La morte e il chiodo

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Paulo Varo

la morte e il chioDo Dramma Tragico in 3 atti (La fine di Celestino V) Nuova edizione completamente rinnovata

orma del libro


Proprietà letteraria riservata © 2014 Ormadelibro Fondazione “Varo Pampana” - Fossa (AQ) Nuova edizione, completamente rinnovata - 2014 - mese di Gennaio È vietata la riproduzione della presente opera con qualsiasi mezzo senza preventiva autorizzazione dell’autore. Indirizzo: ORMAdeLIBRO - Fondazione “Varo Pampana” 67020 Fossa (AQ) - Viale degli Alpini, 11 - Tel. 346 0194713 paulovaro.blogspot.com paulovaro.pampana@gmail.com Le opere edite da Ormadelibro non hanno scopo di lucro ma solo di divulgazione. Nessun collaboratore percepisce compensi in denaro e il ricavato serve alla ristampa delle opere stesse sempre in misura amatoriale e solo per la copertura delle spese. La metà delle opere stampate sono date in omaggio a studi medici, ospedali, ambulatori, mezzi di trasporto, treni, biblioteche e omaggi personali su segnalazione. Tiratura limitata a 50 copie di pregio editoriale. Questa copia è la n. .......... ed è firmata di pugno dall’autore. ................................................................ Il quadro in copertina è opera di Rubens: “Davide e Golia”


Indice

Prefazione.................................................................................pag. 7 Dramatis Personae................................................................. pag. 13 ATTO I Quadro I............................................................................ pag. 15 Quadro II........................................................................... pag. 31 ATTO II Quadro I............................................................................ pag. 41 Quadro II........................................................................... pag. 59 ATTO III Quadro I............................................................................ pag. 67 Quadro II........................................................................... pag. 77 Quadro III.......................................................................... pag. 79 Pubblicazioni dello stesso autore.............................................pag. 95



Prefazione dell’autore

Da un gran numero d’anni germogliava in me questo dramma tragico sulla vita e la morte di Celestino V. Perché tanto fascino e tanto interesse? Forse perché era mistico, ed eremita, aspirazioni inconscie in tutti coloro che si ispirano al Buddhismo e all’Induismo. “Malattia infantile”? Forse, ma non c’è male più bello d’immaginarsi staccati dalle cose di questo “mondo pagliaccio”, liberi, nudi di tutti gli ori e gli orpelli che l’evoluzione (non la civiltà) ci ha dato. Purtroppo il mondo, Maya, ancora ha il potere di “ammaliarci” e ci fa credere che i sentimenti umani, politici, amministrativi, ideologici ed altro, possano cambiare il corso degli eventi e noi esserne protagonisi. Ma finalmente, e a caro prezzo, la realtà ci dimostrerà tutto il contrario. Noi agiamo, spinti dalle nostre passioni entrate nel Karma personale, dopo innumerevoli esperienze di vita in vita, tragiche e liete; e noi oggi, o ieri, o domani, siamo qui a raccogliere i frutti di ciò che abbiamo, con fatica e dolore, seminato. Celestino eremita lascia il suo eremo, dove ha conosciuto sé stesso e il mondo, quello “autentico”, che non c’è bisogno di vivere per capire, coll’illusione di poter cambiare gli eventi di una Chiesa marcita dalle fondamenta, perché non corrispondente più agli ideali di vita collettiva promulgata dagli anziani, all’inizio della storia cristiana. Si era illuso, col suo esempio personale, con la sua fede, di poter smuovere i cuori, ricondurli alla semplicità, all’onestà di un focolare, povero ma essenziale, sufficiente a superare le ambasce dell’esistenza. Ma nella selva degli uomini ci sono i lupi feroci, acquattati tra l’erba alta, pronti a sbranare altri uomini per diventare più forti di denaro, di ambizioni, di “gloria”, di sopraffazione. E prevarranno sempre. Ma mentre la storia li condannerà all’eternità per i loro misfatti e le loro delinquenze, gli eremiti, i sapienti, i consolatori delle anime nella sofferenza, rimarranno a guardia degli ideali universali al genere umano, che sono il rispetto, la disciplina, la lungimiranza, la fratellanza e l’amicizia, che condurranno all’Amore.

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Celestino V è un sognatore, ha in mente una Chiesa di origine, fatta di patriarchi e anziani, di giovani, di sacerdoti, tutti quanti in mutuo soccorso uno per l’altro, di povertà, perché nella povertà. non nell’indigenza, c’è la rettitudine della vita, il soddisfacimento dei bisogni primari, l’accettazione del Tempo secondo i ritmi delle stagioni, la fatica e il riposo, la Terra Madre che, saggia, comanda e i figli, riconoscenti, che si adeguano ai suoi insegnamenti. Ma l’uomo del suo tempo, e poi di altri, ha stravolto tutto, ha fatto dei salotti e degli intrighi, dell’oro e del delitto, un’altra realtà. È la fine. Questo capisce subito Celestino, non perde tempo, ha intuito che contro questo mondo non si può combattere, o se si fa, la batttaglia è perduta. Nessuno al mondo, né ieri, né oggi, ha osato prendere le armi per riportare la Giustizia, la Verità, la Libertà, ma solo per sostituirsi a chi già c’era. Si è predicato la famosa “fratellanza”, la “sinistra” fratellanza, la “comprensione”, il famigerato “perdono”, l’intollerabile “Amore”, che vuol dire: siamo tutti peccatori, o fratelli, non c’è più né bene né male, c’è solo bene. Tu ammazzi tua nonna a martellate? Niente paura: pentiti, e andrai in Paradiso. Ti penti e sei un eroe. Quello che hai fatto? Non conta più niente. Ma tua nonna ch’è morta a martellate, se tu vai in Paradiso, Lei, dove andrà? Duemila anni per arrivare a questo punto. Nel rifiuto di Celestino, così grave, c’è un resoconto di centinaia di anni. C’è il fallimento totale della Chiesa, la presa di coscienza di ciò. Lui capisce, ufficialmente, la sconfitta del suo sogno e vuol tornare al suo eremo, alle sue valli e alle sue montagne. Là, finalmente, è il regno di Dio!, ciò che un Dio auspica per i suoi figli: la pace, quella vera, fatta di pacificazione, con tutto e con tutti, perché questo è il sogno vero, il senso “vero” della vita. Ma il potere, l’ambizione, non gli permette nemmeno questo, lo rivuole prigioniero, quasi ottantenne, per l’ultimo oltraggio alla sua santità, alla rettitudine, alla sincerità. Bonifacio VIII, il perfido, lo tiene in sua balìa. Con la scusa, tutta inventata, per giustificare un misfatto, che Celestino poteva rappresentare un pericolo come un pensabile “antipapa” in mano a qualcuno, sarà ucciso, come dimostrano le lastre del suo cranio, dove si vede con chiarezza un foro rotondo, il chiodo, per l’appunto. Ma non avrebbe mai e poi mai, un uomo e un Devoto

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come Lui, accettato una cosa tanto ridicola. Al giorno d’oggi si direbbe di uno che rinuncia all’aereo per andare in America in cambio di una bicicletta. Si capisce che le giustificazioni degli scribacchini cattolici al riguardo sono, non solo offensive per la sua memoria, ma addirittura calunniose. Io, Non-Cristiano, rivendico la sua santità e il tentativo di voler sognare un mondo spirituale possibile e compatibile con la vita materiale. Nel terzo atto, è il colpo di scena: compare l’ANGELAZZURRO, un Giovinetto tutto colorato di azzurro, da qui il nome, mentre Celestino dorme, che gli parla a lungo e gli dà insegnamenti e conforto, per ciò che rimane di questa vita e per quella che verrà, quando tornerà a rimettere i suoi conti con le azioni di innumerevoli vite, prima di diventare “perfetto” e sciogliersi nelle braccia del Signore assoluto, da cui l’anima rifugge per tentare la strada di Maya, l’illusione. Angelazzurro è il suo consolatore, chi si rifugia in Lui troverà la pace che sognava, e quando “Lui” rivela a Celestino ch’è giunto il momento della sua dipartita, e glielo manifesta con la danza sacra, Celestino si preoccupa di sé e del suo confratello: ché non sentano dolore. E Angelazzurro li accontenta: si porta vicino al letto di entrambi, immersi nel sonno, e ostende le sue mani miracolose. Moriranno uccisi dalla ferocia del Potere, senza provare alcun dolore, almeno questo, ai buoni, agli onesti, deve essere concesso. I disonesti, i grassatori, gli assassini, i tangentardi, i ladri di regime, passeranno con i loro cadaveri, davanti al fiume della Storia. Il Saggio, il misericordioso, li guarderà senza commento. Il Karma sigillerà il loro destino, per tutti i secoli a venire. Paulo Varo Pàmpana Da Aveja Rinnovata, il dì 26 di Ottobre 2010 alle ore 10,50

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Pubblicazioni dello stesso autore I Canti (18) del trovatore Arnaldo Daniello - trad. dal provenzale Del Colloquio - Agopuntura cinese orig.le - Scritti di scienza - La neurosaltazione per l’emiplegico adulto. Il Pilastro (Pidauro e Codice di Mohari) La Bùccina e il mare (Conchilia) - poesie - nona edizione Sogni rusticani - Racconti - 3a ediz. Herbarium Compositum - Trattato di Fitoterapia Medica - in Codice La Comedianza - Poema - Nuova edizione in dieci canti Discorso al Congresso Unione Induista Italiana - Milano 1998 - Comizi - Interventi civili La Scoliosi idiopatica (il metodo PmP) - in preparazione Il Lago di Kama - Romanzo - in preparazione Trattato di anatomia umana - disegni Omaggio al divino Michelangelo - disegni Maschere italiane dell’arte e AA. - disegni Momenti della mia vita - autobiografia - (in preparazione) Teatro: La Morte e il chiodo - Figlia del vento solo - Ciano La Luna si fermò di camminare - poesie Arie di Roma andalusa (primi canti - Amate sponde, Blu celeste blu, Ballata per Meredith, Amarcantando) Centauro sogna (Il Fauno e la Ninfa - musica e satira) - poesie Isole tutte d’oro - poesie Melania - polidramma in un atto e tre momenti - testo e musica Il Gherardesco - opera lirica in tre atti - testo e musica - ispirata alla vita del Conte Ugolino della Gherardesca Vita e morte del centauro Chirone - balletto - testo e musica Paulo recita Garçia Lorca - CD Il Poeta e la Musa - CD - Recital di grandi poeti Le meraviglie della Ninfa Aveja - favole per bambini Madrigalia - Madrigali su testi di D’Annunzio - Michelangelo - G. B. Strozzi - F. Petrarca Pampanius - Ariosto - Lorca - Leonardo - Boccaccio - Elisa Scotto e altri autori Baghavad gita - il canto del Dio di tutti i Mondi universi - traduz. dal Sanscrito (in preparazione) Parabula - momenti di vita quotidiana, tra favola e lezione (in preparazione) Di là dai fiumi sereni - Poesie


… nec metuit surgentis Pampinus Austros…

Il Pampano non teme l’insorgere dei venti Virgilio Georgiche - Libro II verso 330 traduzione Paulo Varo



Paulo Varo

La Morte e il Chiodo (tragedia in 3 atti)

Dramatis Personae Pietro Celestino V (del Morrone) Mons. Vannozzi Mons. Oltraffi Messo Vescovo Primo Vescovo Ottavio Fra’ Lucente Fratel Di Cola Angelazzurro Bonifacio VIII Coro degli antenati (voci) Fra’ Cenno Fra’ Baldo L’incappucciato

Alla memoria del mio Maestro Thomas Stern Eliot e di Eschilo, il trageda

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Primo Atto

ATTO Primo

QUADRO PRIMO Una caverna assai ampia, in montagna, isolata da terra, a cui si accede con una ripidissima scala scavata nella roccia. La roccia ha davanti a sé uno spiazzo delimitato da grosse pietre, come un forte, o un castello. Dallo spazio tra pietra e pietra si può vedere nella valle senza essere visti. All’interno poche suppellettili essenziali e caratteristiche del vivere contadino. Un basto rovesciato con paglia serve da sedia. Al centro della stanza una grossa radice di pianta, con delle assi, funge da tavola. Suppellettili di rame e di coccio. Un focolare di pietra circondato da piccole pietre per delimitare il fuoco. Il fuoco è acceso. Alla catena, al centro di esso, una pentola borbotta. Di fianco al fuoco, su un masso squadrato, una conca di rame, piena di acqua e un ramaiolo appeso. Alcuni bicchieri rudimentali di stagno intorno alla conca. Pietro del Morrone in piedi davanti al fuoco, di lato, per ricevere la luce della fiamma, sfoglia un grosso libro da cui sporge, come segnalibro, una penna d’oca. D’improvviso nella stanza si ode un suono di campanella, breve, secco. Pietro s’irrigidisce, chiude il libro e ascolta. (Voci d’uomini e donne vengono dall’interno della grotta) VOCI - Benedetta ti sia, zi’ Fra’ la nostra compagnia - E il sole nella valle - E la luna di spalle - E l’erba nel prato - E chi d’una chiesa netta il sagrato - E la pecora su pel monte

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Primo Atto

- E la fonte benedetta sia - Alla donnetta della casa sua -

E la mucca, la mamma degli umani, dia il suo latte domani, oggi e sempre, buona sia la gente di questa contrada, e possa mai ricorrere alla spada per dirimer questioni

- E possa tu per questo gioire ,zi’ fra’, e non t’angusti, e tu possa dormire - E ti possa benedire qualche petalo di rosa che caschi dal cielo al mattino , e ti resti vicino. PIETRO Grazie, figlioli, grazie, Siete sempre buoni. In questo mondo matto che m’angustia, non si può dar mattoni! Qui la vita scorre lene; dolce vien la campana piccolissima, lontana, oltre la valle e il monte , e il canto del nostro fratello contadino tra le greppie del grano , s’accontenta di un po’ di polenta e un po’ di vino, e una costoletta d’agnello quando è festa. Qui, sotto di me, il vitello scuote la bella testa per cercar le tette di sua madre quando placida si mette al sole: cerca la forza per superare il brutto inverno, quando tutto il mondo è crudo.

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Primo Atto

VOCI - È’ brutto il mondo, zi’ fra’ - Ti ricordi che nuove ti portammo? - Crolla tutta la casa, zi’ fra’, crolla, e di macerie è invasa! -

Da questo all’altro mare scompare l’onestà, la santa religione e le persone fanno alle belve concorrenza.

- Sì, sì, alle belve compare! -

L’usuraio, che al povero che arranca in mezzo al mare dei debiti, si stringe in compagnia d’altri usurai e fa cartello, perché possa surpargli il sangue, a lui, ai suoi figli e alla mogliera.

- E questa è cosa vera, zi’ fra’! PIETRO Lo so ch’è vero, fratello, so ch’è vera. Ma sempre fu così: Da che si nacque si mette a novero! VOCI - Alla falce del povero il ricco s’allea col martello?! - E fu così che il mondo è stato bello?

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Primo Atto

-

il contadino fa lo grano poi fa l’orzo, va nel campo quando la luna comincia che s’imbionda, e si nasconde il sole sopra i gioghi del Sasso e alla Maiella nostra tanto bella

-

Quando poi c’è la carretta che t’arriva nella valle e in fretta il ricco è paludato con grande sua arroganza, ti svuota la stanza con quattro palanche, e lo ringrazi anche.

- Sì, sì, poi se ne va, ché cigola la ruota ma vuota è la cantina - Si fa alla buona. - E la ruota ti cogliona! PIETRO Il mercante fa la sua via, fratelli, la vostra l’avete già fatta. VOCI -

O sì, zi’ fra’, dal mondo dove siamo si vedon gli errori, e tante angosce, che procurammo per niente a un gran mucchio di gente.

-

Oh, sai, zi’ fra’, prenditi il sacco e vai a dire alla gente cos’è repellente, che noi soffriamo per le ingiurie che abbiamo fatto

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Primo Atto

- Sì, di quel che abbiamo preso tutto ci è reso, in questo mondo. PIETRO Oh, piegate al Signore le ginocchia fratelli, lui vi perdona; ch’è venuto a fare? - Non t’illudere, fra’, che il mondo non ha fine - Se pensi che tutto abbia un confine zi’ fra’, ti sbagli, noi vediamo ciò ch’è vero, di qua, da questo muro - tutto ti vien pesato - E chi ha comprato - ha pagato. PIETRO Lui vi perdona, ch’è venuto a fare? VOCI - Bestemmi, zi’ fra’, con questa ostinazione. - In questa condizione aspettiamo che l’energia vitale ci ridìa un’ altra vita, -

quel che abbiamo aborrito aspettiam che un corpo nuovo ci ridìa l ’aìre per rifarci nel bene, o male, con che ci dilettammo. PIETRO

Lui vi perdona, ch’è venuto a fare?

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Primo Atto

VOCI - -

Bestemmi, zi’ fra’, con questa ostinazione! Il bene e il male non li cassi via, con un po’ d’acquetta, o fumo, o quattro querelle buone

- Prendi la sacca e vai, zi’ fra’, la gente aspetta un mondo diverso ché tutto quel che fu finora fu perverso - Non vedi tu che mondo fu fatto? - Tu pensi che sia buono un mondo di piagnoni e questuanti? - Lamenta lo schiavo una carezza ma non è un uomo, è un servo. - Gli uomini veri son paganti. PIETRO Lui vi perdona, ch’è venuto a fare? VOCI - Ma quanta ostinazione, zi’ fra’, - t’accorgerai fra poco… - di quel che t’avverrà ! PIETRO (preoccupato all’improvviso) Che minacce son queste, anime inquiete? Che c’è? Cosa mi nascondete?

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Primo Atto

VOCI -Ci piange il cuore, sì, perché ti amiamo fratello nostro, santo ed eremita, ma per te la vita si fa breve, salirai così in alto, tanto in alto, che un’ aquila non possa sopportare. Potrai cambiare il mondo e tutto ciò ch’è tondo far diventar quadrato ma non avrai più il cuore di regger tante altezze; e tutte le bassezze sapresti confutare, se volessi, fratello, ma come da quassù siam noi, sì, come io t’odo, la sorte tua fu sopra un chiodo scritta. PIETRO (impallidisce, terrorizzato. Da un muro si stacca un lungo chiodo e gli cade ai piedi. si ritrae spaventato e inorridito.) Angeli santi! Ch’è mai codesto segno a un povero eremita peccatore? (Si fa la croce ripetutamente) Anime buone, se sapete dite: che c’è per me lassù? Temo capire... Dio grande, Dio!... dindòna giù nella valle, un carro, chi si avanza? VOCI (Tutte insieme) - Miserere di te, nostro fratello, (Lo scampanellio si avvicina sempre di più, sotto la costa del roccione dov’è la grotta di Pietro Eremita)

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Primo Atto

VOCI DA SOTTO Ehi! Buona gente! Dite!... PIETRO (fa un cenno con le mani perché le voci di dentro cessino. Si ritrae timoroso e avanza per poi ritrarsi. È incerto se rispondere no.) Chi è là? Ditemi , gente! UNA VOCE Il messo della Chiesa Santa Cattolica, apostolica e romana UN ‘ ALTRA VOCE Pietro è lì, Pietro Eremita, Come ci fu detto? PIETRO Pietro c’è, buona gente, è qui che aspetta e che al presente onori la vostra ambasceria. Girate la rocca a mano manca, lì c’è un agnello, e lì che mangia, lì c’è la scala a pioli per salire. (Tende l’orecchio per ascoltare e sbircia timoroso dai sassi che proteggono l’orlo della grotta dallo strapiombo. Si sente avvicinarsi uno scalpiccio, delle voci affannate per la fatica.)

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Primo Atto

QUADRO SECONDO

(Sulla soglia appaiono due vescovi, due servitori, due giovani paggi, due francescani) PIETRO Benvenuti da Pietro, l’Eremita, ospite del Morrone dietro alla Maiella. A che devo, eccellentissime vostre, onorar questo sito, che a questa gente rende tanto onore, magari immeritato, tanto d’aver sentito in me l’onestà, la Fede, la Speranza che son per me le regole di vita? MONS. OLTRAFFI Fratello in Gesù cristo, poiché fui votato a Dio, sappi che a Roma è vacante il trono di Pietro spettava di diritto. Sai tu perché! MONS. VANNOZZI Orgoglio, superbia, avarizia, là, terra di Simon Mago, fratello, ecco la storia com’è. MONS. OLTRAFFI Sì, c’è gran discordia, tra le genti, tutte, di Francia, o di Spagna, di Fiandra o d’Alemagna, o le terre del gelo, e tutti vogliono il cielo toccar col dito, tutti, buoni o farabutti dentro ogni casa lo squarto ha preso tutti.

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Primo Atto

PIETRO Dio vi guardi, signori, che mi dite?

MONS. VANNOZZI

Sì, sì, fratello, credi, per l’anima mia, e nostra! Qui non saremmo noi, non qui, se la “robba” non facesse gulia per gli avidi guadagni fatti sopra i poveri e i cafoni da noi preti, dai nobili e i baroni, sì dai baroni, Dio l’inganni tutti! MONS. OLTRAFFI è per questo, fratel nostro eremita, che siamo qui presenti. Troppi mesi si son presi costoro da ch’è vacante il trono pastorale. E allora pensavamo che un santo ci potrebbe levar dal male se salisse quella scala a riordinare il giusto e il buono, e povero alla mensa a dispensare quel che si può, un giaciglio, un ospedale, e poi dei bimbi orfani rimasti e vedove sole, a rastremare i prati al freddo, al gelo, un misero ciuffo di cicoria; ecco com’è la storia, fratello, manca una guida al mondo che dia sostentamento allo spirito umano, con un pezzo di pane e un po’ di polenta. Chi soffre si accontenta e si devota a Dio e non cerca la mala via, di brigante o di assoldato di cattiva compagnia.

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Primo Atto

PIETRO O Dio, che male sento qui nel petto mio! Che pietà, ma che rimorso io n’ho! qui m’è lontano il mondo e giocondo m’è il sole del mattino quando mi veste la Maiella il fiore e nel cuore mi canta a sera mia madre luna, quando lenta assopisce la fonte, il grano e gli armenti e da lontano contenti i lavoranti cantano della messe il giorno lo stornello, lo strillo, la baldanza della figliolanza, e fuori è il mondo! MONS. VANNOZZI E fuori è il mondo, fratello eremita, ha bisogno di te, o santo di questo incantato monte. Chi ti può per questo biasimare se tu dovrai lasciare questo sogno di nuvole cinte d’oro e la pace che veste questo agreste mondo contadino! Anch’io, se non avessi questo ridicolo orpello, qui starei con teco, a vivere una vita tra la falce e il grano ma è tra l’umano mondo che un Dio ci volle a dare il nostro conforto a questo distorto bordello. PIETRO lo tremo, eminente mio fratello dentro il cristo! Sai tu quant’anni vi passai su questi monti? Ero quatràno che alle gregge al monte mio padre mi mandava, una strozza di cacio e pane di polenta e prima che lenta si facesse la luna

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Primo Atto

portavo a casa il gregge, e di mia madre il compenso era la ninna nanna. Ma un giorno un nuvola scura dietro alla foresta della Storta lanciò saette, un urlo, al fuoco, un albero schiantò, e si compose a croce in quel luogo bruciò. Lo presi come un segno e qui mi tornai per viver da eremita, ché qui capii la vita, senza cure senza affanni, e senza danni. MONS. OLTRAFFI Bene dici, o fratello santo, o mio fratello in bene! ma il mondo t’aspetta, aspetta te che porti il tuo valore, che dentro il cuore tieni, e tutti sanno chi sei, tutti lo sanno. PIETRO Su dunque, eccellentissimi signori, fate ch’io mi prepari al gran viaggio, la mia bisaccia fatta dal mio avo, il mio pane e cacio, un po’ di vino, e l’erbe della Maiella disseccate al sole. Precedetemi. (La compagnia esce in fila indiana. Pietro rimane solo e a malavoglia comincia a riempire la bisaccia. Si guarda intorno nella grotta indugiando in ogni angolo e su ogni attrezzo, come se li vedesse per l’ultima volta) LE VOCI - Allora, zi’ fra’, t’hanno fregato (ridono) - I lupi si vestono d’agnelli... - Sta’ attento, zi’ fra’, tu puoi cambiare

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Primo Atto

questo storto mondo o piegarti al male andazzo. Perché temer, se Dio è con te? Fatti valere

- Zi’ fra’, fatti valere - Lo spirito del Padre veglia in te, Non dubitare. PIETRO Andrò e vedrò, o fratelli della notte, siate vicini a me in quest’oscuro giorno della vita, ché ancor non è finita, come voi vedete. (Pietro esce dal fondo della grotta. Tacciono le voci.)

FINE DEL PRIMO ATTO

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Secondo Atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO (Siamo a L’Aquila, nella sagrestia della Basilica di Collemaggio. Pietro del Morrone è seduto su una poltrona e sta aspettando che venga un messo da Perugia dove si sta svolgendo il conclave. Ha intorno a sé i Monsignori. Li guarda di sottecchi, li pesa, vorrebbe parlare con entrambi ma tace.) (Entra un messo trafelato) MESSO Padre Pietro dal Morrone, il Santo Conclave di Perugia vi ha nominato Papa con voto unanime, è quanto m’han detto di voler riferire ma devo ripartire col nome da pontefice che vi darete or ora. PIETRO Dirai che il Papa, che fu prima Pietro, si chiamerà Celestino, il quinto, e dal Morrone! Riferisci le parole della Profezia: “Colui che viene andrà, colui ch’è andato giammai ritornerà” (Con un inchino il messo esce di scena.) VESCOVO PRIMO Santità, vi vedo assai preoccupato, forse perché le genti son venute a Voi a parlarvi del mondo e delle materiali ambasce... fors’anche della Chiesa... non sempre il mondo va come vogliamo, perché siam uomini, umani, in carne ed ossa, noi siam peccatori, perdoniamo alle bassezze, e che Dio mandi avanti la Sua Chiesa per farne buona luce.

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Secondo Atto

CELESTINO V (Lo guarda a lungo negli occhi senza parlare, con aria solenne, di rimprovero, come se non avesse sentito le sue parole.) Dio, quanto male che vedo intorno a me! Quanto rancore, e invidia, malvolere, dissimulati sotto gran sorrisi, e dove è più l’azione buona che porta alla santa devozione?! Tutti in lotta tra loro, tra famiglie fieramente avverse; i figli e le figlie son ostaggi dei Padri, come merce da mercatare, in dare e avere, e la discordia nella stessa famiglia, tra fratelli e sorelle, tra cugini e padri tra nipoti e compari, e via dicendo; e la licenza dei chierici e dei nobili. Lussuria geme tra piante e ruine, tra le stroppie e i covoni, e l’avarizia scardina la casa e fa prepotenza al povero, al bimbo, al vecchio, e a vedovanza, che ha il marito in guerra. E a regger le fila della corruzione, madre è la Chiesa, senza moderazione. E la Fede dov’è? Dio benedetto! si torni indietro, ai giorni grandi cui si spezzava tra i cristiani il pane, i figli dei Devoti eran di tutti, e tutte le donne a mesticar farina e pasta, e il désco era in comune, e la preghiera pure, e il povero teneva satollanza, e Amore, e le cure della Comunità eran gli anziani e dalle mani loro usciva il seme del buon governo fatto di pazienza, e di sapienza; e le cure dei re, e le lotte, non eran dell’ecclesia.

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Secondo Atto

MONS. VANNOZZI Oh, Santità grandissima, Vi prego, tacete! Vi prego, giù la voce!!.. (impaurito) a ragionar così finisce a male! Oh, di me fidatevi, Vi prego! Anch’io, anch’io, ho nostalgia di quel bel tempo agreste, quando l’Amore entrava nelle grotte, e semplice era il costume delle genti, quando la vacca pascolava e come una madre dispensava il latte ai figlioli, e il baldascetto allietava il coro dei villani con lo zufolo, e ne faceva con l’otre una zampogna. Ma oggi, Santità, non è quel tempo! Gira l’invidia per chi sa, l’odio depreda il debole, il ricco non si sazia, l’ingorda sua bocca riduce al lumicino quel che il povero produce e gli assoldati, Dio non li abbia in gloria! razziano campi devastando il mondo della povera gente. Oh, che farete, allora o Padre Santo?! Di fronte a tanto male, che farete? Giù la voce, perciò, ché questo è il sale del mondo, e a ragionar così finisce a male! CELESTINO V E che volete voi, o Signori, da me, se voi siete colonne a questo tempio?! Voi deprecate il peso e sorreggete il tetto? E dov’è l’intelletto, o Dio Grande, dove sarebbe la ragione? Ci vuoI coraggio, o Signori, partendo da noi stessi, se vogliam cambiare; Che può fare un sol uomo, se non ha chi intende? E chi l’aiuta a portare il mutamento, se c’è colui che ignora

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Secondo Atto

lo scontento? È una pianta, la Chiesa, ha tanti frutti, ma se cadono a terra e niun li salva, fan da concime e basta. Così ricominciamo, è l’esempio che attira li popoli al ben fare, basta spezzar la pigrizia che tiene tutti sottomessi al Tempo, ch’egli è, sì, il grembo di Dio, ma è fatto a riposare e non poltrire. Così, su, creiamo il cambiamento, andiamo alla gente senza inganni... (entra un vescovo con alcuni arnesi da viaggio) VESCOVO OTTAVIO Padre Santo, son le some allertate, muli e cavalli, e i servitori pronti per Roma, con le insegne, e il Santo Sacramento, e già i turiboli benedicono l’aria del viaggio. CELESTINO V Non Roma, no! La meta nostra è qui, L’Aquila è meta, e i suoi selvaggi monti, e le foreste, e quella neve che sterilizza nel freddo le passioni e dove i buoni diventino i migliori e i tristi non peggiori ma, anzi, sulla via del bene. Andiamo, ma a fare la Porta Santa, il nuovo Pietro: con le indulgenze, sia il nuovo punto di riferimento per chi dello spirito vorrà il sostentamento suo.

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Secondo Atto

MONS. OLTRAFFI Santità, ditelo solo a noi di questa vostra ragione, potrebbe parer scismatica la cosa... sapete ben!... due Vaticani… per chi non vuol capir le intenzioni... del Bene che vi son senza dubbio nascoste... CELESTINO V Fu scismatico Mosé, quando portò Israele a vagar nel deserto quarant’anni? O non piegò l’ardire, col pugno e la carezza, quel popolo così ribelle a Dio, che non voleva veder le leggi, che sole uniscono i popoli nel bene, non la licenza? MONS. VANNOZZI Sì, in fin dei conti una bella processione smuove le folle dei fedeli e appaga le loro istanze, e le rende migliori, e le allontana dalla tentazione al male. CELESTINO V Oh, è un po’ di più di un bel contentino, “cardinal Vannozzi”, noi non siamo superiori, è qui l’inganno, perché i popoli hanno tanto a soffrire, ed è l’intera società che, dal di dentro divien “comunità”; se noi da veri apostoli non torneremo ai tempi antichi, quando noi fummo “patriarchi”, e non padroni, servitori, e non re. Lasciamo dunque gli agi nostri e siamo tra la plebe, in misura ordinata siam con loro.

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Secondo Atto

MONS. OLTRAFFI E in che modo lo saremmo, se una regola ci lega ognuno a un ordine? Faremo noi “disordine” nei ranghi che ci spettano proprio per tradizione? CELESTINO V Fedeli, quante ore ha il giorno unito con la notte? MONS. VANNOZZI Ma... santità... ventiquattro son le ore, un giorno intero... CELESTINO V E allora dividiam le ore in quattro, come in un anno le stagioni, e mutiamo le regole di approccio verso le plebi lacere e scalze. Le sei prime ore scenderete a loro a lavorar di braccia, nei campi, nelle stalle, a pascolar gli armenti e lì sarete gli anziani di una volta, con loro mangerete pan di farina che vi sarete guadagnati, ma anche i riti e la preghiera costante. E le altre sei sanerete, con l’erbe e la sapienza ch’ogni convento ha per tradizione; e la meditazione altre sei, contemplando i misteri della fede, il silenzio e la pace della vostra cella. Poi ci sarà la notte e il buon riposo. È questa la missione che ci aspetta, o fedeli.

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Secondo Atto

MONS. OLTRAFFI Ah, non c’è dubbio: questo è un bel quadro indubitabilmente esatto, Santità, non fa una piega: preghiera e lavoro eran la meta dei monaci al convento, un antico ideale che si perde nel bel tempo dei padri fondatori, ma oggi tutto è cambiato, tanti figli ci sono per famiglia, perché breve è la vita, e molti si danno alla santa religione per sfuggire alla fame, al freddo , all’intemperie, alla fatica, male vedrebbero il tornar nei campi a rassettare i buoi e a riportare le mandrie a pascolare. MONS. VANNOZZI La terra, Santità, non fa pel monaco, lo sbirro, il cavaliere; il nobile mestiere è l’ozio, è il vedere piegar le schiene agli altri, perché son superiori, e tali si reputano davvero. I conventi sarebbero deserti dentro un mese. CELESTINO V Amici, carissime eminenze, avete mai sentito parlar di “disciplina”? Non parlo di tirannia ma disciplina, che regge ogni cosa mortale intorno a noi, ché tutto va preciso al suo disegno. Chi lavora di mano e chi d’ingegno adopra il suo mestiere. Quando il caciaro s’alza la

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Secondo Atto

mattina, anzi l’alba, munge il bestiame e con regole al fuoco riscalda il latte e col suo garbo ingabbia alla fustella, lo sala e acconcia perché si maturi in luogo deputato alla bisogna; e non è regola questa? E che dire del fabbro, nella sua officina, quando infoca la morgia e il ferro ammolla, e poi lo batte col martello e lo lavora in aratro, in rastrello, in lancia o spada, nella brocca o padella? Se n’esce dalle regole fa male a sé e agli altri che gli stan vicino. Ogni mestiere al mondo è regolato di leggi, anche l’opre d’ingegno, anche il notaio, lo scrivano, il prete. Anche il monaco nel proprio romitaggio acquisisce i poteri che lo fa simile a un Dio ma che versa sui popoli meschini, perché la fede migliori, e non li faccia simili a un gatto, a un cane, a un cavallo. E allora voi non vorrete una regola per fare il mondo diverso, più giusto, un po’ più bello, meno matto di quel che appare ai mortali? MONS. VANNOZZI L’intendimento è bello, visto dall’alto, ma dal basso, se non c’è volontà dell’individuo come farete voi a stabilir di nuove leggi, e a chi? L’unica strada è l’esempio, e chi fatica per primo troverà chi per secondo alletti. Or ecco il messo che mandai…

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Secondo Atto

CELESTINO V Sì, passi il messo, passi… MESSO Santità, in città tutto è già stabilito; devota gente scende il monte e sale il colle Magno, muratori e scalpellini danno gli ultimi tocchi, la santa porta è pronta all’apertura, diaconi e chierici aspettano con ansia le indulgenze promesse e già tanti pellegrini si mettono in marcia per la data prevista da vostra Santità: il giorno ventinove d’agosto d’ogni anno, nel giorno stesso in cui la tiara cingerà il vostro capo benedetto. CELESTINO V Ma allora sarà, domani, domani è il ventinove d’agosto. Su via, andiamo a coricarci, l’alba non è poi tanto lontana. Ho scritto delle nuove preghiere per le cerimonie, ché queste rimarranno per i tempi a venire, e lo Statuto Santo, dormirà nella sala al Municipio. Vi sia buona la notte, a domani.

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Secondo Atto

QUADRO SECONDO (Siamo al pomeriggio del giorno dopo. È finita la festa e le cerimonie. Il Papa Celestino V si ritira in una stanzetta con alcuni devoti e due cardinali giunti or ora da Perugia.) MESSO Bellissima festa, Santità, mai s’era vista così tanta gente passare il monte e il piano. Persino i contadini, e i pastori , con le pecore e il grano seguivano i cortei, con le zampogne, e ai piedi le ciocie, coi cappelli su in testa, e la mazza di tiglio che batte il cammino e fa compagna la via. Le mucche, e i somari, e i campanelli, e un mucchio di frati preganti usciti numerosi da decine di eremi e conventi, con le croci e gli ostensori, le bandiere, e le faci di sego, e le donne, le donne, nostre madri, e sorelle, tutte quante in pompa magna, così belle in pettorina e gonne di flanella, e in capo la pezzuola che le para le trecce, e al collo i monili che furon di lor genti passate, ed agli orecchi colorate pietre, e i fermagli, e le scarpette, e le calze di nappa ornate. Poi venivano seco i quattranitti, dolci anche loro, con panciotti e sottanine, e l’aria d’importanza, e le femmine a vedovanza, nere e lucenti, come di speranza nuova, come se vivessero un tempo che non c’era, e che sarà migliore.

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Secondo Atto

CELESTINO V E vidi anche nella folla tirar carrette di giovenche e buoi colorati anche loro, i nastri e i fiori, a mazzi tra le ruote, legati con i salci della Rivera e lo stuolo di donne con le conche che parevano andare a danza. MESSO Sì, Santità, eran le donne di Poppleto, dalle cinte d’oro, e i carri di Amiterno antica, donde le catacombe, che furono dei nostri antichi tombe di roccia. E... (Entra trafelato un monaco dalle vesti sdrucite, dall’aspetto selvatico, di chi è abituato alla lontananza dagli uomini. Gli fa cenno di silenzio e lo chiama da parte. Celestino ordina a tutti di uscire.) FRA’ BALDO (spaventato) Zi’ fra’, è arrivato or ora il nostro beneamato fra ‘ Cenno, ch’è ferito a morte. Stava a traverso d’una mula con che un contadino benedetto lo sottrasse a di sicura morte. Vuole parlare a teco, subito, ch’egli ha notizie gravide assai di sciagura. Io t’avvisai, zi’ fra’, che i lupi non stanno alle foreste, ma che dell’uomo s’ha ad aver paura, E queste son le primizie! (Entra fra’ Cenno, portato per le braccia da due contadini che lo stendono sopra un tappeto. Gli mettono un cuscino sotto il capo. Il confratello ha ferite dappertutto, la faccia è tumefatta, parla con un filo di voce.)

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Secondo Atto

FRA’ CENNO Zi’ fra’, pace a te, in nome di Cristo e San Giovanni! Poco mi resta in questo mondo, matto, di belve assatanate. Caetani, il Cardinale, lo sentii parlare, nascosto nella cesta del camino, con un altro cardinale. C’era la morte per te, nei progetti: ché tu eri vecchio, e sprovveduto, santo sì, ma incapace di tenere le redini di Pietro, e che in dispregio tenevi Roma Vaticana, e che volevi far dell ‘Aquila, povera, e semplice, e devota, la nuova Roma di spiritual sentire, come d’oggi si sente covare nei conventi, nell’ardore d’un mondo più pulito. Fraticelli alla cerca e alla preghiera, e no ai broccati e alle sete, e a tutti quegli orpelli che non vollero certo gli apostoli e gli anziani. Ora sta a te, zi’ fra’, se metti tutti in riga, o se soccombi alla violenza altrui. Guarda che fanno a me, zi’ fra’, perché m’hanno scoperto. CELESTINO V E come fu? Dio grande, come fu? FRA’ CENNO Dentro una grande cesta mi nascosi, dove si pongon le legna del camino. Caetani, il Cardinale, un satanasso! ebbe sentore che qualcuno udisse. Balzò alla cesta e m’agguantò alla gola. (Uccidilo) disse l’altro, bianco in faccia, e lui cavò uno stilo dal

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Secondo Atto

petto e mi colpì, ma il tiro primo non mi fu mortale. Poi con un legno mi perseguitò, così come tu vedi, ma giù dalla finestra mi buttai, e sopra fui d’un carro di letame messo in salvo; Poi un contadino subito mi celò ai pretoriani, e quivi mi portò, ma come tu vedi zi’ fra’, sii benedetto! Ora io me ne vo’, tu prega per me innocente ch’ebbi ventura di trovarmi in gioco più di me forte, ma volli che sapessi che la morte vola su di te, zi’ fra’, o nostra Santità... (spira) CELESTINO V Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam! Lavatelo, vi prego, ch’egli abbia degna sepoltura, ma segreta, mi raccomando, che nessuno lo sappia dove sia, né ch’è arrivato da me, né che ha parlato. Si prenda una cesta del bucato e sia portato, poi tenetemi addotto... ed ora, via!

FINE SECONDO ATTO

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Terzo Atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO (Ambiente: Rocca di Fumone. Papa Celestino V non è più tale, si è dimesso dalla sua carica ed ora è prigioniero nelle segrete del castello. Ha con sé un servitore amico, fra’ Baldo, che dorme in una stanzetta attigua alla sua. FRA’ BALDO Stavo bene lassù, zi’ fra’, in mezzo ai nostri monti. La primavera scioglie i ghiacci e dalla terra nuda già si vede la peluria dell’erba, le pecore sognan già gli spazi là dove il monte tocca il cielo azzurro, e dagli stazzi non vedon l’ora di tornare in libertà. La libertà zi’ fra’, è quella che vedi la mattina quando si sveglia il sole, e nessuno t’organizza il lavoro ma tu scegli. Ora sei qui, zi’ fra’, teco m’hanno portato per farti compagnia, e servizio, che faccio in obbedienza e carità, come un dovere di figlio verso il padre, e di nipote al nonno. Stai pur contento, ché non fu tua colpa se ti presero a forza, quasi, tra l’inganno e la minaccia, per i loschi disegni che niente avevano a che fare col santo Sacramento. Per fortuna hai lasciato l’inganno e sei tornato libero, zi’ fra’, come quando s’andava per i boschi e l’òlace coglievi, su per i monti a capo alla Maiellà, e fino a dove il Sasso Grande dorme di neve quasi tutto l’anno. Un giorno, presto lo spero, ti

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Terzo Atto

rilasceranno; che se ne fanno di te, d’un eremita santo e giudizioso? Move le genti un uomo pio, da solo, molto più che delle folle serve ed adoranti dietro un emulo di Dio. Questo, ha il potere delle chiavi umane, quello, del cuore d’ogni uomo sincero, che ha dentro di sé la verità d’un Dio amoroso, che nel nostro cuore silenzioso alberga. PIETRO D.M. E sacrosanto quel che dici, fratello, sono felice che tu sia comparso un’altra volta ancora, prima d’un altro viaggio, il più importante. Ora io ti dirò perché mi rifiutai: la battaglia con gli uomini è buona se serve, nel confronto, a costruire, ma se distrugge è nulla cosa: è guerra, ed io voglio la pace e non la guerra! Perché, se no, mi feci un eremita? Devi sapere questo, e parlo basso... ché un demonio ascolta: dalla mia stanza di notte, sento, fremebonda, una voce... FRA’ BALDO (impaurito, con gli occhi spalancati, si fa numerosi segni della croce) Oh, Santubaldo benedetto!!! Una voce??? Dio ti guardi, zi’ fra’, quella chi era? PIETRO D.M. No, non temere, ché non era una voce sovrumana, anzi umana, troppo umana. Dentro un tubo di ferro,

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Terzo Atto

che dall’alto della stanza scende per portar la voce a basso, si sentiva un fracasso, e un ululare: (Celestino, che ti guardi Iddio... Tu non sei quel prescelto... ma degli uomini il frutto della fretta, dell’arroganza secolare che porta al male la gente veritiera. Tu non sei degno di cotesto impegno, ma Caetani è colui che vuole il cielo al tuo posto, per riparar la Chiesa dal male dei nobili, e dall’armi loro. Fatti in là, Celestino, Dio ti guardi se non lo farai, ti guardi!) Voce lupegna, piena d’odio animale e d’ambizione. Mi faceva male quando sentivo nella notte scura montare la paura, non della superstizione, ma del malanimo d’un uomo che vuol esser Pietro ma che sarà ass... FRA’ BALDO Oh, Dio, che dici mai, zi’ fra’... che Dio non voglia mai questa... PIETRO D.M. …ma che sarà assai lontano dall’essere un apostolo, dicevo. FRA’ BALDO Ora capisco, tutto si fa chiaro, sarò un povero scarfòne, e montanaro, ma ora sento che un grosso pericolo s’impone; zi’ fra’, scappiamoci da qui,

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Terzo Atto

per Santubaldo! Da questo Sasso, poi che il tetto è basso! e periglioso! PIETRO D.M. Sì, o fratello, fuggi, ma da dove? Non si sfugge al Destino, non si sfugge, me ne parla ogni notte Angelazzurro quando m’appare in sogno e mi dice: «il male e il bene sono una ruota che torna al raggio di partenza. Chi li mette in moto conseguenza ne paghi». È l’eterno giro delle nostre azioni in che ci dilettammo, più del male che del bene e vita dopo vita, come negli antichi insegnamenti, poi dispersi. FRA’ BALDO Ora chi è quest’Angelazzurro? Quando ti sento che parli mi si ferma il fiato in gola, non c’è parola che mi calmi, sento una cappa nera che scende da ‘ste fraciche mura. PIETRO D.M. Fatti cuore, figliolo, e mio fratello in Gesù Cristo, non temere: mai non ci fu che cosa non avesse un capo. E un sogno bello, credi, vedere l’Angelazzurro che si muove danzando nella stanza e sorridendo. Non c’è del male in Lui, ma tanta è la pace che da Lui discende, sembra un fiume da valle, su, da noi...

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Terzo Atto

Muovon l’aria le mani in armonia e il mormorar di flauto, mi ritrova in quelle dolci nenie dei pastori, quando vanno all’amata, a far la serenata, in piena notte di luna. Poi si siede e parla e dice cose diverse, mai sentite prima nei nostri insegnamenti. Sembrano favole ma le sento vere; strano, ché novità mi spetta proprio quando il fiume finisce a va alla foce. Son vecchio, tanto, ormai, nei pochi miei giorni, ecco, o Dio, gli arcobaleni... FRA’ BALDO Se è un angelo, zi’ fra’, digli che porti noi due lontan da qui, non ci ha forse le ali? che gli costa? PIETRO D.M. Vedrai, ci porterà, Lui ce lo dice, apprestiamoci al viaggio, che sarà molto lungo. Senti, che parole ha detto: «certa è la morte per chi nasce, certa è la vita per chi muore.» Che vorrà mai dire? Tra gli antichi patriarchi ci fu chi disse questo; Costantino Imperatore con sua madre venne e lo distrusse, e questo forse, non fu bene, se questo è il mondo che n’è risultato.

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Terzo Atto

QUADRO SECONDO (Su una scala ripida, a sinistra della scena, mascherata da tendaggi, e non visti, ci sono due figure, una vestita di bianco e un uomo incappucciato che confabulano sottovoce. L’uomo in bianco ammicca con la mano in direzione dei due.) FRA’ BALDO Quel che dici, zi’ fra’, non lo capisco: io m’intendo di capre, di gregge, di pane, e di carri pieni di letame, ma credo proprio al santo Paradiso, e se questo è vicino o lontano non so, ma se Dio consentisse, vorrei stare con teco ai tuoi piedi, quando tornerà l’arcobaleno. PIETRO D.M. Stanotte “Lui” verrà, Angelazzurro, e solo in sogno, in gran silenzio apparirà, per darmi tanti nuovi insegnamenti, che domattina ti ripeterà, da discepolo a Maestro, da fratello a padre, ultimo e primo, ma soprattutto “Lui” ti dà la pace, e il calmo pensiero. “Lui” ti guarda, e lo guardi, e poi non parli, ché parlare nuoce. Lo contempli, e lo ami, e ti plachi, e nulla è voce, e amando, e solo amando, è il suo comandamento. FRA’ BALDO Sii benedetto, zi’ fra’, ché tu sei degno di parlar con l’Angelo! Oh, potessi

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Terzo Atto

vederlo anch’io! Gli chiederei di portarmi lassù, sulla Maiella nostra, insieme a te, però, dove la ginestra al sole è gioia, tra la frescura e l’acqua di montagna. Se tu volessi, zi’, fra’, diglielo, via... quest’ignorante fraticello, una parola buona gli dìa, per la sua prigionia con teco. PIETRO D.M. Non dubitare, fratello, va’ per coricarti. Ti sia felice il sonno, dormo anch’io. Domani è un altro giorno, ancora.

QUADRO TERZO (Fra’ Baldo si corica in un angolo della stanza. Pietro si stende sul giaciglio rivolto verso il palco. La luna è fioca, un lume viene dall’alto ma non diretto su di lui, tanto da permettergli di essere notato nei suoi lineamenti. Dal centro della stanza comincia ad emanarsi una nuvola piccola, di fumo color azzurrognolo. Il silenzio è sovrano. Spunta dall’ombra la figura di un giovane sui vent’anni di età. Indossa dei pantaloni azzurri, tipo pigiama, stretti in fondo alle caviglie; sul torace una camicia azzurra gli scende un po’ sopra le ginocchia senza cuciture sul davanti, né bottoni. Ha capelli neri, lunghi, sciolti sulle spalle e tenuti insieme sulla fronte da una fascia, anche azzurra, che gli pende di lato. Si diffonde nella stanza una musica di tipo indiano, leggerissima. La figura comincia una danza lenta ma precisa e muove le mani vicino al corpo di Pietro del Morrone. Le mani mimano il risveglio del dormiente come a chiedere la sua attenzione, poi si fanno frenetiche, descrivendo una scena violenta come di un uomo che dorme e un altro, incappucciato, che gli si avvicina con una mazzola in mano, ed un grosso chiodo, e fa l’atto di colpirlo alla testa. Poi le mani si placano e lo accarezzano, e accennano alla leggerezza del suo corpo, e indicano che salirà in alto, sopra le nuvole, in un luogo pieno di beatitudine. Dovrà avere pazienza, ché gli aspetta un futuro migliore, pieno di felicità e di gioia senza fine. Il giovane smette di

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Terzo Atto

danzare e si siede sopra un largo cuscino di raso rosso. Incrocia le gambe nell’atteggiamento dello yoga classico e con la mano, molto lentamente, in direzione di Pietro che dorme, lo invita ad alzarsi dal giaciglio e sedersi sul suo letto. Pietro si alzerà ma i suoi occhi saranno chiusi, e si mette in condizione di udire le Sue parole. Dorme, ma è in grado di capire tutto.) PIETRO D.M. Chi sono io, Signore della notte, Angelazzurro, che ti prendi pena di me, povero eremita da rinuncia, che rifiuta un dovere che gli fu affidato da una sorte amara? ANGELAZZURRO Tu, più di tutti, mi sei caro, o Pietro, perché la fede tua è siffatta che contro una montagna lei non crolla, pur tuttavia sappi che l’intero mondo umano ed animale, regno inanimato e vegetale, si reggon sopra il senso del Dovere, spinta morale all’ordine supremo, che dà ragione al mondo. E se si muta, il mondo ammala, e ciò ch’è stato fatto si degrada, non obbedendo più la vita a un gioco d’ingranaggi, che un supremo Fattore volle per suo piacere passare in essere, secondo il proprio estro. Allora sappi che nella vita umana ci sono quattro condizioni materiali: il Sapiente e Dotto, l’Assoldato armato, Mercator di Merci, e l’Umile operaio, tutti interdipendenti e necessari. Ognuno, al suo Dovere, è un ingranaggio; mai si rinunci a questo, non è ammesso:

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Terzo Atto

ché un castello crolla se uno s’oppone al suo servizio nella società. E quindi è meglio fare ciò che spetta, anche imperfetto, piuttosto quel dell’altro fatto bene. È il tuo Dovere. Tu abdicasti, ma eri sapiente e Dotto, non potevi sottrarti al tuo Dovere: pur se corrotto era ciò che avevi; frena l’esempio. Senza guida morale, distruzione e morte. PIETRO D.M. Ma Signore, la Chiesa è bolgia sventurata, pien di malizia, vizi e simonia, la sodomia, vigliaccheria, non c’è una cosa sola che sia pia. Come potevo offendere la Santa Religione facendomi complice d’infamia? ANGELAZZURRO Non tua è la colpa, tu solo sei strumento nelle mani di un Dio compi perciò il tuo Dovere, senza tenere al frutto della azioni, questo è il segreto ch’io rivelo a te, per le tue prossime stagioni. Ognuno paga i suoi debiti, nessuno può pagarli per te che l’hai commessi. Non finita è la vita, e lei non è il tuo corpo, l’anima che v’è dentro è il vero sé, eterno, immortale, che non nasce e non muore e niente lo distrugge. PIETRO D.M. Oh Angelo! Allora che mai sarà di me, di questa mia anima immortale?

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Terzo Atto

Se questa resta, io chi sarò, dove andrò? In quale paradiso o inferno? ANGELAZZURRO Ricorda, o Pietro, che tu e tutti gli altri siete sempre esistiti e sempre esisterete, e che al momento di uscir dal corpo voi riformerete un altro corpo, secondo i vostri desideri, e tornerete ancora per acquisire i meriti, e i demeriti pagare, secondo l’opera compiuta. E se il tuo ciclo finisce, lassù tu tornerai ai piedi Suoi divini, a Lui, eccelso mio Signore. Da tutto, più che mai dovrai scoprire l’ora del divenire, dove è morte la nascita, il dolore, la vecchiaia. Nel tuo Signore è la pace, la calma, dolcezza e bellezza delle cose che, benché siano complesse ed infinite, tanto infinita sarà la Poesia della sua compagnia, o Pietro. PIETRO D.M. O Angelo caro, Angelo tutt’azzurro! Grazie ti prego! Accetta da me, eremita, che con Lui trascorsi la mia vita mortale, questi buoni insegnamenti, e al tutto muovi, che donasti a me in questo affanno. Ah, peccato che finì il mio tempo! Ch’io non potrò né divulgare al mondo, né praticare, i tuoi sostentamenti morali, né quella via che bello fa il vivere in compagnia vostra.

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Terzo Atto

ANGELAZZURRO Non è ancor tempo, o Eremita: molti sono i semi che hanno germogliato: ribalderia, malanimo, tristizia. Oh, lascia che la Ruota faccia il suo giro fino alla sua fine. Nel seme delle rose c’è il colore, c’è il profumo, e son le spine. Quando sarà esaurito il suo buon giro, allora verrà chi porterà conforto a questo mondo, morto e desolato. Non prima sarà che il giro sia passato, e allora, ecco arriverà colui ch’è destinato a raccogliere il buon seme... PIETRO D.M. Beato colui che lo farà, Angelo Buono, ché mi porterai per mano alla fine della via, ma dimmi: nell’altra dimensione di che parli, io troverò i miei cari, che tanto trascurai nella mia vita mortale, e che oggi mi è male? Tutto lasciai per l’eremo, per la mia grande pace personale, e trascurai fratelli, madre, padre, e i miei vegliardi, di cui nemmeno vidi la loro dipartita, e dei quali perciò sento rimorso dentro il cuore. Ascolta dunque, Angelo Bravo, dammi conforto all’ultimo penare. Chi rivedrò nel mondo dove tutto è lieve, senza peso mortale?

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Terzo Atto

ANGELAZZURRO Sì, tu troverai i Maggiori di che peni, se tu vuoi; vivrai con loro su pianeti spirituali, che son la proiezione di quelli mortali, ma un giorno il Tempo ché ci fa tiranni, ci ridurrà a discendenza di nuovo, in questo mondo in pena. C’è solo l’estinzione, o mio eremita, per cui vale la pena di vivere una vita per arrivare a Lui, dagli amorosi piedi, da dove nasce un fiore su dal fango, il Loto. Non biasimare scelte in buona fede, fa parte del tuo mondo culturale, sappi, però, che s’è corretto, un modo per fare dell’Eterno Amore un percorso senza di tralasciare i tuoi doveri d’uomo mortale, e son le sacre tappe: quattro esse sono, e son quattro le età: la prima va da zero ai venticinque, e sei studente, e casto; la seconda, che va dai venticinque ai cinquant’anni, in cui ti sposi e metti su famiglia, ch’è un Dovere per tutti i tuoi antenati e per lo Stato; la terza, dai cinquanta a settantacinque, e vivi con tua moglie, senza sesso; poi con la quarta il mondo lascerai, troverai la tua via del monte, o la foresta, e penserai a te stesso, finalmente in pace; senza doverti di nulla disprezzare. Questa è la via che spetta all’uomo di coscienza. PIETRO D.M. Benedette ti siano le parole, benedette: che grande insegnamento da seguire!

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Terzo Atto

Ogni popolo n’avrebbe giovamento ma dubito che ciò entri nei cuori del campagnolo, della donna, o del chierico ignorante, dove la forma è tutta la sostanza, la parola regina, e l’azione il nulla in assoluto. Chissà fra quante lune ciò avverrà! ANGELAZZURRO Secoli passeranno, e tante guerre, tante vicende tristi e poche liete, la nera pestilenza sta nel mondo a fare ciò che l’uomo ha in desiderio. L’uomo ha ciò che semina e gli eventi non son che frutto della sua bramosia. E un bel giorno arriverà che tu vedrai dall’altra dimensione, in cui, saggio tra i saggi, un grande, siccome sarà scritto, annuncerà il suo arrivo da luoghi tanto lontani, dove sgorgò la devozione, quella vera, liquida scese i ghiacci della terra. E sarà scritto, o eremita: Tanto atteso non ritornerà giammai, in Europa, in Asia apparirà: uno della Lega uscito dal grande Ermete, e su tutti i re d’Oriente crescerà. Lunga è la strada del Bene, poiché è in moto il male ma quando sarà quel giorno, Lui, mano-di-Dio, verrà coronato di fiori e di sorrisi. PIETRO D.M. Oh, giorno beato per questa umanità! ma ora, o Angelo Caro, o giovinetto dal cuore grande, io mi appresto al viaggio.. .(guardando e ammiccando in direzione del

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Terzo Atto

suo servitore che dorme nei pressi della porta) …che ne sarà di lui, senza me, tra nemici del genere umano? Fa’ che non patisca: mi è figlio e fratello, e discepolo nel Cristo. ANGELAZZURRO Sta’ lieto, santo eremita, io toglierò da voi la triste sofferenza corporale. Statti dunque contento e il sonno ti sarà propizio del domani. (Angelazzurro si avvicina quasi danzando al corpo di Fra’ Baldo addormentato. Stenderà entrambe le mani su di lui per alcuni secondi e il suo corpo dormiente si comporrà supino, come preparato alla morte. Farà la stessa cerimonia sul corpo di Pietro dal Morrone, che dorme, poi scomparirà nel nulla. Si odono alcuni passi sommessi. Due figure entrano, una vestita di tunica bianca e l’altro incappucciato di nero. L’uomo in bianco leva da una manica uno stilo e colpisce il fraticello più volte, che non si muove. L’uomo incappucciato ha in mano un grosso chiodo e una mazzola di legno. Si avvicina alla sagoma di Pietro, gli appoggia il chiodo sulla zona temporale e con la mazza lo batte una sola volta, secco. Si allontanano furtivi dalla stanza. Dal centro di questa si leva dal pavimento un vapore azzurrognolo e, debolissimo, un canto ritmato, che aumenta d’intensità:

Govinda, adi Purusa bajami Govinda, Adhipurusam...

lenta si chiude la scena cala la tela explicit tragoedia. Pampanius, civis Aveiensis faciebat Tuscia se fecit Bharata advocat.

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