente aperta ad una serie infinita di possibilità. La consapevolezza di come il mondo, pur limitato negli ambiti provinciali, della ricerca a della tutela sia a volte difficilmente comprimibile all’interno di un Codice dei beni culturali e del paesaggio, spinge allo studio di soluzioni innovative che interagiscono positivamente con gli intenti e i progetti degli Enti territoriali, nell’ambito di programmazioni condivise e di rispetto sostanziale verso gli elementi “deboli” di una società, tra i quali indubbiamente sono i beni culturali. La rete viaria antica è un elemento fatiscente nel panorama dell’assetto territoriale attuale, ma rappresenta la spina dorsale di una struttura ancora vitale nel paesaggio abruzzese fortemente caratterizzato dall’orografia: poterne ricercare, tutelare e valorizzare le tracce può rappresentare un impegno che riaffermi l’identità di una regione esprimendone soprattutto le caratteristiche di territorio nonostante tutto “aperto” e pervio agli stimoli culturali e alle novità Anche a quelle che arrivano dal passato. Molte novità, grandi e piccole, sono contenute in questo lavoro di Sandro Zenodocchio: la conoscenza diretta dei luoghi (“le strade si conoscono con i piedi”), il riferimento incrociato tra dato archeologico e testimonianza delle fonti antiche e soprattutto la passione per la propria terra hanno infatti prodotto i risultati apprezzabili contenuti in questo volume. Alla massa dei dati che le ricerche sulla viabilità antica della nostra regione hanno accumulato, occorrerebbe far seguire atti di tutela conseguenti

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alla conoscenza acquisita e liberati dallo stretto riferimento alle urgenze: si tratterebbe di rendere organico e strutturato un impegno corale, che segua direttamente e doverosamente i ringraziamenti per le comunicazioni fornite dall’Autore su questi suoi viaggi nel tempo e nello spazio della nostra terra, lungo le strade che costituiscono spesso, nel loro tendenziale persistere sui luoghi già indicati, la diretta eredità del passato, riconoscibile nelle arterie maggiori, ma anche nei sentieri polverosi che attraversano silenziosi le campagne. Fino a quando ne avremo memoria.

Rosanna Tuteri Soprintendenza per i beni archeologici dell’Abruzzo


PREFAZIONE La configurazione di un determinato paesaggio rappresenta il prodotto ultimo di continue trasformazioni apportate dall’uomo, su di una realtà geografico-fisica primordiale. La pianificazione territoriale delle risorse naturali di un ambiente, risulta vincolata all’organizzazione della società che in esso opera. Le modalità di fruizione sono da mettere in relazione alla cultura, al periodo storico, alle capacità tecniche, nonché alle specifiche esigenze di una collettività, rappresentando, quindi, il frutto di una prassi politica che consente la trasformazione di un ambiente fisico in territorio. Questo processo di antropizzazione si realizza attraverso una fitta rete viaria che ne delinea il paesaggio. Ne consegue, quindi, che l’esistenza e lo sviluppo di una società sono indissolubilmente legati al sistema stradale che gravita sul territorio. Il costruire una strada, infatti, non si esaurisce nella semplice realizzazione di un tramite, al contrario, ogni strada è frutto di un ben preciso progetto che tiene conto di una molteplicità di fattori che le consentono di armonizzarsi con il territorio che attraversa. Una direttiva viaria, infatti, è sì influenzata da fattori fisici quali l’orografia e l’idrografia, ma soprattutto dall’esigenza di rapporti estesi che vanno oltre il proprio àmbito. Nella presentazione del suo lavoro sulle antiche strade romane, Caselli affermava: «Le strade sono i fiumi della storia. Lungo di esse transitavano i personaggi, le notizie, la cultura, le merci, gli eserciti» 1. Lo studio della dinamica legata alla viabilità, rappresenta, di conseguenza, 1 G. CASELLI, Guida alle antiche strade romane, Novara 1994, p. 7. Trattando sempre di viabilità romana Von Hagen ritenne la strada: “…un fatto sociale, elemento di vita e di civiltà: un tratto di strada si lega all’altro ed ogni uomo, tribù o popolo concorre a conservarla, a farne uno strumento per tutti” (V. VON HAGEN, Le grandi strade di Roma nel mondo, Roma 1978, p. 7).

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il primo passo necessario per comprendere sia l’evoluzione della rete intimamente legata ai processi di urbanizzazione, sia la storia degli artefici che spesso hanno profondamente plasmato le risorse dell’ambiente nel quale hanno operato. Trattando della viabilità romana, Sterpos ritiene che: «…ricostruire la viabilità dello Stato romano equivale a ricostruire in parte l’organizzazione amministrativa, tanto le due cose si compenetrano» 2. Per affrontare lo studio dinamico dell’evoluzione di una rete viaria, bisogna tenere presente le proprietà spaziali intrinseche che la caratterizzano: la tortuosità 3, la connettività 4, nonché la presenza degli insediamenti distribuiti sul territorio, quindi l’organizzazione gerarchica. (Fig. 1) In generale la fase iniziale dello sviluppo di una rete, è caratterizzata da un’elevata tortuosità, accompagnata da una bassa connettività, a formare una struttura viaria ad albero, con strade e sentieri che permettono scarsi collegamenti, limitati con l’intorno immediato. Le variazioni gerarchiche d’alcuni centri sugli altri nel tempo, legate prevalentemente a fattori economici o demografici, determinano inevitabilmente poli privilegiati della rete infrastrutturale, con conseguente decadenza del sistema stradale più antico. Ripercorrere questo lungo processo di trasformazione della viabilità del territorio compreso nei confini attuali dell’odierno Abruzzo, vuole essere, almeno nelle intenzioni, lo scopo di questo contributo. I limiti oggettivi della ricerca, l’incompletezza o lo scarso approfondimento d’alcuni temi, sono conseguenza dell’ampio territorio preso in esame, oltre alla carenza delle fonti. Il punto di partenza è l’uomo del paleolitico, cacciatore, che lungo itinerari non ben delineati, stagionalmente e per millenni, ha inseguito le prede addentrandosi nell’intricata vegetazione delle zone più interne, seguendo spesso il percorso dei fiumi. Successivamente in epoca protostorica i pastori della civiltà appenninica, al seguito delle loro greggi, nelle migrazioni annuali, procedevano lungo i trat2 D. STERPOS, La strada romana in Italia, Roma 1970, p. 6. 3 La tortuosità di una rete indica il rapporto tra la distanza di due centri, misurata su strada e quella in linea d’aria. 4 Il rango di connettività di una rete indica il grado di collegamenti diretti tra i singoli centri, rispetto ai collegamenti indiretti.

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Fig. 1 - ProprietĂ spaziali di una rete stradale

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turi. Con la deduzione romana, i vecchi tracciati furono ristrutturati, rispettandone spesso l’andamento. Solo successivamente, spinti da nuove esigenze espansionistiche, i Romani costruirono strade, creando nuove direttrici che tennero conto della necessità di rendere più brevi le percorrenze. Alla caduta dell’Impero di Roma, la rete viaria, priva di manutenzione, cadde in abbandono, e soltanto allora furono recuperate le vecchie strade di crinale, i tratturi, per tutto il medioevo.

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INTRODUZIONE Se è vero che il territorio fa la storia di un popolo, questo è massimamente vero per l’Abruzzo 5, territorio composito e non facile. Non a caso Ignazio Silone nella prefazione del volume Abruzzo e Molise, del Touring Club Italiano, scrisse: “Il destino degli uomini della regione che da circa otto secoli viene chiamata Abruzzo è stato deciso principalmente dalle montagne. La natura impervia del territorio ritardò nell’antichità l’unificazione dei popoli di varia origine che l’abitavano, gli Equi, i Marsi, i Peligni, i Vestini, i Marrucini, i quali rimasero separati ed ostili anche dopo che Roma aveva già esteso le sue leggi a tutto l’Occidente” 6. La catena appenninica abruzzese è caratterizzata da tre allineamenti montuosi di natura calcarea, spesso di notevole altezza, disposti longitudinalmente a costituire una serie di massicci tra loro paralleli. (Fig. 2) Il primo, detto Allineamento orientale, inizia con i monti della Laga (NO-SE) e si continua nel massiccio del Gran Sasso, dal quale si distacca virtualmente col passo delle Capannelle (m 1299), proseguendo poi col monte Morrone e questi col monte della Maiella ad oriente. Questa catena di monti costituisce un antemurale senza soluzione tra la fascia adriatica ed il retroterra. L’Allineamento mediano, partendo dal monte Velino, si continua con il Sirente e la Montagna Grande, per finire poi col monte Marsicano, assumendo la funzione di spartiacque tra il Tirreno e l’Adriatico. L’altro allineamento, detto occidentale (NO-SE), inizia con i monti Carseolani, continua poi con quelli Simbruini e termina con gli Ernici. La cordigliera orientale e quella mediana, nella parte più meridionale, si ricongiungono dando origine alla ‘Regione degli altipiani maggiori’. 5 V. CIANFARANI, Lineamenti per la storia dell’arte antica nell’Abruzzo e nel Molise, Roma 1966, p. 5. 6 I. SILONE, Abruzzo e Molise, Touring Club Italiano, Milano 1948, p. 7.

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Fig. 2 - Appennino Abruzzese

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Tra le cordigliere residui di laghi pleistocenici hanno dato origine a conche con stretti fondovalle solcati da fiumi. Queste conche intermontane raccordandosi tra loro, costituiscono da sempre una valida via di comunicazione fin dall’età del bronzo, fra le regioni dell’Italia centrale e il Mezzogiorno. La conca di L’Aquila 7, attraverso il valico di Sella di Corno (1000 m) e la gola d’Antrodoco, permette di raggiungere la Sabina e quindi l’Umbria e la Toscana. A sud attraverso i valichi degli Altopiani Maggiori, le valli del Sangro e del Volturno si raggiunge la Campania. Dalle catene montuose si aprono il varco i fiumi, che attraversando la stretta fascia collinare, argilloso-calcarea, spesso segnata da vistose formazioni calanchive, raggiungono la costa, di natura alluvionale e non sempre portuabile. Molteplici sono i corsi d’acqua che raggiungono il breve tratto litorale abruzzese. Il Tronto segna il confine settentrionale della regione, mentre il Trigno quello meridionale. Importanti tramiti preistorici furono i fiumi Vibrata, Tordino, Salinello, Aterno e Sangro, che permisero di raggiungere le zone più interne, e che in epoca romana consentirono la realizzazione di strade consolari, come la via Salaria o la via Valeria-Claudia. Quantunque l’asprezza dei monti e la ridotta fascia litoranea non abbiano favorito lo sviluppo di una grande rete viaria, per la sua posizione nell’Italia centrale, la regione Abruzzo ha svolto da sempre una funzione di raccordo non soltanto tra il nord ed il sud della penisola, ma anche fra la costa tirrenica e quella adriatica. Già in epoca remota rappresentò la via di accesso al Sannio, attraverso la quale Annibale giunse alle porte di Roma. E’ inoltre ampiamente documentata, già intorno all’VIII secolo a.C. la spinta verso occidente dei Sabini che raggiunsero la città di Roma. Ad oriente un asse costiero congiungeva il Piceno con l’Apulia e lungo il quale gravitavano le antiche gentes dei Praetuttii e dei Vestini a nord, mentre a sud i Marrucini ed i Frentani. Come detto in precedenza, oggetto di questa ricerca, appunto, è lo studio della viabilità antica del territorio racchiuso nei confini dell’Abruzzo odierno. Per questo lavoro mi sono avvalso delle fonti antiche e moderne, provenienti

7 La Conca Aquilana inizia da Cagnano Amiterno e termina a Molina Aterno, dove si continua con quella di Sulmona. Queste valli sono comprese tra la cordigliera orientale e quella mediana, mentre il bacino del Fucino è compreso tra quest’ultima e quella occidentale.

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da ricerche bibliografiche e d’archivio 8. Particolarmente utile la ricerca a terra, che mi ha permesso di raggiungere spesso risultati non sperati, mentre in altri casi, mi ha spinto a rivedere completamente quanto ipotizzato in precedenza. I reperti archeologici rintracciati in situ, quali: ponti, sostruzioni, pietre miliarie 9, epigrafi, sono stati di fondamentale importanza per determinare la direzione delle singole vie. Utilissimi gli itinerari antichi, valide fonti di documentazione, indispensabili per ricostruire i percorsi delle strade romane ed in particolare l’atlante del Regno di Napoli del Rizzi-Zannoni del XVIII secolo 10. A tal riguardo Sterpos sostiene che “…fino alla fine del ‘700 buona parte dell’impianto stradale doveva essere la continuazione di quello dell’età romana, e perciò tornano di grande utilità le vecchie carte geografiche dei singoli stati italiani prima dell’unificazione” 11. Non meno utili le foto aeree dell’Aerofototeca Nazionale, nonché alcune foto aeree scattate personalmente. Per la cartografia mi sono avvalso delle carte I. G. M. (scala 1:100.000 e tavolette scala 1:25.000), mentre in casi particolari di mappe catastali scala 1:2.000. Ovviamente sono state prese in considerazione soltanto le strade più importanti, vale a dire le viae publicae, essendo modestissime o inesistenti, le fonti archeologiche, oltre che storiche, delle altre categorie stradali. Precedenti studi sistematici sulla rete viaria antica in Abruzzo nel suo complesso, a me noti, sono soltanto quattro. Trattando del Regno di Napoli agli inizi del XIX secolo, Romanelli descrisse la viabilità antica dell’Abruzzo rintracciata sulla Tabula Peutingeriana 12. Nel 1900 fu pubblicato Itinerarii antichi negli Abruzzi, da Destephanis 13. Dopo circa 70 anni Lidio Gasperini 8 Tra gli archivi maggiormente consultati, cito L’Archivio di Stato di L’Aquila e quello di Ascoli Piceno. 9 Fondamentale punto di riferimento sono state le pietre milliarie rinvenute in Abruzzo, per la quasi totalità riconducibili al IV secolo d.C., delle quali un terzo riutilizzate. 10 RIZZI-ZANNONI, Atlante geografico del Regno di Napoli deliberato per ordine di Ferdinando IV Re delle Due Sicilie, Napoli 1788-1812. 11 D. STERPOS, cit., p. 5. 12 D. ROMANELLI, Antica topografia istorica del Regno di Napoli, Napoli, 1819, parte III, pp. 621-640. 13 P. DESTEPHANIS, Itinerarii antichi negli Abruzzi, in: Rassegna Abruzzese di Storia e Arte, a. 1900, pp. 211-233.

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diede alle stampe: “Sedi umane e strade di Abruzzo in età romana” 14. Infine nel 1975 Giovanni De Santis trattò della viabilità in Abruzzo dalle origini ai giorni nostri 15. Molto più ampia risulta invece la ricerca sulle singole strade antiche, come si vedrà in seguito. Tra i recenti lavori ho ritenuto opportuno vagliare i più significativi, e ben lungi dal risolvere le problematiche di fondo, auspico che per lo meno, questo studio possa, sia pure a grandi linee, dare un quadro di più ampio respiro sulla viabilità antica dell’Abruzzo.

14 L. GASPARINETTI, Sedi umane e strade di Abruzzo in età romana, in: Abruzzo, a. X, 1-2-3, 1972, pp. 61-71. 15 G. DE SANTIS, Struttura viaria antica e recente in Abruzzo, in: Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia, XII, 1974-75, pp. 233-255.

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PARTE GENERALE La viabilità primitiva Le più antiche vie naturali di comunicazione furono senza dubbio le sponde dei fiumi, le rive dei laghi e le piste tracciate dagli animali attraverso le foreste alla ricerca di cibo. Col fiorire della civiltà appenninica (1400-1300 a.C.) nell’età del Bronzo, in Abruzzo, ebbe inizio la pastorizia e con essa la transumanza verticale, cioè a corto raggio, tra pascoli a valle e pascoli di alta quota, nell’ambito del medesimo territorio. È più tardi, nell’età del Ferro che ci si avviò verso una transumanza di tipo orizzontale, caratterizzata da spostamenti regolari a più ampio raggio, lungo piste preistoriche, che seguivano l’andamento naturale del suolo: i tratturi (itinera callium), collegando l’Appennino interno con le pianure prossime al mare. Tracciare un quadro, sia pure generale, sulla viabilità primitiva in Abruzzo, risulta certamente impresa non facile a causa della spiccata difformità morfologica del suo territorio, che ha vincolato i suoi abitanti a stili di vita diversissimi. Dai siti d’altura del neolitico, ad economia mista (caccia e raccolta), si passò, nell’eneolitico, a quelli di pianura o presso le foci dei fiumi, ad economia cerealicola. Tenendo presente, però, l’orografia, con i suoi allineamenti montuosi, con i suoi passaggi obbligati, nonché le numerose stazioni preistoriche rinvenute sul territorio, ritengo sia possibile dare un’immagine delle piste, più tardi tratturi, che per millenni gruppi nomadi hanno utilizzato 16. 16 In passato Cianfarani dando un quadro d’insieme sui popoli italici che abitavano l’Abruzzo ritenne che: “Ad unire tra loro le comunità per i modesti interessi dei loro membri, dovevano essere modestissimi, sentieri tracciati fra i rari campi, nelle frequenti e folte boscaglie, ai bordi delle paludi e dei laghi: soprattutto attraverso valichi montani dovevano comunicare tra loro i popoli della fascia costiera e quelli del retroterra e quelli delle valli e delle conche chiuse entro i monti; comunicazioni, tuttavia, che le vicende stagionali permettevano solo per una parte dell’anno. I grandi tratturi, battuti dallo stagionale transito di immensi popoli lanosi, univano

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Preistoria abruzzese Fin dal paleolitico inferiore, l’uomo era presente nel territorio abruzzese con insediamenti di industria amigdaloide, databile intorno a 350 mila anni fa 17. Questi insediamenti, distribuiti massimamente lungo la costa adriatica e lungo i corsi dei fiumi Pescara e Sangro, hanno indotto a considerare l’Abruzzo interno una conquista ‘recente’, legata all’uomo bertoniano. Le ultime scoperte di industrie del paleolitico inferiore in zone interne ed anche a quote elevate (monte Camicia, q. 1760, Fonte della Macina, q. 1500), ci portano a rivedere le pregresse posizioni. La presenza di questi manufatti sul Gran Sasso è giustificata dalla nomade attività di caccia, con migrazioni stagionali al seguito di prede che ivi trovavano pascoli più idonei, durante il periodo estivo. Del cacciatore del paleolitico superiore in Abruzzo abbiamo resti distribuiti in zone interne, lungo le valli del fiume Pescara e del fiume Sangro, nonché lungo i bordi dei laghi (Fucino), in ripari temporanei o stabili. Caratteristica di questo periodo è l’industria denominata ‘bertoniana’, da un insediamento di capanne quadrate rinvenuto ai piedi del Gran Sasso, sul versante orientale, non lontano da Montebello di Bertona. Un’altra officina litica del periodo bertoniano è descritta nel 1957 dal Pannuti, e rinvenuta presso ponte Peschio (ad ovest de L’Aquila) 18. La conferma di quanto ipotizzato da Pannuti fu segnalata dallo stesso venti anni più tardi, comunicando la presenza di varie industrie del paleolitico sula montagna alla marina e segnavano per i territori attraversati, anche le maggiori arterie ai traffici degli uomini. E’ questo in alcuni suoi aspetti il mondo delle genti italiche al loro primo apparire in Abruzzo, quando, cioè, seppure non possano negarsi rapporti con l’esterno, per essi deve ammettersi solo carattere episodico, non tale da comportare influenze determinanti nella cultura delle varie tribù” (V. CIANFARANI, Archeologia, in Abruzzo, a cura di CHIERICI, CIANFARANI, GENTILE, SILONE, TITTI ROSA, ediz. Banca Nazionale del Lavoro, Milano 1963, p. 102. 17 A. M. RADMILLI, Abruzzo preistorico, Firenze 1965, p. 27. 18 S. PANNUTI, Industrie preistoriche nella conca dell’Aquila, in: Bull. Paletnogr. Ital. a. 1957, p. 260: “Abbiamo inoltre notato la relazione tipologica di queste industrie con i tipi bertoniani; se potrà essere confermata la diffusione di tale cultura anche sulle pendici occidentali del gruppo del Gran Sasso, la valle dell’Aterno apparirebbe allora come una grande arteria attraverso la quale i flussi culturali si espandevano sui due versanti dell’Appennino Abruzzese”.

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periore a Campo Imperatore 19, insieme con quelle di Fonte della Pietà e di Grotta a Male 20. Il neolitico abruzzese inizia tardivamente, tra la fine del VI e l’inizio del V millennio. Tra gli insediamenti più antichi ricordiamo quello del villaggio Leopardi presso Penne, sul versante orientale del Gran Sasso, con fondi di capanne scavate nella terra, quello di S. Callisto a Popoli, nonché la Grotta dei Piccioni di Bolognano 21. Sempre di questo periodo è lo scheletro rinvenuto ai piedi della Maiella, vicino Lama dei Peligni, noto a tutti come ‘Uomo della Maiella’. Successivamente nel neolitico medio nuove culture e nuove migrazioni giunsero in Abruzzo, probabilmente dal Mediterraneo orientale, caratterizzate dalla pratica dell’agricoltura e dell’allevamento 22. La fase più importante di questo periodo è senza dubbio quella del villaggio di Ripoli, presso Corropoli, nella valle della Vibrata e che dà il nome appunto alla cultura di Ripoli, caratterizzata da ceramica dipinta (tricromica). Successivamente nuove popolazioni dedite alla pastorizia e provenienti dall’Est, giunte in Italia alla ricerca di minerali, si amalgamarono, più o meno pacificamente, con gli agricoltori indigeni. Questa nuova età dei metalli, nota anche come Eneolitico (III millennio), in Abruzzo è rappresentata massimamente dalla cultura di Ortucchio, ma non meno importanti sono gli insediamenti della grotta di S. Angelo di Civitella del Tronto e di quella dei Piccioni di Bolognano. Nella grotta A Male presso Assergi è presente traccia della cultura di Rinaldone, giunta forse dal Lazio, seguendo il corso del fiume Aniene 23. Infatti ne troviamo tracce a Cantalupo-Mandela 24, nella tomba di

19 IDEM, Preistoria e protostoria del Gran Sasso d’Italia, in omaggio al Gran Sasso, Club Alpino Italiano, sez. de L’Aquila, L’Aquila 1975, p. 168. 20 A. M. RADMILLI, Storia dell’Abruzzo dalle origini all’età del bronzo, Pisa 1977, p. 152. 21 V. CIANFARANI, A. M. RADMILLI, G. CREMONESI, Trecentomila anni di vita in Abruzzo, Chieti 1962, p. 56;V. D’ERCOLE, R. PAPI, G. GROSSI, Antica terra d’Abruzzo, L’Aquila 1990, pp. 26-27. 22 V. CIANFARANI, L. FRANCHI-DELL’ORTO, A. LA REGINA, Culture adriatiche antiche di Abruzzo e di Molise, Roma 1978, p. 33; AA. VV., V. D’ERCOLE-R. PAPI-G. GROSSI, Antica terra, cit., p. 25ss. 23 A. M. RADMILLI, Abruzzo, cit., pp. 376 e 379. 24 A. M. RADMILLI, R. PERONI, Guida, cit., p. 102.

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Camerata di Tagliacozzo 25. Nella media età del bronzo (secoli XVI-XIV), si affaccia la civiltà appenninica, caratterizzata dall’agricoltura e dall’allevamento. Questa civiltà si distingue, soprattutto in origine, per l’attività pastorale nomade, dettata dalla esigenza di transumanza. E’ dal contatto e dalla fusione di questi pastori con gli stanziali agricoltori che si origina la civiltà sub-appenninica, soprattutto nell’interno. Presenze appenniniche e sub-appenniniche si trovano sparse nella parte meridionale del Gran Sasso a Campo Imperatore (Fonte della Macina q. 1541), Colle S. Marco (q. 1060), Calascio, ed inoltre a Campo Pericoli presso il valico della Portella, antico passaggio per il teramano, che collega il versante meridionale con quello settentrionale del Gran Sasso 26. Dagli studi di Fulvio Giustizia su di uno stanziamento sub-appenninico di alta quota, nel territorio di Rocca Calascio, veniamo a conoscenza di frequentazioni del Gran Sasso, da parte dei più antichi pastori d’Abruzzo 27. (Fig. 3)

25 G. BRANELLA, Civiltà preistoriche tra Abruzzo e Piceno, Ripatransone (AP) 1991, p. 35. 26 A. M. RADMILLI, Storia, cit., 416. 27 F. GIUSTIZIA, Paletnologia e archeologia di un territorio, Roma 1985, 31; E. MATTIOCCO, Vie pastorali ed insediamenti preistorici dall’altipiano di Navelli alla valle del Salto, in: Giornate Internazionali di Studio della Transumanza. Atti del Convegno, L’Aquila-Sulmona-Campobasso-Foggia 4-7 Novembre 1984, a cura della Deputazione di Storia Patria degli Abruzzi, Padova 1990,82

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Fig. 3

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Siti preistorici in Abruzzo Paleolitico inferiore-medio 1 Controguerra 2 Collemusino 3 Corropoli 4 Ponte Peschio 5 Massa D’Albe 6 Penne 7 Cepagatti 8 Madonna del Freddo 9 Ortona 10 Svolte di Popoli 11 S. Maria delle Piane 12 Rapino 13 Abbateggio 14 Monte Morrone 15 Caramanico 16 S. Nicolao 17 Monte Piano 18 Grotta dei Mandroni 19 Pretoro 20 Monte Camicia 21 Fossa di Paganica 22 Campo Imperatore 23 Piano di S. Marco 24 Grottoni 25 Scanno 26 Capitignano 27 Rigopiano Paleolitico superiore 28 Corropoli 29 Terrazzi del Vibrata 30 Ponte Peschio

31 Rigopiano 32 Capo d’Acqua 33 Campo delle Piane 34 Le Svolte di Popoli 35 S. Maria delle Piane 36 Monte Piano 37 Valle Giumentina 38 Grotta del Colle 39 Fornelli di Caramanico 40 Rifugio della Maiella 41 Piano delle Cinquemiglia 42 Campo di Giove 43 Piano di Roccaraso 44 Piano dell’Aremogna 45 Grotta Achille Graziani 46 Montebello di Bertona 47 Montagna dei Fiori 48 Monte Genzana 49 Murata del Diavolo 50 S. Sisto 51 Ortucchio (Grotta dei Porci) 52 Grotta la Punta Neolitico 53 Grotta S. Angelo (Civitella del Tronto) 54 Ripoli 55 Pianaccio di Tortoreto 56 Villaggio Leopardi (Penne) 57 Capo d’Acqua 58 Catignano 59 Grotta S. Nicola 60 Grotta Maritza (Fucino)

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61 62 63 64 65 66 67 68 69

Grotta la Punta (Fucino) Grotta la Cava (Fucino) Grotta Ortucchio Riparo Continenza Madonna della Strada Lama dei Peligni S. Benedetto in Perillis Grotta Cola II (Petrella) Grotta dei Piccioni (Bolognano)

EtĂ del Bronzo 70 Grotta S: Angelo (Civitella del Tronto) 71 Campovalano (Campli) 72 Costa del Monte (Tortoreto) 73 Fortalezza (Tortoreto) 74 Grotta a Male (Assergi) 75 Campo Pericoli 76 Grotta delle Marmitte 77 Grotta Maritza (Fucino) 78 Collelongo 79 Grotta la Punta (Fucino) 80 Ortucchio 81 Collarmele 82 Grotta dei Piccioni 83 Grotta dei Corvi 84 Grotta Achille Graziani 85 Lago di Scanno 86 Blok Haus 87 Grotta di Cola II (Petrella) 88 Castel del Monte 89 Fonte delle Macine

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(Campo Imperatore) 90 Calascio 91 Lago Calascio 92 Collepietro 93 S. Benedetto in Perillis 94 Tussio 95 Civitaretenga 96 Peltuinum 97 Navelli 98 Collepietro 99 S. Stefano in Sessanio EtĂ del Ferro

100 Atri 101 Loreto Aprutino 102 Alfedena 103 Capestrano 104 Campovalano 105 Villa Vomano 106 Basciano 107 Scurgola 108 Pescina 109 S. Omero 110 Civitella del Tronto 111 S. Egidio della Vibrata 112 Silvi 113 Teramo 114 Basciano 115 Torre dei Passeri 116 Castelvecchio Subequo 117 Caporciano 118 S. Benedetto in Perillis 119 Barisciano


120 Castel del Monte 121 Intradacqua 122 Pettino 123 Guardiagrele 124 Bucchianico 125 Palena 126 Fossacesia 127 Lama dei Peligni 128 Vasto 129 Chieti Sud 130 Celano 131 Goriano Sicoli 132 Cocullo 133 Avezzano

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I Tratturi L’esigenza di pascoli per le popolazioni attestate nelle aree interne dell’Appennino, ad economia prevalentemente pastorale, ha dato origine a tutta una serie di piste, che dai rilievi appenninici si collegavano con le pianure del Lazio e della Puglia: i tratturi (calles), cioè percorsi lungo i quali si svolgeva il complesso di cicliche migrazioni stagionali della transumanza, rappresentando un veicolo economico di fondamentale importanza per i territori coinvolti. Il sistema tratturale, formatosi in epoca preistorica, restò pressoché immodificato nel corso dei secoli, fino a qualche decennio fa. Questi spostamenti delle greggi non seguivano vere e proprie vie 28, nel tratturo infatti non era presente né un vero e proprio fondo stradale, né ben distinti margini di ampiezza, ma attraverso i crinali o lungo il corso dei fiumi, raggiungevano le coste dell’Adriatico o quelle del Tirreno. Lungo i percorsi della transumanza erano presenti sacelli o santuari, spesso dedicati ad Ercole, protettore degli armenti, o a Feronia. Presso i santuari maggiori, punto di incontro di popolazioni diverse, si tenevano fiere e mercati sotto la tutela delle divinità. Quantunque attestata soltanto in età tardo-repubblicana da fonti epigrafiche e letterarie, la transumanza, nella parte centrale dell’Italia, possiamo avvicinarla al nomadismo stagionale degli antichi pastori della civiltà appenninica 29. Mattiocco a riguardo ritiene: «…possibile quindi stabilire a quest’epoca (più antica età dei metalli) i primi abbozzi di un’empirica rete di percorsi e punti 28 I tratturi possiamo considerarli ciò che resta dei tramiti seguiti in età preistorica, lungo i quali, ancor oggi, si rinvengono tracce di ceramiche, soprattutto in grotte o a volte in semplici ripari. 29 S. M. PUGLISI, La civiltà appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia, Firenze, 1959;V. CIANFARANI, Antiche civiltà d’Abruzzo, Roma 1969, p. 11;V. CIANFARANI, L. FRANCHI-DELL’ORTO, A. LA REGINA, Culture, cit., pp. 218-220; L. QUILICI, Roma primitiva e le origini della civiltà laziale, Roma 1979, pp. 44-45; E. GABBA, La transumanza nell’economia italico-romana, in: Giornate Internazionali di studio sulla transumanza, Atti del Convegno, L’Aquila, Sulmona, Campobasso, Foggia, 1984, p. 21; J. E. SKYDSGAARD, Transumanza nell’Italia antica, Quaderni del Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria n° 8, 1988, p. 12.

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di convergenza delle greggi che la pratica quotidiana col tempo aveva reso consueti» 30. Abbiamo notizie certe sull’allevamento transumante intorno al I secolo a.C., da Marco Terenzio Varrone (De re rustica), il quale descrive dettagliatamente l’andamento delle greggi tra la Sabina e l’Apulia e tra il Sannio e l’Apulia 31. La transumanza fu irregimentata dall’amministrazione romana che ne tutelò lo svolgimento, come rileviamo da un’epigrafe del II sec d.C., collocata presso Boiano 32. La rete tratturale, essendo ampiamente distribuita sul territorio, non solo rappresentò l’elemento portante di tutto il successivo sistema stradale romano, già nella fase più antica, ma anche il tramite per la conquista dell’Italia centrale. (Fig. 4)

Fig. 4 - I Tratturi 30 E. MATTIOCCO, Vie pastorali, cit., pp. 98-99. 31 MARCO TERENZIO VARRONE, De re rustica, II, 2, 92:” Ego vero scio, inquam, nam mihi gregem in Apulia hibernabant, qui in Reatinis montibus aestivabant “; CICERO, Ad Atticum, VIII, 3, 4; IDEM, Pro Cluentio 161. 32 CIL, IX, 2348.

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Il Piganiol a riguardo ci offre un chiaro quadro d’insieme: «Se si considera la carta dei tratturi dell’Italia centrale in epoca moderna, si è stupiti della loro coincidenza con le vie romane. Ciò equivale a dire, a prima vista, che la conquista dell’Italia centrale nel IV secolo è stata guidata dalle pecore, un po’ come nella foresta vergine i primi sentieri sono tracciati dagli animali selvatici. Come mai la pace tra Roma e i Sabini è durata dal V al II secolo? Evidentemente, a causa degli accordi di transumanza. In che modo Roma, alla fine del IV secolo, ha attraversato la foresta Cimina, nell’Etruria meridionale? Travestendo i suoi emissari da pastori. Come spiegare che i suoi eserciti, giunti nelle valli dell’Appennino centrale, siano discesi in modo del tutto naturale, verso la Puglia? Perché Roma utilizzava il percorso alterno delle greggi tra Sulmona e il Tavoliere delle Puglie» 33. Di parere opposto Caselli: «…i tratturi non furono certo la base per la creazione del sistema stradale, quest’ultimo sorse per precise necessità di carattere socioeconomico, che poco hanno a che fare con le esigenze di mandrie in movimento» 34. Personalmente condivido quanto affermato dal Piganiol. Non ritengo sia un caso, infatti, che la Via Salaria, la Via Valeria Claudia o la Via Claudia nova, siano state costruite lungo le direttive di tratturi.

33 A. PIGANIOL, Le conquiste dei Romani, Milano 1997, p. 151; E. T. SALMON, Il sannio e i Sanniti, Torino 1985, pp. 23-24:“Fin dai tempi più remoti, i sentieri aperti dalle greggi rappresentarono vie di comunicazione relativamente facili attraverso il Sannio. A causa delle onnipresenti montagne questi tracciati approssimativi diventavano talvolta tortuosi tuttavia essi dovevano essere stati strade transitabili. Il fondo costituito da roccia viva, poteva sostenere il traffico, anche intenso dei veicoli. […. ]. In altre parole, già in epoca preromana esisteva un sistema di comunicazioni piuttosto complesso, anche se in qualche misura primitivo, che gl’ingegneri romani, come al solito sfruttarono ampiamente quando in seguito svilupparono il loro grande sistema stradale”. 34 G. CASELLI, Guida, cit., p. 9.

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I Popoli Italici Quanto mai problematico risulta il passaggio dalla preistoria alla protostoria. Alle confuse e spesso contrastanti notizie degli autori classici sui primitivi abitatori dell’Italia centrale, si contrappongono e s’integrano le nuove scoperte archeologiche, i nuovi progressi della linguistica comparata e della toponomastica. Secondo la più antica tradizione, la valle superiore dell’Aterno fu la sede originaria dei Sabini 35, ed il loro primitivo centro sarebbe stato Testruna, presso Amiterno. I Sabini partendo da Testruna, si spinsero ad est nell’agro reatino, sede allora degli Aborigeni, ed ottennero con la forza la città di Cutilia 36. Questa pressione sabina verso il Lazio e su Roma, esercitata fin dall’VIII sec a.C., è ampiamente documentata dalla storiografia, dalla linguistica, dalla religione ed infine dall’archeologia 37. Successivamente (IV sec. a.C.), da questo nucleo sabino, attraverso primavere sacre (veria sacra), si sarebbero originate le genti sabelliche di parlata osco-umbra, distribuite dal Piceno al Sannio, area corrispondente pressappoco alle attuali regioni Abruzzo e Molise. (Fig. 5) 35 CATO, in Dion Halic., II, 49, 2-3, Catone parlando dei Sabini:” Dice che fu domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Testrina presso la città di Amiterno; che muovendosi da questa inondarono i Sabini l’agro Reatino abitato allora dagli Aborigenoi e da Peslagi; e che ottennero colla forza delle armi Cotilia la loro città più cospicua”. Traduz. di Marco Mastrofini, Milano 1823, p. 8. V. CIANFARANI, Culture adriatiche d’Italia, Roma 1970, p. 34. 36 Questi primitivi abitatori dell’Italia centrale provenivano dalla Grecia ed il loro centro era nei pressi del lago di Cotilia. V. CIANFARANI, Culture adriatiche d’Italia, Roma 1970, p. 14; A. M. REGGIANI, Annotazioni sulla Sabina e sul territorio degli Equicoli, in: Enea nel Lazio. Archeologia e mito, Roma 22/IX-31/XII, 1981, p. 54 (Catalogo); G. DEVOTO, Gli antichi Italici, Firenze 1969, p. 90;V. CIANFARANI, L. FRANCHI-DELL’ORTO, A. LA REGINA, Culture, cit., pp. 47-51. 37 SERV., In Aen., VII, 657; Cato, in SERV., Aen. VIII, 638; CIC., De Rep. II, 7, 13; LIV., I, 13; DION. HALIC. II, 46; PAIS, Storia di Roma dalle origini alle guerre puniche, II, pp. 48, 50, n. 1; F. RIBEZZO, Roma delle origini, Sabini e Sabelli, in: RIGI, a. XIV (1930), fasc. I-II, p. 5 ss; E. EVANS, The cult of Sabine Territory, in: American Accademy in Rome, 1939, p. 11; M. G. BRUNO, I Sabini e la loro lingua, Bologna 1969, pp. 125 ss; L. CAUSO, Il problema dei rapporti tra i Sabini e Roma primitiva, in Civiltà arcaica dei Sabini nella valle del Tevere, Catalogo della mostra, Roma, maggio-luglio 1973, pp. 16 ss; L. QUILICI, Roma primitiva, cit., pp. 239-240; G. GROSSI, La “Safina-Tuta”, in Abruzzo: Aequicoli, Sabini, Marsi, Volsci, Pentri e Freantani dal 1000 al 290 a.C., in Antica terra d’Abruzzo, L’Aquila 1990 vol. I, p. 238.

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A tal proposito piace riportare di seguito la panoramica sui Sabini offertaci dal Pallottino: «Alla luce delle scoperte e degli studi più recenti, che in un’area compresa tra le Marche, gli Abruzzi e la provincia di Rieti, si sia venuta configurando almeno a partire dagli inizi dell’età del ferro, un’unità etnica alla quale si può attribuire il nome generale di Sabini (o, nella loro propria fonologia, Safini). […]. Al nucleo originario si ricollegano, con una differenziazione verosimilmente più tardiva, nei diversi popoli dell’area abruzzese (Vestini, Marsi, Peligni, Marrucini, ecc.)» 38. Considerando l’importanza delle valli fluviali, quali tramiti fondamentali per le comunicazioni e quindi per i commerci, ci si rende conto di quanto sia

Fig. 5 - Espansione Sabina 38 M. PALLOTTINO, Storia della prima Italia, Milano 1984, p. 70.

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stata felice la scelta di quest’area, perchè da qui hanno origine, oltre il fiume Aterno, anche il Tronto, il Velino ed il Tordino  39. La pista seguita dai Sabini verso Roma fu quella che in seguito venne ricalcata dalla via Salaria. In direzione opposta, lungo la valle del fiume Tronto, i Sabini raggiunsero il mare Adriatico, sotto la guida del picchio, uccello sacro a Marte, dando origine ai Picenti 40. E’, quindi, tramite il corso dei fiumi Velino e del Tronto che entrarono in contatto con la cultura medio-adriatica e quella laziale 41. Il Devoto, trattando della valle dell’Aterno, affermò: «…prima di un luogo d’ insediamento… intorno all’ottavo secolo avanti Cristo, la valle dell’Aterno […] era soprattutto una strada […], la grande strada verso il Sannnio» 42. Sulla riva sinistra dell’Aterno, seguendo le falde meridionali del Gran Sasso (mons Fiscellus), i Sabini dell’alta valle dell’Appennino interno si proiettarono ad oriente lungo la valle del Pescara verso il mare Adriatico dando poi origine al popolo dei Vestini  43 e dei Marrucini. La presenza umana nella valle è documentata già nel paleolitico inferiore 44. Le strade seguite furono le sponde dei fiumi Aterno, Tirino e Pescara. Più a nord invece, superato il valico di Forca di Penne, raggiunsero il mare procedendo lungo i fiumi Fino e Salinello 45. Dalla piana di Rieti, lungo il corso del fiume Salto e dell’Imele, i Marsi raggiunsero le acque del Fucino occupandone le sponde 46. La loro capitale fu 39 IGM, f. 139, L’Aquila; IGM, f. 132 Norcia. 40 Festo (235 l), “…quod Sabini cum Asculum proficiscerentur in vexillo eorum picus consederat...”; Plinio. N. H., III, 110 “Quinta regio Piceni est, quondam uberrime multitudinis”; G. DEVOTO, Gli antichi italici, Firenze 1969, p. 109;V. CIANFARANI, Culture, cit., p. 20. 41 P. SANTORO, Confronti medio-adriatici, in Civiltà arcaica dei Sabini nella valle del Tevere, Catalogo della mostra, Roma maggio-luglio 1973, pp. 115ss. 42 G. DEVOTO, La valle dell’Aterno e gli antichi italici, in Abruzzo, a. 1968 n. 6, pp. 23 ss. 43 G. DEVOTO, Gli antichi, cit., pp. 96-97, 110; G. RADKE, s. v. Vestini, in RE, VIII A/2, cc. 1779-1788; A. LA REGINA, Ricerche sugli insediamenti vestini, MemAL(scMSF), 3, 5 (1968), pp. 373-375; V. CIANFARANI, Culture adriatiche d’Italia, cit., pp. 22-23. 44 Ivi, cit., p. 61. 45 Ivi, cit., p. 23. 46 G. DEVOTO, Gli antichi, cit., p. 110; V. CIANFARANI, Culture, cit., pp. 19, 34; V. CIANFARANI, FRANCHI-DELL’ORTO, A. LA REGINA, cit., pp. 45, 48.

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Marruvium, identificata oggi con San Benedetto dei Marsi. I Peligni, d’origine illirica secondo Festo (248 L), “Peligni ex illiricorum gente orti”, sabina per Ovidio (Fasti III, 95), “cum proavi, miles Peligne, Sabinius convenerit”, abitarono la piana di Sulmona  47. Le città più importanti dei Peligni furono Corfinium, Sulmo e Superaequum. Dalla valle peligna gli italici, lungo il fiume Gizio ed il piano delle Cinquemiglia, giungevano ad Aufidena (Castel di Sangro) e quindi la valle del fiume Sangro nel territorio Pentro  48. In direzione NE, lungo la valle del Sangro, e attraverso il territorio frentano, guadagnavano il mare Adriatico. Molto importanti ancora furono le valli del Tronto e del Velino, fungendo da raccordo tra la cultura picena e quella sabina 49. E’ proprio lungo queste valli che i Romani costruirono la via Salaria, col preciso intento di collegare i due mari, l’Adriatico ed il Tirreno. In questo periodo non possiamo certo parlare di una vera e propria rete stradale ma di direttive viarie, forse, a volte, semplici sentieri. Solitamente erano strade di mezza costa, piuttosto che di fondovalle, e questo per evitare che piogge intense o straripamenti di fiumi potessero renderle fangose se non addirittura impraticabili. Il fondo stradale era quello naturale, privo di qualsiasi intervento di manutenzione. Sicuramente esistevano ponti in legno per superare i fiumi, ma ritengo che spesso un semplice tronco d’albero, gettato tra le due sponde era sufficiente a guadagnare la riva opposta. (Fig. 6)

47 G: DEVOTO, Gli antichi, cit., p. 110;V: CIANFARANI, L. FRANCHI-DELL’ORTO, A. LA REGINA, cit., pp. 51-52; A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale. Le conseguenze della guerra annibalica nella vita romana, Torino, 1981, p. 119 n. 100. 48 Il fiume Sangro rappresentò il limite nord del territorio sannita (E. T. SALMON, Il Sannio e i Sanniti, Torino 1985, p. 26. 49 M. PALLOTTINO, Civiltà arcaica dei Sabini, cit., p. 7, fig. 1, (Catalogo); V. CIANFARANI, Civiltà, cit., p. 58.

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Fig. 6 - Popoli Italici in Abruzzo

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La viabilità romana E’ soprattutto con l’espandersi della civiltà di Roma antica che la viabilità assunse una rilevanza fondamentale, indissolubilmente legata alla grandezza dell’Imperium Romanum. La rete stradale romana rappresentò, innanzitutto un mezzo strategico militare, che ben si coniugò con la prammaticità tipica della cultura di Roma, finalizzata alla gestione delle conquiste e delle espansioni, assicurando una immediata superiorità politica, e conseguentemente una gestione economica, amministrativa, oltre che culturale, dei territori annessi 50. Ed è proprio lungo le strade romane che viaggiò la pax romana, garantendo per secoli, ai popoli conquistati, sicurezza, nel relativo rispetto delle proprie culture. In passato Von Hagen definì la rete stradale romana: «…uno dei più grandiosi complessi monumentali che l’uomo abbia mai lasciato di se stesso» 51. Dai primitivi tracciati, tortuosi, in terra battuta (viae terrenae) o inghiaiati (viae glareae), nel corso dei secoli, col trionfo dell’ingegneria romana, si passò alla realizzazione di strade tecnicamente perfette, costruite per durare nel tempo, all’insegna della: “firmitas, utilitas, vetustas” (Vitruvio, I, 2, 3), vanto della civiltà di Roma antica. Il sistema viario romano, esteso per non meno di 80. 000 miglia (120. 000 km circa) su tutto il mondo allora conosciuto, rese possibili e vitali i legami, attraverso i secoli, tra l’Urbe e le spesso diversissime culture sparse su tutto l’Impero Romano. A ben riflettere, non è il numero delle miglia che deve stupirci, bensì il livello tecnico di qualità raggiunto già da allora, il ritrovarne ancor oggi numerosissime tracce archeologiche, l’uso ancora in recente passato, e soprattutto l’assoluta mancanza di manutenzione se non addirittura il saccheggio di materiale. Era ben nota al politico l’importanza delle strade, e non era un caso che la loro costruzione spettasse al senato, curata da un magistrato, il quale aveva il 50 D. STERPOS, La strada romana i Italia, Roma 1970, p. 6 “Era di primaria necessità arrivare rapidamente ai confini dello Stato romano, dove coraggiose scolte di cittadini venivano mandate a presidiare le terre da poco conquistate, in città (spesso appositamente costruite) cui spettava il titolo di colonia”. 51 V. W. VON HAGEN, Le strade imperiali di Roma, Foligno 1978, p. 7.

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potere di espropriare terreni (ius publicandi) 52. La manutenzione delle strade, nonché la gestione delle infrastrutture (cura viarum), era affidata, invece, al prefetto del pretorio già in età imperiale. Ad ogni strada importante e rispettive diramazioni, quindi, veniva affidato un curatore (curator), al quale era demandata la stabilità delle opere, oltre naturalmente la manutenzione e l’eventuale restauro. Sempre il curator faceva rispettare le norme giuridiche riguardanti i regolamenti di circolazione.

Distinzione delle vie Le vie vennero distinte in tre categorie: publicae (dette anche praetoriae, o consulares), militares 53, strade di grande comunicazione, costruite e curate dallo Stato, vicinales 54 e privatae 55. Bisogna tener presente che la quasi totalità della rete stradale romana era rappresentata da viae publicae, in quanto costruite su pubblico suolo ad uso pubblico. In età repubblicana costruire viae publicae fu compito esclusivo dei consoli, mentre in età imperiale furono gli stessi imperatori ad assumersi questo onere. E’ solo più tardi che questo incarico fu demandato a commissari, i curatores viarum publicarum. Ai magistrati locali (magistratus municipales) era affidata invece la cura delle viae vicinales, strade che collegavano tra loro 52 Nel 20 a. C, Augusto istituì, rifacendosi probabilmente a più antica tradizione, un ufficio che gestiva le vie, la cura viarum. 53 SICULO FLACCO, De conditionibus agrorum, Gromat. I, 146, 2ss.: “nam sunt viae publicae quae publice maniuntur et auctorum nomina optinent”; ULPIANO, Dig. XLVIII, 8, 2, 21 “viae autem publicae solum publicum est, relictum ac directum certis finibus latitudinis ab eo, qui jus publicandi habuit ut ea publice iretur, commearetur”. Le vie militares raggiungono il mare, o città o qualche fiume pubblico: “Viae militares exitum ad mare, aut in urbes, aut in flumina publica, aut ad aliam viam militarem habent” (Ulpiano, Dig. XLIII, 7. 3. La larghezza minima di una via publica era stabilita da precise leggi e doveva consentire sempre l’incedere di due carri provenienti da direzioni opposte. 54 Ivi, cit., XLIII, 8, 2, 22, “Vicinales sunt viae quae in vicis sunt, vel quae in vicos ducunt”. 55 Ivi, cit., XLIII, 8, 2, 21ss. “ vel quae sunt in agris, quibus imposita est servitus ut ad agrum alterius ducant, vel hae, quae ad agros ducant, per quas omnibus permeare liceat”. Come per le viae publicae, la larghezza delle viae privatae era disciplinata da ben precise leggi (VARRO, LL. VII, 15; FESTO, 508, 22, ss L.).

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più vici. Le viae privatae, attraversando terreni di proprietà privata, non rientravano, chiaramente, nella giurisdizione pubblica.

Tecnica costruttiva delle strade romane Quantunque resti di strade romane siano presenti in gran parte dell’Europa, dell’Africa settentrionale e dell’Asia, in alcuni casi ancora in uso, parrà strano, ma solo parziali e frammentarie restano le fonti antiche sulla tecnica costruttiva 56. Il progetto di realizzazione di una strada, era affidato ad un ingegnere (architectus), il quale, avendo presente il punto di arrivo della futura strada e la necessità di raggiungerlo il più rapidamente ed agevolmente possibile, sceglieva il terreno più adatto allo scopo. Sgombrato il territorio dalla vegetazione e dalle asperità, veniva stabilito il tracciato di massima. Il geometra (agrimensor), per mezzo della groma o squadro,  57 calcolava le distanze tra i pali-infissi, mentre il guardiafili tendeva la corda (rigor) per l’allineamento, permettendo di mantenere la giusta direzione del tracciato. Un livellatore (librator), per mezzo di una livella (libra aquaria), infine, rilevava la planimetria e l’altimetria del terreno, lungo il quale si sarebbe in seguito sviluppata la strada, ma il compito più gravoso spettava senza dubbio al legionario, costretto al lavoro di manovalanza. Importantissima la natura del sottosuolo ai fini della solidità della strada, e sempre da questa dipendeva la scelta della tecnica costruttiva nella realizzazione dell’opera. Prestando fede a quanto tramandatoci da Stazio sulla tecnica impiegata per la costruzione di un tratto della via Appia prossimo a Sinuessa, quale testimone oculare apprendiamo: «Hic primus labor incohare sulcos et rescindere limites et alto egestu penitus cavare terras…» 58. La prima cosa da fare, quindi, era quella di tracciare con l’aratro due sol56 STAZIO, Silv., IV, 3, 40-45; PLINIO, N. H., XXXVI, 185 ss.; VITRUVIO, VIII, 1. 57 La groma (alidala), strumento usato dagli agrimensori, era costituita da una croce dalle braccia uguali, imperniata in orizzontale su di un’asta a punta (ferramentum) per poter essere infissa nel terreno, recante agli estremi quattro fili tenuti a piombo da piccoli pesi. Traguardando tra i fili era possibile tracciare sul terreno linee di confine (rigor) o assi ortogonali. 58 STAZIO, Silv. IV, 3, 40-43.

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chi paralleli, stabilendo cosÏ i limiti della carreggiata (agger viae). Successivamente venivano interrati nei solchi pietre poste in verticale (crepidines o margines) 59 per delimitare e contenere il lastricato. A questo punto iniziava lo scavo vero e proprio (fossa). Al fine di rimuovere la terra bisognava tagliare trasversalmente i solchi (rescindere limites) per il passaggio dei carri. (Fig. 7)

Fig. 7 - Sezione di strada romana La profonditĂ dello scavo era variabile, di solito non superava i due piedi, mentre su terreno roccioso era sufficiente livellare il suolo. Terminato lo scavo, secondo Vitruvio, si iniziava a disporre il materiale di riempimento, spesso reperibile in loco, a strati diversi. Il primo strato (statumen) era costituito da pietrame di taglia maggiore, a costituire la massicciata di base, poggiato sopra il fondo solido (gremium). Nel secondo (rudus o ruderatio) le pietre 59 Queste pietre, larghe due piedi, costituivano il marciapiede (CIL, V, 2116; IX, p. 442; XI, 3003, 25). Petronio nel Satyricon fa riferimento ad un crepido semitae (Sat. 9).

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erano più piccole, allettate con pozzolana mista a calcina perché cementasse, livellata con battipali (fistucatio). Il terzo (nucleus) era costituito da grossa ghiaia livellata con rulli di pietra (ingenti aequanda cylindro) (Virgilio, Georg. I, 178). Infine il pavimentum o summum dursum, era costituito da grossi basoli (silex), lisci nella parte superiore, cuneiformi inferiormente, perché potessero affondare meglio nello strato sottostante. Potevano essere impiegate anche lastre di foggia quadrata (saxum quadratum). I basoli erano, maestralmente preparati e collocati senza un benché minimo spazio tra loro e senza calce. Tutto ciò conferiva maggiore solidità alla struttura, infatti, secondo gli ingegneri romani, una strada non necessitava di riparazione per almeno un secolo dal momento della sua costruzione. La parte centrale della via era leggermente incurvata (media stratae eminentia coaggeratis lapidibus strata) 60, permettendo il deflusso delle acque piovane nelle zanelle (“speca proposita quod aqua de via abiret”) 61. Questa tecnica riguarda le viae silice stratae, cioè viae publicae, quali le grandi consolari, ma nella realtà non sono mai state trovate strade romane che rispecchiassero appieno i canoni descritti da Vitruvio. Una prova in tal senso l’abbiamo da una sezione trasversale venuta alla luce durante i lavori di scavo per la costruzione di un ponte sulla Schiazza, nella zona pontina, nel 1813, scavi diretti dall’ingegnere Scaccia. Dalla sezione si nota la mancanza della muratura in calce, lo statumen, il rudus ed il nucleus. Come detto precedentemente, le caratteristiche costruttive di una strada variavano in funzione della natura del terreno ed i Romani, noti per il loro senso pratico, ne hanno dato prova ancora sulla via Appia. Infatti, lungo questa antichissima via consolare, in prossimità delle paludi Pontine, la strada fu costruita su di un terrapieno di circa 6 piedi, onde evitare allagamenti. In quella circostanza furono infissi nel terreno acquitrinoso due file di grossi pali di quercia al posto delle crepidines 62, quindi la fossa fu riempita da grosse pietre allettate nel terreno melmoso. Sopra questo strato fu pigiata della ghiaia ed 60 ISODORO, Orig. XV, 16, 7. 61 CAT., frag. Inc. 9, p. 85 ed. Jordan. 62 Ai fianchi di questo terrapieno furono costruiti muri di contenimento in opera quadrata per dare maggiore solidità a tutta la struttura.

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infine fu posto in opera il pavimentum, costituito da pietre ottagonali di origine basaltica [“...ingenti plaga marmorata dorso...” (Stazio, IV, III, 96)]. Senza dubbio opera mirabile se dopo circa nove secoli Procopio provò ancora stupore e meraviglia alla vista della via 63. Caratteristica delle strade romane antiche era il tracciato, il più rettilineo possibile, e per questo, spesso, tagliavano i fianchi delle colline, costruivano sostruzioni, voltavano ponti, realizzavano gallerie nella roccia. Al fine di accorciare le distanze, non esitavano a costruire strade carrabili con pendenze fino al 13%, oggi certamente non proponibili. La larghezza delle carreggiate era molto variabile, dalle strade alpine che raramente superavano i 10 piedi (3 metri), fino a oltre i 20 piedi (6 metri). Ai margini della carreggiata vi erano i marciapiedi riservati ai pedoni detti crepidines (da crepida, ovvero sandalo) o semitae, larghi mediamente 10 piedi (3 m circa). Lungo i marciapiedi, a distanza di 3 o 4 metri venivano posti gomphi 64, pietre di forma tronco-conica con funzione di paracarri. Secondo alcuni autori avevano lo scopo di facilitare il salire e lo scendere da cavallo o dal carro, non essendo ancora nota la staffa 65. Da Varrone apprendiamo che ai margini delle strade venivano piantate siepi (“saepis secundum vias publicas solent et secundum amnes”) 66.

63 PROCOPIO, La guerra gotica, I, 14:” E’ tutta d’una pietra molare molto dura, che Appio fece tagliare in un altro paese molto lontano portandola là dove non c’è. Fece levigare e spianare le pietre, e tagliare gli spigoli netti, le fece connettere l’una all’altra senza porre nelle connessure né calce né altro. E le pietre sono così connesse e combaciano così bene, da dare l’idea di non essere adattate l’una a l’altra, ma di formare tra loro un tutt’uno; è trascorso tanto tempo, e là sopra sono passati tanti carri e ogni sorta d’animali ogni giorno, eppure non s’è punto alterata la compattezza, nessuna pietra s’è rotta o ammencita né ha perso nulla del suo splendore” (traduz. di F. M. Pontani). 64 STAZIO, Silv., IV, 3, 48. 65 La prima notizia riguardante la staffa risale al VII secolo, e precisamente in un trattato dell’imperatore di Oriente Flavius Mauricius Tiberius (539-602). Si rinvennero staffe di ferro forgiato e di bronzo in Ungheria in tombe di cavalieri Avari stanziatisi nella puszta a partire dal 568. 66 VARRO, R. R., I, 14, 3. Ora, come allora le siepi avevano il compito di proteggere la carreggiata dagli smottamenti di terra, dalle frane, dalla caduta dei massi e dalla violenza delle acque piovane.

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I ponti Il ponte rappresenta un necessario completamento della viabilità, permettendo, con il superamento di avvallamenti o di corsi d’acqua, la continuità della strada stessa, oltre, naturalmente, di accorciare le percorrenze. Gettare un ponte tra le sponde di un fiume di discreta portata, ha dato luogo, soprattutto in passato, ad una diversa organizzazione dello spazio circostante. Spesso in prossimità dei ponti convergevano più strade, sorgevano città, luoghi di culto, di incontro, di fiera e mercato. I Romani furono maestri nell’arte di progettare ponti e prova ne sia della loro capacità costruttiva, l’ampia traccia lasciata in tutto il territorio dell’Impero. I più antichi probabilmente erano costruiti in legno, utilizzando grossi tronchi diritti, infissi sul fondo del fiume, legati  67 a pali trasversali a sostegno del tavolame orizzontale, consentendo il transito tra le sponde. Successivamente in epoca repubblicana i ponti in legno furono sostituiti con quelli in pietra 68. Il primo ponte in pietra di Roma fu il Ponte Emilio, fatto cosrtuire dai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore nel 179 a.C. Poggiava su pilastri a sperone in travertino, mentre la parte superiore era costituita da una passerella in legno. Più tardi (142 a.C.) la passerella fu sostituita da archi in pietra, ad opera dei censori Lucio Mummio e Scipione Emiliano.

67 V. ANTONELLI, I ponti nell’antichità e il ponte del Diavolo a Manziana, da: Strade nel Lazio, Lunario Romano 1994, p. 19 “La costruzione di un ponte doveva assumere nell’antichità un significato e un’importanza paragonabile ad un rito magico e sacrale; si pensi alla carica “sacerdotale” del pontifex che etimologicamente ha significato di “costruttore di ponte” derivando da pons, pontis “ponte” e dal tema di facere “fare”, termine che nella Roma monarchica stava ad indicare appunto l’artefice del ponte, il suo difensore; anche la leggenda di Orazio Coclite, estremo difensore del ponte Subliceo, che per ragione religiose e rituali rimase almeno nella parte superiore sempre in legno legato e non inchiodato, sottolinea l’importanza e la sacralità di tali strutture”. 68 Tra i più antichi di cui siamo a conoscenza, la pietra di Polla (132 a.C.) “in ea via ponteis omneis “(CIL I, p. 638), l’epigrafe di epoca sillana della Porta Collina “(a)d mil(iarum) XXXV pontem in fluio”, della quale si parlerà più avanti.

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I mezzi di trasporto Le scarse fonti scritte sui mezzi di trasporto in uso presso i Romani, quantunque integrate in parte, da rilievi, monete, pitture, non permettono di ricostruire un chiaro quadro d’insieme. Anche se lungo le strade romane, il viator si spostava spesso a piedi o sul dorso di un mulo o su altra bestia da soma, non pochi erano i mezzi a disposizione sia per i trasporti che per i viaggi. Spesso nei pressi delle porte delle città erano presenti compagnie per il noleggio di mezzi (vehicula meritoria), forniti di cavalli o buoi. Per piccoli viaggi era consigliabile il cisium, carro leggero a due ruote, veloce, simile ad un carrozzino a due posti, trainato da due cavalli. Sempre per piccoli spostamenti, si utilizzava il covinus o covinnus, veloce, a due ruote, biposto, ma anche la birota ed il currus, specie di biga guidata stando in piedi. Per viaggi più lunghi era in uso la raeda, munita di quattro ruote, dalla forma di vasca da bagno, con quattro posti a sedere. Ideale per viaggiare con la famiglia e con i bagagli, era trainata da buoi o da muli. In versione più comoda, riservata alle signore, era detta carruca, sempre a quattro ruote ma con ornamenti e fregi. Permetteva una velocità media di 5 miglia orarie (7,5 km). Infine vi era il petorrito (petorritum), carro pesante a quattro ruote per il trasporto di persone, con possiblità di dormire. Esistevano poi carri da lavoro, come il plaustrum, carro agricolo pesante, a due ruote, trainato da buoi, con la cassa chiusa e capiente, usato ancor oggi, con qualche piccola modifica. Ed ancora il currus, sempre mezzo agricolo da trasporto, ma più piccolo del precedente, simile alla nostra carrretta. Per le solennità si faceva uso del carpentum, veicolo a due ruote, trainato da muli o piccoli cavalli (pony), ed impiegato normalmente nelle cerimonie da sacerdoti. Se ornato invece con copertura di seta e fregi a rilievo o intarsio, poteva trasportare personaggi illustri o addirittura l’imperatore. Molto facilmente manovrabile, insieme al monacus, anch’esso a due ruote, era usatissimo dalle donne. Sempre da cerimonia era la tensa, veicolo a 2 o 4 ruote, impiegata esclusivamente per usi religiosi. Veniva utilizzata per il trasporto delle reliquie (exuviae), simboli di divinità o immagini di imperatori divinizzati. Le pareti della cassa erano fregiate con elelmenti simbolici o figurati. Per la posta (cursus publicus), veniva impiegata la raeda, oppure il currus, carrozza leggera a due ruote. Nel campo militare si faceva uso del carrus clubularius, grosso

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carro scoperto a quattro ruote con cerchiarura in ferro, usato per il trasporto dei soldati. Relativamente lento, non superava mai le otto miglia orarie. Sempre per usi militari presso i Galli e Belgi, più tardi tra i gladiatori nei giochi circensi, l’essedum, carro a due ruote guidato da un cocchiere. Per il trasporto dei malati era in uso una carrozza coperta detta arcera.

Miliaria Lungo i margini delle viae publicae, leggermente discosti dal corpo stradale, erano istallati i miliarii o miliaria 69, cippi in pietra, posti ad intervalli di un miglio (milia passum cioè 1478, 5 m) l’uno dall’altro. In origine i miliari erano di fattezza irregolare, mentre in seguito venne data loro la forma cilindrica, dalle misure variabili sia in altezza (1,80-2,80 m), che nel diametro (0,60-0,90 m), mentre la base, a forma di cubo, veniva interrata. Il numerale era posto alla fine dell’iscrizione, ad eccezione delle nerviane, e con un modulo maggiore per facilitarne la lettura. Bisogna, inoltre, tener presente che mancando lo zero nella numerazione romana  70, la prima pietra miliaria di una via era posta all’inizio della strada. A titolo di esempio, quindi, il miliario n° 1 della via Salaria era posto in corrispondenza della Porta Salaria 71. Da Plutarco sappiamo che le strade fatte costruire dal tribuno Caio Gracco nel 123 a.C., erano provviste di pietre miliari 72, abbiamo però notizia di miliari ancor più antichi (III a.C.), ad esempio quello di Posta di Mesa, riconducibile ad Appio Claudio, lungo la Via Appia 73. Le iscrizioni miliari sono d’importanza fondamentale, quali fonti d’informazioni, permettendoci di risalire al magistrato, nonché all’imperatore che aveva fatto costruire o restaurare la 69 Thes. Ling. Lat., coll. 946; K. SCHNEIDER, in RE, VI suppl., coll. 395 ss. 70 Lo zero fu usato per la prima volta intorno al 500 d.C. da matematici indiani, mentre intorno all’VIII secolo d.C. si diffuse tra i paesi arabi. Solo più tardi, lo zero fu introdotto in Italia ad opera del grande matematico pisano, Leonardo Fibonacci, noto anche come Leonardo Pisano, autore del Liber abbaci del 1202. 71 G. RADKE, cit., pp. 70-71. 72 PLUT., C. Gracch., 7. 73 CIL, I (due), 21; G. RADKE, Viae publicae romanae, Bologna 1981, p. 64; D. STERPOS, La strada romana in Italia, Roma 1970, p. 105.

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strada, indicandocene il nome, il percorso e spesso la lunghezza. E’ intorno al 20 a.C. che Augusto, dopo aver assunto la cura viarum delle strade prossime a Roma, fece porre nel foro di Roma il miliarium aureum, colonna sulla quale erano riportate, con scritte di bronzo dorato, le distanze tra le più importanti città dell’Impero e Roma. Le distanze, in verità, furono successivamente sempre misurate dalle mura serviane e non dal miliarum aureum. Quest’ultimo era collocato all’ombra del tempio di Saturno in prossimità dei Rostri, cioè nel punto di incontro del vicus Iugarius, della via Sacra e del clivus Argentarius 74. E’ intorno al III secolo dopo Cristo che i miliari iniziarono a perdere la loro funzione primaria divenendo sempre più strumento di propaganda politica.

Cursus publicus Lungo le viae publicae romanae, oltre ai viandanti, agli eserciti ed alle merci, viaggiavano dispacci, informazioni, funzionari, messaggeri, per conto dello Stato, cioè il servizio postale (cursus publicus) 75, riservato esclusivamente all’amministrazione pubblica. Di fondamentale importanza per Roma era la necessità di tenere sempre sotto costante controllo ogni singola realtà di quell’ immenso crogiolo di culture di cui era costituito l’impero. Fin verso la fine della Repubblica, tutti i dispacci ufficiali furono recapitati da messi a piedi 76. 74 PLUT., Galba, 24; SUET., Oth., 6, 2; TAC., Hist., 1, 27; R. LANCIANI, Forma urbis romae, Roma 1990, tav. 29. 75 O. SEEK, Cursus publicus, in RE, coll. 1846-1851; S. BELLINO, s. v. Cursus publicus, Diz. Ep. II, 2, 1404-1425; M. LABROUSSE, Le “burgarii”et le “cursus publicus”, in MEFRA, LVI, 1939, pp. 151 ss.; CH. DAREMBERG-EDM. SAGLIO, Dictionnaire des antiquitates grecques et romaines, Graz 1962, I, 2, s. v. Cursus publicus, 1645 ss. “ On peut dèfinir le cursus publicus, chez les Romains, un service public destinè en principe au trasport des personnes et des objets appartenant a l’E’tat”; D. STERPOS, La strada romana, cit., p. 6; G. PISANI SARTORIO, Mezzi di trasporto e traffico, in Vita e costumi Romani antichi, 6, Roma 1988, pp. 23-25; L. QUILICI, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio, in Vita e costumi dei Romani antichi, 12 1990, pp. 92-94; A. M. RANIERI, I servizi pubblici, in Vita e costumi dei Romani antichi, n. 19, 1996, pp. 99-106. 76 Secondo la tradizione, le basi per la primitiva istituzione del cursus publicus, furono gettate

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Con Cesare 77 prese forma un’organizzazione di messaggeri a cavallo (equites dispositi), avente lo scopo di far giungere rapidamente a Roma le notizie delle sue vittorie. Soltanto con Augusto, però, tale organizzazione assunse i connotati di un vero servizio postale. Con l’impiego di messaggeri a cavallo (iuvenes), egli riusciva ad ottenere sempre notizie nuove da ogni singola provincia 78. Solo più tardi furono utilizzati anche carri trainati da cavalli, muli o somari, per il trasporto dei passeggeri (Cursus velox o celer), mentre i buoi trainavano carri con merci pesanti (Cursus cablarius o tardus). Tutto ciò portò alla creazione di una fitta rete di stazioni di sosta, perfettamente organizzate per il cambio di cavalli (mutationes) 79, disposte lungo le viae publicae. Per la notte erano state create stazioni di sosta meglio organizzate (mansiones)  80, dei veri e propri alberghi. Altro punto di riferimento lungo le strade per la raccolta e lo smistamento di dispacci e lettere era detto stathmus. In seguito queste stazioni di sosta assunsero il nome di posta. La direzione del cursus era affidata al praefectus praetorio 81, mentre il praefectus vehiculorum 82, era incaricato di tenere sotto controllo sia l’esercizio, sia le strutture. dal console L. Postumius Albinus nel 170 a.C. (G. MORONI, Dizionario di erudizione storicoecclesiastica, vol. LIV, pp. 297 ss.). 77 CAES: B. C. III, 101. Ad onor del vero Giulio Cesare imitò quanto era già in uso da tempo nell’Egitto tolemaico, cioè l’impiego di messaggeri a cavallo o su dromedario per il trasporto della posta, con cambi continui sia di corrieri che di cavalcatura. Il sistema risultò essere molto rapido, quindi di grande utilità. 78 SVET. Aug. XLIX.: “Poiché poi si potesse più facilmente e con più rapidità comunicargli e fergli conoscere ciò che avveniva in ogni provincia, collocò lungo le strade militari, prima delle giovani staffette a brevi intervalli, poi dei veicoli. La seconda soluzione gli parve più pratica, perché così, in caso di bisogno, poteva interrogare di persona colui che aveva portato il messaggio dal luogo di partenza” (Trad. Edoardo NOSEDA). 79 SUET., Aug., XLVII; PROCOPIO, Anectod. 30; COD. THEOD. VIII, 5, 34, 36, 53, 58, De cursu pub.; AMM. MARC: XXI, 9, 4; COD. IUST. XII, 51, 15. 80 SUET. Tit., 10;AMM. MARC. R. g., XVI, 12, 70; COD: THEOD: VII, 10, 1; VIII, 5, 23-24, 35; PLIN., NH, VI, 102; XII, 52. 81 Il Praefectus praetorio, figura istituita da Adriano, comandante della guardia imperiale, alter ego dell’imperatore, sia nel campo amministrativo che militare, mantenne questa importanza fin in età costantiniana. Ridimenzionato da quest’ultimo a funzionario con ridotte competenze territoriali, non rivestì più cariche di rilievo in campo militare. 82 CIL, III 4802, 6075; V 5797; CH. DAREMBERG-EDM. SAGLIO, cit., 1651.

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Responsabile delle mutationes era il manceps 83. Per le mansiones, invece, era il praepositus, il quale coordinava le attività degli iumentarii (cavallari) e degli iunctores (postiglioni). Le mansiones sorgevano presso grossi centri commerciali o presso incroci stradali importanti e la distanza tra una mansio e l’altra, era di circa una settantina di chilometri, tale, infatti, era la percorrenza media giornaliera del cursus publicus 84. I tabellarii erano gli addetti al servizio 85, insieme agli speculatores, ai quali, però, erano affidati dispacci che rivestivano carattere d’urgenza. In epoca costantiniana vennero impiegati cavalli che trasportavano valigie (equi sagmari), mentre quelli da sella erano detti equi veredari. Lungo le strade erano anche presenti strutture pubbliche dove i viaggiatori potevano rifocillarsi, le tabernae  86. Erano dette anche cauponae, squallidi punti di ristoro, numerose lungo le più importanti strade, e dislocate spesso presso gli incroci o in prossimità di pietre miliarie. Sappiamo per certo che non godevano di buona fama. Sempre lungo le strade erano i thermopolia, per lo spaccio di bibite calde, mentre negli stabula, spesso frequentati da meretrici, trovavano alloggio individui di misere condizioni 87. Alla caduta dell’impero d’Occidente, il cursus publicus conservò la sua struttura che mantenne fino al tempo di Teodorico 88.

83 COD. THEOD. 5, 65. 84 SYMM. Ep., VII, 32; HIERONYM. In Psalm 118; CH. DAREMBERG-EDM SAGLIO, cit., 1665; S. CROGIEZ, Les stations du “cursus publicus” en Calabre: un ètat de la recherche, in MEFRA 102, 1 1990, pp. 389-431; A. MEZZOLANI, Appunti sulle mansiones in base ai dati archeologici, in Strade romane. Percorsi e infrastrutture, Roma 1992, pp. 105-114 (105). Strutturalmente le mansiones erano organizzate in cubicula per il pernottamento del viator, ristoro (tabernae, thermopolia, couponae) e stabula per lo stallaggio. A volte una mansio, proprio per la sua struttura e per la sua organizzazione, poteva ingrandirsi e divenire una città come ad esempio Carsulae attraversata dalla via Flaminia. 85 CIC., Phil. II, 31; Att., XII, 1; PLIN. Epist., X, 64. 86 VARRO, De re rustica, I, 2, 23. 87 CIC. Phil. 2, 69. 88 CH. DAREMBERG-EDM. SAGLIO, cit., 1650 “Malgré la chute de l’empire d’Occident en 476, le cursus publicus se maintint sous le règne d’Odoacre et surtout de Thèodoric, roi des Ostrogoths en 493”.

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Itineraria Non meno importanti dei milliari, erano le guide stradali dette itineraria, strumenti fondamentali per chi volesse viaggiare lungo le strade dell’impero romano, sulle quali erano riportate le distanze tra i vari centri dislocati lungo le strade, i punti di sosta, gli incroci, le saline, gli horrea, le terme, ecc. Famosa l’esortazione di Vegezio rivolta agli ufficiali militari: «Primum itineraria omnium regionum, in quibus bellum geritur plenissime debet habere perscripta: ita ut locorum intervalla non solum passuum numero, sed etiam viarum qualitate perdiscat; compendia, diverticula, montes, flumina ad fidem descripta consideret usque eo, ut sollertiores duces, itineraria provinciarum, in quibus necessitas geritur, non tantum adnotata, sed etiam picta habuisse firmentur, ut non solum consilio mentis, verum adspectu oculorum viam profecturis eligerent» (Inst. Mil. III, 6). Tra i vari tipi di itineraria ne distinguiamo, quindi, almeno due fondamentali: gli itineraria adnotata, sui quali vengono riportate le distanze tra le località e gli elenchi delle strade, e gli itineraria picta, vere e proprie carte geografiche. Fra gli itineraria adnotata, è senza dubbio molto importante l’Itinerarium Antonini Augusti 89, riconducibile dai più, agli inizi del III secolo d.C. (211-217 d.C.), cioè ai tempi dell’imperatore Caracalla. Se ne possiedono diversi codici, tra i quali il più datato risale al VII secolo d.C. Questo itinerario riporta le distanze espresse in miglia tra i vari punti di sosta dislocati lungo le strade dell’impero romano. L’Itinerarium a Gades Romam, inciso su quattro bicchieri d’argento a foggia di miliario, descrive il percorso tra Cadige e Roma, riportando le strade e le città lungo il tragitto. Si rinvenne nel XIX secolo a Vicarello l’antico Vicus Aurelii, sul lago di Bracciano, nel sito delle antiche terme romane dedicate al dio Apollo, note col nome di Aquae Apollinares novae o Aquae Aurelianae 89 O. CUNTZ, Itineraria Romana. Itinerarium Antonini et Burdingalense I Lipzig 1929, pp. 1-85. Altre edizioni dell’Itin. Anton.: G. PARTHEY-M. PINDER, Itinerarium Antonini Augusti et Hierosolymitanum, Berlin 1840; P. LAPIE, Rècueil des itinéraires ancies comprenant l’Itinéraire d’Antonin, la Table de Peutinger et un choix des périples grecs, Paris 1844; W. KUBITSCHEK, in “RE”, IX, 2, (1916), coll. 2308, s. v. Itinerarien; R. CHEVALLIER, Roman Roads, Berkley-Los Angeles, 1976, 34; G: RADKE, Viae publicae, cit., p. 74; G. ARENA, Cartografia e territorio nei secoli, Urbino 1986, p. 38.

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secondo altri. I reperti sono stati datati tra il II-III secolo d.C. 90 L’Itinerarium Burdingalese o Hierosolymitanum, è una vera e propria guida che descrive il percorso per raggiungere Gerusalemme in Terra Santa, effettuato nell’anno 333 d.C. da un pellegrino partito da Bordeaux. Tra gli itineraria picta la più famosa è la Tabula Peutingeriana, (in seguito T. P.), nota anche come Codex Winderbonensis 324. (Fig. 8) Copia medievale (XII-XIII sec., come confermato dalle didascalie scritte a caratteri gotici) in pergamena, 91 di una rappresentazione cartografica a colori 92 dell’intero ecumene dell’Impero Romano, in dodici sezioni, dalle Colonne d’Ercole, ai territori della Russia odierna, raffigurante in forma simbolica riferimenti geografici. Disgraziatamente la parte più occidentale riguardante l’Africa del Nord, Spagna e parte della Britannia risulta mancante. Presenta l’Oriente rivolto in alto, secondo le cognizioni geografiche antiche, mentre l’asse nord-sud, riprodotto in maniera volutamente allungata, per motivi di praticità, permettava di arrotorla ed inserirla in apposita custodia, al riparo delle intemperie, facile da trasportare e sempre pronta per la consultazione, consentendo, uno aspectu, di avere un quadro completo della viabilità. Su di essa sono stati schematicamente riportati mari, catene montuose, fiumi, porti, centri importanti, coloniae, termae, horrea, praetoria, templa, ed aquae (cisterne). Ipotizzabile, quale punto di partenza per la realizzazione della Tavola Peutingeriana l’Orbis pictus, voluta da Agrippa e posta in età augustea sulla collina della Velia, nel tempio della Tellus mater. Secondo alcuni autori, la Tabula Peutingeriana è riconducibile al III d.C., 93 mentre altri la collocano al

90 CIL, XI, 3281, 3282, 3283, 3284. 91 Originariamente superava i 7 metri di lunghezza, contro gli attuali 6, 752 m, mentre l’altezza è di circa 0, 34 m. Per motivi di praticità si ritenne utile nel 1863 dividerla in 11 segmenti di circa 60cm ognuno. Secondo Dilke la Tabula Peutingeriana “può essere la mappa mundi, che il monaco di Colmar dice di aver disegnato in 12 pelli di pergamena nel 1265”, (O. A. W. DILKE, Gli agrimensori di Roma antica, Bologna 1979, p. 53). 92 I territori sono di colore giallo, i rilievi sono di colori diversi: rosa, rossiccio, grigio, giallo, i mari ed i fiumi di color verde scuro, ed infine le distanze tra le varie località o tra i bivi di colore rosso. 93 C. VOLLGRAFF, Il limes romano nei Paesi Bassi, Roma 1938, pp. 16ss.; G. ARENA, cit., p. 38.

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Fig. 8 - Tabula Peutingeriana


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IV 94 o a cavallo tra il IV e V secolo d.C. 95. La Tabula si rinvenne presso la biblioteca dell’antica abbazia benedettina di Tegernsee (VIII secolo), in Baviera, nel 1494. Fu acquistata nell’anno 1507 a Worms, da Konrad Meissel (Celtes Protucius 1459-1508), umanista, bibliotecario imperiale, che più tardi donò a Konrad Peutinger, suo amico, antiquario, nonché cancelliere d’Augusta, affinché la pubblicasse. Questi, dopo aver chiesto ed ottenuto dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, la facoltà di dare alla Tabula il proprio nome, la fece stampare a Venezia nel 1591, da Markus Welser (1558-1614) di Augusta, suo concittadino. Quest’ultimo fece dono di una copia al geografo e cartografo di Anversa, Ortelio Abramo (Abraham Ortelius), che nel 1598 la diede alle stampe. Fu in seguito riprodotta nel 1654 a Baden dopodiché dell’originale non si seppe più nulla fino al 1714. Fu ancora data alle stampe nel 1728 da Bergier 96, e dieci anni più tardi la Tabula fu acquistata dal principe Eugenio di Savoia. Nuovamente posta in stampa a Vienna nel 1753 dallo Scheyb 97, prima di entrare in possesso di Carlo IV d’Austria ed essere custodita presso la Biblioteca della Corte di Vienna (Hofbibliothek), dove ancor oggi è presente, conservando il medesimo nome. Seguirono altre edizioni a Iesi nel 1809 (Christianopulos) 98, a Lipsia nel 1824 (Mannert), a Parigi nel 1869 (Des Jardins) 99, a Ravensburg nel 1888 da Otto Maier  100 e via via fino ai giorni nostri 101 94 K. MILLER, Itineraria Romana, Stuttgart 1916, XXIX ss; R. CAPPELLI, F. PESANDO, Itinerari romani. Repertorio bibliografico, in:Viae publicae romanae, AA. VV., Roma 1991, p. 44; G. CASELLI, Guida, cit., p. 23. 95 A. e M. LEVI, Itineraria Picta. Contributo allo studio della Tabula Peutingeriana, Roma 1967, p. 172; L. BOSIO, L’Istria nella descrizione della Tabula Peutingeriana, Tieste 1974, p. 93. 96 N. BERGIER, Tabula Peutingeriana, 1728. 97 G. C. SCHEYB, Peutingeriana Tabula Itineraria, Vienna 1753. 98 P. CHRISTIANOPULOS, Tabula itineraria militaris, Iesi 1809. 99 E. DES JARDINS, La Table de Pituinger d’apres d’original, Paris 1869-1874. 100 L’edizione fu pubblicata con il titolo “Weltkarte des Castorius genannt die Peutinger’sche Tafel in den Farben des originals herausgegeben und eingeleitet von Dr. Konrad Miller”. 101 E. ALBERTINI, Notes sur l’Itineraire d’Antonin e la Table de Peutinger, (MAHEF) 1907; K. MILLER, Itineraria Romana, cit.; O. CUNTZ, in “Hermes”, XXIX, 586ss; W. KUBITSCHEK, in “RE”, IX, 2, (1916), coll. 2308, s. v. Itinerarien; A. e M. LEVI, Itineraria

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Da sempre è stata considerata alla stregua di un moderno stradario, una guida riguardante, le singole viae romanae, sulla quale sono riportate le distanze in miglia fra le infrastrutture lungo esse dislocate 102. Lungamente si è discusso sul significato da attribuire alle 555 ‘vignette’ disegnate su di essa, mentre in ogni singolo toponimo si è voluto ravvisare un punto di sosta (mutatio). Questa chiave di lettura ha creato inevitabilmente una serie di problematiche a quanti si siano cimentati con la viabilità antica. Spesso, infatti, le distanze fra i centri abitati riportate dalla T. P., non collimano affatto, o solo grossolanamente, con la realtà. A volte sono omessi grossi centri, mentre s’indicano incroci o biforcazioni che prendevano nome dalle località o dal centro abitato più prossimo. Per un corretto approccio alla T. P. ritengo sia necessario analizzare lo stato della rete viaria tra l’età antica ed il medioevo. Pur non potendo attingere da fonti storiche, né cartografiche, su tale periodo, ritengo sia possibile tracciare un quadro d’insieme sulla viabilità antica. Limitatamente all’Abruzzo, bisogna tenere presente che notizie su restauri di strade romane riportate dai miliari nel nostro territorio, a noi cronologicamente più vicine (IV secolo), risalgono agli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano. Trattando dei milliari delle Regio IV e V giustamente Donati rileva che: «Nel IV secolo si assiste ad un vero e proprio cambiamento, non tanto nella forma dei milliari, quanto nel testo iscritto: tende a scomparire l’indicazione numerica, il nome dell’imperatore passa dal caso nominativo al dativo. Entrambi questi elementi sono la prova di una diversa funzione che è ora attribuita al monumento, che perde il suo ruolo primario d’indicatore stradale per assumere quello prevalente di strumento di propaganda politica» 103. E’ evidente, quindi, che la strada non rappresenta più il veicolo della cultura di Roma nell’impero, avendo perduto gran parte della sua importanza, conseguentemente alla disgregazione dell’autorità dello Stato romano centralizzaPicta, cit. Roma 1967; E. WEBER, Tabula Peutingeriana, Codex Winderbonensis, 324, Graz 1976, pp. 22-33; L. BOSIO, La Tabula Peutingeriana. Una descrizione pittorica del mondo antico, Rimini 1983. 102 Nel territorio persiano le distanze erano espresse in parasanghe, mentre in Gallia in leugae. 103 A. DONATI, I milliari delle regioni IV e V dell’Italia, in: Epigraphica, 36, (1974), p. 162.

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to, al grave calo demografico 104, della produzione, dell’intera vita economica e dei commerci. Da qui nasce il sospetto che forse questi restauri siano stati oltremodo raffazzonati se non addirittura inesistenti. In una lettera del 535, Cassiodoro c’informa sullo stato disastrato della Via Flaminia: «La Flaminia è solcata da ruscelli che l’attraversano; congiungete le opposte rive rimaste disgiunte per le abbondanti cadute di ponti; disboscate dalle alte selve i margini delle piazze» 105. Successivamente le invasioni barbariche non credo abbiano contribuito a migliorare l’assetto viario. Per certo nel periodo longobardo non si hanno notizie di costruzioni di grandi strade, inoltre la manutenzione, data l’elevata spesa dei lavori, sarà stata pressoché assente. Proviamo ora per un istante ad immaginare il quadro del paesaggio che si presentava a coloro che nel secolo XI o XII, si accingevano a dipingere la Tabula Peutingeriana. Avendo davanti i vecchi itinerari di riferimento, notevolmente diversa era la realtà. Molte città romane, lambite o attraversate un tempo da strade consolari, erano ridotte a ruderi oppure abbandonate o ricostruite lontano dalle direttrici viarie. Le terre lungamente abbandonate (le così dette ‘terre nere’), resero ancora più squallido il paesaggio. Le opere di canalizzazione romane che mirabilmente regolavano i reflussi delle acque, non più curate, portarono inevitabilmente, ad impaludamenti, rendendo così poco praticabili tratti di strada. Spesso il crollo di un ponte o il cedimento di una sostruzione, costringeva a lunghe deviazioni. Beninteso, anche se abban104 Da una lettera di S. Ambrogio scritta intorno all’anno 387, apprendiamo di città deserte, di terre incolte degli Appennini. Non meno triste il quadro datoci da Gelasio I (492-496), sull’ Emilia, la Tuscia ed altre regioni ormai quasi prive di esseri viventi (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, vol. XXXV, pars II, 457. Allo stesso modo Papa Pelagio I: “Italiae praedia ita desolata sint ut ad recuperationem eorum nemo sufficiat”:Regestum Pontificum romanorum, a cura di P. JAFFÈ e altri, 1885, p. 943. Dalla vita di S. Germano di Autun (496576), vescovo di Parigi, apprendiamo che nel suo viaggio verso l’Italia, attraversando le Alpi, si accompagna: “artificibus ex opere necessario domum redentibus. Qui dum gravati iniustis fascibus iuga montibus inserta conscendunt, torrente obvio tenebantur, qui in illis praeruptis praecipitiis neque animalia, neque hominum vestigia haerere patiuntur” (M. G. H. ss. rr. Merov., VII, 274). Ancora sulla penuria hominum, Gregorio Magno:” Nelle campagne non si scorge anima viva e ben pochi sono coloro che vivono in città “ (PL, LXXVI, 1009-10). 105 CASSIODORO, Variae, XII, n. 18.

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donate a se stesse, le vie consolari non persero mai la loro funzione di grandi direttrici viarie. Forse non sempre percorribili per tutta la loro lunghezza con carri, ma sicuramente a piedi o a cavallo o con animali da soma. Le pietre miliarie spesso erano sottratte alle strade e reimpiegate in nuove costruzioni 106, mentre le restanti, a volte prive di numerale, non risultavano certo essere di grande aiuto al viator. Gli unici elementi di riferimento di una certa affidabilità legati alla rete stradale romana, dovevano, quindi, essere stati, oltre i centri abitati, gli incroci e le biforcazioni e non necessariamente mutationes o mansiones, mentre la T. P. ne riportava le distanze fra loro. Giunti ad un bivio, probabilmente, avremmo trovato, come del resto accade ancor oggi, un segnale stradale di direzione con l’indicazione della località e della distanza in miglia. Soltanto così potevano risultare di qualche utilità a coloro che viaggiavano entro i confini dell’impero di Roma. Come vedremo in seguito, alla luce di questa nuova lettura della T. P., limitatamente al territorio abruzzese, verranno chiariti alcuni aspetti della viabilità antica.

Viabilità romana in Abruzzo All’inizio della guerra latina (340 a.C.), Roma era alleata coi Sanniti. L’esercito romano non potendo pervenire in territorio campano per ricongiungersi con quello sannita, né attraverso la via Latina, per impedimento di Tuscolo, né lungo la costa tirrenica, bloccata dai Circei, si spinse attraverso il territorio dei Marsi e dei Peligni 107. Probabilmente le legioni romane seguirono la direttiva lungo la quale sarebbe stata costruita la via Valeria, superarono il lago del Fucino e nel territorio peligno, per Sulmo, Aufidena ed Aesernia, raggiunsero Capua. Con l’espandersi dei territori romani e di quelli sanniti, crebbe inevitabil106 Teniamo presente che le pietre miliarie rinvenute in Abruzzo, circa una trentina, rappresentano, secondo un mio calcolo approssimativo, solo il 3% di quelle collocate lungo le strade dai viocuri. 107 Livio, VIII, 6, 8, “ Consulesque duobus scriptis exercitibus per Marsos Paelignosque profecti adiuncto Sanmitium exercitu ad Capuam, quo iam Latini sociique convenerant, castra locant”.

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mente la tensione tra questi due popoli. Roma non vedeva di buon occhio la spinta sannita verso il nord e se i Marsi ed i Peligni non erano apertamente ostili, sicuramente lo erano i Vestini, alleati dei Sanniti 108. Una possibile intesa con gli Umbri e gli Etruschi, avrebbe permesso ai Sanniti un accerchiamento, minacciando la mira espansionistica di Roma. D’altro canto i timori dei Sanniti erano sovrapponibili a quelli dei Romani e ciò fece comprendere ad entrambi l’importanza strategica dell’Italia centrale. L’intervento romano in Apulia (326) segnò l’inizio della seconda guerra sannitica 109. Nell’anno 325 i Romani inviarono contro i Vestini il console D. Giunio Bruto 110, col preciso compito di creare un varco verso il mare Adriatico e nello stesso tempo ostacolare la possibile espansione verso nord dei Sanniti. Successivamente (319317) sconfissero i Marrucini, si spinsero nel territorio frentano e guidati dal console Papirio Cursore, lungo la costa raggiunsero Arpi 111. Alla fine della II guerra sannitica (304 a.C.), i lavori per la costruzione della via Valeria erano stati avviati e soltanto con la definitiva sconfitta degli Equi (303), furono ultimati 112. La conquista di nuovi territori fu consolidata dalla fondazione di due nuove colonie: Alba Fucens (303a.C.), ostacolata invano dagli Equi 113, e Car108 Ivi, VIII, 29, 1:”Eodem anno cum satis per se ipsum Samnitium bellum et defectio repens Lucanorum auctoresque defectionis Tarentini sollecitos haberent patres, accessit ut et Vestinus populus Samnitibus sese coniungeret”. 109 Ivi, VIII, 40, 1: “Hoc bellum a consulibus bellatum quidam auctores sunt eosque de Samnitibus triumphasse;Fabium etiam in Apuliam processisse atque inde magnas praedas egisse”; M. SORDI, Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C., Rocca di S. Casciano, 1969, p. 43; E. T. SALMON, Il Sannio, cit., p. 233. 110 Livio, VIII, 29, 11-13:”Ab altero consule in Vestinis multiplex bellum nec usquam vario eventu gestum est. Nam et pervastavit agros et populando atque urendo tecta ostium sataque in aciem invitos extraxit; et in proelio uno accidit Vestinorum res, haudquaquam tamen incruento milite suo, ut non in castra solum refugerent hostes sed iam ne vallo quidam ac fossis freti dilaberentur in oppida, situ urbium moenibusque se defensuri”. 111 Ivi, IX, 13, 6: “Exercitus alter cum Papirio consule locis maritimis pervenerat Arpos per omnia pacata Samnitium magis iniuris et odio quam beneficio ullo populi Romani”. 112 Ivi, IX, 45, 5 “Ad Aequos inde, veteres hostes, ceterum per multos annos sub specie infidae pacis quietos, versa arma Romana, quod incolumi Hernico nomine missitaverant simul cum iis Sanniti auxilia et post Hernicos subactos universa prope gens sine dissimulatione consilii publici ad hostes desciverat”. 113 Ivi, X, 1, 7: “ M. Livio Dentre<M. > Aemilio consulibus redintegratum Aequicum bellum”.

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sioli (298 a.C.), entrambe lungo la via Valeria 114. Sul fronte sabino, nell’anno 293, fu conquistata la città di Amiternum 115 dal console Spurio Carvilio Massimo. La successiva campagna del console M. Curio Dentato (290 a.C.) portò alla definitiva conquista del territorio sabino e di quello pretuzio, estendendo il territorio romano fino all’Adriatico, con la creazione delle colonie di Hatria (289 a.C.) e di Castrum Novum, tra il 289 e il 283 a.C.  116. Questa conquista permise di poter più facilmente raggiungere la costa adriatica e nel contempo tenere sotto controllo possibili espansioni galliche. La via di penetrazione seguita dal console M. Curio Dentato dal territorio sabino fino a quello pretuzio, potremmo ravvisarla in quella che Persichetti chiamò via Caecilia 117. Questa strada dalla Sabina, passando per Amiterno permetteva di raggiungere Interamnia Praetuttianorum (Teramo), la costa adriatica in prossimità di Castrum Novum e di Hatria. Secondo Firpo, il console M. Curio Dentato: «…mosse poi alla conquista della Sabina settentrionale seguendo con ogni verosimiglianza il corso del fiume Avans (Velino), lungo quello che sarebbe poi stato il percorso della via Salaria, ed entrando in territorio piceno alle sorgenti del Tronto, fra i monti Sibillini e i Monti della Laga, passando a sud d’Ascoli e seguendo poi il corso del Salinello fino al mare, poco a Nord del luogo in cui, in seguito, sarebbe stata fondata Castrum Novum» 118. Senza dubbio questa ipotesi è da considerarsi valida, e forse la più attendibile, ma non possiamo escludere che una parte dell’esercito romano, dopo aver conquistato la città di Amiterno, attraverso la Via Caecilia, non abbia 114 Ivi, X, 13, 1:”Eodem anno Carseolos colonia in agrum Aequicolorum deducta”. 115 Ivi, X, 39, 2-4: “ Cum eis in Samnium profectus, dum hostes operati superstitionibus concilia segreta agunt, Amiternum oppidum de Samnitibus vi cepit. Caesa ibi milia honinum duo ferme atque octingenti, capta quattuor milia ducenti septuaginta”. 116 Livio, Perioch. 11: “Curius Dentatus cos. Samnitibus caesis et Sabinis, qui rebellaverant, victis et in deditionem acceptis bis in eodem magistratu triumphavit. Coloniae deductae sunt Castrum Sena Hadria”; Flor., I, 10. 117 N. PERSICHETTI, Alla ricerca della via Caecilia, in: “Rom. Mitt.” XIII, 1898, pp. 193220; XVII, 1902, pp. 276-304. 118 G. FIRPO, Fonti latine e greche per la Storia d’Abruzzo antico, DASP, Documenti per la Storia d’Abruzzo, n° 10/II, 2, 1998, pp. 556-557.

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raggiunto il territorio pretuziano distante neno di 30 miglia. All’annessione del territorio abruzzese seguì, quindi, la costruzione di una nuova rete stradale romana, non molto complessa, che condozionata dall’orografia si sovrappose agli antichi tracciati tratturali. Era costituita, quindi, da poche e fondamentali direttrici viarie. Una strada interna che con andamento NO-SE collegava l’alta valle dell’Aterno con la valle di Sulmona e passando per Aesernia, raggiungeva il Sannio. Parallela a questa, una direttrice adriatica si sviluppava lungo la costa e dal Piceno giungeva in Apulia. Altre due strade perpendicolari a quest’ultima, non meno importanti, collegavano l’interno con la costa. La più settentrionale, detta dai più via Caecilia, dalla valle dell’Aterno raggiungeva Castrum Novum, mentre quella meridionale, la via Valeria-Claudia, da Carsoli giungeva ad Ostia Aterni.

Viabilità Medioevale Intorno al III secolo d.C., le pressioni sui confini territoriali dei barbari, già manifeste all’epoca di Marco Aurelio (161-180), non poterono più essere contenute e ben presto si giunse a leggittimare gli stanziamenti (foedera) nel territorio dell’impero. A nulla valsero le soluzione di Diocleziano (297) e quelle di Costantino (332). Infatti i popoli barbari spingendosi da nord ad oriente, rappresentarono una minaccia per l’impero, condizionandone sia la vita sociale che economica. L’impegno prioritario dello Stato fu allora quello della realizzazione di opere di difesa, che risultarono estremamente costose con conseguente aggravio dell’onere fiscale. Molte braccia furono distolte dal lavoro dei campi ed avviate alle armi, con notevole calo della produzione agricola. A questo si aggiunse l’elevato aggravio fiscale sui terreni che favorì inevitabilmente la concentrazione fondiaria. Infatti i possessori di piccoli appezzamenti, non potendo sostenere l’onere delle tasse, cedevano la terra al vicino più ricco perché vi provvedesse in sua vece. L’eccessivo fiscalismo mortificò la libera iniziativa, che unita alla penuria

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di monodopera schiavista 119, determinò una diminuzione sostanziale della produzione. La crisi demografica 120 e quella economica, influirono profondamente sugli aspetti sociali, politici. Con l’esodo dalle città venne meno lo stretto rapporto di simbiosi con la campagna, si assistette al crollo delle attività artigianali, di mercato, ed industriali (tessile, metallugico, edile, ecc.). Non furono più prodotti laterizi a partire dal IV secolo, e questo portò ad una massiccia opera di espoliazione dei monumenti antichi per riparare gli edifici crollati o dannaggiati. Tale stato di cose contribuì ancor di più ad accelerare l’esodo dalla città, che perse, quindi, il suo ruolo preminente sul territorio e che riacquisterà soltanto molto più tardi, in età comunale. Quale conseguenza immediata, si ebbe il disgregarsi dell’intero assetto dell’economia dello Stato, dell’organizzazione amministrativa e catastale, dei tribunali e delle guarnigioni. Le comunicazioni divennero sempre più insicure, anche a causa del brigantaggio 121, con conseguente diradarsi dei traffici. E’ in questo contesto che iniziò, inesorabilmente, l’inarrestabile declino della rete stradale romana, che si protrasse quasi fino ai nostri giorni 122. Abbandonate dalle istituzioni centrali e dalle singole comunità, a causa dell’alto costo della manutenzione ordinaria, le strade furono spesso saccheggiate se non interrotte, non dalle orde barbariche, non ne capiremmo l’interesse, ma da comunità insediate lungo il loro percorso per ragioni di difesa, infatti, è lungo le strade che passano 119 Non dobbiamo dimenticare che l’economia di Roma era sostenuta in larga parte da introiti di capitali provenienti dalle province e da produzione schiavistica, con manodopera, quindi, a bassissimo costo. 120 Il calo demografico fu certamente una delle maggiori cause che contribuì alla decadenza della grandezza di Roma. 121 Il fenomeno del brigantaggio ha da sempre minato la sicurezza delle strade già in epoca romana. Cicerone in una lettera ad Attico narra di un povero messo di nome Quincio, malmenato dopo essere stato derubato lungo la strada, in prossimità della tomba di Basilio. Ugualmente in due lettere di Asinio Pollione rivolte a Cicerone si parla di atti di brigantaggio. Intorno al 200 d.C., sotto Settimio Severo, nelle strade di tutta l’Italia imperava il bandito Bulla con tutta la sua banda. Non si presentava certo migliore il quadro nel medioevo se persino un papa, Giovanni VIII, fu depredato nell’anno 878 lungo la strada che conduceva in Francia. In una lettera del 30 aprile del 1341, indirizzata al grande amico Barbato di Sulmona, il Petrarca confida di essere riuscito a stento a salvarsi da una banda di ladri ben armata, appena fuori dalla città di Roma e costretto a rientrare precipitosamente in città. 122 Vedi pag 52.

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gli eserciti. Con il ridimenzionamento degli scambi commerciali, ridotti a commerci di carattere locale, si passò da una economia di mercato ad una economia curtense. Per i trasporti, limitati prevalentemente a prodotti agricoli, dalla campagna al monastero o alla corte, vennero recuperate o costruite, strade secondarie o anche semplici sentieri, considerando che la merce era prevalentemente someggiata 123. Sempre più terreni coltivati vennero sottratti all’agricoltura a favore della pastorizia, la quale non necessitava, per gli spostamenti da una parte all’altra, di una grande rete stradale. La transumanza, infatti, da sempre seguiva tracciati storici, immutati nei secoli 124. Lungo le strade la fitta rete di stazioni di posta, mutationes, mansiones, stationes, venne a mancare, infatti il cursus publicus mantenne la sua struttura fino alla fine del V secolo. Questo, come detto precedentemente, non vuol dire che la viabilità romana, limitatamente al medievo, sia stata totalmente cancellata. Sicuramente ci saranno state interruzioni lungo i percorsi dovuti all’abbandono della manutenzione, ma i tracciati delle maggiori consolari si saranno mantenuti per tutto il medioevo. Infatti i primi nuclei cristiani sorsero proprio lungo le grandi vie di comunicazione, come del resto, la stragrande maggioranza delle sedi vescovili, già nel V secolo 125. I numerosi concili convocati intorno al IV-V secolo imposero 123 Nel medioevo, date le pessime condizioni delle strade, in Italia, come del resto in tutta l’Europa, si viaggiava prevalentemente a cavallo. Non dimentichiamo, però, che il mulo è stato nei secoli, forse, il più valido mezzo di trasporto in quanto “discende colla massima facilità nel fossato dei torrenti come nelle cime dei monti; per sentieri stretti come per larghe strade” (A. PALMIERI, Le strade medievali fra Bologna e la Toscana, in Atti e memorie della Regia deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, serie IV, fasc. IV-VI, 1918, p. 32ss. 124 G. PEPE, Il Medioevo barbarico d’Italia, Torino 1984, p. 34 “L’Italia meridionale, condannata già, dicono, dalla sua natura fisica a un’inferiorità fatale, vedeva la scomparsa degli antichi popoli, la distruzione di un’economia faticosamente formatasi sulle sue risorse agrarie un tempo sfruttate da laboriose e indomite popolazioni, il trionfo della economia pastorale, del pascolo, il grande nemico della civiltà”; M. COSTANTINI, Economia, società e territorio nel lungo periodo, in Storia d’Italia, Le Regioni dall’Unità ad oggi, Torino, 2000, p. 30 “La crisi del tardo impero, se non fece regredire mai del tutto le strade romane alla situazione precedente, riconsegnò le grandi vie transappenniniche a relazioni economiche e sociali meno estese e sistematiche, in un contesto segnato dalla ripresa di pratiche pastorali a breve-medio raggio”. 125 AA. VV., Storia della Chiesa, a cura di Fliche-Martin, Torino 1972, vol. III, p. 256.

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frequenti trasferimenti di prelati e vescovi, creando non pochi problemi di ristoro e di alloggio. Nel VI secolo, con la diffusione del monachesimo in occidente sorsero i primi monasteri anch’essi lungo le grandi vie di comunicazione e sempre più pellegrini, a piedi o a dorso di animali, in pellegrinaggio raggiungevano i luoghi di culto. Annessi ai monasteri, ma anche presso chiese episcopali, sorsero gli xenodochia, strutture che garantivano gratuitamente un alloggio ed il vitto ai correligionari in viaggio 126. Successivamente gli xenodochia persero la configurazione iniziale di alberghi per soli pellegrini, accogliendo nelle loro strutture anche poveri, infermi ed anziani, ed a partire dal IX secolo assunsero la denominazione generica di hospitalia.

Viabilità medioevale in Abruzzo Con la riforma di Diocleziano, la nascita della regione Valeria comprendente gran parte dell’Abruzzo interno, parte del Sannio, dell’Abruzzo meridionale, della Flaminia et Picenum (Ager Praetuttianus), assistiamo all’ultimo riassetto amministrativo antico. E’ proprio intorno al V secolo che il peso della crisi demografica si fece sentire massimamente. L’Abruzzo interno non resse all’impatto delle orde barbariche, moltissime città e borghi vennero abbandonati (Amiternum, Cerfennia, Corfinium, Marruvium). Ben diverso, invece, la sorte dell’ Abruzzo adriatico, dove si assistette ad una sostanziale tenuta delle comunità più importanti come: Pinna, Interammnia, Teate, Ortona, Histonium, Anxanum. Nell’Abruzzo interno sorsero rocche, borghi su speroni di roccia o a mezza costa, a scopo di difesa, lontani dalle strade consolari, le quali, anzi rappresentavano spesso un serio pericolo a causa del transito degli eserciti invasori. La mancanza o quasi di fonti storiche, purtroppo, non ci consente di giungere ad un’analisi accurata e fedele della viabilità medievale nell’area compresa

126 La presenza di xenodochia nei monasteri orientali era prescritta già nel IV secolo, in ottemperanza della regola dell’ospitalità da S. Basilio di Cesarea. Dall’Egitto e dalla Siria, queste strutture si diffusero nell’impero romano d’Oriente e solo successivamente (VI secolo), in Italia e in Gallia (Pauly-Wissowa, alla voce xenodochium, vol. IX, t. 2, 1967 coll. 14871503).

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nell’attuale Abruzzo 127. Tra le fonti documentarie risultano utili ai nostri fini, itineraria, le bolle corografiche, i diplomi, nonché i cartulari degli antichi monasteri gravitanti nell’area abruzzese, quali Farfa, S. Vincenzo al Volturno, S. Clemente a Casauria e S. Bartolomeo di Carpineto. Nella notevole mole di documenti riguardanti donazioni, permute, conferme, diplomi, ecc., stilati fra l’VIII ed il XII secolo, si fa spesso riferimento a viae antiquae o alla via Romana. Più frequentemente vengono citate viae publicae, oltre naturalmente viae. In un lavoro sulle principali vie di comunicazione riguardanti la sabina tiberina, Tersilio Leggio rileva: «La rete stradale lasciata in eredità, a Roma è stata grande come è testimoniato dalla fitta continua presenza di viae antiquae, confuse, mescolate nella più ampia categoria delle viae publicae, spesso assimilate per mezzo dell’ambigua, incerta uguaglianza via antiqua = via publica, valida soltanto in questo senso ma non certo nell’opposto» 128. E ancora: «…dal complesso dei documenti non sembra possibile affermare che una via publica sia necessariamente una via antiqua» 129. Del medesimo parere Migliario: «La datazione altomedievale che si è esaminata consente anch’essa in certi casi di ricostruire, almeno parzialmente e localmente, alcuni tratti della rete viaria, per i quali va comunque tenuta presente la difficoltà di datarli con precisione, non costituendo la semplice menzione di una via antiqua un indizio bastevole a provare l’effettiva antichità del tracciato» 130. Certo non incoraggianti le considerazioni della Fasoli a riguardo: «Non meno ambigua-può sembrare un’affermazione paradossale i termini strata e via, anche quando sono accompagnati dall’ag127 Del resto le medesime difficoltà nella ricostruzione della viabilità medievale furono evidenziate dal Toubert per il Lazio (Toubert, Les structures du Latium, cit., II, pp. 625ss.). 128 T. LEGGIO, Le principali vie di comunicazione della Sabina Tiberina, in Il Territorio, a. II n. 1, gennaio-aprile 1986, p. 7. 129 Ivi, p. 7, n. 32: 130 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 73.

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gettivo publica: se il documento in cui troviamo queste espressioni non ce lo dice esplicitamente, anche se conosciamo con qualche esattezza la topografia dei luoghi, non sempre riusciamo a stabilire se quelle nominate nei documenti siano vie di grande comunicazione o semplici strade vicinali, quale importanza avesse quella strada, in quel preciso momento in cui la consideriamo. D’altra parte l’importanza delle strade si modifica nel corso del tempo per motivi economici, per motivi politico-militari, per motivi ecologici e tecnici…» 131. Sul finire del VI secolo gran parte del territorio dell’attuale Abruzzo venne annesso al Ducato di Spoleto ad opera di Ariolfo, ad eccezione del territorio compreso fra il fiume Pescara e il Trigno, che continuò a far parte del Ducato di Benevento. Con la sconfitta di Grimoaldo ad opera di Pipino, figlio di Carlo Magno nel’801, il comitato teatino fu annesso al Ducato di Spoleto. Nell’anno 834 venne costituita la contea dei Marsi 132, con ampia autonomia dal Ducato di Spoleto. La scarsa presenza dell’autorità centrale contribuì ad aumentare le tensioni fra i vari feudatari. Successivamente con la divisione della contea dei Marsi in due contee autonome, ad opera di Ugo di Provenza, nel 926, la situazione peggiorò ulteriormente. Bisogna aggiungere, inoltre, che in quegli anni la presenza sul territorio dei grandi Monasteri, con i loro ampi patrimoni fondiari, certamente contribuirono a turbare i già precari equilibri a causa dei spesso profondi dissidi con i feudatari, se non con le diocesi. Di questo stato di cose seppero trarne vantaggio i Normanni di Puglia con Roberto I conte di Loritello, che nel 1076, sottrasse a Trasmondo il contado di Teate, mentre il conte Ugo Maumouzet, conquistò il contado pennese e parte di quello valvense 133. Nel 1143 il comitato dei Marsi, e più tardi (1149) anche l’alta Valle dell’Ater131 G. FASOLI, Castelli e strade nel ‘Regnum Siciliae’. L’Itinerario di Federico II, in Federico II e l’arte del Duecento italiano. Atti della III Settimana di Studi di Storia dell’Arte Medievale dell’Università di Roma 15-20 maggio 1978, vol. I, p. 29. 132 Il territorio della contea dei Marsi era esteso pressappoco come quello dell’odierno Abruzzo, ad esclusione dell’Apruzio, e solo alla fin del X secolo anche il territorio teramano venne a far parte della Provincia dei Marsi. 133 C. RIVERA, Le conquiste dei primi normanni in Teate, Penne, Apruzzo e Valva, in Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Serie III, anno XVI (1925), p. 27.

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no, insieme al reatino furono annessi al Regno 134. Con il concordato di Benevento del 1156, il papa Adriano IV rinnovò a Guglielmo II l’investitura del Regno con l’aggiunta della Provincia dei Marsi, ricevendo parte del reatino e la città di Rieti. Facendo ora parte di questo nuovo Stato, l’Abruzzo divenne territorio di frontiera, entrando così nell’orbita meridionale. E’ in un clima di ritrovata sicurezza che inizia nuovamente la grande transumanza verso il Tavoliere, interrotta dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente. In questi anni si ebbe una ripresa dei traffici e degli scambi, favoriti da Federico II, il quale nel 1234 istituì nel Regno ben sette fiere, di cui una a Sulmona. Ugualmente sia i sovrani angioini che quelli aragonesi, si adoperarono per migliorare la rete stradale allo scopo di agevolare i commerci, dovendosi, però, confrontare spessissimo con le tendenze retrive dei feudatari e dei baroni.

La ‘Via degli Abruzzi’ Divenuta Napoli capitale, venne a rafforzarsi la funzione di cerniera dell’Abruzzo, rappresentando la porta d’ingresso del Regno per chi del nord volesse raggiungere il Mezzogiorno. Infatti, attraverso la zona degli Altopiani, cioè lungo la valle dell’Aterno, Sulmona, Castel di Sangro, si giungeva, passando per Isernia e Benevento, a Napoli 135. Questa strada che nel medioevo fu detta la “Via degli Abruzzi”, partendo da Napoli passava per Benevento, Isernia, Castel di Sangro, Sulmona e giungeva a Popoli in corrispondenza della “chiave degli Abruzzi”. Qui la strada si biforcava 136, e mentre un ramo proseguiva in direzione nord per l’Aquila, l’alta valle dell’Aterno, Rieti, Spo-

134 Ivi, p. 274. 135 F. SABATINI, La regione degli altopiani maggiori d’Abruzzo. Storia di Roccaraso e Pescocostanzo, Genova 1960, pp. 65-73; P. GASPARINETTI, La “Via degli Abruzzi” e l’attività commerciale di Aquila e Sulmona nei secoli XIII-XV, BDASP (1963-64) pp. 13-24. 136 Lungo questa strada e precisamente nel tratto compreso tra Sulmona ed Isernia, nell’anno 1302 furono ordinati lavori di riparazione da Carlo II d’Angiò, ed affidati a Bartolomeo de Pacili da Sulmona, “ad adaptandas stratas et vias quibus itur a Sulmona usque Iserniam”, danneggiate “aquis pluvialibus et saxis et spinis…. non potest haberi transitus” (Codice diplomatico sulmonese, a cura di N. F. FARAGLIA, Lanciano 1888, p. 139, doc. CIX).

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leto, Perugia, Arezzo, raggiungendo infine Firenze 137, l’altro, lungo la valle del Pescara guadagnava la costa adriatica, proseguendo per l’Italia settentrionale. (Fig. 9)

Fig. 9 - La via degli Abruzzi Alla fine del XIII secolo la città di Firenze era già uno dei centri economici più sviluppati d’Italia e d’Europa, sia per il numero delle imprese che vi ope137 Questa strada fu percorsa da Enrico VI per raggiungere rapidamente la Sicilia attraverso la Campania e la Calabria, dopo aver concluso la pace di Vercelli con i comuni lombardi e dopo aver ricevuto aiuti dai feudatari.

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ravano, sia per il volume di affari. Fiorente fu la lavorazione ed il commercio dei panni di lana, la cui materia prima, importata dall’Europa, veniva quindi esportata nel resto dell’Italia e in Oriente. Notevolmente sviluppato il settore dell’artigianato, ma non certo meno importante fu l’attività bancaria. In quello stesso periodo già alcuni mercanti fiorentini si erano stabiliti a Sulmona, il centro più importante della mercatura abruzzese. Sempre in quegli anni Venezia impose, con un regime di oligarchia mercantile, la sua potenza sull’Adriatico e poi sul Mediterraneo. Sulla costa abruzzese Ortona disponeva di una nutrita flotta navale. Da altri modesti approdi, S. Flaviano, Pescara, Francavilla, Vasto, spesso controllati da monasteri o da privati, partivano prodotti naturali quali vino, olio, grano, pelli, legname, ecc., provenienti spesso dai loro latifondi dell’entroterra, mentre giungevano prodotti lavorati come stoffe, attrezzi artigianali, vetri. Questi scambi non erano limitati alla sola Serenissima, ma estesi anche con la maggior parte degli scali adriatici, quali Spalato, Zara, Lissa, Lesina ed altri ancora 138. La “Via degli Abruzzi” rappresentò, quindi, sia in epoca angioina che in quella aragonese, la dorsale economica del Regno.

138 La mercanzia voluminosa veniva trasportata, fin dove possibile via mare, come ad esempio il grano destinato ad acquirenti di Firenze, dal Tavoliere veniva imbarcato sulla costa pugliese e sbarcato a Pescara, quindi attraverso la “via degli Abruzzi” raggiungeva la “chiave degli Abruzzi” presso Popoli, e da quì passando per Aquila, Perugia, Spoleto arrivava a Firenze. .

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PARTE SECONDA - Le singole vie VIA LITINA Apprendiamo da Varrone che dall’antica città di Reate (Rieti) originavano tre strade e precisamente: la Via Quinctia, la Via Curia, la Via Litina. Da Reate, procedendo lungo la Via Litina, dopo soli trenta stadi, si incontrava Batia, altri trecento bisognava percorrerne per raggiungere Tiora Matiene ed infine a ventiquattro da quest’ultima era Lista 139. Tutti gli studiosi sono concordi nel considerare la strada che da Rieti, attraverso Antrodoco (Interocrea), Sella di Corno, Vigliano (Fisternae), giunge a S. Vittorino (Amiternun), sia un tratto dell’antica Via Litina 140 (Fig. 10). Pur condividendone il percorso, Radke avanza riserve sul nome, proponendo la lezione Calatina dal censore Atilius Calatinus, che l’avrebbe fatta costruire intorno al 247 a.C. 141. Nissen suggerisce Listina, quale strada che partendo da Reate, attraverso Batia e Tiora Matiene, giunge appunto a Lista 142. Cerchiamo ora di verificare quanto tramandatoci da Varrone e partendo da Rieti (Reate), dopo circa 22 Km (15 miglia) arriviamo al bivio d’Antrodoco (Interocrio), dal quale è possibile raggiungere la valle dell’Aterno, distanza che collima perfettamente con quella riportata dalla Tabula Peutingeriana. Per il tratto che da Antrodoco giunge alla conca di L’Aquila dobbiamo avvalerci di considerazioni materiali. La strada non s’inerpicava lungo il fosso di Rapelle, zona impervia, che successivamente, in epoca romana, richiese mura di sostruzione e tagli di roccia 143, probabilmente seguiva l’attuale per139 VARRO in Dion Hal., I 14, 2/3. Lo stadio alessandrino era pari a 184, 8 m. Varrone dispone i centri lungo queste antiche strade alla stregua di un itinerario. 140 N. PERSICHETTI, Viaggio archeologico sulla Via Salaria nel Circondario di Cittaducale, Roma. 1893, p. 115; Alcuni autori chiamano la strada che da Antrodoco giunge ad Amiterno, Via Amiternina, ma impropriamente, come rileva Persichetti, perché non citata da alcuna fonte antica. 141  G. RADKE, Viae, cit., p. 330. 142 H. NISSEN, Italische landenskunde, II Berlin 1902, p. 471; G. FIRPO, Fonti latine, cit., II, 2, p. 974. 143  G. SIMELLI, Antichità peslagiche, Relazione manoscritta attualmente presso la Biblio-

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corso assecondando maggiormente l’assetto orografico. Anteriormente alla conquista romana, infatti, nel territorio amiternino le strade, probabilmente, erano poco più che piste, le quali si adattavano alla natura dei luoghi, ricalcando i tracciati preistorici di mezza costa, le sponde dei corsi d’acqua.

Fig. 10 - Via Litina Da Antrodoco la strada giungeva nella valle dell’Aterno poco oltre la stazione ferroviaria di Vigliano 144. Il primitivo percorso probabilmente volgeva a sinistra per Amiternum, secondo un tracciato di mezza costa che ancora oggi si conserva, e passando dinanzi agli attuali ruderi detti “I Palazzi” 145, proseguendo poi per Sturabotte fino a Casali. Continuava poi per S. Maria, S. Dorotea, Preturo e da qui, volgendo a sinistra per Colle, superava il fosso della Forcella, poi S. Marco, Pozza e mantenendo sempre la destra dell’Aterno, giungeva al bivio per Tèora, posta a circa 61 km da Rieti, pari appunto ai 330 stadi di Varrone. Già in passato Ribezzo avanzò l’ipotesi di identificare la teca dell’istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte di Palazzo Venezia, (Ms., fondo Lanciani 66). Il codice cartaceo contiene gli autografi dell’architetto Simelli di Rieti, incaricato nel 1808 dall’Istituto delle Iscrizioni e Belle Lettere di Parigi; N. Persichetti, Viaggio., cit., pp. 120-121, 123) 144  IGM f. 139, II SO, Scoppito. 145  N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 128.

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frazione di Barete, detta Tèora, con Tiora Matiene  146. Quantunque non si disponga di elementi che ci consentono di poter identificare con certezza Tiora Matiene con Tèora, trovo condivisibile l’ipotesi formulata dal Ribezzo. Non resta, quindi, che ricercare Lista, l’antica capitale degli Aborigeni posta a 24 stadi (4, 4 km) da Tiora Matiene. Sempre secondo la tradizione, Lista fu conquistata di sorpresa dagli amiternini, partiti in armi, nottetempo, da Amiterno. Questa testimonianza possiamo considerarla un’ulteriore conferma che Amiterno non fosse poi tanto distante da Lista  147. Infatti, considerando che il bivio per Tèora dista da Amiterrno 4, 5 km e che altri 4, 4 km separano il bivio per Lista da quello per Tèora, la distanza che separava Lista da Amiterno si poteva coprire comodamente in poco più di un paio d’ore di cammino. Proseguendo la vecchia strada che dal bivio per Tèora, sempre lungo la sponda destra del fiume Aterno, dopo esattamente 4, 4 km (24 stadi), si raggiunge a S. Pelino, il bivio per Cagnano. Purtroppo ricerche sul campo non hanno dato i frutti sperati perché del toponimo Lista non è rimasta alcuna traccia sia nella tradizione orale che nelle carte catastali 148. Bisogna però considerare, però, che a circa due chilometri ad ovest del bivio, nell’interno esiste una frazione di Cagnano detta Civitella 149 che potrebbe, forse, ricondurci all’antica capitale degli Aborigeni. Non molto lontano da Lista sorgeva, sempre secondo la tradizione, l’antica Testruna, primitiva città dei Sabini, nei pressi della quale era Amiterno 150. Giunta a Lista, ritengo che la Via Litina proseguisse in direzione nord fino a ricongiungersi con la pista preistorica che univa il mare Adriatico col mare Tirreno e che in seguito divenne la Via Salaria. Dal bivio per Lista, quindi, la strada, proseguendo sempre sulla destra dell’Aterno, giungeva a Monterea-

146 F. RIBEZZO, cit., p. 64, 147 VARRO, in Dion. Hal. I 14, 6; 148 Notizia di Angelo DERAMO addetto all’Ufficio Tecnico del Municipio di S. Cosimo (Cagnano Amiterno). 149 IGM, f. 139, II NO, Pizzoli. 150 CATO in Dion. Hal. II, 49, I, 14; F. RIBEZZO, cit., p. 8; E. EVANS, The cults, cit., p. 11; M. G. BRUNO, I Sabini, cit., p. 192.

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le 151, Aringo, Amatrice 152, poi il ponte di Scandarello e a nord di questi la via Salaria, con un percorso di poco più di 25 km, pari a 17 miglia 153. Radke avanza l’ipotesi che la via Litina continuasse il suo percorso e che giungesse fino a Castrum Novum (Giulianova), sull’Adriatico 154. Che una strada potesse proseguire fino al mare Adriatico è cosa certa, ma non possediamo elementi sufficienti per affermare che questa fosse ancora la via Litina. Escluderei, inoltre, la possibilità avanzata da Radke che potesse raggiungere Castrum Novum, poiché questa colonia fu fondata più tardi, tra il 289 e il 283 a.C. Un contributo a far luce sulla problematica, ci giunge da Strabone, dal quale apprendiamo che il territorio sabino si estendeva per poco meno di 1000 stadi, circa 124 miglia 155. Altri 240 stadi (30 miglia), separavano il confine sabino occidentale dal mare Tirreno, mentre la distanza dall’Adriatico era di 280 stadi, pari a 35 miglia 156. Quindi dalla sponda adriatica e quella del Tirreno correvano poco meno di 1520 stadi, cioè poco meno di 190 miglia. (Fig. 11) E’ da escludersi che tale distanza sia stata calcolata in linea d’aria in linea d’aria, credo invece che sia stata rilevata lungo i percorsi stradali Infatti, giustamente, Radke osserva che Catone: «…misura l’estensione della terra dei Sabini dalla lunghezza della strada altrimenti non avrebbe potuto dare una misura così precisa» 157. Sappiamo perfettamente che da Ostia, con un percorso di 16 miglia si raggiungeva Roma a Porta Trigemina 158, mentre bisognava percorrere quasi tre miglia all’interno della città, per la Porta Collina. Da qui passando per Reate, 151 IGM, f. 139, I SO, Montereale; IGM, f. 139, I NO, Amatrice. 152  L. V. BERTARELLI, Abruzzo, Molise e Puglie. in: Giuda d’Italia del TCI, Milano 1928, p. 280; N. PERSICHETTI, Viaggio., cit, pp. 176ss 153 E’ proprio attraverso questa direttiva che i Sabini, precedentemente, raggiunsero la valle dell’Aterno 154  G. RADKE, cit., p. 328, schizzo n°25. 155 STRABO, V, 3, 1: “I Sabini abitano territorio stretto, ma che misura in lunghezza 1000 stadi a partire dal Tevere e dalla piccola città di Nomentum fino ai confini dei Vestini”. 156 CATO, Dion. Hal., II, 49;. 157 RADKE, cit., 28, 29, p. 331. 158  PLINIO, III, 38: “Italia dehinc primique eius Ligures, mox Etruria, Umbria, Latium, ibi Tiberina ostia et Roma, terrarum caput, XVI p. intervallo a mari”.

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Fig. 11 - Estensione del territorio sabino fino a Trisugno, correvano 99 miglia, come possiamo rilevare dal miliario di Augusto ivi rinvenuto. Altre 5 miglia per Quintodecimo, posto appunto a 15 miglia da Asculum, per un totale di 119 miglia. Per giungere alla costa adriatica presso Castrum Truentinum bisognava percorrere altre 20 miglia. Quindi tirando le somme, dalla foce del Tevere a Castrum Truentinum correvano non meno di 158 miglia, 32 miglia in meno rispetto alle 190 (1520 stadi) citati da Catone. Se volessimo, invece, raggiungere il mare Adriatico a Castrum Novum, dovremo percorrere non meno di 168 miglia, quantunque sempre poche rispetto alle 190 di cui sopra.

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Calcolando, invece, la distanza tra la foce del Tevere e la foce del fiume Tronto, sulla via che attraversava il territorio sabino, che abbiamo supposto essere l’antica Via Litina, otterremo piena corrispondenza con quanto affermato da Catone, cioè circa 190 miglia (quasi 1520 stadi). Per stabilire invece l’estensione del territorio sabino partendo dal confine occidentale del suo ager, sul confine dell’Allia, sempre lungo il percorso della futura via Salaria, si raggiungeva Reate dopo 38 miglia. Da Reate, procedendo lungo la via Litina, per Interocrio, Foruli, Tiora Matiene, Lista, si giungeva alla via Salaria, a nord del ponte dello Scandarello, in poco più di 69 miglia, per un totale di poco superiora a 107 miglia. Sempre tenendo fede a quanto tramandatoci da Varrone, per il confine orientale del territorio sabino bisognava percorrere scarse 18 miglia. Procedendo in questa direzione, secondo i miei calcoli, dopo quasi 18 miglia giungo esattamente a Quintodecimo, cioè a poco più di 124 miglia, i quasi 1000 stadi di Catone, dal confine dell’ager Sabinus. Avendo posizionato il confine sabino orientale a Quintodecimo, cioè a 15 miglia prima di Asculum, ne consegue che per raggiungere il mare Adriatico bisognava percorrere ancora 35 miglia. Partendo infatti da Asculum e procedendo lungo la sponda destra del Tronto, ricalcando grosso modo il percorso della via Salaria, raggiungeremo la foce del fiume Tronto con un percorso di 29,5 km, pari esattamente a 20 miglia. Tutto ciò, oltre a confermare le distanze forniteci da Catone (DION. AL., Ant. II, 49), ci consente di poter affermare l’esistenza del tratto da Asculum a Castrum Truentinum già da allora.

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VIA QUINCTIA Come detto in precedenza da Varrone (47 a.C.)  159, sappiamo che la Via Quinctia partiva da Reate, mentre resta ignoto il nome del suo costruttore, forse T. Quinctius Flaminius o C. Quinctius Claudius, consoli rispettivamente nell’anno 198 a.C. e 271 a.C. Per Olstenius e Vittori, uscita dalla porta reatina detta Cinzia, la via Quinzia si dirigeva verso Cascia e Norcia  160. A detta di Martelli, invece, la Via Quinzia da Rieti, lungo la valle del fiume Torano, per Colle di Tora, raggiungeva Carsoli  161. Da qui, secondo quanto riportato dal Leosini: «la Via Quinzia... si biforcava in un ramo per Tivoli, ed in un altro per il Cicolano e la Marsica, prolungato poi da’ censori C. Giunio Bubulco e M. Valerio Massimo, e successivamente dall’Imperatore T. Claudio Nerone, sino a Corfinio ed a Pescara, detto perciò Via Claudia Valeria» 162. Di parere diverso era Latini, che, attenendosi a quanto tramandatoci da Dionigi di Alicarnasso, giunse alla conclusione che la Via Quinzia altri non era che una diramazione della via Salaria 163. Secondo altri autori la via Quinctia raggiungeva la via Valeria in prossimità di Alba Fucens 164, mentre Martinori ritenne che la via Quinzia congiungesse Rieti con la Salaria tiberina nei pressi di Passo Corese, seguendo un percorso che poco si discostava da quello dei

159 VARRO, in Dion. Halic., I 14, 2-3. 160 F. PALMEGIANI, Rieti e la regione sabina, (Rist. anast.), Città di Castello (PG) 1988, p. 39 n° 1. 161 F. MARTELLI, Antichità dei Sicoli, vol, II, Aquila 1835, 201. Dello stesso avviso E. Abate, Guida, cit., I, p. 380. 162 A. LEOSINI, La provincia del II Abruzzo Ultra, corografia antica, Aquila 1867, p. 20. 163 C. LATINI, Memorie per servire alla compilazione della storia di Rieti, ms 151, 1850 circa, presso la Biblioteca Provinciale di Rieti. 164 E. KIEPERT, Forma Orbis Antiqua, 1901, tav. XX; G. RADKE, cit., 328, schizzo n. 25, p. 330; F. COARELLI, Lazio, Bari 1982, p. 28; F. V. WONTERGHEM, La viabilità antica nei territori di Alba Fucens e di Carseoli, in Fucino, pp. 423-424; G. FIRPO, Fonti latine, cit., II, 2 p. 969; M. C. SOMMA, Siti fortificati e territorio. Castra, castella e turres nella regione marsicana tra X e XII secolo. Roma 2000, p. 31.

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primi decenni del novecento  165. Quantunque, a mio avviso, la Via Quinzia non attraversasse affatto il territorio abruzzese, reputo opportuno darne un rapido cenno. Diversi erano gli insediamenti lungo questa antichissima via: Palatium posto a 25 stadi da Rieti, non lontano dalla via Quinzia. Trebula a 60 stadi sempre da Rieti, era adagiata su di una collinetta. Suesbula o Suessula a 60 stadi da Trebula, era prossima ai monti Ceraunii. A 40 stadi da Suesbula, era la città di Suna, con il suo antichissimo tempio dedicato ad Ares. A 30 stadi da Suna si trovava Mefula, già da allora non più esistente ma ancora visibili i resti delle sue mura. Infine la grande e famosa città di Orvinium distante 40 stadi da Mefula  166. Prestando fede a Varrone, di questa strada sappiamo, quindi, che partiva da Reate e che si sviluppava per almeno 230 stadi (circa 42, 5 km), raggiungendo Orvinium, che personalmente non ritengo azzardato identificare con l’attuale Orvinio  167. Fatta questa premessa, bisogna ora stabilire il percorso per raggiungere il centro di Orvinio, partendo a Rieti, in accordo con le distanze forniteci da Dionigi di Alicarnasso. Da Reate, quindi, procedendo verso mezzogiorno lungo la via Salaria, dopo 25 stadi (4, 62 km circa), avremmo dovuto raggiungere il bivio per Palatium. Esattamente a questa distanza dal capoluogo sabino è presente, sulla sinistra della via Salaria, un bivio, ed imboccando la piccola strada laterale, dopo circa mezzo miglio, superato il Fosso Ariana, si raggiunge la località chiamata Bacugno 168. Forse in corrispondenza di questo sito sorgeva l’antica città di Palatium, citata per la presenza di un tempio edificato in onore della dea sabina Vacuna, da cui il toponimo 165 E. MARTINORI, Via Salaria. Via Claudia Nova, Roma 1931, p. 59, nota n° 2: “Non conosciamo per quali ragioni e quando la Via Salaria da Passo Corese a Rieti prese il nome di Quinzia Reatina. Il Michaeli, nelle Memorie storiche della città di Rieti, crede che il nome le derivi da un console Quinzio che l’avrebbe costruita, ma distingue l’antica Salaria dalla Quinzia dicendo che come la prima abbia avuto un tracciato assai tortuoso e diverso dall’attuale, mentre il secondo mantiene il percorso di oggi con poche varianti”. 166 VARRO, in Dion. Halic., I, 14;C. BUNSEN, Antichi stabilimenti Italici, Annal. Istit. 1834, pp. 129ss; F. RIBEZZO, cit., p. 8; E. C. EVANS, cit., p. 10; M. G. BRUNO, cit., pp. 108-112. 167 E. C. EVANS, cit., p. 10; F. RIBEZZO, cit., p. 8. 168 IGM, f. 138 II SE, Rieti.

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Bacugno. La dea Vacuna, in onore presso il popolo dei Sabini già in epoca remota, fu identificata con la Vittoria, ma anche con Bellona, Diana, Minerva e Venere 169. Il suo centro di diffusione era la città di Reate, nonché le sponde del lago Velino 170. Superato il bivio per la città di Palatium, la via proseguiva poi in direzione dell’odierno S. Giovanni Reatino, tirava diritto lungo il fosso delle Ratte e dopo 35 stadi (6,4 km), in corrispondenza, cioè, del km 75 dell’attuale via Salaria, era forse Trebula. Sappiamo che l’antico centro sabino era posto su di una collinetta, e forse non è un caso che proprio sulla destra della strada vi sia una piccola collina (625 m s. l. m.) 171. (Fig. 12) Sempre verso sud raggiungeva l’osteria della Colonnetta, il Fosso dei Cerri, e dopo cirFig. 12 169 PORFIRIONE, Schol. Horat., Ep., 10, 49;:” Vacuna in Sabinis dea, quae incerta specie est formata, hanc quidem Bellonam, alii Minerva, alia Diana dicunt”; PLINIO, H. N. II, 95, 109; III, 12, 109; OVIDIO, Fast., VI, 307; CIL, IX 4636, 4751, 4752; G. PANSA, Vacuna: Illustrazione di una statuetta arcaica di bronzo rinvenuta nell’agro reatino, in Rend. Accad. dei Lincei, Clas. scienze morali, storiche e filologiche, vol. XXIX, fasc. 3 1920, pp. 76-88; E. C. EVANS, The cult, cit., pp. 96, 98; G. DEVOTO, Gli antichi Italici, cit., p. 159; M. G. BRUNO, I Sabini, cit., III p. 74; A. L. PROSDOCIMI, Etimologia di toponimi:Venilia, Summanus, Vacuna, in: Studi linguistici in onore di Vittore Pisani, III, Brescia 1969, pp. 795-801, (800); G. DUMEZIL, Fetes romaines d’ été d’automne, Paris 1975, pp. 232-237; V. CIANFARANI-L. FRANCHI DELL’ORTO-A. LA REGINA, Culture adriatiche antiche, cit., p. 88; Il suo culto possiamo ricondurlo a quelli ctonii, caratteristici delle realtà rurali, legati alla Terra. Furono innalzati in territorio sabino molti templi in onore della dea: a Vacuna, ad Interocrea, a Cures, a Cutilia, in prossimità del Monte Gennaro. A Roma le fu dedicato un tempio fatto realizzare da Numa Pompilio. L. Luschi, Un caso di continuità di culto dall’epoca preromana al medioevo: Vacuna ed Angitia, in Il territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo nell’antichità: atti del I Convegno Nazionale d’Archeologia, Villetta Barrea, 1987, Civitella Alfedena, 1988, pp. 197-201. 170 G. PANSA, Vacuna, cit., p. 79. 171 IGM, f. 144 I NE, Rocca Sinibalda.

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ca 8,5 km era a S. Lorenzo 172. Procedendo ancora per 2,7 km lungo la via Salaria giungeva al ponte detto Bùida, dopo un percorso di circa 11,2 km, pari a 60 stadi da Trebula. Forse proprio in questo luogo va ricercata l’antica Suesbula, prossima ai monti Ceraunii. Proseguendo sempre in direzione sud, poco prima di Cerdomare, la strada volgeva a sud-est seguendo il tracciato dell’attuale via Licinese (S.S. 314) in direzione di Poggio Moiano e da qui fino ad Orvinio 173. E’ interessante notare che Poggio Moiano dista esattamente 7,4 km dal Ponte Bùida, la stessa distanza che intercorreva tra Suesbula e Suma (40 stadi). Da Suna, per raggiungere Orvinium bisignava percorrere 70 stadi (12,93 km) e non è certo casuale che tra Poggio Moiano e Orvinio corrano esattamente 13 km. La distanza, quindi, tra Rieti e Orvinio risulta essere di 42,5 km, precisamente 230 stadi alessandrini. Da Orvinio possiamo supporre che la strada proseguisse sempre in direzione sud, fino a Percile, poi per Civitella fino a Licenza lungo la valle dell’omonimo torrente. Superato il bivio di Licenza di circa un paio di chilometri, sulla destra, una strada ci permette di raggiungere le emergenze archeologiche della villa di Orazio 174. Procedendo ancora per altre due miglia lungo la via Licinese, sempre sulla destra si giunge al bivio per Roccagiovine, che secondo la tradizione trasse il nome da Arx Iunonis (rocca di Giunone). In passato si rinvenne nei pressi un’epigrafe del I secolo d.C., attinente ad un restauro di un tempio (vetustate collapsum), in onore della dea Vacuna, ad opera dell’imperatore Vespasiano. La strada procedeva ancora per circa altre due miglia per ricongiungersi con la via Valeria in prossimità di Vicovaro, l’antica Varia . (Fig. 13) 172 E. MARTINORI, cit., p. 78: “L’antica (via) entrava in Poggio S. Lorenzo che tagliava diagonalmente da Sud-Ovest ad Est, e la strada principale del paese viene oggi chiamata impropriamente Via Quinzia. Questa via era fino a pochi anni addietro praticata dagli armenti…”. 173 IGM, f. 144, Palombara Sabina. 174 Questa villa Orazio la ebbe in dono da Mecenate nel 33-32 a.C. I primi scavi risalenti al 1911, misero alla luce le strutture ai piedi del Colle Rotondo (mons Ucretilis) e solo le successive campagne permisero di identificarla con sicurezza con quella del poeta. Molto importante ai fini della identificazione, fu la descrizione che lo stesso Orazio diede della villa, posta in prossimità del torrente Licenza (Digentia) e dei dintorni, in una sua epistola (ORAZIO, Epi., I, 16, 1-16).

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Fig. 13 - Via Quinctia

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VIA FRUSTENIAS-CERFENNIA Dati oggettivi ci consentono di ipotizzare un tramite tra la Valle dell’Aterno e quella del Fucino, attraverso l’Altopiano delle Rocche, collegando Aveia con Marruvium. Nella prima metà del XIX secolo, Bunsen volle dare a questa via di comunicazione il nome di via Claudia 175. Aveia-Alba Fucens Dalla Tabula Peutingeriana 176 apprendiamo che Aveia era a sole due miglia di distanza da Frustenias, mentre altre 18 miglia separavano quest’ultima da Alba Fucens (Fig. 14). Di non facile identificazione Frustenias è stata localizzata dal Febonio in prossimità della chiesa di S. Lucia di Rocca di Cambio, 177 mentre Antinori la riconosce in quest’ultimo centro. 178 Il Giovenazzi 179, seguito da Romanelli 180, Bunsen 181e da Cifani 182, la collocano genericamente nel territorio delle ville d’Ocre, secondo Kiepert  183 e Cianfarani 184 era da identificare con Rocca di Mezzo. Miller la ricerca in S. Eusanio Forco-

175 Ch. BUNSEN, La pianura Marsica ossia del lago Fucino, in: Annali Ist. Comun. Archeol., 1834, p. 125. 176 TAB PEUTING segm. V. 177 M. FEBONIO, Historiae Marsorum libri tres, una cum eorundem episcoporum Catalogo, Napoli 1678, p. 244. 178 A. L. ANTINORI, Corografia storica degli Abruzzi e de’ luoghi circonvicini, mss. presso la Biblioteca Provinciale Salvatore Tommasi de L’Aquila XXXI, p. 829. 179 V. M. GIOVENAZZI, Della città di Aveia nei Vestini ed altri luoghi di antica memoria. Roma 1773, pp. XXXIX-XL 180 D. ROMANELLI, Antica, cit., III, pp. 274-275. 181 Ch. BUNSEN, Antichi stabilimenti, cit., p. 128. 182  G. CIFANI, Il territorio dell’Altopiano delle Rocche, in: “Bollettino del Centro di Studi per la Storia dell’Architettura”, n. 26, 1980, p. 38. 183  H. KIEPERT, Carta corografica e archeologica dell’Italia Centrale, Berlino 1881. 184 V. CIANFARANI, Archeologia e turismo dal Gran Sasso al Matese, Chieti 1965, carta allegata.

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Fig. 14 - Via Frustenias-Cerfennia

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nese 185, mentre Gasperini, non specificando, tra Aveia ed Alba Fucens 186. In un recente lavoro, Orsatti ritiene questo percorso, un tratto della Via Poplica Campana, che da Amiternum portava ad Alba Fucens e localizza Frustenias nel paese di Fonteavignone. 187 In passato identificai Frustenias con S. Martino d’Ocre 188, ma nuove considerazioni mi hanno condotto a conclusioni diverse. Ritengo probabile che Frustenia sia stato il nome dell’insediamento romano, che in epoca medievale prese il nome di Furcona, attuale Civita di Bagno. Le prime sicure notizie su Furcona sono riconducibili al suo vescovo Florio, il quale, nell’anno 680, fu convocato a Roma da papa Agatone 189. Essendo Forcona sede vescovile, quindi civitas, già nel VII secolo, non credo sia azzardato ipotizzare una più lontana origine, considerando quanto scrisse Paolo Diacono: «Tertia decima provincia Valeria est Nursia adnexa, inter Umbriam, Campaniam, Picenumque consistit, quae ab oriente Samnitum regionem attingit. Haec habet urbes: Tibur, Carseolis et Reate, Furconem et Amiternum regionemque Marsorum et eorum lacum Fucinum appellatur…» 190. 185  K. MILLER, Itineraria, cit., p. 319. 186  L. GASPERINI, Sedi umane, cit., ved. carta allegata. 187 B. ORSATTI, La via Poplica Campana da Amiternum ad Alba Fucens, BDASP LXXXI (1991), pp. 158-161. 188 S. ZENODOCCHIO, Note sulla viabilità antica in Abruzzo attraverso una nuova lettura della Tabula Peutingeriana, in: Incontri Culturali dei Soci, presso la DASP, III, Scanno 29/5, 1994, p. 19. 189  UGHELLI, I, Italia Sacra, I, pp. 412-25; A. L. ANTINORI, AIME VI, p. 488: “Florus exiguus Episcopus sanctae Furconensis Ecclesiae”; I. LUDOVISI, Storia delle Diocesi d’Amiterno e di Forcona nelle loro relazioni coll’origine dell’Aquila, Boll. Soc. Stor. Patr. A. L. Antinori (BSSPA) 1895, pp. 160-224 (180); I. D. MANZI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, Parigi 1901, XI, col. 303; P. F. KEHR, Italia Pontificia, IV, pp. 233-236; F. LANZONI, Le diocesi dell’Italia dalle origini al principio del secolo VII, Faenza 1927, vol. I, p. 370; L. PANI-ERMINI, Contributi alla storia delle diocesi di Amiterno, Forcona e Valva nell’Alto Medioevo, in Atti Pont. Acc. Rom. Archeol., “Atti e Memorie-Rendiconti”, 44 (1972); S. ZENODOCCHIO, Saggio di toponomastica Forconese dai regesti Farfensi, BDASP (LXXXI) 1991, pp. 252-253. 190 PAULI WARNEFRIDI, Istoria Langobardorum, II, 20, in M:G:H: Scriptores rer. langobard. et italic. saec. VI-IX, Hannoverae, 1878, 84.

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Bisogna tener presente che nel passato molti reperti archeologici vennero alla luce nei pressi di Civita di Bagno. Mura in opera poligonale si rinvennero in contrada Carboniera 191, mentre resti di opera reticolata furono segnalati dal Gardner in prossimità di Civita di Bagno 192. All’inizio del secolo passato Persichetti descrisse resti di opere pubbliche sempre nel territorio di Forcona 193. Scavi in corso hanno messo in evidenza un ampio complesso in muratura, lo stesso descritto dal Gardner, di probabile epoca sillana, mentre da attuali sondaggi, sempre nei dintorni, emergono strutture murarie databili al II sec. a.C. Non mancano, inoltre, reperti epigrafici 194, tra i quali con dedica a Silvano 195 e Venere 196. Possiamo inoltre aggiungere che il toponimo Frustenia è quanto mai appropriato, data la sua posizione nel territorio. Infatti Frustenia è composto di formazione latina e greca, frus-taenia, che possimo tradurre con: ‘fronte scogli’ 197, e nello specifico ‘scoglio’ nell’accezione di costa, balza, rude scoscendimento. Non è un caso, infatti, che Civita di Bagno sia posta ai piedi una barriera montagnosa lunga circa 10 km, che partendo da Poggio di Roio (q. 860), e salendo con andamento SE, raggiunge il monte Ocre (q. 2204). Ancor oggi questa fascia montagnosa, nel tratto Pianola-Ville di Bagno, è detta Costa 198. Con il tratto Aveia-Frustenias, che la Peutingeriana indica di due miglia, ritengo si debba intendere la distanza fra il bivio per Aveia (Monticchio), e l’altro bivio posto a 600m NO di Civita di Bagno, dove la strada, proveniente da Bagno Piccolo 199, incrocia l’attuale Vestina-Sirentina (SS 5 bis). La strada, 191 A. DE NINO, NSA, 1907, p. 28, 192 E. GARDNER, The Via Claudia Nova, in: JRS, II, 1913, p. 216. 193 N. PERSICHETTI, NSA, 1900, p. 643. 194 CIL, IX, pp. 341-344. 195 N. PERSICHETTI, NSA, 1901, p. 406. 196 CIL, IX, 3607. 197 Thesaurus linguae latinae, VI, II, 406, “frus vide fru[n]s, fros, frons-tis, f. = fronte”; taenia, ae f. al plur, lunghe scogliere marine (Plinio, N. H., IX, 131: “Melius taenias in taeniis maris collectum”. 198 IGM, f. 145 I NE, Lucoli. 199 Questa strada interna, tuttora, collegando Bagno Grande, Pianola, Roio Poggio, Sassa, ci consente di raggiungere la SS 17 Appulo-Sannita nei pressi di Civitatomassa (Foruli).

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invece, che collega la Valle dell’Aterno con quella del Fucino, partiva da Frustenia e seguendo l’andamento ricalcato dalla odierna SS 5 bis, saliva a S. Martino d’Ocre 200 e dal km 18, con andamento rettilineo, che si conserva nell’attuale sentiero, si portava a Trio, al km 20 201. Con un atto rogato il 25 luglio del 1430, dal notaio Andrea di Lucoli, si pose fine alle controversie tra i comuni di Ocre e Fossa per questioni di confini. Si stabilì che il versante nord del Monte di Cambio, Fossa grande di Cambio, Colle Miconi, Liscia, Mantra e il trio della ‘via grande’, località attraversate dai confini di Fossa, Ocre e Rocca di Cambio, fossero in comune, in perpetuo 202. Per la via grande, giustamente Degano avanza l’ipotesi che possa trattarsi della strada “che passando per Ocre collegava L’Aquila con Rocca di Cambio e, quindi, con l’altopiano di Rocca di Mezzo” 203. La strada AveiaCerfennia, passava a valle di Rocca di Cambio, poi Rocca di Mezzo, Rovere, Ovindoli e poco prima di quest’ultimo centro, in corrispondenza dell’attuale km 32, 8, incontrava, sulla destra, il bivio per Alba Fucens. Era questa la strada che da Alba conduceva a L’Aquila 204. Questo bivio dista da Civita di Bagno (Frustenia) circa 27 km, pari appunto ai XVIII m. p., Frustenias-Albe, della Tabula Peutingeriana. 200 IGM, f. 146 IV NO, S. Demetrio ne’ Vestini. 201 Sappiamo che presso questo trivio, il 13 luglio del 1271, Tuccius de Biceto qd. Falchi Maczuoli et nonnulli alii… mercatores Florentini, che transitavano per l’Abruzzo, furono depredati da malfattori i quali erano rifugiati in Rocca di Cambio, in loco qui dicitur Trivium Spinucii (Da: I Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da R. FILANGERI, Napoli, 1954, VI, 1270-1271, Registro XXII, n. 231, 13 luglio 1271). Ed ancora: “Nel 1423, durante l’assedio dell’Aquila da parte dell’esercito di Braccio da Montone, gli aquilani, per non morire di fame furono costretti a tentare delle sortite per procurarsi il cibo. Fu così che il 19 ottobre, in piena vendemmia, trecento fanti e cinquanta cavalieri ben armati, al comando di Giovanni di Matelica, detto Bottaniere, uscirono di notte dalla città dirigendosi su per la montagna verso Rocca di Cambio e quinti nella località detta Trigio (Trio?), si nascosero in attesa del giorno”. 202 A. L. ANTINORI, Corografia, cit., vol XXXI, s. v. Fossa, p. 644. 203 U. DEGANO, Storia ed arte delle “ville” d’Ocre, in DASP, Studi e Testi, fasc. n° 20, 1996, p. 68. 204 Questa deviazione è ben visibile sulla carta del De Revillas (D. DE REVILLAS, Carta della ‘Marsorum Diocesim’, realizzata nell’anno 1735 e conservata presso la Biblioteca Provinciale di L’Aquila), nonché in quella del Rizzi-Zannoni (G. RIZZI-ZANNONI, Atlante geografico del Regno di Napoli delineato per ordine di Ferdinando IV Re delle Due Sicilie, Napoli 1788-1812).

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Nella prima metà del XIX secolo, Liberatore ne descrisse dettaglianamente il percorso: «Una via chiaramente lastricata in ertezza corre da S. Martino di Ocre in verso i Cerri, da’ quali si sbocca al di sotto di Rocca di Cagno, ove al lato alla pubblica strada, sito della chiesa di S. Lucia, ...precisamente per lo piano di Rocca di Mezzo si giunge ad Albi per la montagna detta Magnola, ove più volte vidi pochi punti e lievi rotaje, ed intagli su selci di antica via...» 205 La strada che dal km 32, 8 si dirige verso Alba, in direzione SO lambisce le falde dei Monti della Magnola, in prossimità delle Sterpare, avanza lasciandosi sulla destra l’attuale centro di Forme 206 e sempre con lo stesso andamento raggiunge Alba Fucens 207. Tornando sulla Via Frustenia-Cerfennia in corrispondenza del bivio per Alba Fucens, la strada proseguiva, come l’attuale per Ovindoli, S. Potito, superava il bivio per Santa Iona e lambendo le falde occidentali della Serra di Celano raggiungeva la via Valeria  208. La Tab. Peut. tra Alba e Marruvium registra un intervallo di 13 miglia (19 km), distanza che mal si raccorda con la realtà. Per cercare di far luce sul problema, mettiamoci nei panni di un viator posto lungo la Via Valeria in prossimità del lago del Fucino. Non trovo logico procedere lungo quest’ultima in direzione di Alba Fucens o di Roma, altrimenti avremmo imboccato il bivio per Alba 13 miglia prima. L’altra possibilità è quella di procedere in direzione sud per San Benedetto (Marruvium) e quindi Castel di Sangro (Aufidena) o Cassino (Casinum), attraverso l’attuale Pescasseroli, la Montagna Grande ed i Monti della Meta. Infine in direzione di Collarmele (Cerfennia), cioè sempre lungo la Via Valeria, ma in direzione est, potremmo raggiungere Corfinium, Teate e la via litoranea ad Ostia Aterni. Con Marruvium registrato dalla Tab. Peut. ritengo, quindi, debba intendersi un trivio posto sicuramente sulla Via Valeria, dove un segnale di direzione avrebbe indicato le miglia per raggiungere la metropoli dei Marsi. Da Mar205  G. LIBERATORE, Opuscoli vari. La navigazione della Pescara, Aquila 1834-1839. 206  IGM, f. 145, II NE, Magliano dei Marsi. 207  IGM, F. 145, II SE Avezzano. 208 IGM, f. 146, III SO, Celano.

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ruvium, poi, per Cerfennia, la Tab. Peut. interpone VII miglia, cioè poco più di 10 miglia 209. La gran parte degli autori, Olstenio, Desjardins 210, Pansa 211, Radke 212, ed altri, sostengono che la Via Valeria raggiunga prima Marruvium e da qui Cerfennia con un’ampia curva, mentre Bunsen 213, seguito da Albertini 214, ritenne che la via, dopo aver seguito la sponda Sud del Fucino, passando per Lucus (Luco dei Marsi), arrivasse a Marruvium (San Benedetto). Ritengo che tutto ciò sia improponibile, perché se così fosse, partendo da Alba dovremmo raggiungere Cerfennia non in XII miglia ma dopo XX, e questo per una errata lettura della Tabula. A mio avviso Marruvium riportato dalla Tabula non riguarda l’antica capitale, bensì un bivio che conduceva alla città dei Marsi. Questa diramazione era, inoltre, distante XIII miglia dall’altro bivio sulla via che conduceva ad Alba Fucens. Secondo i miei calcoli questo incrocio dovrebbe essere ricercato presso Paterno 215. Infatti partendo dal bivio per Alba Fucens, passando poi per l’attuale Ovindoli, S. Potito e da qui lungo la n. 5 bis diramazione, raggiungiamo la Via Valeria a Paterno, presso la Strada Circunfucense, con percorso di poco superiore a 19 km, pari appunto alle XIII miglia della Peutingeriana 216. Qui avremmo trovato un cartello stradale che ci avrebbe segnalato la distanza in miglia per raggiungere Marruvium. Sempre secondo quanto riportato dalla Tabula Peutingeriana da Marruvium a Cerfennia corrono VII miglia (10, 350km), mentre altre V miglia separano quest’ultima dal Mons Imeus (Forca Caruso)  217. Partendo quindi dal bivio di Paterno, posto al km 120, 650 della Via Valeria, dopo VII miglia (10, 35 km) giungo esattamente al bivio per Collarmele (Cerfennia), al km 131, 1 209 Tab. Peut., segm. VI, 2. 210 E. DESJARDINS, cit., p. 170. 211 G. PANSA, cit., p. 11. 212 G. RADKE, cit., p. 346. 213 Ch: BUNSEN, cit., p. 122. 214 E. ALBERTINI, Notes critiches, cit., p. 465. 215 IGM f. 146, Sulmona. 216 Tab. Peut. segm. VI, 1. 217 IDEM.

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della consolare. Partendo infine da Collarmele per raggiungere Forca Caruso (Mons Imeus) bisogna percorrere scarsi 8 km, cioè le V miglia della Tabula Peutingeriana (Fig. 15).

Fig. 15

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VIA SALARIA-AMITERNUM-PELTUINUM-INCERULAE-VIA VALERIA Questa antichissima strada, quale raccordo tra la via Salaria e la via Valeria, originava dall’altopiano appenninico in un punto strategico, in prossimità delle sorgenti dell’Aterno, del Velino e del Tronto e attraverso la valle dell’Aterno raggiungeva la via Valeria. Il Devoto a riguardo affermava: «Se correnti italiche siano passate nella valle dell’Aterno dall’altopiano di Leonessa o dal passo di Antrodoco, non è deciso dai ritrovamenti archeologici, numerosi ma non importanti: le ragioni geografiche propendono forse per la prima ipotesi» 218. Possiamo considerare questa via un diverticolo della Via Salaria, che partendo da Vico Badies 219 attraversava la valle dell’Aterno e si ricongiungeva con la via Valeria 220. (Fig. 16).

Vicus Badies-Peltuinum Persichetti colloca Vico Badies, anche se con riserva, nei pressi di Accumuli, per l’esattezza nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria delle Camere 221. Da Accumoli, quindi, la strada scendeva a Sud passando in prossimità di Amatrice: 218  G. DEVOTO, Gli antichi Italici, cit., p. 96; V. CIANFARANI, L. FRANCHI-DELL’ORTO, A. LA REGINA, Culture Adriatiche, cit., p. 58:”La tradizione, come si è visto, assegna alle terre attorno all’alto corso dell’Aterno il ruolo di primitiva sede degli Italici; ma sia che essa fosse realmente colà, sia che colà debba viceversa ricercarsi un epicentro forse culturale di tutte le tribù sorelle, probabilmente le tribù italiche “. 219 L’unica notizia riguardante Vico Badies, la traiamo dall’Itinerario di Antonino, forse mutatio sulla via Salaria, in corrispondenza del migliario LXXXVIIII da Roma, compresa, fra Falacrinum (Collicelle) e ad Martis. 220  G. RADKE, cit., p. 332; S. SEGENNI, Amiternum e il suo territorio in età romana, Pisa 1985, pp. 109, 246. 92; E. MIGLIARIO, Uomini terre e strade. Aspetti dell’Italia centroappenninica fra antichità e alto Medioevo, Bari 1995, p. 107. 221  N. PERSICHETTI, Viaggio, p. 95 (1):”Nei pressi di questo paese pare fosse la seguente stazione di Vicus Badies, avendolo, dopo del Cluverius, ammesso quasi tutti gli scrittori. Se fosse però sulla destra o sulla sinistra del Tronto non se ne hanno prove certe” IGM, f. 132, II SO, Accumoli. E. ABBATE, Guida dell’Abruzzo, 1903 II p. 49.

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Fig. 16

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«...città di qualche importanza al tempo dei Romani, come attestano gli avanzi delle sue mura, del suo castello, del suo cammino coperto che conduceva dalla città al torrente Castellano; quivi passava la Via Salaria, di cui si scorgono ancora tracce» 222. Da Amatrice raggiungeva Montereale, dove in passato si rinvennero tracce di selciato stradale  223. Secondo la Migliario la strada proseguiva: «verso Sud lungo la riva dell’Aterno, per valicarlo all’altezza di Marana. Qui, passata in riva sinistra, la strada scendeva verso gli odierni S. Pelino e S. Giovanni e probabilmente si allontanava dal letto del fiume dove la valle inizia di allargarsi» 224. Nella chiesa di S. Eusanio, piccola frazione posta ad un chilometro circa ad Ovest di Barete, si rinvenne una colonna miliaria degli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano, recante il miglio LXXXIII, forse proveniente dal vicino suburbium di Amiternum 225. Attraverso le aerofotografie della zona in esame, la Migliario riconosce tracce del percorso della via antica 226. Ancora nel medioevo abbiamo notizia di questa antica strada, e precisamente nella relazione dell’abate di Farfa Giovanni sugli eventi del monastero: «...et in Marruce medietatem substantiae rectae per Statium et Alepertum et Lucerdanum germanos et filios Stalarii servus huius monasterii, et Geronem et Franconem germanos et filios Apae, harum rerum fines sunt: collis de Baliano, et Monumenta Clesurulae et mons super Marruce, et rivus Derentanus quo modo pergit in villam de Ragiolo usque viam Salariam” 227. La strada, prima di giungere ad Amiterno, procedeva ad Ovest di Pizzoli 228 222  E. ABBATE, Guida dell’Abruzzo, Roma 1903, II 48. 223  S. SEGENNI, cit., p. 246 n. 92; E. MIGLIARIO, Uomini, p. 107; IGM, f. 139 I SO Montereale. 224  E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 107. 225 CIL, IX, 5957, “in rudi, columna ad altare rudioribus litteris”. Il miliario, ora smarrito, fu rinvenuto dall’Accursio. Nel territorio di Barete sono venuti alla luce un discreto numero di epigrafi: CIL, IX, 4512, 4514, 4515, 4516, 4519, 4520, 4521, 4522, 4523, 4528, 4530, 4532. 226  E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 107. 227  Reg. Farf. doc. 401 a. 988; Chron. Farf., I p. 359. Per i singoli toponimi vedi: S. ZENODOCCHIO, Saggio di toponomastica amiternina, cit., pp. 299, 316, 325. 228  Provengono da Pizzoli epigrafi già riportate nel CIL, IX 4502, 4505, 4506, 4509, 4510.

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e poi per Cavallari 229, attraversava la città di Amiternum, passando tra il teatro e l’anfiteatro, secondo l’andamento Est-Ovest, rappresentandone così il decumano. E’ proprio in prossimità del teatro 230 che incrociava l’altra strada proveniente da Preturo (antico praetorium), ritenuta da tutti la via Caecilia, che ne rappresentava il cardo 231. Che la strada poi proseguisse parallela all’attuale SS 80 è cosa certa, infatti, verso la fine dell’Ottocento se ne rinvennero alcuni tratti 232. Il primo era rappresentato da un muro di 15 m, il secondo di 35 m ed il terzo di 23 m. La larghezza della strada era di 6 m e mentre i due tratti più vicini ad Amiterno erano sulla sinistra dell’attuale, il terzo era sulla destra. L’andamento non lasciava dubbi sulla direzione, infatti puntava diritta verso Pitinum  233. Più innanzi, un chilometro circa prima di giungere a Cansatessa, prossime alla strada, sulla sinistra, sono note due grotte, dette di Isabella, probabilmente criptoportici appartenenti ad una villa rustica. Sempre nei pressi di Cansatessa, nel 1758 si rinvennero i resti di un’altra villa romana, secondo quanto riportato dall’Antinori 234, mentre poco distante era l’ antico centro di Pitinum (Pettino) 235. Procedendo sempre lungo l’attuale SS 80, la strada passava forse a settentrione del colle sul quale sorse poi L’Aquila 236, e

229  Oltre materiale epigrafico, CIL, IX, 4503, 4504, 4507, 4511, sono venuti alla luce nei dintorni di Cavallari, diversi leoni funerari 230  Il teatro di Amiternum venne alla luce soltanto verso la fine del secolo XIX; NSA, 1878, pp. 39-40; 1879, pp. 181-182; 1880, p. 290ss; pp. 350-52; pp. 379-82; 1885, p. 48. 231  IGM, F. 139 II SO, Scoppito. 232  G. LIBERATORE, Opuscoli vari, cit., p. 93: “Non solo scoverta, ma rilevata manifestasi in seguito nella uscita da Amiterno la stessa via per più di un miglio con de’ macigni a’ lati per Est ad Acqua Oria, ov’eran gli antichi pubblici bagni amiternini, e di là verso Pitino”; NSA, 1892, pp. 429-30;N. PERSICHETTI, Viaggio, p. 140 ss. 233  IGM, f. 139 f. 139 II S. E, L’Aquila. La strada è riportata da Kiepert nella carta allegata al CIL, IX. 234 A. L. ANTINORI, Corografia, cit., XXXVII, f. 44; G. MARINANGELI, Pitinum: mansio sulla Claudia Nova, BDASP, XLVII-L (1957-60), p. 330. 235  PLINIO, II, 229; A. LEOSINI, Sulla città di Pitinum ne’ Sabini, Aquila 1859, p. 39; O. CUNTZ, Pitinum, cit., pp. 207-212; N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 202; G. MARINANGELI, Pitinum, cit., pp. 287-371. Francamente nutro qualche perplessità nel voler ravvisare in Pitinum una mansio data la vicinanza della città di Amiterno. 236  IGM, f. 139 II SE, L’Aquila.

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per Gignano 237 raggiungeva Bazzano (Vicus Offidus) 238. Da qui si dirigeva poi verso Poggio Picenze, stando a quanto riferisce Liberatore: «…. pria di giungere a Poggio Picenze, quella strada che cavalcasi innanzi al costruirsi la odierna, parvemi sempre di antica struttura» 239. Che la strada proseguisse dopo Poggio Picenze è cosa certa, infatti:

«dopo il cennato Poggio, scarse 2 miglia (...) richiama l’attenzione del viatore un taglio su dura pietra di circa 10 palmi verticali ed intorno a 60 passi di lunghezza. Eravi al centro antica via, la quale poco al di là del principio dei costi detto Vallone dell’Inferno, su cui è il recente malaugurato ponte, dividevasi, com’è patente in due» 240. Nel territorio di Poggio Picenze era l’antico pagus Frenetes, come rilevato in passato da materiale epigrafico 241. Procedendo sempre in direzione est, dopo aver superato di circa tre chilometri Poggio Picenze, tra la SS 17 ed il vecchio tratturo di Foggia, si incontra una piana detta Farfona, dall’antico vicus di Furfo 242. Attualmente di questo villaggio restano soltanto i ruderi della chiesa medievale di S. Maria di Forfone  243, costruita sull’antico tempio dedicato a Iuppiter Liber, come apprendiamo da un’epigrafe risalente all’anno 58 a.C. 244. 237  Nell’anno 1399 e precisamente il 12 di luglio, tal Antonio di Cecco di Paolo di Catallo di Collebrinconio acquista un terreno selvato nelle pertinenze di Gignano, nel luogo detto S. Giacomo, confinate con la via vicinale, e la via pubblica (Regesto Antinoriano, a cura di S. Piacentino, DASP, Documenti per la Storia d’Abruzzo, n. 1 a. 1977, p12 n. 19; Sempre a Gignano nell’anno 1366, Antonio di Cola di Muzio di Tommaso di Paganica e Caterina sua sorella vendono cinque stari di vignato, confinanti con altri loro beni e a via pubblica (U. Speranza, Il Regesto e la storia del monastero di S. Basilio in Aquila, compilati dall’Antinori, DASP, 1933 p. 31 n. 41). 238  IGM, F. 140 III SO, Paganica. 239 G. LIBERATORE, cit., p. 93. 240  Ivi, p. 94; IGM, F. 146, IV NE, Barisciano. 241  A. LA REGINA, cit., pp. 377-383. 242  IGM, F. 146 IV NO S. Demetrio ne’ Vestini; CIL, IX, pp. 333-335. 243  Chron. Farf., II pp. 7, 35: “ In forconensi territorio curtes III quartam Sanctam Mariam (positam) in Furfone” 244 CIL, I2 756; CIL, IX 3515; ISL 4906; I. LUDOVISI, Topografia della regione vestina, BSSP, 1897, p. 18; A. LA REGINA, cit., pp. 393-396; F. COARELLI, A. LA REGINA, Abruzzo Molise, Bari 1984, pp. 16-17.

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Era ancora abitato in epoca mediovale (VIII-IX sec.), infatti erano presenti in Forfone 17 famiglie di servi dell’abazia di Farfa 245. Il ramo sinistro della strada si sviluppava lungo il piano presente sotto Barisciano,  246 poi a nord di Castelnuovo e quindi in direzione SE fino alla chiesa di Centurelli. 247 L’altro ramo, invece: «Volgeva il destro lato del detto principio del Vallone dell’Inferno per Sud e poscia a gradi pel Sud-Est calcato dalla ruota sin pria della novella pubblica strada... e per quello aperto amen’orizzonte seguiv’avanti sino allo entrar di Ovest in Peltuinio» 248. L’antico centro vestino di Peltuinum, 249 era posto tra Prata d’Ansidonia e Castelnuovo e più precisamente nell’odierna località di Civita Ansidonia 250. Già praefectura 251, la città era fornita di terme (CIL, IX 3430), di un acquedotto (CIL, IX 4206), e mentre il teatro era fuori del perimetro cittadino, al contrario, l’anfiteatro era dentro. La città era attraversata dalla Via Claudia Nova che procedeva in direzione Ovest-Est, ricalcata in seguito dal Tratturo Regio. Peltuinum-Incerulae-Via Valeria Sempre secondo Liberatore, la strada uscendo dalla città dal lato Est: «...discendesi per dolce curva a SE nella cennata pianura, ove sul suolo rilevata mirasi un’antica via di non breve lunghezza parallela 245  Chron, Farf., I p. 26322 246  Ancor oggi prima di giungere a Barisciano, sulla destra della strada, a pochi metri, è visibile un antichissimo ponte ad un solo arco, discretamente conservato. 247 G. LIBERATORE, cit., p. 94 248  IDEM, cit., p. 94. 249  PLINIO, III, 12, 106; III, 18. 250  IGM, f. 146, IV NE, Barisciano; CIL, IX, pp. 324-333; I. LUDOVISI, Topografia, cit., pp. 17-27; A. LA REGINA, Ricerche, cit., pp. 396-400; IDEM, Peltuinum, in:Quaderni dell’Ist. di Topografia Antica Univ. di Roma, I, (1964), pp. 67-63; G. LEONARDIS, G. MARINANGELI, Peltuinum Vestinorum, L’Aquila 1967, p. 23; V. PLACIDI, La città ed il territorio di Peltuinum nei Vestini: problemi dell’insediamento, Roma 1980, pp. 19-27; F. COARELLI, Abruzzo, cit., pp. 27-30. 251  CIL, IX, 4209;M. BUONOCORE, G. FIRPO, Fonti latine, cit., II, 2, pp. 859-861.

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alla facciata di Osteria Nuova; dalla quale dista per meno di cento passi con cammino per Sud verso le strette nel basso di Civitaretenga» 252. A scarse due miglia ad Est di Civitaretenga troviamo il paese di Navelli, l’antico pagus di Incerulae 253. Che una strada collegasse Navelli a Popoli è cosa certa, infatti ce ne da conferma, per un breve tratto, il Liberatore: «né star potea senza strada agiata il Pian di Navelli e di Collepietro, nel cui fine a destra per Ovest osservai più volte piccol edificio di vetusta struttura a cassettoni; e nel vicino incominciamento a sinistra della così detta Salita di S. Rosa tra recenti colonnette migliari 109 e 108 ravvisai qualche sasso verticale al suolo come piallato fosse alla giusa di quelli a Nord del miglio 120 e di Sigillo, ed eziandio un rimasuglio di reticolata fabrica» 254. Nei pressi di S. Rosa venne alla luce materiale riconducibile al Bronzo finale insieme a reperti protovillanoviani 255. In passato furono descritti tagli di roccia e solchi di carri: «specialmente nel gomito che fa l’attuale strada provinciale, quando volge per andare a Collepietro» 256. Dal bivio di Collepietro, lungo la tortuosissima e ripida strada, nota come ‘Le Curve di Popoli’, raggiungeva il sito dell’attuale Popoli, forse l’antico pagus Fabianus 257, sulla Via Valeria 258.

252 G. LIBERATORE, cit., p. 95; IGM, f. 146 IV NE, Barisciano; T. BONANNI, Quale fu e quale potrebbe essere la provincia del II Abruzzo, Aquila 1875, p. 18; Ceramiche subappenniniche furono rinvenute nel 1938 lungo la Nazionale (F. GIUSTIZIA, Paletnologia, cit. p. 36, n. 75). 253  IGM, F. 146, I SO, Navelli. 254  G. LIBERATORE, cit., p. 95. 255  E. MATTIOCCO, Centri fortificati preromani nella conca di Sulmona, Chieti 1982, pp. 9, 18-19. 256  A. DE NINO, NSA 1892, p. 484. Non lontano dal lago omonimo, in località Murelle, si rinvennero avanzi di colombario, mentre altre tracce di questa strada le segnalò De Nino a Nord di S. Benedetto in Perillis, nella valle di S. Nicola, Ivi, p. 484 257 PLINIO, N. H. 17, 250. 258  IGM, f. 146 I SO, Navelli; A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 428 n. 407.

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VIA CAMPANA (*) Una pista che collegava la costa laziale con l’interno dell’Appennino, era presente già in epoca preistorica e permetteva ai pastori dell’entroterra di spingersi verso la Campagna Romana, sia per i pascoli invernali che per la necessità di sale. Infatti, secondo quanto riportato da Festo 259, i Sabini avevano la possibilità di approvvigionarsi di sale dalle saline del Tirreno già in epoca regia. L’antichissimo percorso delle saline iniziava in prossimità della foce del Tevere, nel territorio dell’antica Veio; risaliva il corso del fiume lungo la riva destra, fino a Roma, punto guadabile più vicino al mare, e dopo il guado si dirigeva verso i monti del Reatino, quindi nel cuore della Sabina. Per secoli, lungo questa pista transitarono i pastori con le loro greggi e, non a caso, Roma nacque proprio nel punto nevralgico di tale percorso, che meglio permetteva il controllo dei traffici. Infatti, proprio in corrispondenza del Foro Boario, il fiume si allargava consentendo il passaggio delle transumanze 260. Ben presto intorno a questo sito, divenuto luogo d’incontro 261, di mercato 262 e di culto 263, iniziò lo sviluppo dell’antica Roma. 259  (*) Questo lavoro è già stato pubblicato su questo Bullettino nell’annata LXXXVII (1997), pp. 5-27. FESTO, 436, 8ss. “ < Salar>iam viam < incipere ait a port >a quae nunc Col <lina a colle Quirina>li dicitur. < Salaria autem propterea a >ppellabatur <…. > it ea liceret< a mari in Sabinos sal >em portari”; ORATIO, Ep., III, 1 ss.; Dion. Alic. III, 33; PLINIO, XXXI, 89: “Sicut apparet ex nomine Salariae viae, quoniam illa salem in Sabinos convenerat”. 260 F. COARELLI, Il Foro Boario, Roma 1988, pp. 112-113; R. PIETRAGGI, Viabilità tra Roma e Porto, in: ‘Viae publicae romanae’, Roma 11-25 aprile 1991, pp. 75-76 (Catalogo). 261 Era qui che convergevano i traffici fluviali del Tevere, sul Portus Tiberinus sotto la tutela di Portunus, divinità degli accessi fluviali, alla quale fu dedicato il tempio che impropriamente vene detto della Fortuna Virile. Altre rotte di scambio e commercio erano rappresentate da due direttrici: una che da Ostia raggiungeva l’Appennino interno, mentre l’altra l’Etruria e la Campania. 262 In tempi remoti venne organizzandosi il Foro Boario per il mercato dei bovini, la primitiva pubblica piazza della città. 263 Sempre nel Foro Boario, tra i più antichi santuari della città (Fortuna, M ater Matuta, Libero e Libera, Cerere), era l’area di Ercole, dove il 12 agosto di ogni anno aveva luogo la festa dell’ Ara Maxima. Ercole era infatti considerato il protettore dei mercanti e delle greggi, legato alla cultura italica della transumanza.

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Risaliva forse al VII sec. a.C. il primitivo ponte di legno, detto appunto ponte Sublicio 264, il passaggio sulla sponda sinistra del Tevere a chi veniva dalla Via Campana (Portuensis) e dalla Via Caeretana (Aurelia), mentre intorno al II sec. a.C., si costruì il primo ponte di pietra sul Tevere, il ponte Emilio. Dopo la decennale lotta tra Roma e Veio (406-396), conclusasi con la definitiva sconfitta di quest’ultima (Livio V, 21, 14), Roma rafforzò la sua influenza sul commercio del sale e, quindi sui popoli dell’entroterra ad economia prevalentemente pastorale che da essa dipendevano per l’approvvigionamento 265. Sappiamo per certo che da Roma una strada, la Via Campana 266, costeggiando la riva destra del Tevere conduceva alle saline di Veio (Campus Salinarum) e quindi a Porto 267. Iniziava dal ponte Sublicio 268, sullo stesso tracciato della Via Portuense, ma dopo circa due miglia le due strade si separavano. Mentre la Via Campana si Intorno al II sec., a.C., sempre ad Ercole, fu dedicato il tempio detto di Ercole Olivario, impropriamente denominato di Ercole Vincitore, posto a nord e poco discosto dall’ Ara Maxima. 264 LIVIO, I, 33, 6: “Ianiculum quoque adiectum, non inopia loci sed ne quando ea arx hostium esset. Id non muro solum sed etiam ob commoditatem itineris ponte sublicio, tum primum Tiberi facto, coniungi urbi placuit”; Dion, Halic., III, 45, 2. 265 Il sale, infatti, veniva raccolto a Roma in grandi magazzini posti sotto l’Aventino presso la porta Trigemina (Livio, XXIV, 47, 15: “Romae foedum incendium per duas noctes ac diem unum tenuit. Solo aequata omnia inter Salinas ac portam Carmentalem cum Aequimaelio Iugarioque vico et templis Fortunae ac matris Mutatae”; FESTO, 272 L; FRONTINO, 1, 55; J. SCHEID, Note sur la via Campana, in MEFRA 88. 1976, pp. 637-639; F. COARELLI, Il Foro Boario, cit., p. 111; Idem, I santuari, il fiume gli empori, in: Storia di Roma, vol. I Roma in Italia, 1988, p. 134), nei pressi della chiesa di S. Maria in Cosmedin, che in passato era ricordata col nome di Salinae. 266  SVETONIO, Aug., 94, 7: “Mentre pranzava in un bosco a quattro miglia da Roma, lungo la Via Campana, un’aquila venne improvvisamente a strappargli il pane dalla mano e, dopo essere volata molto in alto, di nuovo improvvisamente discese dolcemente e glielo riportò”, (traduz. di E. Noseda); CIL, VI, 29772; C. HÜLSEN, NSA, 1888, pp. 228-229; R. LANCIANI, Bull. Comun., 1888, p. 87; F. COARELLI, Il Foro Boario, cit., p. 113;E. DE RUGGERO, Dizionario epigrafico, II, 1 a. v. Campana. 267 L. BIONDI, Di tre cippi terminali discoperti nella ripa destra del Tevere e specialmente di uno di essi dove si fa menzione della Via Campana e dell’onere vigilario e degli Cocciani e Tiziani, in: Dissertazione della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, IX 1840, pp. 45ss;G. CALZA, Scavi di Ostia, I Roma MCMLIII, p. 15. 268 F. COARELLI, Il Foro Boario, cit., p. 113.

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manteneva sempre vicina al Tevere, lungo il tracciato dell’ attuale Via Magliana 269, la Via Portuense procedeva parallelamente, ma più a monte, per ricongiungersi a Ponte Galeria. La Via Campana giungeva finalmente al Campus Salinarum, l’attuale Campo Salino, mentre la Via Portuense proseguiva per un breve tratto fino a Porto. Ritengo probabile che, almeno in origine, la Via Campana da Roma proseguisse verso la Sabina interna, raggiungesse cioè Reate (Rieti), Interocrium (Antrodoco), nonché il territorio sabino di Amiternum. Un elemento a favore di questa ipotesi è rappresentato da un’epigrafe di età repubblicana, rinvenuta presso la chiesa di S. Pietro di Coppito, prossima a L’Aquila, sulla quale si riporta di una Via poplica Campana 270: itus actusque est/ in hoce delubrum/ Feroniai ex hoce loco/ in via(m) Poplicam/ Campanam qua / proxsimum est / p (edes) (mille ducentos decem) […. ]. In latere sin.: Fero[niae]. Senza dubbio proveniente dal vicino ager di Pitinum (Pettino), vi sarà stata trasportata insieme ad altre epigrafi nel corso dei secoli. La pietra risulta mutila della parte inferiore (Foto 1). Il testo dell’epigrafe possiamo tradurlo come segue: L’adito a questo delubro di Feronia ai pedoni ed ai veicoli 271è da questo luogo sulla Via poplica Campana dalla quale (il delubro) dista 1210 passi”. 269 G. LUGLI, Carta archeologica del territorio di Roma, 1962 f. 4;R. LANCIANI, Il fascino di Roma antica, Roma 1986, p. 85. 270 CIL, IX, 4321; I, 1291 = ILS, 3480 = ILLPR, I, 486; AE 1957;G. MARINANGELI, Pitinum, cit., p. 209; B. ORSATTI, La via poplica Campana, cit., pp. 152ss. 271 Tra le più antiche servitù rustiche riportate dalle Institutiones di Ulpiano (fr. 1 pr. D. 8. 3.), iura itinerum (iter, actus, via) e l’aquaeductus, l’iter consentiva esclusivamente il passaggio a piedi, mentre l’actus indicava la possibilità di passaggio alle greggi. Non sempre risulta agevole delimitare queste figure, infatti non sappiamo se nell’ actus fosse contemplato o meno l‘iter. La via sarebbe invece la somma delle servitù iter ed actus, cioè permetterebbe di circolare a piedi, con le greggi, con i carri, a cavallo, in qualunque ora del giorno e della notte, ed in entrambi le direzioni. Secondo Biondi: “Così ad esempio la servitù actus, secondo il suo contenuto legale, importa ius agendi vel iumentum vel vehiculum”. Dunque si costituisce puramente e semplicemente una servitù actus, si intende attribuita la facoltà di passare a cavallo o con qualunque veicolo, in tutte le ore e in tutti i giorni” (B. BIONDI, La categoria romana delle servitutes, Milano MCMXXXVIII, p. 639); Thesaurus Linguae Latinae, alla voce Actus: “ Actus est via, ubi possunt duo carra incedere”, Gloss. U. 615, 29;V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli 1978, p. 236; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Varese 1990, p. 460

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Ad una prima analisi del testo ci si rende conto della sua arcaicità, infatti, non a caso il Mommesen la colloca tra le antiquissime 272. Oltre la presenza di termini arcaici quali: proxsimum, poplica, al pronome hoce  273, al genitivo Feroniai, si noti l’arcaicità delle lettere P ed M. Tutti questi elementi ci

Foto 1 spingono a collocarla intorno al II-I sec. a.C., e ciò concorda con le ultime manifestazioni pubbliche del culto di Feronia, anche se non va dimenticata la possibilità di una persistenza di forme arcaiche dato l’ambito provinciale. Sull’epigrafe è menzionato un delubro dedicato alla divinità silvestre ed italica di Feronia, il cui culto è ampiamente documentato presso i Sabini 274. Oltre che presso i Piceni, gli Umbri, i Volsci. Diversi titoli provenienti dalla valle dell’Aterno ci danno un’ulteriore conferma di tale culto 275. Sul lato sinistro era incisa la parola Feronia, ora leggi272 CIL, I, 2, 1291. 273 L. R. PALMER, La lingua latina, cit., p. 312;Dion. Alic. II, 49. 274 CIL, IX 4230; 4873, 4875; 4888; E. C. EVANS, cit., p. 155; R. DEL PONTE, Dei e miti italici, Genova 1986, p. 175 nota 58; G. DUMEZIL, La religione romana arcaica, Milano 1977, pp. 361-366. 275 CIL, IX, 4180, 3602; M. ALIMONTI DI BARTOLOMEO, Aveia città nei vestini, BDASP, LXV (1975), pp. 556-557.

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bile solo per metà, che permetteva al viandante, dall’altro senso di marcia, di leggere la scritta indicante il bivio che conduceva al delubro. Barreca ritiene che l’epigrafe debba essere stata collocata in origine all’interno dell’area sacra del tempietto, considerazione che fa derivare dal fatto che hoce indichi qualche cosa di molto vicino, cioè entro l’area sacra 276. A questo possiamo obiettare, però, che anche proxsimum debba tradursi con ‘vicinissimo‘ ma che i 1210 passi, tale è la distanza delubro-Campana, non siano poi tanto prossimi. Forse quel proxsimum vuole essere un invito al viandante a deviare verso il delubro. Lo stesso autore ritiene che: «il senso tuttavia per la perdita della parte inferiore della lastra, non è compiuto» 277. Per ciò che concerne la parte mancante, ritengo fosse anepigrafe, in base ad alcune considerazioni materiali. Innanzitutto possiamo associare l’epigrafe ad un moderno cartello stradale, il quale dopo aver rammentato al viaggiatore di trovarsi sulla Via poplica Campana, in prossimità del bivio che conduce ad un tempietto di Feronia, posto lungo una strada di libero accesso a 1210 passi di distanza, credo abbia assolto ampiamente al suo compito. Inoltre non dimentichiamo che questo cartello esiste soltanto per il fatto che è presente un delubro a 1210 passi e quindi tutte le informazioni che esso deve fornire riguardano soltanto l’andare verso il delubro stesso. Probabilmente sarà stata collocata non dai viocurii, ma dagli addetti al culto della dea Feronia. Bisogna inoltre considerare che tutti i cippi deputati alla viabilità, iniziano e terminano col numerale ed il nostro non fa eccezione. Infatti, osservando il modulo dei caratteri dell’epigrafe, notiamo che le lettere risultano essere più piccole (3 cm), rispetto al numerale (5,5 cm). Questo concorre a rafforzare quanto sostenuto in precedenza, cioè che la parte mancante probabilmente sarà stata anepigrafe (Fig. 17). Oltre questa nostra epigrafe, esiste qualche altro elemento nell’agro pitinate che possa ricondurci al tempio di Feronia? Lungamente molti studiosi hanno rivolto il loro interesse ad un rudere or276 F. BARRECA, Il ricordo di una via antica in una epigrafe dell’amiternino, in: Bull. Commiss. Archeol. Roma, 75 (1953-1955), p. 15. 277 Ivi, cit., p. 15.

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Fig. 17 mai fatiscente, localizzato sul colle a sud del lago di Vetoio, definendolo ora tempio, ora tomba, ora terme 278. I più lo ritengono un tempio, Leosini prima, Marinangeli dopo, lo dicono dedicato a Feronia 279. Nei pressi del rudere, in passato, era una chiesetta dedicata a S. Martino, detta appunto S. Martino in Furonibus 280, all’interno della quale si rinvenne un’epigrafe riguardante la dea italica Praestita, detta anche Ancharia o Fero-

278 N. PERSICHETTI, NSA, 1896, p. 174. 279 A. LEOSINI, cit., p. 35;G. MARINANGELI, Pitinum, cit., pp. 338-339; Idem, Sepolcro terme, tempio di Feronia?, in: Misura, a. II, n. 2, pp. 99-100. 280 A. L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi dall’epoca preromana sino all’anno 1777 dell’era volgare, VIII/2, 632 a. 1234;G. PANSA, Regesto dell’insigne monastero di Collemaggio presso Aquila, in: Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte, a. 1900, 75 “…terra aratoria in pertinentiis de Poppleto ubi dicitur ad Sanctum Martinum”, documento del 18 giugno 1500.

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nia 281, riconducibile forse al nostro tempietto 282. Da un’altra epigrafe rinvenuta anch’essa nei pressi del lago di Vetoio, apprendiamo dell’esistenza di due probabili liberti, Feronius e Feronia gravitanti nel territorio pitinate 283. Altri elementi a favore di questa tesi sono tutti riconducibili al rituale della dea, cioè la circostante ricchezza di acqua. Infatti il delubro è prossimo al laghetto di Vetoio, inoltre quale divinità agreste, ben si inserisce nella zona ricca di campi coltivati. E’ pur vero che la presenza dell’epigrafe ci influenza fortemente verso l’ipotesi del delubro e senza la quale ben pochi, almeno credo, avrebbero sostenuto tale assunto. Solo un scavo sistematico sul luogo potrebbe forse chiarire definitivamente la questione. Ritenendo valida la tesi del delubro, cerchiamo ora di rintracciare il sito dove fu collocata l’epigrafe. Innanzitutto sarà stata collocata ad un incrocio distante dal delubro almeno 1210 passi e sulla Via poplica Campana, strada sicuramente più importante rispetto a quella passante per il delubro stesso. Questa ultima considerazione deriva dal fatto che il lapicida riportò sull’epigrafe l’itus e l’actus, segno evidente che la strada per il delubro doveva certo dare l’idea, al viaggiatore, di una strada più piccola e privata. L’unico incrocio che secondo me risponde a questi requisiti, è quello nel quale ci si imbatte dopo aver superato il ponte di Coppito sull’Aterno, incrocio posto sulla destra e precisamente dove inizia la strada che i locali chiamano ‘la via del Lago’ (F. 18). Infatti da questo incrocio, per raggiungere il delubro bisogna percorrere 1820 m, corrispondenti a 1230 passi romani 284. Se è vero che tra quanto misurato sulla carta e quanto riportato sul testo dell’epigrafe esiste uno scarto di 20 passi (31 m), è pur vero che quest’ultima risulta franta proprio nell’estrema destra del numerale. Potremmo anche 281 R. DEL PONTE, Dei e miti italici, Genova 1986, p. 175;V. PISANI, Le lingue antiche oltre il Latino, Torino 1986, pp. 176-177; W. EHLERS, Praestita, in RE; A. BRELICH, Lo Juppiter della Tavola di Agnone, in Abruzzo, 12 (1974), pp. 151ss. 282 S. MASSONIO, Dialogo dell’origine della città dell’Aquila, Aquila 1594, p. 43; CIL, IX, 4322, Orfitae atticae/G. Aponi sabini/praestitae/v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito). 283 CIL, IX, 4230. 284 Tale distanza è stata calcolata su foglio catastale dell’Aquila n° 66, scala 1: 2000.

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Fig. 18 - Via Campana supporre che in origine i passi fossero 1230 ed avere così corrispondenza piena 285. Che una strada passasse a circa 30 m a SO del delubro è cosa certa, in quanto ancor oggi si conserva memoria tra gli abitanti del luogo 286. Tentiamo ora di rintracciare il percorso della nostra via, tenendo presente che la Via poplica Campana, in quanto via publica, era un’arteria importante, forse ristrutturata successivamente alla deduzione romana del territorio (293 a.C.), e probabilmente in origine seguiva direttrici naturali. Barreca sostiene che: 285 I 1230 passi corrispondono a 1818, 5 m, cioè gli stessi della carta catastale. 286 In passato durante il lavoro dei campi, Pietro Ciuffetelli, nato e vissuto nel cascinale omomimo, poco discosto dal delubro, ha notato tracce di antica strada inghiaiata, larga 3 m circa, la quale passava 2 m a sud della siepe viva che ancor oggi procede in direzione NO. Infatti il grano seminato nel tratto corrispondente all’antico percorso, maturava più in fretta e cresceva meno, a causa della ghiaia sottostante, costringendolo a strapparlo con le mani alla mietitura. Le notizie mi sono state fornite dalla nipote Antonia Ciuffetelli.

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«Il termine ‘Campana’ disignante la via pubblica che passava ad un buon miglio di distanza dal delubrum di Feronia nell’amiternino, non è nuovo nella toponomastica dell’Italia antica. E’ noto infatti come l’aggettivo ‘campus’ si trovi riferito all’ager di Capua, ad un ponte dell’Appia fra Sinuessa e Casilinum (cfr. Hor. sat. 1, 5, 46c; Cic. ad Att., XIV, 161) alla via congiungente Puteoli con Capua, ad una via del territorio falisco (cfr. Vitruv. VIII, 317) e finalmente alla più antica via congiungente lungo la riva destra del Tevere, Roma con Porto (Suet. Aug. 94 287 ed epigrafi)». Aggiunge che ogniqualvolta l’aggettivo campanus si rinvenga nella toponomastica dell’Italia Centrale, debba porsi in relazione con Capua e con la Campania e che quindi la poplica Campana era la via che dall’amiternino conduceva a Capua 288. Per dare, inoltre, maggior vigore a quanto sostenuto, fa riferimento ad un passo di Livio per l’anno 340 a.C., riguardante la guerra tra i Romani ed i Latini, alleati con i Campani: «consulesque duobus scriptis exercitibus per Marsos Pelignosque profecti adiuncto Samnitium exercitu ad Capuam, quo iam Latini sociique convenerant castra locant» 289. Rigetta l’ipotesi dell’Hülsen, il quale trattando dell’antichissima Via Campana, congiungente il Campus Salinarum con Roma, affermava che la Via Campana traesse il nome dal Campus Salinarum 290. Trattando della via Portuense, Tomassetti affermò: «Quivi era anteriore la via Campana una delle più antiche suburbane, appellata dal campus salinarum romanorum, cioè dalle saline primitive dei Romani, attribuite dagli storici ad Anco Marcio, e riconosciute con recenti scoperte, di cui a suo luogo dirò, nella tenuta moderna Campo Salino» 291. Una lancia in favore dell’Hülsen la spezza Scheid: 287 F. BARRECA, cit., p. 16. 288 Ivi, pp. 19-20. 289 Livio, VIII, 6, 8. 290 C. HÜLSEN, NSA, 1888, p. 229. 291 G. TOMASSETTI, Della Campagna Romana, Estratto dall’Archivio della Società Romana di Storia Patria, voll. XXII-XXIII a. 1900, p. 5.

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«L’hypothése de Hülsen formulé avec le plus stricte rigueur scientifique, garde toute sa valeur et peut etre considérée comme un acquis definitif. Pour la via publica Campana d’Amiterne, le lien avec Capoue et la Campanie reste tout aunsi imaginaire, malgré les afforts prodigués par l’auter pour l’etablir» 292. Trattando dei rapporti tra la Roma primitiva e gli stagni alla foce del Tevere, De Francisci accenna al Campus Salinarum, riportando in nota: «Penso non sia congettura temeraria affermare che in origine l’espressione‘campus’ indicasse soprattutto zone paludose: così i campi Vaticani, il campus Martius, i campi Fenectani (Livio, VIII, 12, 5: Acta Triumphalia, a. 339 a.C.)» 293. Dello stesso avviso è Radke 294, seguito da Quilici 295 e da Staccioli 296, mentre Marinangeli nutre qualche perplessità 297. In un recente studio sulla Via poplica Campana, Orsatti ritiene che tale strada mettesse in comunicazione gli antichi centri di Amiternum ed Alba Fucens, ravvisandone il percorso sulla Tabula Peutingeriana: “Nella Tab. Peut. appare chiaro un itinerario che collegava Amiternum ad Alba Fucens attra292 J. SCHEID, Note, cit., p. 625. 293 P. DE FRANCISCI, Variazioni su temi di preistoria romana, Roma 1974, p. 91 nota 313. 294 G. RADKE, cit., pp. 108-110: “La via Campana prendeva il nome dai campi di sale esistenti sul corso inferiore del Tevere”. 295 L. QUILICI, Le strade. cit., p. 13: “la via Campana (via della Magliana-via Portuense), che prendeva il noma dal Campus (Salinus), a destra della foce del Tevere (Porto e Maccarese), dove erano le saline che conosciamo nella storia più antica di Roma e Veio”; IDEM, Le strade romane nell’Italia antica, in X Mostra Europea del Turismo, Artigianato e delle tradizioni culturali: Viae publicae romanae, Roma, 15-25 aprile 1991, p. 17. 296 R. A. STACCIOLI, La “via del sale”, in: Lunario romano. Strade nel Lazio, Roma 1994, p. 286, ” Il passaggio sulla sponda destra era necessario perché alla foce del fiume si trovavano proprio da quella parte le saline maggiori, i cosiddetti Campi salinarum donde venne il nome di Campana col quale la strada fu indicata fino a che non fu ribattezzata Portuensis…”. 297 G. MARINANGELI, Sepolcro, cit., p. 106, nota 30: “…pensando che, se si fosse trattato di una via, quale intenderebbe Barreca, si dovesse precisarla con poplica(m) dell’epigrafe. Non potrebbe quindi, il campana(m) avere qualche altro significato, diciamo così, più ristretto e locale?”. Sempre in merito alla nostra strada Leosini: “La via poplica Campana era quella che conduceva alla campagna, era il così detto Campo di Pile “(A. Leosini, Sulla città di Pitinum ne’ Sabini, Aquila, p. 26).

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verso Prifernum, Aveia e Frustenias” 298. Questa ricostruzione desta qualche perplessità per tutta una serie di contraddizioni. Se nel collegamento Amiternum-Alba della Tab. Peuting. volessimo ravvisare una unica via, la poplica Campana, da Amiterno raggiungeremmo, dopo 4 m. p., Pitinum (Pettino) 299, poi Prifernum, quindi Aveia (Fossa). Questo porterebbe, però, ad un assurdo e cioè, che Prifernum, disti XII m. p. sia da Amiterno che da Pitinum. Inoltre, considerando che da Amiternum a Prifernum corrono XII m. p. e da Prifernum fino ad Aveia altri VII m. p., la distanza Amiternum-Aveia dovrebbe essere di XIX m. p., cioè poco più di 28 km, mentre nella realtà tale distanza è di circa 22 km 300. La problematica scaturisce dalla errata chiave di lettura della Tabula Peutingeriana. Trattando della viabilità antica della valle dell’Aterno, si è soliti far riferimento alla T. P., disponendo i centri antichi, collegati tra loro secondo questo prospetto: Interocrio Fisternas X Erulos (Foruli) III Pitinum VII Prifernum XII | VII XII Aveia Amiternum Frustenias II Alba Fucens XVIII A questo punto si cerca di rintracciare sulla tabula i percorsi delle varie viae publicae. Come detto in precedenza, sulla tabula sono riportate anche le distanze tra i centri abitati, ma più spesso le deviazioni, gli incroci (compita) e 298 B. ORSATTI, cit., p. 155; M. C. SOMMA, cit., “La via Poplica Campana collegava Alba Fucens ad Amiternum, con un percorso che dal bacino del Fucino attraverso l’altopiano delle Rocche, raggiungeva la conca aquilana. La sua realizzazione, probabilmente su di un precedente tracciato, risale almeno al II secolo a.C.”. 299 IGM, f. 139, L’Aquila. 300 Quest’ultima è stata calcolata sia sulla cartina allegata al lavoro dell’Orsatti, sia sulle tavolette IGM, f. 139, II SO, Scoppito; II SE L’Aquila; IGM, f. 140 II SO, Paganica. Se poi volessimo considerare la distanza tra Pitinum ed Aveia, non supereremmo gli IX m. p. (15 km circa).

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non la lunghezza delle viae publicae, compito assolto dalle pietre miliarie 301. Nel nostro specifico, per il tratto Interocrio-Fisternas (Antrodoco-Vigliano), la Tabula riporta una distanza di X m. p., che collima perfettamente con il bivio per Vigliano 302. Dopo altre III miglia la strada raggiungeva il bivio per Foruli (Civitatomassa), dove è la chiesa della Madonna della Strada, e proprio qui doveva cadere il miliario LXXVII 303. Fin qui tutto concorda con la Tabula ma le problematiche emergono nel successivo percorso Fouli-Pitinum (Civitatomassa-Pettino), la cui lunghezza è di VII miglia. La quasi la totalità degli autori ravvisa, forse erroneamente, in questo segmento, un tratto della Via Claudia nova, ma, calcolando la distanza Foruli-Pitinum, si ottiene uno sviluppo di sole V miglia, il che non collima affatto con la Peutingeriana. Mommesen propone di emendare a V le VII miglia 304, seguito da altri 305, mentre altri ancora concordano con la distanza riportata dalla Tabula 306. A mio avviso la Tabula va letta in maniera diversa, cioè partendo dal bivio per Foruli, prossimo alla chiesa della Madonna della Strada, si prosegue seguendo la vecchia via che passa per la Madonna del Mazzetto, Strepparo, Lo Mito, a nord di Civitatomassa, lungo quel tratto di strada posto tra Pratella e Prato Corvino, ancor oggi detta via Salaria. Raggiunta la ss 80bis, al km 4 si continua verso levante per Cantarello 307, quindi Coppito e superato l’Aterno su di un ponte, costruito sui resti di basamento da alcuni ritenuto di epoca romana, girando sulla destra per la Via del Lago, raggiungiamo il bivio per 301 S. ZENODOCCHIO, Note sulla viabilità, cit., pp. 17ss. 302 F. S. CAMILLI, Dissertazione sulla regia strada da costruirsi per l’Abruzzo Ultra, Aquila 1790, p. 23 “Dopo ritrovato il sito di Erulos, o Forulis facilmente si ritrova quello di Fistrenas, il quale doveva essere situato nel territorio di Vigliano Castello diruto appartenete all’antico Contado Aquilano, in un locale oggi chiamato Le Cisterne, nome facilmente corrotto dell’antico Fisternas, nel qual luogo corrispondono benissimo le 10 miglia antiche…”. 303 IGM, f: 139, II SO, Scoppito. 304 CIL, IX, p. 585. 305 E. ALBERTINI, Notes sur l’Itineraire, cit., pp. 474-475 n. 1; E. GARDNER, The Via Claudia nova, cit., p. 210;G. F. LA TORRE, Via Claudia Nova:l’alta valle dell’Aterno in età romana, in: Rassegna Studi sul Territorio, 3 (1984), p. 39. 306 F. S. CAMILLI, cit., p. 24; G. MARINANGELI, cit., p. 315. 307 IGM, f. 139, II SO, Scoppito.

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Pettino (Pitinum), posto sulla ss 80, a 10, 3 km (VII miglia) da quello di Foruli 308. Per Prifernum la Tabula riporta una simbologia particolare, cioè una vignetta doppia differente da tutte le altre note. Diversi sono gli autori che ritengono di individuare l’antico Prifernum nell’attuale Bazzano 309, altri nei pressi de L’Aquila 310, mentre altri ancora nei pressi di Assergi 311. Non possiamo posizionare, con certezza, Prifernum su di un incrocio stradale, ma di una cosa siamo certi, Prifernum non lungo la Via Claudia nova, e questo per una serie di motivi. Innanzitutto la distanza Pitinum-Prifernum di XII miglia non ci permette di posizionare quest’ultimo tra Pitinum ed Aveia, distanti tra loro soltanto IX miglia, e ciò avrebbe senso solo se la loro distanza fosse di XVIIII miglia. Inoltre se Prifernum fosse realmente sulla Claudia nova, ci troveremmo di fronte ad un assurdo e cioè che partendo da Foruli, raggiungeremmo Prifernum con un percorso più breve passando per Amiterno (XVI miglia), piuttosto che per Pitinum (XVIIII miglia). Se fosse realmente errata la distanza Pitinum-Prifernum (XII m. p.), dovrebbe essere errata anche quella tra Prifernum-Aveia (VII m. p.), a meno che la distanza Pitinum-Prifernum non fosse di II miglia. Ma a questo punto dovremmo rivedere anche la distanza Amiternum-Prifernum, non più, quindi, di XII miglia ma soltanto di VI. Se dovessimo prestar fede ad ogni autore sulla scarsa attendibilità: “del testo della Tabula, così costellato di imprecisioni dovute alla tradizione manoscritta e di errori” 312, onestamente non avrebbe nessun senso prendere in esame la Peutingeriana. Concludiamo infine con un’ultima riflessione: se Prifernum dista XII miglia da Pitinum, altrettante da Amiternum e VII da Aveia, giungo alla conclusione che Prifernum debba essere collocato a NE di Pitinum, ad E di Amiterno ad 308 IGM, f. 139, II SE, L’Aquila. 309 E. ALBERTINI, cit., p. 474; B. ORSATTI, cit. p. 328. 310 CIL, IX, 585; O. CUNTZ, Pitinum nei Sabini, BSSPA, 1906, p. 212. 311 F. S. CAMILLI, cit., p. 12; BUNZEN, in AICA, VI, 119; P. DE STEPHANIS, cit., p. 214; E. DES JARDINS, cit., p. 168 col. 3; V, MOSCARDI, Cenni geografici e storici del Castello di Assergi, BSSPA 1896, p. 129;G. CIFANI, Il territorio, cit., p. 38. 312 G. F. LA TORRE, cit., p. 41.

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a non più di VII a N di Aveia. Indagando in questa direzione, mi sono convinto che Prifernum debba essere identificato con l’attuale Assergi, mentre sulla tabula peutingeriana si indichi l’incrocio di più strade lungo la SS 17 bis, posta più a sud, in prossimità della chiesa della Madonna di Camarda 313, lungo la ss 17 bis, punto di incrocio di più strade 314. In questo punto trovo piena corrispondenza con la Tabula, infatti, dista VII m. p. da Aveia e XII m. p. rispettivamente da Amiterno e Pitinum. Resta ora da spiegare il perché di una mansio ai piedi del Gran Sasso e non piuttosto a valle lungo strade ben più importanti. Parlando della preistoria della nostra regione, abbiamo messo in risalto le direttive di collegamento tra il versante Adriatico e la valle dell’Aterno. Nel passato i terreni montani erano di fondamentale importanza oltre che per la transumanza (pascoli estivi), anche per la viabilità. Infatti valicare una catena montuosa significava ridurre significativamente le percorrenze. Alla luce di queste considerazioni, poniamoci ora su Prifernum, dopo aver valicato il Gran Sasso. A questo punto avremo tre possibilità, e cioè raggiungere Amiterno, in XII m. p., Pitinum in altrettante, ed Aveia in VII. Esaminiamo il tratto Amiternum-Prifernum, strada che partendo da NO di Amiterno, passava a nord del colle Caliglio 315, raggiungendo le mura ciclopiche note a tutti col nome di Murata del Diavolo 316. Procedendo verso levante incontrava l’antichissimo monastero di S. Severo, di probabile origine equiziana documentato nei regesti di Farfa intorno al X secolo 317, poi per valle Cascio, Ma-

313 IGM, f. 140, III SO, Paganica. 314 E’ interessante notare che a circa 500 m SE di tale incrocio, la località è detta Pago ed ancora più a monte e nella stessa direzione Cime di Pago (ved. Catasto onciario di Camarda V 172, c. 24 v…passim, presso l’Archivio di Stato dell’Aquila): Forse il toponimo conserva il ricordo di qualche antico pagus. 315 IGM, f. 139 II SO, Scoppito. 316 G. SIMELLI, Antichità peslagiche, cit., Lanciani n° 66; N. PERSICHETTI, Avanzo di costruzione peslagica nell’agro amiternino detto “Molino del diavolo “in: Bull. Imp. Ist. Archeol. German., Roma 1902, pp. 134-148. 317 Il Liber Largitorius vel notarius monasteri Farfensis, a cura di G. ZUCCHETTI in: Boll. Ist. Ital. per il Medio Evo, n° 11, p. 125;G. MARINANGELI, Equizio amiternino, in: BDASP, LXIV (1974), p. 321.

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donna Cascio e fonte Cascio, raggiungeva Collebrincioni 318. La strada proseguiva verso est e superato il piccolo centro di Aragno, raggiungeva la ss 17 bis con un percorso totale, da Amiterno, di XII miglia esatte. Da Prifernum, scendendo a sud lungo la ss 17 bis, si attraversava Paganica l’antico Pagus Fificulanus  319 e per Tempera, L’Aquila, si raggiungeva il bivio per Pettino (Pitinum) esattamente dopo XII miglia. Dal centro di Paganica procedendo in direzione Sud si attraversava il Vicus Offidus (Bazzano) e dopo VII miglia si raggiungeva il bivio per Aveia (Fossa) 320 a Monticchio. (F. 19) In passato ritenni, erroneamente, di identificare in Aveia della Tabula Peu-

Fig. 19 - Stralcio della Tabula Peutingeriana tingeriana, l’antico centro vestino 321, posto, invece, oltre due miglia a SE. A questo punto ritengo opportuno avanzare l’ipotesi che in origine vi fosse una Via Campana, che potremmo dire vetus, la quale partendo dalle saline di Veio, giungeva nel territorio falisco: Agro autem Falisco in via Campana in campo Corneto (Vitruvio, VIII, 317). Se nel campus Salinarum erano le saline di Veio, mi pare ovvio che una strada dovesse collegare Veio con quest’ultima. Probabilmente questa strada dalle saline giungeva a Ponte Galeria e volgendo a sinistra, in direzione nord, lungo il fosso omomimo, incrociava la Via

318 IGM, f. 139, II SE, L’Aquila. Cascio o meglio cafaggio, deriva dal longobardo gahagi (ga = con haga = siepe), quindi un chiaro riferimento all’invasione longobarda del VI secolo a testimonianza di quanto questi luoghi, così apparentemente fuori dalle grandi direttive, dossero invece molto frequentati. 319 CIL, IX, p. 338 ss. 320 IGM, f. 146, IV NO, S. Demetrio ne’ Vestini. 321 S. ZENODOCCHIO, Note, cit., p. 19.

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Aurelia presso Malagrotta 322. Sempre verso nord, passando per Casal Selce, Mazzalupo, raggiungeva la Via Cassia, in località La Storta, proseguiva poi lungo quest’ultima e superata Veio, Baccano (Baccanae), il bivio del Pavone, Sette Vene, entrava nel territorio falisco. Dopo Monterosi, abbandonava la Via Cassia, deviando per l’attuale SS 311 Nepesina, attraversava Nepi (Nepet) e tirava diritto fino a Faleri Novi, presso Civita Castellana  323. E’ da rilevare che a circa 700 m dal bivio, lungo la Nepesina, sulla sinistra della strada, dove ora la zona residenziale è detta Colli di Lidia, fino a qualche tempo addietro vi era un campo noto a tutti col nome di Piano Corneto 324. Arrivati fin qui, piacerebbe poter scorgere, suggestione dei nomi, nel Piano Corneto il Campus Cornetum del territorio falisco riportato da Vitruvio. Dallo stesso Vitruvio apprendiamo ancora che nei pressi del Campus Cornetum: «…est lacus, in quo fons oritur, ibique avium, et lacertam, reliquarumque, serpentium ossa iacentia apparent» (Vitruv. VIII, 3, 179). A circa un chilometro e mezzo a NO del Pian Corneto, nel mezzo di un piccolo boschetto, è presente una sorgente di acqua solfurea, che attraverso il Fosso delle Solfarate, raggiunge il Piano Corneto 325. Forse la causa di morte di questi piccoli animali è da ricercarsi nelle venefiche esalazioni solforose. Conquistata Veio e le sue saline, dedotta successivamente la Sabina (III sec. a.C.), Roma sente l’esigenza di una nuova strada per il controllo del territorio conquistato e nel contempo la possibilità di facilitare gli scambi commerciali con le zone interne 326. Essendo l’economia appenninica prevalentemente 322 IGM, f. 149, Cerveteri. Questa strada mi sembra la più naturale per raggiungere l’antica città di Veio, oltretutto risulta la più breve. 323 IGM, f. 143, Bracciano. 324 Questa informazione mi è stata data da Pietro Pontani, ex guardiacaccia di Nepi e confermata da altri. La zona in esame fa parte del foglio catastale del Comune di Nepi, n° 22, anche se non è riportata né la voce Colle di Lidia né Piano Corneto. 325 IGM, f. 143, I SO, Sutri. Il Fosso delle Solfarate, detto anche Vado Viglia (cfr, foglio catastale n° 17 di Nepi), incrocia la via Nepesina passando sotto il ponte noto col nome di Ponte Puzzolo a motivo delle esalazioni solfuree. 326 Ad ogni conquista romana fecero seguito nuove trame stradali, fondamentali sia per la supremazia militare che amministrativa. Questo binomio costituì un cardine basilare per la grandezza dell’ Impero Romano, perché proprio attraverso le sue strade, all’ estendersi dell’egemonia militare, seguì la lex di Roma.

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pastorale, la via delle saline, che conduceva nell’interno, doveva essere di estrema importanza, cioè doveva essere una via publica, e ritengo che questa fosse la Via Campana. Campus Salinarum-Roma-Reate-Interocrio-Pitinum. La Via Campana dal Campus Salinarum giungeva a Roma, poi lungo il tracciato che successivamente sarà rappresentato dalla Via Salaria, perveniva a Reate (Rieti). Da qui, ricalcando il percorso dell’antichissima Via Litina, proseguiva per Interocrio (Antrodoco), volgeva quindi a destra per la valle dell’ Aterno (Fig. 20). Con lo sviluppo urbanistico di Roma e con la costruzione della Via Salaria,

Fig. 20 strada che collegava Roma con il mare Adriatico, la Via Campana perse la sua continuità e quindi gli unici tratti che conservarono tale nome furono: quello che dalle saline portava a Roma e quello che da Interocrio conduceva

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nella valle dell’Aterno (Fig. 21). Quindi la Via poplica Campana da Antrodoco, dopo aver superato l’attuale Sella di Corno 327, il bivio per Vigliano 328, raggiungeva la valle dell’Aterno e abbandonando la ss 17 presso Occhibelli, proseguiva in direzione della chiesa della Madonna del Mazzetto, dopo aver superato il ponte romano detto Ponte Nascusci 329. Procedendo in direzione

Fig. 21 NE lambiva il Piano di Civita, lasciando Civitatomassa sulla destra, superava il Fosso Passaturo e prima del bivio per Collettara-Colli, girava a destra, sopra Lo Mito, lungo la via detta ancor oggi Via Salaria, compresa tra Prato Corvino e Pratelle, fino alla ss 80bis che raggiungeva al km 4, 4. Da qui per Cantarello, Cerritola, Coppito, superava l’Aterno, e per la via detta dai locali Via del Lago, raggiungeva la ss 80 al km 3, 5 in corrispondenza del bivio per 327 IGM, f. 139 II SE, Antrodoco. 328 IGM, f. 139 II SO, Scoppito. 329 Ponte di età repubblicana, forse III sec. a.C., in opus quadratum posto a circa 900 m circa dal bivio per la Madonna del Mazzetto; N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., pp. 128-129;C. LUGLI, La tecnica edilizia romana, Roma 1957, p. 356; P. GAZZOLA, Ponti romani, Roma 1963 vol. II, p. 55 n° 58; E. MIGLIARIO, cit., p. 89.

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Pettino (Pitinum). L’antico vicus di Pitinum, era situato a nord del laghetto di Vetoio a circa due miglia ad ovest dell’Aquila 330. Non ritengo fosse una mansio, perché queste sorgevano nei grossi centri, ad una cinquantina di miglia le une dalle altre, mentre Pitinum era troppo vicina alla città di Amiterno (4 miglia), sicuramente stazione di sosta e di approvvigionamento. Pitinum-Vicus Offidus-Aufingianum-Superaequum-Statulae. Sempre verso levante la Via Campana saliva sul colle S. Onofrio, sul quale in seguito sorse la città de L’Aquila, procedendo lungo la Via Romana (Via Roma) 331, ne raggiungeva la sommità e scendeva verso l’attuale porta Bazzano. Poi lungo la valle posta tra la città e Collemaggio 332, diritto fino alla ss 17 in corrispondenza del bivio per Pianola 333 e da qui per Bazzano (Vicus Offidus). In direzione est procedeva passando a nord di Onna, e mentre un ramo continuava verso Poggio Picenze, Barisciano 334, la Via Campana, con andamento SE seguiva il corso dell’Aterno lungo la sponda sinistra. Quindi

330 A. LEOSINI, Sulla città di Pitinum, cit., p. 39;G. MARINANGELI, Pitinum, cit., pp. 278-373. Importanti reperti archeologici risalenti all’età del ferro vennero alla luce nel secolo passato, nei pressi, in località Maina (N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., pp. 201 ss.; G. COLONNA, Placche arcaiche da cinturone di produzione capenate, in: Archeologia Classica, X, a. 1958, p. 72. 331 Da un atto notarile del 13 gennaio del 1483, apprendiamo che il nobile Adoardo di Ercole de Camponeschi, acquista: “…una casa con orto e rinclaustro, nell’Aquila, in locale di S. Vittorino, giusta la via da due lati e i beni di Valentino di Lello, fino alla strada Romana mediante un muro comune, giusta la ruga et altri, per fiorini 1470” 332 IGM, f. 139 II SE, L’Aquila. 333 IGM, f. 145 I NE, Lucoli. 334 G. A. RIZZI-ZANNONI, Atlante geografico del Regno di Napoli delineato per ordine di Ferdinando IV Re delle Due Sicilie, Napoli 1788-1812; IGM, f. 146 IV NO, S. Demetrio ne’ Vestini.

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per Fagnano (Aufingianum) 335, proseguiva per Fontecchio 336 e quindi per S. Maria del Ponte 337. Seguendo ancora la direzione SE raggiungeva Beffi 338, Molina, Castelvecchio Subequo (Superaequum) 339. L’antico centro vestino di Superaequum sorgeva in località Campo Macrano, a circa 500 m SO di Castelvecchio Subequo, tra Colle Caprella e Colle Moro, dove in passato vennero alla luce resti di edifici antichi 340. 335 Apprendiamo dell’antico centro di Aufingianum da un’epigrafe segnalata nel secolo passato (A. DE NINO, NSA, 1899, 66; A. LA REGINA, cit., 428 “Una seconda strada scendendo da Paganica, si sviluppava lungo la sponda sinistra dell’Aterno, passando per Aufenginum, Fontecchio, per la Madonna del Ponte, ove si doveva biforcare…”. Sono stati inoltre segnalati dal De Nino resti di centro abitato a mura ciclopiche (NSA, 1892, 276), tombe (NSA, 1990, 644) e sepolcreti. Successivamente Persichetti rinvenne un sarcofago ed una tomba con relativa iscrizione latina (NSA, 1909, 217); CIL, IX 3445, 3446, 3490, 3491, 3499;A. LA REGINA, cit., 385-387. Nel medioevo venne denominato Ofeniano (G. CELIDONIO, La diocesi di Valva e Sulmona, I a. 1188, 54); Orfagnone (E. JAMISON, Catalogus Baronum, in: Fonti per la Storia d’Italia, n° 101, 235); Ofeniano (N. FARAGLIA, Codice diplomatico sulmonese, Lanciano 1888, a. 1188, 54) ed ancora: Confaniano (Rationes decimarum Italiae, Aprutium-Molisium, a cura di P. SELLA, Città del Vaticano 1936, n. 194); E. MATTIOCCO, Considerazioni sui centri fortificati preromani in Abruzzo, BDASP, LXXIX (1989), 494. 336 I resti di un piccolo tempio romano (A. DE NINO, NSA 1899, 65ss.), sui quali fu costruita la chiesa di S. Maria della Vittoria, ora anch’essa diruta, ed epigrafi rinvenute in passato (CIL, IX 3440, 3473), testimoniano l’ esistenza di un antico centro vestino, del quale non conosciamo il nome. 337 A. DE NINO, NSA 1892, p. 271; CIL, IX, 3472, 3474, 3489. 338 IGM, f. 146 IV SE; A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 429 “ l’altro ramo seguiva sulla sinistra del fiume per Beffi, Molina, attraversandolo quindi a nord delle gole di S. Venanzio per raggiungere la Claudia Valeria alla Civita di Raiano”. Dai resti di opere murarie e tombe portate alla luce in passato (A. DE NINO, NSA 1893, p. 337), possiamo ipotizzare la presenza di un antico pagus. Presso la cappelletta di S. Sabina si rinvenne una dedica al dio Silvano (CIL, IX, 3421). 339 IGM, f. 146 II NO. Superaequum (PLINIO, N. H. III, 106, 12; Liber Coloniarum, I, 229, 1; I, 258, 15), retto da duoviri (CIL, IX, 3306), fu municipio, forse in età augustea, insieme a Corfinium e Sulmo (OVIDIO, Amores, II, 16, 1). Forse diede i natali al senatore romano Q. Vario Gemino, come riportato da una epigrafe (CIL, IX, 3306); DE NINO, NSA, 1898, p. 73; F. COARELLI-A. LA REGINA, Abruzzo e Molise, cit., pp. 116-118 (116); VAN WONTERGHEM, Supeaequum nel periodo romano, (Gruppo archeologico Superequano, quaderno n. 3 Castelvecchio Subequo (L’Aquila)1984, pp. 17-18. 340 D. ROMANELLI, Antica topografia, cit., III, p. 136; A. DE NINO, NSA, 1898, p. 73; F. COARELLI-A. LA REGINA, Abruzzo, cit., p. 118; VAN WONTERGHEM, Forma Italiae,

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Procedendo poi in direzione SE, raggiungeva Goriano Sicoli (Statulae) sulla Via Valeria 341. Statulae-Sulmo-Aufidena Abbandonata la valle dell’Aterno, la Via Campana, in direzione SE, entrava nella valle Peligna e dopo aver superato il fiume Sagittario sul Ponte La Torre, ricalcando il percorso dell’antico tratturo, giungeva a Sulmona 342. Che da Sulmona una strada, attraverso la Conca Peligna raggiungesse Aufidena è cosa certa, mentre qualche difficoltà emerge nello stabilirne il percorso. Facendo riferimento alla Tabula Peutingeriana, per questa via troviamo annotati i seguenti intervalli:

IV, 1 (Superaequum-Corfinium-Sulmo) Firenze 1984, pp. 75 ss.; IDEM, Superaequum, cit., pp. 17 ss.; M. BUONOCORE, Superaequum, “Supplementa Italica”, n. s., 5 (1989), pp. 87-144 (91); A. CIVITAREALE, Città romane d’Abruzzo, L’Aquila 1992, pp. 202-209; M. BUONOCORE-G. FIRPO, Fonti, cit., I, pp. 328-330. 341 Probabile mutatio posta lungo la via Claudia-Valeria, Statulae è nota soltanto attraverso la Tabula Peutingeriana (IV, 2). Venne identificata dal Febonio già nel secolo XVII (M. PHEBONIUS, Hostoriae Marsorum libri tres, Napoli 1678, p. 279), seguito da DE NINO (A. DE NINO, NSA, 1878, pp. 319 ss.; 1889, pp. 344 ss., 1903, pp. 515 ss., 1904, p. 299) ed altri (VON WONTERGHEM, Forma Italiae, IV, 1, Superaequum-Corfinium-Sulmo, Firenze 1984, pp. 108 ss.; IDEM, Superaequum, cit., pp. 42, 46; E. MATTIOCCO, Il territorio superequano prima di Roma, Gruppo Archeologico Superequano, quaderno n° 3, 1984, pp. 42, 46; E. MATTIOCCO, Il territorio superequano prima di Roma, Gruppo Archeologico Superequano, quader. n° 3 1983, p. 13; M. BUONOCORE-G. FIRPO, Fonti latine, I, cit., p. 331. 342 IGM, f. 146, Sulmona. L’antica Sulmo, insieme a Corfinium e Subaequum furono i centri più importanti dei Peligni. patria di Ovidio (Fasti, 4, 77-82 9), durante la guerra sociale si schierò contro Roma e per questo fu distrutta da Silla (FLORIO, II, 9). Fu municipium iscritto alla tribù Sergia e secondo quanto tramandatoci da Livio, Annibale, nella marcia verso Roma, attraversò la città (Livio XXVI, 11, 11: “Coelius Romam euntem ab Ereto revertisse eo Hannibalem tradit, iterque eius ab Reate Cutiliisque et ab Amiterno orditur: ex Campania in Samnium, inde in Paelignos pervenisse, preterque oppidum Sulmonem in Marrucinos transisse; inde Albensi agro in Marsos, hinc Amiternum Forulusque vicum venisse”; G. FIRPO, Fonti, cit., I, pp. 276-296, (288) “Nel V secolo, Sulmo fu sede episcopale (Lettera di Gelasio I al vescovo Palladio (495-496)”.

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Sulmone VII Jovis Larene XXV Ausidena Quindi la Tab. Peut. tra Sulmone ed Ausidene registra una distanza di XXXII miglia 343, mentre l’Itinerarium Antonini annota un intervallo di XXIIII miglia 344. La non trascurabile discrepanza (VIII miglia), rilevata fra i due itinerari, riguardante la distanza del tratto Sulmone-Aufidena, ci spinge a ritenere che i tratti stradali presi in esame siano diversi. Come detto in precedenza, secondo l’Itin. Anton., da Sulmone una strada raggiungeva, dopo un percorso di XXIIII miglia, l’antico municipium pentro di Aufidena, il sito dell’attuale Castel di Sangro 345. Già in passato Pigonati aveva riconusciuto nel centro di Castel di Sangro l’antica città pentra di Aufidena 346, mentre recentemente Van Wonterghem 347 e Buonocore 348, sostengono l’ipotesi alfidenate. Secondo La Regina, soltanto 343 Tab. Peut., 6, 3. 344 Itin. Anton. Aug., 102, 3 345 IGM, f. 153, Agnone; KIEPERT, Carta della IV Regio annessa al IX vol. del CIL; E. ABBATE, Guida, cit., I, 383; V. CIANFARANI, IV Regio, Storia ed antichità dell’Abruzzo e Molise, dal: Catalogo della Rassegna Archeologica di Chieti, settembre 1950, pp. 53ss. G. DEVOTO, La valle dell’Aterno, cit., p. 24; K. MILLER, Itineraria, cit., coll. 369-370;E. T. SALMON, Il Sannio, cit., p. 24; A. LA REGINA, Note di formazione dei centri urbani di area sabellica, in: Atti del convegno di Studi sulla città etrusco-italica preromana, 31 maggio-6 giugno 1970, Bologna, pp. 191-207 (200-201 e n. 70); Idem, Abruzzo e Molise, Guide archeologiche Laterza, Bari 1984, p. 260; CIL, IX pp. 259-261; G. TAGLIAMONTE, I Sanniti, cit., p. 91, ”…Castel di Sangro, centro in cui è da riconoscere il sito del municipio romano di Aufidena” 346 A. PIGONATI, La parte di strada degli Apruzzi da Castel di Sangro a Sulmona, descritta dal Cavalier Andrea Pigonati, Napoli MDCCLXXXIII, p. 3 “Credo che l’antica via Romana, della quale se ne additano le Città e le Terre per dove passava dagli Apruzzi in Puglia, attraversava la Città di Castel di Sangro ch’era l’antica Aufidena”. 347 F. VAN WONTERGHEM, Forma Italiae, IV, 1, p. 54, nota 447, “... queste considerazioni sono forse un indizio per situare Aufidena presso Alfedena, piuttosto che a Castel di Sangro come viene spesso sostenuto”. 348 M. BUONOCORE, Note storiche epigrafiche su Aufidena, in: Zeitschrft fur Papyrologie und Epigraphik, 63 (1986), pp. 168-172.

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nel VII secolo d.C., da Castel di Sangro il municipium fu trasferito ad Alfedena 349. La strada, partendo da Sulmona, quindi, seguiva il vecchio tracciato prossimo al fiume Gizio, e ricalcando in gran parte l’attuale ss17, raggiungeva Pettorano sul Gizio. Da qui procedendo lungo percorso del vecchio tratturo, attraversava il centro abitato di Rocca Pia 350, continuava poi ad est dell’attuale strada fino al piano delle Cinquemiglia. In direzione SE lungo la Costa Calda arrivava a Roccaraso e sempre lungo il tracciato della SS 17 proseguiva in direzione di Castel di Sangro. Tracce di strada si rinvennero sia in prossimità del ponte della Maddalena 351, sia più avanti con direzione SE 352. In contrada Campitelli, a nord di Castel di Sangro Dressel rinvenne un’epigrafe di età repubblicana, riguardante i lavori di ristrutturazione di un ponte, curati dai prefetti M. Cecilio e L. Attilio, ponte che probabilmente riguardava la nostra via 353. Infine la strada giungeva a Castel di Sangro dopo un percorso totale di 36 km. Verso la fine del Settecento, l’ingegner Pigonati, in un lavoro di ristrutturazione di questa strada, rilevò la lunghezza del tratto Sulmona-Castel di Sangro, pari a quasi 19 miglia napoletane (poco più di 36 km) 354, pari appunto ai XXIIII m. p. dell’ Itinerarium Antonini. Diversamente sulla Tabula Peutingeriana fra Sulmo ed Aufidena troviamo interposta Iovis Larene a VII m. p. da Sulmo e XXV da Aufidena 355. Con Iovis 349 A. LA REGINA, I Sanniti, in: AA. VV., Italia camminum terrarum, I Milano 1989, pp. 301-432 (395); G. TAGLIAMONTE, i Sanniti. Caudini, Irpini, Pentri, Carricini, Frentani, Omegna 1997, p. 91, “…Castel di Sangro, centro in cui è da riconoscere il sito del municipio romano di Aufidena”. 350 Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Italia Meridionale, vol. I, Milano 1926, tav. 4 e 5. 351 A. DE NINO, NSA, 1901, p. 465. De Nino rinvenne “…un tratto di strada antica in un sotterraneo del palazzo Pitocco, …situato sulle prime case della città e alla vicinanza del ponte Sangritano. L’antica strada si trova a m. 2, 60 al di sotto dell’attuale Corso Vittorio Emanuele II, ed è formata da grossi blicchi poligonali con tracce di rotaie”. 352 IDEM, NSA, 1898 p. 425. 353 CIL, IX, 2802, p. 260. “M. CAICILIVS L. F. / L. ATILIVS. L. F. /PRAEF. / PONTEM. PEILAs/ FACIVNDVM/COIRAVEre “. 354 A. PIGORATI, cit., 1, 7, 13, 16, 28, 29; Il miglio napoletano equivaleva km 1, 927 corrispondente a 7000 palmi. IGM, f. 153, Agnone. 355 Tab. Peuting., segm. VI, 2.

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Larene non necessariamente bisogna intendere una mansio posta presso l’attuale Campo di Giove, come ipotizza Van Wonterghem 356. Da un saggio archeologico nella necropoli di un insediamento in località Polmare, posto circa due chilometri ad ovest di Cansano, nel maggio del 2000 venne alla luce un cippo funerario in calcare databile al I sec. d.C., posto dai cultores Jovis Ocriticani, per Sesto Paccio Argynno: Sex(to) Paccio/ Argynno/ cultores Jovis/ Ocriticani/ P(osuerunt) 357 L’epigrafe risulta di notevole interesse non solo per il gentilizio Paccius, ampiamente documentato in area peligna 358, marsa 359 e sabina 360 e per il toponimo Ocriticum, probabile pagus o vicus connesso all’ocre esistente sul Colle Mitra, come ipotizzato dalla Tuteri 361, ma soprattutto perché testimonia la presenza nel luogo del culto di Giove attestato dai cultores Jovis Ocriticani mettendo, quindi, in relazione il sito con la mansio Jovis Larene della Tabula Peutingeriana 362. Non è forse un caso che la distanza di VII miglia (10, 3 Km) Sulmo-Jovis Larene riportata sulla Tabula, ben si accordi con il tratto di strada che da Sulmona conduce al bivio per Cansano sia di 10, 9 Km. Per il restante tratto Iovis Larene-Aufidena, la Tabula riporta la distanza di XXV m. p., pari a 37 km. e tenendo presente che la Tabula è copia medievale del XII secolo, con Aufidena si deve intendere l’attuale Alfedena. Ma anche in questo caso non riporta la distanza Iovis Larene-Aufidena, ma quella tra il bivio per Campo di Giove (Cansano) ed il bivio per Alfedena, pari appunto a 37 356 F. VAN WONTERGHEM, cit., p. 54; V. CIANFARANI, Cesare tra i Peligni, in: Abruzzo, a. 1, n° 1-2 (1963), p. 71. 357  R. Tuteri, …dal silenzio. Piccole storie di cittadini di Sulmo, Sulmona 2002 p. 6; IDEM, Ocriticum. Frammenti di terra e di cielo, Sulmona 2003, pp. 21-22. 358  F. VAN WONTERGHEM, Antiche genti peligne, Sulmona 1975 p. 38. 359 CIL, IX, 3689; 3740; 3822; 3885. 360  S. SEGENNI, Regio IV. Sabina et Samnium-Amiternum, ager amiterninus, in suppl. Ital., 9, 1992 n. 50 pp. 101-102 361  R. Tuteri, Ocriticum, cit., p. 23. Sul Colle Mitra (I. G. M. f. 147 Lanciano) è presente un oppidum (m. 1067) di notevole dimensione le cui mura megalitiche di recinzione si sviluppano per ben 4, 5 Km circa, racchiudendo un’area di 83 ettari. E. MATTIOCCO, Centri fortificato preromani nella Conca di Sulmona, Chieti 1981, pp. 45-78; F. COARELLI, Abruzzo e Molise, Bari 1984, pp. 138-140 362  Tab. Peut., segm. VI, 2.

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km, cioè ai XXV m. p. della Tabula. (Fig. 22) La strada, dunque, da Cansano giungeva a S. Donato Fig. 22 e dopo 3, 3 km lungo il Vallone della Mazza proseguiva per 4 km, passando sotto il Coppo del Diavolo, fino a fonte Colecchia 363. Sempre lungo il torrente che passa ad est del piano Primo Campo, proseguiva fino al casale omonimo, dopo un percorso di circa 6 km. Da qui in direzione sud, dopo altri 3 km raggiungeva il sito dell’attuale Pescocostanzo. Ricalcando, infine, il tracciato della strada per Rivisondoli, Roccaraso, giungeva a Castel di Sangro e da qui il bivio per AlfedenaIsernia, dopo un percorso totale di circa 37 km, pari appunto a XXV miglia. Che la strada proseguisse per il Sannio è cosa certa, e secondo Salmon: «Da Aufidena, per la gola di Rionero, raggiungeva Bovianum nel territorio dei Pentri e poi Beneventum, nel territorio degli Irpini, 363 IGM, f. 153, Agnone.

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per poi evidentemente condurre verso l’Adriatico. Questa potrebbe essere quella Minucia che, come Cicerone, Orazio e Strabone sembrano affermare, percorreva il Sannio» 364. Trattando della Via Claudia nova, De Santis afferma che: «Il tronco meridionale del tracciato, dopo aver utilizzato un tratto della Via Claudia Valeria, ad Confluentes-Corfinium, si originava proprio dalla capitale dei Peligni. Per la denominazione di questa strada, per la quale erano stati avanzati i nomi di Via Minucia o Numicia, non esistevano attestazioni storiche al riguardo. Si è forse risaliti a questi nomi per estensione di quello che aveva il tronco meridionale nel tratto montano della Via Traiana, da Beneventum, via Aequum Tuticum, a Canosa, e che costituiva un’altra alternativa alla Via Appia diretta a Brundisium. Il Cianfarani propone per questa via il nome di Via Campana» 365. Giunti a questo punto, pur non condividendo appieno quanto sostenuto dal Barreca 366, non posso escludere che la Via poplica Campana da Aufidena potesse raggiungere Aesernia e Telesia, terminando a Capua. Non bisogna dimenticare che Capua era attraversata dalla Via Appia e sempre a Capua terminava la via Latina.

364 E. T. SALMON, Il Sannio, cit., p. 24. Già in passato altri autori ipotizzarono un collegamento tra Sulmona e il Sannio; I. DI PIETRO, Memorie storiche della città di Sulmona, Napoli MDCCCIV, p. 10; P. DE STEPHANIS, cit., p. 218; E. ABBATE, cit., p. 384; G. DEVOTO, cit., p. 24. 365 G. DE SANTIS, Struttura viaria, cit., p. 244; V: CIANFARANI, IV Regio, cit., pp. 7-14. 366 F. BARRECA, cit., p. 18, “ D’altra parte non è forse tutto priva di significato la circostanza che l’aggettivo Campanus si trovi in toponimi solo dell’Italia Centrale, dove una relazione con Capua e la Campania era sempre possibile: Anche per la via menzionata nella nostra epigrafe si deve quindi ammettere una tale relazione: era questa la via di Capua “.

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VIA SALARIA (VIA CAECILIA) L’origine antichissima della via Salaria era legata al traffico del sale tra la costa laziale e l’entroterra appenninico abitato dai Sabini. La spinta sabina, documentata già dall’VIII secolo a.C., ha seguito questa pista del sale lungo la riva sinistra del Tevere, fino a Roma, proseguendo poi sulla sponda destra fino alla foce, presso le saline di Veio, come qui sostenuto trattando della via Campana. Alla conquista romana del III a.C. del territorio sabino, seguì la riorganizzazione di un insieme di vecchi percorsi legati al commercio del sale, a costituire un’unica ed importante strada, ufficialmente chiamata Salaria. Da Strabone apprendiamo, inoltre, che la via Salaria attraversava il territorio sabino, e che in origine il suo percorso era molto breve (STRABO, V, 3, 1). Secondo quanto riportato dall’Itinerario di Antonino, la via Salaria da Roma giungeva ad Hadria: Salaria. Ab Urbe Hadriae usque m. p. CLVI. Pur essendo una strada antichissima, questa via venne menzionata per la prima volta soltanto nel 44 a.C. 367. Nell’anno 394 di Roma (361 a.C.), al terzo miglio della Salaria, in prossimità del Ponte Salario, si accamparono i Galli 368, e sempre lungo la via Salaria l’esercito di Annibale si diresse verso Roma  369. Altri condottieri attraverso questa strada raggiunsero l’Urbe, dal generale svevo Ricimero, che nel 472 d.C. spadroneggiò sulla città, al re degli Ostrogoti Vitige nel 537, da Totila, nell’anno 547, a Narsete, generale di Giustiniano nel 565, poco prima di essere destituito da Giustino II nel 567. Secondo Sthamer, che ha conteggiato i vari passaggi di Federico II di Svevia attraverso le strade d’Italia, dal 1220 al 1250, anno della morte di Federico, l’Imperatore percorse la via Salaria per ben cinque volte 370. La via Salaria aveva inizio dalla Porta Collina a sud-est del Quirinale sulle Mura repubblicane. Successivamente, nella seconda metà del III a.C. secolo, 367 CICERO, De Natura Deorum, III, 11. 368 LIVIO, VIII, 9, 10: ‘Galli ad tertium lapidem, Salaria via, trans pontem Anienis castra habere’. 369 LIVIO, XXVI, 11. 370 G. FASOLI, Castelli e strade nel ‘Regnum siciliae’, l’itinerario di Federico II, in: Federico II e l’arte del Duecento italiano… p. 45.

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con la costruzione delle Mura Aureliane, fu aperta una nuova porta detta Salaria, prossima alla più antica. Non lontano dalla Porta Collina, nella seconda metà del XIX secolo (1873), durante i lavori di scavo per la costruzione dell’edificio del Ministero delle Finanze, si rinvenne una epigrafe riguardante una via di epoca romana (Foto 2), la Via Caecilia, della quale non abbiamo notizia dagli Itineraria, né tanto

Foto 2 - Epigrafe Via Caecilia

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meno dalle fonti antiche, e che come vedremo, era legata alla via Salaria 371 (Fig. 23). Il testo riguarda un capitolato di appalto (locatio operis) per lavori di riparazione riguardanti la Via Caecilia, sotto al direzione del quaestor urbanus T. Vibius Temuudinus, quale curator viarum. Le prime due linee del testo, riguardano la prescrizione, mentre nelle successive sono elencati, in quattro

Fig. 23 371 CIL I 2. 808 =CIL IV, 3824 = CIL IV, 31603= ILS = 5799 = ILLRP 465.

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paragrafi, gli interventi secondo uno schema identico. In ogni paragrafo è specificato il tratto di strada sul quale intervenire, la spesa (pecunia adtributa est, populo, T. constat HS…), il nome dell’ appaltatore (manceps), nonché il nome del curator viarum che aveva ricevuto l’appalto. Il Mommsen ritenne collegare l’epigrafe con lavori di restauro lungo la via Salaria, durante il consolato di Lucio Cecilio Metello Diademato (117 a.C.), avendo integrato al secondo rigo [in censu]ra Caecili  372. L’iscrizione è da mettere in relazione con una pietra miliaria rinvenuta nel 1823 nei pressi di S. Omero, riguardante un Cecilio Metello (L. Caecil. Q. f. / Metel. cos. / CXIX / Roma)  373 (Fig. 24) La gran parte degli autori considera la Via Caecilia opera di L. Caecilio Metello Diademato console nel 117 a.C.  374. Di parere contrario Barbetta, sostenendo che con la definitiva sconfitta della Sabina e del Piceno (290 a.C.) da parte del console M’ Curius Dentatus, con la fondazione della colonia latina di Hatria (289 a.C.) Fig. 24 372 T. MOMMESEM, Eph. Epigraph. II (1875), pp. 199-205. L’epigrafe (m 0, 80 x 0, 58) si rinvenne nell’ottobre del 1873 in prossimità del sito dell’antica Porta Collina, dalla quale prendeva inizio la via Salaria. La lapide si trova presso il Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano, (inv. 4443), aula VI, mentre il negativo della foto è presso la Soprintendenza (n. 10744 B). Attualmente l’epigrafe risulta quasi illegibile, ridotta in pessime condizioni, avendo perduto le ultime due righe! Autopsia 1986. 373 N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli, detta dagli antichi Praetutium, ne’ bassi tempi Aprutium, oggi città di Teramo e diocesi Aprutina, II ed. curata dal prof. Vittorio Savorini e coll., 5°, 1893, p. 210. Il miliario fu rinvenuto: “…due miglia all’ovest di S. Omero... lungo la strada, la quale divide la contrada Vallorina ed il tenimento di S. Omero al sud, dalla contrada di S. Eupupa e dal territorio di Corropoli al nord”. IDEM, in Bull. dell’Istit. 1833, p. 101. 374 Ch. HÜLSEN, in RE, III 1174; V. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, I, New York 1951, p. 528; H. DESSAU, 5810; ILLRP, I/2, n° 459, 258; N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., pp. 302-304; E. H. WARMINGTON, cit., p. 152, n. 14; V. BROUGHTON, Supplement to the Magistrates of the Roman Republic, III New York-Oxford 1960, p. 38; A. DONATI, cit., pp. 208-210; G. DE SANTIS, cit., p. 240; G. RADKE, cit., p. 333; G. CONTA, cit., pp. 208 ss.

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e di Castrum Novum (284 a.C.), si venne a determinare la necessità di un collegamento più rapido tra Roma e la costa adriatica. Da qui l’ipotesi che il console responsabile della costruzione della Via Caecilia possa essere stato L. Caecilius Metellus Denter console nel 284 a.C. e non L. Caecilius Metellus Diadematus console nel 117 a.C.  375. L’Hülsen per primo, seguito poi dalla quasi totalità degli studiosi, ritenne l’epigrafe della via Caecilia di epoca sillana. (Fig. 25) Egli ritenne la Via Cecilia “probabilmente… una Fig. 25 - da: Ch. Hülsen diramazione della Salaria, destinata a formare una comunicazione più diretta fra la capitale, la vallata di Amiternum ed il Mare Superum” 376. (Fig. 26) 375 S. BARBETTA, La Via Caecilia da Roma ad Amiternum, in: Salaria in età antica, Atti del convegno di studi, Ascoli Piceno, Offida, Rieti 2-4 ottobre 1997, pp. 55, 56. Già in precedenza era stata avanzata l’ipotesi che questi restauri riportati sull’epigrafe di Porta Collina fossero forse da attribuire ad una strada esistente nei primi anni del III a.C. (T. P. WISEMAN, Roman Republican Road-Building, in: Pap. Brit. Sch. Rome, 38 (1970), p. 136. Non esclude tale ipotesi Firpo in un recentissimo lavoro (G. FIRPO, cit., p. 976). La via Salaria collegò inizialmente l’entroterra appenninico con Roma, mentre successivamente divenne la prima grande strada trasversale della Penisola. In origine (IV sec., a.C.) la via Salaria originava da Roma e precisamente da Porta Fontanilis, proseguiva lungo la valle del Quirinale, poi verso il Pincio. La Salaria nova usciva invece dalle mura repubblicane in corrispondenza della Porta Collina. 376 C. HÜLSEN, L’iscrizione della Via Caecilia, NSA, 1896, pp. 87-98 (94);N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit, pp. 193-304; Idem, Viaggio, cit., p. 105 ss.; H. DESSAU, 5799;

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Fig. 26 - da: Ch. Hülsen L’ipotesi dell’Hülsen fu condivisa da Persichetti, il quale sostenne che tale diramazione iniziava dopo il ponte Bùida, posto al XXXV miglio della Salaria, procedeva poi in direzione di Monteleone Sabino (Trebula Mutuesca) per G. RADKE, cit. p. 333; M. BERTINETTI, Vie e strade di Roma. Iscrizione latina su blocco di travertino mutila su tutti i lati, in “ Viae Publicae Romanae”, Catalogo Mostra Europea del Turismo, Roma 11-25 aprile 1991, pp. 60-61; E. H. WARMINGTON, Remains of old Latin, London MCMLIX, pp. 180-183; A. DONATI, cit., n. 49, pp. 208-210; G. CONTA, Asculum. Il territorio di Assculum in età romana, Pisa 1982 t., II, 1. n. 342, p. 312, nota 543; E. DE SANTIS, Struttura, cit., p. 240; S. BARBETTA, La via Caecilia, cit., pp. 44-46; M. P. GUIDOBALDI, La via Caecilia: cronologia e percorso di una via pubblica Romana, in: La Via Salaria in età antica, Atti del Convegno di studi, Ascoli Piceno, Offida, Rieti 2-4 ottobre 1997, pp. 277-290.

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raggiungere Rocca Sinibalda. Da qui proseguiva verso la valle del Turano, passando per Capradosso (Cliternia) e per la Portella, Fonte della Forchetta, Cisterne, in prossimità di Vigliano, quindi per ponte Nascusci e dopo 9 km da quest’ultimo, giungeva ad Amiternum 377. Superata la città di Amiterno, puntando verso nord, oltre il passo delle Capannelle, raggiungeva Giulianova (Castrum Novum) 378, passando per Montorio al Vomano (Beregra?), Teramo (Interamnia Praetuttianorum), quindi S. Omero. Non condividendo quanto sostenuto dall’Hülsen e dal Persichetti, Radke 379 fa riferimento al miliario di S. Omero, considerando la via Caecilia il tracciato più antico della via Salaria, che da Roma avrebbe raggiunto Asculum, poi Castrun Novum (Giulianova) e quindi Hadria (Atri). Egli, infatti, sostiene che il miliario di S. Omero (CXIX) non riporta la distanza dal Foro Romano, ma dal confine dell’ager Romanus, cioè da Eretum, posto a 140 stadi (circa 18 miglia) da Porta Collina (Dion. Halic. XI, 3; III, 59; V, 45). Da qui calcola 32 miglia, necessarie per raggiungere Reate, altre 15 fino ad Interocrio, mentre altre 69 dividono quest’ultimo da Asculum, con uno sviluppo complessivo di 101 miglia. Sempre secondo i suoi calcoli, da Asculum fino al luogo del rinvenimento del miliario di S. Omero corrono 18 miglia, che sommate alle precedenti danno un totale di CXIX miglia, in accordo con quanto da lui sostenuto. Partendo quindi da Porta Collina, raggiungeva Ascoli, seguendo il percorso che in seguito sarebbe stato della via Salaria, poi la costa adriatica, quindi Castrum Novum ed infine la colonia di Hadria. (Fig. 27) Parimenti in un recente lavoro Barbetta non concorda con la tesi sostenuta da Hülsen e da Persichetti, per il tratto Roma-Amiternum, evidenziando le reali difficoltà legate all’orografia nel voler raggiungere Amiternum, partendo dal ponte Bùida: “attraverso le vallate dei fiumi Torano (che guadava nei pressi di Rocca Sinibalda) e Salto (presso Capradosso)” 380. Ritiene, invece, che il percorso della via Cecilia sia da identificare nell’antico diverticulum che dalla Salaria, in corrispondenza di Interocrium (Antrodoco), si dirigeva verso Ami377 N. PERSICHETTI, cit., 213. Dello stesso avviso, T. P. WISWMAN, Roman, XXXVIII (1970) pp. 122-152 (134-136). G. DE SANTIS, Struttura viaria, cit., p. 240. 378 N. PERSICHETTI, cit., pp. 302ss.; G. CASELLI, Guida, cit., p. 141. 379 G. RADKE, cit., p. 328, schizzo n. 25, 333-334;337. 380 S. BARBETTA, cit., p. 48.

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Fig. 27 - da: G. Radke ternum, passando per Fisternas, Forulos, Pitinum e Prifernum, come indicato dalla Tabula Peutingeriana (segm. V, 4-5) 381. Giunge quindi alla conclusione che: “la via Caecilia, partendo da Roma, raggiungeva l’Adriatico coincidendo inizialmente, fino ad Amiternum, con il tracciato che, a buon diritto, sarà chiamato via Salaria” 382. 381 Ivi, cit., p. 49. Si associa a quanto affermato da Barbetta, M. P. Guidobaldi, cit., 282. Concordo pienamente sull’antichità della strada Interocrium-Amiternum, mentre nutro qualche perplessità sul percorso ravvisato sulla Tabula Peutingeriana, poiché la via che da Foruli raggiungeva Amiternum, non passava per Pitinum, né tanto meno per Prifernum, (S. ZENODOCCHIO, Note sulla viabilità, cit., pp. 18-19; Idem, La via poplica, cit., pp. 15-17; in questo stesso volume alle pagine…… 382 Ivi, cit., pp. 54-55. Questa ipotesi è pienamente condivisa da Guidobaldi: “Il reale percor-

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A sostegno di tale assunto fa riferimento, oltre che ad evidenze archeologiche, ad un’epigrafe rinvenuta in passato nel territorio di Coppito. Grazie ad essa veniamo a conoscenza di un delubrum Feroniae, posto non lontano dalla via poplica Campana (1210 passi), distanza che, a suo parere: “coincide pressappoco con la linea del tratto Amiternum-Foruli” 383. Mette inoltre in relazione la via Campana, strada che partendo da Roma e procedendo lungo la sponda destra del Tevere, raggiungeva il campus Salinarum, con la via poplica Campana, strada, che conduceva, sempre da Roma, nel territorio sabino 384. Condivido l’ipotesi che la via Campana sia da mettere in relazione con la via poplica Campana, mentre non concordo sulla distanza fra il delubrum Feroniae ed il tratto Amiternum-Foruli, di soli 1210 passi (circa 1800 m). Come dimostrai in passato, ora in questo stesso volume 385, i resti del delubrum di Feronia sono collocati a sud del lago di Vetoio, a 5 km circa da tale percorso, quindi, questo tratto di strada non possiamo metterlo in relazione con la via poplica Campana 386. Secondo Guidobaldi, è da rigettare l’ipotesi del Radke, mentre accoglie, pur definendole difficili ‘per spiegare il controverso documento’, quelle dell’Hülsen e del Persichetti. Motiva la sua scelta considerando che la distanza da Teramo a Roma, lungo la via Cecilia, sia pari a 119 miglia 387, e che ben si raccorda sia con il milliario CIII di Poggiombricchio 388 (CIII), che con quello di Valle San Giovanni (CXIV) 389. Identifica, inoltre, nel bivio che da Monso compiuto dalla via Cecilia da Roma ad Amiternum passando per Interocrio e Foruli, è stato a mio avviso convincentemente ricostruito da Silvia Barbetta, al cui studio si rimanda per tutti i particolari” (M. P. GUIDOBALDI, cit., p. 282). 383 Ivi, cit., p. 55. 384 Ivi, cit., p. 55. 385 Vedi a pp. 91-116 386 S. ZENODOCCHIO, La via poplica, cit., p. 20, schizzo n. 4: 387 M. P. GUIDOBALDI, cit., pp. 279-280. 388 CIL IX, 5958; N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 285; A. DONATI, cit., n° 51, pp. 210-211. Attualmente la colonna fa parte di una acquasantiera della chiesa parrocchiale di S. Maria Lauredana di Poggio Umbricchio. Il testo quantunque molto irregolare e consumato, consente di leggere il numero CIIII. 389 G. SGATTONI, Scoperto a Valle S. Giovanni un miliario della “Via del Batino”, in: Noti-

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torio raggiunge la città di Teramo, il diverticolo Intermamnium vorsus, considerando il miliario CXIX di S. Omero, in origine collocato nei pressi di Interamnia. Che il milliario di Poggio Umbricchio sia stato posto in origine a CIII miglia da Roma è cosa certa, come CXIV miglia dividevano la Valle S. Giovanni dall’Urbe, ma questa strada, di cui non conosciamo il nome, non ritengo sia stata la via Cecilia 390. Per ciò che riguarda il miliario CXIX di S. Omero, inoltre, mi resta difficile comprendere per quale motivo una pietra miliaria, certamente non molto maneggevole a causa del suo peso, possa essere stata trasportata per non meno di 30 km. Non bisogna inoltre dimenticare che nel momento in cui venne alla luce il miliario di S. Omero, furono trovati resti di strada, e questo ci spinge ad ipotizzarlo collocato nella sede naturale 391. Avendo vagliato le diverse ipotesi condivido quanto sostenuto dal Radke, cioè che la via Caecilia sia da identificare con la via Salaria, non solo limitatamente al tratto Roma-Asculum, ma proseguendo lungo la sponda sinistra e poi destra del fiume Tronto fino alla fine, in corrispondenza di Castrum Truentinum con uno sviluppo totale di CXXXVIII miglia. Ritengo, poi, che da Asculum un diverticolo volgesse in direzione di S. Omero, ove nei pressi si rinvenne il miliario CXIX, e precedesse tra i fiumi Vibrata e Salinello raggiungendo la costa adriatica e le colonie di Castrum Novum ed Hadria. (Fig. 28). Tornando ora all’epigrafe della Via Cecilia, ritengo sia di qualche significato il suo rinvenimento nei pressi dei resti della Porta Collina, punto di partenza della via Salaria. Se l’iscrizione fu rinvenuta presso la Porta Collina, verosimilmente posso ipotizzare che la strada iniziasse dalla porta stessa e non in prossimità del ponte Bùida, posto al 35° miglio da Roma, come pure il computo delle miglia riportate sull’epigrafe. Apprendiamo, inoltre, che al XXXV miglio della strada, per la costruzione di un ponte su di un fiume, furono finanziati lavori (ll. 3-6), la cui spesa, purtroppo, date le pessime condizioni zie dell’economia. Organo ufficiale della camera di Commercio Industria Artigianato, Teramo, XIV (marzo-aprile 1993), 60-66. Ringrazio come sempre l’amico Sgattoni per la foto fornitami e le notizie riguardanti il ritrovamento del miliario. 390 Per il percorso di questa strada vedere più avanti in questo lavoro. 391 G. DE GUIDOBALDI, NSA, 1878, p. 27. L’autore ritenne chiamare questa strada: “… vecchia Salaria, per le reliquie a pietre poligonali della sua selciatura, rinvenute vicino al luogo ove fu scavata la iscrizione arcaica di S. Omero…”.

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Fig. 28 del testo, non possiamo precisare. Tenendo presente che l’appalto dei lavori riguardava la via Caecilia, gli interventi di restauro o di costruzione, dovevano necessariamente ed esclusivamente riguardare il XXXV miglio di questa via, non essendo specificato diversamente nel testo. Volendo considerare valida l’ipotesi del Persichetti, limitatamente al tratto che dal ponte BÚida giungeva ad Amiternum, attraverso le valli del Torano e del Salto, questo percorso lascia molte ombre, pur considerando gli elementi portati a sostegno, quali le testimonianze degli antichi ponti: BÚida, Marcatello, Latrone, Nascoso. Certamente questi ponti riguardavano antiche strade facenti parte della grande rete stradale romana, ma non ritengo che possano essere sufficienti a giustificare un diverticolo rotabile, quale la via Cecilia,

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che per raggiungere l’Adriatico passi per Amiternum, con uno sviluppo di 50 miglia, quindi maggiore rispetto alla Via Salaria, superando valichi e pendenze proibitivi, senza, peraltro, lasciare né una traccia archeologica, né memoria alcuna nella tradizione locale 392. Con ciò non si esclude che strade ugualmente antiche abbiano attraversato le valli del Torano e del Salto. In un lavoro riguardante il territorio amiternino, Segenni riporta di una probabile via: «… oltre il tracciato indicato dal Persichetti, una strada che collegava più rapidamente la valle del Salto con la conca amiternina. …Essa attraversava i monti La piaggia e Colle Acetone, procedeva per il vallone del torrente Puzzillo e per la località Ruella. Questa strada è indicata dalla tradizione come il ’percorso di Annibale’. Lungo questo tracciato sono stati individuati tagli di roccia riferibili ad età romana» 393. Di parere discorde Barbetta 394, che insieme a Conta 395, non ritiengono questo percorso legato alla via Cecilia. Ho controllato di persona tale taglio, che francamente sembra naturale, ma quantunque di epoca romana, non permetterebbe mai il passaggio di una via publica, o il transito di carri, data la fortissima pendenza del tratto (25%). Inoltre per quanto abbia indagato, non si ha memoria nel passato di strade carrozzabili nella zona che permettessero di valicare i monti. Tutti indicano tale percorso esclusivamente riservato al transito dei muli e che effettivamente questo sentiero fosse quello seguito dai pastori e dai viandanti per raggiungere la valle del Salto. Ad Novas-Reate Tornando ora alla via Cecilia, ritengo conveniente ricostruirne il percorso, prendendo le mosse non da Roma ma dal XXXI miglio non lontano da Oste392 N. PERSICHETTI, cit., p. 218. Secondo i calcoli dell’autore, la Caecilia raggiungeva Amiternum con un percorso non inferiore alle 85 miglia da Roma, quindi di 5 miglia maggiore rispetto a quello della Via Salaria. 393 S. SEGENNI, cit., p. 107 n. 25; IGM, f145, I NO, Tornimparte. 394 S. BARBETTA, cit., p. 48, n. 8: “le difficoltà orografiche non sono aggirate neanche nel caso del tracciato indicato dalla Segenni”. 395 G. CONTA, cit., II, p. 345.

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ria Nuova (Ad Novas). Tale miliario di età augustea è ancor oggi visibile sulla destra della strada, venendo da Roma, al km 53,850, in prossimità della chiesetta rinascimentale della Madonna della Quercia, nel comune di Scandriglia 396. Un’altra pietra miliaria di Giuliano del IV secolo, si trova accanto alla precedente e reca lo stesso numerale XXXI. Questo può forse significare che da Augusto a Giuliano non vi siano state modifiche del tracciato viario. Considerando in situ il miliario XXXI, e seguendo i resti di basolato descritti in passato da Persichetti, la via dopo 800 m circa proseguiva con un rettifilo, lasciando prima a destra e poi a sinistra l’attuale per giungere dopo 850 m fra i resti di due grandi sepolcri riconducibili alla prima metà del II sec. d.C., detti dai locali Massacci o Grotte dei Massacci’ 397. Superato il bivio per Toffia di 300 metri, la strada deviava a sinistra dall’attuale e le tracce, probabilmente, sono da ravvisarsi nella stradina che si dirige verso il fosso Riana e che dopo un miglio esatto giunge a Osteria Nuova, l’antico Vicus Novus. Grandiosi ruderi di epoca romana testimoniano ciò che resta del vetusto centro, posto, per certo, al XXXIII miglio da Roma, come riportato dall’Itinerario di Antonino 398. Tracce di strada furono documentate da Persichetti dopo Osteria Nuova, orientate verso il fosso di Roviano 399. La strada lambendo le falde orientali del Colle Ardinisco, scendeva sempre più verso il fiume, come testimoniano, ancora oggi, i resti di un viadotto in opera reticolata che Quilici data - ad un’età non anteriore all’augustea e non di molto posteriore - 400. Resti di strutture edilizie furono notate da Ashby subito dopo il viadotto ed 396 CIL, IX 5943; N. PERSICHETTI, Via Salaria nel circondario di Roma e Rieti, Roma 1903, p. 85; D. STERPOS, La strada romana, cit., p. 108, fig. 1; A. DONATI, cit., pp. 166, 167. Questa pietra fu posta da Augusto intorno al 16-15 a.C. Un’altra pietra miliaria di Giuliano, del IV secolo, si trova accanto alla precedente e reca lo stesso miglio XXXI. 397 N. PERSICHETTI, La Salaria nei circondari di Roma e Rieti, in R. M. XXIV, pp. 87, 90; Th. ASHBY, Appunti sulla via Salaria, in R. M. XXVII, 1912, p. 227; R. A. STACCIOLI, Guide archeologiche. Lazio settentrionale, Roma 1983, p. 291; L. QUILICI, La via Salaria da Roma all’alto Velino. La tecnica costruttiva dei manufatti stradali, in Strade romane. Percorsi e infrastrutture, Roma 1993, pp. 85-154 (107). 398 Idem, 94-95. Il Persichetti ritenne di collocare l’antica mansio a circa 200 m oltre l’attuale Osteria Nuova. IGM, f. 144 I SE, Fara in Sabina. 399 N. PERSICHETTI, NSA, 1909, pp. 153-158. 400 L. QUILICI, cit., p. 110 e n. 84.

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in questi ruderi Quilici riconosce avanzi di una stazione di servizio 401. Ipotesi quest’ultima da non scartare, considerando che esattamente in quel punto doveva essere allocato il miliario XXXIV, perché distante da Osteria Nuova (Vicus Novus), precisamente un miglio, e che le stazioni di sosta sorgevano solitamente in corrispondenza delle pietre miliarie per poter essere meglio localizzate dai viandanti. Poco più avanti Persichetti vide resti di strada prima di incontrare i ruderi del Ponte Bruciato 402. Da qui in avanti dell’antica via non rimangono tracce perché ricoperte dalla strada attuale. Dopo circa 800m la via raggiungeva il Ponte Bùida, per mezzo del quale superava il torrente Farfa 403. Resti di un ponte di epoca romana furono osservati dal Persichetti 20 metri a levante dell’attuale, con una carreggiata di 3 metri 404. Sempre Persichetti ritenne di identificare il Ponte Bùida con il “pons in fluvio”, posto a XXXV miglia da Roma, riportato sull’epigrafe della via Cecilia 405. Sorge ora qualche dubbio, infatti, partendo da Osteria Nuova (XXXIII), e procedendo lungo la strada descritta, dopo circa un miglio e mezzo si raggiunge il Ponte Bùida, compreso, quindi, nel miglio XXXIV e non nel XXXV. Per far luce sul problema ritengo vadano fatte alcune considerazioni. Come già detto in precedenza, essendo presente nel tratto di strada fra i Massacci e il ponte Buida una sostruzione di viadotto di età augustea, intervento di ristrutturazione più tardo rispetto a quello di opera sillana, il diverticolo sicuramente avrà ridotto il percorso della Salaria. Tornando, quindi, indietro ai Massacci (XXXII) e procedendo lungo la via Salaria, dopo un miglio esatto (XXXIII) giungeremo al Posto di Ristoro, in corrispondenza del km 57 406. Il miliario seguente (XXXIV), secondo i miei calcoli, doveva essere posizionato a scarsi 100 m prima del bivio per Poggio Moiano, mentre il successivo

401 IDEM, p. 111. 402 N. PERSICHETTI, NSA, p. 158. 403 IGM, f. 144, I SE, Poggio Moiano. Sulla tavoletta IGM, il km 61 è stato erroneamente posizionato 250 m prima. 404 N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., pp. 196-197. 405 IDEM, p. 197. 406 IGM, f. 144, I SO, Fara in Sabina.

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(XXXV), iniziava pressappoco in corrispondenza del km 60 407. Considerando che il Ponte Bùida è posto a 750 m in avanti, dobbiamo ritenerlo, quindi, compreso nel miglio XXXV da Roma. Torniamo ora ai ruderi della probabile statio, posta subito dopo il viadotto di età augustea già accennato, in prossimità del quale ho ipotizzato fosse il miglio XXXIV. Da qui, lungo la strada già descritta si raggiungeva il Ponte Bùida, mentre bisognava percorrere altri 680m circa, per raggiungere il miliario XXXV. La strada procedeva, quindi, in direzione di Poggio S. Lorenzo, che raggiungeva dopo circa 2.350 m (scarse due miglia). Da qui continuava fino al Fosso dei Cerri, fosso che superava con un ponticello romano ricordato dall’Holstenius. Saliva quindi fino all’incrocio prossimo all’Osteria della Colonnetta o dell’Ornaro 408, dopo un percorso di circa 5100 m. Qui è presente una colonna miliaria anepigrafe, ma che secondo i miei calcoli doveva essere il miliario XXXX. Infatti essendo la distanza dal 35° miglio fin all’Osteria dell’Ornaro pari a 7500 m, cioè esattamente 5 miglia, ne consegue che il migliario in esame doveva essere appunto il XXXX. Da qui proseguiva lungo la vecchia Salaria fino al km 72,9, poi volgeva a destra, lambiva il lato est del colle Gà fino al bel ponte romano detto Ponte Sambuco 409. Sempre in direzione nord, sulla sinistra del Fosso Ariana, si riallacciava alla via Salaria poco prima del 78° km. Cento metri più innanzi in corrispondenza di Osteria cadeva il miliario XXXXIV 410. Da qui col medesimo andamento raggiungeva il centro di S. Giovanni Reatino, quindi Rieti, posta a 49 miglia da Porta Col-

407 IGM, f. 144, I SE, Poggio Moiano. 408 Ivi, cit., p. 200; IGM, f. 144, I NE, Rocca Sinibalda. 409 L. MATTEI, Erario Reatino, cioè Historia dell’antichità, stato presente, e cose notabili della città di Rieti. Raccolte da Loreto Mattei Reatino, capit. VII, [18], parlando della Salaria: “…e si viene al Poggio S. Lorenzo […]. Indi per Ponte Sambuco si entra nella valle Reatina e avvicinandosi alla città si passa il ponte di Turano…”. Manoscritto autografo (a. 1702), conservato presso la Biblioteca Comunale di Rieti (coll. F-3-8), non consultato personalmente. Traggo le notizie dal recente lavoro di revisione del manoscritto curato da G. Formichetti e pubblicato su. “Il Territorio”, a. X numero unico 1994, p. 80, N. PERSICHETTI, cit., pp. 81 ss; E. MARTINORI, cit., p. 81; P. GAZZOLA. cit., p. 18 410 IGM, f. 144, I NE, Rocca Sinibalda.

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lina 411. Entrava nella città di Reate (Rieti) 412 da Porta Romana, raggiungeva il Foro (attuale piazza Vittorio Emanuele II) e da qui piegava a gomito verso levante fino a Porta d’Arce, lungo il decumano massimo, la direttrice della moderna via Garibaldi. Reate-Interocrium-Falacrine Uscita da Rieti la via Salaria procedeva in direzione di Cittaducale dove, recentemente, nei pressi, in località Radicara, è venuto alla luce un bel tratto dell’antica via Salaria (circa 300 m), sotto l’attuale piano stradale alla profondità di circa un metro. La carreggiata (agger viae) di 15 piedi, conserva ancora i piedidritti nella parte a monte della strada. La via Salaria seguendo poi la valle del Velino, raggiungeva le antiche terme di Cutilia (Aquae Cutiliae) (I sec. a.C.) 413. Non molto discosto dalle terme era il famoso santuario della dea Vacuna (Fanum Vacunae), importante luogo di periodico incontro dei popoli sabini. La strada proseguiva leggermente più a monte dell’attuale per Interocrio (Antrodoco), con un percorso più breve dell’odierno (circa 15 miglia). Oltrepassato l’abitato di Interocrio, entrava nella valle del Sigillo e circa 3 km più avanti, si rinvenne il miliario LXVI di epoca traianea, nei pressi 411 La strada, dopo aver superato il fiume Velino su di un ponte di probabile età repubblicana a tre arcate, successivamente restaurato nel 42 a.C., del quale restano visibili, in parte, i ruderi dell’arco centrale a fior d’acqua, entrava nella città attraverso un viadotto, forse coevo, realizzato in blocchi di travertino. Questi blocchi, posizionati di testa e di taglio, alternati con fornici a tutto sesto e sostruzione piena, giacciono ancor oggi sotto i palazzi costruiti lungo l’odierna via Roma. Per lodevole iniziativa di Rita Giovannelli e dei proprietari degli immobili, oggi i resti del viadotto romano possono essere ammirati attraverso visita guidata. 412 L’ antichissimo centro sabino di Reate successivamente alla deduzione romana (290 a.C.), ad opera del console Manio Curio Dentato, fu inglobata nel territorio romano. Fu praefectura fino al 27a.C., successivamente municipio ascritto alla tribù Quirina. Diede i natali (116 a.C.) al poeta ed enciclopedista Marco Terenzio Varrone. 413 L’antico vicus di Cutiliae sorgeva non discosto dall’attuale centro di Paterno, dove, in località Ortali erano le terme Aquae Cutiliae. Nei pressi delle terme l’imperatore Vespasiano fece costruire una suntuosa villa, ove si spense nel 24 giugno del 79 d.C. In questa stessa villa, soltanto due anni più tardi morì, il 13 settembre, suo figlio l’imperatore Tito.

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dell’abbazia di S. Quirico 414. Lungo le gole del Velino, nel comune di Posta, superato il Masso dell’Orso, al km 118 circa dall’attuale Salaria, venne alla luce in passato la pietra miliaria augustea del LXVIIII miglio 415. Nei pressi è presente un taglio artificiale della roccia alto circa 30 metri e lungo 20m. Diversi resti della strada furono descritti dal Persichetti, da Lodonero fino a Falacrine, forse antica mutatio, presso la quale nacque l’imperatore Vespasiano 416, posta all’LXXX miglio da Roma ed identificabile con l’attuale Collicelle, poco oltre il km 136 417. Falacrine-Asculum Sempre il Persichetti portò alla luce sicuri resti di strada che gli permisero di affermare che la via Salaria passava per Torrita, S. Giorgio, S. Giusta, fino a Poggio Vitellino 418. Proseguendo poi lungo la sponda sinistra del Tronto, prima dell’incrocio con il torrente Neia, guadagnava la destra del fiume, passava in prossimità della frazione di Saletta, dopo un percorso di poco superiore ai 13 km, pari a circa 9 miglia (XCVIII), la distanza che secondo l’Itinerarium Antonimi divideva Falacrine da Vicus Badies. In passato Persichetti, condiviso da altri, collocò la statio non lontano da Fonte del Campo presso Accumoli 419, mentre Caselli, con molta cautela pro414 CIL, IX, 5948; N. PERSICHETTIi, cit., p. 54; P. GAZZOLA, cit., p. 187; A. DONATI, cit., p. 172. 415 NSA, 1891, p. 41. 416 SUETONIO, Vespasiano, VIII, 2: “Vespasiano nacque nel paese dei Sabini, oltre Rieti, in un piccolo villaggio chiamato Falacrina, verso la sera del quindicesimo giorno prima delle calende di dicembre, durante il consolato di Q. Sulpicio Camerino e di Poppeo Sabino, cinque anni avanti la morte di Augusto” (trad. di E. Noseda). 417 Il vicus di Falacrine, riportato sia dalla Tab. Peut. che dall’Itinerarium Antonimi, era presso la chiesetta di S. Silvestro nella valle Falacrina. Ivi si rinvennero resti della Via Salaria (N. Persichetti, Cittareale, cit., pp. 79-82. 418 N. PERSICHETTI, Viaggio archeol. …presso Cittaducale, cit., pp. 93-95. 419 IDEM, Viaggio…Cittaducale, cit., p. 95; E. MARTINORI, cit., p. 152; G. CONTA, cit., p. 355; P. L. DALL’AGLIO, cit., p. 175.

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pende per Borgo presso Arquata del Tronto 420. A mio avviso la Salaria procedeva sulla sponda destra del Tronto, due miglia più avanti raggiungeva Fonte del Campo, quindi Grisciano, dopo un percorso di scarsi 9 km (6 miglia), cioè al 94° miglio da Roma. Da Grisciano, in direzione NE, dopo 3km raggiungeva il bivio per Ad Martis, a 16 miglia da Falacrine, al 96° da Roma 421. Cluverius ritenne identificarla con la statio Ad Martis posta a sud di Massa Martana, in Umbria, esattamente nei pressi della chiesa di S. Maria in Pantano, lungo la via consolare Flaminia 422. Non condivido quanto affermato dal Cluverius, poiché tra Collicelle (Falacrine) e S. Maria in Pantanis (Ad Martia) corrono, solo in linea d’aria, 37 miglia 423. Secondo Colucci, invece, il Vicus Ad Martis dovrebbe essere ricercato nel tratto tra Accumoli ed Arquata  424 . Sulla carta della Sabina del Prosseda, Ad Martis è posta tra S. Lorenzo e Flaviano presso Amatrice 425, mentre Nibby collocò il vicus presso Fonte del Campo, non lontano da Centesimum 426. Di parere diverso Castelli, il quale ritenne Ad Martis non un vicus, bensì un luogo dove in passato sorgeva un

420 G. CASELLI, cit., p. 146. 421 Tab. Peut. V, 4. 422 CLUVERIUS, Italia antiqua, 1624, lib. II, c. VII, pp. 638-639; Itin. Anton., 311, 3; Tab. Peut., V, 3; D. MANCONI, Umbria Marche. Guide archeologiche, Bari 1980, p. 136:” Il vicus Martis è stato localizzato nella zona di S. Maria in Pantano a circa 3 km da Massa Martana”; CIL, XI, 4748, 4751, “vicani vici Martis”; G. RADKE, cit., pp. 219, 220, 222. La statio era posta tra Narnia (Narni) e Mevana (Bevagna), a 18 miglia da Narni, secondo l’Itn. Anton., mentre 16 miglia per la Tab. Peutingeriana. Queste distanze collimano perfettamente, infatti tra Narni e S. Maria in Pantano corrono 26, 5 km (18 miglia), in accordo con l’It. Antonino, e 23, 6 km (16 miglia), tra il bivio per Narni e quello per Massa Martana secondo la Tab. Peutingeriana. 423 IGM, f. 139. L’Aquila; IGM, f. 131, Foligno. 424 G. COLUCCI, Delle antichità Picene, tomo XIIII. Dissertazione decimonona, III-Del vico chiamato Ad Martis, 244-247 (247), “Per rinvenire il sito di questo Vico dobbiamo allontanarci almeno per ventuno, e più miglia da Ascoli in su verso i monti, e limitarci fra Arquata e Acumulo, fra i quali due Luoghi (se i numeri della Peutingeriana non sono viziati) potremo ricercare l’ubicazione di questo vico”. 425 E. PROSSEDA, Carta corografica della Sabina antica e moderna, Roma 1827. 426 A. NIBBY, Analisi storico-topografica antiquaria della Carta de’ dintorni di Roma, III, Roma 1837, p. 633.

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tempio dedicato a Marte, in prossimità dell’attuale Tufo 427, e dello stesso avviso furono sia Persichetti 428 che Celani 429. Nella prima metà del XIX secolo, Palma ritenne collocare Ad Martis nel bosco Martese, nei pressi di Rocca S. Maria, comune del teramano 430, seguito, circa cinquant’anni più tardi, da De Guidobaldi, il quale trattando della via Salaria antica, ne condivise l’ipotesi 431. Tra i diversi pareri fin qui formulati, ritengo il più attendibile quello avanzato da Palma. Se dal bivio posto sotto il Castelluccio 432, lasciando la via Salaria procedessimo in direzione SSO, attraverso Poggio d’Api, la Macera della Morte, raggiungeremmo il Bosco della Martese 433, ed ancora l’Ara Martese, dopo circa 10-12 miglia in linea d’aria 434. Il Bosco della Martese, forse era sacro al dio Marte e non ritengo sia congettura temeraria mettere in relazione l’Ara Martese con un’antica Ara Martis. A questo punto ritengo che con Ad Martis della Peutingeriana debba intendersi il bivio suindicato per il sacrarium di Marte. Non è un caso che proprio a Trisugno si rinvenne nel 1831, il miliario au-

427 A. CASTELLI, La via Consolare Salaria. Roma-Reate-Asculum-Adriaticum, Ascoli Piceno 1886, p. 18 “…esprimiamo il parere che l’indicazione Ad Martis non segnasse propriamente un vico ma un santuario di Marte, con bosco sacro ed asilo, posto fra Badies (Accumoli) e Surpicanum (Arquata). Corrisponderebbe precisamente al luogo che ora porta il nome di Tufo. Ma questo santuario poteva essere tanto vicino a Falacrinum?... nel caso nostro è ragionevole supporre che Ad Martis non fosse sulla linea della Salaria, ma in capo ad una linea secondaria”. 428 N. PERSICHETTI, Viaggio…presso Cittaducale, cit., pp. 98, 99. 429 A. CELANI, Storia del Piceno, Ascoli Piceno, 1982, p. 19. Pone la statio Ad Martis “ a oriente di Tufo, sopra il ponte”; IGM, f. 131, Norcia. 430 N. PALMA, Storia ecclesiastica, cit., V. pp. 211 e 213. 431 G. DE GUIDOBALDI, L’antichissima via Salaria da Roma a Vallorino, Napoli, 1883, pp. 7 e 10. 432 IGM, f: 132, Norcia. 433 IGM, f. 139, I NE, Monte Gorzano. 434 IGM, f. 133, III SO, Valle Castellana. Viene denominate Ara Martese, un piccolo spiazzo visibile lungo la strada provinciale n° 38, al km 33+ 900. Non sono presenti ruderi, né si ha memoria storica di costruzioni, ma soltanto un pianoro posto leggermente a nord di tale spazio, detto attualmente Casetta.

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gusteo XCVIIII 435. Poche miglia più innanzi, in località Quintodecimo 436, la via Salaria superava il fiume Tronto per mezzo di un ponte di epoca romana, ad arco unico ribassato, con luce di m 17 circa 437. Sempre procedendo lungo la sponda destra del Tronto, dopo circa due chilometri la Salaria raggiunge Acquasanta Terme. La gran parte delgli autori ritiene che la statio di Ad Aquas, riportata sulla Tab. Peut., sia da ricercare nella frazione di S. Maria, non molto discosta da Acquasanta Terme 438. Sempre dalla Tab. Peut. apprendiamo che a IX miglia da Ad Aquas era Surpicano, che quest’ultimo era collegato con Firmum, mentre VII miglia separavano Ad Aquas da Ad Martis 439. (Fig. 29) Se volessimo considerare Surpicano una statio, posta fra il bivio per Ad Martis e Ad Aquas lungo la via Salaria, arriveremmo ad un assurdo, e cioè che la distanza fra loro sarebbe di 16 miglia, quindi superiore di ben 5 miglia a quella reale, non giustificata dalla morfologia del territorio. Non ritengo inoltre emendare le miglia riportate sulla Tab. Peut., credo invece che vada letta in maniera diversa. In passato varie ipotesi sono state avanzate sulla collocazione di Surpicano. Secondo Colucci 440 bisognava ricercarlo nei pressi di Favalanciata 441,

435 CIL, IX, 5950; N. PERSICHETTI, La via Salaria nel circondario di Ascoli Piceno, Roma 1904, pp. 285-286;A. DONATI, cit., p. 205;G: RADKE, cit., p. 342. 436 La frazione di Quintodecimo trae il suo nome dalla distanza che la separa da Ascoli Piceno. 437 E: MARTINORI, cit., p. 159; GAZZOLA, cit., p. 67;G. RADKE, cit., p. 342; IGM, f. 132, Norcia. 438 G. COLUCCI, Delle antichità picene, XIV, Fermo 1786-1797, p. 248. Secondo K. MILLER(It. Rom., cit., col 317), seguito poi da N. PERSICHETTI (Viaggio…Ascoli, cit., p. 20) e da E. MARTINORI (cit., p. 162):”La stazione termale antica, della quale indarno si ricercherebbero le vestigia, doveva trovarsi tra l’attuale paese di Acquasanta e la frazione Santa Maria”; G. CONTA, cit., pp. 124-141; 369-370; IDEM, La stazione di Ad Aquas lungo la via Salaria, in Strade nelle Marche. Il problema nel tempo, Deputazione di Storia Patria per le Marche, Atti e Memorie 89-91 (1984-1986) pp. 431-435). 439 Tab. Peut. V, 3-4. 440 G. COLUCCI, cit., XIV, p. 247. 441 IGM, f. 132, Norcia.

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Fig. 29 per Miller 442 e Philipp 443 in Accumuli rispettivamente, per Martinori 444 presso Quintodecimo, mentre per Radke non è rintracciabile 445. Nel suo lavoro su Ascoli, Conta ritiene identificare Surpicano nel sito dell’odierno Trisugno 446. Personalmente ritengo valida l’ipotesi formulata da Dall’Aglio-Giorgi, cioè localizzare Surpicano nei pressi di Arquata del Tronto e più specificamente a S. Salvatore 447. Infatti molti sono gli argomenti a favore; innanzitutto la distanza Ad Aquas-Surpicanum, di poco superiore ai 13 km, ben si accorda con le IX miglia della Tabula Peutingeriana. Non bisogna dimenticare che presso la chiesa di S. Salvatore vennero alla luce resti di un antico basola-

442 K. MILLER, cit., col. 317. 443 H. PHILIPP, Surpicanum, in RE, IV A, I (1931) col. 969. 444 E: MARTINORI, cit., p. 156. 445 G. RADKE, cit., p. 342. 446 G. CONTA, cit., pp. 364-365. 447 P. L. DALL’AGLIO-E. GIORGI, cit., p. 178.

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to 448. Inoltre siamo nei pressi di un trivio importante dal quale una strada in direzione est permetteva di raggiungere la via Salaria a Trisugno. Sempre da S. Salvatore un’altra strada, procedendo verso occidente raggiungeva l’antica città di Norcia. Guardando la Tab. Peut., notiamo che da Surpicano era possibile raggiungere Firmo, Pausulae e Potentia. Senza voler indagare a fondo sulla viabilità antica del Piceno, ritengo si possa dare una chiave di lettura della Peutingeriana. Da Potentia, procedendo verso l’interno, dopo circa 13,6 km (IX miglia) si raggiunge il bivio in all’altezza dell’odierno Montelupone 449. (Fig. 30) Forse proprio in corrispondenza di quel bivio un cartello stradale di segnalazione indicava le distanze per Pausulae e per Firmo. Da Pausulae ad Asculum la Peutingeriana registra un intervallo di XIIII miglia, distanza che corrisponde perfettamente con quella tra Pausulas ed Urbs Salvia. Infatti da S. Claudio al Chienti (Pausulae), passando per Corridonia, Petriolo, Abbazia di Fiastra, Urbs Salvia, corrono circa 20,9 km (XIIII miglia). Anche qui, come nel caso precedente, in prossimità del bivio avremmo forse trovato indicazioni per Asculum. La città di Urbs Salvia era posta lungo l’importante strada interna che collegava Ancona con Asculum, attraverso Auxinum, Helvia Ricina, Urbs Salvia, Falerio, cioè il territorio iesino-anconetano con la via Salaria. Tornando ora al bivio Pausale-Firmo (Montelupone), e procedendo in direzione di Fano passando per S, Ignazio, Montecosaro, Montegranaro, dopo 21,9 km (XVmiglia), incontreremo il bivio Firmo-Surpicano 450. Da Montegranaro, procedendo per Monte S Giusto, Mogliano, Pian di Pieca, poi per Sarnaro, Amandola, Monte Fortino, Piedilama 451, si raggiunge la chiesa di S. Salvatore, nei pressi della quale ho ipotizzato fosse Surpicano. Proseguendo il nostro percorso lungo la via Salaria, da Ad Aquas la strada manteneva sempre la sponda destra del Tronto fino ad Arli dove nei pressi si scoprì il miliario CXIII, attualmente nella chiesetta di S. Pietro, posta ad un 448 G. CONTA, cit., p. 363, nota 114. 449 IGM, f: 125, IV NO, Macerata est. 450 IGM, f. 125, IV NO, Macerata est. 451 IGM, f: 132, Norcia.

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Fig. 30 - ViabilitĂ picena

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chilometro NO dal centro abitato 452. Il Radke dopo aver preso visione del reperto, ritenne collocarlo in origine “… nel ponte d’Arli nelle sue immediate adiacenze… con il numero CVIII” 453. Volendo prestar fede a quanto affermato dal Radke, e cioè che il miliario di S. Pietro sia realmente il CVIII, ritengo poco probabile che in origine possa essere stato collocato sul ponte o nei pressi. Infatti, sapendo che Quintodecimo era a CIIII miglia da Roma e che il ponte d’Arli distava non meno di VI miglia 454, secondo i miei calcoli, nei pressi del ponte doveva esserci il miliario CX e non il CVIII. Sempre in prossimità del ponte d’Arli 455, è presente una sostruzione in opus quadratum di oltre 200 piedi di lunghezza e 25 di altezza. La vecchia strada proseguiva passando innanzi alla Taverna di Mezzo e alla Taverna Piccinini, distanti tra loro esattamente un miglio. Forse in passato le taverne erano sorte rispettivamente in corrispondenza dei miliari CXIV e CXV della via. Da qui, procedendo sempre sulla sponda destra del Tronto, dopo circa 4,5 km (CXIX miglia da Roma), la via Salaria entrava in Ascoli attraverso la Porta Romana 456. Non conosciamo l’esatto percorso della strada all’interno della città, probabilmente procedeva lungo il decumanus maximus 452 CIL, IX, 5951 e 5952; N. PERSICHETTI, La via Salaria nel circondario di Ascoli Piceno, cit., pp. 291-292; IGM, f. 132, Norcia; A. DONATI, cit., pp. 206-207, a) Liberatori/ orbis romani, / restitutori liber/tatis et rei pub(licae), con/servatori militum et/ provincialium, d(omino) n(ostro)/ Magne(n)tio, invicto prin/cipi, victori ac triumphat/ori, semper Augusto. b) D(ominis) n(ostris) (tribus) [Va]/lentini[ano, Vale]/nti et [Grati]a[no]. / piis, felic[ib]us ac / tiumph[at] orib/us, sem[per Aug(ustis), ] / bono r(ei) [ p(ublicae)n ]atis. / CXIII. 453 G: RADKE, cit., p. 342. 454 La distanza è stata calcolata seguendo il vecchio tracciato della via Salaria, più breve dell’attuale. 455 IGM, f. 133-134, Ascoli Piceno-Giulianova. 456 G. COLUCCI, Delle antichità Picene, cit., tomo XIIII, Dissertazione decimottava, 237 “Venendo la via Salaria dalla parte verso Roma, è cosa indubitata che dovesse far capo nella Porta d’Ascoli, che ancor oggi si chiama Porta Romana. […] Che questa poi riuscisse nella porta, in cui al presente rimane la porta detta Maggiore è cosa troppo giusta, e naturale, perché quella porta soltanto risponde a dirittura verso la marina, a cui era la via indirizzata; ma è difficile per altro il decidere se ivi medesimo, o più in dentro rimanesse in antico la porta da quella banda, siccome gli avanzi dell’antico circondario delle mura, che si vede tuttora a Porta Romana, non trovasi a Porta Maggiore. […]”.

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(Corso Mazzini) 457 ed usciva superando il Ponte di Cecco, posto ad est di Ascoli, sul torrente Castellano 458. Asculum-Truentum La Salaria proseguiva poi verso levante, superava il torrente Gran Caso sul ponte omonimo 459 e sempre sulla destra del Tronto raggiungeva Marino. Nei pressi di questo centro si rinvenne in passato il miliario di Augusto CXXIII, attualmente presso il Palazzo Comunale di Ascoli Piceno. Da Marino mantenendosi sempre sulla destra del Tronto la via Salaria giungeva nei pressi della foce, volgeva in direzione sud-est e raggiungeva Castrum Truentinum (Martinsicuro), dopo circa 20 miglia. Più precisamente in un recente lavoro di Staffa sulla via adriatica, trattando del collegamento di quest’ultima con la via Salaria, ipotizza che: «l’innesto con la Salaria proveniente da Asculum doveva avvenire allo sbocco sul litorale della valletta percorsa dal Fosso di Fonte Ottone, ove discendeva dalle alture di Colonnella una carrareccia nota ancora nell’Ottocento come ‘via di Fonte Ottone’, riconosciuta come tracciato dell’antica strada di collegamento con Asculum sulla base della presenza lungo il suo tracciato di tombe momumentali, necropoli e resti di romani» 460. L’antica città di Tuentum o Castrum Truentinum 461, era collocata sulla de457 E. FERRETTI, Ascoli Piceno, veduta a volo d’uccello (acquaforte), 1614, n. 23. 458 E. MARTINORI, cit., p. 168;P. GAZZOLA, cit., p. 66. 459 G. COLUCCI, cit., p. 237: “Fosse però stata dovunque l’antica Porta, sarà sempre restata a un bel circa sulla stessa direzione, cosicchè uscendo la via Salaria da quella banda si diriggeva poi a man destra verso il presente Castello chiamato Ancarano, (…) e sempre piana, ed agiata, costeggiando da una banda le sovrastanti colline, e dell’altra le ripe del Truento già riunito col Castellano guidava alle foci di esso, dove, (…) era collocato Castrum Truentinum, che nell’Itinerario è segnato per prima distanza dopo la Città d’Ascoli”; N. PERSICHETTI, cit., p. 301; P. GAZZOLA, cit., p. 68. 460 A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero. Viabilità, insediamenti, strutture portuali ed assetto del territorio fra Antichità ed Alto Medioevo, Lanciano 2002, p. 26, Fig. 3. 461 SILIO, 431-435 “Hic et, quos pascunt scopulosae rara Numanae, et quis litoreae fumant alteria Cuprae, quique Truntinas servant cum flumine flumine turres, cernere erat; clipeata

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stra del fiume Tronto 462, in prossimità di Martinsicuro, località Case Feriozzi, come recenti scavi hanno definitivamente stabilito 463. Resti di edifici, magazzini, taverne, portici, di un antico quartiere sviluppato lungo un asse stradale basolato, databili fra il II-I secolo a.C., sono venuti alla luce negli anni 19911993, in località Case Fierozzi, in prossimità del fiume Tronto, fra la linea ferroviaria e la strada adriatica 464. A poche decine di metri da quest’ultima sono stati rinvenuti resti di un grande edificio pubblico, di forma quadrangolare, strutturalmente riconducibili ad un macellum 465. Dell’antica città di Castrum Truentinum abbiamo documentazione certa ancora intorno al VI secolo d.C. nell’elenco dei castra bizantini di Giorgio Ciprocul sub Sole corusco agmina sanguinea vibrant in nubilia luce”; CIC., Ad Att. 8, 12b, 1: “Cesarem Firmo progressus in castrum Truentinum venisse” (11 febbraio del 49); STRABO, 5, 4, 2 “Segue poi il santuario di Cupra, fondato e costruito dai Tirreni: essi chiamano Era col nome di Cupra; poi c’è il fiume Truentus e la città da cui prende il nome, poi Castrum Novum e il fiume Matrinus”; PTOL. 3, 1, 18;MELA, 2, 65 “Haec enim praegressos Piceni litora excipiunt: in quibus Numana, Potentia, Cluana, Cupra urbes, castella autem Firmum, Hadria, Truentinum; id et fluvio qui praeterit nomenest”;PLINIO, N. H., 3, 13, 110: “Quinta regio Piceni est, quondam uberrime multitudinis CCCLX Picentium in fidem p. R. venere. Orti sunt a Sabinis voto vere sacro. Tenuere ab Aterno amne, ubi ager Hadrianus et Hadria colonia a mari VI. Flumen Vomanum, agerPraetutianusPalmensisque, item Castrum Novum, flumen Batinum, Truentum cum amne”. 462 D. ROMANELLI, Antica topografia, cit., 1818, parte seconda, tavola allegata; CIL, IX, p. 492; H. KIEPERT, Italiae Regio V, carta allegata al vol. IX del CIL; G. NEPI-N. TORQUATI (a cura di), Atlante di cartografia storica di Truentum, Martin Sicuro (Teramo) 1998; R. U. ANGLIERI, Martinsicuro di Colonnella (Teramo), p. 349-350; G. RADKE, cit., p. 343;G. MASTRANGELO, Truentum cum amne, in: Abruzzo, a. IX (1971) n. 3, p. 337; G. CONTA, Asculum, cit., tav: 1. Vol. I, p. 414; V. GALIE’, Castrum Truentum e Turris ad Truentum, Macerata 1984, pp. 58-59;A. R. STAFFA, Truentum, in: Enciclopedia dell’ arte antica classica e orientale (EAA), II sippl., 5 (1997), pp. 864-866; M. BUONOCORE, G. FIRPO, Fonti, cit., II, 2, pp. 803-805. Numerosi sono gli autori che nel passato localizzarono l’antico centro sulla sinistra della foce del fiume Tronto: C. HÜLSEN, cit., p. 95; G. CASTELLI, La via consolare, cit., pp. 22-24; N. PERSICHETTI, La via Salaria nel circonderio di Ascoli Piceno, cit., pp. 3334; F. COARELLI, A. LA REGINA, Abruzzo e Molise, cit., p. 13; A. CIVITAREALE, Città romane d’Abruzzo, cit., p. 75; G. CASELLI, Guida, cit., p. 141. 463 A. R. STAFFA, Resti dell’antica città di Truentum-Castrum Truentinum-Martinsucuro località Case Feriozzi, in: Documenti Abruzzo Teramano (D. A. T.), 1996, IV, pp. 332. 354. 464 A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., p. 18, Fig. 4. 465 Ivi, pp. 20-21, Fig. 4, n. 19.

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prio 466. Notizie di Turris ad Trunctum o ad pedem Trunti, risalgono al 1054, mentre nel 1063 Giselberto e Trasmondo, figli di Elperino, donano al vescovo di Fermo Udelrico ‘ipsa Turre qua est in pede Trunto et vocabulo Summo Friano’ 467. Tornando ora all’epigrafe della Via Caecilia, la reintegro come riportato in figura. (Fig. 31) L’iscrizione è naturalmente di epoca posteriore rispetto al miliario di S. Omero, in quanto riporta esclusivamente gli appalti di lavori di ristrutturazione riguardanti, la costruzione di un ponte, il riattamento di un altro, nonché l’inghiaiatura limitata a tre tratti di strada. Questi lavori, credo, vadano inquadrati in un piano di riorganizzazione e di ampliamento della rete stradale romana, conseguenza della guerra sociale, che tanto si rivelò gravosa per Roma, rappresentando un serio pericolo 468. 466 GIORGIO CIPRIO, Descriptio orbis Romani, 619 (Kastron Tarentinon); G. FIRPO, Fonti latine, cit., II, 2, p. 809. 467 A. R. STAFFA, L’Abruzzo, cit., p. 305. 468 APPIANO, I, 39 ss: Scoppiata la rivolta, tutti i popoli non nascondevano più i preparativi bellici: Marsi, Peligni, Vestini e Marrucini e dopo di questi, Picentini e Frentani e Irpini, Pompeiani, Venusini e Iapigi, Lucani e Sanniti, popolazioni che già prima erano state ostili ai Romani, e quanti altri popoli dal fiume Liri (che mi sembra sia ora considerato il Literno) fino alla parte più profonda del golfo Adriatico incontra chi o percorre il continente o circumnaviga la costa (trad. a cura di E. Gabba, Appian. Bellorum Civilium, Liber primus, Firenze 1967). Non bisogna dimenticare che la scintilla della rivolta esplose proprio ad Asculum, verso la fine del 91 a.C. con l’uccisione del commissario Quinto Servilio ed altri cittadini romani. La dura reazione del senato romano, esasperò ancor di più gli animi degli Italici, i quali diedero vita ad una confederazione per rivendicare il diritto alla cittadinanza romana. Da Ascoli il fermento dilagò anche a sud attraverso i Vestini, i Marrucini, i Frentani, i Peligni ed i Marsi. Infine si associarono ad essi anche i Sanniti, gli Irpini, i Lucani e per la prima volta si unirono compatti contro Roma, dandosi per capitale la città di Corfinium. La scelta di questa città non fu dettata al caso, infatti, Corfinio era posta all’incrocio di grandi vie strategiche: la via Valeria che congiungeva Roma con il mare Adriatico e la via Claudia Nova che lo collegava con il Sannio a sud, mentre a nord, attraverso la valle dell’Aterno con la via Salaria. Fin dall’inizio delle ostilità, lo scopo degli Italici era ben chiaro, essi miravano ad isolare Roma cercando in ogni modo di aprirsi un varco attraverso il territorio umbro ed etrusco, con l’intento di coinvolgerli nel conflitto. Come ebbe a dire Pallottino a riguardo, questa strategia si rivelò perdente per gli italici perché: Roma aveva il grande vantaggio geografico di possedere un solido blocco di territorio che includeva la zona sabina e attraversava l’ntera penisola, separando efficacemente gli insorti dal diretto contatto con gli Etruschi (E. T. SALMON, Il Sannio, cit., p. 362). I Sabini non si associarono

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con i popoli in guerra, poiché già godevano della cittadinaza romana. In effetti era reale il timore di sollevazioni in Umbria ed in Etruria (Livio, Per., 74), non a caso Roma corse ai ripari con la Lex Iulia Papiria, prima, e con la Lex Plautia Papiria, poi, che concedevano la cittadinanza romana a qualsiasi cittadino latino alleato che avesse deposto le armi. La Lex Iulia dava la cittadinanza ai Latini delle antiche comunità e colonie, mentre l’anno successivo (89 a.C.) con la legge Plautia Papiria si accordava la cittadinanza, senza distinzioni, sia ai Latini che agli alleati, purchè ne facessero richiesta entro due mesi al censore. Questo provvedimento fece sortire senza dubbio i suoi effetti, infatti dopo le vittorie iniziali degli Italici, i Romani, guidati dal console Pompeo Strabone, conquistarono Ascoli e proseguendo verso sud lungo la via adriatica, sconfissero poi i Vestini, i Marrucini, i Peligni, giungendo fino a Corfinio.

Fig. 31 - Reintegrazione epigrafe via Caecilia

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La lunga ed estenuante guerra si protrasse fino all’anno 82 a.C. e a Porta Collina (1° novembre) i Sanniti furono definitivamente sconfitti. Successivamente alla battaglia di Porta Collina, Silla avvertì l’esigenza di tenere sotto controllo i territori italici, e a tal fine furono create nuove colonie. Nel territorio piceno i romani fondarono nuovamente la colonia di Hatria (Atri), di Interamnia (Teramo) 469, costruirono nuove strade di accesso al mare Adriatico, oltre la via Salaria anche più a sud attraverso la valle dell’Aterno, collocando sia Hatria che Interamnia con l’Urbe. Come detto in precedenza, l’epigrafe riporta il testo di un appalto (locatio operis), riguardante lavori di riparazione di tratti della via Caecilia, nelle prime due linee, mentre la somma totale della spesa, ormai perduta, era all’inizio della terza linea. Sempre alla l. 3 viene citato un ponte su di un fiume al XXXV miglio della strada (ad. mil. XXXV. pontem in flu[v]io), da identificarsi con i resti rinvenuti presso l’attuale ponte Bùida, al XXXV miglio della Salaria 470. La spesa per i lavori riguardanti tale ponte, era sostenuta dal popolo (l. 4), mentre l’entità della somma, che doveva essere all’inizio della l. 5, è andata perduta. Conosciamo il nome dell’appaltatore (manceps) e del questore (T. Vibio Temuuduino), del quale purtroppo non sappiamo nulla. All’inizio della l. 7 si riporta di un tratto di strada da inghiaiare, [via gla]rea sternenda, ma non sappiamo né da quale miglio, perché la pietra presenta una scheggiatura in corrispondenza del numerale, né precisamente per quante miglia. Sappiamo però che in questo tratto superava l’Appennino […et per A]p [e]nninum munien[da], e che la spesa sostenuta fu di 150. 000 sesterzi. E’ noto però che lo spartiacque dell’Appennino lungo la via Salaria è nei pressi dell’Osteria della Meta, intorno al km 141, poco prima di Torrita 471, cioè intorno al miglio 469 CIL, IX 5020; 5047. Modestissimo centro abitato, appartenente alla tribù Velina, Interamnia divenne municipio successivamente alla guerra sociale. Frontino in proposito: “Huius soli ius quamvis habita [o]ratione divus Augustus de statu municipiorum tractaverit, in proximas urbes pervenire dicitur, quarum ex voluntate conditoris maxima pars finium coloniae est adtributa, aliqua portio moenium extremae perticae adsignatione inclusa; sicut in Piceno fertur Interamniatium Praetuttianorum quondam oppidi partem Asculanorum fine circum dari. [Quod si ad haec revertamur, hoc conciliabulum fuisse fertur et postea in municipii ius relatum]”. 470 C. HÜLSEN, cit., p. 94; N. PERSICHETTI, Alla ricerca, p. 197; G: RADKE, cit., p. 340. 471 IGM, f. 139, I NO, Amatrice; G. RADKE, cit., p. 337, ‘La via, di cui è descritto il restauro, dopo Interocrium aveva un percorso diverso da quello della Calatina: seguiva la valle del

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LXXXIII della via Salaria. Alla l. 9 era inoltre scolpito il numero delle miglia da inghiaiare, ma essendo scalfita la parte iniziale del numerale, rimangono solo le ultime due cifre […] XX. Da qui la considerazione che le miglia da imbrecciare non furono neno di XX, ma potrebbero essere state [x] XX oppure [xx] XX. Qualche ulteriore chiarimento possiamo, però, trarlo dalla l.12, dove si legge del successivo tratto di strada da inghiaiare, e sebbene quest’ultimo riporti il numerale del miglio scheggiato nella parte centrale, ci permette ugualmente una integrazione: [via af] mil. LXX [xx] VIII ad mil CXX […]. Sappiamo quindi con certezza che i lavori del secondo tratto di strada partivano dal miglio LXXXXVIII, cioè in corrispondenza di Arquata del Tronto. Questo, inoltre, ci permette di affermare che le miglia da inghiaiare, nel primo tratto, erano 20, cioè dal miglio LXXVIII al miglio LXXXXVII. Considerando che la spesa era di 150. 000 sesterzi, ricaviamo che il costo per inghiaiare un miglio di strada era di 7. 500 sesterzi. Ritengo che la via Cecilia, alias via Salaria, in origine raggiungesse il mare presso la foce del Salinello, e che solo successivamente, in età sillana, da Asculum, lungo il fiume Tronto guadagnasse la costa adriadica, mentre il tratto da Ascoli alle foci del Salinello, perse parte della sua importanza. Il secondo tratto, quindi, dal miglio LXXXXVIII raggiungeva Asculum, dopo 21 miglia (CXIX da Porta Collina), proseguiva poi lungo il tracciato dell’attuale SS 81 fino a Marino del Tronto. E’ proprio nei pressi di S. Giuseppe di Marino del Tronto, nel podere del Cav. Saienni che si rinvenne il miliario CXXIII, fatto collocare da Augusto intorno al 12-11a.C.: In]p(erator) Caesar / [Au]gustus, pont(ifex) / [ma]x(imus), co(n)s(ul) XI, / [tr]ib(unicia) potes(tate) / XII. Ex / s(enatus) c (onsulto) / CXXIII. Il miliario, come detto in precedenza, è attualmente conservato nel cortile del Palazzo Comunale di Ascoli Piceno 472. La strada procedeva mantenendosi lungo la riva destra del Tronto e di questo abbiamo ulteriore conferma dagli Acta Nerei et Achillei, riguardanti il martiVelino (Val di Sigillo) per Bacugno e attraverso lo spartiacque tra il Velino e il Tronto poco dopo l’Osteria Varoni’. 472 G. CASTELLI, La via Salaria, cit., pp. 15, 21; CIL, IX, 5954; N. PERSICHETTI, La via Salaria nel circondario di Ascoli Piceno, cit., p. 302; A. DONATI, cit., p. 207, n. 48; G. RADKE, cit., pp. 338, 339, 343; A. R. STAFFA, La via Salaria, cit., p. 427, n. 59.

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rio di S. Marone avvenuto in località Montorio e precisamente al 130° miglio della via Salaria 473. Il miliario CXXX doveva essere stato collocato qualche centinaio di metri prima del Casino Montori, detto oggi Masseria Montori (IGM, f. 133-134, Ascoli Piceno), circa 11,5 km (7 miglia) dopo Marino del Tronto. Sempre seguendo la sponda destra del fiume, la strada raggiungeva infine il mare Adriatico a Castrum Truentum (Martinsicuro) dopo poco più di 13 km (8 miglia), al miglio CXXXVIII. Tenendo presente che il secondo tratto era compreso fra il miglio LXXXXVIII e il CXXXVIII, la strada da inghiaiare risultava, quindi, di 41 miglia 474. Considerando che il tratto urbano della via Salaria nella città di Asculum, compreso tra Porta Romana ed il ponte Cecco, è di circa un miglio 475, e che probabilmente lungo di esso non saranno stati eseguiti lavori di imbrecciatura, le miglia di strada del secondo tratto, cioè dal 98° al 138° miglio, furono 40 (l. 14). E’ da tener presente che secondo la legge promulgata dai censori nell’anno 580 di Roma, si stabilì che le strade dell’Urbe fossero pavimentate con selci, mentre quelle extraurbane con ghiaia 476. Sulla linea 13, Hülsen, seguendo Domaszewki, con qualche riserva integrò con: [a] la Interamnium vo [rsus], cioè “strada laterale” verso Interamnium 477, mentre Radke, pur ammettendo la possibilità di una migliore integrazione, propone: [substruenda pi]la inter amnium vo [ragines] 478. Quest’ultimo afferma, infatti, che alla l. 13 si debba leggere ‘inter amnium’ non ‘Interamnium’, e che la città di Teramo era denominata Interamnia e non Interamnium. Di parere diverso Guidobaldi cha alla l. 13 integra con: “[et per diverticu]la In473 Bibliotheca Hagiographica Latina antiqua et mediae aetatis (BHL), II n. 6058-66; G, CONTA, cit., pp. 437-438. 474 Finora si è sempre ritenuto che questo tratto sia stato fatto costruire dall’imperatore Augusto. 475 Ad onor del vero non sappiamo con assoluta certezza il percorso della via Salaria all’interno della città. 476 LIVIO, XLI, 27, 5, “ Censores, vias sternendas silice in Urbe, glarea extra Urbem substernendas, marginandosque, primi omnium locaverunt”. 477 C. HÜLSEN, cit., p. 92;E. DE RUGGIERO, Dizionario epigrafico di antichità romane, alla voce. Interamnia Praetuttianorum. 478 G. RADKE, cit., p. 337.

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teramnium vo]rsus af ” 479. Ritiene, inoltre, avendo integrato con diverticula, che i rami della via Cecilia siano due: un tratto, quello settentrionale della via, da Montorio si diriga verso Interamnia Praetuttiorum, e poi verso Castrum Novum, mentre un ramo meridionale verso Hatria 480. Inoltre un diverticolo, partendo da Interamnia e proseguendo lungo la statale N. 81, si riallacciava alla Cecilia meridionale a Villa Vomano. Tale ipotesi però crea qualche problema per ciò che riguarda il numero delle miglia, non ci permette, infatti, di giustificare la spesa per il secondo tratto, maggiore di ben quattro volte rispetto al primo  481. Tornando ora alla l. 13, condivido quanto sostenuto da Radke, cioè che fra inter ed amnium vi sia un segno di separazione 482, che la città di Teramo era denominata Interamnia e non Interamnium, ma non condivido la sua restituzione: [substruenda pi]la inter amnium vo[ragines] 483, poiché risulterebbe eccessivamente lunga per poter essere contenuta nello specchio dell’epigrafe. Personalmente propongo di leggere: [et munienda a]la inter amnium vo[rsus]/ [per m. p. xx]XX pecunia ad tri[buta], cioè che i tratti da inghiaiare fossero tre e non due. Il terzo tratto, quindi, farebbe parte del terzo appalto e riguarderebbe la via laterale che da Asculum (119° miglio) procedeva lungo la SS 81 e dopo circa 8 km volgeva a levante (attuale SS n, 259), nello spazio compreso tra i fiumi Vibrata e Salinello: [et munienda a]la inter amnium vo(rsus), che traduco come segue: “…e da costruirsi l’ala diretta nel mezzo dei fiumi (Vibrata e Salinello)” 484, l’antico percorso finale della via Cecilia, lungo il quale si rinvenne, infatti, il miliario CXIX. La strada raggiunto Garrufo, lasciava l’attuale SS n. 259 e procedendo lungo la sponda sinistra del Salinello, fino alla costa, proseguiva per Castrum Novum (Giulianova), ed infine la marina di Hatria (Pineto), con uno sviluppo di 59,8 km, pari esattamente a 40 mi479 M. P. GUIDOBALDI, cit., p. 284. 480 Ivi, cit., p. 285 fig. 3. 481 Ivi, cit., p. 283. 482 G. RADKE, cit., p. 336. Quantunque danneggiata in quel punto, è chiaramente visibile il segno di separazione. 483 Ivi, cit., p. 337. 484 In questo caso inter va inteso come avverbio di luogo, in mezzo, nello spazio (VAL. FLACC. 3, 337;6, 219).

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glia 485. Il Mommesen giustamente rilevava: “Denique supplementum a[la] v. 13 ideo mihi omnino improbandum videtur, quod alae semper binae esse debuerunt, hic autem diverticulum unam indicatum est” 486. Se è vero che il diverticolo indicato nell’epigrafe è uno soltanto, è pur vero che i tratti di strada del terzo appalto, sui quali intervenire, sono due e di identica lunghezza, cioè di 40 miglia, per un totale quindi di 80 miglia. Sapendo che la spesa totale di questo terzo appalto era stata di 600.000 sesterzi (l.15), si ricava facilmente che per inghiaiare un miglio di strada occorrevano 7.500 sesterzi, cioè esattamente come per il secondo appalto. Sempre dall’epigrafe apprendiamo di un ponte rotto (arcus de la[psus]), del quale però non conosciamo l’esatta collocazione lungo la strada, né tantomeno la spesa occorsa per ripararlo. L’unica riflessione che possiamo fare è che se il ponte fosse stato fatto costruire dal console L. Caecilius Metellus Diadematus nell’anno 117 a.C., la sua struttura avrebbe retto scarsi 40 anni, mentre se il costruttore fosse stato L. Caecilius Metellus Denter, console nel 284 a.C., avrebbe ceduto dopo 200 anni. Forse quest’ultima considerazione si avvicina di più alla realtà, anche se, purtroppo, restiamo sempre nel campo delle ipotesi.

485 IGM, f. 133-134, Ascoli Piceno-Giulianova; IGM, f. 140, Teramo. 486 CIL, IV, 2, 3137.

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VIA FLAMINIA AB URBE PER PICENUM ANCONAM INDE BRUNDISIUM Che in epoca romana una strada percorresse la costa adriatica da Ancona a Brindisi è cosa certa, infatti ne abbiamo conferma sia dall’ Itinerarium Antonini indicata col nome di Via Flaminia ab Urbe per Picenun Anconam inde Brundisium 487, che dalla Tabula Peutingeriana  488 (Fig. 32). Relativamente al territorio abruzzese, la via litoranea adriatica, superato il fiume Tronto, procedeva in direzione SE, leggermente discosta dalla strada attuale, per raggiungere Castrum Truentinum (Martinsicuro), Castrum Novum (Giulianova), Matrinum (Silvi), Salinae (la foce del fiume Salino), Ostia Aterni (Pescara). Da Ostia Aterni proseguiva poi per Ortona, Annum, Anxanum (Lanciano) ed infine Histonium (Vasto). Sicure fonti storiche ed archeologiche testimoniano, inoltre, la continuità viaria nel tratto, fra tardo antico e medioevo. Senza dubbio la via litoranea adriatica rivestì un ruolo importante sia durante la guerra fra i Goti e Bizantini della prima metà del VI secolo 489, sia in quella fra Bizantini e Longobardi della seconda metà 490. Non bisogna, inoltre, dimenticare la presenza di alcuni centri monastici fin dall’altomedioevo, proprietari di ampie aree fertili lungo la fascia collinare adriatica, oltre che nell’interno, i quali contribuirono a mantenere in uso sia approdi che tracciati viari, indispensabili ai traffici ed ai commerci dei beni prodotti. Nel 1064 Roberto I, primo conte di Loritello, conquistò tutta la contea di Larino e seguendo la via adriatica proveniente da Brindisi passando per Larino, Vasto, Lanciano, Ortona e Città S. Angelo, estese la conquista sui territori abruzzesi. 487 Itin. Anton., 312, 6ss; CIL, IX, 479; G: RADKE, cit, p. 237. Questa strada fu percorsa a marce forzate dal console Claudio Nerone nel 207 a.C. (Livio, XXVII, 43, 12), ugualmente da Cesare nella prima decade di febbraio del 49 a.C., il quale lasciandosi alle spalle Asculum, raggiunse Corfinum (De Bello Civile, I, 16, 1). 488 Tab. Peuting., segm. V-VI. 489 A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., 290: La strategica strada litoranea dovette infatti rappresentare una delle direttrici privilegiate dei devastanti accadimenti storici legati anzitutto alla Guerra Gotica, con il serrato confronto svoltosi nel Piceno fra Goti e Bizantini durante l’inverno 538-539. 490 Ivi, p. 291.

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Fig. 32 - Via Flaminia ab Urbe per Picenum Anconam inde Brundisium Intorno all’XI-XII secolo la rete viaria subì profondi cambiamenti a causa dell’innalzamento del livello del mare, iniziato peraltro già in età altomedievale. La natura calcarea della fascia costiera determinò un notevole avanzamento ed impaludamento del litorale, soprattutto nel tratto di costa compreso fra la foce del Tronto e quella del Pescara. Della nostra strada litoranea, dal Palma detta Salaria 491, da altri Via Tra491 N. PALMA, Storia ecclesiastica, cit., carta allegata; M. MONTEBELLO, Castrum Novum Piceni, Roma 1980, pp. 6, 9, 11.

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iana 492, ed ancora Via dell’Apulia 493, abbiamo memoria di tratti visibili e percorribili in tempi a noi più prossimi 494. Infatti Montebello a riguardo si esprime: «Abbiamo riconosciuto il percorso della Salaria costiera, che fonti letterarie dell’ottocento dicono ancora visibile e praticabile per lunghi tratti e che appare chiaro in un rilevamento della costa adriatica eseguito dalla Marina Borbonica nel periodo 18301835» 495. Da Castrum Truentinum la strada, ricalcando sostanzialmente l’attuale S. S. Adriatica si dirigeva verso il fiume Vibrata. Ciò è confermato dalla presenza, intorno al IX secolo, dell’antico complesso monastico di S. Stefano in Rivo maris, edificato sul sito di una villa romana, e documentato ancora nel 1407: 492 P. DE STEPHANIS, Itinerari antichi, cit., p. 213: “Ivi giunta (parla della Salaria), prolungavasi col nome di Traiana che prese anche dappoi, perocché vuolsi che nell’anno 101 l’imperatore Traiano la facesse ristorare ovvero lastricare. Questa è stata aperta da più antichi tempi…”; T. BONANNI, L’antica e la nuova viabilità della provincia dell’Abruzzo aquilano, Aquila 1883, p. 3; G. DEVOTO, Gli antichi Italici, cit., cartina in appendice: ‘L’Italia Centrale prima della Guerra Sociale’. Devoto chiama via Traiana soltanto il tratto a Sud di Anxanum. L. GASPERINI, Sedi umane, cit., p. 69; G. DE SANTIS, cit., p. 241; E. PARATORE, La viabilità in Abruzzo nell’Alto medioevo, in: Abruzzo, a. XIV (1976) n° 2, p. 42; V. FLORIDI, La formazione della regione abruzzese e il suo assetto territoriale fra tardo periodo imperiale e il XII secolo, in: Abruzzo, a. XIV (1976) n°2 p., 21; M. MONTEBELLO, Castrum Novum, cit., pp. 6, 9, 11; M: BUONOCORE, Regio IV-Sabina et Samnium-Histonium, in: Supplementa Italica, Nuova serie, n. 2, Roma 1983, p. 103, cartina allegata; C. DELLE DONNE, I castelli dell’Abruzzo in età Federiciana, BDASP, LXXXIV (1994), p. 22.; M. BUONOCORE, G. FIRPO, Fonti latine, cit., II, 2, p. 959: “Questa litoranea è convenzionalmente indicata come via Traiana”. Limitatamente al tratto di strada a Sud di Castrum Truentinum, Alfieri avanza l’ipotesi che potesse chiamarsi Salaria Praetuttiana, (N. ALFIERI, L. GASPERINI, G. PACI, M. Octavi lapis Aesenensis, in: Picus, V (1985), pp. 7-50 (42). 493 C. DE LAURENTIIS, Il Gastaldato e la contea di Teate. Con la serie de’ suoi Conti, Bull. di Deputaz. Storia Patria Abruzzo, 1904, pp. 1-37 (6) “Il Trasmondo, con atto in data di Lanciano del 973, indizione I, donò... ad Aldiprando generoso rettore e ai frati della cella di S. Maria e Giovanni nel promontorio di Venere, tutta la terra fruttifera, che ha principio da Vico, e, discendendo alla suddetta cella, finisce al Sangro, confinante con la via dell’Apulia, metà dell’introito del porto di Venere…”. 494 R. ALMAGIA’, Primo saggio di cartografia abruzzese, in: Rivista Abruzz. di Scienze, lettere ed Arti, XXVII, fasc. II-IV 1912. 495 E. MONTEBELLO, cit., p. 6.

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«S. Stephanum de via maris ultra flumen Trunti» 496. Dopo aver superato il fiume in un punto non discosto dal ponte dell’odierna ferrovia, la via conduceva ad un insediamento di epoca romana nei pressi di Alba Adriatica venuto alla luce in passato. In quel frangente fu dissepolto anche un tratto di strada lastricata attualmente reinterrata  497. Procedendo lungo la linea di costa la via incontrava due antiche ville poste nel territorio dell’attuale comune di Tortoreto, prima di superare il fiume Salinello. La strada si dirigeva, quindi, verso Castrum Novum (Giulianova), che raggiungeva dopo uno sviluppo di 12 miglia a partire da Castrum Truentinum 498. L’antica colonia di Castrum Novum 499, era posta leggermente più a sud dell’odierno centro abitato, in località Terravecchia, a sud-est di Giulianova, non lontano dalla foce del fiume Tordino, l’antico Batinus 500. Dell’antica città, in passato vennero alla luce resti di abitazioni, di horrea, nonché pavimenti a mosaico, una cisterna, ed ancora avanzi di una fornace 501. Resti antichi di strutture murarie sotterranee lungo gli argini del fiume Tordino sono state definite dal Montebello “convenzionalmente strutture portuali” 502. Intorno al VI secolo la città si fortifica ad opera dei Bizantini nei pressi della parrocchiale S. Flaviano, assumendo il nome di Castrum divi Flaviani 503. No496 A. R. STAFFA, L’Abruzzo, cit., p. 317. 497 Ivi., p. 27, Fig. 2, n. 3. 498 TAB. PEUTING. segm. IV, 5. 499 PLINIO, N. H. III, 44, 110: “Tenuere ab Aterno amne, ubi nunc ager Hadrianus et Hadria colonia a mari VI. Flumen Vomanum, ager Praetuttianorum Palmensisque, item Castrum Novum.”; STRABO, V, 4, 2. Probabilmente colonizzata dopo la conquista da parte di M. Curio Dentato tra il 289-283 a.C. (Livio, Perioc. 11, 6: “ Curius Dentatus cos. Samnitibus caesis et Sabinis, qui rebellaverant, victis et in deditionem acceptis bis in odem magistratu triumphavit. Coloniae deductae sunt Castrum, Sena, Hadria”), fu iscritta alla tribù Papiria CIL, IX, 491). 500 E. ABBATE, cit., II, p. 68; M. MONTELLO, Topografia di Castrum Novum Piceni, in Antiqua, a. II, n. 7, 1977, pp. 37-42; IDEM, Castrum, cit., pp. 8-10;G. FIRPO, Fonti, cit., II/2, p. 795;A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., p. 421. 501 M. MONTEBELLO, Castrum, cit., pp. 18ss.; A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., p. 32. 502 Ivi, p. 20-21 “Il porto naturale, inizialmente forse mortificato dalla presenza romana, assurge gradatamente un nuovo ruolo nell’economia della regione (e dovè munirsi di nuove attrezzature)”; Ivi, cit., p. 29. 503 E. ABBATE, cit., II, p. 68.

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tizie sicure del porto le traiamo da un diploma di Ottone I datato giugno 956, rivolto al vescovo di Forcona: «Insuper trado supradicte ecclesie in comitatu Aprutii in loco qui sanctus Flavianus vocatur unum portum qui reddat centum pondera inter aurum et argentum et etiam ferrum et sal, qui portus continet infra se quinque milia modiola inter terram et aquam intra mare» 504. Nella bolla inviata al vescovo aprutino Guido da parte del papa Anastasio IV del 27 novembre 1153 si fa menzione della chiesa di S. Flaviano: «cum Castro portu et omnibus pertinentiis suis» 505. La strada romana, entrando dalla porta settentrionale, procedeva sempre diritta per tutta la lunghezza dell’antico castrum, incrociava l’antica via del Batino, proveniente da Interamnia, ed usciva dalla porta meridionale. Ricostruire la viabilità antica del successivo tratto compreso fra Castrum Novum ed Ostia Aterni è sempre stato un problema di non facile risoluzione. Le difficoltà sorgono allorquando ci si pone di fronte alla Tabula Peutingeriana. Infatti, osservando questo itinerarium, sembrerebbe che una strada interna da Castrum Novum colleghi Hatria (XII miglia), poi Pinna (VII miglia) e quest’ultima con Matrinum (VII miglia) 506. Questa chiave di lettura risulta improponibile non trovando affatto corrispondenza con le reali distanze tra i diversi centri 507. Come già avanzai in altra sede 508, con Hatria e con Pinna, riportate sulla Tabula Peutingeriana, bisogna intendere rispettivamente il bivio per Hatria 504 M. G. H., Diplomatum regum et imperatorum germaniae, I, p. 624. 505 Castrum Novum nel medioevo prese il nome di Castrum S. Flaviani dalla sua pieve. Secondo quanto riportato da ABBATE, cit., II 68 “Questo Castrum durò fino al secolo XV, allorchè Giulio Antonio Acquaviva, duca di Atri, trasferì gli abitanti a tre miglia dentro terra, dove edificò Giulia Nova per salvarli dall’insalubrità dell’aria a cui li condannavano le acque stagnanti del Tordino. Pochi avanzi della vecchia città rimangono parte sul piano verso la marina e parte sopra l’altezza detta Torre Vecchia”. 506 Tab. Peuting. seg. V-VI. 507 E. DES JARDINS, La Table, cit., p. 17ss; CIL, IX 478 n. 1; H. KIEPERT, Forma orbis antiq. T. XX, Italiae pars media; K. MILLER, Itineraria, cit., col. 324; G. COLASANTI, Pinna. Ricerche di topografia e di storia, Roma 1907, p. 28ss; V. CIANFARANI, Cesare tra i Peligni, cit., p. 59. 508 S. ZENODOCCHIO, Note sulla viabilità, cit., p. 19.

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e quello per Pinna, posti lungo la via litoranea, a VII miglia di distanza l’uno dall’altro, piuttosto che le antiche città dell’interno. Partendo quindi da Castrum Novum, dopo un miglio la strada raggiungeva il fiume Batinus, l’attuale Tordino 509, che superava con un ponte del quale non sono stati rinvenuti resti. A sostegno di quanto affermato, abbiamo sull’altra sponda una strada campestre che continua in perfetto allineamento con quella uscente dal castrum, nonché resti di una massicciata antica 510. La strada procedeva senza grandi difficoltà lungo la costa per circa 6 miglia in direzione dell’attuale Roseto degli Abruzzi, dove incrociava la via AmiternumBeregra-Hadria. Resti di una villa romana sono venuti alla luce a circa 500m dalla sponda sinistra del fiume Vomano, l’antico Vomanus, dove in età altomedievale era un approdo presso l’abitato di Villa S. Martini in Vomano 511. Nella medesima epoca un altro porto era presente sulla sponda meridionale del fiume, come attestato in una conferma dei beni da parte dell’imperatore Ludovico II, nell’anno 874, all’abbazia di Montecassino, della cella di S. Maria in Maurinis 512. Procedendo sempre in prossimità della costa la strada giungeva al bivio di Hatria (Staz. di Pineto) dopo XII miglia esatte da Castrum Novum 513. Da quest’ultimo, procedendo sempre lungo la costa, dopo 509 A sud del fiume Tordino e precisamente a Calogna Spiaggia, era presente, nell’XI secolo il monastero benedettino maschile di S. Salvatoris de Viczino (N. PALMA, Storia, cit., I, pp. 33, 36, 80, 117, 118, 129; II, p. 71, 399, 402; III, p. 296; IV, p. 126, 128, 218-219; P. F. KEHR, Italia Pontificia, cit., IV, p. 312;F. SAVINI, Septem Dioeceses Aprutienses Medii Aevi in Vaticano Tabulario. Notitiae dioeceses Adriensem Aprutinam, Aquilensem, Marsicanam, Pennensem, Theatinam et Valvensem pertinentes ex Vaticano Tabulario excerptae ac sigillatim et iuxta chronologicum ordinem concinnatae, Roma 1912, p. 49, 446). 510 E. MONTELLO, Castrum, cit., p. 21. 511 Il Cartulario della Chiesa Teramana del sec. XII dell’archivio vescovile di Teramo…, a cura di F. SAVINI, Roma 1910, p. 46, “ in alio loco ad Gomano in ipsa valle de Gomperge cum Sancto Martino, et cum ipso ponticello et cum ipso litus maris”ed ancora nell’anno 998 (Chronica Monasterii Casinensis, Ed. Hartmut Hoffmann in M. G. H. SS. XXXIV, Hannoverae, 1980, p. 106); A. L. ANTINORI, Corografia, cit., XXXIV/II, pp. 469, 487, 492, 501, 536; A. R. STAFFA, L’Abruzzo, cit., p. 275. 512 La cella di S. Maria in Maurinis era “…in comitatu Pinnensi…. cum portu scilicet suo et foce de Gomano et cum omnibus pertinentiis et finibus suis, idest Atria usque Gomanus, et usque in fluvium qui dicitur Plomba…”, J. F. BOHMER, E. MUHLBACHER, Regesta Imperii, I, Insbruck 1904-1908, I, ii, 1904, p. 521, n. 1262. 513 STRABO, V, 4, 2 cit.; PLINIO III, 44, 110, cit., poneva la città di Hatria a VI miglia dal

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XVIII miglia si raggiungeva la statio di Matrinum 514, posta fra Silvi Marina ed il fiume Piomba (l’antico fiume Matrinus). Ancora un miglio più avanti era il bivio per Pinna 515, posto a 7 miglia dal porto di Hadria. Beninteso, nulla osta, che una strada interna potesse collegare Hatria con Pinna, in passato, infatti, nei pressi di Castilenti, fu segnalato un miliario degli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano 516. Sia Forni  517, che Cianfarani 518, ritengono che il miliario di Castilenti sia da mettere in relazione al tratto Hatria –Pinna riportato sulla Tabula Peutingeriana (segm. VI, 1). Come appena sostenuto, ritengo, invece, facesse parte del tratto di costa che collegava il porto di Hatria col bivio per Pinna. Troviamo ancora notizia della strada litoranea nel territorio atriano in un documento del catasto di Atri del 1447 “in via litus maris” 519. La strada semare. Tab. Peut., segm. V-VI;Itin. Anton. 313, 4-5; MELA, II, 65, “Haec enim praegressos Piceni litora excipiunt: in quibus Numana, Potentia, Cluana, Cupra urbes, castella autem Firmum, Hadria, Truentinum; id et fluvio qui praeterit nomen est”; PTOL. III, 1, 52; SIL. ITAL. VIII, 437-438, “Stat fucare colus nec Sidone vilior Ancon murice nec Libico; staque humectata Vomano Hadria et inclemens hirsuti signifer Ascli”; J. WEISS, in: RE, VII, 21912, s. v. Hadria, coll. 2164-2165;E. DE RUGGIERO, Dizion. Epigr. cit., s. v. Hadria; L. ROCCHETTI, in: Enc. Arte Antica, I, 1958 s. v. Atri, 885-886; A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 425. Scavi recenti in prossimità della Torre di Cerrano, non lontano da Pineto, hanno riportato alla luce strutture murarie riconducibili, secondo alcuni, all’antico porto di Hatria, contra G. Firpo, Fonti, cit., II, 2, p. 956. 514 STRABO, V, 4, 2;K. MILLER, cit., col. 215. 515 PLINIO, III, 44, 107, Aequiculanorum Cliternini, Carseolani, Vestinorum Angulani, Pinnienses, Peltuinates, quibus iunguntur Aufinates Cismontani; CIL, IX, 317; K. MILLER, cit., col. 324. 516 D. LUPINETTI, Il cippo romano di Castilenti. Descrizione e problemi, L’Aquila 1962. Il miliario, databile tra il 367 e il 375 d.C., si rinvenne nei pressi della chiesetta di S. Pietro, posta ad un chilometro a N di Castilenti. 517 G. FORNI, La strada romana da Hadria (Atri) a Pinna (Penne). A proposito di un miliario dai pressi di Castilenti, in:Abruzzo, a. 1, n. 1-2, (1963), p. 47; A. DONATI, cit., p. 211, n. 52. 518 V. CIANFARANI, Cesare, cit., a, 1 n. 1-2 (1963), p. 59. La strada, forse, partendo da Hatria, procedeva in direzione sud, lasciandisi ad est il Colle Giustizia, per S. Romualdo, Fonte Cupello, Colle delle Vedove, Colle Maggio ed infine Pinna (IGM, f. 140 Teramo). Da Pinna si dirigeva verso la valle del fiume Tavo, infatti, in contrada Casale recentemente sono venuti alla luce resti di basolato di strada romana che probabilmente conduceva ad Ostia Aterni, lungo la costa. 519 A. R. STAFFA, cit., p. 318.

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guendo la costa raggiungeva il territorio dell’odierna Silvi Marina dove in passato vennero alla luce resti di una villa romana, di una fornace di laterizi, nonché altri antichi ruderi. Prima di superare il fiume Saline, in prossimità del quale era l’antica statio di Ad Salinas 520, la via si allontanava dalla costa di circa mezzo miglio verso l’interno, come si può notare nella carta Rizzi Zannoni, per poi riavvicinarsi lambendo le falde orientali del Colle della Vecchia. Infine si dirigeva verso l’antica città di Ostia Aterni o semplicemente Aternum, appartenente al territorio dei Vestini, ma sia i Marrucini che i Peligni ne utilizzavano il porto 521. Recenti scavi hanno permesso di stabilire che lo scalo era ancora attivo nel V secolo d.C. 522. Sappiamo, inoltre, che tra i possessi del monastero di Montecassino nell’anno 870 era presente la ecclesia sancti Salvatoris intra civitatem Aternum cum medietate de ipsu portu 523. Dalla passio di Ceteo Vescovo di Amiterno, databile intorno agli inizi del VII secolo, apprendiamo che il capo longobardo Umbolo, dopo aver accusato Ceteo di connivenza con nemico, con grande furore praecepit eum vinctum 520 Tab. Peutig., seg., V; K. MILLER, col. 324;A. LA REGINA, Ricerche, cit., pp. 424-425. Quest’ultimo è propenso a collocare Ad Salinas a sud del fiume Salino. Intorno all’XI-XII secolo alle foci del fiume Salinello è documentato un Castellum S. Mori cum portu (A. R. STAFFA, L’Abruzzo, cit., p. 309). 521 STRABO V, 4, 2, “Proprio sul mare c’è invece Aternum, che confina col Piceno, omonima al fiume che fa da confine col territorio dei Vestini e dei Marrucini. Scorre infatti dalla regione di Amiternum attraverso il territorio dei Vestini, lasciando sulla destra quello dei Marrucini, situato oltre quello dei Peligni;può essere attraversato con un ponte di barche. La città, che ha lo stesso nome del fiume, appartiene ai Vestini, ma serve da porto anche ai Peligni e ai Marrucini. Il ponte di barche è a 24 stadi da Corfinium”; PTOL., III, 1, 17, poneva Aternum nel territorio Marrucino a 500 stadi da Angulum, mentre MELA, II 65, “ Frentani tenent Aterni Ostia” nel territorio frentano. Viene riportato anche nell’ Itin Anton. (101, 5), mentre nella Tab. Peuting. è detto Ostia Eterni (V, 1);D. ROMANELLI, Antica, cit, 1819, III, pp. 75-82; I. LUDOVISI, Topografia, cit., 5-8;CIL, IX, p. 315; A. LA REGINA, Ricerche, cit., pp. 420-421. Già nell’VIII secolo circa il suo nome era cambiato in Piscaria (Paul. Diac., Hist. Lang. II, 19-20). 522 A. R. STAFFA, W. PELLEGRINI, Dall’Abruzzo copto all’Abruzzo bizantino, Crecchio (Chieti), 1993, p. 17. Sempre da scavi recenti si evince che l’antico vicus si sviluppava sulla sponda destra del fiume Aterno, in prossimità della foce, quindi nel territorio marrucino, e che un ponte di epoca repubblicana, probabilmente riconducibile alla via litoranea, collegava le due sponde all’incrocio con la via Claudia Valeria che proveniva dall’interno (A. R. STAFFA, Scavi nel centro storico di Pescara, in: Archeologia Medievale, XVIII (1991), pp. 273-274. 523 Chronica Monasterii Casinensis, ed. Hartmut Hoffmann in M.G.H. SS. XXXIV, 1980, I, cap.45.

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duci ad fluvium qui vocatur Piscaria, et ibi eum praecipiteri per pontem qui vocatur Marmoreus 524. Resti di ponte che permetteva di superare il fiume Aterno erano stati segnalati nei secoli passati lungo la via litoranea, 525 confermati da recenti scavi nella città di Pescara, in piazza Unione (1990), hanno, inoltre, permesso di stabilire l’orientamento della strada in direzione di Ortona 526. Solo più tardi, intorno all’IX-XII secolo, con l’innalzamento del livello delle acque e con il conseguente impaludamento della costa, la via litoranea si allontanava dal mare per proseguire verso sud lambendo i piedi del colle ove sorge il centro di S. Donato. Con un ampio semicerchio, quindi, volgeva a sud-est e si riportava in prossimità del mare, per proseguire poi in direzione di Ortona. Tale deviazione si rendeva necessaria per evitare le acque malsane dello stagno Palata  527. Ostia Aterni-Histonium Lasciata Ostia Aterni la strada procedeva poi lungo il litorale con un andamento ricalcato dall’odierna S. S. N. 16, e di questo abbiamo conferma da resti di antichi insediamenti lunghéssa rinvenuti. Dopo circa 5 km da Aternum, ad occidente della strada nei pressi di S. Maria delle Grazie 528, furono scavati resti di opere murarie risalenti al I sec. d.C. A scarse 2 miglia più avanti, dopo aver superato il fiume Alento, furono messi in luce resti di una villa romana e strutture riconducibili ad un antico vicus. La via Flaminia Adriatica sempre prossima alla costa, giungeva al porto di Mucha, posto alla foce del Torrente Riccio. L’antico centro pievano, che possiamo identificare con l’attuale Torre Mucchia 529, nell’ottobre del 1055 fu donato a Richerio abate di Montecassino 524 Acta S. Cethei, in Acta Sanctorum (AA. SS.), Iunii, T. II, Venetiis MDCCXLII, pp. 689693; cfr. Martyrol. Rom. 236 (13 giugno). 525 E. ABBATE, cit., II, p. 305: Sul fiume aveva un ponte del quale si scorgono avanzi e un porto formato dal fiume stesso. 526 A. R. STAFFA, L’Abruzzo, cit., p. 109, fig. 22, 124, 125, 126; 527 Ivi, p. 274, fig. 45 V. 528 IGM, f. 141, Pescara. 529 RIZZI-ZANNONI, cit.; E. ABBATE, cit., II, p. 347.

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dal conte Trasmondo e dalla sua consorte Antiochia 530. Sempre in direzione sud-est la strada raggiungeva Ortona 531, municipio romano posto a XVI miglia da Ostia Aterni. Rinvenimenti di opere murarie venute alla luce nel secolo passato nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria, potrebbero riferirsi all’antico porto di Ortona 532. Dopo la conquista da parte di Giovanni nel 538 533, Ortona divenne il più importante punto di riferimento dell’Abruzzo bizantino, grazie al suo importante scalo marittimo. La presenza bizantina si protrasse fino alla metà del VII secolo. Sotto il dominio longobardo fece parte del ducato di Benevento mentre successivamente alla conquista franca Ortona venne aggregata al Contado di Chieti 534. Il porto di Ortona nel XIII secolo era ben inserito nella maglia degli scali italiani e le relazioni commerciali si estendevano anche sul versante balcanico 535. Comunemente si ritiene che la strada adriatica da Ortona, con un ampio giro verso l’interno, raggiungesse prima Anxanum (Lanciano) 536, e poi pun530 GATTOLA, De orig. et justisd. Montis Cassini, 1733, I, p. 151; G. DE LAURENTIIS, Il Gastaldato, cit., in Bullettino di Deputazione di Storia Patria Abruzzese, 1904, p. 1-37 (26). 531 PLINIO, III, 12, 106: Seguitur regio quarta gentium vel fortissimarum Italiae. In ora Trentanorum a Tiferno flumen Trinium portuosum, oppida Histonium, Buca, Hortona, Aternus amnis; PTOL. III, 1, 16; STRABO, V, 4, 2; CIL IX, 281; D. ROMANELLI, Antica, cit., 1819, III, p. 63 ss; E. ABBATE, Guida, cit., I, p. 383; G. FIRPO, Fonti, cit., I, p. 529ss. 532 A. R. STAFFA, W. PELLEGRINI, Dall’Abruzzo, cit., p. 17. 533 MARC. COM., Chron. ad a. 538, 3 (MGH, Chron. Min. II, 105, 31-35)., 534 E. ABBATE, cit., II p. 347, “Occupata l’Italia dai Barbari, Ortona ora fu sotto il dominio dei Greci e ora fu sotto quello dei Longobardi e fece parte del ducato di Benevento. Discesi i Franchi ed incendiata Chieti da Pipino (a. 801), Ortona venne ai patti con lui e fu salva. Smembrato il ducato di Benevento venne aggregata al Gastaldato prima e al Marchesato poi e Contado di Chieti”. 535 M. COSTANTINI, L’Abruzzo, cit., p. 53-58 (55); G. PANSA, Le relazioni commerciali di Sulmona con le altre città d’Italia durante il secolo XIV, notizie e documenti, Bollettino della Società di Storia Patria A. L. Antonori negli Abruzzi, XIV, 1902, pp. 16 ss. “D’altra parte, Ortona possedeva un’importante flotta navale che secondo la leggenda, trasportò nel 1258 le reliquie dell’Apostolo Santo Tommaso dall’Isola di Chio ad Ortona. Pescara e la costa frentana furono le prime a partecipare alla grande corrente commerciale italiana, sebbene all’ombra della potenza marittima veneziana”. 536 PLINIO III, 12, 106;PTOL. III, 1, 65;Tab. Peut., segm. VI, 2. Anxanum, città pentra, era municipium, al pari di Ortona. Scavi recenti hanno definitivamente localizzato l’antico centro,

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tasse su Histonium (Vasto) 537. Secondo la Tabula Peutineriana, XI miglia (16 km circa) separavano Ortona da Anxanum, mentre da quest’ultimo fino ad Histonium ne correvano altre 19 miglia (28 km). In verità queste distanze non collimano affatto con quelle attuali, poiché soltanto in linea d’aria da Ortona a Lanciano e da Lanciano a Vasto passano rispettivamente 15 e 29 km senza considerare l’orografia della zona. Questi dati trovano invece corrispondenza con l’Itin. Anton. che pone tra Ortona ed Anxanum XIII miglia ed altre XXV tra Anxanum ed Histonium 538. Se l’Itin. Anton. è nel giusto, ciò non vuol dire che la Tab. Peuting. sia errata. Contrariamente alla Tab. Peutin., l’Itin. Anton. in linea di massima riporta le reali distanze fra i centri abitati. Come dimostrato in precedenza, per Hatria e Pinna, ritengo che la Tab. Peuting. con Anxanum intenda riferirsi al bivio per l’antica città, posto lungo la costa, a XI miglia da Ortona, in prossimità di Fossacesia Marina 539. A sostegno di tale assunto abbiamo la distanza OrtonaHistonium, indicata dalla Tab. Peuting. pari a XXX miglia (44 km circa), che corrisponde pienamente alla distanza misurata lungo l’attuale strada litoranea. Seguendo infatti la costa, dopo 30 km giungiamo alla Stazione di Casalbordino e mentre la via odierna si discosta dal mare con un’ampia curva verso sud, il percorso antico proseguiva parallelo alla ferrovia 540 e dopo circa identificabile con l’attuale Lanciano Vecchia (A. R. STAFFA, Lanciano fra preistoria ed altomedioevo, Lanciano 1992, p. 18-21. 537 D. ROMANELLI, Antica, cit., 1819, III, p. 30-36; H. KIEPERT, cit., carta annessa al IX vol. CIL;P. DE STEPHANIS, cit., p. 213; E. DE RUGGIERO, Diz. Epigr., s. v. Histonium; L. GASPARINETTI, cit., p. 69; G. RADKE, cit., p. 238; B. ORSATTI, La via Minucia, BDASP, LXXIX (1989), pp. 179. 235, carta allegata; G. COARELLI, Guida alle antiche strade romane, Novara 1994, carta allegata; M. BUONOCORE, Regio IV-Sabina, cit., pp. 99, 100, 103; A. R. STAFFA, W. PELLEGRINI, Dall’Abruzzo, cit., pp. 20-22. 538 Il tracciato è chiaramente visibile sulla carta Rizzi-Zannoni. Da Ortona la strada proseguiva lungo la costa fino a S. Vito Chietino, si dirigeva poi all’interno per Villa Martelli, fino a Lanciano che raggiungeva dopo XI miglia esatte. Da qui per Stanazzo, S. Maria in Baro, raggiungeva la costa in prossimità del fiume Osento e sempre lungo la costa fino a Vasto con un percorso di 37,6 km, pari appunto a XXV miglia. 539 Né più né meno di quanto si verifica attualmente lungo l’autostrada A 14. Infatti con Ortona e Lanciano si intendono le rispettive uscite dei caselli autostradali, poste a 9,4 km l’una dall’altra, mentre le distanze reali tra i centri abitati sono nettamente superiori. 540 IGM, f. 148, Vasto.

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14, 5 km raggiungeva Histonium, per complessivi 44, 5 km, pari appunto alle XXX miglia della Peutingeriana. Tornando alla via Flaminia adriatica, uscita da Ortona, sempre lungo la costa raggiungeva l’attuale S. Vito Chietino, come confermano rinvenimenti di opere risalenti al I sec. a.C. a sud del torrente Feltrino, dove nel X secolo era il Portus Gualdi 541. Proseguiva, quindi, in direzione dell’attuale stazione di Fossacèsia Marina, che raggiungeva dopo un percorso di 11 miglia a partire da Ortona 542. Facendo sempre riferimento alla Tab. Peuting., la strada litoranea, superato di tre miglia il bivio per Anxanum, incontrava Annum, forse il fiume Sangro, come propose il Miller 543, dato che questa distanza cade proprio in corrispondenza del fiume Sangro. Procedendo in avanti, dopo IV miglia da Annum era Pallanum. Nella toponomastica locale è presente un monte Pallano nell’interno, tra i centri di Bomba e Tornareccio a circa 27 km in linea d’aria dalla costa 544. 541 E. ABBATE, cit., II p. 350: Il mare forma qui piccole insenature in una delle quali scorre il Feltrino …In questo seno ai tempi dei Frentani si formò il porto di Gualdo, fiancheggiato da lunghe e larghe mura che ponevano un forte argina a cumuli terrosi e sassosi, dando ricetto a molti navigli ed era difeso da torri e fornito di magazzini e case. Per incuria degli abitanti il mare colmò il porto di sassi e di arena, cosicchè pochi ruderi appena ricordano la passata grandezza di questo porto. 542 E. ABBATE, cit., II p. 351: Se di un piano, nei pressi del mare restano ruderi del convento di S. Giovanni in Venere. Sorse sui ruderi di un antico tempio dedicato a Venere. Nel 973, Trasmondo, marchese di Chieti realizzò sui ruderi del tempio di Venere la chiesa di S. Maria Vergine e S Giovanni Battista. Successivamente vi fu aggiunta una Badia che divenne il celebre monastero benedettino col titolo di S. Giovanni in Venere”. Il monastero ricevette, nello stesso anno sempre da Trasmondo, nelle mani del suo abate Aliprando, “ tutta la terra fruttifera, che ha principio da Vico, e, discendendo alla suddetta cella, finisce al fiume Sangro, confinante ad oriente col mare e ad occidente con la via dell’Apulia, metà dell’introito del porto di Venere, e tutta la selva col tenimento seminatorio, che nomavasi Gandulfi, fra Annio e Molara, … (C. DE LAURENTIS, Il Gastaldato, cit., pp. 1-37 (6); G. M. BELLINI, Notizie storiche del celebre monastero di S. Giovanni in Venere raccolte da Giuseppe Maria Bellini, Lanciano 1887, p. 63; D. PRIORI, Badie e conventi benedettini d’Abruzzo e Molise, Lanciano 1950 p. 97. 543 K. MILLER, cit., LIII. 544 Strutture antiche sono state individuate presso Casalbordino in località S. Stefano-Casette Santini (I sec. d.C.): resti di una villa di età romana, di una statio posta nei pressi del bivio per Pallanum, strutture del IV sec. d.C., sulle quali nell’842, secondo la cronaca del monaco Rolando, fu costruita la chiesa del protomartire Stefano, e successivamente il monastero detto S. Stefeno in Rivo Maris.

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Come nei casi precedenti ritengo che con Pallanum debba intendersi il bivio sulla costa per il centro omonimo, condividendo quanto in passato ipotizzò Colonna 545. Dalle foci dell’Osento, superato il fiume, la litoranea proseguiva in direzione della stazione di Casalbordino. A circa 2 km ad ovest di quest’ultima, “su di un ameno poggio, …si vedono le mura della Abbazia benedettina di S. Stefano in Rivomare” 546. Nei pressi della basilica sono venute alla luce murature riconducibili ad una villa di epoca romana. Non lontano, in prossimità del litorale, resti di una struttura di grosse dimensioni, posti a cavallo dell’antica strada litoranea, scavati nel 1991, sono stati identificati da Staffa con l’antica statio di Pallanum 547. Superato il Sinello sulla sponda destra in prossimità della foce, in località Torre Sinello, riaffiorano materiali fittili di età romana 548. Sempre lungo la costa, la litoranea procedeva in direzione di Punta Aderci 549, dove in passato vennero alla luce resti preistorici, mentre tombe di epoca romana sono state scoperte presso Punta Penna 550. Che la strada poi scendesse verso sud fino a Vasto (Histonium) è cosa certa come conferma un miliario rinvenuto in vicinanza di Punta della Penna 551. Fra le 545 D. ROMANELLI, cit., 1819, parte terza, p. 43: “Grandi, vaste, e sorprendenti ruine di antichissimo castello si ravvisano a tre miglia distanti da Atessa verso mezzogiorno”; G. COLONNA, Pallanum, una città dei frentani, in: Archeologia Classica, vol VII, fasc. 2, 1955, 168: “Secondo me non si è tenuto conto di un’altra possibilità, cioè che Pallanum della Peutingeriana voglia significare una mutatio posta al bivio per Pallanum… Essa si sarebbe venuta a trovare sull’Osento, poco a SE di Pagliata, sicchè l’allacciamento con Pallanum avrebbe seguito il fondovalle dell’Osento”. 546 E. ABBATE, cit., II, p. 354. Il monastero di S. Stefano a Rivo Mare fu fondato nell’842, secondo la cronaca del monaco Rolando. Trasmondo, marchese di Teate, nel 971 lo fece restaurare dopo il saccheggio dei Saraceni del 937. M. SCHIPA, La cronaca di S. Stefano ad rivum maris, in Arch. Stor. Prov. Napol., 10 (1885), pp. 534-574. 547 A. F. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., pp. 200 ss. 548 IDEM, p. 221. 549 IGM, f. 148, Vasto. 550 Sempre presso Punta Penna sono stati riportati alla luce resti di una domus, mentre in prossimità della chiesa di S. Maria della Penna era in passato un santuario italico. 551 NSA, 1883, p. 91; CIL, IX, 6386a; A. DONATI, cit., pp. 202-203, n. 44, D(ominis) n(ostris) (quattuor) / Costantino / Max(imo) Aug (usto) / et Crispo / et Consta / ntino Iun(ori) / et Consta / ntio nob(ilissimis) / Caesa(ribus) (tribus). M(ilia) IIII; M. BUONOCORE, Histonium, in Supplementa Italica, n. s., 2 (1983), pp. 97-144 (125); IDEM, Fonti., cit., I, p. 507, n. 118; A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., p. 227.

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più importanti città frentane, Histonium sorgeva nel medesimo luogo ove ora sorge Vasto. Il sito era occupato già in età preromana, come testimoniano iscrizioni in lingua osca. Fu innalzata a municipium, forse, successivamente alla guerra sociale e retta da quattuorviri. Da fonti epigrafiche apprendiamo che Histonium era iscritta alla tribù Arnensis 552. Indubbie strutture per l’approdo sono state rilevate in località Il Trave di Vasto 553.

552 CIL, IX, p. 265; M. BUONOCORE, Histonium, in Supplementa Italica n. s., 2 (1983) pp. 97-144; F. COARELLI-A: LA REGINA, Abruzzo e Molise, Bari 1984, pp. 307-8. 553 A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., p. 273. Istonio fu fortificata nel 493 da Teodorico, mentre nel 585 Autari la aggregò al ducato di Benevento, divenendo quindi gastaldato. Distrutto da Aimone di Dordona, capitano di Pipino (802) fu ricostruito dallo stesso col nome di il Guasto o il Vasto d’Aimone. Fu feudo del monastero di S. Giovanni in Venere dal 1047 al 1269.

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VIA INTEROCRIUM-AMITERNUM-BEREGRA-HADRIA Come precedentemente ipotizzato, parlando della via Litina, il tratto di strada, che da Interocrium giunge ad Amiternum, potremmo considerarlo parte di questa antica via 554. Da sempre ritenuta una diramazione della via Salaria, da alcuni autori venne in passato detta anche Via Amiternina 555, ma giustamente Persichetti: «il nome adunque di Via Amiternina, che non trova riscontro negli antichi itinerari, né presso gli scrittori classici, è da ritenersi affatto improprio» 556. Secondo quanto ipotizzato da Migliario, questo tratto di strada rappresenta un intervento immediatamente successivo alla deduzione romana del territorio 557 (Fig. 33). Partendo da Antrodoco, la via si inerpicava verso Ovest per il Fosso di Rapelle fino alla contrada S. Terenziano 558. Dopo circa 3, 5km da Antrodoco, lungo la strada SS 17, Persichetti descrisse i resti di un muraglione di sostegno lungo una quindicina di metri. Al termine di una salita non lieve di circa un chilometro e mezzo, si scorge la chiesa della Madonna delle Grotte 559. Superata la chiesa, di circa un chilometro, si raggiunge la località Fonte Canale o Vignola, dove nel 1909 Persichetti rinvenne e descrisse una colonna miliaria: «E poiché Interocrium cadeva al miglio 64 ab Urbe, e da Antrodoco al posto ove è avvenuta la scoperta, per la via che ascendeva rasentendo il Fosso di Rapello, corrono sei chilometri, il detto mil554 Vedi p. di questo lavoro. 555 A LEOSINI, Monumenti storici ed artistici di Aquila, Aquila 1848, p. 234; Idem, Corografia antica dell’Abruzzo Ulteriore, II, 1867, p. 21; A. DE NINO, NSA 1885, p. 481; Idem, NSA 1892, pp. 170, 484. 556 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 116. 557 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 88: “Indipendentemente dalla denominazione originaria (diverticolo di Salaria, oppure via Calatina), il tratto stradale collegante l’antica Interocrium (Antrodoco) con la conca amiternina ove si immetteva da Ovest dopo aver superato l’odierna Stazione di Vigliano (l’antica Fisternae), costituì molto probabilmente uno dei primi interventi romani nella zona, e come tale va fatto risalire almeno alla metà del III sec. a.C.”. 558 IGM, f: 139, III SE, Antrodoco. 559 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 120.

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liario deve riferirsi al miglio LXVI da Roma. Infatti questa località Fonte Canale ove è tornato in luce tale milliario, trovasi a km 6 da Antrodoco ed a km 7,500 prima di giungere al villaggio di Sella di Corno, dove fu rinvenuto e dove tutt’ora giace avanti la casa Mattei il milliario LXXII» 560.

Fig. 33 - Via Interocrio-Amiternum-Beregra-Hadria La valutazione del Persichetti, in questo caso, mi sembra molto approssimativa, perché il voler calcolare le distanze da Antrodoco a Vignola e da quest’ultima a Sella di Corno sulla strada statale SS17, è senza dubbio inesatto in quanto, come egli stesso affermò: «questa via andava a svilupparsi entro la stretta e tortuosa gola 560 N. PERSICHETTI, NSA, 1909, p. 32; CIL, IX, 5955, 5956; A. DONATI, cit., p. 172 n. 10; p. 173 n. 11. I due testi riportati fanno riferimento ad intervalli di tempo di circa 50 anni (317-324 d.C. e 367-375 d.C.).

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che di presente è appellata Fosso di Rapelle» 561. La distanza tra Antrodoco e Vignola sulla strada attuale è di circa 6 km, corrispondenti a 4 miglia, che sommate alle 64 ab Urbe, danno LXVIII miglia e non LXVI come egli riporta. Ma quantunque l’avesse considerato il LXVIII da Roma, non avremmo potuto giustificare la distanza di sole 4 miglia per Sella di Corno (LXXII), in quanto soltanto in linea retta passano circa 7500 m. Non dimentichiamo, inoltre, che il migliario di Sella di Corno fu rinvenuto più innanzi, dopo il centro abitato in direzione di L’Aquila, in località “Ara di Bisciò” 562. Se da Antrodoco (LXIV) fino a Sella di Corno (LXXII) passano 14,5 km (10 miglia circa), calcolate lungo la strada SS17, significa che la strada romana era più breve di due miglia e questo perché procedeva lungo il Fosso di Rapello. Infatti seguendo questo percorso, raggiungo Vignola dopo 4500 m, pari appunto a tre miglia. Da qui, fino a Sella di Corno la natura dei luoghi consente un tragitto lineare ed agevole, che ci permette di sovrapporre il tracciato romano con l’attuale. Infatti se da Vignola fino a Sella di Corno corrono 7,5 km (circa 5 miglia), ne consegue che il miliario di Vignola è il LXVII da Roma. Dopo Vignola Persichetti non rinvenne altre memorie archeologiche fino a Vigliano 563. Sappiamo, invece, da un manoscritto dell’architetto Giuseppe Simelli del 1809 che: «Proseguendo la via per andare all’Aquila, circa tre miglia più in là della predetta chiesa (Madonna della Grotta), si incontra un’altra sostruzione di pietra la quale impedisca che la strada non dilavi nel fosso» 564. Probabilmente si sarà perduta ogni traccia di questa sostruzione a causa di piogge torrenziali, come del resto avvenne nel 1909 presso Vignola 565. Da Sella di Corno, ad un miglio esatto dal luogo di rinvenimento del miliario 561 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 119 562 Il miliario fu rinvenuto da Licurgo Mattei sopra la vecchia strada Salara. La notizia mi è stata data da Gregorio Mattei di Sella di Corno e confermata da altri. 563 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 123. 564 G. SIMELLI, Antichità peslagiche, cit., f. 33 a. 565 N. PERSICHETTI, NSA, 1909, p. 31.

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LXXII (Ara di Bisciò), sempre lungo la strada, la località è detta Colonnella. Con molta probabilità il toponimo conserva memoria di colonna miliaria, probabilmente la LXXIII 566. La Migliario, invece, ipotizza che: «Il toponimo Colonnella/Colonnelle, designante come in questo caso una località posta lungo una grande strada, potrebbe indicare il punto in cui si ergevano le colonnine indicanti l’ingresso nei confini di un municipium» 567. La successiva pietra miliaria, la decima da Antrodoco, doveva cadere in prossimità del bivio per Vigliano, tra la strada attuale e il Fosso delle Colonnelle. Qui in località Cisterne doveva essere il bivio di Fisternae, riportato sulla Tab. Peuting. 568 Il Persichetti ebbe modo di rintracciare l’antica strada dietro indicazione degli abitanti di Vigliano, che arando i campi, spesso ne urtavano i resti col vomere 569. Sempre procedendo sulla destra dell’attuale strada statale, si giungeva al bivio per Foruli (Civitatomassa), dove è la chiesa della Madonna della Strada, e proprio qui doveva essere il miliario LXXVII  570. Ciò collimerebbe con quanto riportato dalla Tab. Peuting., e cioè 13 miglia intercorrevano tra il bivio di Interocrio e quello di Foruli. La strada, quindi, lasciava Foruli sulla sinistra, come sosteneva Persichetti, ritenendo esatto il percorso riportato dal Kiepert sulla carta Italiae Regio IV, annessa al IX vol. del CIL. In passato Camilli parlando della strada: «Questa adunque partiva da Interocreo, e per Fisternas tirava alle vicinanze di Foruli dove oggi è Civita-Tomassa ch’era il punto di divisione di molte vie. A sinistra saliva a Forulos piantato su di una rupe» 571. Il successivo, il quattordicesimo miliario, cadeva probabilmente in corri566 IGM, f:139, III SE, Antrodoco. 567 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 86 (25). 568 Tab. Peuting., segm. IV, 4-5; F. S. CAMILLI, Dissertazione, cit., p. 23; N. PERSICHETTI, Viaggio, p. 123. 569 N. PERSICHETTI, Viaggio, p. 127. 570 IGM, f. 139, II SO, Scoppito. 571 F. S. CAMILLI, Dissertazione, cit., p. 24.

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spondenza del Ponte di S. Giovanni. Da qui la strada volgeva a sinistra, passando in prossimità dell’antico rudere romano, detto Casa la Jé 572, e poi in direzione NE si dirigeva verso Amiternum 573. Da un rilievo eseguito nella seconda metà dell’ottocento, per la realizzazione dell’attuale strada SS 80 bis, e conservato presso l’Archivio di Stato di L’Aquila, si può notare che la strada antica procedeva ora a valle ora a monte dell’attuale 574. Dopo circa 500 m dal Ponte S. Giovanni, la strada superava il Fosso Passaturo con un ponte detto Ponticello 575, per proseguire poi diritta fino a Preturo. Poco prima dell’abitato, sulla destra della strada, dove si dice Murelle, la tradizione vuole che esistessero delle terme romane. La strada proseguiva a valle del centro abitato (Piedi le Vigne), e dove da sempre sono tornati alla luce resti di edifici, mura e colonnati. Ed ancora in direzione NE la strada giungeva fino al Casale Giorgio, 700 m prima dell’anfiteatro, in prossimità del quale se ne rinvennero diversi tratti 576. Mentre l’attuale via in quel punto piega leggermente a sinistra, l’antica proseguiva sempre diritta passando a circa ottanta metri ad est dell’anfiteatro 577. Proseguendo lungo la SS 80 bis, a circa 70 m ad est del bivio per Pozza, in località Grottoni, Domenico Cucchiella ebbe il piacere di mostrarmi, in un suo terreno, un pozzo di epoca romana 578, nei pressi del quale nel 1929 rinvenne due tabulae patronatus ed

572 N. PERSICHETTI, Viaggio, 131 (1). Il rudere, tomba romana a base quadrata e corpo superiore cilindrico, è facilmente individuabile sulla carta catastale di Scoppito n° 17, part. N°563. 573 Ivi, pp. 134;137. 574 Archivio Antico (Opere pubbliche) busta 1768 cat. III, classe III, fasc. 57, ’Progetto di strada Amiternina’. 575 Questo ponte era presente già intorno al IX sec. Lo ritroviamo, infatti, nei regesti di Farfa, e precisamente nel Liber Larg: I, 20 marzo 870, ed il 1° maggio del 958: “…In Amiterno, loco qui nominatur Forule, ad Sanctum Iohannem, infra ipsam Civitatem, et ad Ponticellum”. 576 N. PERSICHETTI, NSA, 1901, p. 23; Ivi, 1906, p. 6. 577 Nell’ottobre del 1987, dall’alto di un elicottero (280 piedi di quota), sorvolando il terreno in esame, arato due giorni prima per la semina, ho notato la fascia più chiara della strada antica, che si stagliava nettissima e diritta in direzione NE. Il proprietario del terreno, Benito Cialone, di S. Vittorino, mi confermò che durante l’aratura dei campi ne avvertiva spesso la presenza con l’aratro. 578 Mappa catastale di L’Aquila n° 104, particella n° 275.

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un encarpio di bronzo appartenenti a C. Sallio Sofronio Pompeiano 579. I reperti si rinvennero alla profondità di un metro e ritengo poco probabile che possano essere stati abbandonati per incuria, reputo piuttosto che vi siano stati nascosti in un triste frangente. Diversi sono gli elementi che mi spingono in questa direzione. Non è un caso che gioie di famiglia si trovino tutte insieme dopo molti secoli e per giunta in ottimo stato di conservazione. Bisogna tener presente che l’encarpio conserva ancora tracce di nastri ornamentali. Poiché i decreti di patronato venivano in genere affissi nell’atrio della casa, Annibaldi suppose, giustamente, che nel luogo stesso del ritrovamento sorgeva l’abitazione dei Sallii. Non bisogna inoltre dimenticare che i reperti si rinvennero in località Grottoni e che la presenza di criptoportici di ville romane 580, spesso hanno dato origine a toponimi del tipo Grotte, Grottini, Grottaglie 581. Sempre a Grottoni, Persichetti rinvenne resti di edificio: «il cui muro meridionale è rivestito di reticolato in pietre calcari, 579 G. ANNIBALDI, Amiterno. Rinvenimenti di due Tabulae Patronatus presso Preturo, NSA 1936, pp. 94-107. La famiglia di rango equestre dei Caii Sallii, documentata epigraficamente in Amiterno, mantenne una posizione di preminenza a partire dal III secolo d.C. fino alla metà del IV. Figura di spicco C. Sallius Proculus, patrono, in età Severiana, di Amiternum, Peltuinum ed Aveia. Rivestì la carica di magistrato del pagus di Septem Aquae nel territorio Reatino, nonché quella di sacerdos Lavinius (G. ANNIBALDI, NSA, 1936, cit. p. 94ss; AE, 1937, n 119; A. CHASTAGNOL, L’administration du Diocèse Italien an Bas Empire, “Historia” (1963), p. 348ss, 360). Nell’anno 325 d.C. era patrono di Amiterno C. Sallius Sofronius Pompeianus, figlio di C. Sallius Proculus e pronipote del C. Sallius Proculus di età Severiana. A lui spetta il merito della riattivazione dell’acquedotto Aquae Arentani, forse il più importante della città, e la ricostruzione delle terme. Infine abbiamo C. Sallius Sofronius junior, figlio del precedente, al quale viene conferito il patronato sui Forulani nel 18 dicembre del 335 d. 580 Spesso le ville rustiche venivano costruite sui declivi e quindi necessitavano di ampi terrazzamenti, al di sotto dei quali venivano costruite cisterne, criptoportici o cripte (VITRUVIO, IV, 8). Questi elementi facenti parte della basis villae, rappresentano spesso le uniche testimonianze archeologiche della villa rustica, diffusissime in tutta la Sabina successivamente alla debellatio del console M. Curio Dentato a partire dal 290 a.C. 581 M. P. MUZZIOLI, Cures Sabini, Ist. di Topogr. Ant. Univ. di Roma, 1980, Forma Italiae, Regio IV, vol. II, p. 139, n°184; R. A. STACCIOLI, Lazio settentrionale, Guide archeologiche, Roma 1983, p. 199; E. MENOTTI, La piana reatina: la così detta villa d’Assio alle grotte di S. Nicola, un esempio di uso del territorio in età romana, in Il Territorio, a. V, nn. 1-2 gennaioagosto 1989, p. 52; R. TURCHETTI, Via Salaria, in: Thomas Ashby, un archeologo fotografa la Campagna Romana tra ‘800 e ‘900, Roma, 1986, pp. 21;29.

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e quello orientale è a filari di quadrelli anche di calcare. Ne sono scoperti pochi metri; il rimanente è tuttora interrato. Poco indietro a detto muro è stato rinvenuto un vano sotterraneo, anch’esso oggi visibile. Vi si scende da un foro fatto nella volta» 582. Probabilmente si tratta di una cisterna ma non possiamo escludere che si tratti del criptoportico di una villa rustica. Ancora con andamento NE la via raggiungeva il fiume Aterno che superava con un ponte, del quale si conserva solo memoria 583, entrando nella città di Amiterno. Amiternum-Beregra Attraversata quindi la città di Amiterno passando in prossimità delle terme, la via proseguiva fiancheggiando il teatro sul lato occidentale, per giungere in località detta Ara di Saturno 584. Con lo stesso andamento, lungo la vecchia strada, ancor oggi visibile, tra la valle Santa Ieli e il Colle Ribaldo, giungeva fino al Fosso dei Frati, dove in passato era un piccolo ponte, mentre tracce di strada si rinvennero alle Cone 585. Proseguendo nella medesima direzione, purtroppo non si hanno notizie di ritrovamenti. Una cosa è certa, nell’alto medioevo una via publica si dirigeva verso Marruci, attraversando le frazioni di S. Lorenzo, Collemusino, Santa Maria: «…in territorio amiternino, in villa quae vocatur Marruce, ubi dicitur tritica, petiam unam, modia II de vinea et de terra vacua modia XX: de duabus partibus iuxta viam publicam, de alia…». 586 Inerpicandosi, poi per circa 3 km lungo il Vallone della Cona, raggiungeva 582 N. PERSICHETTI, Viaggio, p. 199. 583 G. SIMELLI, cit., p. 36b “Un avanzo di ponte antico sull’Aterno, che secondo quanto mi fu asserito, è stato da pochi anni distrutto, per impiegare i materiali in una nuova costruzione…”; N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 138. 584 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 138; Idem, Alla ricerca, cit., p. 214. 585 IGM, f. 139, II SO, Scoppito; N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 214. 586 Lib. Larg: I, p. 86; IGM, f. 139, NO, Pizzoli. La chiesa della frazione di S. Maria è detta S. Maria a Tretteca, corruzione di ad Triticum.

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l’attuale SS 80 nei pressi della casa cantoniera al km 23 587. Sempre salendo incontrava il Valico delle Capannelle (1.299 m s.l.m.), dopo un percorso di 5 miglia da Amiterno (86 da Roma). Dell’antico tracciato non restano vestigia, poiché, come giustamente ritenne Persichetti, a causa dell’orografia, era improponibile un tracciato diverso, quindi, quello attuale si sovrappone a quello antico. La strada proseguiva per le località di Croce, Valle dell’Acqua Santa, Casale Cococcia, la pianura detta Piano Popolare, fino al Fosso delle Calcare, dove si rinvennero i resti di un tratto di ben 292 m, della larghezza di m 2,6 588. La minore larghezza della carreggiata, la costruzione del basamento (opus pseudoisodomum), identici a quelli del ponte Nascoso, indussero il Persichetti a ritenere la strada precedente alla via Salaria. Il materiale utilizzato non era costituito da pietra locale, infatti nei dintorni è presente soltanto arenaria di color nerastro, al contrario il nostro tracciato è detto dagli abitanti del luogo, Strada delle pietre Bianche 589. Più innanzi la strada passava sulla sinistra del Vomano, ed in prossimità di Ortolano si rinvenne traccia 590. E’da tener presente che tre chilometri più avanti esiste un fosso detto Fosso del Migliario e secondo i miei calcoli deveva riferirsi al 93° miglio da Roma. Procedendo ancora per tre miglia circa, sempre lungo la sinistra del Vomano, prima di giungere al Ponte dei Paladini, in passato si rinvenne un tratto di strada in seguito disfatto 591. La via guadagnava, quindi, la sponda destra del Vomano per mezzo di un ponte di epoca romana distrutto nel lontano 1857. Dopo circa 500 m oltre tale ponte (al 41° km), in prossimità del fiume, si segnalò la presenza di una sostruzione dell’antica via, della lunghezza di 8 m circa 592. Ancora un miglio più avanti, il Palma segnalò resti di ponte romano, attraverso il quale la strada passava sull’altra sponda del fiume. Altri due piccoli tratti di strada furono segnalati nel territorio di Fano Adriano, mentre resti di ponte romano furono rinvenuti in prossimità di Poggio Umbricchio. Nella chiesa parrocchiale di 587 IGM, f:139, II NE, Monte S. Franco. 588 N. PERSICHETTI, Alla ricera, cit., p. 215. 589 Idem, 216; IGM, f:139 II NE, Monte S. Franco. 590 Ibidem, 278; IGM, f. 139 I SE, Campotosto. 591 IGM, f. 140 IV SO, Pietracamela. 592 N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 283.

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quest’ultimo centro è presente una colonna adibita ad acquasantiera, recante il numerale CIII 593. Probabilmente venne alla luce nei pressi, e secondo i miei calcoli, doveva essere allocato sulla sponda sinistra del fiume Vomano, ad ovest di Poggio Umbricchio 594. Infatti la distanza da noi calcolata del tratto Amiterno-Poggio Umbricchio, collima con quella calcolata dal Persichetti e cioè 23 miglia 595, che sommate alle 81 che correvano tra l’Urbe ed Amiterno 596, danno esattamente CIIII miglia. Nello stesso luogo Martinori segnalò la presenza di sostruzioni appartenenti alla via, ossia blocchi di pietra di grosse dimensioni 597. Superato il fiume Vomano sul ponte di Poggio Umbricchio, la strada procedeva lungo la sponda sinistra, ai piedi del colle ove poggia il paese. Resti di strada simili a quelli di Prato Popolare, furono rinvenuti ancora a nord del mulino, ed ancora più avanti, alle falde del colle, nelle località Valletta, S. Angelo, Valle Trocco e Collecasciotta 598. Sempre lungo la riva sinistra del fiume, la strada proseguiva fino al bivio di Montorio al Vomano, infatti a circa 3 km prima del centro abitato se ne rinvenne un tratto, insieme ai resti di un tempietto dedicato ad Ercole, in contrada Salara 599. Comunemente Montorio al Vomano, che secondo il miei calcoli era posto a CXVIIII da Roma, si identifica con l’antico vicus di Beregra 600, mentre Bernabei ritenne di doverlo localizzare a poco più di un miglio ad 593 N. PALMA, Compendio della storia civile del Pretuzio, Teramo, 1850, p. 36. 594 G. B. DELFICO, Dell’Interamnia Pretuzia. Memorie di G. B. Delfico, Napoli 1812, p. 123; N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 285; CIL, IX 5958; E. Abbate, Guida, cit., p. 432; A. DONATI, cit., pp. 210-211, n. 51. Il miliario appartenente agli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano, è databile tra il 367 e il 375 d.C. 595 N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 220 596 CIL, IX, p. 585. 597 E. MARTINORI, Via Salaria, cit., pp. 124 ss. 598 N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., pp. 284-285. 599 F. BERNABEI, Relazione di un viaggio archeologico sulla via Salaria lungo il corso del Vomano, in: Giornale degli scavi di Pompei, Napoli 1868 vol. I, pp. 76ss. 600 PLINIO, III, 111, “Intus Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia, Pollentini”; E. PAIS, Liber coloniarum, in: Mem. dei Lincei, Classe di Sc. Moral., s. 5 a XVI (1921), p. 407; J. BELOCH, Rom. Gesh., Berlin-Leipzig 1926, p. 603 ss.

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oriente, sulla destra del fiume Vomano 601. Da Montorio si dipartiva un ramo laterale che si spingeva verso Interamnia (Teramo), infatti, nel centro storico di Montorio sono venuti alla luce: «…ben tre ponti, due sotto quelli moderni alle estremità O e NE dell’abitato, uno –meno visibile-presso la cattedrale» 602. Beregra-Hadria Tornando a Montorio, la strada, sempre lungo il Vomano proseguiva passando sulla sponda destra e in località Vicenne, nel comune di Leognano, venne alla luce un tratto di strada 603. Un altro tratto ancora se ne rinvenne poco prima di incontrare la sponda sinistra del fiume Mavone e probabilmente lo superava con un ponte di cui però non si rinvennero resti 604. Altri tratti di strada furono scoperti tra il bivio per Basciano ed il ponte presente a sud di Forcella 605. Sempre lungo la riva sinistra, la strada proseguiva per S. Cipriano, Guardia Vomano, a sud di S. Maria a Propezzano e di Castel Thaulero, fino a Roseto degli Abruzzi, CXLI miglia totali 606. Nella seconda metà del XIX secolo, si rinvenne in località Monte Giove, nel comune di Cermignano, un frammento di epigrafe dalla forma di parallelepipedo (m 0,90 x 0,50 x 0,20), recante soltanto il numerale P CXXV 607. Ho qualche difficoltà a considerarla una pietra miliaria, innanzitutto per la forma, che si discosta molto dalle solite pietre miliarie. Infatti, come giustamente rileva l’Hülsen, le uniche pietre miliarie in Italia con MP, sono quelle sarde 608. 601 F. BERNABEI, cit., pp. 80 ss. 602 L. FRANCHI DELL’ORTO, G. MESSINEO, Viabilità antica e il toponimo ‘Valle Siciliana’, pp. 115. 603 N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 292. 604 Idem, 293. 605 Ibidem, 296; IGM, f. 140, Teramo. 606 Vedi carta Rizzi-Zannoni. Il percorso venne poi ricalcato dall’attuale SS 150. 607 F: BERNABEI, NSA, 1888, 291; Eph. Ep. VIII (1891) n. 240; C: HÜLSEN, NSA, 1896, 97; A. DONATI, cit., 210 n. 50. 608 C. HÜLSEN, cit., 97.

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Date le dimenzioni non potremmo neanche considerarla una base di colonna miliaria. Inoltre, se dovessi considerare l’epigrafe un miliario, secondo i miei calcoli dovrebbe essere il CXXVIII, cioè non in situ. Probabilmente una strada romana partendo dalla Valle del Vomano, in corrispondenza del bivio di S. Maria di Propezzano, al km 10 dell’attuale SS 150, attraversava il fiume 609, si dirigeva verso Calisto, lambiva ad est S. Giusta e dopo circa 9 miglia raggiungeva Hatria 610. Senza dubbio questa via rappresentava il percorso più breve tra l’Urbe ed Hatria.

609 IGM, f. 140, Teramo., 610 IGM, f. 141, Pescara.

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VIA INTERAMNIA-CASTRUM NOVUM Sebbene tacciano le fonti antiche, possiamo senza dubbio ritenere che una strada collegasse l’antica Interamnia (Teramo) con la colonia di Castrum Novum (Giulianova). La via seguiva il corso del fiume Tordino, l’antico Batinus 611, lungo la sponda sinistra, percorso ricalcato, grosso modo, dall’attuale SS 80, e comunemente denominata Via del Batino. Non dobbiamo dimenticare che la colonia di Castrum Novum, fondata dai Romani intorno al 290 a.C., fu dotata di strutture portuali fin dalla Seconda Guerra Punica (Livio, LIV, XXXVI, 2,4-6), rappresentando, quindi, uno sbocco commerciale anche per l’interna Interamnia. Già in epoca preistorica il Tordino, che nasce dai monti della Laga, anch’esso in prossimità delle sorgenti del Velino, del Tronto e dell’Aterno, ha rappresentato un’agevole via di comunicazione tra l’interno e la costa adriatica, per l’etnos pretuzio, distaccandosi dal nucleo di origine dei Sabini, ivi attestati intorno al IX secolo a.C. 612. Di questa strada, realizzata successivamente alla deduzione romana del territorio (268 a.C.), secondo quanto ipotizzato da Montebello, si conservano resti archeologici 613. Nell’ottobre del 1992 durante lavori per la posa in opera di condutture, si rinvenne una pietra miliaria nel territorio teramano, in località Cavonetto, lungo la Valle S. Giovanni, presso l’abitato di tal Quintino Santarelli 614. Il miliario era collocato nei pressi della confluenza del fiume Tordino col fosso Fiumicello, lungo la ‘strada vecchia’ e recava in alto il numerale CXIIII. Durante gli scavi si rinvenne anche un tratto di strada di opera romana. In verità la pietra miliaria era venuta alla luce già verso la fine degli anni ’50 ad opera di Giovanni Marini, il quale ebbe l’accortezza di lasciarla in situ. Con 611 PLINIO, III, 110, “Flumen Vomanus, ager Praetutianorum Palmensisque, item Castrum Novum, flumen Batinus, Truntum cum amne…”. 612 MONTEBELLO, Castrum Novum Piceni, cit., p. 3; M. PALLOTTINO, Storia, cit., p. 70. 613 IDEM, Castrum, cit., pp. 15 e 17. 614 G. SGATTONI, Strade e commerci di ieri e di oggi. Scoperto a Valle S. Giovanni un miliario della via del Batino, in Notizie dell’economia, organo ufficiale Camere di Commercio, Industria, Artigianato, Teramo, a. XLV, marzo-aprile 1993, pp. 1-7. La pietra è stata trasportata a Teramo e collocata attualmente (agosto 1995) presso l’area archeologica di S. Anna.

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molta probabilità doveva appartenere ad un diverticolo che collegava la via Salaria con il territorio di Interamnia, attraverso gli Appennini. Questa strada laterale, forse, da Valle S. Giovanni si dirigeva verso ovest per Pagliaroli (IGM, f. 140, IV NO Cortino), quindi per Comignano, raggiungendo Macchiatornella 615. Da qui, sempre in direzione ponente, tra Monte Pelone e Pizzo Moscio, procedeva per Stazzo Padula, Stazzo di Mezzo, Stazzo della Pacina e Stazzo di Selva Grande 616. Quindi passando per Capricchia, S. Cipriano, giungeva ad Amatrice, proseguiva poi per Cornillo Vecchio, Ponte Scandarello fino alla via Salaria, in corrispondenza del miglio LXXXVII 617. Sommando, ora, la lunghezza del tratto esaminato, che è di circa 40 km (27 miglia), alle 87 miglia della Via Salaria, otteniamo 114 miglia, cioè la distanza dall’Urbe, appunto, riportata sul cippo, confermando, inoltre, che il nostro miliario era stato allocato esattamente nel punto in cui è stato rinvenuto. Il miliario non possiamo considerarlo appartenente alla via che da Beregra (Montorio) si dirigeva verso Interamnia, poiché essendo una strada senza dubbio più importante, ritengo avrebbe riportato il nome del costruttore, come per il miliario 119 di Vallorino, e non il semplice numerale. Inoltre, il miliario si rinvenne a Valle S. Giovanni, circa 6 km più avanti rispetto al bivio per Montorio, cioè grosso modo a 124 miglia da Roma. Ritengo poco probabile che possa essere stato trasportato dieci miglia più avanti. Tornando ora all’antica via Interamnia-Castrum Novum sappiamo che procedeva sempre lungo la sponda sinistra del fiume Tordino in direzione di Castrum Novum, come confermato da tutti gli studiosi 618. Resti di un lungo tratto della via del Batino, insieme a sepolcri monumentali, vennero alla luce «…nel 1961 alla Cona di Teramo presso il Ponte Messato, pro615 La notizia mi è stata fornita da Luca Terzi, Guardia Forestale presso la Stazione di Coordinamento Territoriale dell’Ambiente di Cortino. 616 IGM f. 139, I NE, Monte Gorzano. 617 IGM. f. 139 I NO, Amarice. Di questa strada si ha tutt’ora memoria nella tradizione locale, come la via più breve per raggiungere Roma. 618 Sulla carta Rizzi-Zannoni si vede chiaramente che la strada passava per S. Mauro a sud di Ripattoni e sempre a sud di S. Pietro, raggiungendo Giulianova, ugualmente sulla carta del Kiepert allegata al CIL, e dello stesso avviso Persichetti (Alla ricerca, cit., p. 300).

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prio dov’è oggi l’autorimessa dell’ARPA, già INT…» 619. Ulteriore conferma la traiamo dai resti di un arco di ponte romano sul fiume Vezzola, nei pressi di Teramo, detto Ponte degli Impiccati 620. Nel tratto prossimo a Giulianova la strada probabilmente seguiva il percorso ricalcato dall’attuale SS 80. Resti di un muro di sostruzione, ancor oggi visibili, sepolture, insieme ad un ponte di epoca romana, ci permettono di stabilire che la strada entrava dalla porta occidentale del Castrum 621. La via del Batino, che la maggior parte degli autori ritiene identificare con la via Cecilia, incrociava la via Flamina adriatica, all’interno della colonia di Castrun Novum 622. (Fig. 34)

Fig. 34 - Via Interamnia-Catrum Novum 619 G. SGATTONI, cit., p. 2. Si rinvennero in quel frangente, due cippi funerari di CAETRANIUS DONA e di SEXTUS HISTIMENNIUS. 620 N. PERSICHETTI, Alla ricerca, cit., p. 300, “…resti di ponte subito dopo la stazione ferroviaria di Canzano”; … La Valle Siciliana, cit., p. 177, “…nel letto del Vezzola sussisteva ancora un arco di ponte romano nel quale usciva dalla città che seguendo la valle del Tordino raggiungeva Castrum Novum”; G. SGATTONI, cit., p. 4. 621 M. MONTEBELLO, Topografia di Castrum Novum Piceni, in Antiqua, 1977, n. 7, p. 40, fig. 1 n. 3; IDEM, Castrum, cit., p. 38. 622 IDEM, Topografia, cit., p. 39; A. R. STAFFA, L’Abruzzo costiero, cit., fig. 9, n. 2:

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VIA CLAUDIA NOVA L’esistenza della Via Claudia Nova è documentata da un’epigrafe rinvenuta nel 1814 nei pressi di Civitatomassa, l’antica Foruli 623. (Foto 3) Altre tre iscrizioni ci forniscono ulteriori informazioni su questa strada ed in particolare sui suoi curatores viarum 624. Sappiamo dalla prima epigrafe, che l’imperatore Claudio nell’anno 47 d.C., fece costruire la Via Claudia Nova, che partendo da Foruli, raggiungeva la confluenza dei fiumi Aterno e Tirino con un percorso di 47.192 passi. (Fig. 35) L’aggettivo nova le venne posto onde evitare possibili confusioni 625 con la Via Claudia Augusta, fatta restaurare dallo stesso imperatore nel medesimo anno. Dalla costruzione di questa via risulta chiaro l’intento claudiano di collegare non soltanto la via Salaria con la via Valeria, infatti due anni più tardi (49 d.C.) iniziarono i lavori di prolungamento di quest’ultima 626, ma ritengo avesse in animo di raccordare, attraverso la Via Claudia Nova, la Valle del Tirino con quella di Sulmona, quindi, Corfinio, capitale degli Italici, con Aufidena, lungo l’antica direttrice che si spingeva fino a Capua. La costruzione della Via Claudia Nova faceva parte di un piano di più ampio respiro, che collegava la via Salaria con l’area centro meridionale 627. Vie623 R. CARLI, Via Claudia nova, AICA, IV, 1834, p. 145; C. BUNSEN, Antichi stabilimenti Italici, Ibidem, p. 118ss.; CIL, IX 5959 = ILS 209; N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., pp. 134137; R. GARDER, The via Claudia Nova, cit., pp. 205 ss.; E. MARTINORI, cit., pp. 114, ss.; G. MARINANGELI, Pitinum, cit., pp. 287-371; A. DONATI, I milliari, cit., p. 176, n. 13; B. ORSATTI, Tentativo di ricostruzione del tracciato della Claudia Nova, BDASP, LXXII (1982), pp. 321-344; G. F. LA TORRE, Via Claudia Nova, cit., 3 (1984), pp. 33 ss. Il cippo è costodito nel lapidario del Museo Nazionale di L’Aquila. 624 Sono state rinvenute nell’ager aufinate (CIL, IX, 3384, 3385), e nella chiesa di S. Eusanio (3613); CIL. IX, Via Claudia Nova, pp. 585-586. 625 CIL, V, 8002, 8003; R. CARLI, Via Claudia Nova, cit., p. 148 “L’epiteto di nuova sarà stato aggiunto per distinguerla dalle altre vie Claudie, la Claudia Augusta, e la mentovata Claudia Valeria”. 626 G. COLONNA, Un miliario poco noto della Via Claudia Valeria, in: Epigraphica XXI (1959), p. 54: G. MARINANGELI, I tecnici d’oggi e quelli del I° secolo d.C., in: La Valle del Tirino, a. II n. 5 (1963), p. 91. 627 R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit., 207,: “The via Claudia nova connected the

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Foto 3 - Epigrafe Via Claudia Nova

Fig. 35

ne allora spontaneo chiedersi per quale motivo la Via Claudia nova non inizi dalla Via Salaria, cioè da Interocrio ma da Foruli. Ritengo che la risposta vada ricercata nel fatto che avendo Claudio necessità di rendere più veloci i percorsi, nel tratto Interocrio-Foruli non avrebbe potuto apportare sostanziali modifiche sulla viabilità preesistente, in quanto obbligato dalla orografia. Pur tenendo presenti le difficoltà che emergono nel rintracciarne il percorso della via Claudia Nova, diversi sono stati i tentativi fatti in passato senza però giungere a conclusioni, non diciamo definitive, ma accettabili, e questo deriva dalla penuria di elementi disponibili. Sappiamo per certo, il punto di partenza, quello di arrivo e la lunghezza totale della via. Altri elementi a nostra dispoSalaria and the Caecilia with Claudia-Valeria, and formed, as it were, a link between the roads of northern and southen Italy”; G. DE SANTIS, cit., pp. 235-236.

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Fig. 36 - Via Claudia Nova sizione sono: le pietre miliarie rinvenute lungo il percorso, l’orografia del territorio e la viabilità preesistente (F. 36). Foruli-Peltuinum Come detto in precedenza, la Via Claudia nova iniziava da Foruli, e forse più precisamente nei pressi dell’attuale bivio per Civitatomassa (km 23,200 della SS n° 17). Procedendo in direzione Nord-Est, dopo circa 250 m giungeva non lontano dal ponte detto di S. Giovanni, nei pressi del quale: «ne esisteva un altro assai più basso, normale alla Salaria, dal quale aveva origine un’ altra via, anch’essa con corso rettilineo: era la Claudia Nova» 628. 628 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 134; R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit., p.

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La maggior parte degli autori è del parere che la Via Claudia nova, superato il torrente Raio, si dirigesse verso Sassa 629, e che proseguisse in direzione di Genzano per la presenza di una sostruzione di strada romana che fino al 1996 si poteva osservare in località Ponticello di Genzano, dove si dice Il Fosso delle Monache 630. Già in passato F. S. Camilli ne descrisse i resti: «un bellissimo monumento di antica costruzione di Via presso Genzano, Villa posta nel tenimento di Sassa in un Locale chiamato il Ponticello di Genzano, dove anch’oggi passa la Via Romana. Lo Statume (a), che si vede formato per mantenimento della Via, e per ripararla dalle ingiurie del Torrente (Fosso delle Monache), che vi batte al lato destro, è fatto di pietre grandi, lavorate a scalpello di figure irregolari, e ben connesse fra loro» 631. Qualche centinaio di metri più avanti, la Via Claudia nova si portava nuo-

214; S. SEGENNI, Amiternum, cit., pp. 111 e 183. 629 R. CARLI, Via Claudia Nova, cit., pp. 145 ss; C. BUNSEN, Antichi stabilimenti Italici, cit., pp. 118 ss; N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 134; E. MIGLIARIO, Uomini, cit., 108 ss. Recentemente la Migliario avanza l’ipotesi che il tratto iniziale della Claudia Nova non superasse il fiume Raio in contrada S. Giovanni ma esattamente un miglio a NE più avanti, a mezzogiorno della Stazione ferroviaria di Sassa, poco più a valle della confluenza del Fosso Passaturo col Raio (E. MIGLIARIO, Aerofotografia, cit., p. 7). Qualche perplessità sorge conoscendo la natura del luogo, facilmente inondabile, prova ne siano i toponimi Pantano e l’irriguo Camparmoli, anticamente detto Campus Armoris, posti rispettivamente sulla sponda destra e sinistra del Raio (S. ZENODOCCHIO, Saggio di toponomastica amiternina, cit., p. 302). 630 Superato di circa 400 m il bivio di Genzano in direzione Ponte Peschio, sul margine destro della strada vi è un fosso detto delle Monache, il cui argine sinistro era in passato costituito da una sostruzione di epoca romana, oggi scomparsa grazie alla sensibilità di chi ha operato pesantemente sul territorio. Probabilmente sarà stata costruita in funzione della Claudia nova. 631 F. S. CAMILLI, Dissertazione, cit., p. 25 e n. a): “Il terreno di questo Locale è paludoso, è slamante il Torrente che si gonfia nelle pioggie abbondanti, avrebbe certamente devastata la Via, e perciò fu formato quello statume di pietre grandi di figure irregolari, cioè tagliata a triangolo; quadrangolo, pentagono, exagono, e sono in maniera meravigliosa tra loro connesse. Le pietre che sono vicine al Ponticello, il quale per altro benchè piccolo, pur è formato con magnificenza sono più grandi delle altre, come quelle che dovevano con maggior forza resistere all’ impeto delle acque, che riunite imboccano nel Ponticello”.

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vamente sulla sponda destra del torrente Raio che superava con un ponte 632. In passato Gardner avanzò l’ipotesi che la strada, arrivata al Ponticello di Genzano, proseguisse in direzione Nord, ritenedo illogica la brusca deviazione verso levante che la strada seguiva per poter raggiungere il ponte Peschio. Quindi guadagnata la sponda sinistra del Raio, la via Claudia Nova, lambendo la parte occidentale del Colle Macchione, si sarebbe raccordata con la strada per Coppito e da qui avrebbe raggiunto Pitinum 633. Attraverso un approfondito studio aerofotografico della zona, Migliario non esclude quanto ipotizzò Gardner, cioè la possibilità che la via, raggiunto il ponticello di Genzano, proseguisse in direzione NE valicando il Raio nel tratto dove il fiume crea un’ansa tra le quote 647 e 649 e da qui, tra colle Macchione e Calandrella raggiungesse Coppito 634. Pur ammettendo che in questo tratto potesse esserci un ponte che valicasse il fiume Raio, escludo che la strada potesse proseguire tra Colle Macchione e Calandrella, in prossimità di Fonte del Pero, a causa del forte dislivello, che soprattutto nel primo tratto, raggiunge il 23%. Altri studiosi ritennero che la Via Claudia nova, superato Ponte Peschio, proseguisse lungo le falde orientali del colle della Madonna delle Grazie di Coppito, per raggiungere la mansio di Pitinum 635. Qualche riserva sull’andamento del tratto Foruli-Pitinum viene avanzata da La Torre. Egli infatti sostiene che: «per raggiungere Pitinum da Foruli occorrerebbero in questa maniera ben tre ponti per superare due volte il Raio e quindi l’Aterno, quando al contrario la via più naturale, ricalcata dalla viabilità odierna, suggerirebbe un percorso alla sinistra del torrente Raio fino alla confluenza con l’Aterno e quindi il superamento di questo con un solo ponte, non esistendo a tutt’oggi resti tali da pre632 Sotto l’attuale Ponte Peschio, ancor oggi, tra gli scempi del cemento armato e quello dei rifiuti, si notano ancora i resti di un antico ponte di probabile epoca romana; IGM, f. 139 II SE, L’Aquila. 633 R. GARDNER, Via Claudia Nova, cit., p. 215 e n. 1. 634 E. MIGLIARIO, Aerofotografia e viabilitàantica: ancora sul tracciato della Via Claudia Nova, in Geographia antiqua, 5 (1996), pp. 10, 11. 635 F. S. CAMILLI, Dissertazione, cit., p. 18; B: ORSATTI, Tentativo, cit., p. 327; E. MIGLIARIO, Aerofotografia, cit., p. 11.

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supporre un insediamento antico sui colli di Sassa tale da giustificare l’erezione di ben due ponti per raggiungerlo» 636. Lo stesso autore fa però notare che la lunghezza dei due percorsi è sovrapponibile, ed inoltre non rigetta completamente la tesi sul percorso: Ponte S. Giovanni, Sassa, ponte Peschio, perché riportata sulla carta del Rizzi-Zannoni. 637. Senza dubbio i resti di ponte romano prossimo all’odierno Ponte S. Giovanni, la citata sostruzione stradale romana prossima a Genzano, i ruderi del ponte, di probabile epoca romana, presso Ponte Peschio, nonché tutti i reperti archeologici e le epigrafi rinvenute in passato lungo questo tratto 638, sono elementi che rendono credibile l’ipotesi di un percorso stradale romano. Pur condividendo quanto sostenuto dalla quasi totalità degli autori sulla ipotesi che una strada romana attraversasse il territorio di Sassa, ritengo però di non identificarla con la Via Claudia Nova. Tornando alla nostra Via Claudia nova, ritengo che, lasciato sulla destra il Ponte S. Giovanni proseguisse fino al bivio per Preturo (SS. N° 80 diramazione) lungo la SS: n° 17, quasi parallela a quest’ultima ma più a Nord, sotto la Costarella, fra Campitto e Pratali 639, raggiungendo il bivio per Casale Mannetti 640. A sostegno di tale ipotesi abbiamo il ritrovamento, nel corso di uno sbancamento, dei resti di fabbricati, di pavimentazioni e tre iscrizioni di epoca romana a 250 m dal bivio per Preturo sulla sinistra della statale SS. n° 17, procedendo verso la città di L’Aquila, a sud della Costarella 641. Inoltre tratti 636 G. F. LA TORRE, La Via Claudia Nova, cit., p. 39. 637 Ivi, 40. 638 NSA 1897, p. 465; 1908, p. 298; CIL, IX, 4358, 4359, 4367, 4372, 4374, 4375, 4379, 4380, 4381, 4382, 4386, 4387, 4390, 4393. 639 IGM f. 139, II SO, Scoppito. 640 Nei primi anni sessanta del secolo passato, fra questo casale e la strada statale, vennero alla luce resti di costruzioni, mosaici ed abbondante materiale fittile, ricoperti con impianto di pioppi. 641 Il materiale attualmente giace su un terreno di Ermenegildo De Benedicti, posto sulla sinistra della SS. n° 17, subito dopo il bivio per Genzano, in direzione di L’Aquila. Delle tre epigrafi rinvenute, due sono funerarie: a) Fal……/Faust…; b) P. Aufidius. e / alesa/ Aufidia. Fausta / in agro P. XIIII; c) Oc.)nius. Pet. p. Gli Aufidii sono ampiamente documentati nel territorio amiternino. C

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di strada di campagna ne conservano ancora l’andamento fino al bivio per Casale Mannetti. Non condivido l’ipotesi di la Torre 642, il quale ritiene che il percorso della Via Claudia Nova sia quello ricalcato dall’attuale SS n° 17, perché, secondo il mio parere avrebbe incontrato terreni pisciali, cioè terreni facilmente allagabili per la scarsa capacità di trattenere l’acqua. Infatti lungo le sponde del torrente Raio, tutti i terreni fanno parte della così detta Fossa di Sassa 643. Costruirvi una strada avrebbe, quindi, comportato la costruzione di sostruzioni particolarmente costose. Dal bivio di Casale Mannetti, sempre lungo la sponda sinistra del torrente Raio, la via lasciava sulla destra l’antico ponte prossimo all’attuale Ponte Peschio. Tirando, quindi, verso est in direzione di Casale Buccella, lungo l’attuale strada di campagna posta a sud della linea ferroviaria, raggiungeva il sito di Pile, dopo aver superato il fiume Aterno 644. Poco prima del centro abitato, la via superava il fiume Vetoio nel punto ove esistevano, fino a qualche anno fa, tre ponti di probabile epoca romana ad un solo arco. Purtroppo anche questi, come i ruderi dell’antico ponte presso ponte Peschio, sono stati letteralmente sommersi dal cemento! Da Pile poi si dirigeva a NE in direzione della chiesa di S. Antonio lungo il tratto di strada detto ancor oggi Via antica Salaria. 645 Superati di circa 300 m i tre ponti di Pile, Persichetti segnalò il rinvenimento di fabbriche di epoca romana ed una pietra miliaria, purtroppo mancante del

642 G. F. LA TORRE, cit., p. 39. 643 B. ORSATTI, La via della media valle dell’Aterno dalla preistoria ai nostri giorni, L’Aquila 1995, p 19: La conca de L’Aquila, così come è intesa in senso geografico, è in verità composta da tre piccole fosse: quella di Sassa, quella de L’Aquila e quella di Fossa. 644 Questo tratto di strada è detto da sempre Via antica Salaria, come riferitomi da Alfredo Berardi di Pile e confermato da altri. Anche Marinangeli ritiene che: la Claudia non entrava nel centro della mansio di Pitinum, che si trovava sul colle posto a sud di Vetoio, ma lambiva, correndo fra l’Aterno e il Raio, seguendo con ogni probabilità da Ponte Peschio il tracciato dell’attuale strada ferrata per la lunghezza di due-tre chilometri, fiancheggiando quindi l’Aterno, senza pertanto tagliare l’altura su cui poscia sorse L’Aquila, come crederebbe il Kiepert (G. MARINANGELI, Pitinum, cit., 317). Contra, R. GARDNER, The via Claudia Nova, cit., pp 214-215; B. ORSATTI, Tentativo, cit., 327; E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 109. 645 IGM, f. 139 II SE, L’Aquila.

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numerale 646. Questo miliario venne alla luce per opera di Francesco Berardi, proprietario della vigna, durante i lavori di scasso, ed il nipote, Alfredo Berardi, mi conferma che la vigna non era molto distante dalla Salara. Se il miliario fosse in origine sul tratto di strada prossimo al punto di rinvenimento non possiamo affermarlo, ma è certo che da quel punto Foruli distava esattamente 6 miglia. Non avendo altri elementi a disposizione, possiamo solo avanzare delle ipotesi. Sapendo che questa strada, la via Claudia Nova, iniziava da Foruli e terminava ad Confluentes Aternum et Tirinum, ritengo che le pietre miliarie lungo essa allocate, riportino le distanze a partire da Foruli e non da Roma. A questo punto si può supporre che il miliario rinvenuto presso Pile, distante da Foruli 6 miglia esatte, sia il VII della Via Claudia Nova. Superati i colli di Pile, lungo la SS 80 in direzione SE, raggiungeva il colle della città di L’Aquila, procedeva per un breve tratto lungo il percorso dell’attuale via XX settembre, poi volgeva forse a destra verso la Rivera, non lontana dal sito ove ora sorge la medievale fonte delle 99 cannelle. Diversi autori hanno hanno ipotizzato che la Via Claudia nova raggiungesse la contrada Rivera, passando leggermente più a valle, facendo riferimento ad un buon tratto di mura di sostruzione di età augustea di III tipo, inglobato nelle mura della città, visibile ancor oggi ai margini del piazzale antistante la stazione ferroviaria di L’Aquila 647. Sono dell’avviso che questo manufatto non sia da mettere in relazione con la nostra strada, in quanto sovrastrutturato, considerando che in quel punto il terreno è abbastanza pianeggiante, e che il fiume Aterno, distante 380m, non abbia mai rappresentato un serio problema di inondazione, essendo il livello dell’acqua 10 m più in basso. Inoltre i moduli del muro di sostruzione della Via Claudia posto sotto Genzano erano di dimensioni più modeste. Più realisticamente, Martella, Medin: «Possiamo tentare di ipotizzare (con tutti i benefici del dubbio) l’appartenenza o ad un sistema fortificato preromano riutilizzato in epoca Romana [...], oppure la traccia di un tempio votivo dedi646 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., pp. 135-137; R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit., p. 208;A. DONATI, cit., pp. 177-178; G. F. LA TORRE, La via Claudia Nova, cit., p. 40, n. 39. 647 N. PERSICHETTI, Viaggio, cit., p. 135;G. F. LA TORRE, La Via Claudia Nova, cit., p. 41 n. 45; E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 110; Ivi, Aerofotografia, cit., p. 11.

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cato ad una divinità delle acque» 648. Sempre costeggiando il colle della città, sulla sponda sinistra del fiume Aterno la Via Claudia Nova proseguiva fino al ponte Rosarolo 649. Dello stesso avviso Migliario 650, mentre secondo La Torre, la Via Claudia Nova, mantenendo la sponda sinistra dell’Aterno, raggiungeva il vicus prossimo a Bazzano e da qui per Pretara, Poggio Picenze, Forfona, lungo il Regio Tratturo raggiungeva Peltuinum 651, senza toccare né Forcona, né Aveia. Facendo riferimento alla cartografia moderna del tratto di strada in esame, la Migliario mette in evidenza che: «una sola strada valica l’Aterno per proseguire a Sud verso Civita di Bagno e Ocre: è la S. S. n° 5 bis, che ha inizio dalla S. S. 17 (…), dalla quale si dirama valicando l’Aterno su di un ponte moderno. Procede quindi sulla sponda destra del fiume fino al bivio per Monticchio: qui la strada principale punta direttamente a Sud-Est, verso Civita, mentre la sua deviazione prosegue a Est verso Monticchio correndo quasi parallela all’Aterno» 652. In un precedente lavoro sulla toponomastica forconese dai regesti di Farfa, ebbi modo di affrontare la viabilità antica del territorio avvalendomi di documenti farfensi 653. Di particolare interesse per i nostri fini risulta una permuta di terreni tra Odelrico e Trisigio figli di Tofano e l’abate Giovanni III, risalente al luglio del 991, nel territorio di Forcona: 648 L. MARTELLA, A. M. MEDIN, Le mura dell’Aquila: appunti per una rilettura organica del sistema difensivo, in: Misura, Rassegna trimestrale di abruzzesistica, a. 1 n° 4 (1979, p. 71. 649 Tale percorso lo rintracciamo nella pianta della città di L’Aquila di P. Fonticulano, incisa da J. Lauro nel 1600, nonché sulla pianta prospettica, sempre della città, di S. Antonelli, incisa ancora da J. Lauro nel 1622. Il Gardner, cit., (p. 215 ss) avanza l’ipotesi che la Via Claudia Nova corresse lungo la sponda destra dell’Aterno, 650 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 110: “…da Pile, tenendosi a Nord del corso dell’Aterno, lasciava l’Amiternino. Costeggiando infatti le pendici dell’altura in seguito occupata dall’Aquila […], entrava nel territorio vestino”. 651 G. F. LA TORRE, La Via Claudia Nova, cit., p. 43. Contra, R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit., pp. 208-209; A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 429. 652 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 111; IGM, f. 139 II SE, L’Aquila; IGM, f. 145 I NE, Lucoli. 653 S. ZENODOCCHIO, Saggio di toponomastica forconese, cit., pp. 236-239.

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«…in Aciliae, et in campo suptus Aciliae ubi dicitur Pantanum et in Malloni, et ad Monumentum, et in Banio: usque in viam de Banio venientem a Muris ad viam quae venit ad episcopio Sancti Maximi, et usque in viam de Columella et Monumento, et usque in viam quae pergit a vado Cilluli et venit ab ecclesia S. Cipriani, et vadit ad Rogiae, et usque montem qui vocatur Serra» 654. Quindi i terreni concessi per tre generazioni erano delimitati: dalla strada che da Bagno, in direzione NE, porta verso S. Cipriano, passando ai piedi della Costa, e sempre da Bagno, dalla via che conduce alla chiesa di S. Massimo. L’altra strada è quella che dalla chiesa di S. Massimo, la via delle colonnette, porta al guado Cilluli, cioè ad un punto sull’Aterno dove l’acqua bassa consentiva un passaggio, non lontano dall’attuale paesino di S. Elia. Infine l’ultima via dal guado Cilluli raggiunge la chiesa di S. Cipriano e da qui Roio fino al monte Serra. Come giustamente rileva Migliario: «con la via delle colonnine o del monumento, bisogna far riferimento ad una antica strada, forse di origine romana» 655. Ritengo che la strada delle colonnelle sia stata in origine quella che dal passaggio sull’Aterno presso S. Elia, raggiungeva Civita, procedendo ad occidente dell’attuale SS. 5bis, per le località: Mausonio, Pantano, Mallevo’, lungo le falde della collina, come riportato sulla carta Rizzi-Zannoni 656. Che questa strada sia stata la Via Claudia Nova non possiamo affermarlo, purtroppo i dati a nostra disposizione ci consentono soltanto di muoverci nel campo delle ipotesi. Ulteriori ragguagli sul territorio in esame possiamo trarli da un falso diploma di Ottone I del giugno del 956, riguardante concessioni di terreni presso la città di Forcona: «…. prima petia de terra iacet in illo loco qui dicitur Solagno, que continet in se quingenta modiola, cuius finis est totum illum 654 Liber Largitorius, I, p. 209, luglio 991; Chron. Farf., I p. 362. Il contratto di scambio di questi terreni risale a più antica data, infatti fu stipulato fra gli antenati di Odelrico e Trisigio, due generazioni prima, e l’abate Ratfredo nel l’anno 935, un anno prima della sua morte per mano dell’abate Campone (Lib. Larg. I, p. 81, febbraio 935). 655 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., 112; IDEM, Aerofotografia, cit., p. 13. 656 IGM, f. 145 I NE, Lucoli.

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pratum de Pantano tendens usque ad Planulem et usque ad caput de via qui revertitur in Castellionem et sic vadit per illos fines de silva usque ad Volubrum et revertitur in Fontozuli cum toto illo colle de Solagno usque in Muris et usque ad pedem de supradicto prato». Il quarto pezzo di terra: «iacet ubi fonte Maina dicitur que continet octingenta modiola, cuius finis est ex una parte via que transit ad Ponticellum per viam Salariam et per pedem de Monteclo et sic revertitur usque in Muris 657; quinta petia de terra iacet ibidem ad Forcellam, que continet in se ille modiola, cuius finis incipit per pedem de Ronca et transit usque in viam Salariam et de alio latere vadit per viam illam de Forcella usque ad flumen et a pede illius fluminis extenditur usque in viam de limite et veniens per eadem viam limitis pergens per medietatem civitatis Cone et per medietatem lacus, cuius alia medietas est Attonis, et sic revertitur ad viam Salariam» 658. Il quinto pezzo di terra di mille moggi era in località Forcella, un chilometro esatto a NNO di Forcona, delimitato dalla strada della Forcella fino al fiume Aterno da una parte, da qui lungo la via del limite proseguiva fino alle Macerine 659, e passando per Forcona raggiungeva il lago di Civita. Volgendo poi a NNO si congiungeva con la Via Salara 660. E’ da tener presente che lungo la sponda meridionale dell’Aterno erano presenti in epoca romana le città di Aveia e di Frustenia (Forcona?). Come ricordato precedentemente, la prima fu sede episcopale intorno al V secolo, mentre la seconda dal VII secolo fino alla fondazione della città di L’Aquila. Non è un caso che ancor oggi conservi il titolo di Civita di Bagno. Viene ancora oggi detta Via Salara la strada che 657 Ritengo dal contesto che tale toponimo, presente anche nell’atto di permuta dell’abate Giovanni appena preso in esame, debba essere ricercato nei pressi del paese di Bagno. Non è un caso che da recentissimi scavi condotti dalla Soprintendenza di Archeologia di Chieti, siano venuti alla luce, proprio in prossimità del luogo ipotizzato, una serie di mura di sostruzione di epoca sillana, secondo quanto mi riferisce Rosanna Tuteri responsabile di scavo. 658 MGH, Dipl., I p. 625. Per i toponimi del territorio in esame, vedi: S. ZENODOCCHIO, Saggio di toponomastica forconese, cit., p. 236-239 e relativa mappa del territorio. 659 IGM, f. 146 IV NO, S. Demetrio ne’ Vestini. 660 S. ZENODOCCHIO, Saggio di toponomastica forconese, cit., p. 238, n. 14.

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dal km 4, 1 della SS 5bis, si collega alla ss 17 in corrispondenza del bivio di Bazzano. Superata Furcona (Frusteniae) ritengo che la strada raggiungesse Monticchio, distante da Foruli poco più di 20 km (circa 13 miglia), e proseguisse fino al bivio per Fossa prossima all’antica Aveia, senza peraltro attraversarne il centro abitato. Da qui, poi, ritengo volgesse a sinistra e fiancheggiando a nord il monte Cerro, superasse l’Aterno in prossimità della Stazione Ferroviaria di S. Demetrio 661. Per il tratto che da Monticchio conduce a Fossa, Migliario non esclude che possa trattarsi dalla nostra strada, anzi ritiene che se così fosse, avrebbe attraversato l’abitato di Aveia ed in direzione NE, e dopo aver superato l’Aterno, avrebbe raggiunto il vecchio crocevia, in località Varranone, posto ad est della stazione di Fossa, da lei individuato attraverso la foto aerea 662. Altri autori, recentemente, hanno sostenuto l’antichità, del tratto Monticchio-Fossa, attribuendolo, però, alla Via Poplica Campana 663. Secondo quanto sostenuto in passato da Bonanni: «Alla sinistra della città di Aveia, eravi altro ramo (della via Claudia Nova) che giungeva a Poggio Picenze, qui si divideva in due parti, dopo attraversamenti di duri macigni al di là di Poggio Picenze e oltre il piano del vallone de l’Inferno; la prima parte a destra pel sud e poscia a gradi a gradi pel sud-est, entrava all’ovest nell’agro Peltuino, e l’altra alla sinistra, che tuttavia si ravvisa si immetteva per la piana sotto Barisciano, pel nord di Castelnuovo, e indi, per l’est e il sud in linea parallela alla Madonna dei Scentorelli » 664. 661 IGM, f. 146 NO, S. Demetrio ne’ Vestini. Secondo quanto riferitomi da Vincenzo Garofalo di Monticchio e confermatomi da altri, la Salara non passava per S. Eusanio, cioè a sud del monte Cerro, bensì a nord. 662 E. MIGLIARIO, Uomini, cit., p. 113. Recentemente Migliario, sulla base di nuove considerazioni, non esclude la possibilità che la via Claudia nova potesse svilupparsi interamente sulla sponda sinistra dell’Aterno (IDEM, Aerofotografia, cit., p. 13). 663 G. F. LA TORRE, Il processo di urbanizzazione nel territorio vestino: il caso di Aveia, in Archeol. Class., XXXVII (1985), fig. 1-2-3;B. ORSATTI, La via Poplica Campana, cit., p. 165. 664 T. BONANNI, Quale fu e quale potrebbe essere, cit., p. 18.

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Sempre secondo Migliario, la via Claudia Nova dal grande incrocio di Varranone proseguiva in direzione NE fino ad incrociare l’antico tratturo, detto in seguito Tratturo Magno Aquila-Foggia, in località la Petrara 665. Personalmente ritengo che la via, superata la stazione di S. Demetrio, dopo circa due chilometri, si biforcava: un tratto in direzione NE verso Barisciano 666, mentre l’altro passando per S. Nicandro e poi lungo il tratturo, proseguiva fino a Peltuinum, posto a 37 km (circa 25 miglia) da Foruli 667. Di parere diverso è Marinangeli, ritenendo che la via Claudia nova passasse per S. Eusanio Forconese, e dopo aver superato l’Aterno, tirasse diritto fino a Peltuinum, raggiunto poi Bominaco e quindi Navelli 668. Nella chiesa di S. Pietro nel castello di Prata, conosciuto anche col nome di Castello Camponeschi, posto a poco più di un miglio a sud della città di Peltuinum, si rinvenne un miliario, certamente da collegare alla via Claudia Nova 669. Un’altra pietra miliaria presente nella chiesa di S. Pellegrino a Bominaco, non contribuisce certo a far luce sul nostro percorso 670. Francamente non credo che la via Claudia Nova potesse passare nei pressi di quest’ultimo centro, perché il percorso risulterebbe molto più lungo.

665 IGM, f. 146 IV, NO, S. Demetrio ne’ Vestini. 666 Nell’ agosto del 951, l’abate Campone concesse ad alcuni abitanti della villa di S. Demetrio, un terreno a Valle Cupa, il castello di Senizzo; “…secus terram Immonis et Regis, et viam publicam pergentem per Barisianum, et secus pacum Lupiniscum et Aquatine, et secus castellum de Senizo” Chron. Farf. I, 318; IGM, f. 146, IV NE, Barisciano. 667 R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit. p. 223; A. LA REGINARicerche, cit., p. 396:” La via Claudia nova attraversava l’abitato formandone il principale asse stradale”; IDEM, Peltuinum, cit., p. 73;V. PLACIDI, La città e il territorio di Peltuinum, cit., pp. 15ss.;IDEM, Il recupero di Peltuinum: una politica per il territorio, in Provincia Oggi, n. 8 ott-dic. 1986, p. 9. 668 G. MARINANGELI, Intorno al percorso della strada romana Claudia Nova, in: La Valle del Tirino 1967, p. 10-11. 669 CIL, IX, 5960; A. DONATI, cit., pp. 178-180 n. 15: [Restit] utori/ [omni] um r<e>r/ [um et t] otius/ [felicit ] atis do/ [mino n]ostro/ [Fla(vio) Iulian]o, pio, feli/[ci, perpet ]uo, se<m>per / [Aug(usto), bon]o reipubli/[c(a)e nato]. 670 CIL, IX, 5961; A. DONATI, cit., pp. 180-181, n. 16: [D (ominis)n (ostris) (duobus) Magno Maximo/ et Fl (avio) Victore, perpetu/is vi]ctoribus [(h)]ac [trium/fat]oribus, semper [Aug(ustis)], /b(ono) r(ei)p(ublicae) n(atis).

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Peltiunum-Incerulae-Ad Confluentes La via, lasciata la città di Peltuinum, procedendo in direzione SE, passava poco discosta dalla chiesetta diruta della Madonna dei Centurelli 671, lambiva le falde meridionali del monte dove sorge Civitaretenga, piegava ad est, e dopo 11 km raggiungeva Navelli, l’antico pagus di Incerulae 672. Il toponimo è presente in documenti medievali nella forma: in Cerulas 673, in Cerulis 674, mentre attualmente l’unica testimonianza la troviamo nella chiesa di S. Maria dell’Annunziata, detta in passato in Caerulis, costruita sui resti di un antico tempio dedicato ad Ercole Giovio 675. Il piano di Navelli, a cavallo tra la valle dell’Aterno e quella del Tirino, ha da sempre svolto una funzione di tramite fin dalla preistoria 676. Superato Navelli, dopo circa 2 km, in direzione NE, lungo la SS 153, un sentiero si staccava da quota 675 m, posto ad est della Serra di Navelli in direzione nord, ed iniziava la discesa della valle della Iena, tra la Serra di Navelli a destra ed il monte Asprino sulla sinistra 677. Il passaggio lungo la valle, non privo di difficoltà nel tratto iniziale a causa del dislivello  678, poteva essere superato con un tracciato scavato nella roccia, 671 G. LIBERATORE, cit., p. 91: “…son anche a’ nostri dì visibili le vestigia di detta strada verso la chiesa, sotto il titolo della Madonna de’ Scentorelli, in vicinanza di Civitaretenga”. 672 IGM, f. 146, I SO, Navelli. L’unica notizia sul pagus Incerulae, la traiamo da un’epigrafe rinvenuta nel 1947 nel territorio di Caporciano (A. LA REGINA, Ricerche, cit., pp. 402 ss: “L’insediamento antico, sorto nella zona pianeggiante ai piedi dell’odierna Navelli, doveva chiamarsi quindi Incerulae”. Il Gardner ritenne che subito dopo la Madonna dei Centurelli la via Claudia nova piegasse a N del monte Castellone e attraverso la sella tra il monte Rotondo e il monte Morrone, raggiungesse la località chiamata Chiancarelli e quindi il piano di Ofena lungo il tratturo. R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit., pp. 229-231; IGM, f., 146 IV, NE, Barisciano; IGM, f. 140, I NO, Capestrano; A. DE NINO, NSA, 1896, pp. 169 ss. 673 Chron. Voltur., a cura di V. FEDERICI, in: Fonti per la Storia d’Ital., Roma 1925, I, p. 206, 32. 674 Ivi, I, p. 230, 16; II p. 56, 3, p. 287, 22; p. 344, 25; III p. 337, 8. 675 CIL, I, p. 394; A. LA REGINA, Ricerche, cit, p. 404; E. H. WARMINGTON, Remains, cit., p. 66, n. 21; IGM, f. 146 I SO, Navelli. 676 F. GIUSTIZIA, cit., p. 36. 677 IGM, f., 146 I NO, Capestrano; IGM, f. 146, I, SO, Navelli. 678 Il valico è a quota 600m, mentre il piano che si raggiunge dopo circa 4 km (Casale Caru-

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cosa che effettivamente vide De Nino verso la fine del XIX secolo 679. La strada raggiungeva infine il bivio per Ofena a quota 387 m. Da Peltuinum fino al bivio per Ofena, lungo questo percorso, calcolo 18 km circa, che sommati ai precedenti mi danno da Foruli 37 miglia romane. Giunti a valle aumentano le difficoltà per la ricostruzione del percorso della Claudia Nova, e come conseguenza nascono pareri diversi tra gli studiosi. Che la valle del Tirino fosse da sempre abitata, ne abbiamo conferma da ritrovamenti preistorici a 1300 m ad est del lago di Capestrano 680 e da una necropoli preromana di vastissime dimensioni 681. Nella stessa area tornò alla luce, nell’estate del 1934, il famoso Guerriero di Capestrano 682. Mentre il Gardner 683, seguito da La Torre 684, ritenne che la via Claudia Nova raggiungesse l’abitato di Ofena, altri la pongono più a valle 685. Secondo La Regina la strada passava per l’antico centro posto a valle di Capestrano, nel tratto di terra compreso tra il fiume Tirino e il fiume Rigo 686, mentre per il Cianfarani: «Aufinum sarebbe stato forse identificato a quasi quattro chilometri a Sud di Ofena, ma l’attuale stato preliminare delle indagini

so), è a quota 390m. La pendenza massima raggiunta in questo tratto non supera il 15%. 679 A. DE NINO, NSA, 1896, pp. 169ss. 680 C. TOZZI, Il giacimento mesolitico di Capo d’Acqua, BPI, XVII, vol. 75, 1966, pp. 1235. 681 A. DE NINO, NSA, 1894, p. 407. 682 G. MORETTI, Il guerriero Italico di Capestrano, Roma 1936;G. MARINANGELI, Nota bibliografica per un riesame generale della questione del Guerriero Italico, 1967;Idem, Il Guerriero Italico di Capestrano, BDASP, 1975, p. 437-518. 683 R. GARDNER, The Via Claudia Nova, cit., pp. 227ss. 684 G. F. LA TORRE, Via Claudia Nova, cit., p. 47. L’autore nutre qualche perplessità sulla: “notevole curva per raggiungere Ofena…apparentemente contrastante con i criteri che hanno costituito la base rtestante del percorso: si può spiegare…solo presupponendo un ruolo egemone del centro in tutta la valle del Tirino”. 685 V. CIANFARANI, Archeologia e turismo dal Gran Sasso, cit., p. 20; A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 428, n 405; G: MARINANGELI, Il Guerriero, cit.,; B. ORSATTI, Tentativo, cit., p. 335. 686 A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 411; G. MARINANGELI, Noterelle di storia ecclesiastica nella provincia Valeria, BDASP, (1973) p. 397 n. 23.

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renderebbe prematuro ogni accenno più esteso” 687. Non dimentichiamo che nell’ager aufenate si rinvennero le epigrafi dei viocuri della via Claudia Nova. In prossimità del bivio per Ofena la strada costeggiava il colle posto ad Est (q. 397), dove nei primi anni Sessanta vennero alla luce resti di antico pagus. Rinvenimenti a valle di Ofena, a tre km dal centro abitato, in contrada S. Silvestro, vennero segnalati in passato dal De Nino 688. Probabilmente la via Claudia Nova procedeva in direzione SE lungo la sponda destra del Tirino fino al Ponte S. Martino, per mezzo del quale superava il fiume proseguendo fino a Bussi, dove nei pressi si rinvennero resti di mura e laterizi 689. Forse l’antica via mantenne sempre la sinistra del fiume 690 fino alla confluenza del Tirino con l’Aterno (Ad Confluentes) che raggiungeva dopo 69,8 km da Foruli, pari appunto alle 47 miglia dell’epigrafe.

687 V. CIANFARANI, cit., p. 29. 688 A. DE NINO, NSA, 1897, p. 403, 1900, p. 152. 689 A. DE NINO, NSA, 1894, pp. 179, 407. 690 Cinquecento metri prima di giungere alla confluenza con l’Aterno (Ad Confluentes), in località Ara del Colle, si rinvennero in passato resti di fabbricati antichi, sepolcri e laterizi che indussero, erroneamente, De Nino a ritenere che in questo sito sorgesse l’anticovicus di Interpromium (A. De Nino, NSA, 1894, p. 407).

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VIA VALERIA La via Valeria, prosecuzione della via Tiburtina, insieme alla via Claudia Valeria, ha da sempre garantito un collegamento tra la costa Tirrenica e quella adriatica, come del resto l’antichissima via Salaria. (F. 37) Questa antica arteria transappenninica era connessa in strettissimo rapporto con la transumanza già in epoca preistorica, allorquando dall’Abruzzo interno le greggi raggiungevano la costa laziale per i pascoli invernali. Quantomai preziose, anche se sommarie, risultano le indicazioni che ci giungono da Strabone sulle città poste lungo la via Valeria: «La Via Valeria inizia da Tibur e conduce fin nel territorio dei Marsi, raggiunge Corfinium, metropoli dei Peligni. Lungo il suo tracciato sono le città latine di Varia, Carsioli, Alba nonché Cuculum» 691. Non possiamo stabilirne con certezza la data di costruzione, anche se i più la riconducono al censore M. Valerio Massimo nel 307 a.C. 692. Il Radke accetta M. Valerio Massimo quale costruttore della Via Valeria, ma esclude l’anno 307, in quanto solo nel 303 e nel 298 a.C. vennero fondate le colonie di Alba Fucens (Livio X, 11) e di Carsioli (Livio, X, 13, 1). Inoltre avanza l’ipotesi che M. Valerio Massimo l’abbia fatta costruire allorché fu eletto console e cioè nel

691 STRABO, V, 3, 11, (traduzione di A. M. Biraschi, Milano 1988). 692 LIVIO, IX, 43, 25, “Ab eodem collegaque eius M. Valerio Maximo viae per agros publica impensa factae”. In quell’anno censore insieme a Caio Giunio Bubulco. R. GARRUCCI, La via Valeria da Tivoli a Corfinio, in: Civiltà Cattolica, s. XI, vol. 33 (1882), pp. 209-216, passim; K. MILLER, Itineraria Romana, cit., p. 321; A. LA REGINA, F. COARELLI, Abruzzo e Molise, cit., p. 50; IDEM, Colonizzazione romana e viabilità, in: Dial. Archeol., 3, III, & (1988), pp. 35-48 (41 ss.); V. VON HAGEN, Le grandi strade di Roma, cit., p. 263; F. VAN WONTERGHEM, Forma Italiae, Regio IV, vol. I, p. 63; L. QUILICI, Le strade, cit., n 12, p. 62; F. VAN WONTERGHEM, La Via Valeria nel territorio di Alba Fucens, cit, p. 22, 1983, 3; G. PANSA, Il XC milliario della Valeria-Claudia, estratto dal Bull. della Comm. arch. comunale, 1918, pp. 5-6; VOLKMANN, in RE VIII A/1 (1965), cc. 121-122, s. v. Valerius (n 244: M. Valerius M. f. M. n. Maximus Corvus o Corvinius).

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Fig. 37 - Via Tiburtina-Valeria 289 o nel 286 a.C. 693. Ritengo valida la considerazione avanzata da Radke, ma non bisogna dimenticare che la tribù Aniensis venne istituita in territorio equo nell’anno 299 a.C. Di parere diverso il De Santis, secondo il quale: “La prima parte di questa arteria, probabilmente costruita da M. Valerio Massimo nel 307 a.C., fino a Tibur, fu successivamente prolungata ad Alba, nel 154 a.C. da M. Valerio Messala, e a Cerfennia in territorio marsicano, e continuata, dopo l’epoca di Artemiodoro, di cui dà testimonianza Strabone, fino a Corfinium, capitale dei Peligni» 694. Dopo la caduta dell’impero di Roma, gli eserciti barbarici lungo la via Valeria raggiunsero ed invasero la provincia Valeria. Durante la guerra gotico-bi693 G. RADKE, cit., p. 345. 694 G. DE SANTIS, cit., p. 238

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zantina (a. 533-553), il re ostrogoto Totila, seguendo la via Valeria, attraversò il territorio marsicano per ben quattro volte 695. Le lotte, poi, proseguirono con l’invasione della Marsica da parte dei Longobardi, con Faroaldo (571-591) che trasformò in gastaldato alle dipendenze del Ducato di Spoleto. E’ lungo la via Tiburtina Valeria che Corradino con il suo esercito, accompagnato da Galvano Lancia, Federico d’Austria, Corrado di Antiochia e Napoleone Orsini, si avviò verso l’ultima battaglia che segnò il tramonto della Casa Sveva. Lasciata Roma il 14 agosto del 1268, raggiunse Tivoli, dominio degli Orsini, poi Vicovaro, possesso di Galvano Lancia, quindi per Àrsoli, confine fra lo Stato della Chiesa e del Regno di Napoli, poi per il Piano del Cavaliere giunse a Carsoli. Più avanti passando per Tagliacozzo raggiunse i Piani Palentini o di San Valentino, dove da giorni lo attendeva Carlo proveniente dalla Puglia, dopo aver combattuto contro i Saraceni ribelli. Il giorno 23 agosto avvenne lo scontro tra Corradino e Carlo e le sorti della battaglia decretarono la fine degli Hohenstaufen e l’inizio della dinastia Angioina nel Regno di Napoli. Tibur-Carsioli La Via Valeria, usciva da Tivoli passando per la Porta Oscura 696, dopo aver superato il ponte Valerio, i cui ruderi si osservano a 500 m più a monte dell’attuale ponte Gregorio, sempre lungo la sponda destra procedeva con un percorso di 12,5 km (VIII miglia), entrava nel territorio equo raggiungendo l’antica Varia (Vicovaro) 697, centro di qualche interesse, che sorgeva nei pres695 G. PAGANI, Avezzano e la sua storia, Avezzano 1968, pp. 100-101. 696 Il Regesto Sublacense del secolo XI, pubblicato dalla Reale Società Romana di Storia patria, curato da L. Allodi e G. Levi, volume unico, Roma MDCCCLXXXV, p. 48, doc. 17, Privilegio di papa Leone VII reintegrativo dei privilegi del Monastero, bruciati dai Saraceni, concesso ad istanza di Alberico Principe dei Romani: ‘Clusura super se in integra qui positur subtus porta scura, iuxta silice.’; P. CORSIGNANI, Reggia Marsicana, Napoli 1781, I, p. 256, “ Del principio di tale Via restò ancora memoria nella detta Città di Tivoli in un luogo oggi appellato di Vaeria o correttamente Valera vicino alla acque Solforate, e passasse per l’antica Porta Oscura, dove esistevano grossi voltoni non lungi dal Tempio di Ercole…”. 697 L’antico oppidum che sorgeva a picco sul fiume Aniene, fu distrutto nel VII secolo dai longobardi, nuovamente dai Saraceni (IX secolo). Solo più tardi fu ricostruito (sec. XII) e

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si del bivio per Orvinium 698. La strada proseguiva in direzione di Carsioli, superava il fiume Licenza (Lucretilis) nei pressi della villa di Orazio e dopo circa 5 miglia incontrava il bivio di Ad Lamnas 699, in corrispondenza del XIII miglio della Via Valeria, XXXIII da Roma 700. E’ ormai un’acquisizione definitiva l’identificazione del toponimo Ad Lamnas con l’Osteria della Ferrata, posta subito dopo aver superato il torrente Ferrata 701, ai piedi del colle Morgia Rossa 702. Qui la Via Valeria si biforcava e mentre un ramo con andamento SE seguiva il fiume Aniene, superava Roviano in direzione NE puntava verso Àrsoli, l’altro procedeva verso Riofreddo passando per Grotta Ferrata, S. Maria, tra il Monte S. Elia (990 m) ed il Colle Cacione. Il tracciato per Riofreddo, di 5 miglia, sarà stato il più antico (Via Valeria Vetus), perché più breve dell’altro (Via Valeria Nova), il quale si sviluppava per 7 miglia, e più affidabile sotto il profilo idrogeologico  703. Del tratto per Riofreddo si scorgono ancora resti di ponte in prossimità della Fonte Ciarlotta, mentre ad est del Monte Cacione e da qui fino al Passo S. Maria, si rinvennero tracce di strada 704. La via proseguiva poi fino a Riofreddo 705 e da qui in direzione est verso S. Giorgio, per prese il nome di Vicus Variae. 698 Tab. Peut. segm. IV, 5 e V, 1; K. MILLER, cit., p. 316, str. 55; D. REVILLAS, Carte del Territorio della Diocesi di Tivoli, a. 1739, in: A. M. FRUTAZ, Carte del Lazio, Roma 1972, vol. II tav. 186; E. ABBATE, Guida, cit., p. 380; C. C. VAN ESSEN, The Via Valeria from Tivoli to Collarmele, PBSR, XXV, 1957, p. 22; V. WONTERGHEM, Le grandi strade, cit., p. 64; IGM, f. 150, Roma; IGM, f. 144, Palombara Sabina; IGM, f. 144 II SE, Vicovaro; G. RADKE, cit., p. 353; P. CORSIGNANI, cit., I, p. 210: “In altri tempi il Re Alfonso di Napoli passò con gran pompa nella parte di Carsoli e giunto a Vicovaro, Terra allora de’ Marsi come si legge nelle Annotazioni dell’Italia illustrata del Biondo e quindi si abboccò col Pontefice Alessandro VI”. 699 Tab. Peut., segm. V, 1. 700 F. CRAINZ-CAIROLI-F. GIULIANI, I due tracciati della Via Valeria fra Ad Lamnas e Carseoli, in: Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia ed Arte, LVIII, 1985, p. 73. 701 G. PETROSCHI, Villae Horatii rudera, carta del 1767, in:A. M. FRUTAZ, cit., II, tav. 188; E. ABBATE, cit., p. 164. 702 IGM, f. 145, III SO, Àrsoli. 703 F. CRAINZ-CAIROLI-F. GIULIANI, cit., p. 78. 704 Ivi, cit., pp. 83-84. 705 P. CORSIGNANI, cit., I, p. 204: “Fondato intorno al IX secolo dai monaci di Subiaco, nel

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ricongiungersi alla Via Valeria. L’altro tratto, invece, dall’Osteria della Ferrata, procedeva in direzione SE fin sotto Roviano, sempre lungo la riva destra dell’Aniene. Dopo aver superato di circa 500 m il Ponte di Anticoli Corrado, dove, secondo i calcoli doveva essere stato allocato il miliario XXXVI, nell’agosto del 1889 vennero alla luce, un cippo e tre pietre miliari, ancora in sede, recanti il numerale XXXVI. Inoltre lo scavo mise in evidenza il punto di incontro tra la Via Valeria e la Via Sublacense: XXXVI / DDNN / Flavio Val / Constantioet Galerio Val 706. Frontino, a proposito dell’acquedotto dell’Aqua Marcia, dal suo “De aquaeductu urbis Romae”, ci fa sapere che: «Concipitur Marcia Via Valeria ad miliarum tricesimum sextum, diverticulo euntibus ab urbe Roma dextrorsus milium passum trium. Sublacensi autem via quae sub Nerone principe primum strata est, ad miliarum tricesimum octavum sinistrorsus intra spatium passum ducentorum…» 707. A partire dal miliario XXXVI, la strada volgeva leggermente più a monte dell’attuale e superava il Fosso Scutonico sul ponte omonimo 708. Oltre il ponte, dopo il Casino Sciarra, nel secolo XVII, venne alla luce un miliario privo di numerale, ma sicuramente il XXXVII della Via Valeria, dato che la

1301, per mano di Bonifacio VIII passò agli Orsini, quindi ai Colonna e nel XVI secolo poi alla Chiesa. Nel XVIII secolo era Marchesato della famiglia del Drago nobile Romana”. 706 E. BORSARI, NSA 1890, pp. 160-161; Eph. Epigr., VIII (1891), n. 831, colonnina rettangolare col numerale XXXVI, recante in basso una freccia in direzione Urbe). La seconda pietra su due facce riporta i numerali XXXVI. La prima faccia, n. 832: XXXVI // D(ominis) N(ostris) // Flavio Valerio // Constantio et / Galerio Val(erio) / Maximiano // invictissimis et // clementissimis / semper Aug(ustis) et d(ominis) / n(ostris) du(obus) / Fla(vio) Valerio / Severo et / Galerio Valerio/ Maximino / nobilissimis / ac beatissimis Caesaribus. L’altra faccia, n. 833, riporta: XXXVI /D(ominis) n(ostris) (duobus) /Constantino/ Maximo et Val(erio) / Liciniano Licinio / et Fl(avio) Crispo et / Val(erio) Liciniano Li/cinio et Fl(avio) Cl(audio) / Constan / tino nob(ilissimis) / Caes(aribus), b(ono) r (ei) publicae / natis. Il quarto cippo, n. 834, degli imperatori Valente Valentino e Graziano, riguarda la Via Sublacense e manca di numerale; Th. ASHBY, Gli acquedotti dell’antica Roma, Roma 1991, p. 118. 707 FRONT. De aquaeductu urbis Romae, VII, 7-13. 708 La deviazione, nonché il ponte Scutonico, sono segnalati sulla carta del Petroski del 1767, già citata; P. GAZZOLA, cit., p. 48. Recentemente il ponte è stato liberato dal fango e dalla vegetazione che ne facevano scorgere solo l’arcata superiore.

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distanza tra questo punto e il miliario XXXVI è esattamente un miglio 709. Della strada si rinvenne un tratto di selciato largo m 5,35 con relative crepidini ancora integro 710. Che questa fosse la Via Valeria è certo, infatti una strada della larghezza di 18 piedi poteva riguardare soltanto una via publica particolarmente trafficata. Un miglio più avanti, sulla sinistra della strada, poco prima di giungere all’acqua di Sonnoletta 711, si rinvenne nel XVII secolo la pietra miliaria XXXVIII della Via Valeria 712. Il miliario, attribuito a Nerva, si colloca nell’anno 79 d.C. ed attualmente si conserva presso Àrsoli in piazza Valeria 713. Dopo aver superato di qualche centinaio di metri il bivio per Àrsoli, sul lato sinistro della strada si rinvennero, in passato, due tratti di mura poligonali di sostruzione, riconducibili alla nostra strada 714. In prossimità del punto di incontro della Valeria Vetus con la Nova, in corrispondenza del miliario XL, 709 E. STEVENSON JUNIOR, Vat. lat. 10564, f. 185v, vedilo in: M. BUONOCORE, L’epigrafia latina del territorio di Carsoli(Carsioli) alla luce di nuovi documenti manoscritti, BDASP, LXXIII (1983) e tav. III: “La Val(eria) mod(erna) raggiunge l’antica al miglio 35 moderno incirca poco oltre il casino Sciarra evvi una base con un cono tronco superiormente che ha tutto l’aspetto di essere un miglio antico tanto più che il luogo è precisamente un miglio più vicino da Roma che non è la Sonnoletta. Tornando indietro si vede che la Valeria consisteva nel sentiero sassoso che conduce a ponte Scutonico, dopo il quale le tracce sicure si perdono nell’andamento del terreno e delle macerie si vede che seguitava lungo la costa di Roviano, lungo la maceria che va a raggiungere la via moderna. E precisamente si conta un miglio dal Casino Sciarra quando si è giunti lungo detta maceria fino a poco oltre (verificato contando i passi nel 1879. Sta bene, ma invece di poco oltre si deve dire poco prima di giungere alla strada moderna lungo la maceria a pié del monte Roviano) il diverticolo antico moderno di Roviano”. 710 F. CRAIN-CAIROLI, F. GIULIANI, cit., pp. 77 e 84-85. 711 IGM, f. 145, III SO Àrsoli;G. PETROSCHI, cit., III, tav. 180. 712 CIL, IX 5963 “[X]XXVIII / Imp[erator] Nerva / Caesar Augustus / pontifex maximus/ tribunicia / [pote] state, co(n) s (ul) III / pa[t] er patri[ae] / faci[e]nd(am) / curavit”; R. LANCIANI, I Comentarii di Frontino intorno agli acquedotti, da: Memorie dei Lincei, serie III, vol. IV (1880), p. 278, e tav. V;Th. ASHBY, cit., p. 118, n. 55;C. C. VAN ESSEN, cit., p. 32; A. DONATI, cit., pp. 181-182;F. CRAINZ-CAIROLI, F. GIULIANI, cit., p. 77. 713 Antico centro sulla Via Valeria forse sorto dopo la distruzione di Carsioli, dal 776 divenne patrimonio del monastero di Subiaco, quindi dei Passamonti (XIII), ed infine nel 1536 fu feudo dei Zambeccani. P. CORSIGNANI, cit., I, p. 204 “…della Famiglia Massimi alla quale passò il Feudo dal Conte Zambeccani”. 714 G. PROMIS, Le antichità di Alba Fucens negli Equi, Roma 1836, pp. 49 ss.

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ci si imbatte nel ponte romano di S. Giorgio, identico per carreggiata al ponte Scutonico, ma di arco quasi dimezzato (m 4,4) 715. Da qui, la strada procedeva in direzione NE e con un percorso di mezza costa, raggiungeva il bivio per Carsioli 716 (Civita), poco oltre la stazione di Oricola-Pereto 717. Secondo i miei calcoli, qui doveva essere il miliario XLII, in accordo con la distanza Tiburi-Carsiolos riportata dall’Itinerarium Antonini, pari a XXII m. p. Secondo quanto affermato dal Corsignani 718, seguito dal Degli Abati, 719

715 P. GAZZOLA, cit., p. 48. 716 IGM, f. 145, III SO Àrsoli; Strabo, 5, 3, 11;CIL, IX, p. 382, Itin. Anton. (Miller) XLII, pp. 321-324;C. HÜLSEN, s. v. Carsioli, in: RE, III, (1899), coll. 1615-16; DE RUGGERO, s. v., Carsioli, in D. E., II (1959), p. 371-72; G. COLONNA, s. v. Carseoli, in: Princ. Encyclop., 201; A. LA REGINA, Note sulla formazione, cit., p. 192; G. FIRPO, Fonti, cit., II, 1, pp. 454 ss La colonia romana di Carsioli venne fondata nel 298 a. Cr. (LIV. X, 13, 1, “ Eodem anno Carseolos colonia in agrum Aequicolorum deducta”; IDEM, Perioch. 10, “Coloniae deductae sunt Sora et Alba et Carsioli. Marsi in deditionem accepti sunt”), due anni dopo Alba, secondo Velleio (VELL. I, 14, 5, “Decem deinde hoc munere anni vocaverunt: tunc Sora atque Alba deductae coloniae et Carseoli post biennium”). Fedele a Roma durante la guerra sociale, subì la feroce rappresaglia da parte dei socii (Floro, II, 6, 11-13, “Nec Annibalis nec Pyrrhi fuit tanta vastatio. Ecce Ocriculum, ecce Grumentum, ecce Faesulae, ecce Carseoli, Aesernia, Nuceria, Picentia penitus ferro et igne vastantur”), ed assegnata successivamente alla Tribus Aniensis (Liv. X, 9, 14). Fu municipium, retto da quattuorviri, quindi nuovamente colonia (CIL, IX 4067; ILS, 6538). Columella, quale esperto conoscitore di vini e di vitigni, loda la fertilità delle vigne carseolane (“Id autem cum sit verisimile, tum etiam verum esse nos docuit experimentum, cum et in Ardeatino agro, quem multis temporibus ipsi possedimus, et in Carseolano itemque Albano generis Aminnei vitis notatas habuerimus, numero quidem perpaucas, verum ita fertiles, ut in iugo singulae ternas urnas praeberent, in pergulis autem singulae denas amphoras peraequarent”), mentre Ovidio la ricorda la ricchezza delle messi ed il rigido clima (Ovidio, Fasti, IV, 683-684,“Frigida Carseolis nec olivis apta ferendis terra, sed segetes ingeniosus ager”). Resti dell’antico Carsioli sono rintracciabili in località Piano della Civita, altura in prossimità della Piana del Cavaliere, a circa due miglia dall’odierna Carsoli. In passato erano visibili resti di acquedotto, di un tempio e di mura della città. 717 Dalla tavola della Diocesi della Marsica, realizzata da De Revillas nel 1735, si nota bene che la via Valeria, lambendo le rovine di Carsioli, si dirigeva verso Celle di Carsoli, mentre la strada nuova passava più in basso per la piana del Cavaliere (Presso la Biblioteca Provinciale di L’Aquila, Salvatore Tommasi, coll. ABR. ST 163). 718 P. CORSIGNANI, Reggia Marsicana, cit., vol. I pp. 211 e 242. 719 L. DEGLI ABATI, Itinerario storico-artistico Roma-Sulmona, Roma 1888, p. 60.

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Carsioli fu devastata dai Longobardi, e secondo Faraglia nell’anno 568 720. La città è presente nella descrizione che Paolo Diacono ci offre nella sua Historia Langobardorum, a proposito della la tredicesima regione, la Valeria: «Tibur, Carseolis et Reate, Furconem et Amiternum regionemque Marsorum et eorum lacum Fucinum appellatur…» 721. Forse già da allora l’antica Carsioli versava in stato di abbandono 722 per l’esodo dei suoi abitanti, insediatisi a due miglia di distanza, in direzione NE, su di un colle maggiormente difendibile, intorno ad un monastero detto “Celle di Sant’Angelo” 723, dando successivamente origine al centro abitato identificabile con l’ odierna Carsoli 724. Infine dal Catalogus Baronum apprendiamo che “Celle di Carsoli” era feudo di quattro soldati a cavallo, retto da Todino di Celle 725. Abbiamo ancora notizie di Carsoli da una conferma delle proprietà al monastero di Sant’Angelo di Bareggio da parte del re Ludovico II, dell’anno 866 726. In quello stesso periodo veniamo a conoscenza, dal Regesto di Farfa, 720 N. F. FARAGLIA, I miei studi storici delle cose abruzzesi, Lanciano 1893. P. 195. 721 PAULI WARNEFRIDI, Historia Langobardorum, cit., p. 84. 722 F. COARELLI. cit., p. 60. 723 P. CORSIGNANI, cit., I p. 211: “ Nella Terra di Sant’Angelo ora disfatta, …esisteva l’antico Monastero dei Benedettini nell’anno 1010-al dominio di Monte Cassino…Era situata la detta Terra vicino a Pereto o alle Celle di Carsoli, e non vi abbiamo altra memoria, se non quella di essere stata abitata qualche tempo da San Romualdo Abate Camaldolese: Altri però hanno scritto, che egli dimorasse in Pereto, ed in un luogo in cui aveva fatti alcuni Tuguri o piccoli Monisteri, che ebbero poi il nome delle Celle… Ed era vissuto nell’anno del Signore 974 come riferisce il Baronio (Baron. Ann. T 10)…Fondò pure nel detto luogo un amplo Monistero (Prob. P. cit. 203) che poi fu accresciuto da Romualdo Conte (Leo Ostiense in Chron. p. 232. Cap. 23 libr. 2 marg. 928 e Mabillon, cit, Annali T 4 p. 117) de’ Marsi con molti tenimenti”. 724 Il monastero “ Celle di Sant’Angelo”, era già noto nel 974 (FATTESCHI, Memorie storico-diplomatiche dei Duchi di Spoleto, Camerino 1801, 137). 725 Catalogus Baronum, a cura di E. JAMISON, in Fonti per la Storia d’Italia, n. 101, Roma 1136: Todinus di Celle tenet a domino Rege in Garzoli Cellem que sicut dixit est pheudum IIIJ militum et augmentum sunt IIIJ”. 726 Chronica monasterii Casinensis, lib. I cap. XXXVI, 148-149: …confirmamus omnia, quae tam in circuito suo, quam in pago Marsorum…. Sancti Angeli in Carsoli, cum duabus cellis suis…. Carsoli è inoltre nominato nell’elenco dei beni perduti dal Monastero din Farfa: …in comitatu Marsicano filius Rainaldi comitis tenet […] in Carzoli monasterium quod dicitur Cellae una ex illis aecclesiis.

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di una strada pubblica prossima a Carsoli, che ritengo sia da identificare con la via Valeria 727. In quell’epoca, data la mancanza di manutenzione, la via Valeria, come del resto tutte le altre vie consolari, sarà stata non in ottime condizioni anche a causa dell’instabilità del corso dell’Aniene 728. Certamente una strada alternativa era rappresentata dalla Via Valeria Vetus, che attraverso Riofreddo, si ricongiungeva alla Via Valeria nei pressi del ponte S. Giovanni, ma con un percorso più breve di due miglia (XXXVIII). Carsioli-Alba Fucens Da Carsioli proseguendo lungo la via Valeria, fino al bivio posto ad un miglio scarso prima di raggiungere l’odiena Carsoli, in corrispondenza della chiesa di S. Maria in Cellis (km 70,4), corrono esattamente 5 m. p., quindi 23 miglia da Tibur come riportato sulla Tabula Peutingeriana. Da questo bivio sulla via Valeria si poteva raggiungeva il lago del Turano e quindi il territorio reatino. Superato il bivio per Carsioli, e procedendo in direzione di Carsoli, lungo la Via Valeria, si rinvenne in passato un miliario di Nerva simile a quello di Àrsoli, recante il numerale XXXXIII, in contrada Nasetta, poco distante dalla Civita, come segnalava allo Stevenson nel 1878, Giacinto De Vecchis Pieralice: «Nasetta nel 1859 teneva un XXXXIII tanto fatto. Zio mi diceva che il sito stava in tempo della sua gioventù presso il ponte di S. Bartolomeo a Carsòli, e ne aveva esso tratto l’iscrizione. Io non ho mai potuto ritrovare la colonnetta. L’ha sepolta il fiume? L’ha spezzata la mazza del colono?» 729. 727 Nell’anno 874, Petronace, figlio di Probo vende al Monastero: “terram nostram quam habuimus in Carsule…unum capum tenentem in via publica…” (Reg. Farf. III, p. 15). Due anni più tardi Frauperto vende al Monastero: “ terram nostram quam habuimus in Carsule, secus viam publicam...” (Reg. Farf., doc. 320 a 876, III, p. 21). 728 L’alta valle dell’Aniene è rappresentata da un’ampia piana di natura alluvionale dove il fiume con le sue inondazioni, rende poco affidabile la viabilità, imponendo continui lavori di consolidamento. 729 E. STEVENSON, cit., ff. 227-228, BDASP LXXIII (1983), p. 283; CIL, IX 5964: “Probabile est eam olim numerum habuisse” XXXXIII; A. DONATI, cit, p. 182.

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Sempre sulla Peutingeriana (segm. IV, 1-2), da Carsulis una strada si sviluppava in direzione di Sublacio, passando alle falde del mons granus, poi del mons carbonarius, quindi Vignae ed infine Sublacio che raggiungeva dopo 23 miglia. La gran parte degli autori ritiene che questi toponimi siano da ricercare lungo la via Valeria e che Sublacio, errore del copista, sia da identificarsi con Sublaequum 730, oppure con Alba Fucens 731. Sono del parere, invece, che la Tabula Peutingeriana sia nel giusto e che vada letta in modo diverso. Dal piano della Civita per raggiungere Subiaco bisogna tornare indietro fino ad Àrsoli e quindi imboccare la SP 39/b, posta in prossimità della Costa dei monti (in monte Grani?). Da Carsioli fino al bivio per la SP 39/b passano poco meno di 9 km, cioè le VI miglia della Tab. Peut. Purtroppo del toponimo in monte grani non si conserva memoria, come del resto del monte carbonaro, che ugualmente, secondo la Tabula, doveva essere a 5 miglia più avanti, forse al bivio per Rocca di Botte 732. Procedendo ancora più avanti, sempre in direzione di Subiaco, dopo esattamente 5 miglia ci si imbatte nel bivio per Vignola 733, che identifico con Vignas della Peutingeriana. Il toponimo era presente nella riconferma dei beni del Monastero Sublacense da parte del papa Giovanni XVIII del 1005 734. Tornando ora alla via Valeria, e dopo aver superato di tre miglia il bivio per Carsioli, la strada superava il fiume Turano, l’antico Tolenus. Nei pressi di Carsoli, davanti la Madonna del Carmine, in passato si rinvenne un mi730 K. MILLER, cit., p. 315, f. 98 e cc. 321. Il Miller identifica il mons granus con il Colle di Monte Bove, il mons carbonarius con Roccacerro presso Tagliacozzo, mentre identifica Vignae con S. Maria d’Oriente presso Scurcola. Per il Radke erano lungo la via Valeria e la statio di Vignae era nella valle del fiume Imella, in prossimità del bivio di S. Sebastiano (G. RADKE, cit., 352, 354). Il Mommesen (CIL, IX, p. 204), ritiene, a mio parere giustamente, attribuirli alla via Carsioli-Sublacium. 731 G. DE SANTIS, Struttura, cit., p. 239; G. RADKE, cit., p. 347, schizzo n. 26. 732 IGM, f. 376 sez. IV, Subiaco. 733 La frazione di Vignola è posta lungo la strada a scarsi tre chilometri più avanti. 734 IGM, f 376, sez. IV Subiaco. Regesto Sublacense dell’undicesimo secolo, a.C. di L. ALLODI e G. Levi, Roma 1885, Bibliot. Della R. Soc. di St. Patria, p. 22, doc. 10, 21 luglio 1005.

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liario di epoca nerviana, scarsamente leggibile, recante il numerale XXXXI 735. Purtroppo la colonna miliaria non è più rintracciabile e giustamente il Mommsen: ecclesia, ad quam Columna prostrata est fere ad lapidem XLV viae Valeriae 736. Tenedo presente l’andamento della Via Valeria, la cartografia antica e moderna, nonché l’orografia della zona, ritengo condivisibile quanto avanzato dal Mommsen. In passato fu segnalato dal Fabretti un altro miliario, posto in prossimità della chiesa di S. Maria del Carmine, riconducibile all’imperatore Nerva, recante il numerale 41°: «[Imp. (erator) Ne]rva/[Caes(ar) Aug(ustus), pont(ifex)] max(imus)/tr(bunicia) p(otestate), co(n)sul III, [p(ater) p(atriae)], /viam Valeriam/ faciendam curavit/ XXXXI » 737. Superato Carsoli, la Valeria proseguiva verso levante in direzione di Colli di Montebove con andamento rettilineo e dopo circa due miglia, in località “Madonna di S. Vincenzo”, si rinvenne una pietra miliaria che ritengo debba trattarsi del XLVIII miliario da Roma: «ac beatis[si]mis /Ca[D (ominis) n(ostris) (duobus) Flavio Valerio /Constantio et Galerio/ Maximiano, invictis et / clementissimis Aug(ustis), / et d(ominis) n(ostris) (duobus) Flavio Va]/ le[rio Severo et ]/Galer[io Vale]rio/Maximino, no[bili]s/simis esaribus» 738. Sempre lungo la sponda destra del fiume Turano, la via Valeria raggiungeva Colli di Montebovi e circa mezzo miglio dopo aver superato il centro abitato, in passato si rinvenne un miliario dell’imperatore Nerva, ora non più rintracciabile: XXXV[-] / Imp(erator)Nerva / Ca[e]sar Augustus, /pontifex/ maximus, /[tr] ibunicia /[potes]t[a]te, c[o](n)s(ul)III, /[pa]te[r]patriae, / [faciendam] cu735 Carta del Revillas, cit., (H: vetus Columna Lapidis XXXXI ab Urbe); PROMIS, cit., p. 58; CIL, IX, 5966; H. KIEPERT, Italiae Regio IV, cit.; A. DONATI, cit., pp. 184-185. 736 CIL, IX, 5966. 737 R. FABRETTI, De aquis et aquaeductibus veteris Romae dissertationes tres, Romae 1680, p. 87; A DONATI, cit., p. 183. 738 CIL, IX 5967;A. DONATI, cit., p. 184, n. 22, (a. 305-306 d.C.);IGM, f. 145, III NE, Carsoli;.

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ravit 739. Oltre il centro abitato di Colli, la strada proseguiva in direzione SE, continuava a salire per altre tre miglia fino al valico di Montebove (LIV), iniziava quindi la discesa, ma dopo circa 300 m deviava in direzione est verso Roccacerro 740. Tra il valico di Montebove e il paese di Roccacerro, sono evidenti resti di vestigia della via Valeria 741. La via Valeria attraversava il sito dell’attuale Roccacerro, proseguiva poi in direzione SE parallelamente alla SS n. 5, e dopo circa 500 m, con uno stretto gomito puntava in direzione nord, raccordandosi nuovamente alla strada moderna 742. Probabilmente al km 89,400, deviava ad oriente procedendo diritto per Tagliacozzo alto 743, ed infatti nel 1897 tra i ruderi della chiesa di S. Anzuino si rinvenne il miliario LVI della via Valeria in contrada detta “Dietro il Calvario”, non molto distante dalla consolare 744. Il miliario di epoca nerviana si conserva nella villa comunale di Tagliacozzo, non distante dal palazzo municipale. LVI IMP. NERVA CAESAR AUGUSTUS PONTIFEX MAXIMUS TRIBUNICIA POTESTATE COS III PATER PATRIAE FACIENDAM CURAVIT Di parere diverso Van Wonterghem, il quale ritiene che la via Valeria prose739 CIL, IX, 5968;A. DONATI, cit., pp. 184-185. 740 T. BONANNI, L’antica e la nuova viabilità, cit., p. 5 “Da Colli a Rocca di Cerro vedesi condotta questa gran Via con immensa spesa, perché tagliata nel Monte e sostrutta fra precipizii per lo spazio di 4 miglia”; E. ABBATE, cit., p. 174 “A circa 4 km da Colli un sentiero a sinistra conduce direttamente a Roccacerro, la via carrozzabile invece vi sale, facendo un lunghissimo giro”; G. DE SANTIS, cit., p. 239. L’autore ritiene di identificare il valico di Monte Bove con: in monte Grani. 741 F. VAN WONTERGHEM, cit., p. 12, carta 1, fig. 9. 742 Resti della via Valeria sono stati segnalati sulla carta del Revillas del 1735, appena superato Roccacerro (nota F: Viae Valeriae Vestigia indubia). 743 IGM, f. 145, Avezzano. 744 F. VAN WONTERGHEM, cit., pp. 7-9, n. 17.

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guisse per altre due miglia circa più avanti, per la presenza di tagli di roccia e di sostruzioni riconducibili ad una strada romana 745, mentre per Van Essen tale deviazione era al km 90° 746. Quest’ultimo tracciato desta qualche perplessità, come giustamente rileva Van Wonterghem, a causa dell’eccessiva pendenza del percorso (20%), almeno per il tratto iniziale 747.Anche per il percorso proposto da Van Wonterghem, però, nutro riserve, considerando che, secondo quanto riportato sulla carta allegata al suo lavoro, il miliario LVI sarebbe dovuto cadere in corrispondenza del km 91,7, mentre lo colloca un miglio più avanti. Per ciò che concerne le sostruzioni romane e tagli di roccia, ben si accordano con la strada che proseguendo per Sante Marie, sempre in direzione NNO, conduceva nella valle dei Varri e poi del Salto, fino a Reate (Rieti). Secondo i miei calcoli, il miliario LVI era posto, in origine, ad est della Sorgente Fontanelle, cioè in vicinanza del luogo di ritrovamento. Attraversato il centro di Tagliacozzo 748, la via Valeria si dirigeva ad est lungo il tracciato seguito dall’odierna SS n. 5. In base a quanto avanzato dal Van Wonterghem, la via Valeria da Tagliacozzo si dirigeva verso Sorbo passando a sud del Colle del Vento, nei pressi del Casino Rivera, in località ‘Camerata’, dove ipotizza fosse la statio (Ad) Vignas della Tavola Peutingeriana 749. Il Van Essen ritiene probabile che la via Valeria raggiungesse Sorbo, perché alquanto ad ovest di esso, in località ‘Confini’, è stato trovato in situ un pezzo di colonna che probabilmente apparteneva ad un miliario 750. In passato una colonna miliaria si rinvenne a circa mezzo miglio dopo Sorbo in direzione di Scurcola Marsicana, ora non più rintracciabile, recante il numerale XLVIII, riferibile all’imperatore Nerva 751. Non ritengo che questo 745 IDEM, cit., p. 12. 746 C. C. VAN ESSEN, The Via Valeria, cit., p. 34. 747 F. VAN WONTERGHEM, cit., p. 16. 748 Per il tratto della via Valeria all’interno dell’abitato di Tagliacozzo, vedi Van Wonterghem, cit., pp. 16 ss. 749 F. VAN WONTERGHEM, cit., 16. 750 C.C. VAN ESSEN, cit., p. 36, km 98, 1. 751 CIL, IX, 5969: XLVIII/Imp(erator) Nerva/Caesar Augustus/pontifex maximus, /tribunicia potestate/co(n)s(ul) III, pater patriae/faciendam curavit.

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miliario sia da mettere in relazione con la Via Valeria, perché se così fosse, sarebbe stato allontanato dalla sua sede originaria di ben 14 miglia. Sono del parere che la strada non passasse affatto per Sorbo e questo risulta bene dalla pianta del De Revillas, dalla carta Rizzi-Zannoni, nonché dalla Carta dell’Istituto Geografico militare di Vienna del 1851 752 La via Valeria, lasciato Tagliacozzo, procedeva prima ad est per un breve tratto, poi volgeva a SE oltre Colle S. Giacomo, e con un’ampia curva lambiva il colle sul quale sorge il convento dei Cappuccini, poi diritto per Scurcola Marsicana, passando per S. Antonio, con un percorso più breve dell’attuale 753. Lungo questo tratto erano visibili vestigia della via Valeria, come segnalato nella carta del Revillas (nota F), mentre nella carta Rizzi-Zannoni questo segmento stradale viene riportato col nome di Via Valeria. Secondo i miei calcoli, il miliarioLXIV della via Valeria doveva essere collocato nei pressi del centro abitato di Scurcola 754, verso Alba Fucense. La strada proseguiva poi in direzione NE e dopo un chilometro circa raggiungeva il sito degli attuali ruderi del monastero di S. Maria della Vittoria, crocevia importante per la valle del Salto e quindi Reate (Rieti) a nord, mentre a sud, attraverso la valle Roveto, raggiungeva Sora e Frusino. Lungo il tratto Scurcola-Alba Fucense, in passato vennero alla luce resti di monumenti, il più famoso il ’Monumento di Perseo’, nonché iscrizioni, statue, tombe. Alcuni autori ritengono che la via Valeria, da S. Maria della Vittoria, proseguisse, con andamento rettilineo, in direzione NE fino ad Alba Fucense 755, entrando nella città dalla porta settentrionale detta Porta Folloni752 Carta dell’Istituto Geografico Militare di Vienna, a. 1851, H 15 parte destra, in Frutaz, tav. 295. Da Tagliacozzo in direzione E arrivava a ponte S. Giovanni, proseguiva per un tratto in direzione SE, poi diritta per NE fino a Scurcola. Questo ultimo tratto è indicato con il nome di Via Romana. 753 IGM, f. 145, Avezzano. 754 P. CORSIGNANI, cit., I p. 316, “Camminando poi verso il Lago del Fucino, troviamo la terra di Scorcola de’ Marsi (…) soggetta allo Stato di Tagliacozzo. Ebbe torri di gran riguardo, secondo pur oggi delle sua vestigia vediamo. Fu nominata Scurcola corrottamente dalla parola Excubia, luogo destinato per sentinella della Città di Alba (…) E questo feudo si possedette nell’A. 1269. Con altre terre dalla menzionata famiglia del Ponte…”. 755 F. C. PROMIS, Le antichità, cit.; F. DE VISSCHER, SE RUYT, V. CIANFARANI, Massa d’Albe (Aquila). Scavi di Alba Fucens. Rapporto delle due prime campagne (1949-1950),

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ca 756. Di diverso parere Van Essen 757e Coarelli 758, i quali ritengono che la via Valeria entrasse per la Porta Massima, perché la più importante e collocata ad occidente della città. La maggior parte degli autori, soprattutto tra quelli del passato, invece, sono concordi nel ritenere che la via Valeria da Scurcola raggiungesse Cappelle e da qui il lago del Fucino, senza attraversare la

in NSA, 1950, pp. 248 ss; J. MERTENS, Les puits du Forum d’Alba Fucense, in Bullettino Comunale, 74, 1951-1952, Appendice, pp. 3 ss; IDEM, Alba Fucens. Recherches sur la date des murs de la citè et sur l’architecture de l’amphithèatre, in Rendiconti dei Lincei, 1958, pp. 97 ss; IDEM, Alba Fucens. Scavi archeologici e restauri 1950-60, Avezzano 1960; IDEM, Il Foro di Alba Fucens, in NSA, 1968, pp, 205 ss; IDEM, Alba Fucens, Bruxelles 1981; IDEM, Recenti scavi ad Alba Fucens, in Il Fucino e le aree limitrofe nell’antichità, Atti del Convegno di archeologia, Avezzano, 10-11 novembre 1989, Roma 1991, pp. 387-404. La colonia romana di Alba Fucens fu fondata nel 303 a.C. in territorio equo (LIVIO, X, 11, 2; VELLEIO, I, 14; APPIANO, Guerra civile, III, 45; 47; V, 30) ed assegnata alla Tribus Aniensis, dai censori negli anni 299-300 (LIVIO, X, 9, 14). Era posta in posizione strategica su di un’altrura (circa 1.000 m s.l.m.), in prossimità della via Valeria e difesa da mura megalitiche. Sempre fedele a Roma, inviò 2.000 soldati nel 211 a.C. allo scopo di contrastare l’avanzata di Annibale (APPIANO, Guerra annibalica, 39), anche se nel 209 a.C. si oppose all’invio di ulteriori contingenti (LIVIO, XXVII, 9). Successivamente alla guerra sociale fu municipium retto da quattuorviri (CICERONE, Filip., III, 15, 9, “Cum legis Martia constiterit in municipio fidelissimo, et fortissimo”). Durante la guerra civile tra Pompeo e Cesare, fu dalla parte di quest’ultimo (Cesare, De Bello Civili, I, 15, 7, “Domitius per se circiter xx cohortes Alba, ex Martis et Paelignis, finitimis ab regionibus coegerat”). Originario di Alba fu Q. Nievo Cordo Sutorio Macro, prefetto del pretorio di Tiberio. Notevoli i resti archeologici venuti alla luce grazie alla pluridecennale attività di scavi della scuola belga. Le mura di fortificazione si sviluppano per quasi tre chilometri, ben conservate da permetterci di riconoscere le quattro porte. E’ presente il Foro con il comitium, il teatro, l’anfiteatro, un tempio dedicato ad Ercole. La città disponeva inoltre di un acquedotto e le terme. Intorno al III-II secolo a.C. furono, probabilmente, relegati in Alba, quali prigionieri, Perseo V re di Macedonia, Siface re di Numidia ed il re degli Arveni. Nell’inverno del 537/538, Giovanni, nipote di Vitaliano, per ordine del generale Belisario, con 2000 uomini svernò in Alba (Proc. Got. II, 7). E. ABBATE, cit.,“Nell’anno 742 il territorio di Alba fu conquistato da Trasmondo, duca di Spoleto, e nel seguente secolo si trova suddivisa fra i monaci di Farfa e quelli di Casauria”. Trovò rifugio in Alba, nell’anno 1099, l’antipapa Gilberto. Ugualmente dimorò in Alba il papa Pasquale II, come rilevasi da una Bolla dello stesso, dell’anno 1116 (P. CORSIGNANI, cit., I, pp. 170-171). 756 F. DE SANTIS, Luco dei Marsi, Roma 1976, p. 31; E. RADKE, cit., p. 353; F. VAN WONTERGHEM, cit., p. 25. 757 VAN ESSEN, cit., p. 37. 758 F. COARELLI, cit., p. 72.

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città, come possiamo rilevare dalla carta del De Revillas, del Sandi 759, del Rizzi-Zannoni, del Kiepert allegata al vol. IX del CIL, e dagli scritti del Liberatore 760. Tra gli studi più recenti abbiamo, inoltre, Gasperini nella carta annessa al suo lavoro sulle sedi e la viabilità romana in Abruzzo 761. Tutti questi convengono che dalla via Valeria partisse un diverticolo per S. Maria della Vittoria, si dirigesse verso Alba Fucense e che attraverso la Porta Massima entrasse nella città. Sebbene durante i primi scavi archeologici di Alba Fucens del 1949 venne alla luce il miliario LXVIII della Via Valeria, in situ, nel pieno centro della città 762, alcune considerazioni mi spingono ugualmente a sostenere che l’antico ed importante centro fosse solo lambito dalla via consolare. Qualche riserva l’avanza anche il Radke: «E’ un caso eccezionale che una via pubblica superi un dislivello di quasi 300 m-Cappelle è a 711m sul mare-per attraversare una città, per lo più ci si accontentava di una statio ai piedi della località situata in alto. Da ciò si comprende quanta importanza avesse Alba Fucens al tempo della costruzione della Via Valeria» 763. Consideriamo, che il passare per Alba comporta innanzitutto un allungamento del percorso di due miglia, ma pur ammettendo che la via Valeria raggiungesse effettivamente Alba dalla Porta Follonica, ci saremmo aspettati che da questa porta si raggiungesse il decumano massimo, cioè la via del miliario, quest’ultima peraltro molto stretta (13 piedi), inferiore quindi alla larghezza della via Valeria 764. Ritengo, inoltre, poco verosimile che il miliario LXVIII della Via Valeria, possa cadere nel centro esatto della città, all’incrocio tra il cardo e il decumano massimi, cioè, tra la Via dell’Elefante e la Via del Miliario. Non a caso Van Wonterghem evidenzia quanto rilevato da Herzig: 759 A. SANDI, Carta della Campagna di Roma, Sabina, Patrimonio di S. Pietro, colli confini della Provincia d’Abruzzo e Terra di Lavoro, sec. XVIII, in A. P. FRUTAZ, vol II, tav. 215. 760 G. LIBERATORE, cit., p. 104. “A sinistra della Valeria entrando alla Marsica diramavasi via vicinale per la celebrata Albi Fucense”. 761 I. GASPERINI, Sedi umane, cit., carta annessa. 762 V. CIANFARANI, NSA, 1950, pp. 251-252, fig. 4; Eph. Ep. 195, p. 17; V. ESSEN, cit, p. 37, km113; A. DONATI, cit., pp. 187-188. 763 G. RADKE, cit., p. 354. 764 V. CIANFARANI, NSA, 1950, p. 251. Teniamo presente che il cardo della Porta Massima ha una larghezza media superiore ai 9m.

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«Per il suo carattere eccezionale, lo Herzig (R. HERZIG, Probleme des romischen Strassenwesens…, in: Aufstieg un Niederg. der Rom.Welt II, 1, Berlin-New York 1974, 640)considera questo miliario ‘figurato’ come monumento onorario all’imperatore-posto nel foro della città-che nello stesso tempo doveva indicare la distanza dal centro dell’impero» 765. Da S. Maria della Vittoria, quindi, la via Valeria si dirigeva verso Cappelle, passava davanti al bivio di Antrosano 766, nei pressi del quale era un altro bivio che conduceva ad Alba. Questo incrocio era al miglio LXVII della via Valeria, e ciò in accordo con quanto riportato dall’Itinerario di Antonino. Infatti da Carsioli (XLII) dopo XXV m. p., giungiamo al bivio per Alba posto appunto a 67 miglia da Roma. Dal bivio per Alba, procedendo verso levante, la strada passava per Colle Pilato, Scanzagallo 767, procedendo verso S. Pelino, col nome di ‘Via Romana seu Salaria’, come rilevasi dalla Pianta dei Piani Palentini del 1715, custodita presso l’Archivio della Diocesi dei Marsi 768. Da S. Pelino si dirigeva a sud di S. Pelino, presso l’Osteria di Paterno(LXXII) 769, lasciava sulla sinistra il bivio della strada per Celano, superava il torrente di S. Iona, poi quello di S. Potito, in prossimità dell’Osteria di Quadranella (LXXIV) 770. La via procedeva in direzione Cerfennia, lambendo la sponda 765 F. VAN WONTERGHEM, cit., p. 10. 766 P. CORSIGNANI, cit., I p. 187 “…Androsciano dal latino Antrum fanum, per la grotta dove gl’infermi ricevevano la salute…”. 767 IGM, f 145, Avezzano. 768 Archivio diocesano di Avezzano (ADM, C/517); F. S. ORGANTINI, Piana di Albe, Colle Cesolino e Piano Palentino…, (1819), in: Archivio di Stato di L’Aquila (A. S. A.), Intendenza, st. cat. XIX, b, 4586, fasc. 11. 769 Dal Regesto di Farfa apprendiamo che Giovanni giudice, figlio di Azone concesse: “de rebus proprietatis meae quod habeo in suprascripto vocabulo de Paterno, in monasterio sancti Adriani martyris, quae est in Marsi in loco qui dicitur Placidisci, hoc est duas petias de terra quas habeo in Paterno. Primum petium est in loco qui dicitur Vicendae super ipsa via…Fines habens: de una parte quae mihi reservavit et una parte terra filiorum Mannonis, de III parte ipsa via publica” (Reg, Farf., V, doc. 1004, p. 8, a. 1072?-1073?; IGM, f. 146, III SO, Celano Sud. 770 Vedilo sulla “Pianta del 1° tratto della Strada Nazionale Marsicana da Avezzano all’Osteria di Cerchio”, Aquila 12 settembre 1863, Archivio di Stato dell’Aquila, Int. Serie I cat. XX, b 4648, fascicolo 1. E. ABBATE, cit., II 132: “Nella contrada detta Pratolungo e Fonte

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settentrionale del lago del Fucino, mantenendo sempre la direzione di levante, ma con un tracciato posto più a valle dell’attuale 771. Oltrepassava la ‘Stanga di Celano’ 772, raggiungeva al km 130 il miliario LXXVII in corrispondenza della Taverna di Cerchio 773e da qui, procedendo a sud del centro abitato, raggiungeva, dopo due miglia(LXXX), La Taverna, 500 m ad ovest dell’antica Cerfennia (Collarmele) 774. Che questo sia il reale percorso della Via Valeria lo confermano, oltre le carte dei secoli passati, ed i resti archeologici, anche le distanze delle varie taverne ed osterie dislocate lungo le strade consolari che spesso erano posizionate in prossimità delle pietre miliari. Non è un caso che l’Osteria di Paterno disti esattamente due miglia da quella di Quadranelle 775, che da quest’ultima, per raggiungere la Taverna di Cerchio, bisogna percorrerne esattamente altre quattro 776, mentre un altro miglio bisogna percorrere per la Taverna di Collarmele. Che Cerfennia debba essere identificata con Collarmele non ci sono certo dubbi, infatti tra i vari possessi di Farfa nel territorio abbiamo una chiesa il cui titulus, S. Felicita in Cerfennia, elimina ogni incertezza 777. Battaglia nel tenimento di Ceana, all’epoca della costruzione della ferrovia, si è scoperta una necropoli, ma nessuna lapide ci ha fatto il nome del luogo antico”. 771 E. KIEPERT, cit.; CIL, IX, p. 587; J. MARTENS, Etude topografhique, cit., p. 48, fascicolo 1. 772 P. CORSIGNANI, cit., I, p. 630. 773 IGM, f:146, Sulmona: 774 Tab. Peut. VI, 2; Itin. Anton, 309, 4. P. CORSIGNANI, cit., I, pp. 651 e 653 “ …Colle Armeno, anticamente appellato Cerfennia nel tratto della via Valeria tra il vetusto Colle Imeo, ovvero Armenonella ravvicinata strada, che fu poi dell’imperatore Claudio (…). In un Marmo già esistente nelle rovine del Monastero di San Niccolò leggevasi queste note, ma frante: vetus Monaster. Monach. S. Nicola… Collis Armeni… stricta Deo dicat…”. 775 P. CORSIGNANI, cit., I, p. 630 “…Quadranella un tempo per del quond. Scipione Giorgi, e dal 1610 venduta al Principe Peretti (Ex Instrum. 1610 per acta Pompei Richi de Agello, nunc Simplic. Rosati not. Coelanen.) or’Albergo nella via Valeria”. 776 Dalla ‘Pianta del 1° tratto della Strada Nazionale Marsicana da Avezzano all’Osteria dei Cerchi, Aquila 1863, presso l’Archivio di Stato dell’Aquila, Fondo Int. serie I, cat. XX, b, 4648, fascicolo 1: 777 Reg. Farf: V, doc. 1280, p. 274 ss Nell’elenco dei servi di Farfa, databile tra il 789-822, viene riportato corrottamente: Cerfengus (Chronicon Farfense, 261/10, 277/6). Liber Instru-

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L’Abbate ci fa sapere che: «…anche oggi rimane a piccola distanza da Collarmele il nome di Campo Cerfegna ad un’intera contrada lungo la via Valeria, sulla quale sorgeva Cerfennia» 778.

mentorum seu Chronicorum Monasterii Casauriensis-Codicem Parisinum latinum 5411 quam simillime expressum, con la prefazione curata da A. Pratesi, Teramo 1982, f. 66 r. 778 E. ABBATE, cit., II, 139. Secondo quanto riportato da Livio (IX, 44), Cerfennia fu sconfitta dai Romani nell’anno 304 a.C. HÜLSEN, in RE, III/2 (1899) coll. 1979-1980, s. v. Cerfennia; GARDNER, Via Claudia Valeria, in Paper of hte British Scool at Rome, IX, 1920, pp. 83-84; E. T. SALMON, Il Sannio, cit., p. 269 n. 133.

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VIA CLAUDIA VALERIA La via Claudia Valeria, fatta costruire dall’imperatore Claudio nel 48/49 d.C., mirava alla valorizzazione del territorio gravitante intorno al lago del Fucino. Quello che era stato un sogno per Cesare, prosciugare il lago del Fucino, nonché realizzare una strada che collegava l’Adriatico con il Tevere, con Claudio divenne una realtà 779. Tutto ciò faceva parte di un grandioso progetto di espansione di Roma verso l’Adriatico e da qui fino alle terre danubiane. Infatti nel medesimo anno (47 d.C.) l’imperatore Claudio portò a termine la via Claudia Augusta, iniziata (16 a.C.), da suo padre Druso. Questa strada rappresentò un tramite di fondamentale importanza per la conquista della Vindelizia e della Rezia. Originava da Altinum (Altino), posto sull’Adriatico, e con uno sviluppo di CCCL m. p. (516 km), raggiungeva Augusta Vindelicum (Augsburg), nel territorio bavarese 780. La via Claudia Valeria, in verità, nasce su di un antico tracciato repubblicano, ma con nuovi criteri e nuove tecniche 781. Della via Claudia Valeria si 779 SUETONIUS, Divus Iulius, XLIV: “Iam de ornanda instruendaque urbe, item detuendo, ampliandoque imperio plura ac maiora in dies destinabat:…emittere Fucinum lacum; viam munire a mari Supero per Appennini dorsum ad Tiberim usque…”; TACITUS, Annales, XII, 56: “Sub idem tempus inter lacum Fucinum amnemque Lirim perrupto monte, quo magnificentia operis a pluribus viseretur, lacu in ipso navaleproelium adornatur…”; A. L. ANTINORI, Raccolta di Memorie, cit., t. 1, p. 383: “ Il gran lavoro dell’Emissario di Fucino portò in Claudio Imperatore l’idea di munire ancora la via Valeria, e distenderla fino al Mare per eseguire così quest’altro disegno di Giulio Cesare”; CIL, IX 5973; 586;K. MILLER, cit., p. 321; G. PANSA, cit, p. 192; R. GARDNER, The Via Claudia Valeria, cit., pp. 75 ss, tavv. XI-XIII; V. CIANFARANI, Touta Marouca, in: Studi in onore di A. Calderini e Paribeni, III, MilanoVarese 1956, p. 325; G. COLONNA, Un miliario, cit., p. 54; F. COARELLI, Abruzzo e Molise, cit., pp. 114-115. 780 CIL V, 8002 = ILS, n. 208, Ti. Claudius. Drusi. f / caesar. aug. Germa /nicus. Pontifex. Maxi / Tribunicia. Potesta/te. VI. cos. IV. imp. XI. Pp / censor. Viam. Claudiam /Augustam. quam Drusus / pater. Alpibus bello pate/factis derexerat munit ab /Altino usque ad flumen / Danuvium m. p. CCCL; 8003; G. RADKE, cit., pp. 80-281. 781 G. RADKE, cit., p. 53: “Ma non sempre i ponti potevano essere evitati: essi rappresentavano un elemento essenziale della via. Perciò quanto è più recente la costruzione di una via tanto più spesso essa si serve di ponti per superare ostacoli di ogni genere, che, forse, prima si era cercato di aggirare. Per es: nel percorso, relativamente breve, della via Claudia Valeria vi

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rinvenne una sola pietra miliaria 782 nei pressi di Chieti (Teate Marrucinorum), che ci permette di stabilire l’anno di costruzione, (48-49 d.C.), il punto di partenza (Cerfennia), l’arrivo (Ostia Aterni), nonché la costruzione di ponti: Ti(berius) Claudius / Caesar/Aug(ustus) Ger(manicus) pont(ifex) max(imus) / trib(unicia) pot(estate) VIII imp(erator) XVI / co(n)s(ul) IIII p(ater) p(atriae) censor/ viam Claudiam Valer[iam] / a Cerfennia Ostia Ate[rni] / munit idemque pontes fecit / XLIII. (Fig. 38) Apprendiamo, inoltre, che questo milliario era il 43° da Cerfennia, cioè che in origine era a 63,5 km da Collarmele. La via iniziava, quindi, nei pressi di Collarmele, in corrispondenza dell’ 80° miglio da Roma, lambiva le falde del Monte Mandrino (q. 1115), con un andamento più rettilineo dell’attuale e dopo poco più di 7 km, raggiungeva il valico di Forca Caruso (m 1107), il Mons Imeus della Tabula Peutingeriana 783. Che la strada proseguisse in direzione di Statulae (Goriano Sicoli), è cosa certa, infatti, nel 1897 si rinvenne ai piedi del colle S. Donato, ad ovest di Goriano Sicoli località La Statura, un milliario dell’imperatore Magnenzio (350-351 d.C.) 784: [Liberatori orbis ro]mani / [restitutori libertat]is et re[i]pu[b(licae)], / [conservatori militum] et prov/[incialium, d(omino) n(ostro) Ma]gnentio, / [in]vic[to principi, vi]ctori / ac triunfatori, semper / Aug[usto…]meius, v(ir) c(larissimus), / consularis reg(ionis) Flamini(a)e / et Piceni […] curavit. / XC. 785. erano 43 ponti”. (Contra, R, GARDNER, The Via Claudia Valeria, cit., p. 77, n. 2. 782 CIL, IX, 5973; R. GARDNER, cit., p. 77;V. CIANFARANI, Touta Marouca, cit., pp. 325326; A. DONATI, cit., p. 191. 783 Il Gardner stima tale distanza paria a IV m. p. (R. Gardner, cit., p. 81). 784 IGM, f. 146, Sulmona; Non lontano da Goriano Sicoli, in prossimità del monte S. Donato, esiste una località tutt’ora detta La Statura, che quasi certamente è da relazionarsi con l’antico centro di Statulae. Sarà stata una mansio sulla via Claudia-Valeria e non una semplice mutatio, perché dagli scavi condotti dal De Nino, sono tornati alla luce resti di un grande edificio nonché il Foro, oltre naturalmente il 90° miliario da Roma dell’imperatore Magnenzio. Statulae (Tab. Peut., segm. VI, 2), era posta sulla via Claudia Valeria a VII m. p. da Corfinio. Philipp., RE, III A/2, col. 2233. 785 A. DE NINO, NSA, 1903, pp. 515-516; IDEM, segnalazione del 21-9-1903 in Archivio

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Fig. 38 - Via Claudia Questo milliario che si rinvenne a 7,4 km (V m. p.) oltre il Mons Imeus, non lontano da Goriano Sicoli. Del 90° miliario sulla via Valeria fece cenno, durante la sua relegatio, Ovidio in un melanconico verso, rivolto alla natìa Sulmona: «Sulmo mihi patria est gelidus uberrimus in undis milia qui novies distat ab urbe decem» 786. Francamente ad una prima analisi questa distanza da Roma lascia un po’ perplessi, considerando che da Statulae, per raggiungere Sulmona mancavaCentrale di Stato, III vers., busta 11. Nei pressi si rinvennero ceramiche, monete, tombe, mura, tagli di roccia e resti di strada (NSA, 1878, p. 319; 1886, p. 432; 1899, p. 344). Nel 1899 Maurice Besnier vide l’iscrizione che De Nino ancora non pubblicava e dietro segnalazione di quest’ultimo le pubblicò nel 1902 (M. Besnier, De regione Paelignorum, Lutet-Paris, 1902, pp. 108 ss); G. PANSA, cit., p. 190;R. GARDNER, cit., p. 78; A. DONATI, cit., pp. 188-189, n. 27; E. MATTIOCCO, Il territorio superequano, cit., pp. 38-39, tav. XIV. L’epigrafe dalla forma cilindrica era alta m 1, 20, mentre il diametro di m 0,47 alla base, si rastremava superiormente. 786 Tristia, IV, 10, 3.

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no non meno di XI m. p. Il De Nino non trova soluzione, mentre Pansa, con una cervellotica dimostrazione, si ritiene in accordo con Ovidio, anche se i suoi stessi calcoli non gli danno ragione 787. Il Gardner sostiene, invece, che la distanza indicata da Ovidio non sia da prendere in considerazione perché errata 788, mentre il Radke calcola la distanza delle pietre milliari a partire non da Roma ma dall’ ager Romanus (Fosso Passerano, IV m. p. prima di giungere a Tivoli) 789, seguito da Van Wonterghem 790. Ritengo che il problema debba essere affrontato in maniera meno indaginosa e che il nostro Ovidio, durante il viaggio da Roma per Sulmona, abbandonasse la via consolare Valeria, al 90° miglio, cioè presso l’attuale Goriano Sicoli in corrispondenza del bivo posto sulla destra della strada che lo portava a Sulmona. Questo bivio potremmo associarlo all’uscita di una moderna autostrada, né più né meno di quanto accade oggi. Infatti da Goriano Sicoli, passando per la Valle Orfecchia, il Morrone, la Forchetta, quindi Prezza e da qui verso E, si raggiunge Sulmona 791. La via Claudia Valeria, superata Statulae, obbligata dall’orografia, seguiva la strada provinciale fino a Goriano Sicoli e in direzione NE procedeva, con molta probabilità, tra i monti Serra, Urano, la Civita, Castellone, fino a Raiano, dopo un percorso di 5 miglia. Questa ipotesi di percorso è stata ben evidenziata da Van Wonterghem 792. Da una relazione statistica del secolo passato, apprendiamo che lungo questo tratto si rinvennero: «tagli profondi, pratticati in rocce calcari, per aprire, quasi a trincea, il piano stradale-o muretti marginali per riparo agli scoscendimenti del terreno-o qua e là lunghe sostruzioni a parallelepipedi, oltre a’ consueti segni dell’attrito e delle […] che l’azione delle ruote lasciava su mezzi naturali, o sulle pietre da lastrico della strada» 793. 787 G. PANSA, cit., p. 191 e 199 ss. 788 R. GARDNER, cit., p. 83. 789 G. RADKE, cit., pp. 348-349. 790 VAN WONTERGHEM, Forma Italiae, cit., p. 63. 791 IGM, f. 146, Sulmona. 792 VAN WONTERGHEM, cit., p. 68, fig. 24, 29; R. GARDNER, cit., p. 87. 793 T. BONANNI, L’antica e la nuova viabilità, cit., p. 9.

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Da Raiano la strada proseguiva in direzione NE per due miglia 794, fino a Corfinium, non molto distante dalla moderna Corfinio 795. Quindi da Statuale fino a Corfinium correvano esattamentre VII, come indicato dalla Tavola Peutingeriana 796. Complessivamente, quindi, la via Claudia Valeria, partendo da Cerfennia (LXXX), raggiungeva Corfinium dopo XVII m. p., esattamente al miglio XCVII da Roma. Dall’Itinerario di Antonino apprendiamo che il bivio di Interpromium era XI m. p. oltre Corfinio 797, mentre per la Tab. Peut.,

794 La strada fiancheggiata da un acquedotto romano proveniente dal territorio di Superaequum, procedeva non lontano dal fiume Aterno. Questo acquedotto fu il più importante della città di Corfinio, lungo circa 9 km, di cui un tratto in galleria scavata nel monte Urano, fu fatto costruire da C. Alfio Massimo. A. DE NINO, NSA, 1900, p. 642;CIL, IX 3308: Res publica / populusq(ue) Corfiniensis formam aquae /ductus vetustate / corruptam d(ecurionum) d(ecreto) refecit. Vissuto nel II secolo d.C., C. Alfio Massimo, contribuì alla elevazione di un tempio ed alla costruzione delle terme. 795 Corfinio (SIL. 8, 511-523: Nec cedit Sidicinus sanguine miles, quem genuere Cakìles. Non parvus conditor urbi, ut fama est, Calais, Boreae quem rapta per auras Orithyia vago Geticis nutrivit in antris. Haud ullo levior bellis Vestina iuventus agmina densavit, venatu dura ferarum; quae, Fiscelle, tuas arces Pinnamque virentem pascuaque haud tarde redeuntia tondet Aveiae: Marrucina simul, Frentanis aemula pubes, Corfini populo a magnumque Teate rahebat. Omnibus in pugnam affertur sparus, omnibus alto assuetae volucrem caelo dimittere fundae. Pectora pellis obit caesi venatibus ursi; STRABO, V, 4, 2;Caes., Civ., 1, 15, 3-7: …in his Camerino fugientem Lucilium Hirrum cum sex cohortibus, quas ibi in praesidio habuerat, excipit; quibus coactis XIII efficit. Cum his ad Domitium Ahenobarbum Corfinium magnis itineribus pervenit Caesaremque adesse cum legionibus duabus nuntiant.; CIL, IX, pp. 296-297, 586; E. DE RUGGIERO, s. v., Corfinium, Dizion. Epigraf., II coll. 1208-1209; Ch. HÜLSEN, RE, IV, 1, 1900, a. v. Corfinium, coll. 1226-1227; A. DE NINO, NSA, 1900, p. 642; E. ABBATE, cit, II p. 283; F. VAN WONTERGHEM, Forma Italiae, cit., p. 113ss; F. COARELLI, Abruzzo, cit., pp. 118-127; M. BUONOCORE, Corfinium, Supplementa Italica, n. s. 3, Roma 1987, pp. 93-222), la città più importante dei Peligni, data la sua posizione strategica, situata al crocevia delle strade che collegavano Roma con l’Adriatico e la valle dell’Aterno con il Sannio, rivestì un ruolo fondamentale nella guerra sociale (G. DEVOTO, Gli antichi italici, cit., pp. 275ss). Fu infatti capitale degli insorti nell’anno 90 a.C., con il nome di Italia o Italica (Strabo, V, 4, 2). Fu sede episcopale già nel V secolo (diocesi di Valva) e successivamente all’invasione dei barbari (a. 574), divenne un importante Gastaldato Longobardo. Di Corfinio non si ebbero notizie fino al X secolo, mentre sappiamo per certo che nel XII secolo Corfinio veniva chiamata Pentoma. 796 Tab. Peuting. segm. VI, 2. 797 O. CUNTZ, cit., pp. 46, 310, 1.

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le miglia erano soltanto VII 798. L’apperente discrepanza tra la Tab. Peuting. e l’itinerario di Antonino, è da ricondursi ad una errata lettura della prima. Ossevando bene la Tabula Peutingeriana, noteremo che dopo Corfinio era presente un incrocio a VII miglia da quest’ultimo, mentre manca la distanza tra l’incrocio ed Interpromium. Per il tratto della Via Claudia Valeria che da Corfinio giunge a Popoli, varie sono state le ipotesi di percorso 799. Ritengo probabile che la strada, lasciata la città di Corfinio, procedesse in direzione N fino al fiume Sagittario, che lo superasse, e sempre con lo stesso andamento incrociasse la SS 17 al km 180, 5, per raggiungere Popoli dopo circa 6 km, pari a IV miglia. Superato il ponte romano di Popoli e seguendo la valle dell’Aterno, dopo 2 m. p., in corrispondenza del km 184,6 della SS n. 5, si giunge in prossimità della confluenza dell’Aterno con il Tirino: “ad Confluentes Aternum et Tirinum”, dove la via Claudia Valeria si raccordava con la via Claudia Nova 800, in località Tre Monti. Secondo quanto ipotizzato in precedenza, a tre miglia da Popoli avremmo dovuto incontrare un bivio, ed indagando in questa direzione, in corrispondenza del km 186,25 dell SS n. 5, trovo una deviazione sulla sinistra della strada. In passato un ponte permetteva di raggiungere la sponda sinistra del fiume Aterno in località Fratta, e da qui lungo la strada detta dell’Inferno, Bussi Officine e quindi Bussi sul Tirino 801. Questa via la ritroviamo sulle 798 Tab. Peut. VI, 1-2. 799 IGM, F. 146, II NE, Pratola Peligna; G. LIBERATORE, Opuscoli vari, cit., I, p. 105, “… dal detto sito dell’antica Corfinio sin’al miglio 104 (napoletano) fuori porta Nord E. di Popoli non ve ne sono men di tre”. Sapendo che il miglio napoletano equivale a 1927 m, ricavo che l’antico sito di Corfinio era a scarsi 6 km da Popoli. T. BONANNI, cit., p. 9; E. ABBATE, cit., I, p. 383; R. GARDNER, Via Claudia Valeria, cit., p. 92; V. CIANFARANI, Cesare, cit., p. 68; F. VAN WONTERGHEM, Forma Italiae, cit., p. 68. 800 IGM, F. 146, I SE, Popoli. Qui terminava la Via Claudia Nova, in corrispondenza del punto di incontro fra i confini Peligni, Marrucini e Vestini. Il Gardner ritenne: “In ancient times a vicus must have existed at the junction of the two roads” (R. GARDNER, cit., p. 96). Pur escludendo un vero e proprio centro abitato, La Regina ammette la formazione di un insediamento minore (A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 412), mentre Radke, ritiene vi fosse una statio (G. RADKE, cit., p. 355). 801 IGM, F. 146, I SE, Popoli. Il ponte era al di là della ferrovia, in prossimità di un gruppo di vecchie case della famiglia Di Florio, posto fra queste e la galleria ferroviaria. Le notizie mi

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carte catastali n. 18 e n. 19 di Bussi, col nome di: “Strada vicinale di Fratta”, nonché sulla carta Rizzi Zannoni. In prossimità di questa strada, e precisamente nel tratto posto a levante ed a ponente di Bussi Officine, in passato vennero alla luce mura antiche, materiale fittile 802, che indussero il De Nino ad ipotizzare che in questi luoghi potesse sorgere l’antico Interpromium 803. Torniamo ora alla tavola Peutingeriana, la quale indicava al viandante giunto a Corfinio, che il bivio per Interpromium era distante VII miglia. Quello che invece mancava era la distanza tra questo bivio ed Interpromrium che era di IV m.p. 804. Infatti partendo dal bivio citato e proseguendo lungo la sponda destra dell’Aterno, obbligati dall’orografia, in prossimità del km 191, 9 della ss n. 5, la via Claudia Valeria volgeva a sinistra per il pagus di Interpromium 805. Questo antico centro viene considerato vicus nell’ Itinerario di Antonino, mentre da fonti epigrafiche risulta essere pagus, posto a CVIII m.p. da Roma 806. Il sito su cui sorse Interpromium è stato localizzato in passato a S dell’antica abbazia di S. Clemente a Casauria 807. Il Romanelli pose Interpromium in prossimità della Taverna di S Valentino sulla destra dell’Aterno tra i torrenti sono state fornite da Lino Sulli, residente a Bussi e confermate da altri. 802 A. DE NINO, NSA, 1894, p. 407. 803 IDEM, NSA, 1877, p. 127. 804 Non è poi così infrequente nella tab. Peutingeriana omettere le distanze relative, infatti troviamo casi analoghi come Ponte Sonti-Fl. Frigido o Ad Silanos-Trasimeti-Saloca (L. BOSIO, La Venetia orientale nella descrizione della Tabula Peutingeriana, in “Aquileia Nostra”, XLIV (1973), pp. 59-62). Un caso analogo lo troviamo nel territorio marchigiano fra Flusor-Tinna, Polentia-Sacrata e Surpicano-Firmo Piceno. 805 Tracce di strada vennero alla luce nel secolo passato tra il Piano di Pantano e ‘Fra le Isole’ (P. L. CALORE, G. DE PETRA, Interpromium e Ceii, in “Atti della Reale Accademia di Napoli, 21, 1901-1902, p. 189; CIL, IX p. 286; A. L. ANTINORI, Corografia, cit., vol. XXVII, II, pp. 393-394; V. BINDI, Monumenti storici e artistici dell’Abruzzo, Napoli, 1889, I, cap. VII, pp. 405 ss; C. GAVINI, Storia dell’architettura in Abruzzo, Milano, I, pp. 4 ss; PHILIPP. in: RE, coll. 1712-1713 a. 1916 s. v. Interpromium; G. FIRPO, M. BUONOCORE, cit., pp. 413-414). 806 [c. c. ] Sulmonii Primus et Fortunatus / [p]onderarium pagi Interpromini / [vi] terreamotus delapsum a solo / (s)ua pecunia restituerunt (CIL, IX 3046). 807 P. L. CALORE, G. DE PETRA, cit., p. 167.

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Orta e Lavino, dove si dice Zappina 808. Per Liberatore Interpromium, invece, era in località Brecciara, in prossimità del km 201, 6 della via Valeria 809. Nella cripta della chiesa di S. Clemente a Casauria è presente una pietra miliaria degli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano, risalente agli anni 373-374 d.C., reimpiegata nella ricostruzione della badia: “Si tratta della quarta colonna da sinistra del filare posta sull’asse trasversale della cripta” 810. Un altro miliario dell’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363 d.C.) si rinvenne: non longe ab ecclesia Casauris ad pontem viae 811. La via Claudia Valeria proseguiva in direzione NE sulla sinistra dell’Aterno tra Isolette e Colle Morto, guadagnando poi la sponda destra del fiume, in prossimità del ponte della ferrovia, in località Fara Vecchia 812. Superato il torrente Orta, la strada ricalcava il tracciato dell’attuale provinciale, ed al km 200, 8, presso la fonte Almone, detta volgarmente Limone, venne alla luce l’epigrafe Pagus ceiani 813. Questa epigrafe, rinvenuta nel marzo del 1850, è di fondamentale importanza, perché rappresenta l’unica fonte che ci permette di conoscere l’antico pago di Cei, posto tra la fontana dell’Almone ed il bivio per S. Valentino, 808 D. ROMANELLI, Antica Topografia, cit., 1818, parte II, p. 117. Prestando fede alla Passio SS Valentini et Damiani (Lanzoni, cit., p. 242) risalente all’XI o XII secolo, apprendiamo che i due sacerdoti, Valentino e Damiano furono martirizzati nella città di Zappina: “Denique ante solis occubitum ingressi sunt Civitatem Zappinam, qua erat sita trans flumen Ortar, iuxta fluvium Piscariae, atque ex alio latere flumen Lavinum…Erat namque Civitas illa Magna…”. Sicuramente la città di Zappina era di modeste dimensioni, come, infatti, si riscontra in una permuta dell’abate casauriense Gisleberto, intorno all’anno mille: “…in supradicto vocabulo de Zappino fuit olim civitatula quaedam, in qua cum duo fratres Valentinus et Damianus pro Christi nomine fuissent martyrizati…” (Chron. Casaur. Col. 837) 809 G. LIBERATORE, cit., p. 107. In passato questo tratto di strada fino a Chieti veniva chiamato via Salara. 810 G. COLONNA, Un miliario poco noto, cit., p. 51: Ddd. N. n. n. Flaviis Valentini[ano]/ Valenti et Gratiano, piis, fel[icib(us)] / ac triu[mf]hatoribus. sem(per) / Augg., [bono]r(ei) p(ublicae)] natis/ Votis X, […]XX. 811 CIL, IX, 5972: D(omino) n(ostro), Fl(avio) Claudio Iuliano/ I[…]patonr[…]run[... /... ] p […]; A. DONATI, cit., p. 190 n. 28; M. BUONOCORE, G. FIRPO, Fonti, cit., I, p. 421, n. 32. 812 G. PETRA, P. L. CALORE, cit., pp. 185, 89. I tratti di strada antica rinvenuti presso la Fara di Bolognano, presentavano una carreggiata di m. 7, 25. 813 Ivi, pp. 177 ss.

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a CXIII m. p. da Roma 814. Superato il bivio per S. Valentino, proseguiva a destra dell’Aterno fino a Scafa, dove in antico erano le terme. Quindi da Interpromium a Ceii passavano V m. p., in accordo con la Tabula Peutingeriana. Sempre con lo stesso andamento la via Claudia Valeria proseguiva in direzione NE verso Teate (Chieti). Negli anni trenta sul greto del fiume Aterno, in prossimità della stazione ferroviaria di Alanno, si rinvenne un cippo riguardante la manutenzione della via Valeria, dal quale apprendiamo che i Marrucines Teatini, erano obbligati alla manutenzione della via Valeria per un tratto di VI m. p., ab ancrabas hic, cioè dalle gole, o dalle strette, fino al punto dove era stato collocato il cippo stesso 815. Considerando che la stazione ferroviaria sorge sulla riva sinistra del fiume Aterno, mentre la via Valeria correva, a quanto pare, sulla riva destra, forse il cippo ritrovato non era in situ. Lungo la valle dell’Aterno diverse sono le strozzature, le gole e come evidenzia il Fraccaro, quelle più note a tutti sono quelle di Popoli, mentre altri restringimenti della valle li troviamo alla confluenza dell’Aterno con il Tirino (ad Confluentes), nonché a valle di Torre dei Passeri 816. Lo stesso autore ipotizza che se: «le ancrae erano la gola di Popoli, con 6 miglia si giunge sino un po’ a valle di Torre dei Passeri… e che la violenza delle acque del Pescara, o altri agenti, lo abbiano trascinato sin presso la stazione di Alanno. La Pescara in questo tratto è a volte violenta e cambiò corso proprio presso la celebre abbazia di S. Clemente a Casauria» 817. Non credo che il cippo in esame possa essere stato collocato in prossimità di Interpromium e che la forza dell’acqua possa averlo trascinato fino alla 814 Della fonte Almone, priva attualmente d’acqua, posta a pochi metri dalla strada e sulla destra, in direzione di Chieti, restano solo pochi ruderi (1996). 815 IGM, F 147, Lanciano; P. FRACCARO, Iscrizioni della via Valeria, in: Athenaeum, n. s. XIX (1941), pp. 44ss.: [t]eatini Mar(rucini)/ munire d(e)/ bent via V(a)/ leria ab a(n)/crabas hic / mil. p. VI; A. LA REGINA, Ricerche, cit., p. 421, n. 363; G. ALESSIO, I riflessi lessicali italici, in Abruzzo, a. IX, fasc. 1-2 1971, pp. 34-35; A: DONATI, cit., p. 162, n. 6. 816 P. FRACCARO, cit., p. 52. 817 Ivi, pp. 52-53.

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stazione di Alanno per un tratto di circa 9 km. Infatti, se così fosse, oggettivamente risulterebbe molto fluitato, considerando il non breve percorso lungo il letto del fiume Pescara. Un altro cippo di calcare, un po’ più tardo del precedente, si rinvenne nel 1933 presso la chiesa di S. Paolo di Chieti 818. Rispetto all’altro, l’obbligo di munire un tratto della Via Valeria, a partire dalle ancrae, riguarda i Frentani di Histonium. In questo caso, contrariamente al primo, non è riportata la lunghezza del tratto. Forse questo cippo, come il precedente, riguarda lo stesso tratto di strada, affidato prima ai teatini e poi ai frentani di Histonium. Certamente risulta alquanto strano che questa manutenzione vada assegnata ad Histonium. Il Coarelli avanza una spiegazione, presumendo: «che l’incombenza attribuita a Histonium (che non si trova lungo la via Claudia Valeria, ma ben 40 miglia a sud di Ostia Aterni), vada spiegata con il comune interesse di tutte le popolazioni dell’area a mantenere in buono stato le comunicazioni con Roma» 819. Tornando al primo cippo, credo sia stato collocato nei pressi di Alanno, ed infatti VI m. p. (circa 9 km) più a monte, il greto del Pescara inizia ad innalzarsi sempre più, fino a formare una gola. Da Alanno in poi la strada proseguiva per S. Maria d’Arabona 820, fino a Brecciarola, e questo tratto viene chiamato con Via Salara, sulla carta del Rizzi Zannoni. Mentre la via proseguiva con andamento NE verso Ostia Aterni, più avanti, in corrispondenza del km 215,6, dalla via Claudia Valeria si staccava un primo bivio per la città di Teate (Chieti), capitale dei Marrucini, che sorgeva arroccata su di un colle (m. 330) 821. Quantunque città di grande importanza 818 Ivi, p. 44, Fig. 1; A. LA REGINA, cit., p. 381, nt. 91; A. DONATI, cit., p. 162, nt. 6; M. BUONOCORE, Regio IV-Sabina et Samnium, Teate Marrucinorum, in: Supplementa Italica, n. s. 2, 1983, pp. 145-194 (166-167) n. (8). 819 F. COARELLI, A. LA REGINA, Abruzzo, cit., p. 115. 820 La chiesa cistercense e l’annesso monastero di S. Maria Arabona furono costruiti nei 1208 sui ruderi di un tempio dedicato alla Dea Bona (ara Bonae). 821 IGM, F. 141 III SE; Strabo, V, 4, 2; Plinio III, 106;Ptol. III, 1, 55;Lib. Col. II, 258, 24 L. Teate fu la città più importante dei Marrucini, appartenne alla tribù Arniensis (CIL, IX, 3023; 3024) ed intorno al I sec. a.C. fu municipium retto da quattuorviri (CIL, IX 282). Secondo Buonocore: “La scelta di crearvi un municipio fu dovuta probabilmente, alla sua rilevante po-

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(Silio VIII, 520), non ritengo possa essere stata attraversata dalla nostra consolare, perché avremmo allungato il percorso di alcune miglia. La via Valeria, invece, procedeva a valle, come riportato sulla carta Rizzi-Zannoni, col nome di via Salara. Del medesimo avviso fu in passato il Gardner 822 ed ancor prima l’Antinori 823. Dalla Tabula Peutingeriana e dall’Itinerario di Antonino apprendiamo che Interpromium distava da Teate XVII m. p. (25,1 km). Ovviamente con XVII miglia non si intende la distanza tra i due centri, pari a 29 km, ma quella tra il bivio per Interpromium e quello per Teate. Una ulteriore conferma, che la via passasse lungo la valle dell’Aterno, la troviamo nel miliario XLIII della via Claudia Valeria, rinvenuto nel 1640 nella pianura di Chieti, nel terreno del giureconsulto Giuseppe De Letto 824. Da una donazione fatta all’abbazia di S. Maria in Picciano, nell’ottobre del 1152, da Gentile figlio di Gualtieri di Palearia, veniamo a conoscenza di un campo detto Valle Soricara sito nel territorio di Spoltore, attiguo alla via Salaria che conduce ad Aterno 825. sizione strategica che dominava il tratto terminale dell’Aterno e la costa adriatica, oltre l’arteria tratturale L’Aquila-Foggia che passava per Alanno, Manoppello e Bucchianico, le miniere di bitume di Scafa e le saline poco a nord della foce dell’Aterno” (M. BUONOCORE, Fonti latine, cit., p. 392). Distrutta da Alarico nel 410, in epoca longobarda appartenne al ducato di Benevento, mentre dopo strenua resistenza fu data alle fiamme da Pipino re d’Italia nell’ 802, e successivamente fece parte della provincia Valeria. Teate fu sede di diocesi forse già nel IV secolo, mentre dalla Passio, fantastica, dei santi Fiorenzo Giustino Felice e Giusta, e da quella di S. Eusanio, veniamo a conoscenza della loro azione evengelizzatrice fra il III e IV secolo. 822 R. GARDNER, cit., p. 101: “So steep the hill is it and so indented with valleys and depressions that the modern roads whic approach it from the north and south are 9 and 7 kilometres long respectively from their points of departure from the main highroad, which runs in the valley of the Pescara belows” 823 A. L. ANTINORI, Raccolta di Memorie, cit., 1781, tomo I, p. 390 “Vi è chi pensa che questa Via passasse non tanto alle falde del Colle, in cui è Teate; ma più a quella città vicina; giacché si vuole che il Tempio a Diana Trivia fosse edificato laddove quella via con diverse, e minor sentiero tendesse altrove. La congetura si fonda unicamente sul cognome di Trivia; ma quello cognome, anzi questo Tempio non ha Storico di quel Secolo il quale lo attesti”. 824 IDEM, Raccolta, cit., I, p. 390 e n. 2. In passato il miliario era fuori la porta S. Andrea di Chieti (CIL, IX, 588; A. DONATI, cit., p. 191, n, 30). Questa porta, ora non più esistente, era prossima all’attuale piazza Trento e Trieste. 825 A. L. ANTINORI, Annali, cit., VII, p. 476.

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Procedendo sempre sulla destra dell’Aterno, la strada passava ad ovest della chiesa della Madonna delle Piane, proseguiva per Fontanelle e raggiungeva Ostia Aterni in corrispondenza del km 232,5, esattamente XXV m. p. da Interpromium 826.

826 IGM, F. 141, Pescara. G. PARTHEY-M. PINDER, Itinerarium Antonini Augusti, cit., pp. 46-48: Troento civitas Castro civitas m. p. XII Aterno civitas m. p. XXIV Interpromium vicus m. p. XXV

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VIA CAMPANIA o TRAIANA Da sempre la Valle del Liri ha rappresentato un facile tramite naturale tra il bacino del Fucino, il Lazio meridionale e la Campania 827 (Fig. 39). La presenza umana nella valle, documentata già dall’età del bronzo, la troviamo nelle Grotte Cola I e Cola II 828. Attraverso la Valle del Liri scese, intorno al VI secolo a.C., il popolo dei Volsci, raggiungendo prima il territorio sorano, poi il mare, come testimoniano reperti archeologici presso Anzio. Nel 308 a.C., la valle divenne scenario di battaglia tra un esercito costituito da Pentri, Marsi e Peligni, contro il console Quinto Fabio, forse nella media Valle del Liri 829. Con la fine della seconda guerra sannitica (304 a.C.), l’egemonia romana sul territorio fu ribadita con la fondazione nel medesimo anno (303 a.C.), delle colonie di Sora, punto chiave della media e bassa Valle del Liri, e di Alba Fucens nella parte nord 830. Nelle Valle del Liri in età preromana, oltre all’importante centro di Antinum 831, erano presenti medi e piccoli centri, distribuiti su tutto il territorio. In passato si rinvennero lungo la valle resti di insediamenti 832, santuari, bronzetti 827 E. T. SALMON, Il Sannio cit., p. 22; IGM, f. 151, Alatri; IGM, f. 152, Sora; L’alta Valle del Liri è anche detta Valle Roveto. 828 Risale al lontano 1956 la campagna di scavo condotta dal Radmilli, con rinvenimenti di ceramica legata alla cultura di Ripoli, nonché frammenti di scheletro di orso delle caverne. 829 LIVIO, IX, 41, 4. 830 LIVIO, IX, 1, 1-3. 831 M. PHOEBONIUS, Historiae Marsorum libri tres, Neapoli 1668, I, p. 48; III, 121; P. A CORSIGNANI, cit., pp. 132-135, D. ROMANELLI, Antica toponomastica, cit., pp. 222-232; MOMMSEN, in CIL IX pp. 362-3;CH. HÜLSEN, in RE, a. v. Antinum 1894, I, col. 2442; A. SOLARI, in EI, III, 1929, s. v. Antino, pp. 502-503; L. QUILICI, Antino, in Quaderni dell’ Istituto di Topografia Antica, 2, 1966, pp. 35-48; F. COARELLI-A. LA REGINA, Abruzzo e Molise, cit., pp. 105-107; G. GROSSI, L’alta Valle del Liri dalla prima età del ferro alla guerra sociale (IX-I sec. a.C.), in Atti del I convegno di Archeologia, Civita d’Antino 16 settembre 1990, pp. 68-76. Il centro di Antinum era posto nella Valle Roveto territorio dei Marsi, e dopo la guerra sociale fu municipium, retto da quattuorviri. L’antico oppidum era difeso da mura poligonali di seconda maniera, ed attualmente ancora ben conservate. Da un’epigrafe di età repubblicana, rinvenuta nel 1903, apprendiamo del culto riservato ad Angizia, divinità particolarmente venerata dai Marsi. Da una lamina di bronzo, scritta in dialetto marso, veniamo a conoscenza di una dedica in onore della dea Vesuna, di origini umbre. 832 Strutture murarie vennero alla luce a ‘Cese’ di Santacroce presso Canistro, a ‘Casale’ di

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Fig. 39 - Via Campania

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votivi 833 e monete, nei pressi di Morea, S. Lucia e Vallone S. Onofrio presso Balsorano. Certamente una strada collegava questi insediamenti con un percorso di mezza costa, sul versante orientale del fiume Liri, unendo la Via Valeria, presso i Piani Palentini, con Sora 834. Un’altra via di epoca più tarda, rilevabile dalle foto aeree, partendo dai Piani Palentini e procedendo lungo la Valle del Liri, con un percorso di fondovalle, raggiungeva Sora e quindi Frusino sulla via Latina. Questa strada detta ‘Via della Campania’ o ‘Via Traiana’ 835, da Cappelle, sulla Via Valeria, con orientamento SO, dopo un miglio esatto raggiungeva le Grotte di S. Felice. Procedendo poi lungo le falde occidentali del monte omonimo e la sponda destra del torrente La Raffia giungeva a Cese 836. Sempre attraverso i Piani Palentini per Casale S. Basile, superava il torrente La Raffia raggiungendo prima Capistrello e poi Peco Canale e Canistro. Questo tratto di strada è “ben doumentato da tagli di roccia e necropoli fino a Canistro” 837. Abbandonato quest’ultimo centro, scendendo lungo la sponda destra all’altezza di Civitella 833 Bronzetti votivi dedicati ad Ercole si rinvennero in località Casale di Civitella Roveto e S. Restituta di Morrea (G. Grossi, cit., p. 39). Secondo alcuni l’attuale Civitella Roveto sia stata costruita sul sito dell’antica Fresilia (E. ABATE, cit., II p. 204), conquistata nella guerra marsica del 301 a.C. da Valerio Corvo, insieme alle altre città fortificate di Milonia e Plestina (Livio X, 3, 5). M. Buonocore-G. Firpo, Fonti, cit., II/1, p. 281. 834 Il Liberatore parlando dei rami laterali della via Valeria: “Pe’ Palentini Campi erane a destra per Sud il primiero, che insigue per la valle, oggi detta di Roveto successivamente conduceva a Sora…”; G. M. DE ROSSI, Lazio meridionale, Itinerari archeologici, Roma 1980, p. 275 “ La via antica che conduceva al territorio dei Marsi, lasciata Sora si sirigeva a nord mantenendosi dapprima sulla sponda sinistra del Liri e passando poi su quella destra, in questa zona, nei pressi della Madonna di Val Radice, è conservato un lungo tratto di parete rocciosa artificialmente intagliata per consentire il passaggio della via romana”; G. GROSSI, L’alta valle, cit., pp. 41, 90, Tav., I. L’autore chiama questa via ‘Sorana’ e la data tra il III-I secolo a.C.; P. FORTINI, Scoperta di un ponte romano a Pescocanale (fraz. Di Capistrello) e le prime considerazioni sulla viabilità tra l’alta valle del Liri ed il bacino dell’Aniene, in Antinum e la Val Roveto, cit., p. 129. 835 G. GROSSI, Cappelle e i Piani Palentini nell’antichità (X secolo a.C.-VI secolo d.C.) in Cappelle dei Marsi, Roma 1990, pp. 121 ss; IDEM, L’alta Valle del Liri, cit., p. 41. 836 IGM, f. 145, Avezzano; F. VAN WONTERGHEM, La Via Valeria nel territorio di Alba Fucens, in Acta Archaeologica Lovaniensia, 22, 1983, pp. 3-38. 837 G. GROSSI, Cappelle, cit., pp. 122, 139.

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Roveto 838 lambiva Morino Vecchio, Roccavivi ed infine Sora 839. Nel XVIII secolo si rinvenne presso Cappelle un milliario traianeo datato al 100 d.C., non più reperibile noto anche al Mommsen 840 e dalla ricostruzione fatta e da quanto tramandatoci dal Garrucci, il testo doveva essere il seguente: LXI [imp(erator) Ca] esar / Nerviae filius / [Nerva] Traianus / [Aug(ustus)] / Germanicus. / pontifex maximus / tribunicia potestate IV, co(n)s(ul) III. pater patriae. / faciendum curavit 841. Non ritengo che il miliario rinvenuto presso Cappelle potesse appartenere alla via Valeria, poiché il LVI miglio da Roma, sulla nostra consolare, cadeva nelle immediate vicinanze di Tagliacozzo. Sono del parere, invece, che il milliario LVI appartenesse alla strada che da Cappelle giungeva a Frusino, collegando la via Valeria con la via Latina, cioè la “Via della Campania”. Dello stesso avviso era Wonterghem, il quale però riteneva che la via iniziasse da Alba Fucens e non da Cappelle (F. Von Wonterghem, La via Valeria, cit., pp. 3-39).

838 IGM, f. 151, Alatri. 839 IGM, f. 152, Sora. CIL, IX, 5970, “In horreis De Dominicis”; A. DONATI, cit., pp. 186-187 n. 25 840. 841 R. GARRUCCI, La via Valeria da Tivoli a Corfinio, in Civiltà Cattolica, s. XI, vol. 33 1882).

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CONCLUSIONE Pur consapevole che l’aver messo mano ad un lavoro di così vaste proporzioni abbia appagato, anche se in parte, l’esigenza di una sempre più vasta panoramica dell’intera materia, non nutro certamente l’illusione di aver dato fondo a tutte le problematiche connesse. E’ forse inutile ricordare che la pochezza delle fonti, spesso solo fuggevoli cenni e non sempre chiari, la distanza temporale che ci divide dai fatti, mi hanno costretto ad operare a volte su semplici indizi, col risultato di giungere ad un quadro sfuggente e frammentario. Sovente sono stati considerati alcuni aspetti in maniera fugace, se non omessi, dando risalto ad altri. Non è mai venuto meno l’entusiasmo, anzi a volte ha allentato il freno della prudenza, alimentando la fiducia nelle proprie ipotesi fino a considerarle delle quasi certezze, mettendo in ombra, così, i canoni della metodologia tradizionale. Giunto alla fine del lavoro avrei gradito concludere con un finis coronat opus, ma il peso delle incertezze e delle ipotesi mi obbliga a lasciare aperto il campo del confronto e della critica, con la speranza di aver dato lo spunto a nuove vie di ricerca.

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Indice dei toponimi e delle cose notevoli Accumuli 84, 137 Acqua Santa 171 Actus 93, 93n, 97 agger viae 37, 132 agrimensor 36, 36n, 47n, 242 Alba Fucens 54, 71, 71n, 76, 78, 78n, 80, 81, 82, 100, 101n, 194, 194n, 199, 202, 203, 207, 207n, 208n, 209, 225, 227n, 229, 246, 247, 248, 249, 252. Alfedena 24, 73n, 112n, 113, 114, 115. Allia 70 Almone (fonte) 220, 221n Amiternum, Amiterno 15, 29, 29n, 55, 55n, 59, 65n, 66, 67, 67n, 68, 78n, 84, 84n, 86, 87, 87n, 93, 100, 101, 101n, 103, 104, 105, 109, 111n, 114n, 121, 121n, 123, 124, 124n, 125, 125n, 127, 128, 128n, 155, 157, 157n, 164, 168, 168n, 169n, 170, 171, 172, 181n, 201, 230, 237, 248, 251. Annum 150, 161 Antrodoco 15, 65, 65n, 66, 84, 93, 102, 107, 108, 108n, 123, 132, 164, 164n, 165, 166, 167, 167n. Anxanum (Lanciano) 59, 150,152n, 159, 159n, 160, 161. Arquata 134, 134n Arli 38, 140 Àrsoli 196, 197, 197n, 199, 199n, 200n, 202, 203. Asculum (Ascoli) 16, 31n, 55, 69, 70, 121n, 122n, 123, 126, 133,

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134n, 135n, 136n, 137, 138, 140, 140n, 141, 141n, 142n, 143, 143n, 146, 146n, 147, 148, 149n, 150. Aveia (Fossa) 76, 76n, 78, 79, 80, 94n, 101, 101n, 103, 104, 105, 169n, 186, 188, 189, 189n, 217n. Batia 65 Beregra (Montorio al Vomano?) 123, 155, 164, 170, 172, 172n, 173, 176. Campus Salinarum 92, 93, 99, 100, 105, 107, 125. Carbonarius (mons) 203, 203n CarsĂŹoli 54, 194, 196, 197, 199n, 200, 200n, 201, 202, 203, 210. Castrum Novum (Giulianova) 55, 56, 68, 69, 70, 121, 122, 126, 142n, 148, 150, 151n, 152n, 153, 153n, 154, 154n, 175, 175n, 176, 177n. Castrum Truentinum o Truentum (Martinsicuro) 69, 70, 126, 141, 142n, 143, 143n, 150, 152n, 153, Cei (pagus) 220, 221 Centesimum 134 Cerfennia 59, 76, 80, 81, 82, 195, 210, 211, 211n, 212, 212n, 214, 217. Confluentes (ad) 116, 185, 191, 193, 193n, 218, 221. Corfinium (Corfinio) 32, 59, 81, 110n, 111n, 116, 143n, 157n, 194, 195, 217, 217n. Cura viarum 35, 35n, 43. Eretum 123


Erulos 101, 102n Fabianus (pagus) 90 Falacrine 132, 133, 133n, 134. Faleri Novi 106 Fanum Vacunae 132 Fificulanus (pagus) 105 Fisternae 65, 164n, 167. Foruli 70, 79n, 101, 102, 102n, 103, 124n, 125, 125n, 167, 178, 179, 180, 182, 185, 189, 190, 192, 193. Frustenias 76, 78, 79, 80, 101. Furcona 78, 189 Furfo 88, 88n Granus (mons) 203, 203n Hadria, Hatria 55n, 117, 123, 126, 142n, 153n, 155, 157, 157n, 164, 173. Histonium 59, 150, 152n, 158, 159n, 160, 160n, 161, 162, 162n, 163, 163n, 222. Incerulae 84, 89, 90, 191, 191n. Interamnia Praetuttianorum 55, 123, 147n. Interocrea, Interocrium 93, 13, 124n, 132, 145n, 164, 164n. Interpromium 193n, 217, 218, 219, 219n, 220, 221, 223, 224, 224n. Iovis Larene 113, 114 Itineraria 46, 46n Itinerarium Antonini Augusti 46, 46n, 112, 113, 150, 200, 224n. “ a Gades Romam 46 “ Burdingalense sive Hierosolymitanum 46 iter 93, 93n Lamnas 197, 197n

Lista 65, 67, 70. mansio 44, 45, 45n, 53, 58, 87n, 104, 109, 114, 129n, 182, 184n, 214n. Marruvium 32, 59, 76, 81, 82. Martis (ad) 84, 134, 134n, 135, 135n, 136, 208n. Matrinus 142n, 156 Mefula 72 Miliaria 42 Mons Imeus 82, 83, 214, 315. Mutationes 44, 45, 53 , 58. Novas (ad) 128, 129 Orvinium 72, 74, 197. Ortona 59, 64, 150, 158, 159, 159n, 160, 160n, 161. Ostia Aterni 56, 81, 150, 154, 156n, 157, 158, 159, 214, 222, 224. Pallanum 161, 161n,162, 162n. Peltuinum 84, 89, 169n, 180, 186, 190, 190n, 191, 192. Pinna 59, 154, 154n, 155, 157, 157n, 160, 217n. Pitinum 87, 87n, 93, 93n, 96n,100n, 101, 101n, 102, 103, 103n,104, 105, 107, 109, 109n, 124, 124n, 178n, 182, 184n. Ponti 40 Prifernum 101, 103, 104, 105, 124, 124n. Quintodecimo 69, 70, 136, 136n, 137, 140. Reate 65, 68, 70, 71, 72, 73, 78, 93, 107, 111n, 123, 128, 132, 135n, 145, 201, 206, 207. Salinae 92, 150 Statulae 109, 111, 111n, 214, 214n, 215,

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216. Sublacium 203n Suesbula 72, 74 Suessula 72 Sulmo 32, 53, 110n, 111, 111n, 113, 114n, 215. Suna 72, 74 Superaequum 32, 109, 110, 110n, 111n, 217n. Tabula Peutingeriana 16, 47,47n, 50n, 51n, 52, 65, 76, 78n, 80, 82, 83, 100, 101, 104, 105, 111n, 113, 114, 124, 137, 150, 154, 156, 202, 203, 214, 218, 219n, 221, 223. Teate 59, 61, 61n, 81, 152n, 162n, 214, 217n, 221, 222, 222n, 223, 223n. Testruna 29, 67 Tiora Matiene 65, 67,70. Transumanza 18, 21, 21n, 26, 26n, 27, 28, 58, 62, 91n, 104, 194. Tratturi 27

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Trebula Mutuesca 122 Trisugno 69, 135, 137, 138. Varia 74, 194, 196, 197n. Via Caecilia 117 Via Campana 91 Via Campania 225 Via Claudia nova 178 Via Claudia Valeria 213 ‘Via degli Abruzzi’ 62, 62n, 64, 64n. Via Flaminia ab urbe per Picenum inde Brundisium 150 Via Frustenias-Cerfennia 76 Via Litina 65 Via Minucia (Numicia) 116 Via Quinctia 71 Via Salaria 117 Via Salaria-Amiternum-Peltuinum-Incerulae-Via Valeria 84 Via Sublacense 198, 198n Via Valeria 194 Vicus Badies 84, 84n, 133.


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249



SIGLE

AICA AIME ASA BDASP BSSPA

= Annali Istituto Corrispondenza Archeologica = AntiquitatesItaliae Medii Aevi, VI, Mediolani 1742 = Archivio di Stato de L’Aquila = Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria = Bullettino della Società di Storia Patria Anton Ludovico Antinori negli Abruzzi (1889-1909) CDL = Codice Diplomatico Longobardo CIL = Corpus inscriptionum Latinorum CF = Il Chronicon Farfense di Gregorio di Catino DAT = Documenti Abruzzo Teramano DE = Dizionario epigrafico di antichità romane DESSAU = Inscriptiones Latinae selectae EE = Ephemeris epigraphica FSI = Fonti per la Storia d’Italia IGM = Istituto Geografico Militare ILLRP = Inscriptiones Latinae liberae reipublicae ILS = Inscriptiones Latinae selectae LL = Il Liber largitorius vel notarius monasterii Pharphensis MGH = Monumenta Germanica Historica MEFRA = Mélanges de l’E’cole Française de Rome, Antiquité NSA = Notizie degli Scavi di Antichità PBSR = Papers of the British Scool at Rome PL = Patrologia Latina (J. P. Migne) RASA = Rassegna Abruzzese di Storia e Arte RE = Realenzyclopadie der Altertumswissenschaft RF = Il Regesto di Farfa di Gregorio di Catino RS = Il Regesto Sublacense RST = Rassegna di Studi sul Territorio

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Indice

LE STRADE DEL TEMPO............................................................... pag.

5

PREFAZIONE................................................................................... pag.

9

INTRODUZIONE.............................................................................. pag. 13 PARTE GENERALE......................................................................... pag. 18 La viabilitĂ primitiva................................................................. pag. 18 Preistoria abruzzese................................................................... pag. 19 Siti preistorici in Abruzzo.......................................................... pag. 23 I Tratturi..................................................................................... pag. 26 I Popoli Italici............................................................................ pag. 29 La viabilitĂ romana.................................................................... pag. 34 Distinzione delle vie.................................................................. pag. 35 Tecnica costruttiva delle strade romane..................................... pag. 36 I ponti......................................................................................... pag. 40 I mezzi di trasporto.................................................................... pag. 41 Miliaria...................................................................................... pag. 42 Cursus publicus......................................................................... pag. 43 Itineraria.................................................................................... pag. 46

252


Viabilità romana in Abruzzo...................................................... pag. 53 Viabilità Medioevale................................................................. pag. 56 Viabilità medioevale in Abruzzo............................................... pag. 59 La ‘Via degli Abruzzi’............................................................... pag. 62 PARTE SECONDA - Le singole vie.................................................. pag. 65 Via Litina................................................................................... pag. 65 Via Quinctia............................................................................... pag. 71 Via Frustenias-Cerfennia........................................................... pag. 76 Via Salaria-Amiternum-Peltuinum-Incerulae-Via Valeria......... pag. 84 Via Campana............................................................................. pag. 91 Via Salaria (via Caecilia).......................................................... pag. 117 Via Flaminia ab Urbe per Picenum............................................ pag. 150 Anconam inde Brundisium........................................................ pag. 150 Via Interocrium-Amiternum-Beregra-Hadria............................ pag. 164 Via Interamnia-Castrum Novum............................................... pag. 175 Via Claudia nova....................................................................... pag. 178 Via Valeria................................................................................. pag. 194 Via Claudia Valeria.................................................................... pag. 213 Via Campania o Traiana............................................................ pag. 225 CONCLUSIONE............................................................................... pag. 229 Indice dei toponimi e delle cose notevoli................ pag. 230

253



Finito di stampare nel Gennaio 2008 da Gruppo Brandolini Via Aterno, 122 - Zona Industriale Sambuceto di San Giovanni Teatino (Chieti)



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