SchioThiene mese n 826

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Periodico di informazione dell’A lto Vicentino

anno IX n. 79 - maggio 2020

Schio: La città alla prova della riapertura, p.12 ◆ I medici di famiglia in prima linea, p.16 Thiene: Anche i libri tornano a vivere, p.10 ◆ Artisti e campioni uniti contro il virus, p.18

Io, ricoverato a Santorso per Covid

“Ora aiutiamo il tessuto economico” Intervista a tutto campo al sindaco di Schio Valter Orsi dopo due mesi e mezzo di emergenza coronavirus. “La ripresa sarà lunga”.

La testimonianza in prima persona di Omar Dal Maso, forse l’unico giornalista del Vicentino andato suo malgrado oltre la prima linea del Covid-19.


Di mese in mese

Com’è bello tornare al solito tran tran SchioThieneMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Supplemento mensile di

Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688

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Stefano Tomasoni

ono trascorsi tre mesi e sembrano tre anni. Adesso che il lockdown è finito e il virus sembra meno preoccupante (ma sarà meglio non cantare vittoria troppo presto), stiamo tutti cercando di riappropriarci di quella vita normale e di quella quotidianità che magari prima ci stava stretta e faceva sognare orizzonti lontani e vacanze esotiche. Ma quant’era bello il noioso tran tran di sempre? Casa lavoro studio, casa lavoro studio... e poi naturalmente il giro in centro e l’aperitivo al bar, l’uscita al ristorante o in pizzeria, la spesa con la famiglia, il calcio alla tv, la messa alla domenica, la passeggiata in montagna, la serata al cinema o a teatro. Tutto cancellato per un tempo dilatato che non finiva mai (e che in alcuni settori, sport e spettacolo per primi, non è ancora finito). E adesso ci si rende conto di come il tempo sia davvero relativo, perché tre mesi possono volare via in un soffio (quando a fine settembre arrivano le prime arie d’autunno sembra sempre che l’estate sia sta-

ta una meteora) o possono apparire eterni, come in questo caso. Chissà se ci porteremo dietro a lungo questa impressione di una nuova divisione epocale del tempo, in “avanti Covid” e “dopo Covid”. Era cominciata come una cosa lontana, la solita malattia di fonte asiatica, con i cinesi considerati untori da cui tenersi distanti: niente più viaggi in Cina, niente più cinesi in Italia, diffidenza verso i ristoranti e gli empori cinesi. Poi per un po’ i cinesi siamo diventati noi, con gli altri

Il castello di Thiene deserto


Di mese in mese

L’oratorio dei salesiani di Schio

paesi a tener distanti gli italiani improvvisamente pericolosi, guardati male, rifiutati e rispediti al mittente. Poi via via è toccato al pianeta intero (o quasi), tutti più o meno nella stessa barca, con il mondo anglosassone (Stati Uniti e Gran Bretagna) che adesso sta pagando il prezzo più alto, in mano a improvvidi stregoni della politica che prima hanno negato l’evidenza limitandosi a chiudersi agli altri, finendo con l’essere loro quelli da cui tenersi distanti. Nel mezzo, il dramma. Le decine di migliaia di morti, i bollettini quotidiani della pandemia e della paura, i decreti di chiusura che si passavano il testimone uno con l’altro. Tutti in casa o comunque distanti. Città e strade deserte come nemmeno a Ferragosto in centro a Schio, e ce ne vuole. Il passante che stai per incrociare che a trenta metri scarta e cambia addirittura marciapiede. Mascherine e guanti per tutti. Oddio, tutti: poi esci e vedi gente con la mascherina sulla nuca, sul cappello, sul mento mentre fuma la pipa, in mano... Che periodo surreale, ragazzi. Tra le immagini più irreali con cui ce lo ricorderemo ne scegliamo una di apparentemente mi-

nore, ma emblematica, e purtroppo tuttora attuale: l’oratorio salesiano di Schio con il cancello chiuso e i cortili e i campi vuoti. Non sentire il vociare chiassoso dei ragazzi che giocano a calcio o a basket o semplicemente si divertono con le attività degli animatori, non vedere le consuete torme di bambini e adolescenti che ogni giorno rendono vivo e pulsante il “quartierino” dei salesiani è stata – ed è - una cosa davvero quasi irreale. Un oratorio vuoto e silenzioso è una ferita dentro la ferita. Un ossimoro sociale. Dice: ne usciremo migliori. Mah. Difficile che una collettività cambi a causa di un evento, per quanto epocale. Ancor più difficile che cambi in meglio. Si può cambiare come singoli, riuscendo magari a riordinare qualche priorità e a dare una diversa misura alle cose. Ma nel complesso è più probabile che ne esca una società uguale a prima dal punto di vista valoriale e messa peggio dal punto di vista economico. Sarebbe sufficiente se questa storia, quando sarà davvero finita, lasciasse in eredità un discreto rinsavimento collettivo di quella parte di italiani che negli ultimi anni ha buttato allegramente al macero ragionevolezza e capacità critica per dare ascolto a pifferai magici cantori dell’inesperienza come valore e sinonimo di trasparenza. S’è visto in questa crisi senza precedenti nella quale siamo rimasti tutti appesi alle parole della scienza, per quanto anch’essa non infallibile e alla lunga fin troppo mediatizzata - che il tempo degli sprovveduti e dei dilettanti allo sbaraglio è finito. La loro “Corrida” è durata anche troppo. Nel frattempo, qui, non resta che attendere che riaprano i cancelli dei Salesiani. Quella sì sarà una festa liberatoria. ◆

Si riprende con una novità Ben ritrovati. L’emergenza sanitaria e il lungo periodo di chiusura delle attività economiche ha portato anche all’inevitabile sospensione di questa pubblicazione. Che ora però ritorna. Con una novità, che sarà già stata còlta dalla copertina: il mensile, nato e cresciuto in terra di Schio, aggiunge un po’ di pagine e si allarga in terra di Thiene. Di conseguenza, da “SchioMese” diventa “SchioThieneMese” e viene pubblicato sia su Lira&Lira, periodico diffuso nel territorio scledense, sia su La Piazza, periodico diffuso nel territorio thienese. Una sinergia in chiave altovicentina che l’editore ha ritenuto di stringere in occasione della ripartenza post-Covid. Chi come noi ci mette il proprio contributo giornalistico ha ritenuto di provare a coglierla.


[4] ◆ Schio Copertina

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Stefano Tomasoni

ue mesi e mezzo in trincea a fare la guerra al coronavirus. Niente elmetti e fucili, piuttosto mascherine e guanti, ma per Valter Orsi non c’è stato un giorno di tregua. Come del resto per tutti i sindaci d’Italia, costretti a fare i conti con una realtà totalmente inedita, spiazzante, da affrontare giorno per giorno sentendosi addosso una responsabilità diversa dal solito. Non li avesse avuti tutti bianchi già da prima, i capelli a Orsi gli si sarebbero sicuramente incanutiti adesso. In modalità total white e con la mascherina a coprire il volto, invece, è difficile riscontrargli addosso i segni dello stress. Sicuro che c’è, comunque. E che non andrà via tanto presto. Sindaco, vedere la propria città chiusa e deserta per mesi è una fitta al cuore per tutti, ma forse per chi la amministra fa ancora più male. Come li ha vissuti, questi mesi irreali?

“Agli inizi era desolante muoversi in città, c’era davvero il deserto. La mattina vedere lo zero assoluto dava veramente un’impressione di tensione. Non si è preparati a una cosa del genere. La preoccupazione era tanta, prima di tutto per cercare di dare ai cittadini messaggi con una certa tranquillità, pur avendo quel vuoto davanti e i dati che segnalavano i rischi di un’impennata. Non è stato davvero un bel momento”. Il più difficile di questi anni a palazzo Garbin?

“Indubbiamente sì. Perché problemi ne abbiamo affrontati tanti, ma conoscevamo il modo per affrontarli. In questo caso era tutto buio. Per fortuna le cose poi sono andate verso il meglio, anche grazie al lavoro di tante persone. In tutto questo tempo la Protezione civile è sempre stata un grande punto di riferimento, per informazioni, materiale, supporto. Abbiamo subito attivato i servizi di consegna della spesa a domicilio per chi era in difficoltà, e abbiamo chiesto il supporto ad alcune associazioni organizzate: le associazioni d’arma, la Croce rossa, il gruppo salesiano. Ognuno ha avuto un quartiere di riferimento, con un preciso programma di attività”. La forza del volontariato, dunque, è stata anche importante?

“Non c’è dubbio. E non solo: un’altra cosa emersa in maniera spontanea, e che mi ha colpito, è che molti cittadini si sono veramente mostrati di grande cuore ver-

“Ora aiutiamo il tessuto economico E l’ospedale tornerà meglio di prima” Intervista a tutto campo al sindaco di Schio Valter Orsi dopo due mesi e mezzo di emergenza coronavirus. “La ripresa sarà lunga. Abbiamo bloccato tutte le entrate e posticipato tutte le imposte e le tariffe.Per questo pensiamo ad alcuni sostegni che andranno a vincolare anche il bilancio dell’anno prossimo”.

so la comunità: ci sono state tante donazioni, piccole e grandi, ma tutte fatte con lo stesso spirito, con la voglia di esserci in un momento di difficoltà. C’è chi ha donato mascherine chirurgiche, chi igienizzanti e guanti, chi denaro...”.

Ma in generale la popolazione come le sembra che abbia reagito a questa emergenza?

“Io la promuovo a pieni voti, ho notato un grande senso di responsabilità. Ci sono state naturalmente delle eccezioni, e sono state fatte anche diverse sanzioni a fronte


Schio ◆ [5] di violazioni palesi, ma nel complesso si è cercato di fare prima di tutto un’azione di sensibilizzazione e chiarimento: non c’è stata la volontà di colpire. Poi è chiaro che quando uno proprio non capisce...”. Qual è stato il comportamento scorretto più tipico che è stato riscontrato?

“Mah, penso a casi di persone che stavano andando a fare lavori a domicilio non legati a emergenze, spostandosi quando tutto era bloccato, e senza protezioni personali. Poi ci sono state segnalazioni di feste private, per le quali si è intervenuti con la conseguente sanzione”.

Il coronavirus ha lasciato il segno su tutti, costringendo magari anche a rivedere qualche progetto familiare o programma di breve-medio termine. A livello comunale come ha impattato sulle progettualità e sui programmi previsti, quantomeno per questo 2020 così stravolto?

“Ci siamo trovati a dover far fronte a necessità impreviste, ma per fortuna avevamo una giacenza di cassa che ci ha dato possibilità di intervenire dove serviva, anche se si tratta comunque di risorse che negli anni scorsi erano state destinate a opere pubbliche. Per venire incontro alle difficoltà prevedibili per molti, da marzo abbiamo bloccato tutte le entrate e posticipato tutte le imposte e le tariffe, la Tari è stata spostata a ottobre. Certo, bloccando tutte le entrate il Comune ha meno margini di manovra, ma abbiamo ritenuto che andasse fatto. In definitiva abbiamo rivisto completamente il bilancio del 2020 e stiamo facendo proiezioni nuove anche sul 2021”. In quale ottica?

“Quella di un alleggerimento. Per vedere dove recuperare risorse all’interno, quali spese da non fare… Insomma, limitare il più possibile l’impatto delle minori entrate andando a rivedere principalmente determinati costi di gestione. Facendo attenzione ad avere un margine che potremmo mettere a disposizione per azioni straordinarie”.

In questi mesi è diventata più d’attualità che mai la questione dell’ospedale di Santorso, che la Regione ha individuato come hub provinciale per il Covid-19, con la conseguenza di veder spostare altrove quasi tutti i reparti tradizionali. Ora le cose stanno tornando allo stato pre-virus, ma siamo davvero sicuri che, sotto sotto, questa faccenda dell’hub anti-Covid non si riveli un“cavallo di Troia” per declassare nel medio termine Santorso?

“No, non lo sarà. Noi non siamo stati coinvolti quando la Regione ha individuato Santorso come hub per il Covid-19, però ci siamo mossi subito e abbiamo avuto assicurazioni dirette e pubbliche da parte del presidente Zaia. Ci è stato chiesto un sacrificio a fronte di un’emergenza ad ampio

raggio. Abbiamo ottenuto che tutta una serie di servizi ambulatoriali e di prestazioni non fossero trasferiti a Bassano, ma fossero ricollocati alla nostra Casa della Salute e al Boldrini a Thiene. L’ospedale di Santorso è sempre rimasto in grado di affrontare le emergenze: anche se in quella fase il Pronto soccorso è uscito dalla rete di emergenza provinciale, ha sempre funzionato come centro di primo intervento. Gli impegni da parte della Regione erano chiari: non appena i dati avessero mostrato un calo effettivo dell’emergenza l’ospedale sarebbe tornato velocemente a ricomporsi. Cosa che

“Per quest’anno abbiamo impostato due manovre. La prima, intanto, riguarderà il supporto alle attività economiche che sono rimaste chiuse e il sostegno ai maggiori costi che i genitori dovranno sostenere per i centri estivi”.

sta già accadendo: a metà maggio siamo arrivati a ricoveri zero nella parte intensiva e semintensiva, quindi si sta impostando tutto il ritorno dell’impianto. Il Pronto soccorso è rientrato pienamente nella rete d’emergenza provinciale, i reparti di chirurgia stanno riprendendo l’attività, oncologia sta tornando”.

Qualcuno ha osservato che si poteva usare la piastra del “de Lellis” come hub anti-Covid. Sarebbe stato possibile?

“No, tecnicamente non era possibile. Anche per la compartimentazione degli spazi, per l’impiantistica e per le dinamiche che questo virus comporta nell’assistere la persona”.

Copertina Ma può assicurare che a Santorso tornerà tutto come prima?

“Come prima e probabilmente anche qualcosa di più. La struttura rimane, con delle figure apicali importanti. In questo momento ci sono bandi che prevedono sei nuovi primariati, a copertura totale di tutti i servizi presenti ante-emergenza, in termini di personale e di strutture. Santorso diventerà anche un centro specializzato in senologia. E segnalo anche che nel bando per il primario di cardiologia c’è scritta una cosa importante: deve essere un emodinamico interventista”. Quindi?

“Vuol dire che abbiamo la possibilità di attivare il servizio di emodinamica H24. E questa è una delle richieste che abbiamo fatto in Regione. A Santorso ci sono potenzialità e professionalità, c’è una gran voglia di fare e capacità di lavorare in squadra. In questa emergenza i medici, il corpo infermieristico e tutti sono stati messi fortemente sotto stress, ma c’è stata una risposta molto importante e positiva, che non va sottovalutata. Adesso ci sono le condizioni per dire: bene, possiamo partire anche con qualcosa in più, perché ve lo meritate”.

L’esperienza dell’ospedale hub anti-Covid, peraltro, ha prodotto a Santorso un crollo del ricorso al Pronto soccorso. Se ne potrebbe dedurre che molti accessi prima non erano essenziali. Speriamo che nessuno ai piani alti della sanità pensi di trarre da questo conseguenze negative per la struttura...

“Fin dalle prime fasi dell’emergenza s’è raccomandato alla popolazione di andare al Pronto soccorso solo in caso di reale bisogno, e già lì gli accessi sono crollati del 50%. Ma i dati in forte diminuzione sono stati uguali in tutta la provincia. Noi abbiamo sempre detto di volere la garanzia che i nostri cittadini siano seguiti adeguatamente per i casi di emergenza e infatti il Pronto soccorso a Santorso come

Più suolo pubblico senza tasse per bar e negozi Plateatici più estesi e la possibilità di ampliare il proprio locale su aree pubbliche esterne. É una delle misure che il Comune di Schio ha adottato per far in modo che bar, ristoranti e negozi possano riprendere più facilmente le loro attività in base alle norme di sicurezza previste dall’emergenza sanitaria. Gli esercenti sono stati invitati nelle scorse settimane a inviare in Comune una

proposta di utilizzo dell’area individuata. Ne sono arrivate una ventina (non tante, a dire il vero, ma potrebbero aumentare) e sono state accolte, in alcuni casi con ovvii aggiustaenti di tiro rispetto alla rihieste. L’estensione dell’utilizzo del suolo pubblico viene concesso a titolo temporaneo e gratuito fino al 31 dicembre, con possibilità di rinnovo per l’anno prossimo sempre in via provvisoria e senza costi aggiuntivi.


[6] ◆ Schio Copertina punto di primo intervento non si è mai fermato. Ma nonostante i messaggi di rassicurazione che sono stati mandati, qualcuno ha capito che il Pronto soccorso fosse chiuso, e questo ha creato dei danni, c’è stata una migrazione dalle nostre aree verso altre strutture di Pronto soccorso. E c’è chi, dovendo accompagnare un proprio caro che stava male, anziché andare a Santorso è partito per Bassano e s’è dovuto fermare a Marostica perché la persona in emergenza rischiava di morire”. Cambiamo discorso: durante questa emergenza è successa una cosa del tutto inedita: a un certo punto è uscito un comunicato congiunto delle opposizioni con una forte critica alla sua gestione della condivisione dell’emergenza con le altre forze politiche. Non si erano mai visti sinistra e destra firmare uno stesso documento. Lega e Pd sulla stessa barca, si rende conto?

“Credo di essere l’unico sindaco che, da due mesi, ogni lunedì convoca i capigruppo di maggioranza e minoranza in videoconferenza per fare il punto della situazione e dare tutte le informazioni sia sull’emergenza sia sulle linee dei decreti e delle ordinanze, in un confronto aperto. Non ci sarebbe stato nessun obbligo di farlo, ma in questo momento credo che dobbiamo dimostrare di essere una comunità. Invece ho visto uscire comunicati delle minoranze, trasversalmente, in cui lamentavano l’inefficienza del Comune, dando infor-

mazioni distorte. Ho risposto che possono attaccare me, se vogliono, ma non possono prendere in giro i cittadini”.

Adesso comunque, sperando che il picco dell’emergenza sanitaria sia superato per sempre, c’è da “tener su” il tessuto economico della città. Quali provvedimenti state adottando da questo punto di vista?

“Di certo faremo tutto il possibile per cercare di dare una mano al tessuto economico. Abbiamo già spostato tutta una serie di imposte e annullato una serie di entrate e alcune esenzioni di tributi le applicheremo anche l’anno prossimo. Per quest’anno abbiamo impostato due manovre. La prima sarà divisa in due tronconi: uno riguarda il supporto alle attività che sono rimaste chiuse, un capitolo per il quale abbiamo messo sul tavolo 510 mila euro; l’altro troncone, con un bonus di 170 mila euro, riguarda il sostegno ai maggiori costi che i genitori dovranno sostenere per i centri estivi, che ci saranno ma non potranno essere come l’anno scorso: dovranno esserci necessariamente meno ragazzi e serviranno più educatori, quindi potrebbero crescere i costi. Nel frattempo stiamo lavorando sui bonus idrici delle società di gestione del ciclo dell’acqua, fondi che derivano dai dividendi sugli utili di gestione. La quota disponibile per il nostro comune è di 100 mila euro, risorse che quest’anno possiamo usare a favore dell’emergenza, in un’operazione che andrà a vantaggio delle attività economiche. Dopodiché stiamo già lavorando su altre attività e saremo in grado di fare una seconda manovra da settembre in poi”.

Lo Schiocco Ragazzi, è proprio cambiato il mondo E chi se lo dimentica un periodo così? Due mesi e mezzo di niente, la città deserta, le vie del centro inanimate, i negozi con le serrande giù, spariti i tavolini dei bar con il loro allegro vociare, sparito il mercato, le messe sospese, teatro e cinema chiusi. Schio è stata davvero irriconoscibile in questo interminabile lockdown, qualsiasi abitudine è stata congelata e ogni normalità è stata stravolta. Per capire fino a che punto, basta dire che sono perfino sparite le solite tre auto parcheggiate per ore “alla menefrego” nei posti di carico-scarico da 15 minuti accanto al bar del Duomo. Eh sì, per due mesi e mezzo è davvero cambiato il mondo. [S.T.] Il commercio, in particolare, come ne esce? Già prima era in forte sofferenza, c’è il rischio che gli arrivi il colpo di grazia.

“Ne uscirà bastonato. Alcuni settori avranno molti più problemi di altre, penso all’abbigliamento e a quelle attività che seguono le stagionalità. Temo che possa esserci più di qualcuno che avrà grossi problemi e magari dovrà tornare presto ad abbassare la saracinesca. È un vero peccato, perché avevamo veramente innescato un percorso sul quale si era cominciato a sentire concretamente anche l’attrattività della città verso nuovi investimenti. Questa botta non ci voleva”. Già, come minimo ormai il 2020 è un anno buttato in tutti i sensi. La quintessenza dell’anno bisestile...

“E credo che sarà perso anche l’anno prossimo. La ripresa sarà lunga. Per questo pensiamo ad alcuni sostegni che andranno a vincolare anche il bilancio dell’anno prossimo”. Ma è successo qualcosa di positivo, in questi mesi disgraziati?

“Tantissime cose. Le soddisfazioni non sono mancate. Voglio ricordare una cosa che non c’entra niente col coronavirus, perché mi ha toccato: una lettera che ho ricevuto da una bambina di 6 anni. Da casa sua ha visto montare la gru per la palestra di via Tito Livio e nella sua innocenza mi ha scritto che ha molta paura perché teme che quel ‘mostro’ mangi le montagne, perché probabilmente dalla sua finestra la vede in questa proiezione. Le ho risposto rassicurandola, con parole più da papà che da sindaco. L’ho invitata a venirmi a trovare”. ◆



[8] ◆ Thiene Copertina

L’approccio al “mio” Covid-19 è stato una sorta di trance, un guardarsi intorno, un cercare appiglio in chi di me si prendeva cura.

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Io, ricoverato a Santorso per Covid

Omar Dal Maso

crivere quotidianamente di sintomi, di numeri dei contagiati e di decessi, di prevenzione e dispositivi di protezione personale, di reparti e ospedali Covid, delle paure della gente. Per poi viverle in prima persona. Non solo da vicino, da dentro. In prima linea sì, ma da ferito. Non da “soldato”, seppur ci si ritrovi da un giorno all’altro in un letto d’ospedale, con uno spirito inedito da combattente. Perché l’armatura spetta a chi mette lo scudo contro la malattia, bardato di visiera, mascherina, cuffia di tela, tuta isolante e addirittura il doppio guanto su ciascuna mano. Quasi una beffa del destino quella di un giornalista – forse l’unico nel Vicentino ad ammalarsi e finire ben oltre la famigerata prima linea -, che proprio grazie alla sua professione ha potuto prevenire una di queste ondate assassine, mettendo (almeno) al riparo i propri cari. I bersagli più abbattuti dal morbo coronavirus, vale a dire quegli anziani già gravati da patologie le cui difese si sbriciolano di fronte agli attacchi del killer venuto dall’Estremo Oriente.

Tutto comincia col tampone Un passo indietro. Venerdì 20 marzo, metà pomeriggio. A forza di insistere ottengo di accedere al tampone in un periodo in cui rappresentava ancora un lusso per pochi. Oppure l’anticamera delle sofferenza, del terrore e della solitudine per chi ci era già dentro, con i polmoni aggrediti dalla malattia. Derubricata in “banale influenza” agli albori per essere eletta a pandemia nell’arco di poche settimane. E di qualche migliaio di morti. Un test preteso, per salvaguardare prima di tutto chi mi stava intorno, dopo aver predicato con testardaggine i sintomi meno noti. Quelli che tutti, poi, mi hanno chiesto e richiesto: mialgia a muscoli delle gambe e alle articolazioni, fastidi ai bulbi oculari e, infine, la perdita

L’autore di questo articolo, Omar Dal Maso, durante il suo ricovero in ospedale a Santorso

Nei giorni di ricovero in ospedale, la “famiglia” di un malato di coronavirus è composta da infermieri, personale socio sanitario e anche addetti alle pulizie. La testimonianza in prima persona di Omar Dal Maso, forse l’unico giornalista del Vicentino andato suo malgrado oltre la prima linea del Covid-19.

totale dei sensi del gusto e dell’olfatto. In abbinata a tosse e febbre, ovvio, peraltro questi di lieve entità. Finalmente il via libera, quasi fosse un favore concesso, dopo il trittico di chiamate al numero verde dell’Ulss 7, al medico di base e infine, seppur contravvenendo alle regole di allora, al 118. Dal pronto delle chiamate telefoniche al “pronti via” e al Pronto… Soccorso – in realtà già un “ps2” riservato ai soli casi sospetti di Covid-19 -.

Smanioso di farmi fare questo benedetto (o forse maledetto? Lo avrei scoperto di lì a breve) tampone poi tornare a barricarmi in casa in attesa del responso. Queste erano le intenzioni, almeno. Un’ora dopo, invece, mi ricoverano. Lo sguardo che precipita a terra alla notizia, la raccolta dei rimasugli di forza d’animo per una telefonata a casa. Poi su, in carrozzina. Reparto Covid-4, nelle stanze che solo fino al giorno prima erano destinate all’urologia. I polmoni so-


Thiene ◆ [9] no “bruttini” mi aveva confidato il tecnico dopo la radiografia. Da quel momento è un susseguirsi di scene irreali, di incroci con gente vestita da astronauta e scambi di sguardi tesi. Tutto d’un fiato. Che toglie davvero il respiro. Con me quel venerdì 20 marzo non portai nulla se non ciò che avevo addosso, un telefono utile e un mazzo di chiavi inutile. Si materializzavano in compenso la sorpresa e l’inquietudine nell’affrontare ora un tunnel chissà quanto lungo e senza un lume, con il pericolo di perdere anche quello della ragione. Ricoverato, solo nella stanza, letto 146. Polmonite interstiziale bilaterale: questa è già una certezza, oltre che la diagnosi. L’esito del tampone, invece, solo sulla carta rimane incerto. In realtà non lo è stato mai, prima del responso di laboratorio: non è mai stato un 50 e 50, ma un 99% di logica contro un 1% di irrazionale illusione.

Umanità e professionalità L’approccio al “mio” Covid-19 è stato questo. Una sorta di trance, un guardarsi intorno, un cercare appiglio in chi di me si prendeva cura. Dal primo infermiere che mi ha accolto, tenendomi a distanza, credo al suo primo giorno in una corsia divenuta di infettivologia che non era la sua. Così come per i suoi colleghi. Trasparivano il timore, l’incertezza, l’agitazione. Ricordo la voce rotta di una donna fuori dalla porta, che diceva a non so chi di non farcela, di voler tornare a casa, di aver paura. Appena dentro mi sorrise. Io mi sentii in colpa. È bastato un po’ di reciproco rodaggio, poi, per scoprire l’umanità, la professionalità e l’empatia di ognuno di loro. Non solo medici, non solo infermieri, ma chiunque lascia a casa le proprie paure o se le porta appresso tentando di celarle una volta dentro una stanza Covid. Con dentro esseri umani, colpiti, contagiati. Ma non affondati, mai spacciati. Nemmeno quando alla prima notte, nel mio caso, bussa la crisi respiratoria che il quadro radiografico aveva sotto sotto già preannunciato: la saturazione che annaspa, la frequenza cardiaca che galoppa, i polmoni in difficoltà. Il perfido Covid-19 che ti sussurra nel cervello: “eccomi qui, avevi ancora dubbi? Preparati”. Una maschera di plastica che mi viene appiccicata al naso, attaccata all’ossigeno. Con solo una manciata di persone care al corrente di ciò che mi accingevo a sfidare, nessuno fisicamente vicino. A distanza di 36 ore il mio “capofamiglia” diventa il medico infettivologo che mi comunica l’esito del tampone, con chiarezza e delicatezza che gli invidio. “Positivo”, “non esiste ad oggi alcuna cura”, “le chiedo il permesso per una terapia sperimentale

Copertina

La tenda per il “triage” d’ingresso al Pronto soccorso dell’ospedale di Santorso durante l’emergenza coronavirus

a base di…”. Queste sono le parole ancorate nella nebbia di quei minuti di quel 22 marzo, una parentesi di abisso nonostante tutta la preparazione mentale possibile. Esattamente un anno prima, nella stessa data, ero in un palasport di Faenza a giocarmi con le ragazze del calcio a 5 che alleno una finale scudetto nazionale. Una parentesi ben diversa. Allora venni sconfitto. Stavolta no, chi perde muore.

Riscoprire la vita genuina delle piccole cose Sono un ragazzo(ne) fortunato. Perchè ho 42 anni, il più giovane fra i degenti. Perché il fisico debilitato risponde. Perché non ho (più) paura di morire. E, perché, fattore più importante, l’angoscia di aver inconsapevolmente contagiato chi mi sta più a cuore si sgonfia di giorno in giorno. Un’angoscia infida che toglie più aria ai polmoni di quanta ne sottragga la bestia coronavirus. Ma c’è un ultimo motivo: quei nomi scritti con un pennarello sulle vesti, tante paia di occhi che non mentono mai nel bene e nel male, altrettante voci che associ pian piano ai nomi e agli sguardi seminascosti. Sono le persone che ti chiedano il sempli-

ce “come stai”, che ti salutano con un “ehy giornalista”. Le stesse che mi raccontano delle strade deserte per arrivare in macchina all’ospedale, di figli e compagni lasciati a casa al sicuro per trasferirsi in alloggi temporanei lasciando così i propri affetti, della sofferenza di chi si aggrappava alla vita nelle stanze affianco. È proprio a queste figure “mascherate”, che tanti chiamano angeli o soldati o eroi, che ho confidato ogni pensiero di quei giorni. Raccogliendone un po’ dei loro. Non si è soli, come si crede da fuori. Riscoprendo la vita genuina dalle piccole cose. Dalla gioia di risentire il sapore del cibo assaggiando – sforzato – una pietanza che non mi era mai piaciuta, a quella dopo 8 giorni di poter respirare in autonomia senza l’ausilio di ossigeno artificiale. Ma anche di conoscere e tifare per un uomo di 80 anni, uscito dal calvario prima di me. E pure in gran forma. Una prova certa di speranza per i nostri grandi nonni testimoni di vita e di coraggio. E intanto questi angeli a me erano cambiati, si poteva a volte anche scherzare quando per loro era un turno “tranquillo”, le volte in cui capitava che non ci fossero delle morti atroci con proprio loro a tenere una mano e a offrire l’ultimo conforto umano al posto di un figlio, di un marito o di una moglie, o di un nipote. Ora, negli ultimi giorni prima delle dimissioni e della “fase 2” di isolamento e lotta contro gli effetti collaterali e i danni post tsunami, si poteva anche ridere di gusto anche di quel giornalista che, per uno scherzo del destino, si era avvicinato un po’ troppo alla trincea, cadendoci dentro. ◆


[10] ◆ Thiene

Il personale della biblioteca di Thiene pronto alla riapertura. Sotto, l’ingresso della biblioteca

Attualità Termoscanner per misurare la temperatura corporea, mascherina sulle vie aeree, guanti o gel, massima attenzione al distanziamento sociale. In un futuro prossimo si aprirà al ripristino completo dei servizi.

A

Omar Dal Maso

nche il mondo della cultura a portata di mano e, nel caso specifico, di libro, ha dovuto affrontare le conseguenze dell’epidemia. Da Palazzo Cornaggia, ampia sede della Biblioteca Civica di Thiene dal 2007, dalle 9.30 dello scorso 5 maggio il servizio dei prestiti e restituzione dei volumi è ripreso. Con le cautele richieste nel rispetto dei protocolli e con l’ingresso contingentato degli utenti, che possono già accedere in maniera controllata agli scaffali. Ci sarà da attendere una data da destinarsi forse non troppo lontana per utilizzare le postazioni internet, la sala di lettura per bambini e la capiente aula studio meta imprescindibile di universitari e adolescenti degli istituti superiori, alla ricerca di un “porto quiete” e delle “sudate carte” di leopardiana memoria. Interdetto (per ora) l’accesso alla saletta del piano terra dove tanti thienesi si dilettano a consultare gratuitamente quotidiani e riviste. Termoscanner per misurare la temperatura corporea, mascherina sulle vie aeree, guanti o gel, massima attenzione al distanziamento sociale e questo basta per presentarsi al bancone dei prestiti e portarsi a casa un po’ di cibo sano per la mente o un passatempo senza... tempo. Forse ancora più prezioso dopo l’incipit del virus del 2020. Anno che sui libri, stavolta di storia, rimarrà impresso a lungo nei decenni a venire. Tante le prescrizioni adottate nei confronti delle persone, una sola riguarda l’oggetto “del desiderio” di chi si reca in una biblioteca: la “quarantena“ obbligatoria per le edizioni che rientrano dai prestiti. Fissata in 10 giorni, viene ritenuta ampiamente sufficiente per scongiurare il pericolo di contaminazione. La “clausura” dei libri avviene al 3° piano, locale arieggiato costantemente. Dopo di che ogni pubblicazione torna al suo posto, a disposizione dei lettori. Tra l’altro, come spiegano gli opera-

Anche i libri tornano a vivere La biblioteca thienese tra le prime in Veneto a riaprire dopo il lockdown. Disponibile il solo servizio di prestito prenotando i volumi on line o al telefono. Ma è possibile anche la scelta diretta – con le dovute precauzioni – dagli scaffali.

tori, non esiste a oggi evidenza scientifica che particelle di virus possano attecchire su pagine e copertina. Si tratta, insomma di una semplice – ma gradita – precauzione. Adottata in misura dai diversi enti (ad esempio sono 5 i giorni di lockdown cartaceo in Emilia Romagna). In un futuro prossimo la situazione, già di per sé in continuo divenire, aprirà al ripristino completo dei servizi. Si potrà tornare a usufruire dell’aula studio al 4° piano, con i posti a sedere ridotti ed eventuali altri pannelli in plaxiglas, ma si tratta di soluzioni finora solo ipotizzate. Nel frattempo ci si accontenterà della visita fuggevole e di prestiti e restituzioni in modalità take away, oltre ai servizi di Edicola Digitale, audiolibri ed E-Book per i più avvezzi alle tecnologie. Per infoe prenotazioni chiamare il numero 0445.804945 (dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 19). A distinguere la biblioteca civica di Thiene sono stati due fattori nel mese di mag-

gio: la rapidità con cui il Comune e lo staff hanno attrezzato i locali e la possibilità di accedere fisicamente al 2° piano da 400 mq dove consultare in prima persona i volumi, pochi alla volta. Spazi larghi, associati a un flusso di utenti giocoforza ridotto, che hanno permesso all’istituto di gestire e interpretare in maniera non restrittiva l’ordinanza regionale del 3/5/2020. Appena un lunedì di lavoro per apporre plexyglas, dotarsi di dpi, sbarrare l’accesso ai locali chiusi al pubblico e applicare il protocollo per la riapertura parziale. L’opportunità di restituire alla cittadinanza un servizio fondamentale, in altre parole, è stata colta volto dal direttore Filippo Revrenna e i suoi collaboratori, con il beneplacito del sindaco Giovanni Casarotto e del vice – e assessore alla Cultura – Maria Gabriella Strinati. Dati sull’effettivo afflusso, a due settimane dal “bentornati”, non sono ancora disponibili ma dalle prime impressioni raccolte si registra un “flusso costante ma lento” di utenti, dei più affezionati. Qualcuno di loro, per così dire, preferisce stare ancora alla finestra, pensando che lì tiri sempre l’aria migliore. Presenze fisse nel periodo pre-Covid che dovranno magari superare qualche timore per riappropriarsi delle vecchie e sane abitudini. Visto che di qualcosa di “sano”, come leggere un buon libro, ciascuno di noi ne ha più che mai un gran bisogno. ◆



[12] ◆ Schio Attualità

Renato Cumerlato, insieme alla moglie, nel suo locale “da Renato”

Commercianti, artigiani ed esercenti si stanno rimboccando le maniche per ripartire e ritrovare spazi e clientela. Escogitando anche idee innovative.

“I

Elia Cucovaz

l primo giorno di riapertura mi è sembrato di vedere a Schio un fermento che non mi pareva ci fosse da molto tempo: da ben prima della quarantena”, nota Guido Xoccato, titolare dell’omonimo negozio di calzature in via Pasubio e presidente del mandamento locale Ascom Confcommercio. “Ma attenzione: anche in città ci sono attività che non hanno riaperto e non sappiamo ancora quando e se riusciranno a ripartire. Per un bilancio significativo della situazione post-Covid dovremo attendere almeno un mese e mezzo. A ottobre rischiamo di vedere una nuova pandemia economica”. Il futuro delle attività commerciali cittadine appare incerto. Tra dubbi sulle modalità della “fase 2”, aiuti che non arrivano e trasformazioni sociologiche che stanno coinvolgendo tutti. “Dovremo affrontare grandi cambiamenti” continua Xoccato. I consumatori oggi sono divisi tra la voglia di normalità e le nuove abitudini legate alla scoperta dei servizi online. Tra “l’astinenza da shopping” e la “sindrome della Capanna”, ossia quel senso di incertezza che molti provano a uscire dalla “sicurezza” delle mura domestiche dopo un periodo così lungo di sospensione della socialità. “Purtroppo - continua il presidente Xoccato - mi dispiace dover constatare che lo Stato italiano non si è rivelato all’altezza della situazione. Tra la beffa dei 600 euro e la cassa integrazione che non è ancora arrivata, finora da Roma sono arrivati ben pochi aiuti concreti. Bisogna che sia chiaro che se il tessuto commerciale e produttivo si lacera, rischia di cedere tutto il sistema. Quindi è il momento di finirla con burocrazia e task force e iniziare a far arrivare soldi alle imprese ed alle famiglie”. Intanto commercianti, artigiani ed esercenti si stanno rimboccando le maniche. Escogitando anche idee innovative.

Negozi, ristoranti, palestre... La città alla prova della riapertura Bar, ristoranti, parrucchiere, palestre, cinema... Si riparte leccandosi le ferite, ma si riparte. Ma il futuro delle attività commerciali cittadine appare incerto, tra dubbi sulle modalità della “fase 2”, aiuti che non arrivano e trasformazioni sociologiche che stanno coinvolgendo tutti.

Bar e ristoranti attendono ancora aiuti “Abbiamo aspettato qualche giorno in più per riaprire - dice Mirko Ballardin, del ristorante Da Beppino -. Questo per poterci adattare alle misure di sicurezza e preparare i collaboratori. In ogni caso siamo fiduciosi che i clienti ritorneranno e che supereremo questo momento. Il distanziamento comporterà una riduzione dei coperti, ma non drammatica per noi che anche prima mantenevamo ampio spazio tra i tavoli. La nostra prospettiva è anche quella di mantenere tutti i nostri 18 collaboratori: un team numeroso ma in cui tutti sono importanti”. In ogni caso da “Beppino” manterranno attivo, nel fine settimana, il servizio di asporto e consegna. “I clienti lo chiedono ancora e credo che questa abitudine rimarrà viva ancora per un certo periodo”. «I nostri clienti ci stanno dando coraggio di andare avanti: le persone vogliono girare

pagina, tornare nei locali per stare insieme e godersi la vita. Ma lo Stato ci ha lasciati soli». Non ha mezzi termini Renato Cumerlato, titolare dello storico locale di via Leonardo Da Vinci e rappresentante provinciale della categoria pubblici esercizi per Ascom Confcommercio. «La quarantena per chi gestisce un’attività ha avuto un prezzo elevato – osserva -. Non abbiamo avuto entrate per due mesi e molti stanno vivendo momenti di difficoltà estrema. E in risposta a questo sacrificio non abbiamo avuto aiuti e perfino le istruzioni per riaprire sono arrivate in modo confuso e contraddittorio». “Abbiamo riaperto il ristorante e il lunedì sera abbiamo avuto due clienti”. È positivo anche Li Wei, titolare del ristorante La Muraglia Cinese. L’avevamo intervistato in febbraio, quando l’Italia doveva ancora iniziare a vivere l’incubo coronavirus e i cinesi erano visti come potenziali “untori del contagio”, portando anche gli scledensi a


Schio ◆ [13] evitare negozi e ristoranti orientali, come ci aveva testimoniato lo stesso Wei. “Oggi questa paura non c’è più”, dice. Anche lui ha deciso di mantenere attivi i servizi di consegna a domicilio e di asporto, che sono opzioni ancora preferite da diversi clienti.

Tutti da parrucchieri e barbieri, finalmente “L’ottimismo è una componente fondamentale di ogni attività imprenditoriale e oggi ci attacchiamo a questo per andare avanti”. Le parrucchiere Erica e Sofia Davanzo, titolari del salone omonimo di via Capitano Sella, erano state tra le protagoniste di una protesta messa in atto dalla categoria contro il perdurare della quarantena, ma ora vogliono solo pensare al futuro. “Per i nostri clienti è la stessa cosa e tutti, pur di tornare a prendersi cura di sé, hanno accettato le disposizioni sanitarie che prevedono appuntamenti, mascherine, guanti e barriere in plexiglass. Una signora, dopo che avevamo finito la messa in piega, si è perfino commossa guardando la propria immagine allo specchio”. Nei primi giorni di riapertura i saloni di parrucchiera, oltre che luoghi per curare il proprio aspetto, sono stati anche luoghi in cui condividere esperienze e sfogare frustrazioni accumulate. “Il nostro lavoro consiste anche nel saper ascoltare con discrezione – dicono Erica e Sofia -. Possiamo confermare che molti hanno attraversato momenti difficili. Ora però c’è voglia di guardare avanti”. Palestre anche all’aria aperta Giorgia Puentes e Maurizio Silva, titolari della palestra “Le Fontane” hanno fatto di necessità virtù puntando tutto su un’idea molto originale. Per approfittare del fatto che il rischio di contagio crolla all’aria aperta, hanno trasferito all’esterno ciclette, panche e altri attrezzi ginnici trasformando in area fitness nella piazza interna del complesso di viale 29 Aprile. Un’idea… che viene da lontano. “Nel ‘96, in Argentina, avevo frequentato un master in business e amministrazione - spiega Puentes -. Da allora sono rimasta in contatto con gli altri ex corsisti, che oggi lavorano un po’ in tutto il mondo, quindi durante la quarantena li ho contattati chiedendo idee relative al nuovo concept di palestra per la fase 2. E dagli Stati uniti mi hanno risposto che lì i centri fitness si stanno spostando sempre più all’esterno. Così, visto che il nostro spazio lo consente abbiamo deciso di seguire questa idea. È un po’ strano, me ne rendo conto. Però a fronte di questa situazione mai vista prima bisogna avere il coraggio di tentare anche strada nuove”.

Attualità

Allenamento all’aperto alla palestra “Le Fontane”

E poi c’è chi punta nell’e-commerce Tra coloro che per primi hanno saputo reagire al coronavirus “reinventando” la propria attività durante il lockdown c’è la Giardineria Drago, che nei giorni della pandemia è riuscita a lanciare un e-commerce di successo… internazionale. “Il settore era del tutto nuovo per noi, l’investimento non indifferente e il momento di grande incertezza, ma alla fine la soddisfazione è andata oltre le attese”. Superando anche i confini del territorio locale. “Per la festa della mamma abbiamo ricevuto ordini anche dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra: persone che non potendo venire a trovare le loro madri a Schio hanno inviato loro un mazzo di fiori tramite il nostro sito. Un utente di Roma invece, ha fatto recapitare ai suoi genitori scledensi un set di piante per l’orto”. L’esperienza di Drago, comunque, è che nella “fase 2” i clienti storici preferiscono tornare nel negozio fisico. “Con l’eliminazione dei vincoli agli spostamenti gli ordini online sono drasticamente calati e il negozio si è ripopolato. Non intendiamo comunque abbandonare lo shop virtuale, anche se ci sarà la necessità di farlo evolvere”.

Il cinema ferito aspetta la bella stagione “Sono momenti molto difficili: in questo momento navighiamo a vista”. Iole Adami, presidente dell’associazione Cineforum Altovicentino che gestisce il Cinema Pasubio non nasconde la preoccupazione, ma sottolinea anche che gli stessi abbonati stanno contribuendo a salvare la sala cittadina. “Per la stagione interrotta abbiamo proposto un rimborso parziale degli abbonamenti tramite voucher – spiega -. Fortunatamente tanti ci stanno rispondendo di non volerlo. In questo modo ci consentono di guardare al futuro, perché per noi i costi di affitto e le spese fisse non si sono fermate”. Le proiezioni riprenderanno presto all’aperto. “Cominceremo il 30 giugno con il Cinema Estate nel cortile di Palazzo Toaldi Capra, con distanziamento e tutte le misure di sicurezza”. Per la sala di via Maraschin, invece, se ne riparla dopo l’estate. “Speriamo di riaprire a settembre - continua Adami -. Distribuiremo gli spettatori a poltrone alterne e aumenteremo il numero di proiezioni. In più: sanificazione dopo ogni spettacolo, controllo della temperatura e mascherine per tutti”. ◆

Cultura? Online, ma non è lo stesso In attesa che si possa ripartire dal vivo, sono state proposte performances culturali sulla pagina facebook del Comune di Schio. Chi si è cimentato online? Presto detto: il Gruppo Astrofili, il Centro di Cultura “Dalla Costa”, i cuochi della zona con “Lo Chef a casa tua”, i dj Luciano Gaggia e Alberto Cocco che con Carlo Costalunga di Musicout hanno animato “Trame di luci”, Damiano Grandesso che si è esibito col suo sax dal pronao del Duomo e altri musicisti che hanno utilizzato gli spazi del Lanificio Conte, dello Shed e di Palazzo Fogazzaro.

Il tutto davanti a un pubblico virtuale, senza il calore di quegli applausi che soddisfano attori e spettatori. Brutto periodo per questo settore, che forzatamente partirà per ultimo e con indicazioni che si stanno via via chiarendo. Il prossimo 6 giugno, comunque, si potrà visitare a Palazzo Fogazzaro la mostra fotografica di Alessandro Zaffonato denominata “Return to Nature”: chissà che sia di buon auspicio per un ritorno alla Natura, e all’uomo in armonia con essa. [M.D.Z.]




[16] ◆ Schio Attualità

N

Giorgio Testolin, membro dell’Aggregazione Funzionale Territoriale che riunisce i rappresentanti dei medici di medicina generale del distretto.

Camilla Mantella

on è semplice, per la medicina territoriale, gestire il Covid-19. E non lo è stato soprattutto all’inizio dell’emergenza, fino a prima di Pasqua, quando i medici di base sono stati la prima linea del contenimento dell’epidemia. Una prima linea già organizzata da anni in unità integrate con segreterie uniche. Abituata a filtrare telefonicamente le richieste, ma al tempo stesso oberata da centinaia di pazienti per ogni singolo dottore. In queste settimane le cose sembrano andare meglio, ma è indubbio che, almeno per la prima fase dell’epidemia, molte persone siano rimaste a casa in attesa di cure e tamponi per giorni, se non per settimane. Abbiamo esperienza diretta, sul territorio, di pazienti immunodepressi colpiti da tosse e febbre a cui non è stato fatto il tampone perché è capitato loro di ammalarsi nei momenti immediatamente successivi allo scoppio dell’epidemia. E di famiglie conviventi, con membri ospedalizzati per Covid, a cui è stato fatto il tampone dopo venti giorni dal ricovero del familiare, e per giunta è stato fatto solo a metà dei componenti. Senza contare che, nel frattempo, i pazienti per malattie croniche o per improvvise patologie gravi non hanno cessato d’esistere: e i loro medici di base li hanno dirottati su strutture non Covid – Bassano in primis – che li hanno rispediti a casa perché un ricovero sarebbe comunque stato troppo rischioso. Agli occhi dei pazienti e dei loro familiari è stato un caos. I malati di Covid hanno vissuto settimane di rimpallo tra medici di base, servizi di prevenzione, dottori di continuità assistenziale, elemosinando tamponi che non arrivavano, direttive di comportamento più chiare, consigli.

“Superata la Pasqua abbiamo iniziato a entrare in una nuova fase. Alla confusione iniziale, che non nascondo, si è risposto con protocolli più chiari e procedure che si stanno via via standardizzando. E sono arrivati i rinforzi”.

I medici di famiglia in prima linea L’epidemia ha chiamato in causa in modo particolarmente diretto i medici di famiglia. Lo sforzo da loro fatto è stato enorme. Ora è cominciata, si spera, la fase di rientro. “La parola d’ordine è prudenza - spiega Giorgio Testolin membro dell’Aggregazione Funzionale Territoriale che riunisce i rappresentanti dei medici di medicina generale del distretto -. Lo stress continua a essere molto elevato”.

Dal tracciamento epidemiologico al virus diffuso L’epidemia ha travolto la medicina del territorio. Nessuno era preparato ed è stato evidente. Ma sicuramente lo sforzo fatto dai medici di famiglia è stato enorme e l’esperienza vissuta può essere uno stimolo per migliorare i servizi offerti e farsi cogliere più pronti nelle situazioni future che si presenteranno. Non è semplice parlare con loro, in questi giorni. Le agende continuano a essere piene, molti preferiscono ancora non condividere ciò che stanno vivendo. Raggiungiamo telefonicamente il dottor Giorgio Testolin, medico della Medicina di gruppo integrata “Ascledum” e membro dell’Aggregazione Funzionale Territoriale che riunisce i rappresentanti dei medici di medicina generale del nostro distretto. “L’esperienza del Covid-19 è andata per stadi – spiega -. In un primo momento il virus era lontano: i casi erano pochi e come medici abbiamo cercato di riconoscerli ricorrendo a un ascolto dei sintomi del paziente e a un

criterio epidemiologico, per cui si interrogava il paziente sulle sue frequentazioni, se per esempio si era recato in zone a rischio o era entrato in contatto con potenziali infetti. Si è tentato di evitare il più possibile l’accesso di questi pazienti agli ambulatori, seguendoli e guidandoli telefonicamente. Ben presto, tuttavia, il virus si è diffuso. Dapprima nelle zone del veneziano, poi, in maniera allarmante, anche sul nostro territorio. Ammetto che, allo scoppio dell’epidemia, le circolari che arrivavano erano confuse e di difficile applicazione e che ci sono stati momenti in cui mancavano i dispositivi di protezione anche per noi. Fortunatamente, anche grazie all’organizzazione in unità integrate, abbiamo retto il colpo: la segreteria si è fatta ancora più preziosa nella scrematura delle telefonate e, una volta che la sintomatologia sembrava combaciare con quella da Covid, abbiamo cercato di indirizzare i pazienti attraverso colloqui telefonici. Le visite in ambulatorio di sono fatte rarissime e chi non aveva appuntamento non poteva proprio accedere”.


Schio ◆ [17]

Dopo Pasqua sono arrivati i rinforzi La burocrazia, che fino a poche settimane prima costituiva un problema insuperabile, è stata risolta velocemente con un potenziamento delle comunicazioni digitali. “Siamo riusciti a inviare on line anche le ricette rosse, prima ritirabili di persona - continua Testolin - e sono aumentate le comunicazioni tra noi medici e le strutture tecniche e amministrative del distretto di riferimento”. Fortunatamente i medici di base che si sono ammalati di Covid non sono stati numerosi, ma i tamponi, anche per loro, sono stati disponibili solo attorno a Pasqua. “Superata la Pasqua abbiamo iniziato a entrare in una nuova fase. Alla confusione iniziale, che non nascondo, si è risposto con protocolli più chiari e procedure che si stanno via via standardizzando. Sono arrivati i rinforzi: al nostro distretto sono state assegnate 5 USCA, Unità Speciali di Continuità Assistenziale, giovani medici che

hanno vinto un bando di concorso e che, muniti delle dovute protezioni, si recano in visita ai potenziali pazienti Covid per effettuare il tampone. Ciò solleva noi medici sul territorio e, anche grazie alla collaborazione degli addetti dello Spisal, il Servizio di Prevenzione dell’ULSS, offre un servizio ulteriore ai cittadini, che vengono così sottoposti a tampone in modo più puntuale e vengono poi monitorati con contatti telefonici quotidiani sull’andamento dei sintomi, di cui si fa carico, appunto, lo Spisal. Proprio in queste settimane stiamo mettendo a punto un protocollo per migliorare la relazione tra noi medici di famiglia e USCA, così che il patrimonio informativo a nostra disposizione relativo alla storia personale dei singoli pazienti possa essere messo a disposizione dei nuovi colleghi e loro possano riportare in maniera più puntuale gli esiti delle visite effettuate”.

La nuova fase all’insegna della prudenza Dall’inizio di maggio le visite in ambulatorio hanno iniziato ad essere più frequenti. Non siamo ancora a un ritmo “normale”, ma i flussi sono più considerevoli rispetto ai mesi di marzo e di aprile. “La parola d’ordine ora è prudenza - spiega Testolin -. Continuiamo a gestire il più possibile i contatti telefonicamente e inviare ricette e impegnative in maniera telematica, ma è chiaro che il lavoro del medico non può esaurisi a questo e che ci sono pazienti che necessitano di visite domiciliari. Lo stress continua a essere molto elevato: all’inizio la responsabilità di decidere se sottoporre o meno a tampone è stata molto pesante, mentre ora l’imperativo è non abbassare la guardia. Il virus è in calo, ma è ancora diffuso”. E non si escludono recrudescenze. Il siste-

Attualità Quelli che sbracano Covid o non Covid, arriva l’estate e come ogni anno c’è chi non perde tempo a sbracare. Ecco così che in città - non in campagna o in qualche sentiero, ma nelle vie dei quartieri e anche a ridosso del centro - cominci a incontrare gente (di solito di una certa età) che va tranquillamente in giro a petto nudo; oppure gente (questa volta più giovane) a spasso in centro in ciabatte e infradito. Eppure una città non è l’orto di casa propria, e nemmeno la spiaggia di Jesolo. E sì che non servirebbe tanto per mostrare un po’ più di rispetto, non solo per gli altri ma anche per se stessi. Basterebbe una maglietta e un paio di scarpe leggere. [S.T.] ma si sta tarando, ma il virus ha esposto tutte le difficoltà di una sanità territoriale che, seppure attrezzata grazie a segreterie integrate e appuntamenti ambulatoriali entrati da tempo nelle abitudini degli utenti – ormai avvezzi a telefonate e visite solo a orari prestabiliti – ha comunque vissuto la carenza iniziale di dispositivi di protezione, la confusione delle direttive e l’alta discrezionalità a cui hanno dovuto far fronte i medici, esponendosi a responsabilità elevate oltre che al rischio di contrarre il virus. I medici di famiglia sono stati la prima linea delle prime linee. I primi a parlare coi potenziali malati e, almeno in una fase iniziale, prima che l’imperativo della consulenza telefonica fosse più diffuso, i primi a venire in contatto con loro. Spesso poco considerati – per la vulgata comune sono troppo di frequente i medici che fanno le ricette e che ti mandano dallo specialista – hanno invece nella stragrande maggioranza dei casi dimostrato una dedizione altissima alla professione e una grande umanità. E un plauso speciale va pure ai ragazzi USCA, i giovani medici che oggi visitano le case dei nostri potenziali malati Covid, che fino all’altro ieri sono stati gli specializzandi per cui non c’era mai un bando, sottopagati, con orari di lavoro al limite del possibile e precari fino ad un’età in cui uno pensa già a farsi una famiglia e una casa. Anche loro stanno dimostrando una grande attenzione al paziente e spesso sono stati in grado di offrire suggerimenti e consigli che, nello tsunami che colpisce una famiglia malata di Covid, si sono dimostrati preziosi per recuperare scampoli di un’umanità che sta cercando, tra mille difficoltà, di ritrovare un equilibrio difficile. ◆


[18] ◆ Thiene Attualità A suon di clip video caricati sui social, musicisti, attori, cabarettisti, cantanti e altri personaggi nati e/o cresciuti nell’Altovicentino hanno lanciato il loro appello speciale.

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Omar Dal Maso

n’idea che nasce dal bisogno genuino di offrire una mano concreta a chi affronta l’epidemia. E che, nell’arco di un mese, riesce a coinvolgere 25 tra artisti e campioni dello sport di Thiene e dintorni e raccoglie oltre 6 mila euro in una “quarantena” di giorni. Trasformati, se così si può dire, in mascherine, gel, camici e dispenser. Tutti materiali consegnati all’Ulss 7 e alla casa di riposo Muzan di Malo. L’iniziativa, partita da quattro amici di Villaverla, è stata intitolata “Ulss 7 vs Covid” e ha coinvolto vari testimonial a partire dallo scorso 23 marzo fino al 3 maggio, giornata simbolo della chiusura della “fase 1” dell’emergenza. A suon di clip video caricati sui social, musicisti, attori, cabarettisti, cantanti e altri personaggi nati e/o cresciuti nell’Altovicentino hanno lanciato il loro appello speciale. Un invito a donare che ha avuto come epicentro Villaverla e che si è espanso coinvolgendo gruppi musicali come i “The Sun” e “Mr Boss”, voci di talento già in Tv come quelle di Eva Pevarello e Vivian Grillo, e quelle emergenti di Tobia Lanaro, Joele e Giulia Compostella. Insieme a loro nomi e volti noti dello sport, come il pugile Luca Rigoldi (campione europeo) e l’ex cestista azzurra Raffaella Masciadri.

Artisti e campioni uniti contro il virus Dal campione europeo di pugilato Rigoldi e da altri amici del paese nasce a Villaverla una proposta benefica che raccoglie testimonial e donazioni destinati a casa di riposo e ospedale. Guai a dimenticare gli altri: attori affermati, fumettisti, registi e commercianti locali. A rispondere, chi con piccole chi con più ingenti somme, è stata la gente comune. Sono stati circa 80 i benefattori. Da libro cuore la generosità di una ragazzina di 13 anni di Dueville che ha rinunciato al nuovo smartphone – ci raccontano i promotori – donando 150 euro a favore del prossimo. La proposta è sorta da un papà di 42 anni, incapace di assistere inerme alle immagini trasmesse in tv. “Sentivo solo di dover fare qualcosa di più di una donazione personale - spiega Michele Vezzaro, ideatore insieme alla moglie Ivanka e a Giada Bassan, coinvolgendo da subito il boxeur Rigoldi –, un forte impulso a smuoversi e condividere questo desiderio con altri che provavano le stesse sensazioni. Di fronte a un disastro simile è cresciuto il desiderio di non rimanere fermo a guardare”. L’iniziativa è stata lanciata attraverso una piattaforma on line sicura. La generosità di pochi diventa davvero contagiosa, ed è così che con piccole gocce si raggiunge il primo obiettivo: acquistare e consegnare all’Ulss 7 le prime 1.200 protezioni in tela a pochi giorni dal varo della campagna solidale. Poi arriveranno a destinazione 65 contenitori di soluzione idroalcolica, mascherine chirurgiche – circa 3 mila alla fine – e 200 filtranti ffp2. Di recente, poi, dopo lo sprint finale, sono stati donati altri 100 flaconi di liquido e 300 camici “tnt” per i visitatori, ancora una volta della casa per anziani “Muzan”, e tre piantane con dosatori da installare in ospedale.

Un bel successo. Condiviso tra tanti uomini e donne di tutte le età e, soprattutto, di buon cuore. “Tutto vero – dice Vezzaro – soprattutto pensando che all’inizio saremmo stati felici di raccogliere anche mille euro”. Da idea nasce idea? “La rete spontanea di contatti va tenuta viva. Il sogno consiste nell’organizzare, quando sarà consentito, uno spettacolo con tutti i testimonial. Portare sul palco l’energia e l’entusiasmo che ci hanno unito e hanno coinvolto la gente”. ◆

Il Castello riapre e si scopre romantico Romanticismo dell’Ottocento e tecnologia del XXI secolo per il Castello di Thiene, che ha riaperto i battenti da domenica 24 maggio. E lo fa in grande stile, con una sorpresa per i visitatori: accesso consentito anche al grande Giardino Romantico di circa 12 mila mq, il parco verde riccco di colori e di profumi del centro città, di norma chiuso al pubblico salvo occasioni speciali. La conclusione del lockdown ha spinto i proprietari del simbolo della Thiene del passato a consentire l’ingresso con modalità precise. In sicurezza e in maniera ordinata grazie a un sistema digitale che parte dalla prenotazione obbligatoria da esibire attraverso il telefono cellulare all’entrata - e arriva al “via libera” ogni 15 minuti per i visitatori, dotati di audio-guida da ascoltare direttamente dal proprio smartphone. Il Castello è aperto tutte le domeniche dalle 10 alle 18. [M.D.Z.]


L’oncologia torna a casa Dopo due mesi di trasloco a Bassano i pazienti in cura con la chemioterapia sono tornati all’ospedale di Santorso.

S

edute di chemioterapia vicine a casa e “telemedicina” per le visite di controllo dei pazienti oncologici che non necessitano di presenza fisica del medico. Tra novità e accenni di ritorno alla normalità si delinea il futuro che interessa da vicino le famiglie alle prese con la cura del cancro. Da lunedì 18 maggio, intanto, Oncologia e Day Hospital hanno ripreso posto nell’originaria sede di Santorso, dopo il trasferimento temporaneo a Bassano. Di pari passo al ripristino delle attività di Pronto Soccorso e interventi di chirurgia, altri step fondamentali per servire un bacino di circa 120 mila abitanti. L’Unità Operativa Complessa di Oncologia diretta dal dottor Franco Bassan non si era mai arrestata, ma spostata nel distretto 1.

Due mesi di “esilio” conclusi con il ritorno alle funzioni pre-Covid dell’ospedale Alto Vicentino. Il duplice obiettivo di liberare spazi e di preservare la salute dei malati oncologici è stato raggiunto, secondo le intenzioni dell’Ulss 7, limitando al minimo i disagi. “Il trasferimento non ha inciso sulla nostra attività - spiega il primario -, abbiamo

Thiene ◆ [19] Attualità garantito le terapie previste per i nostri pazienti, attivando servizi di trasporto per chi ne aveva bisogno. Abbiamo mantenuto gli stessi trattamenti chemioterapici giornalieri, nel rispetto delle norme di sicurezza previste, senza registrare ritardi”. Spirito di adattamento e apertura a nuove modalità di confronto con gli utenti, per coloro che si sottopongono ai controlli di routine. “Come da indicazioni dell’Associazione Italiana Oncologia Medica, abbiamo modificato le modalità del follow up, privilegiando la valutazione da remoto”. In altre parole, sono state adottate le modalità della telemedicina: e-mail, telefonate e videochiamate. Tutto ciò non sostituisce il più accurato “faccia a faccia” con il medico in caso di necessità, ma preserva il malato da rischi di contagio. Un utile strumento che continuerà a essere adottato (almeno) fino alla conclusione dell’emergenza. Anche grazie, lo afferma lo stesso Bassan, “alla collaborazione da parte di tutti i pazienti”. ◆ [O.D.M.]


[20] ◆ Schio Attualità Dopo un mese e mezzo di chiusura, gli ecocentri hanno riaperto solo su appuntamento ed è stata la corsa alla prenotazione: dopo pochi giorni si riceveva appuntamento due settimane dopo.

S

Camilla Mantella

iamo rimasti chiusi in casa per due mesi. E in questi due mesi abbiamo occupato il tempo “distrigando”. Abbiamo liberato soffitte e cantine, riordinato armadi, scoperto magari cimeli di famiglia affossati in fondo a cassetti dimenticati. C’è chi, fra i più giovani, ha seguito i video su YouTube che inneggiano a Marie Kondo, la guru giapponese del decluttering che insegna come gettare tutto quello che non si utilizza e fare spazio all’ordine e all’armonia. I meno giovani, invece, si sono concentrati sul giardino e hanno potato tutto quello che potevano potare, complici le meravigliose giornate d’aprile (mai successo negli ultimi decenni a Schio che ci fosse sole alle Palme, a Pasqua e pure il primo maggio),. Insomma, ci hanno chiuso nelle nostre dimore e noi le abbiamo tirate a lucido. E poi abbiamo cucinato. Tonnellate di cibo. Pizza, perlopiù. Ma pure dolci, pane, tutta roba che richiede lievitazioni non indifferenti. Il risultato? Abbiamo prodotto una valanga di rifiuti. Ci siamo accorti che i nostri sacchetti gialli e blu si consumavano ad una velocità insuale e chi usciva la mattina per andare al lavoro si stupiva per le montagnole di sacchetti agli angoli delle strade. Vuoi perchè intere famiglie sono state in casa e hanno consumato insieme colazione, pranzo e cena, vuoi perché si sono svuotati gli armadi, alla fine della Fase 1 ci sono rimasti moltissimi scarti. E in tutto questo si sono aggiunti gli ecocentri chiusi. Perché se il porta a porta è sempre stato garantito – e in modo puntuale, senza alcuna interruzione del servizio – il conferimento di ramaglie, ingombranti e inerti nei vari ecocentri comunali, invece, è stato sospeso per circa un mese e mezzo per ragioni di sicurezza,

Certo è ben strano che qua e là sia necessario ancora oggi utilizzare cartelli come questo, affisso a Giavenale vicino alla chiesa di Santa Giustina, per avvisare che in quell’area è vietato abbandonare rifiuti. Ma se serve indicare un divieto del genere, vuol dire che altrove è lecito “trar via” rifiuti? [S.T.]

Due mesi in casa e tanti rifiuti in più Nei mesi del lockdown le famiglie, costrette a vivere e a consumare tutto in casa, hanno finito col prodourre moltissimi rifiuti, acquistando in molti casi i sacchetti per la differenziata al supermercato. Ma se si passasse alla distribuzione con i dispenser come nel Trevigiano?

dal momento che avrebbero potuto crearsi assembramenti. Quando poi sono stati riaperti su appuntamento, è stata la corsa ad accaparrarsi il posto. Il Comune di Schio ha attivato sia un numero telefonico che un form online per prenotare la propria fascia oraria, ma già un paio di giorni dopo la riapertura degli ecocentri gli appuntamenti erano disponibili dopo oltre due settimane. Abbiamo scartato e consumato moltissimo, insomma. Ma avere a che fare con i propri rifiuti è stato anche un modo per non dare per scontato tutto quello che produciamo in casa. Sul nostro territorio gli scarti sembrano a volte invisibili. Stanno in piccoli sacchetti che, nel giro di una notte, qualcuno porta via dalla nostra vista. Oppure li carichiamo in auto e li depositiamo in grandi cassoni vicino alle Piscine o a Magrè, liberandocene velocemente. Ci si è abituati alla differenziata – ed è un grande traguardo – ma non ancora a ridurre la produzione di scarti. Inoltre, subito dopo lo scoppio dell’epidemia, il Comune di Schio ha sospeso la distribuzione dei sacchetti per la differenziata, suggerendo ai cittadini di comprarne di

uguale colore al supermercato e di esporli in strada per il ritiro senza preoccuparsi di eventuali rifiuti da parte dell’ente gestore del servizio di raccolta. Una decisione che ha evitato sicuramente qualche spostamento, ma per il futuro potrebbe essere utile un investimento più intelligente: da anni, in alcuni Comuni del Trevigiano, sono attivi distributori automatici di sacchetti che funzionano gratuitamente attraverso la tessera sanitaria dell’intestatario della tassa rifiuti. Le persone, in questo modo, non perdono l’abitudine di differenziare consapevolmente, non si interrompe il conteggio dei conferimenti del secco (che nel periodo dell’emergenza a Schio è stato sospeso) e si consente di liberare risorse umane impiegate in Comune perché si occupino di procedimenti a maggior valore aggiunto rispetto alla distribuzione di sacchetti per la spazzatura. Dispenser di sacchetti: un cambiamento utile non solo per evitare contatti nel periodo del Coronavirus, ma pure per usare in modo intelligente le risorse disponibili senza che le persone perdano la consapevolezza che lo scarto va differenziato e – possibilmente – evitato. ◆



[22] ◆ Schio Attualità

Ma com’è strano fare la spesa al tempo del Covid C Mirella Dal Zotto

i sono i gioielli della corona e quelli... del corona(virus). Amuchina, candeggina, mascherine e guanti, farina, tonno, olio, uova, ma anche birra e carta igienica, almeno a inizio pandemia. A fine febbraio, per la prima spesa in era Covid, ci siamo recate al supermercato fiduciose, senza che il dubbio dell’accaparramento selvaggio ci sfiorasse di striscio. Siccome però la curiosità è insita nella persona e nella professione, abbiamo chiesto a vari operatori, nonché al direttore, come stavano andando le vendite. Risposta ovvia: benissimo. Domenica 23 e lunedì 24 febbraio, non dicembre, l’incasso è stato identico a quello della vigilia di Natale. Amuchina, candeggina? Chi erano costoro? Introvabili, e così è stato fino alla fine dell’emergenza. Spesso ci prepariamo il pane in casa, ma ci mancava la farina adatta, quella con uno zero solo; niente, il Forno delle Grucce era già stato assaltato, e la farina 0 è tornata a farci l’occhiolino, in versione multimarche, solo dopo un mese e mezzo. Nella carta igienica era rimasta solo la più costosa: del resto, il coronavirus può provocare anche diarrea, meglio premunirsi. Martedì 24 marzo, un mese dopo, altro giretto di ricognizione, stavolta con marito al seguito, ma in entrata scaglionata per la spesa ai genitori anziani, rimasti a casa e gelosamente conservati sotto campana di vetro. Al super, ancora amuchina assente, e stavolta varie marche di disinfettanti per la casa pure; però, oltre ai guanti a perdere, all’ingresso abbiamo trovato un liquido contro vari “bài”: considerato che per far la spesa si palpa di tutto e di più, lo spruzzo iniziale e finale era proprio provvidenziale. Farina e panificati in caduta libera, poca scelta: era aumentato vertiginosamen-

Anche andare al supemercato per fare la spesa, in questi mesi, è diventata un’esperienza del tutto nuova, tra mascherine, guanti, distanze da rispettare, prodotti improvvisamente diventati rari e altri introvabili.

te anche l’uso della farina di mais, magari perché era considerevolmente maggiore il tempo per mescolar polente. Ci ha consolato il fatto che si sono probabilmente estinti gli intolleranti al glutine, specie in forte aumento prima della pandemia. Gli scledensi hanno ampiamente dimostrato di dilettarsi con pane, dolci e paste fatti in casa, perché non c’era più ombra manco

“Il maggior problema è la delega: molte famiglie delegano alla scuola, in toto, l’educazione e la gestione di figli che, diventati sempre più complessi, faticano a capire. del lievito. Ergo, forte diminuzione degli intolleranti anche a questo alimento: ma che schiappe eravamo, solo poco tempo fa? Ritornati invece a far bella mostra di sé tonno e olio, ancora non in splendida forma lo scaffale delle consolatorie birre. Ritorno in grande stile della carta igienica, perché la rassegnazione aveva preso il sopravvento sull’emozione. Mercoledì 22 aprile, verso la Liberazione, abbiamo proseguito la nostra Resistenza met-

tendoci in fila pazientemente con altri individui mascherati, ma non loschi, davanti a un vigilante che distribuiva agognati numerini per l’accesso.Abbiamo trovato farina per il pane, quasi tutta proveniente da mulini della provincia o, al massimo, di quelle limitrofe. Bene, così si fa. Ancora grande assente, però, il lievito: fresco, secco o nascosto in qualche confezione per la pizza. A metà maggio abbiamo notato che scatolame, pasta, riso e olio erano alla normalità, mentre fra i prodotti per la pulizia della casa il grande assente, da un paio di mesi, era ancora l’alcool per disinfezione. Speriamo che qualcuno non l’abbia usato per detergere i propri organi interni, come suggerito da quel fior fiore di scienziato d’oltre oceano di nome Donald Trump. E dietro l’angolo… Sorpresa! L’amuchina! Oddio, non proprio quella inconfondibile coi quadratini rossi, ma una similare. L’abbiamo presa, maneggiata, controllata nei componenti e abbiamo scoperto che acquistandola facevamo una piccola donazione alla Città della Speranza. Quella speranza che non va mai perduta, mai. Chissà, forse il peggio è passato. Forse non ha più “da venì ‘a nuttata”, per dirla con De Filippo. E noi, che di teatro ci occupiamo da quarant’anni, adesso aspettiamo che si apra il sipario: non ci basta più la porta automatica del supermercato… ◆



[24] ◆ Schio Attualità L’area, totalmente abbandonata ormai da troppo tempo, potrà diventare l’occasione ideale per realizzare un trait d’union fondamentale tra la città “del vivere” e la città “del fare”.

F

Stefano Tomasoni

inalmente si fa strada il futuro, per l’area ex Lanerossi in zona industriale. Dopo l’accordo che era stato raggiunto giusto un anno fa tra il Comune e la proprietà (Gruppo Marzotto), adesso è arrivata la proposta definitiva del Piano urbanistico per il recupero della parte più storica e al contempo strategica della zona industriale scledense. E l’amministrazione comunale l’ha trovata soddisfacente e in linea con le aspettative di interesse pubblico. Quindi si fa sul serio. Che questa sia un’area storica, per Schio, non c’è alcun dubbio. E qui che tutto è nato, a metà degli anni Sessanta, favorito dall’intuizione del sindaco di allora, Carlo Gramola che capì per primo l’importanza di individuare una grande area al di fuori dell’abitato da destinare a una rete omogenea di insediamenti produttivi. Quei due enormi capannoni bianchi, che visti dall’alto assomigliano a termosifoni e che per decenni hanno tenuto al caldo gli scledensi assicurando lavoro a un gran numero di famiglie, furono il punto di partenza. Per costruirli, all’epoca, furono necessarie 2 mila tonnellate di acciaio, 300 tonnellate di alluminio, 20 mila tonnellate di calcestruzzo. Giusto per dare l’idea della mole di materiale che ci si troverà a dover demolire e smaltire. Gli stabilimenti furono aperti alla fine del 1967 con una grande giornata di festa per celebrare i 150 anni di vita del lanificio Rossi. Che poi quest’area sia strategica è altrettanto evidente, se si pensa alla sua dimensione e al suo posizionamento: più di 300 mila metri quadrati che compongono un “compound” dalle grandissime potenzialità produttive ed economiche, trattandosi di uno spazio straordinariamente ampio e compatto che, una volta abbattuti i capannoni, sarà come un enorme foglio bianco su cui disegnare non soltanto il futuro del-

Ex Lanerossi, stavolta ci siamo È arrivata la proposta definitiva del Piano urbanistico per il recupero della parte più storica e al contempo strategica della zona industriale scledense. E l’amministrazione comunale l’ha trovata soddisfacente.

la zona industriale, ma anche quello della città nel suo complesso. Già, perché l’area può diventare l’occasione ideale per realizzare un trait d’union fondamentale tra la città “del vivere” e la città “del fare”, evitando il rischio che la zona industriale, con la “personalità forte” che si ritrova (è grande 4 milioni di metri quadrati, quasi quanto l’intero Quadrante Europa di Verona ed è forse la meglio disegnata del Veneto), si scolleghi dalla Schio urbana che l’ha generata, vivendo per certi versi di vita propria. Ora, dunque, comincia un percorso sicuramente non breve e non tutto in discesa, visti anche i tempi, ma è come aver tolto il tappo a una piscina: l’acqua inizia a defluire. “Il Piano urbanistico depositato tiene conto della vocazione imprenditoriale del territorio e fa riferimento a quanto di più innovativo vada oggi tenuto in considerazione, in una prospettiva di efficienza e ottimizzazione delle risorse, anche nel rispetto delle nuove norme di sostenibilità

ambientale e risparmio energetico” commentano soddisfatti in Comune. I numeri in ballo danno il senso della posta in gioco. 110 mila metri quadrati di edificato, su cui si interverrà in cinque stralci successivi e con la realizzazione di moduli accorpabili a seconda delle esigenze delle imprese che vorranno insediarsi. Ma poi 27 mila metri quadrati di viabilità interna, 16 mila di parcheggi, 36 mila di marciapiedi, 5 chilometri di piste ciclabili, 68 mila di verde pubblico. E ovviamente fibra ottica come se piovesse, produzione di energia rinnovabile, aree di ricarica per auto e bici elettriche. Ci saranno anche alcuni insediamenti commerciali bisognosi di una certa dimensione, ma niente ipermercati, come chiedevano i Commercianti, giustamente preoccupati che potesse sorgere una specie di centro commerciale alle porte della città, a dare il colpo del kappao al piccolo commercio locale, già fiaccato dalle dinamiche della distribuzione di questi anni e da ultimo dal ferale coronavirus. Ora il Piano urbanistico dovrà passare ovviamente al vaglio della giunta comunale, e poi ottenere i “via libera” di legge con Valutazione di impatto ambientale e la Valutazione ambientale strategica. Ci sarà anche modo per i cittadini di esprimere pareri e osservazioni. Dopodiché, fra all’incirca un altro anno, tutto sarà pronto per partire davvero. ◆



[26] ◆ Schio

Foto Andrea Ballarin

Spettacoli

“Varachebagolo” porta, fra le altre cose, ad ascoltare magari chi non ha le nostre stesse opinioni, nel rispetto e nel dialogo che può e dovrebbe esistere nelle differenze di vedute.

P

Mirella Dal Zotto

rima della chiusura dei locali di ritrovo, abbiamo accolto l’invito a partecipare a una serata singolare in quel della “Corte Sconta”, birreria (e altro) a Santorso, per un format tanto inusuale quanto antico, adottato dagli organizzatori: pubblico libero di andare e venire (ma non di disturbare), di mettersi in gioco raccontandosi al vicino di tavolo, di ascoltare racconti di anziani ricchi di esperienza e di giovani (nel nostro caso una ragazza straniera) che di esperienze ne stanno facendo molte in giro per il mondo, di applaudire Giuseppe Dal Bianco lì per suonare i suoi fiati etnici. Il tutto sorseggiando un bicchiere, un caffè, una tisana: un bel filò, animato da un abile presentatore, Morgan Palmas, in grado di mettere a proprio agio tutti i partecipanti. “Varachebagolo”, così è stata denominata l’iniziativa, è nato una sera dell’autunno scorso dalle idee di quattro amici ‒ Elena Pettinà, Andrea Ballarin, Morgan Palmas e Ugo Resteglian ‒ che si sono detti che forse sarebbe stato interessante condividere alcune delle loro “chiacchiere” con altri, così, semplicemente per fare un po’ di “bagolo”. Ora, a causa della pandemia, il progetto è temporaneamente sospeso, ma gli organizzatori attendono il via libera per ricominciare, pronti ad aggiornare sulle novità nella pagina Facebook. Dell’iniziativa abbiamo parlato con Morgan Palmas, portavoce del gruppo. Beh, complimenti, pubblico numeroso e attento… la Corte Sconta va bene, è «da filò», ma avete un piano B se il pubblico fosse più numeroso e voleste proseguire con le serate l’autunno prossimo?

“Quando abbiamo parlato del progetto con Christian, titolare del locale di Santorso,

Bella idea quel “Varachebagolo” Prima del coronavirus era partita alla “Corte Sconta” di Santorso una stimolante novità tra spettacolo e cultura: un format inusuale con pubblico libero di andare e venire, di mettersi in gioco raccontandosi al vicino di tavolo, di ascoltare racconti di anziani ricchi di esperienza e di giovani. Appena superata l’emergenza, gli organizzatori intendono ripartire. da subito è stato entusiasta e noi siamo felici che la risposta sia stata numerosa fin da subito. In tutta sincerità, fin dal primo evento, il nostro obiettivo non si è mai concentrato sul numero dei partecipanti, ma sulla qualità dei contenuti e sull’apprezzamento da parte di chi interviene. Al momento stiamo bene qui”. Il vostro è un bell’esperimento socio-culturale in tempi di internet: quali sono le ragioni del vostro piccolo, grande successo?

“Noi ci divertiamo a organizzare le serate, lo facciamo puntando sull’informalità e sulla semplicità: forse proprio per questo ‘Varachebagolo’ piace. Fra il pubblico ci sono persone giovani e meno giovani e questo è un aspetto interessante del progetto, perché oggi è difficile mettere in relazione le nuove e le vecchie generazioni. Le prime serate sono iniziate proprio con interviste a persone di una certa età ed è stato coinvolgente sentire le loro storie. Inoltre, l’invito ad attaccare bottone con il vicino di posto sconosciuto, attraverso delle domande stimolo, è un’occasione diventata rarissima, e molto apprezzata. Varachebagolo porta, fra le altre cose, ad ascoltare magari chi non ha le nostre stesse opinioni, nel rispetto e nel dialogo che può e dovrebbe esistere nelle differenze di vedute. È stimolante”.

La programmazione: come viene pensata?

“Abbiamo creato da subito un gruppo su whatsapp per scambiarci informazioni, una pagina facebook per le comunicazioni ufficiali e attraverso dropbox definiamo i file di ogni serata, modificandoli a seconda delle evoluzioni. Questa è la parte tecnologica che facilita l’organizzazione, però quella più bella la viviamo quando ci troviamo per parlarci vis-à-vis, è lì che rafforziamo l’amicizia e creiamo incontri; stiamo alimentando la curiosità in una rete di persone che si è affezionata al nostro progetto e ciò ci testimonia la bontà dell’idea”. Artisti del territorio, storie dei nostri anziani e dei nostri giovani, un occhio al futuro senza dimenticare il passato… bravi, non c’è che dire.

“Varachebagolo ha dimostrato che anche con piccoli eventi è possibile condividere bellezza stando in semplicità assieme alle persone, oggi spesso sole nella bolla dei social network o comunque poco propense, fuori da internet, a relazionarsi su qualche tema interessante con degli sconosciuti.Teniamo però a precisare che non abbiamo inventato nulla, perché fino a poche decine di anni fa le relazioni umane più belle si tessevano nei filò delle stalle di tutto il Veneto. Ora è nelle nostre idee organizzare un nuovo evento a giugno o a luglio. Male che vada, speriamo di ritrovarci tutti a settembre…”. ◆



[28] ◆ Schio Spettacoli

Foto Roberto Rizzotto

I primi 40 di Schio Teatro Ottanta L Mirella Dal Zotto

a storica compagnia di prosa Schio Teatro Ottanta, fondata da Antonio Balzani e Pietro Bertoncini, doveva iniziare alla fine dello scorso febbraio i festeggiamenti per il suo quarantesimo, forzatamente rimandati dalla pandemia. Il gruppo è una realtà consolidata e sono i numeri a parlare: 155 gli iscritti attuali, dieci in più dello scorso anno, ripartiti nella Bottega Adulti (36), nella Bottega Giovani delle scuole superiori (33), nella Bottega Junior per le scuole medie (20), nella Bottega Junior per le scuole elementari (16). I componenti recitanti in compagnia sono 50. Lo scorso anno Schio Teatro Ottanta ha potuto contare su 3500 spettatori, con una media di 170 a spettacolo/evento. 10 i corsi di formazione organizzati e realizzati nella sede “Il Piccolo Velario”, per un totale di 246 partecipanti. Parliamo di Schio Tetro Ottanta con Paolo Balzani, direttore artistico della compagnia, regista e interprete. Come si fa a star sulla breccia per quarant’anni? Qual è il segreto di questa longevità?

“Credo che il segreto stia proprio nell’impostazione data in origine dai fondatori, Antonio Balzani e Giampiero Bertoncini che, accanto all’anima tradizionale, hanno sempre lasciato spazio ai giovani, alle loro idee e ai loro progetti. Schio Teatro Ottanta, pur essendo tra le compagnie storiche del Veneto, ha una età media degli interpreti tra le più basse.”. Qual è, oggi, la strada più innovativa che il gruppo percorre?

“Ritengo sia il teatro corporeo: un teatro universale, senza parole o con solo qualche suono vocale, che lascia spazio alla creatività fisica senza i tecnicismi della danza. È

La compagnia di prosa “Schio Teatro Ottanta” ha raggiunto i quarant’anni di attività. Il segreto? “Sta nell’impostazione data in origine dai fondatori che, accanto all’anima tradizionale, hanno sempre lasciato spazio ai giovani, alle loro idee e ai loro progetti”, dice il direttore artistico Paolo Balzani.

concentrato sulla pura espressività interpretativa del corpo e sulle sue forti potenzialità comunicative. Il percorso, che sta incontrando molto interesse, è coordinato da Elena Righele e il suo primo spettacolo, ‘76847: c’è un punto della terra’, ha ottenuto svariati riconoscimenti, vincendo anche il Festival di Matera”. Innovazione e impegno sono determinanti, ma anche la sana risata, per gli amatoriali, è sempre un obiettivo da perseguire.

“Coinvolgere il pubblico nella risata è meraviglioso ed è incredibile constatare come

L’ impostazione di teatro educativo, attento alla persona e alle sue peculiarità, è per noi una vera e propria missione la comicità riesca a travalicare anche la lingua e le culture. Nel nostro repertorio abbiamo opere in italiano e in veneto, comiche e drammatiche, tradizionali e moderne. Da un paio d’anni è nata pure Skené, su iniziativa di Elisabetta Cocco, con l’obiettivo di portare in scena il teatro classico greco, in modo anche innovativo, ma nel rispetto del testo originario”. C’è, o c’è stato qualcuno, fra i vostri aderenti, che ha imboccato la strada del teatro professionale?

“Sì, qualcuno degli associati ha preso la via della professione teatrale. Si tratta di una scelta di vita più che artistica, in quanto il metodo che proponiamo agli allievi è il costante e continuo studio e allenamento. L’ impostazione di teatro educativo, attento alla persona e alle sue peculiarità, è per noi una vera e propria missione e si fonda sugli insegnamenti di un nostro grande associato: il professor Giovanni Calendoli”. Avevate programmato tredici appuntamenti per il quarantennale, ma il calendario è stato stravolto dalla pandemia.

“Eh, sì. La quarantena forzata ci ha costretto a ripensare la nostra attività teatrale e la nostra relazione associativa. Abbiamo deciso di non interrompere i nostri incontri, effettuandoli con le videoconferenze e lanciando iniziative in grado di stimolare altre forme di espressione recitativa. Così, la prima azione è stata una sorta di ribellione, i video #INCUCOVID19, brevi interpretazioni per far capire che noi teatranti continuiamo a vivere e a diffondere la bellezza della nostra arte; più di cinquanta associati, tra cui molti giovani, hanno risposto interpretando testi classici, moderni o pezzi scritti da loro. Poi è stata la volta di “80vogliadiTeatro”, un appuntamento settimanale, ogni venerdì sera, con brevi conversazioni sull’arte drammatica. I corsi di recitazione concluderanno la stagione con registrazioni audio, perché la nostra Bottega vuole produrre sempre nuovi talenti e nuovi progetti, anche in fase di pandemia”. ◆


Thiene ◆ [29] Sport

L’Hockey Thiene lucida i pattini per ripartire: “Per la storia e la passione” Il presidente “Tony” Marchioretto scommette sul vivaio gialloblu ma pretende garanzie dall’alto. Intanto il campionato di serie A2 si chiude in anticipo senza vincitori né vinti.

“S

Omar Dal Maso

tecche incrociate” nel mondo dell’hockeypista. Non certo per protesta ma per necessità. L’emergenza sanitaria ha stoppato tutte le discipline sportive e anche la storica franchigia dell’Hockey Thiene ha dovuto frenare sui pattini a rotelle, e riporli – temporaneamente è l’auspicio degli appassionati dei colori gialloblu – negli armadi del Palaceccato. Sport di squadra e pure di contatto, che si pratica in palestre e palasport indoor, l’hockey vede il futuro disseminato di incognite. Proprio a Thiene “resiste” uno dei club più longevi del panorama italiano, nato nel 1957 e che vanta un vivaio da sempre molto farcito e attivo, prolifico di talenti. Circa 120 i tesserati attuali di una delle roccaforti in Italia, che nei primi anni ‘90 lottava per lo scudetto e la Coppa Cers europea e oggi si trova con la prima squadra

in serie A2 e nove team “baby”. Dalla seconda squadra di B all’Under 19 in giù fino al minihockey, in tutte le categorie giovanili nelle varie fasce d’età. Tutti “armati” di stecca di legno, pallina, pattini a quattro rotelle in stile amarcord e, soprattutto, di tanta passione per uno sport che sa di poesia abbattendo mode e decenni per sopravvivere fino ai giorni nostri. Presidente da oltre 25 anni è Antonio Marchioretto. Che si è ritrovato tra le mani più di una patata bollente da quando alla terza decade di febbraio scoppiò il primo focolaio in Veneto. Il 22 febbraio si gioca, Thiene batte Modena, seconda in classifica, per 6-3. Recuperando terreno in ottica playoff. Tutto rimane in bilico nei giorni successivi, fino alla trasferta prevista per il 29 dello stesso mese. Poi come avvenne lo stop?

“Quel sabato – spiega Marchioretto – dovevamo partire per la Toscana per disputare alla sera il match contro la capolista Gros-

seto. Dopo una serie di telefonate, alla fine siamo rimasti a casa: in extremis la Lega ha deciso di bloccare tutto, tenendo conto che tra Veneto e Lombardia, già zone più a rischio, si trova la fetta più consistente di club che praticano l’hockey. Da quel giorno non si è più giocato”. Poi tanta incertezza, da parte di chi governa il mondo dello sport, che si abbina a quella di tutti. Giocatori, allenatori, dirigenti e tifosi sono travolti da i timori dell’epidemia nel nord Italia prima di espandersi e tramutarsi in pandemia. “In quei giorni – continua Marchioretto, che da 27 anni regge il timone thienese - come società siamo stati attenti a ciò che succedeva intorno, avendo anche la responsabilità della gestione del palazzetto, fino a quando è arrivato l’ordine di chiudere”. Il salto temporale di tre mesi porta ad oggi. Giorni di sblocco, di relativa libertà di movimento ma ancora di immobilità sostanziale per chi pratica sport di squadra. E dopo un limbo in cui si sono ricevute più domande che risposte. Da qui in poi cosa accadrà all’hockey e al suo club? Serve una sfera di cristallo?

“A livello sportivo, di fatto la stagione è stata annullata. Non ci sono né vincitori né vinti. Saliranno in serie A1 le migliori Grosseto e Modena e nessuno retrocederà dal piano superiore. Riguardo al futuro non possiamo che prepararci a ogni scenario e garantire di portare avanti la nostra storia e la nostra passione”. Thiene, dunque, chiude al 6° posto, con il podio ad appena tre punti. Tanta buona volontà, dunque, condivisa con lo staff di collaboratori, ma c’è anche preoccupazione.

“Servono direttive chiare dall’alto. Come presidente non mi vergogno a dire che sono terrorizzato dal problema della responsabilità civile e penale, su questo aspetto va trovata una soluzione. Dobbiamo ricevere garanzie e sapere come comportarci con i giocatori prima di tutto. Tra i dirigenti abbiamo individuato una persona qualificata che svolgerà il ruolo di addetto sanitario. È un primo passo importante. Sul piano pratico disponiamo di una palestra ampia, che si può dividere in tre zone separate da teli semovibili dove allenarsi con il distanziamento richiesto a gruppi di lavoro di 4-5 giocatori. Semmai il problema rimangono gli spogliatoi: l’impianto è utilizzato da più associazioni. Impossibile pensare a sanificarli dopo ogni allenamento. Vedremo quali disposizioni saranno decise, non ci resta che attendere e non mollare”. ◆


[30] ◆ Detto tra noi

Per inviare lettere e contributi a SchioMese, scrivere a: schiothienemese@gmail.com Si prega di inviare i testi soltanto via posta elettronica e di contenere la lunghezza:

testi troppo lunghi non potranno essere pubblicati a prescindere dai contenuti.

Anche le Scuole dell’infanzia paritarie hanno lavorato durante l’emergenza Ho preso lo spunto da un articolo apparso sul Giornale di Vicenza del 30 aprile u.s. riguardante la didattica virtuale per i bambini dell’asilo Comunale, che informava circa il fatto che le insegnanti, con ragione, non si sono fermate a causa della pandemia. Ebbene posso assicurare che nemmeno le scuole Paritarie del territorio sono state a guardare. Passato il primo momento di comprensibile turbamento e confusione, già dall’11 marzo la Scuola per l’Infanzia Paritaria San Domenico Savio di Magrè con la quale da dodici anni collaboro come volontario, si è rimessa al lavoro per assistere i genitori e soprattutto per non far mancare ai bambini quel supporto, quel calore che quotidianamente fino a poco prima potevano attingere dalla struttura scolastica e tutto quanto riguarda la didattica. Non siamo più “all’Asilo”, quello che anch’io ho frequentato tanti e tanti anni fa proprio in queste aule a Magrè, anzi l’aula era una sola. Certo l’ambiente non è più lo stesso, ci mancherebbe, ma a parte le aule spaziose e luminose, le attrezzature, il

grande giardino interno ombreggiato, con i giochi fissi e mobili, che permette di muoversi in libertà, la mensa sotto controllo dei dietologi, interna alla Scuola che quotidianamente sforna piatti espressi e mai preconfezionati, e molto altro ancora, tutte cose impensabili ai miei tempi! Ma quello che in questo momento deve essere prioritario, è trasmettere continuità alla didattica e alla programmazione: gli elaborati sono stati trasmessi in video e con fotocopie da scaricare, il calendario settimanale, un video di sostegno alle mamme per il loro impegno.Tutto via Whatsapp, mail, o scaricabile dal sito internet sempre aggiornato con didattica a distanza. Le Scuole dell’Infanzia Paritarie in questo momento si sentono non a torto discriminate; il personale è da tutelare garantendo i diritti di tutti i lavoratori e, soprattutto, cosa succederà a settembre? Ma la Scuola ha richieste anche per i centri estivi e allo scopo già si sta attrezzando (una insegnante per cinque bambini?!). Qui gli spazi fortunatamente ci sono, ma i costi?

Bisogna anche riconoscere che fortunatamente il Comune di Schio si è impegnato molto per supportare anche concretamente, in modo che siano mantenute in vita queste realtà in questo momento di particolare difficoltà, e lo ringraziamo. Forse si è finalmente pienamente compreso che lo spirito è ormai più didattico che solo ludico, preparatorio alla Primaria e oltre: qui ci sono i figli, i nipoti (anche i miei), che saranno i cittadini di domani e non è retorica quando si pensa al… futuro, parola che sembra far pensare a chissà quali tempi. Ma il futuro e già qui, è domani! Ottorino Orizzonte Volontario sul pulmino della Scuola

Utile sottolineatura, in effetti lo sforzo che tutte indistintamente le scuole dell’infanzia locali hanno fatto in questi mesi per mantenere contatti costanti con i bambini, in un’età così importante per la crescita, è stato lodevole. Anche negli altri ordini di scuola, certo, ma lì era dovuto per legge. La speranza ora è che, trascorsa l’estate, ogni cosa ritorni al proprio posto per tutti. [S.T.]

Il “Gatò”, dolce scledense? Dove si trova il pane? ovviamente nei panifici, ma anche nei supermercati, dove c’è di tutto. Non ho mai amato il pane industriale, né quello refrigerato e riscaldato; preferisco quello che nasce ogni mattina dall’impasto fresco e naturalmente lievitato del bravo artigiano del forno. Il fornaio oggi vende anche il pane; ma trovi spesso dolciumi; è un angolo ricco di squisitezze, di golosità, di leccornìe di vario genere. I dolciumi sembrano una piccola gioia, adatta a compensare le avversità della vita e della natura., che magari ti punisce con il diabéte. La fotografia qui riprodotta ritrae una serie di dolci “gatò”, prodotti dal fornaio di via Fusinieri a Schio, in cui opera anche un pasticciere di Venezia, la città in cui il pane e i dolciumi sono una ghiottoneria. Tuttavia va detto che il gatò non è una specialità scledense né veneziana, né francese: in Francia “le gateau” significa il dolce, la torta. La pasticceria Cauduro, già di Gioachino Dalla Ca’, fu la prima a far conoscere a Schio il gatò, che proviene da Mantova, dove ancor oggi si può gustare nelle pastic-

cerie sotto il nome di torta Helvetia o Helvezia, molto probabilmente importata dal nord, quando nel 1707 la città di Mantova dei Gonzaga passò sotto l’influenza degli austro-ungarici. La ricetta fu acquistata da Alessandro Cauduro in una pasticceria di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Mio padre – me lo disse lui stesso - aveva accompagnato in auto il Cauduro nel Mantovano , proprio per questo scopo. Oggi la ricetta non è più un segreto: molti hanno lavorato nella pasticceria Cauduro e quindi l’hanno conosciuta. Ma quello che noi veneti chiamiamo “el soramànego”, cioè l’abilità, la pratica, l’esperienza, fa la differenza. Il segreto non consiste tanto nello zabaione, nella crema di burro con cui è farcito il dolce prelibato, ma nella composizione delle tre anime di mandorle, che devono essere delicate, gustose, morbide, fragranti. La pasticceria Cauduro, prima produttrice del dolce mantovano, si è trasferita in periferia, nella zona dei supermercati; in centro produce il gatò la pasticcera Sbabo, fra

il duomo e piazza del bao. Ma altri cercano di presentare il gatò: ognuno può provare e poi scegliere quello che preferisce, a seconda dei gusti. Tuttavia il gatò vero è inconfondibile. Giuseppe Piazza




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